Present Day #2017: Toronto's Harbor

Season 1

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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    “Sei sicura di voler andare da sola?”
    “Tranquilla, so badare a me stessa...” risposi ad Athena mentre indossavo la mia adorata giacca di pelle nera pronta per uscire.
    “Non è per te che mi preoccupo, è per chiunque ti incontri per strada.”
    “Ma come siamo spiritose oggi! Comunque, investigare è il mio lavoro, quindi io andrò sul campo a cercare informazioni, mentre tu lo farai da qui.”
    Athena sospirò profondamente. Era preoccupata, lo vedevo nel suo sguardo e lo percepivo nel suo modo di parlare apprensivo e più prudente del solito.
    “Sto bene! La ricerca del Frutto dell’Eden mi distrarrà. Per un po’ l’istinto di bruciare vivo quel maledetto traditore, doppiogiochista di Cormac sparirà, vedrai.” le dissi con un sorriso forse un po’ troppo tirato, che mal celava la tensione che in realtà mi stava divorando.
    “Non sei per niente convincente…”
    Come logico che fosse, Athena aveva già capito quali erano le mie reali intenzioni. Ormai, dopo secoli passati una al fianco dell’altra, mi conosceva come le sue tasche. Sapeva che avrei fatto la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente, seguendo il mio istinto.
    Facevo sempre così, e ovviamente quella volta non fece eccezione.
    Sapeva che sarei andata subito alla ricerca di Cormac. Era molto probabile che lui sapesse qualcosa.
    Mi auto convincevo che volessi trovarlo solo per questa ragione. In realtà volevo delle spiegazioni. Volevo prenderlo a pugni fino a cambiargli i connotati.
    Forse così mi sarei messa l’anima in pace, la rabbia e la voglia di vendetta si sarebbero placate.
    Lo sguardo della mia cara amica mi riportò alla realtà. In quel momento non capii cosa voleva dire. Purtroppo l’avrei capito in seguito, quando ormai sarebbe stato troppo tardi.
    Sfogandoti in quel modo, dando retta al tuo lato più sanguinario e violento, non risolverai un bel niente.
    Sapeva anche che non avrei rinunciato a cercarlo.
    Mi dava tremendamente sui nervi quando con una sola occhiata capiva così tante cose, quasi a scavare fin dentro l’anima, per poi far notare che le aveva comprese. Ma era forse grazie a questo suo vizio se a volte in passato avevo evitato di fare stupidaggini, se avevo compreso meglio me stessa e i miei sentimenti.
    “… vai pure. Mi raccomando...”
    “Sì, se scopro qualcosa te lo riferisco subito.”
    Aprii la porta del mio ufficio con impazienza e uscii.
    Mentre me la stavo chiudendo alle spalle osservai un’ultima volta Athena.
    Seduta sulla sedia davanti alla mia scrivania si torturava le mani e mi guardava con preoccupazione.
    “Fai attenzione.”


    Camminavo spedita per le strade di Toronto, diretta all’appartamento di quel bastardo, unico mio indizio, sotto a un cielo grigio come il mio umore. Sapevo che dovevo concentrarmi sulla ricerca del Frutto, ma la furia che mi ribolliva dentro era impossibile da contenere e da dimenticare.
    “Mi ha presa in giro. Sin dall’inizio mi ha sempre presa in giro.”
    Ripensai al nostro primo incontro.
    Fu durante un mio caso. Una mia cliente mi chiese di indagare sul marito, perché sospettava che la tradisse con la segretaria. Cercai informazioni ovunque e parlai con molte persone, fra cui Kevin.
    “Colpo di fulmine” pensai, “un incontro voluto dal destino.”
    Finalmente, dopo tanta sofferenza e solitudine, avevo trovato qualcuno che mi amava per quella che ero, che si accontentasse solamente di Ares, senza pensare a me né come Guerriera, né come divinità.
    In lui avevo ritrovato quel senso di tranquillità e familiarità che provavo solo quando ero con le mie sorelle.
    Ebbene sì, la rissosa Ares finalmente si era innamorata.
    “Che razza di idiota che sono stata.”
    Non facevo altro che ripetermelo. Avevo abbassato completamente la guardia come una povera cretina. Mi ero fatta abbindolare dal suo bel faccino, dal suo modo di pensare, parlare, comportarsi…
    Sapevo che mi faceva male, ma non potevo fare a meno di pensare che Kevin non fosse mai esistito.
    Era solo un essere immaginario creato da Cormac per prendermi in giro e carpirmi informazioni.
    C’era solo Shay, un Templare tanto meschino quanto ipocrita, che sin da quando ci eravamo conosciuti non aveva fatto altro che fingere… anzi no, prima ancora, visto e considerato che sicuramente quell’incontro in apparenza casuale non era altro che una sua macchinazione.
    Era davvero strano e difficile da ammettere ma io, forse la Guerriera più crudele e spietata con i nemici, avevo il cuore a pezzi.


