Flashback #1191: Acri

Season 1

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  1. Blackthorns
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    Gli rivolsi un sorriso quasi intenerito, pigro nel formarsi, il quale rimase ad aleggiare sulle mie labbra mentre gli lasciavo una lieve carezza sul braccio, un tocco accennato e all'apparenza casuale, nonchè breve, ma che speravo servisse a placare almeno un po' i dubbi e la confusione che vedevo nel suo sguardo, nella rigidità delle sue spalle. Non risposi, non dissi niente, lo lasciai semplicemente andare. Non era certamente quello il momento di parlare di ciò che c'era stato tra noi, dopotutto. Lo avremmo fatto; ne sentiva il bisogno, lo percepivo chiaramente, era stampato in netti caratteri nei suoi occhi, perché doveva sempre razionalizzare tutto, sospettavo, doveva sempre trovare la logica in ogni cosa ━ a differenza mia. Io avrei volentieri lasciato che fossero le nostre azioni a parlare al posto nostro, facendo crescere la sintonia che ━ non si poteva negare ━ era già nata tra noi.
    Altair non era il mio primo mortale, e dubitavo fortemente sarebbe stato l'ultimo. Il suo corpo si sarebbe indebolito sempre di più, anche se adesso era solido e prestante, e poi la morte se lo sarebbe portato via, mentre io sarei rimasta la stessa, cristallizata in quella forma dall'espetto giovane ed etereo, senza che né il passare degli anni, né alcuna malattia potesse scalfirmi minimamente. Ma non volevo pensarci prima del dovuto, mi sarei goduta il tempo che avevamo a disposizione, sapendo che era contato, ma senza darci peso. Sì, avrei fatto così, mi decisi.
    ( . . . ) Altair non era ancora tornato, dopo ore di assenza ed io cominciavo a stancarmi di essere chiusa all'interno del Covo degli Assassini. Contrariata e vagamente indispettita, stavo percorrendo la zona in cerca di una spazzola, quando mi venne un'idea migliore; ero vicina all'uscita, dopotutto, no? Ed ero stata al chiuso fin troppo a lungo, per i miei gusti. Fu soltanto naturale pensare di far qualcosa per porvi rimedio. In buona fede, ovviamente, senza intenzione di scappare chissà dove.
    Dapprima mi avvicinai tentativamente alla porta, guardandomi intorno, per essere certa di non venire intercettata e, di conseguenza, rallentata da quesiti che davvero non avevo voglia di ascoltare, nè di trovare modi per aggirare. Avevo pur sempre una missione da compiere, del resto e rimanere tra quelle mura altro tempo non mi sarebbe servito a niente se non a farmi venire una crisi di nervi, quindi sgusciai fuori senza farmi vedere, decisa a fare qualcosa di utile. Presa dalla frenesia di uscire, tuttavia, non misi in conto di trovarmi su un territorio a me sconosciuto e di trovarmi, quindi, più vulnerabile della norma per quanto riguardava eventuali attacchi a sorpresa o trappole e non feci poi molta strada prima di imboccare un vicolo che mi fu fatale. Lì trovai Bouchart ed alcuni dei suoi uomini ad aspettarmi e non potei fare molto, prima che riuscissero ad immobilizzarmi del tutto.
    Forse quell'attimo in cui mi ero paralizzata nel vederlo mi aveva penalizzata, o magari sarei stata condannata ugualmente, però non mancai di maledirmi; il tramonto aveva creato uno strano gioco di luci ed ombre, sul viso di Bouchart, e per qualche istante lo avevo quasi scambiato per Efesto, benchè certamente così non potesse essere.
    - Dovrei farti giustiziare pubblicamente per avermi tradito, ma quello è un trattamento che riserverei ad un soldato e tu non lo sei. -
    Lo schiaffo che mi arrivò in viso mi aprì il labbro, facendomi sanguinare, ma per lo meno mi riscosse del tutto dalla trance in cui sembravo essere finita; Efesto, per quel poco che lo avevo conosciuto, non era mai stato violento e dubitavo fortemente lo sarebbe stato, per quanto poco avrebbe apprezzato l'atteggiamento che avessi mostrato. Più che lui avevo odiato il doverlo sposare, il suo aspetto fisico.. Bouchart, invece, mi risultava spregevole sia dentro che fuori e glielo dimostrai immediatamente, sputandogli del sangue dritto in faccia. Lottai con le unghie e con i denti prima di farmi rimettere in catene, poco importava che ne avessi pagato il prezzo sul mio corpo.
