Nanda Parbat: Hallways

Season 1

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    Cristina
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    Un lungo e profondo sospiro di sollievo mi colse quando, una volta rimasto solo, pensai al pericolo appena scampato. Non era giusto. Lo sapevo. Come sapevo benissimo che quel momento prima o poi sarebbe dovuto arrivare eppure egoisticamente avevo deciso di fare l'impossibile pur di non perdere mia sorella, quell'estranea che quando mi era stata affidata -ormai più di un secolo fa- prima avevo visto come una tremenda palla al piede e poi come l'unica famiglia da cui non mi sarei mai voluto dividere.
    Era con quella consapevolezza e in parte il sollievo di essere riuscita a deviarla dai suoi pensieri, che ancora un sorriso era disegnato sulle mie labbra piegate in un'espressione trionfa e sghemba. La stessa che però si raggelò quando incontro il viso scuro e pavido di Edward, che fuori dalla camera di Evie era -per i miei gusti- un po' troppo in prossimità dell'uscio.
    « Stavi andando da qualche parte Kenway? » chiesi in modo beffardo, con quel mio solito modo di fare che irritava i più.
    « Vorrei ricordarti che oggi non è solo il compleanno di mia sorella, ma... » e facendo un passo indietro mi piegai in un inchino ironica « ...anche di questo meraviglioso bellimbusto! »
    Di solito Edward era tra i pochi che mi dava corda, così diverso dagli altri miei confratelli a volte un po' troppo impostati per i miei gusti eppure in quel caso c'era qualcosa di diverso.
    In un primo momento pensavo a una cosa stupida, giocosa, come il fatto che lo avessi battuto sul tempo per fare gli auguri ad Evie -tipico di noi che facevamo a gara per tutto- ma subito dopo capì che così non era.
    Tornai sera, nervoso, passandomi una mano tra i capelli scompigliati e cercai di ignorare la brutta sensazione che lui avesse potuto sentire o vedere quello che avevo fatto.
    « Quanto hai sentito? » esplosi infine, incapace di ignorare il fatto. Non era da me. Se era lì per rinfacciarmi qualcosa o per discutere, bé allora lo avremmo fatto... Non ero tipo da tirarmi indietro. Mai.


    Edited by Señora Acero¸ - 1/9/2017, 12:04
     
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    Incredibile. Per quanto fosse grande il Covo, e per quanto cercassi di passare la maggior parte del mio tempo in giro per il mondo, in missione per la Confraternita, ogni volta che mi fermavo qualche tempo in quella che noi Assassini chiamavamo “casa”, mi trovavo sempre lì, a girovagare in quel corridoio, senza avere niente di preciso da fare. Come se stessi aspettando un segno divino. E quel giorno, in effetti, la fortuna mi aveva mostrato il suo sorriso sfacciato, lo stesso che avevano le baldracche dei pub più malfamati che mi era sempre piaciuto frequentare: avevo appena ascoltato una conversazione molto interessante.
    Il fatto di essere stato scoperto ad origliare non mi faceva scomporre più di tanto, non mi era mai interessato comportarmi in maniera socialmente accettabile, quindi, vedendo comparire Jacob, non mi mossi di un millimetro dalla mia posizione rilassata in cui ero, appoggiato al muro.
    “Hey, buon compleanno, allora... “ dissi in un tono calmo, sornione, e alzai le mani, per dimostrare che non intendevo buttarla in rissa come avrebbe voluto lui. In verità, quello era esattamente ciò che avrei fatto anche io, di solito: non ero tipo da ignorare le provocazioni, sia fisiche sia verbali; la ragionevolezza e la diplomazia non facevano per me, mi buttavo sempre a testa bassa nei problemi e buonanotte al resto. Sentivo già la familiare tensione allo stomaco che anticipava lo scontro. Strinsi involontariamente le mani a pugno.
    Ma quella volta no, QUELLA volta era diverso. Dovevo restare calmo e provare a farlo ragionare. Mi staccai lentamente dal muro, avvicinandomi a lui: “Vuoi sapere quanto ho sentito? Abbastanza. Abbastanza per capire che forse c'è un problema, e non puoi affrontarlo da solo. Nonostante i tuoi tentativi, arriverà presto il momento in cui lei capirà l'inganno”
    O almeno, era quello che speravo io. Che Nike si svegliasse, al più presto, ricordandosi chi era stata. Perché la sua indifferenza mi faceva male, troppo male.
     
