Flashback #1476: Florence

Season 3

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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Federico:
    Mi ero alzato di buon'ora per potermi allenare con la spada.
    Da quando mi ero ricongiunto con i miei fratelli avevo una strana frenesia addosso. Ero felice di averli ritrovati, e ora più che mai volevo diventare l'Assassino che secoli fa dovevo essere. Per questo mi allenavo duramente -che fosse con le armi, nella resistenza, o nell'agilità e i riflessi-, quasi senza sosta, determinato a migliorarmi il più possibile.
    Dovevo ammettere però che in parte forse stavo esagerando, ma non volevo stare fermo... anzi, non potevo, altrimenti i pensieri che infestavano il mio sonno o i momenti in cui non ero occupato avrebbero preso il sopravvento.
    Sempre lo stesso pensiero mi torturava la mente e mi appesantiva il cuore: ero stato un incapace.
    Il senso di colpa per non aver salvato la mia famiglia mi stava divorando.
    Io ero già un Assassino, cazzo! Avrei dovuto lottare molto più di quel che ho fatto! Quei bastardi fecero irruzione in casa nostra, e io? Che feci? Rimasi lì, imbambolato, come se quello che stava accadendo non fosse vero, a farmi proteggere da mio padre e da mia madre. Mia madre, maledizione! Lei, che pur non avendo i mezzi che avevamo io e nostro padre, lottò con le unghie e con i denti per far sì che non ci toccassero! E poi mi svegliai, dopo i fochi, quando ormai la frittata l'era bell'e fatta. Ho combattuto, ne accoppai anche più di uno, ma quegli uomini erano troppi, veramente troppi.
    La morte di mio padre e Petruccio era colpa mia. L'enorme senso di responsabilità e la vendetta che hanno gravato su mio fratello per anni era colpa mia. Il dolore di mia madre e mia sorella era colpa mia. Se la mia famiglia era crollata a pezzi era colpa mia.
    Come potevo diventare un Assassino se quando la mia famiglia aveva avuto bisogno di me io ero stato completamente inutile?!
    Non ero degno di entrare nella Confraternita, anche se lo desideravo con tutto me stesso.
    Mi accorsi solo in quel momento che avevo un po' esagerato, perchè mi ritrovai con la spada incastrata in un manichino, che ormai era mezzo pericolante.
    "Vaffanculo!" gli gridai contro, tirandogli un calcio che non fu una gran bella mossa, visto che mi distrussi mezzo piede. "Pezzo di legno di merda..."
    "Si può sapere che ti ha fatto questo povero manichino per meritarsi i tuoi insulti?" mi chiese Ezio mentre recuperava la spada per poi porgermela. "Tutto bene? In questi giorni ti vedo strano..."
    Potevo dirglielo? Cioè, era mio fratello, gli dicevo praticamente tutto, ma questo peso che avevo addosso, e che lui ha portato per secoli, era giusto scaricarlo anche su di lui? Lui ha sempre portato il suo in silenzio, senza mai lamentarsi, mettendosi in secondo piano e facendo di tutto per le persone che avevano bisogno di aiuto. Era davvero giusto?
    "Ehi! Terra chiama Federico! Lo so che ti stai facendo infinite seghe mentali, quindi invece che continuare a torturarti da solo -perchè è quello che stai facendo- parlane con me."
    "... ho un pensiero in testa che non riesco a mandare via..." dissi mentre mi sedevo su una panca lungo il muro della palestra.
    "Ora capisco perchè ti vedevo strano... pensavi." ghignò, sedendosi accanto a me.
    "Fottiti. Che poi quello che pensava di meno, almeno all'epoca, eri tu, non io, quindi hai poco da prendere per il culo."
    "Non hai tutti i torti. Comunque, cos'è che ti tormenta così tanto?"
    "La nostra famiglia... l'esecuzione... tutto è colpa mia e della mia incapacità."