     
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    Potermi distaccare di Aphrodite mi aveva permesso di concentrarmi al 110% di nuovo sulla missione e questo consisteva prima di tutto in ciò che un Assassino doveva sempre saper fare prima formulare un qualsiasi piano: perlustrazione e raccolta informazioni. Così feci in modo semplice girando per le vie della città come un fantasma e captano conversazioni qua e là, seguendo guardie, appostandomi su tetti... fu facile capire quanto il controllo di Bouchart sulla città di Cipro fosse forte: aveva già occupato il castello lì dove suo fratello, Federico il Rosso, comandava sull'isola. Ora che lo aveva raggiunto sapevo che ucciderlo voleva dire colpire uno dei punti deboli di Bouchart e di conseguenza non solo indebolirlo, ma anche colpirlo nel vivo in quanto lui era non solo suo parente, ma anche braccio destro. Ucciderlo voleva dire dare possibilità ad Osman, spia tra i templari di cui mi aveva parlato Alessandro, di far carriera ed essere promosso nuovo capitano.
    Con quelle informazioni in mano e la situazione in mente molto più chiara tornai al covo deciso di organizzare al più presto con gli uomini di Alessandro un'assalto a Federico e assicurarci la sua morte.
    Ero arrivato da pochi minuti quando dando indicazioni qua e là feci ben presente a tutti che durante la cena gli avrei parlato del piano che avevo partorito, ma prima dovevo vedere Aphrodite e parlare di alcune cose. Peccato che, giunto sulla soglia della sua stanza Alessandro mi raggiunse avvertendomi che era scappata. Dal canto mio mi sentivo già livido e pronto a ripetermi mentalmente "te lo avevo detto" quando il confratello mi bloccò assicurandomi che lo aveva fatto sì, ma non per correre nelle braccia dei Templari in quanto era giunto in tempo solo per vederla sì andar via con Bouchart, ma come sua prigioniera...
    Quella notizia per qualche strana ragione mi colpì più di quanto fosse lecito, forse pensando anche oltre a ciò che tra noi c'era stato e che non riuscivo a togliermi dalla mente. Se così importante per Bouchart lei era, perchè imprigionarla? Mi era bastato averci a che fare quel poco per capire che non era facilmente manipolabile, motivo per cui dubitavo che il Templare l'avesse trattata così solo perchè credeva che aveva ceduto agli Assassini. Era molto più lecito comprendere che ne fosse prigioniera.
    "Non c'è senso in tutto ciò..."
    "Ad essere sincero è esattamente ciò che penso anche io Altair. Da quello che mi hai detto non comprendo come mai Bouchart l'ha trattata così a meno che..."
    "Ella non lavori per i Templari" conclusi capendo che ciò che avevo intuito e in parte lei mi aveva confermato, era certo. Era una sorta di guerriera indipendente che in cerca del Cristallo in questo caso non sapevo giudicare. Era pericolosa? Più dei Templari? Perchè era interessata a quel manufatto? A che scopo?
    Ero ancora fermo nei miei pensieri, lo sguardo lontano, quando Alessandro attirò la mia attenzione.
    "Come dobbiamo considerarla? Dobbiamo occuparsi di salvarla?" domande lecite a cui, da Mentore, mi toccava dare delle risposte.
    "Per ora occupiamoci di studiare l'assalto al castello, una volta dentro decideremo il da farsi..." tagliai corto.
    Potevo sembrare brusco ed insensibile, ma ero solo pragmatico ancor più se ripensavo alle parole di Aphrodite sulla nave. Potevo giudicarla in molti modi, ma non potevo dire che non teneva alla missione. Lei stessa mi aveva pregato di dare priorità il Cristallo, di metterlo al sicuro e non cadere in tetanzione. Dunque sicuro anche lei avrebbe voluto che continuassi così e non che abbandonassi tutto solo per salvare lei e poi qualcosa mi diceva, nonostante la tenaglia di preoccupazione che mi stringeva il cuore, che se la sapeva cavare anche da sola. Che i suoi occhi avevano visto più di quanto il suo aspetto cangiante potesse lasciar trapelare...
