sʜᴀɴɢʀɪ-ʟᴀ

Chengdu, Sichuan, China

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    L'alba, la nascita di un nuovo giorno, era il momento che più adoravo. Il vento solleticava le fronde degli alberi, il cinguettio degli uccelli e le nuvole screziate da luci ancora incerte e residui di ombre.
    Mi recavo in questo magico luogo ogni mattina. Mi trovavo su un'altura immersa nel verde, poco distante dalla base in cui lavorava mia madre e dove, ahimè vivevo anche io.
    Da qui la vista era meravigliosa e per un attimo potevo lasciare indietro le brutture, la violenza e la malvagità che regnavano sovrani sul nostro amato pianeta.
    Mia madre e lo S.H.I.E.L.D. si occupavano di contrastare il nemico e facevano sì che il Bene trionfasse. Peccato però, che questi meravigliosi precetti fossero il più delle volte teoria e solo in qualche rara occasione si trasformavano in realtà.
    “Respira…. Respira profondamente” continuavo a dirmi mentre ispiravo ed espiravo. Ricordai il motivo per cui venivo qui. Dimenticare ciò che c’era fuori per connettermi con quanto avevo dentro. Me stessa e madre natura insieme, nient’altro.
    Serrai le palpebre e un’oscurità fittizia mi avvolse. Continuai a fare dei respiri profondi e allargai le gambe piegandomi leggermente sulle ginocchia. Perfetto equilibrio, perfetta sintonia con il mio corpo.
    Mossi le mani, le braccia senza pensarci troppo. Senza attuare figure specifiche che ormai conoscevo a menadito. Amavo sentire l’aria passare attraverso le dita. Percepivo l’energia che si veniva a creare crescendo ad ogni mossa. Ruotavo su me stessa senza mai perdere l’equilibrio. Di tanto in tanto riaprivo gli occhi per dissetarmi con quel panorama meraviglioso e accogliere in me ciò che di buono la Terra poteva offrirmi.
    Persi la cognizione del tempo e dello spazio. Non seppi per quanto mi trattenni nelle mie pratiche mattutine, ma l’incanto venne spezzato da una voce.
    “Lin, tua madre ti sta cercando.” Era un ragazzo che lavorava alla base. Non era un agente operativo, ma era il tipico topo di biblioteca che si occupava delle scartoffie. Impiego nobile il suo, visto che liberava da incombenze burocratiche gli agenti che andavano sul campo.
    Tornai in me e ripresi la posa naturale. Notai che il sole era più alto nel cielo e riscaldava meglio, nonostante le rigide temperature dicembrine.
    All’altezza in cui ci trovavamo era necessario coprirsi adeguatamente e mi fu confermato dal vestiario di Bradley… era un fagotto troppo buffo. Un pupazzo di neve umano. Con il suo cappotto imbottito bianco, una sciarpa rossa a righe e un berretto di calda lana dello stesso colore della sciarpa.
    Non faceva che sfregare le mani nonostante avesse i guanti.
    Lo guardai di sbieco.
    “Ma stai scherzando? Sei proprio esagerato!” lo schernii con un sopracciglio alzato.
    Lui mi osservò esterrefatto. Indossavo il mio tang suit. Era un modello maschile che adoravo indossare poiché comodo e poco attillato. Il tessuto era in cotone spesso, rosso scuro, con il suo tipico colletto colletto squadrato. Non era sufficiente a proteggere dal gelo di dicembre, ma non mi interessava. Non sentivo il freddo… stavo bene.
    “Non capisco come tu faccia… a volte credo che tu… non sia umana…Fai presto. Sai che a tua madre non piace attendere.” e se ne tornò da dove era venuto, ripercorrendo i suoi stessi passi a ritroso.
    Aveva ragione. Mia madre non era il tipo di donna che adorava le attese inutili. Era molto concreta e pragmatica nella vita quotidiana, seppure si avvaleva di una spiritualità immensa. Era la sua arma segreta. La stessa che aveva affidato a me, insegnandomi tutto ciò che sapeva.