    Edited by Señora Acero¸ - 1/10/2017, 21:05
     
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  2. Blackthorns
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    Non avevo dormito, quella notte — sebbene l'istinto e l'esperienza mi ricordassero costantemente di dover rimanere vigile, soprattutto nelle circostanze attuali — per quanto avessi tentato di liberare la mente, avevo passato ore ad occhi aperti, immobile sulla brandina leggermente oscillante della mia barca, finalmente ultimata. Solitamente il rollio delle onde era sufficiente a tranquillizarmi abbastanza da farmi dormire almeno un po', anche nelle notti più torbolente, come una carezza rassicurante tra i capelli — l'unica che avessi conosciuto per tanto tempo, prima di Ares —ma non quella volta; i miei pensieri erano andati tutti in una sola direzione, portando a galla pensieri e ricordi, tutti riguardanti Ares. Avevo ricordato il nostro primo incontro, quello a cui avevo pensato come ad uno dei tanti approcci con una fonte di informazioni necessaria alla mia missione, nient'altro, ma per quanto mi fossi sforzato non ero riuscito ad inviduare il momento esatto in cui si era insinuata tanto nei miei pensieri e, a quel punto era inutile negarlo, nel mio cuore. Là dove nessuno prima di lei aveva fatto breccia — dove non avevo permesso a nessuno di farlo. Non ero riuscito a capire quando fosse diventata tanto importante affinchè il tempo passato con lei smettesse di diventare un compito, ma fosse diventato qualcosa di piacevole, qualcosa da aspettare con un certo entusiasmo. Avevo ricordato la gita in barca e come mi avesse fatto sentire vivo. Avevo ricordato il suo sorriso e il tocco delle sue labbra sulle mie, dolorosamente consapevole che avrei potuto non godere più di entrambi. Ed infine come era apparsa nel sogno, una dea guerriera, splendida e terribile.

    ( . . . ) Se fosse andata a cercarmi nel mio appartamento lo avrebbe trovato, ormai, vuoto, con solo il pianoforte coperto da un telo ad occupare il grande spazio e, sopra di esso, un bigliettto che le avrebbe detto esattamente dove trovarmi, ovvero al porto della città, a bordo della mia nuova imbarcazione. Era rischioso, certo, ma confidavo sarebbe venuta da sola. Credevo avrebbe voluto affrontarmi faccia a faccia, prima di qualsiasi altra cosa, senza permettere l'intromissione altrui.. potevo dire di conoscerla almeno fino a quel punto. Quando la vidi arrivare, dunque, azzardai un lievissimo sorriso, in egual misura sollevato ed amaro — non nutrivo illusioni; la sua visita non era affatto di cortesia e non mi aspettavo lo fosse.
    « Vieni, sali pure. » il mio tono era, all'apparenza, tanto calmo quanto l'acqua del lago, ma non vi si doveva credere troppo, naturalmente. Mi sentivo tutt'altro che calmo, al momento. Avvertii la sensazione di avere una lama incastrata nel petto, quando mi ricordai di non toccarla, di non aiutarla a salire sul collegamento in legno tra la banchina e la barca.