     
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  3. Blackthorns
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    Ci avevo messo un po' ad abituarmi a tutta quell'oscurità, all'interno della cella dove ero stata rinchiusa, ma scoprii ben presto che non ci fosse molto da vedere; era una stanzina piccola, di al massimo dieci passi in ogni direzione, ed assolutamente spoglia, fatta eccezione per una brandina malandata, lasciata per terra senza alcun tipo di supporto. La porta era spessa, fatta di ferro, buttarla giù mi sarebbe stato impossibile anche se mi fosse stato possibile raggiungerla e non fossi, invece, impedita nei movimenti da solidi ceppi che mi avvolgevano le caviglie ed erano collegati al muro da una catena.
    Mi guardai i dorsi delle mani, dove le nocche erano sbeccate e coperte di sangue secco e mi sedetti a terra — era più pulito lì, rispetto al sottile materasso poco distante —, con la testa appoggiata al muro. Quello era l'unico segno, da che ero arrivata nella prigione, a testimonianza che avessi perso il controllo, sfogando la rabbia che non avevo potuto far assaggiare ai templari sul muro della cella. Un gesto inutile, certo, che non mi aveva dato alcun conforto e naturalmente non mi aveva portato più vicina alla libertà, nè al Cristallo, ma che aveva placato per lo meno il grido che mi era salito su per la gola come fuoco ardente. Mi ero fatta una promessa, dopotutto, prima di perdere conoscenza in quel vicolo di Cipro; non avrei urlato, nè implorato perdono, poco importava ciò che mi avrebbero fatto, sarei rimasta forte e lucida, a dispetto di tutto. Non mi piaceva dover contare su qualcun altro per completare la mia missione, ma al momento l'unica mia speranza era Altair e scoprii di non odiare il pensiero come avrei fatto in qualsiasi altra circostanza, di non darlo per fallito, non quell'uomo che mi aveva mostrato il vero valore della sua razza e una gamma di sentimenti che mai avrei creduto di poter provare con tanta intensità e sincerità, men che meno per un mortale.
    Non sapevo, con esattezza, quanto tempo fosse passato dal momento della mia cattura, ma ero certa non fosse potuto passare più di qualche giorno, sebbene stesse diventato sempre più difficile tenere traccia dello scorrere delle ore. Sapevo solo fosse troppo, troppo tempo rubato alla missione, al recupero del Cristallo e il pensiero non la smetteva di tormentarmi, giorno e notte — scanditi soltanto dall'arrivo di un soldato con una scodella di cibo, una alla mattina e l'altra alla sera. Non ero in grado di dire, quindi, che punto della giornata fosse, ma avevo la certezza che quei passi che sentivo lungo il corridoio fossero anomali, spezzavano la ferrea routine nella quale ero piombata, fatta di penombra e cibo che mi costringevo a mandare giù; mi portarono ad alzarmi di scatto, dal momento che avrei odiato farmi trovare da Bouchart rannicchiata per terra. Lo avrei affrontato, come al solito a testa alta — anzi! Ero addirittura un po' contrariata dal fatto che mi avesse per lo più ignorata, dopo avermi fatta rinchiudere.
    Piantai bene i piedi per terra e sollevai il mento, osservando impotente mentre il chiavistello veniva girato e la porta aperta. Mio malgrado persi un battito, quando mi resi conto di trovarmi davanti Altair.
    « Il cristallo.. lo hai trovato? »
    Furono esattamente quelle le parole che decisi di rivolgergli, come primissima cosa.
     
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    Era stato molto facile a dirsi con Alessandro di pianificare l'attacco al castello e compierlo senza interessarci di Aphrodite fino all'ultimo momento, ma molto meno lo fu mettere in atto le mie stesse parole.
    Concentrarmi sull'attacco era la proprità anche e sopratutto considerando quanto fosse importante ai fini dei nostri scopi oltre il numero copioso di uomini che Bouchart aveva messo e di cui dovevano tener conto, essendo in inferiorità numerica.