    Mi avviai verso la base, dove avrei trovato il suo ufficio. Riflettei sulla mia infanzia e l’esistenza che avevo vissuto fino a quel momento.
    Aveva iniziato ad addestrarmi fin dalla tenera età di cinque anni. Arti marziali, allenamento fisico e psichico, armonizzazione del corpo e dell’anima, magia e utilizzo della One Staff.
    Un giorno sarebbe stata la mia eredità e dovevo essere pronta ad accoglierla e proteggerla con tutte le mie forze.
    Persa tra i miei pensieri arrivai al suo studio.
    Un agente, collega di mamma, mi salutò con garbo. Erano tutti gentili con me e mi conoscevano fin da quando ero una bambina. Lo S.H.I.E.L.D. era diventata col tempo la mia casa…
    Io, per carattere, non ero molto socievole e tendevo a chiudermi nel mio ostinato silenzio. Preferivo il mondo ancorato alla mia anima, che quello in cui vivevo in realtà. Non risposi al saluto ed entrai dopo aver accennato a bussare.
    Mia madre mi vide sulla soglia e mi fece cenno di avvicinarmi e di sedermi.
    Io eseguii.
    “Volevi vedermi?” chiesi svogliata. Il nostro non era un rapporto idilliaco, avevamo i nostri scontri, ma la rispettavo profondamente per ciò che era e cosa faceva.
    “Sì, ti devo parlare…” disse mentre finiva di sistemare dei documenti, catalogandoli in diverse cartelline. Una volta terminato rivolse a me la sua piena attenzione.
    “Mi è stata assegnata una missione molto importante” riprese e poi fece una pausa. Non la interruppi per chiedere ulteriori chiarimenti. Sarebbero arrivati a breve. Lei odiava che la si anticipasse. “Come sai, non ti posso dare i dettagli, ma questa volta dovrai venire con me.” Il suo volto era determinato.
    Il mio invece era il ritratto dello stupore. Io in missione con lei? Non era mai avvenuto da quando era in forze all’organizzazione. A malapena mi parlava delle sue operazioni.
    “Cosa vorresti dire?Non sono mica un agente! Perché dovrei venire con te?” La mia confusione era evidente.
    “Se mi facessi finire il discorso, forse lo capiresti” appuntò la mia esuberanza e impazienza.
    Io tremavo per il nervosismo, ma non replicai. “Dovrai semplicemente interpretare il tuo ruolo di figlia. Andiamo negli Stati Uniti d’America” disse l’ultima frase come se avesse sganciato una bomba e così era, l’esplosione sarebbe giunta da lì a pochi secondi.
    “Cosaaa?” Ero scioccata. “Altre volte hai svolto missioni fuori dal Paese, ma mai hai dovuto portarmi con te. So badare a me stessa” insistei. Non avevo nessuna intenzione di sradicare la mia esistenza.
    “La missione si prospetta di lunga durata e non voglio lasciarti qui…” La interruppi esterrefatta.
    “Mi vuoi portare con te per non lasciarmi sola?” La guardai sospettosa. Lei non era il tipo di madre asfissiante, nonostante non mi avesse fatto mancare nulla, ma il “non lasciarmi sola” non era la sua priorità da quando ero diventata autosufficiente in tutto e ora tutto.
    “Non solo… non conosco la tempistica della missione e si potrebbe protrarre senza saperlo fin dal principio. In più, la mia copertura è di una madre single che vive con la figlia in un quartiere residenziale. Dobbiamo adeguarci di conseguenza.” Ecco, adesso era tutto più chiaro e spiegava i dubbi che avevo avuto all'inizio. Non mi adirai per la “pedina” che avrei rappresentato nella missione, ma odiavo il fatto di dovermi trasferire. Non volevo andare negli States e ripartire da zero.
    “Comprendo perfettamente la copertura che ti potrei dare in missione, ma cosa ti fa pensare che mi stia bene? Io non voglio andare via da qui. Ho raggiunto il mio equilibrio dopo tanto penare. Io amo questo posto” lo dissi ripensando all’altura su cui mi rifugiavo ogni mattina. No, non se ne parlava! “E per di più, non conosciamo neppure la tempistica. Dovremmo stare via quanto? Settimane, mesi?” Ero più che allarmata.