    Edited by Blackthorns - 10/10/2017, 23:00
     
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    Ero immobile di fronte alla porta socchiusa del suo appartamento.
    Il pensiero che ormai l’abitazione fosse vuota si era trasformato in certezza. Cormac non era idiota, sapeva perfettamente che quello sarebbe stato il primo luogo dove lo avrei cercato.
    Respirai profondamente ed entrai.
    Il suono dei tacchi dei miei stivali riecheggiava in tutta la casa.
    Non c’era più niente.
    Né un quadro alla parete o un solo piatto. Nulla.
    Solo in una casa disabitata poteva regnare la desolazione e la tristezza che percepivo in quel momento.
    Mi guardavo attorno, immaginandomi tutto al proprio posto: la cucina all’avanguardia lungo la parete, il divano e il televisore posti difronte all’immensa finestra.
    Poi sopraggiunsero i ricordi, e quelli furono dolorosi. Ripensai alle cene romantiche, alle serate spensierate passate sul divano a guardare un film, a tutte le attenzioni che Kevin mi rivolgeva, a come mi faceva ridere e sentire viva.
    Mi avvicinai all’enorme vetrata che si affacciava su Toronto, guardando distrattamente quella vista che tanto adoravo.
    Forse solo in quel momento capii che quella era l’ultima volta che sarei stata in quell’appartamento. Una lacrima sfuggì al mio controllo, scendendomi lungo la guancia, per poi venir cancellata da un mio gesto pieno di stizza e rabbia.
    Anche se non era assolutamente la stessa cosa, mi sentivo come quando secoli fa persi la mia famiglia, la mia casa, tutto ciò che amavo. Sentivo la stessa disperazione di allora che mi premeva sul petto come un macigno. Mi ero illusa di aver finalmente ritrovato una certezza, un senso di stabilità e tranquillità in mezzo a tutte queste macchinazioni per appropriarsi dei Frutti e dei Frammenti.
    “Quanto tempo ho passato qui dentro per sentirmi come se fossi a casa?”
    Mi voltai, notando solo in quel momento il pianoforte posto in un angolo di quello che fino a non troppo tempo fa era il soggiorno. Era l’unico oggetto rimasto. Mi scappò un sorriso amaro. Ripensai alla prima volta che Kevin mi portò qui. Mi stupii non poco alla vista di quel meraviglioso strumento, perché non riuscivo proprio ad immaginarmelo seduto di fronte a quella distesa di tasti. Come a confermare i miei pensieri, lasciandomi anche con un po’ di delusione, mi disse che in realtà lo suonava di rado, se non per noia. Quindi era solo per far figura, un oggetto da esposizione insomma.
    Molto probabilmente era per questo motivo che lo lasciò lì, coperto da un telo.
    Trovai un suo biglietto sopra di esso. Indicava esattamente dove lo avrei trovato.
    Con passo deciso uscii dall’appartamento, convinta di riuscire a lasciarmi alle spalle anche i ricordi, con la presunzione e l’ingenua sicurezza che non sarebbero più tornati a tormentarmi.

    Purtroppo non appena arrivai nei pressi della barca compresi quanto mi ero illusa e sopravvalutata.
    Quando lo vidi a bordo dell’imbarcazione i ricordi tornarono eccome, dolorosi e amari più che mai.
    "Vieni, sali pure."
    Ero sicura di non essere mai stata così confusa in vita mia. Tutti i sentimenti e le sensazioni che provavo in quel momento lottavano fra loro e contro la mia ragione.
    Mi ero ripetuta che Kevin non era mai esistito, che era solo una sua creazione, ma solo in quel momento compresi che Shay era Kevin. Non si era inventato una personalità completamente diversa solo per avvicinarsi a me, era rimasto semplicemente se stesso.
    Vedendolo, sentendo la sua voce, mi accorsi che mi era mancato tremendamente, più di quel che pensavo.
    Un lieve sorriso gli increspò le labbra mentre mi avvicinavo.
    Ero un fascio di nervi.
    Avrei voluto picchiarlo e baciarlo allo stesso tempo, ma quando gli fui di fronte fu il primo istinto ad avere la meglio.
    Mi ritrovai quindi a tirargli uno schiaffo in pieno viso che gli lasciò il segno, sia per la forza con cui lo colpii, sia per il fatto che le mie mani erano estremamente calde.
    Solo quando riportai il braccio lungo il fianco mi accorsi che la mano, chiusa a pugno per la rabbia, stava sprigionando fuoco.
     