    Per questo una volta dentro la tattica scelta con la Confraternita era stata semplice: avremmo combattuto lo stretto necessario che mi sarebbe servito a me per recuperare il Cristallo ed uccidere Bouchart e poi ce ne saremmo andati.
    Avevo fatto la prima, ma non la seconda trovandomi a riuscir ad uccidere suo fratello Federico, intervenuto per dargli vantaggio per la fuga. Avrei dovuto correre dietro Bouchart, ma appena mi ero reso conto che sarebbe stato impossibile riuscirci, considerando la schiera di Templari che lo scortava, preferì accontentarmi di almeno una vittoria: aver recuperato il Cristallo.
    Al che la mia missione era finita, potevo andarmene e raggiungendo Alessandro battere ritirata, ma no le mie gambe corsero fin giù... verso le prigioni... fino a dove trovai Aphrodite, che salvai dopo aver ucciso l'uomo che era di guardia.
    Il vederla piegata, ma intera mi sorprese. Era molto più forte di quanto avevo osato anche solo immaginare, ma ciò non toglieva che il sangue secco e gli ematomi sulla sua pelle perfetta mi disturbava come se non concepissi che qualcuno aveva potuto deturpare una bellezza così eterea. Così perfetta.
    La liberai dal ceppo e le catene e le porsi la mano senza risponderle, non c'era tempo. Corremmo uccidendo chiunque trovammo sulla nostra strada, ma fu quando passando di fronte all'ufficio di Bouchart che la vidi fermarsi ed entrarvi.
    "Dobbiamo andare!"
    "Non prima di recuperare la mia catena!"
    A quella risposta mi congelai sul posto. La guardai confuso e poi uccisi un templare che ci vide e ci venne addosso, fu facile, ma non lo sarebbe stato a lungo se non ce ne fossimo andati. Stavo sacrificando dei confratelli solo per salvarla...
    "Come se fosse necessario..."
    Lo era, ma era chiaro che non potevo capirlo, perchè lei si immobilizzò dalla sua ricerca e lanciandomi uno sguardo stizzito riprese con più furia di prima.
    "Come se tu possa capire..." mi fece il verso lei, facendomi scattare infastidito dalla sua superbia se non fosse che un fascio di luce potente mi distrasse.
    Era stata lei che trovando la sua catena l'aveva subito usata per uccidere un Templare alle mie spalle, quella brillava di luce propria e tornando morbida nelle mani della sua legittima padrona, dopo averla usata, avvolse il suo corpo... un baglio ed eccola che era tornata perfetta. Nessuna ferita. Niente. Perfetta come la conoscevo...
    "Ma... ma come è ..."
    "Dobbiamo andare!" mi ricordò con lo stesso tono perentorio con il quale io glielo avevo detto solo cinque minuti prima. Corremmo veloci per raggiungere gli Assassini e mentre Alessandro già mi strigliava con lo sguardo un bagliore ci costrinse a chiudere per un attimo gli occhi. I rumori della battaglia era conclusi in quanto tutto quel rumore era divenuta improvvisamente luce.
    Al ritorno al covo eravamo tutti scossi e pieni di domande, io poi ne avevo una valanga verso Aphrodite che adesso iniziavo a sospettare nascondesse un Frutto dell'Eden.
    "Il Cristallo è al sicuro..." mormorai alle sue spalle, quando raggiungendola nella stanza che le era stata data, questa volta ne fu chiusa dentro.
    "Ti chiederei come stai, ma è chiaro che stai benissimo... dimmi perchè volere il Cristallo, quando è evidente che hai già un Frutto dell'Eden? Dove lo nascondi mh? Come mai sai usarlo così bene?"
    Era un terzo grado? Senza dubbio.
    Ero arrabbiato? Altrettanto.
    Ormai ero di fronte a lei e il mio sguardo scuro era diventato notte fonda...