    “Non te lo sto chiedendo, Lin. Dobbiamo partire tra tre giorni. Il tempo di organizzare il viaggio e gli agganci sul posto. Devi venire con me. Non hai alternative. Non partirò senza sapere quando e se ti rivedrò.”
    Rimasi a bocca aperta. Doveva trattarsi di una missione pericolosa se addirittura temeva di non vedermi più. O forse voleva per l’ennesima volta esercitare il suo potere per rendere le cose più semplici. Avermi al suo fianco l’avrebbe fatta stare più tranquilla. Sapevo che quando decideva qualcosa era irremovibile. Aveva gestito la mia vita fin da bambina. Organizzando i miei allenamenti, studi e hobby. Non ero andata a scuola e non avevo amicizie. Proprio adesso che avevo trovato il mio equilibrio interiore con la mia solitudine e le mie abitudini, lei arrivava a distruggere tutto.
    Avrei voluto mettermi a urlare e gettare all’aria tutti gli oggetti sulla sua scrivania. Solo per farmi ascoltare, solo per perorare la mia causa, solo per farle dispetto. Ma… a cosa sarebbe servito? Presi un respiro profondo e ingoiai tutta la mia sofferenza.
    “Mi sembra di capire che non ho scelta. Devo accettare di essere portata in un Paese straniero, in un ambiente nuovo e per me ostile. Dovrò fingere con i vicini, con i tuoi conoscenti, di essere la figlia modello di una madre inappuntabile. E questo per un tempo mmmm indefinito. Giusto?” riepilogai con voce fredda, ma condita da una velo di feroce ironia.
    Lei mi guardò fissa e sorrise un po’ di lato.
    “Pressoché esatto. Hai dimenticato i tuoi compagni di classe nella lista.” Con quella frase mi parve quasi sadica, ma in fondo, non sapevo cosa avesse in mente.
    “Ah, andrò anche a scuola… al peggio non c’è mai fine” mormorai quasi rassegnata al mio destino.
    “Trascinami pure in questa follia, ma sappi che lo stai facendo contro la mia volontà.” Volevo essere chiara sui miei sentimenti e sulle mie volontà.
    “Tranquilla. Ti abituerai all’idea e alla nostra nuova vita. Questa operazione è molto importante. Credimi.” Era fermamente convinta delle sue parole e io non replicai. Non avevo la forza di combattere contro i mulini e vento.
    Mi alzai e mi diressi all’uscio.
    “Vado a preparare I miei bagagli… Evviva, si va in America! Che figata!” conclusi con un espressione idiota che usavano spesso i giovani americani, sottolineandola con un tono sarcastico e di finta allegria.
    Conoscevo tutto della cultura occidentale. Degli usi e dei costumi, così come conoscevo alla perfezione la lingua. Mia madre era stata previdente oltre ogni aspettativa.
    Ma non mi sarei uniformata. Non mi sarei inserita in una società che non mi apparteneva. Avrei recitato, nient’altro.
    Uscii, sbattendo la porta alle mie spalle.
    Alcuni agenti si voltarono nella mia direzione, stupiti. Poi mi riconobbero e mi sorrisero. Io li squadrai senza il minimo segno di gentilezza. Il mio umore era nero come la notte e nessuno sarebbe stato in grado di migliorarmi la giornata, ormai rovinata irrimediabilmente. Compromessa, come lo sarebbero stati i giorni a venire.
    “Forza e coraggio Lin, ce la puoi fare a sopravvivere. Non dimenticare te stessa!” mi incoraggiai mentre mi dirigevo nei nostri alloggi a impacchettare quel poco di vita che mi ero costruita con enorme fatica.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 29/12/2021, 16:37
     
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    Quando a 23 anni mi ero sposata con il mio amato Jin avevo dato un certo scalpore per l'età considerata fin troppo tarda, ma la verità era che io non venivo da una famiglia normalmente, quanto più dalla nobile casata degli Jima.