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  4. Blackthorns
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    Vidi la sua mano cominciare a muoversi, sapendo in quell'esatto istante cosa sarebbe successo di lì a poco, eppure non accennai a spostarmi di un solo centimetro. Rimasi immobile. Fu solo questione di pochi istanti, infatti, prima che il suo arto mi colpisse in pieno viso, facendomi indietreggiare di un passo a causa della forza dell'impatto. Riportai la testa dritta, senza un minimo di sorpresa nell'espressione; era un gesto, dopotutto, che mi ero totalmente aspettato di vedermi rivolgere da lei — anzi, mi meravigliai non poco si fosse trattenuta dallo schiaffeggiarmi ancora prima di salire sulla barca e di raggiungere la privacy dell'interno. La guancia bruciava, ma non protestai in alcun modo, consapevole di essermi meritato tutta la sua rabbia. Avrei compreso, se non avesse voluto più avere niente a che fare con me — l'avrei capita anche se avesse avuto una reazione peggiore, che non mi avrebbe lasciato semplicemente dolorante ad un livello moderato, in realtà —, ma ritenevo meritasse una spiegazione, soprattutto dal momento che non la avevo presa in giro come poteva sembrare, che non era stato tutto una menzogna. Che la persona che aveva conosciuto non era affatto dissimile da quella che le stava di fronte. Kevin non era stato altro se non il riflesso lievemente modificato di me stesso; tanto che il confine tra le due identità era stato ancor meno separato del previsto. Le avevo mentito sul mio passato, su ciò che facevo, ma mai sul nostro rapporto.
    « Ti chiedo soltanto di ascoltarmi, Ares. Non di perdonarmi, nè tanto meno di continuare a vedermi, ma soltanto di ascoltare quello che ho da dirti — non mi sembrava giusto lasciarti una lettera dove avresti potuto facilmente trovarla e lavarmene le mani, del resto. » mi fermai, presi un respiro e provai il medesimo desiderio di allungare una mano e toccarla, nell'ammettere; « Dovevo vederti di nuovo, anche se solo un'ultima volta. »
    Non pronunciai alcuna delle solite frasi di circostanza che si usavano di frequente in situazioni simili, soprattutto mi guardai bene dal dirle "non avevo intenzione di ferirti", perchè sarebbe risultato soltanto falso; non mi era piaciuto, ma avevo saputo fin dall'inizio che le avrei causato del dolore, tanto o poco che fosse.
    « Forse farai fatica a credermi, ma non dirò altro se non la verità. » la guardai direttamente negli occhi, sfidandola a trovarvi una singola traccia di disonestà. Niente più segreti, niente più maschere, era quella la mia decisione definitiva.
     
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    Quello schiaffo non aveva minimamente alleviato la mia rabbia, anzi, l’aveva forse incrementata.
    Avrei voluto tirargliene tanti altri, se non fare peggio, solo per poter sfogare la furia che non sembrava volermi abbandonare.
    La cosa che più mi irritava era che lui lo sapeva e non avrebbe fatto nulla per difendersi.
    Era rimasto indifferente al mio gesto, chiuso nel suo silenzio, perfettamente consapevole che si sarebbe meritato tutt’altro che una semplice cinquina, lo leggevo nella sua espressione tesa.
    Non so come, ma riuscii a trattenermi dal colpirlo ancora. La situazione era già critica, complicarla con un pestaggio non avrebbe risolto nulla.
    Volevo capire, volevo delle spiegazioni, e se ci fosse stata l’opportunità, anche il Frutto dell’Eden che ci mancava.