     
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    Ebbi a stento il tempo di togliermi l'odore della prigionia di dosso, prima di essere portata nella mia stanza. Sentii molto bene il rumore della porta che veniva chiusa a chiave, dalla mia posizione vicino alla finestra, dove potevo finalmente bearmi della luce del sole, tiepida e benevola sul mio volto, e dovetti prendere un profondo respiro per star ferma, per non ribellarmi all'ennesimo tentativo di segregarmi in una cella — l'attuale era considerevolmente più ampia e confortevole, certo, ma mi ritrovavo comunque impossibilitata ad uscire e la ritrovata consapevolezza di ciò mi fece fremere appena per porvi rimedio, in qualche modo. Un brivido sommesso, sotto pelle, dietro la nuca, come se una mano gelida mi avesse appena sfiorata. Mi intimai di rimanere il più calma possibile, però, dunque continuai a respirare in silenzio, dando la schiena ad Altair. Non avevo permesso a nessuno di loro di sfiorare anche soltanto con un dito la mia catena, su quello ero stata irremovibile, dunque essa era assicurata come al solito alla mia vita, un peso tanto familiare quanto quello del mio corpo stesso. Vi passai distrattamente un dito sopra, traendovi conforto, prima di voltarmi verso di lui. Lentamente, troppo, in un movimento studiato, trattenuto.
    Non avrei saputo dire quale, tra le frasi che aveva pronunciato, mi avesse procurato maggiore fastidio, tuttavia fu un insieme decisamente infelice, alle mie orecchie e quando puntai il mio sguardo su di lui non c'era niente della tiepidezza affascinata che avevo spesso mostrato nel guardarlo, neppure il più sottile barlume. Erano due pozze fredde, quelle che si trovava davanti e non potevo assicurare quanto sarebbero rimaste tali.
    Non era odio, il sentimento che provavo al momento, e certamente avrei preferito non dover discutere con lui, eppure vi era troppa rabbia in me, al momento, affinché potessi semplicemente lasciar correre, permettergli di farmi il terzo grado in quel modo, pretendendo spiegazioni che, in realtà, non gli erano dovute quanto pensava. Non rispondevo a lui, mi dispiaceva avesse pensato il contrario.
    « Chi ti credi di essere? » sibilai, battendogli un dito contro il petto, dal momento che si era fatto tanto vicino.
    « A stento sei consapevole di ciò di cui stai parlando, eppure ne parli come se ne avessi la massima autorità. E' mio dovere recuperare il Cristallo, Altair, ma ti ho già detto che non intendo usarlo. »
     
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    Era chiaro come la luce del giorno che io e quella donna non eravamo fatti per condividere più del tempo necessario insieme o meglio che non era possibile che il nostro stare insieme si trasformasse in passione che divampava violenta che fosse attrazione che ci impediva di allontanarci l'uno dall'altra o che fosse ira che sfociava in brutali scontri.
    La temevo quanto temevo il riflesso nel mio specchio e la consapevolezza che potevo sfuggire a tutto e tutti, ma non a lui. Lei era anche peggio perchè il suo sguardo riusciva a scovare in me così a fondo in luoghi in cui anche io temevo arrivare.
    Non risposi dunque subito alla sua provocazione rimasi impettito e con lo sguardo duro ad osservarla, mentre allungando una mano le porsi niente di meno che il Cristallo. Segno che poteva prenderlo ed andarsene.
    Era libera, anche perchè stentavo a credere che mai fosse stata davvero prigioniera di qualcuno...
    "Chi ti credi di essere?" le feci eco ripetendo la sua domanda con un certo fastidio.
    "Tu chi ti credi di essere!? Tu che sei entrata nella mia vita come un uragano e senza chiedere permesso l'hai messa sotto sopra. Prima di incrociare il mio cammino con il tuo sapevo esattamente chi ero o quanto meno lo credevo..."
    "Sapevo chi amavo..." ma quello evitai di dirlo preferendo abbassare lo sguardo frustato e lasciare che, una volta che il Cristallo dalla mia mano era finito nella sua, allontanarmi di qualche passo e raggiungere il letto della stanza per sedermici sul bordo.
    Ora lei se ne sarebbe andata e avrebbe fatto chissà cosa, di sicuro era chiaro che mi avrebbe lasciato con mille domande e dubbi. Chi era? Che strani poteri possedeva? Erano suoi? Come era possibile?
    Ma cosa ancor peggiore mi lasciava ad affrontare i miei demoni e le mie paure, la consapevolezza che adesso che avevo scavato così a fondo dentro me stesso non potevo tornare indietro...