    Esistente fin dalla seconda metà del 1700 era caratterizzata dal fatto che tutti gli uomini della famiglia erano stati agenti, prima della Nobiltà Bianca e poi dello S.H.I.E.L.D., mentre le donne erano la detentrice dei segreti del Tao.
    Fu la mia più antica ava, detentrice del Totem dei Sogni, a tramandare il suo sapere e le sue abilità e di generazione in generazione facendo di tutte noi donne potenti Guerriere di Luce e come amava definirci lei, Guardiane dei Sogni dell'Umanità.
    Questo comportava però una dura e ferrea disciplina che non ci rendeva certo come le altre donne, tutte casa e famiglia e questo comportava trovare uomini degni di divenire parte del nostro coven.
    Quando a soli 16 anni mio padre mi aveva fatto arruolare, lui era il capo sezione della sede di Shangri-La, non era stata vista subito di buon grado la mia storia con Jin molto probabilmente per le nostre radici giapponesi e le sue cinesi, ma ben presto si era guadagnato rispetto ed onore tanto da essere scelto da mio padre, come suo successero e capo sezione.
    Jin seppe sempre tutto del mio ruolo e della mia magia e quando nacque Lin fu accordo di entrambi addestrarla e non nasconderle mai nulla sulle verità del mondo.
    Purtroppo Jin morì fin troppo presto e non solo io non mi aprì mai più all'amore, gettando la chiave del mio cuore, ma presi anche il suo posto come capo di Shangri-La, qualcosa che non fu visto per nulla bene dagli uomini che vi lavoravano.
    Lo S.H.I.E.L.D. poteva essere molto avanzato dando libertà e possibilità alle donne che, considerando l'epoca in cui vivevamo, erano assai impossibili da qualsiasi altra parte, ma accettare di essere comandati da una di loro era considerato uno sfregio.
    Ero stata dunque ostacolata ed umiliata, ma mai avevo fatto un passo indietro. Avevo ingioiato lacrime ed ira, ero stata presente per Lin come Maestra, ma anche come Madre, il tutto mentre mi imponevo come agente e come capo.
    Il successo dunque ed il rispetto che avevo raggiunto non era da sottovalutare ed il pensare di trasferirmi in realtà spaventava più me che Lin. Lì avrei dovuto ricominciare da capo, avrei dovuto combattere per qualcosa che già avevo, ma non mi lamentavo. Non lo avevo mai fatto, nemmeno quando era morto Jin ero caduta in paturnie come "perché a me? come posso vivere senza l'amore della vita?" . Certo mi aveva dilaniato, ma avevo vissuto il dolore e da esso avevo tratto forza ed insegnamento.

    La nuova casa in cui io e Lin ci trasferimmo era la classica villetta americana su due piani con giardino e tetto spiovente. Gli interni erano molto diversi a ciò che eravamo abituate, come il quartiere residenziale di famiglie ove avremmo risieduto, ma quella era l'America e il capitalismo, il consumismo e le famiglie da copertina era la normalità.
    Io ero una persona molto riservata e minimale dunque non sarebbe stato semplice per me, ma avrei fatto del mio meglio.
    Indossavo un semplice pantalone nero che lasciava fuori le caviglie, una ballerina nera ed una camicetta bianca con scritte le mie iniziali sulla tasca anteriore ed un golf nero. Era un abbigliamento semplice, ma denotava eleganza ed anche una certa stabilità economica.
    Avevo indosso per l'occasione un paio di orecchini di perla e i capelli erano raccolti sul capo. Appena giunte avevamo avuto gli occhi di tutto il quartiere addosso, eravamo due donne sole e per lo più ero giapponese. La guerra era finita da poco e tutti associavano al nostro aspetto Pearl Harbor, dunque erano ritrosi e poco amichevoli per questo motivo avevo chiesto a Lin la gentilezza di aiutarmi a fare torte e biscotti e seguirmi porta a porta per presentarci ed offrirli.