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  3. Blackthorns
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    Con il senno di poi, Edward aveva ragione e se solo fossi riuscito a pensarci su ragionevolmente lo avrei capito, ma il punto era che di razionale, nel mio comportamento di poco prima, c'era stato ben poco; avevo reagito d'istinto, con un egoismo dettato dalla paura di rimanere senza una persona che, inaspettatamente, era diventata fondamentale, nella mia vita. Avevo dato per scontato, ormai, che niente ci avrebbe diviso e sentirla parlare dei suoi ricordi, ancora vaghi e poco comprensibili, della sua vita passata, mi aveva mandato nel panico.
    Al momento, tuttavia, le parole di Edward mi sembravano solo fastidiose, irritanti, benchè non avesse detto altro che la verità — una a cui non volevo credere, che volevo ignorare il più possibile, per quanto sbagliato fosse.
    « Non c'è nessun problema! » sbottai, forse a voce un po' troppo alta. La roccia era spessa, certo, ma non mi andava proprio di attirare l'attenzione di altri passanti, o origliatori, nel caso di Edward, quindi feci un po' più attenzione, nel riprendere parola, anche se decisamente non iniziai a bisbigliare. Ero troppo punto nel vivo per anche solo provare a farlo.
    « Non c'è nessun problema, va bene? Ho tutto sotto controllo, non serve che ti metti in mezzo. »
    Serrai la mascella, quando finii di parlare. Avevo dovuto fare un gran bello sforzo per non alzare nuovamente troppo la voce, ma ci ero riuscito, alla fine, per quanto il tono fosse uscito comunque a dir poco brusco, tagliente, come mai prima, non con lui, nè con nessuno all'interno del Covo, probabilmente. Non era mio nemico, ma mi sentivo alle strette, con le spalle al muro, e non capivo perchè gli importasse tanto quella faccenda, cosa che mi portò a mutare la mia espressione in una di rabbiosa confusione.
    « E anche se ci fosse, perchè dovrebbe interessarti? »
     
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    “Non c'è nessun problema, va bene? Ho tutto sotto controllo, non serve che ti metti in mezzo.”
    Trattenni il ghigno che si stava per disegnare sul mio volto. E allora era questo, il modo in cui pensava di poter gestire una situazione simile? A nascondere la testa nella sabbia c'erano capaci tutti, perdio. Maledissi mentalmente i nostri Mentori, che avevano scelto di affidare ad un ragazzino una pedina tanto importante quanto Nike. Per l'ennesima volta mi domandai, cosa pensavano di concludere? I primi tempi, poco ci mancò che si arrivasse allo scontro aperto con loro, e che lasciassi definitivamente la Confraternita. Poi, il senso di sacrificio che mi avevano mostrato persone molto migliori di me, mi fece desistere, e rientrai nei ranghi.
    ”E anche se ci fosse, perchè dovrebbe interessarti? “
    Incrociai le braccia al petto. Mossi un passo verso di lui e lo fissai negli occhi, mortalmente serio: “Ascoltami bene. Cosa ti fa pensare che la questione possa riguardare esclusivamente voi due? Ti sei innamorato troppo dell'idea della famigliola felice, ma non è così. Ti ricordi o no le parole di Altair quando ti affidarono... te la affidarono?” Era più forte di me. Non riuscivo a pronunciare il suo nome falso, lei sarebbe sempre stata Nike per me. Ma pronunciarlo ora sarebbe stato uno sbaglio.
    Presi un respiro profondo. Mi sentivo quasi una carogna ad infierire così su Jacob, in fondo lui era davvero l'unico con cui c'era una certa intesa, non eravamo temperamenti seri e compassati come Altair ed Ezio, anzi, le serate in cui ci trovavamo ubriachi fradici a raccontarci la nostra vita erano ricordi piacevoli.
    Ma, a proposito di ricordi, ce ne erano altri che erano ancora più brucianti e difficili da ignorare, ed io stavo combattendo per quelli, affrontando il mio compagno di bevute.
     