    Con che sguardo avrei riguardato Maria negli occhi? Come avrei fatto nuovamente l'amore con lei? In che modo l'avrei toccata e baciata? Come avrei potuto nuovamente immaginare la mia vita accanto a chi, ora ne ero consapevole, non amavo?
     
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  7. Blackthorns
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    Rimasi a dir poco stranita, non vi era altro modo per definire l'ondata di confusione che mi attraversò alle parole di Altair, sebbene mi ostinai a mantenere un'espressione corrucciata e non certo a fatica. Ero furiosa, eccome se lo ero, eppure non mi accingevo ad andarmene, a voltare le spalle definitivamente a quell'uomo e tutto ciò che rappresentava — perchè, infondo lo sapevo, in un modo o nell'altro ci sarei potuta riuscire, se lo avessi voluto davvero—, rimanevo lì a fissarlo con braci al posto degli occhi, senza accennare a scostare l'indice accusatore dal suo petto.
    Ecco che, incredibilmente, lottai per non ammorbidire lo sguardo, sotto ai colpi delle sue parole. Strinsi i denti, piuttosto, chiudendo la mano attorno al Cristallo prima di farlo sparire all'interno di una tasca.
    « Cosa.. cosa c'entra? »
    A dispetto dei miei sforzi boccheggiai, quasi, quando decisi di aprire bocca per parlare, in un tono decisamente più dimesso ed attonito rispetto a prima, quando mi ero mostrata tagliente e decisa quanto una lama. Quell'intensità pareva essere momentaneamente svanita, per lo meno dalla mia voce, e tutto a causa di un paio di frasi — le quali, potevo anche tentare di mentire a me stessa, mi avevano dato l'impulso di raggiungerlo sul letto e prendergli il viso tra le mani per baciare via il tormento da ogni centimetro di esso. Ed era arduo rimanere immobile, a distanza, quando il mio corpo intero fremeva per fare l'esatto opposto.
    « Tu— » avrei potuto recriminargli ogni cosa, in quell'esatto momento ( ero dopotutto partita con quell'esatto intento ), a partire di come mi aveva fatto prigioniera sulla sua nave, ma mi scoprii incapace di fare persino quello, guardandolo, dando ascolto al sobbalzo che il ritmo del mio cuore aveva quando gli ero vicina. Cambiai del tutto direzione, dunque, senza razionalmente volerlo del tutto; « Credi di essere da meno? Ero in controllo, prima di incontrarti, sapevo cosa volevo e come ottenerlo e una volta ottenuto non mi facevo problemi a lasciarmelo alle spalle, già alla ricerca di qualcosa di nuovo. Ho avuto tanti uomini, Altair, non te lo nego, ma prima di te non c'è stato nessuno che mi abbia fatto desiderare di più. »
     
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    Quella sua frase non ci voleva, non quando già ero talmente tanto confuso da non poter processare una tale dichiarazione. Avrei preferito che mi avesse dato le spalle, avrei preferito che se ne andasse, avrei preferito che mi avesse lasciato solo… Forse così, e dico forse, sarei riuscito a dimenticarla o quantomeno ci avrei provato. Ma averla lì, così vicina, tanto da sentirne il profumo e udirne il battito del cuore non mi aiutava per niente. Non mi aiutava non dopo le sue parole.
    Fu allora che alzai il capo e trovai il coraggio di affrontare il suo sguardo, quello che mi entrava in profondità, così affondo che credevo sarebbe stato impossibile riuscire a liberarmene… La guardavo e perso nella sua magnifica bellezza pensavo che non avevo mai trovato qualcuno di tanto perfetto e di tanto forte allo stesso tempo. Fragile, ma anche incredibilmente coraggioso… Era un misto incredibile di contrasti e il più evidente di tutti era quello visibile ad occhio nudo, non solo perché io avevo la pelle scura e lei la pelle chiara, ma anche di carattere, di scelte, di cuore, di azioni… Non c'era niente che ci rendesse simili eppure proprio per questo eravamo attratti l'uno dall'altra come magneti.
    "È questo il problema!" dissi con un filo di voce eppure con fermezza allo stesso tempo "Perché lo stesso vale per me, ma non posso, capisci? Non posso perché c'è già una donna nella mia vita. Una donna a cui ho promesso il mio cuore, una donna a cui ho promesso il mio amore, una donna a cui ho promesso di condividere la mia vita con la sua… È mia moglie e non posso lasciarla..."