    La cosa che però più mi spaventava era la mia indecisione riguardo alle mie azioni future.
    Inutile negarlo, io lo amavo, ed era un dato di fatto che la cosa fosse alquanto insolita e rara per me… sarei riuscita a lasciarmelo alle spalle? A non avere più niente a che fare con lui? A trattarlo come un nemico?
    Era con questi interrogativi che lo seguii all’interno della barca.
    “Ti chiedo soltanto di ascoltarmi, Ares. Non di perdonarmi, né tanto meno di continuare a vedermi, ma soltanto di ascoltare quello che ho da dirti — non mi sembrava giusto lasciarti una lettera dove avresti potuto facilmente trovarla e lavarmene le mani, del resto.”
    Mentre parlava lo fissavo costantemente con sguardo carico di diffidenza, nel tentativo di scorgere in lui un qualsiasi segno di menzogna, ma quello che vedevo di fronte a me non era altro che un uomo che tentava di trovare le parole giuste per esprimersi. Qualcuno che avrebbe potuto scappare e continuare a fingere, ma che invece aveva deciso di assumersi le proprie responsabilità. Finalmente calava la maschera, anche se -lo capii veramente solo quando vidi un leggero quanto repentino mutamento della sua espressione e un movimento quasi impercettibile della sua mano, come se volesse sfiorarmi- non era così tanto diversa dal vero Shay. La persona che avevo di fronte si stava comportando esattamente come qualche mese fa, durante uno di quei tanti momenti spensierati che avevamo condiviso.
    Non è il nome a identificare una persona, ma il suo modo di pensare, di agire, di percepire le cose.
    “Dovevo vederti di nuovo, anche se solo un'ultima volta.”
    Un’ultima volta… appena pronunciò quelle parole sentii una fitta al petto. Il solo pensiero mi distruggeva.
    “Forse farai fatica a credermi, ma non dirò altro se non la verità.”
    Mi stava sfidando, lo capii da come mi guardava con determinazione direttamente negli occhi. Aveva deciso di essere completamente sincero, di liberarsi di tutti i segreti che ero sicura gli appesantivano il cuore.
    Ero consapevole del fatto che l’unico scopo di quell’incontro doveva essere il recupero del Frutto e che io ero lì solamente in veste di Guerriera, ma non riuscivo ad ignorare il bisogno di mettere ordine nella mia vita e nei miei sentimenti.
    Athena l’avrebbe sicuramente definito un comportamento estremamente egoista, stupido, sconsiderato, ma chi ero io per non ascoltarlo? Dopotutto era quello che volevo: la verità.

    Non interrompendo il nostro contatto visivo, mi sedetti sul piccolo divanetto che avevo alle spalle, accavallai le gambe e con uno sguardo ardente che avrebbe incenerito chiunque altro lo incalzai a parlare.
    “Ti ascolto.”
     
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  6. Blackthorns
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    Il lusso di avere dubbi, a conversazione conclusa, non mi era concesso — per il suo stesso bene, più che per il mio; dovevo avere Ares dalla mia parte, a qualsiasi costo. Era l'unico modo che avevo, dopotutto, per assicurarmi lo scenario decisamente probabile che la vedeva mia avversaria sul campo di battaglia non si realizzasse mai, lo stesso che aveva popolato di incubi numerose delle mie notti. A quel punto sarebbe stato troppo tardi per trarla in salvo ed io non ero certo sarei riuscito a sopravvivere — non intero, non con tutti i pezzi al loro posto — se avessi dovuto trafiggerle il cuore con la lama celata. Avrei probabilmente preferito essere io a cadere, in una situazione simile, anche se.. non sarebbe forse potuto essere considerato tradimento? Ero profondamente combattuto al riguardo, tuttavia avrei fatto meglio a distogliere la mia mente da simili pensieri. Non saremmo arrivati a tanto, non se fossi riuscito ad impedirlo. Il solo fatto che fosse lì, non certo in assetto da battaglia — sebbene avessi già appurato non le servisse per infliggere dolore — e non si fosse mossa in alcun modo per recuperare il Frutto dell'Eden, stava a significare il mio salto nel vuoto non fosse, alla fine, troppo scellerato come si sarebbe potuto pensare in principio. Poteva essere furiosa, ferita, eppure non era riuscita a riservarmi un trattamento da avversario, non davvero, non fino in fondo. Evitai di pensare di avere il risultato in tasca tanto presto, ad ogni modo tale consapevolezza era di notevole aiuto.
    Presi posto di fronte a lei, su un divanetto identico, mettendo della distanza tra noi che, sebbene la detestassi, almeno impediva i miei tentativi di toccarla, di raggiungerla — un po' come nel periodo iniziale, durante il quale avevo tentato di rimanere sui binari imposti dal mio obiettivo, con l'aggiunta però di quel fastidioso dolore sordo all'altezza del petto che adesso provavo. Mi illusi sarebbe stato abbastanza. Giunsi anche le mani, per arginare ulteriormente il rischio.
    « Immagino tu creda di essere stata presa in giro — a ragione, considerando la situazione —, raggirata con il solo scopo di ottenere informazioni su di te e le altre Guerriere. Ma non è così. » ero consapevole di quanto potesse suonare come una giustificazione, dunque la pregai con lo sguardo di non interrompermi, non ancora. « Sarebbe dovuto esserlo, non lo nego. Saresti dovuta essere soltanto un'altra missione, una delle tante, e invece.. non era affatto previsto finissi per voler passare del tempo con te. Delle semplici giornate, senza preoccuparmi di compiere progressi con la missione, intendo. E Kevin.. Kevin non era altro che qualcuno modellato su me stesso — per molti versi credo fosse chi avrei voluto essere con te. Ordinario, affatto complicato, privo di allineamento a qualsivoglia ordine. »
     