    Non tutti erano stati gentili, ma il nostro sorriso e porci sempre e comunque affabili dopo qualche settimana, fortunatamente, iniziò a dare i suoi frutti...
    “Sono quelli?” mi chiese una mattina in giardino Lin, mentre mi stava aiutando con le bellissime rose che nel giardino davanti casa avevamo piantato. Ero una grandissima amante della natura e della botanica, a Shangri-La avevamo un meraviglioso roseto di cui insieme ci occupavamo e dovevo ammettere che mi mancava.
    “Kodey Johnson, una vera testa calda. Ha 17 anni dovrebbe essere uno Junior, ma è stato bocciato per le numerose sospensioni ricevute e dunque è ancora un Sophomore. Non fa nessuna attività extra scolastica, ma è appassionato di Lacrosse non si perde nemmeno una partita, forse anche perché il suo migliore amico Trevor King ne é il capitano...”
    Raccontavo tutto con dovizia di particolari, ma anche freddezza, di fatto le stavo facendo rapporto e non stavamo parlando del più e del meno.
    “La sorella, Lexi Johnson, ha 16 anni ed anche essa è una Sophomore. A differenza del fratello va molto bene a scuola, è disciplinata, ma rincorre la popolarità. Partecipa ad ogni attività che possa farla emergere, come aiutare la madre a fare volontariato con i veterani. Sta cercando disperatamente di entrare nel gruppetto di Jessamine King, sorella di Trevor, nonché capo cheerleader...”
    Conclusi sistemando la terra dell'ultima rosa e sorridendo del risultato, chiunque ci avrebbe visto da fuori avrebbe visto solo madre e figlia fare giardinaggio del tutti disinteressate dei figli dei vicini nel giardino accanto intenti a discutere per l'ennesima sciocchezza.
    “King, come quei King?” mi chiese lei, mentre io assentivo leggermente.
    “E' una battaglia persa in partenza, non c'è nemmeno un motivo per cui io possa avvicinarmi e men che meno diventare amica di due così...”
    “Dovrai farlo Lin, dobbiamo sapere quanto loro sono coinvolti. Lo S.H.I.E.L.D. deve sapere se considerarli nemici o eventuali ostaggi da salvare...”
    Alzandomi in piedi sorrisi per il lavoro che avevamo fatto, il vialetto di casa era stupendo ed iniziavo a vedere le persone passare ed invidiare il nostro giardino il più curato e colorato del quartiere.
    “Siamo in una piccola cittadina del North Carolina non sarà difficile approcciarsi a loro... qui si conoscono tutti...” e così dicendo alzai una mano salutando i nostri vicini, i genitori dei ragazzi di cui avevamo parlato fino a quel momento, che erano usciti a calmare gli animi.
    Sorrisi ben sapendo che loro invece erano la mia missione e non sarebbe stato per nulla semplice, ancor più perché se i sospetti erano veri non mi trovavo in presenza di semplice spie sovietiche, ma niente di meno della Red Room.
    “Almeno dimmi che posso contare sulla Staffa...” mormorò Lin salutando a sua volta, mal volentieri prima di entrare in casa con me. L'antica reliquia appariva in tutta la sua bellezza appesa nel mio studio.
    Lin non la usava, apparteneva ancora a me, ma ogni tanto le concedevo di usarla per far pratica.
    “Non sono questi i motivi per cui si usa, dovrai contare su te stessa figlia mia e sii certa in cuor tuo che lo farai per qualcosa d'importante. Non posso darti i dettagli lo sai, ma... posso dirti che la minaccia è reale... Questi non sono nemici come gli altri, sono nemici di cui lo S.H.I.E.L.D. si preoccupa. Nemici che finora hanno agito in un determinato modo e che ora potrebbero aver cambiato le carte in tavola, se ciò che temiamo sia vero, la presenza di cellule dormienti è reale! In virtù di questo stai sempre allerta, qui non siamo a Chengdu! Non fidarti di nessuno!”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 29/12/2021, 17:46
     
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