    Le dissi quelle parole senza smettere di guardarla negli occhi. Facevano male, ma non solo a lei, anche a me. Perché non ferivano solo il suo cuore, ma anche il mio... era la consapevolezza di dover lasciare andar via l'unica che era stata in grado di trovarne le chiavi.
    "Ma non ti dimenticherò Aphrodite... non ti dimenticherò mai e questa è la mia condanna…" e lo sarebbe stata perché mi avrebbe fatto vivere ogni singolo minuto della mia vita con il rimpianto di averla lasciata andare ed il rimorso di aver tradito Maria.
     
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  9. Blackthorns
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    Avevo compreso le sue parole, naturalmente, ma non riuscivo ad accettarle, non ero in grado di accontentarmi di rimanere nei suoi ricordi, per quanto credessi non mi avrebbe, effettivamente, dimenticato — ritenevo sarebbe stato a dir poco impossibile. Non mi bastava qualcosa di tanto incorporeo, semplicemente, nè tanto meno saperlo felice con qualcuno che non fosse me, il solo pensiero mi lasciava un tremendo sapore amaro in bocca ed un vuoto all'altezza del petto che faceva male. Era peggio di un rifiuto, quello che stava proferendo, benchè non avessi mai conosciuto qualcosa di anche lontanamente simile, ma decisi praticamente subito che non mi sarei arresa tanto facilmente, annuendo e ricacciando indietro le lacrime senza far altro, vivendo passivamente la situazione, non me lo sarei mai perdonata. Dopotutto se lui era così disposto a lasciar perdere quello che avevamo condiviso, io non ero certamente dello stesso avviso!
    Mi avvicinai, finalmente, prendendo posto accanto a lui sul letto, superando l'insieme piuttosto violento di emozioni contrastanti — parte di me voleva prenderlo a schiaffi per non aver pensato prima a tutto quello, se per lui era tanto importante, parte di me voleva mostrargli quanto si stesse sbagliando ad arrendersi in quel modo — ed appoggiandogli una mano sulla guancia affinchè mi guardasse e lo facesse bene e fisso, senza perdersi nemmeno uno sbattere delle mie ciglia. Se solo avessi saputo che quella sarebbe stata soltanto una delle tante volte in cui mi sarei scontrata con il suo senso del dovere...
    « E' davvero questa la tua scelta? Ti arrendi prima ancora di averci dato una possibilità? » chiesi, quasi indulgente, con un tocco di durezza appena percettibile. Il nostro modo di percepire il matrimonio, come potevo intuire da ciò che aveva detto, differiva non poco; per me non era altro che una gabbia, per quanto dorata potesse essere, una catena che non avevo mai voluto e che mi era stata forzata addosso, senza che io potessi fare niente a riguardo. Qualcosa da cui liberarsi al più presto, alla prima occasione, con chiunque avesse attirato la mia attenzione. Ed Altair era ben più di quello, era qualcuno che non ero disposta a lasciarmi alle spalle come tutti gli altri.
    « Vuoi davvero passare la vita a chiederti come sarebbe potuto essere? Rimani con me. »
     
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    No non volevo farlo, ma quale altra scelta avevo?
    Sì l'avevo, ma il mio senso del dovere mi imponeva di prenderne un'altra.
    Non risposi per un lungo momento, tenendo lo sguardo basso sulle mie mani che intrecciate le une all'altra sembravano aggrapparsi ad un appiglio invisibile, come in cerca della forza di fare ciò che istintivamente non desideravo compiere.
    "Non dimenticherò mai ciò che ha significato incontrarti..." esclamai con boce calma e cadenziata finalmente alzando il mio sguardo scuro su quello chiaro di lei.
    Quella frase così banale nascondeva tante cose perchè non si riferiva solo a ciò che tra noi era successo, ma anche alla domande che la sua essenza mi aveva suscitato, all'instabilità che le sue azioni mi avevano mostrato di avere, quanto più all'incertezza che con la sua forza di me mi aveva mostrato.