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  5. Blackthorns
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    Odiavo quella situazione che si era creata con Edward, ne stavo odiando ogni secondo, soprattutto perchè, sebbene avessi avuto modo di crescere, nel corso degli anni, conservavo ancora tutta la mia testardaggine e la propensione ad ammettere difficilmente che avevo torto. Odiavo, più che altro, il fatto che stessi avendo una discussione con qualcuno con cui, solitamente, andavo piuttosto d'accordo, con cui mi ero sempre trovato bene, vuoi perchè era decisamente meno rigido rispetto agli altri, vuoi perchè era un ottimo compagno di bevute — il migliore, oserei dire — e non riuscissi proprio ad appigliarmi alla calma, al momento, non quando c'era di mezzo Evie, la persona che reputavo più importante in assoluto.
    Il punto era che me lo ricordavo bene, l'avvertimento che mi era stato dato da Ezio e Altair, al tempo, mi era tornato chiaramente in mente quella stessa mattina; me lo aveva detto, ovviamente, che sarebbe probabilmente stata una soluzione temporanea, che avrei dovuto lasciarla andare, quando fosse giunto il momento. Mi era sembrato semplice, lì per lì e soltanto adesso mi rendevo conto di essermi sbagliato alla grande, perchè al solo pensiero di non considerarla più mia sorella mi faceva sentire sul punto di soffocare.
    « E' mia sorella! Non lo è davvero, lo so , che diamine, ma.. lo è stata per tutti questi anni e questo conta qualcosa, deve contare qualcosa!. »
    Tenni le mani contratte, strette a pugno, più per quella sensazione d'impotenza che mi stava tormentando, che per vera e propria voglia di uno scontro fisico, sorprendentemente e, quando parlai nuovamente, lo feci a voce un po' più bassa, sommessa.
    « Non voglio che le cose cambino tra noi. Che se ne vada. Considerami patetico quanto ti pare, ma è così. »
     
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    Cinicamente pensai che formavamo proprio una bella squadra: lui si sentiva un essere patetico, ed io mi valutavo una carogna. Me ne stavo lì, a provocare rimorsi e sensi di colpa in un mio compagno per guadagnare un mio tornaconto, senza provare un minimo di vergogna anzi, calcando se possibile ancora di più la mano.
    Avevo sempre agito così, nella mia vita: ottenere qualcosa a scapito di chiunque e qualunque valutazione. Troppe volte era successo e con lucidità mi resi conto che nulla sarebbe mai cambiato. La cosa peggiore era la sensazione che provavo, nonostante tutto, la stessa di quando mi risvegliavo dopo una sbornia colossale, quando il sole era già alto, in qualche lurido vicolo dell'Havana, magari in una pozza del mio stesso vomito. Un reietto.
    Questo fino a quando non ottenevo ciò che desideravo. Allora tutto diventava niente, le sofferenze degli altri, gli scontri, la delusione negli occhi di chi mi amava. Lo avevo fatto per cose forse meno importanti, mentre ora che era in gioco il mio diritto di stare accanto alla donna che amavo, avrei combattuto come un demonio dell'inferno a maggior ragione.
    Nike era una splendida creatura, forte, indomita, e quei brevi mesi in cui eravamo stati amanti erano bastati a lasciare un segno profondo nel mio cuore. Era lei quella che volevo, le altre donne che avevano tentato di restarmi accanto erano finite bruciate dal fuoco della mia anima. Lei no. Lei aveva guardato dentro ai miei abissi, e ne era uscita indenne. Sapevo che non potevo più farmela sfuggire, e questa volta Ezio e Altair non dovevano mettersi in mezzo.
    Poggiai una mano sulla spalla di Jacob e la strinsi; voleva essere un gesto di incoraggiamento: “Lo so quanto tieni a lei. Ma non è detto che ti lascerà, una volta che si ricorderà del suo passato. Devi aver fiducia in voi e nel vostro legame”. Ammiccai in direzione della porta della camera di Nike: “Quanto tempo ci metterà per essere pronta? Non molto, credo. Vuoi che ci trovi qui a chiacchierare come due ragazzini? Vai a prepararti, e goditi la giornata di festa... “
    Cosa era disposto a fare un uomo per amore? Ecco la mia risposta: a diventare una carogna. Della peggior specie.
     
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