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    Lo ascoltai attentamente in completo silenzio, il viso inespressivo, non mostrando alcuna espressione o pensiero. Stavo nascondendo, con una certa fatica, la cruenta battaglia fra ragione e sentimento che stava manipolando la mia mente.
    Se mi sentivo presa in giro? Eccome. Mi sentivo una povera cretina per essere cascata completamente nel suo inganno.
    Usata? Ovviamente sì. Come avrei potuto non esserlo dal momento che tutta quella situazione era nata per ottenere informazioni su noi Guerriere?

    “Saresti dovuta essere soltanto un'altra missione, una delle tante, e invece... non era affatto previsto finissi per voler passare del tempo con te. Delle semplici giornate, senza preoccuparmi di compiere progressi con la missione, intendo. E Kevin... Kevin non era altro che qualcuno modellato su me stesso — per molti versi credo fosse chi avrei voluto essere con te. Ordinario, affatto complicato, privo di allineamento a qualsivoglia ordine.”
    Ed ecco il colpo di grazia.
    Ero confusa? Decisamente. Continuavo a chiedermi come fossi mai potuta finire in una situazione del genere, degna di una serie tv.
    Amare ma allo stesso tempo odiare una persona. Era davvero possibile? Ebbene sì. Dopotutto amore e odio sono due facce della stessa medaglia, legati fra loro indissolubilmente. Non si può odiare se non c’è amore. L’odio è la conseguenza diretta di un amore che ferisce, delude, tradisce.

    Più lo ascoltavo, più lo guardavo, più non sapevo che fare.
    Il mio orgoglio mi imponeva di andarmene, non prima di aver fatto affondare la barca con Shay a bordo. Mi aveva ingannata, usata, aggirata. Mi aveva mentito, e non su una cosa di poco conto. Chi mi diceva che anche in quel momento non mi stava raccontando una bugia dietro l’altra? Dopotutto era pur sempre un abile manipolatore, potevo aspettarmelo.
    Ma il mio istinto e i miei sentimenti mi dicevano che era sincero, che mi amava davvero.
    Il sorriso, lo sguardo che aveva ogni volta che mi guardava non erano e non potevano essere finti, perché erano gli stessi che avevo io ogni volta che stavo con lui.
    Ero la sua oasi di pace, come lui lo era per me.
    Sul fatto che Kevin fosse basato su sé stesso non avevo dubbi. Era troppo naturale nei movimenti, nei ragionamenti e nel modo di parlare per essere tutto una recita.

    Tutto quel pensare, anzi, torturarmi mentalmente, mi stava stranamente sfinendo come non mi succedeva da tempo.
    Ormai però avevo già deciso.
    Potevo oppormi, negarlo all’infinito, ma io lo amavo, e di conseguenza gli credevo.
     