    Era chiaro che non ero l'uomo che credevo di essere, che c'era ancora tanto che di me dovevo capire e scoprire e accettare di rimanere con lei voleva dire cedere alle stesse. Era una scelta difficile, tra le più peggiori che avevo dovuto prendere, ma al contempo era la dimostrazione a me stesso che potevo farcela. Non credevo nel fato, ero una persona pragmatica, ma per la prima volta in vita mia stavo lasciando quella scelta al caso. Forse se l'avessi ritrovata un giorno sul mio cammino, allora quello avrebbe significato che sarei stato pronto per accoglierla...
    "Ti affido il Cristallo contro ogni logica, quanto mettendola da parte ti lascio andare..." perchè ciò che avrei dovuto fare invece sarebbe stato farla prigioniera e tenere la reliquia tra gli Assassini.
    Ecco. Quella era l'ennesima dimostrazione che non ero pronto per lei... Aphrodite era speciale e sicuramente non solo per la sua straordinaria bellezza, quasi divina, nè tanto meno per quelle peculiarità che non sapevo spiegare... era molto di più. Maroa era bella, forte, ma anche estremamente comune e normale. E per quello sarei rimasto al suo fianco.
    "Spero che troverai ciò che tanto stai cercando..." esclamai infine in piedi vicino alla porta aperta, la mano stretta sul pomo della stessa. Era chiaro come il sole che nonostante la sua unicità, fosse come un animale in gabbia... lo stesso che con le unghie e con i denti stavo lottando, alla ricerca di un qualcosa... qualcosa che la completasse...
     
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  11. Blackthorns
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    In cuor mio sapevo già di averlo perso, forse per sempre, ancora prima che schiudesse le labbra per darmene certezza, eppure sperai comunque, contro ogni logica, di sbagliarmi. Mi illusi, per dei brevi, bellissimi, istanti che saremmo potuti stare insieme come era ovvio desideravamo entrambi, lo feci mettendo da parte la donna che mi aveva detto di aver sposato e i suoi doveri da assassino, i quali certamente non prevedevamo il mio uscire di lì tanto facilmente. Lasciai, nella visione dorata e splendente nella mia mente, solo noi due, incredibilmente diversi, ma in grado di combaciare alla perfezione, in una versione del tutto utopica degli eventi. Poi Altair si pronunciò, mandando tutto in frantumi, annullando le speranze che mi ero costruita, facendomi comprendere che fosse finita lì, ancora prima di iniziare veramente.
    "Quindi è questo che si prova ad essere rifiutati." pensai amaramente, scostando la mano dal suo volto. Gli occhi pizzicavano, ma trattenni le lacrime. Sapevo per certo che, chiunque fosse la donna di cui parlava, non sarebbe mai potuta essere alla mia altezza, in quanto mortale, del tutto comune e per niente paragonabile a me, che sarebbe impallidita al mio cospetto, e per un momento pensai di essere tanto crudele da esprimere chiaramente la mia opinione, dicendogli tutto ciò in faccia, ferirlo ━ desiderai farlo, credendo per un folle istante che mi avrebbe appagata, salvo poi rendermi conto dell'inutilità di un tale gesto. Non mi avrebbe fatta sentire meglio, nè tanto meno avrebbe mutato in alcun modo la situazione, sarebbe soltanto servito a farmi apparire infantile e non era ciò che aspiravo ad essere ai suoi occhi.
    « Allora è un addio, per adesso. » curvai le labbra in un sorriso, delicato, ma sorprendentemente dolce, sotto al velo di tristezza. Un giorno, forse, avrebbe imparato a compiere delle scelte per se stesso, a scegliere il cuore e non il dovere, ma evidentemente non era ancora pronto.
    Mi alzai a mia volta, passandogli vicino, ma soltanto con l'intenzione di superarlo. Non gli diedi alcun bacio d'addio, semplicemente perché avrebbe significato mettere concretamente la parola fine ed io non volevo; preferivo ricordare quelli che ci eravamo scambiati in precedenza, privi di pena e colmi soltanto di possibilità. Ero fiduciosa, dopotutto, del fatto che lo avrei rivisto, in quel vasto mondo, certa le nostre strade fossero desistinate ad incrociarsi nuovamente.
     
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25 replies since 19/5/2017, 19:13   391 views
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