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  8. Blackthorns
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    « Ares. » Il nome della guerriera mi uscì dalle labbra appena strozzato, come se la mia voce avesse perso di tono all'improvviso. Era sostanzialmente diverso dal tono che avevo utilizzato fino a quel momento ; vi lasciai trapelare, volutamente, una goccia della disperazione che si era accumulata alla base del mio stomaco, come un peso reale e solido, non solo un frutto della mia immaginazione. Suonò quasi come una supplica, una richiesta di vitale importanza, dalla quale dipendeva la sua stessa vita ( nonchè la mia sanità mentale, immaginavo ).
    Non la avevo condotta fin lì soltanto per svelarle la reale portata dei miei sentimenti nei suoi confronti ( avevo appena iniziato a comprenderla io stesso, dopotutto ), per affermare quanto i miei intenti fossero mutati, dapprima inconsapevolmente, rispetto a quelli iniziali — per quello ci sarebbe stato tempo, speravo, più avanti, in circostanza diverse, con la consapevolezza che non ci sarebbero state fazioni a separarci. Prima doveva comprendere da che parte doveva stare, se voleva sopravvivere. Era imperativo se ne convincesse.
    Se avessi avuto il Frammento a contatto con la mia pelle, probabilmente lo avrei percepito scaldarsi gradualmente, mentre il suo potere si attivava. Con quello dalla mia parte avrebbe ascoltato, capito — avrebbe solo influito sui suoi desideri e sentimenti, amplificandoli, senza stravolgerli completamente. Non avrebbe potuto farle provare ciò che non c’era già. Ero certo di non sbagliarmi. Non era andato tutto perduto dopo che aveva scoperto la verità. Non poteva essere così.
    « Vieni con me. Non ti aspetta altro che rovina se rimarrai con le guerriere ed è l’ultima cosa che voglio. »
    A dispetto delle restrizioni che mi ero imposto, mi sporsi leggermente più avanti, tanto che, a dire la verità, avrei potuto allungare le braccia e raggiungerla senza neppure troppi sforzi ; lo notai, eccome, tuttavia feci del mio meglio per archiviare quell’informazione in una parte remota del mio cervello — dovevo stare attento a ciò che facevo, a non andare troppo oltre, altrimenti temevo avrei ottenuto l’effetto contrario, facendola allontanare. Era quasi una tortura, averla tanto vicina e sentire di non poterla toccare, non ancora, non subito come avrei voluto. Avevo passato tutti quegli anni in assenza quasi totale di vero e proprio contatto umano, senza che mi sembrasse una limitazione particolarmente importante, e adesso ero ne diventato avido, per quanto la riguardava, almeno.
     
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    Sentire la sua voce pronunciare il mio nome in quel modo, quasi supplichevole, mi riscosse dai miei pensieri. Il suono era così diverso da quello a cui ero abituata, solitamente ferma e roca. Mi sorprese quel tono strozzato, disperato. Mi intenerì all’inverosimile, spazzando via ogni traccia di rancore nei suoi confronti –cosa alquanto incredibile e insolita, considerando che non mi era mai capitato di cambiare così radicalmente idea, abbandonando ogni pensiero di collera e vendetta.

    Continuavo a pensare a quanto in realtà fossimo simili, entrambi frustrati per quella maledetta situazione, quando la testa iniziò a pulsare più di quanto non avesse già fatto, dandomi per qualche istante un senso di vertigine.

    “Vieni con me. Non ti aspetta altro che rovina se rimarrai con le guerriere ed è l’ultima cosa che voglio.”
    In un primo momento la sua voce mi sembrava lontana, distante, come un’eco, per poi tornare nitida e chiara. Solo allora compresi realmente le sue parole.
    Mi chiedeva di abbandonare le Guerriere, le mie sorelle, la mia famiglia, per scongiurare una probabile rovina.
    Mi chiedeva di unirmi a lui, andando verso un futuro assai incerto e nebuloso, ma che secondo lui avrebbe potuto salvarmi.
    Perché stavo dubitando? Perché ero davvero intenzionata a seguirlo, a tradire le mie compagne? Non riuscivo a riconoscermi. Stavo davvero considerando l’idea di voltare loro le spalle?
    Sì, e quel pensiero divenne ben presto una decisione definitiva, di cui forse mi sarei potuta pentire non molto dopo, ma in quel momento sembrava la scelta più giusta, più logica. Non per quella guerra, non per chissà quale strategia, ma per me. Solamente per me.
    Forse era una decisione estremamente egoistica da parte mia, ma ne avevo bisogno, eccome se ne avevo bisogno.

    Lo vidi sporgersi leggermente in avanti, ma rimanendo fermo al suo posto, senza sbilanciarsi verso di me. Leggevo nei suoi occhi il desiderio di sfiorarmi tenuto a bada dal suo autocontrollo.
    Era una tortura, e non solo per lui.
    Mi avvicinai a mia volta, guardandolo fisso negli occhi.
    Fui io a infrangere quel muro invisibile che si era venuto a creare, poggiando la mia mano sul suo braccio in tensione.
    “Va bene, verrò con te… ma attento, prendimi in giro solo un’altra volta e non vorrei essere in te. Sono stata chiara, Shay?”

     
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