    Edited by SliteMoon - 9/5/2019, 01:44
     
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    :Persephone:
    La discussione con le mie compagne era stata spiacevole e aspra. Finita quella, sentivo il bisogno di prendere un momento per calmarmi, e decisi che mi sarei concessa di soddisfare una piccola curiosità, che avevo da tempo.
    Era il motivo che mi aveva portata in questa parte incantevole della Terra, in un luogo che, a differenza di tanti, sembrava fosse insensibile allo scorrere dei secoli.
    Mi godevo la luce del sole, ed il gioco dei suoi riflessi sui numerosi braccialetti dorati che portavo ai polsi, mentre attendevo l'arrivo dei due uomini che poco prima avevo spiato.
    Era meglio li affrontassi in un momento successivo e senza violare la loro privacy, dato che avevano avuto un confronto molto delicato ed una sconosciuta piombata in mezzo a loro chissà da dove non sarebbe sicuramente stata ben accetta.
    Mi ero seduta su un basso muretto da cui potevo ammirare l'antico scalone che conduceva alla villa che dominava il borgo: al centro di questo, faceva ancora bella mostra di sé una scultura di pietra raffigurante uno stemma elegante e solenne.
    Questo amavo soprattutto della Terra; era un pianeta diverso da tutti quelli dell'Impero Galattico, così propenso alle trasformazioni, alle mille diversità, alla caducità delle esistenze. Era un forte richiamo per chi aveva un animo sensibile e sognatore, come il mio.
    Ciò che accadeva tra questi popoli molto spesso contraddiceva il buon senso, e muoveva passioni forti e impetuose; alcuni accadimenti, addirittura, contrastavano con le leggi fondamentali che governavano tutto l'Universo.
    Un pugno di anime nate qui aveva attirato poco alla volta la mia attenzione: erano diverse dalle altre perché avevano eluso la lunghezza normale di una vita, continuando la loro esistenza terrena ben oltre gli standard della loro razza. Dopo una breve indagine, avevo scoperto che la causa era l'utilizzo della Fonte di Lazzaro. Quegli esseri, che si facevano chiamare Assassini, avevano avuto in dono da Selene la vita pressoché eterna.
    Diverso era invece il caso di una particolare anima. Ricordavo con estrema chiarezza il giorno che mancò di presentarsi all'appello del dio dei morti, di mio marito Hades. La cercammo in ogni luogo, in ogni tempo, ma di quest'essere non ne trovammo traccia, fino a pochi mesi or sono, se calcolavo il tempo secondo il calendario terrestre. Avevo ritrovato quell'anima ma, stranamente, tra i vivi, e questa era una cosa che non riuscivo a spiegarmi, fino a che non indagai a fondo, e scoprii il ruolo che essa aveva avuto nella rinascita di Eris. Nel lasso di tempo che era trascorso dalla morte di quel ragazzo fino al momento di utilizzarlo per i loro scopi, i Deviati o chi per loro avevano tenuto il suo spirito nascosto, protetto, imprigionato.
    Da qui la mia curiosità di incontrarlo.
    Il sole venne nascosto da nubi pesanti, portandosi via anche il poco tepore che aveva regalato nel pomeriggio invernale. Mi strinsi addosso la mantella di lana color cipria che indossavo sopra un maglione della stessa tonalità. La strade della piccola cittadina erano vuote, tanto che pareva un luogo disabitato.
    Sentii dei passi avvicinarsi, provenienti dalla villa signorile. Erano coloro che stavo attendendo.
    Mi alzai e camminai verso di loro. Mi notarono subito, ed io notai il loro sguardo, che rimaneva fermo, come impigliato nel movimento morbido delle mie gambe, fasciate in un paio di jeans attillati.
    I tacchi alti e sottili producevano sul selciato di pietre antiche un suono che sembrava una melodia.
    Ci fermammo a qualche passo di distanza. Quello che sembrava il più adulto tra i due cominciò a fissarmi in maniera penetrante, sospettosa.
    ”Non sei umana.” Non era una domanda, quella di Ezio Auditore, ma una certezza .
    Sorrisi dolcemente, portando una mano al petto. I braccialetti tintinnarono sommessamente.
    ”Io sono Persephone, Guerriera di Plutone. Figlia di Demetra, e moglie di Hades. Guardiana del regno dei morti e... Signora del Tempo...”
    Avevo parlato a entrambi, ma tenni lo sguardo in quello dell'uomo più giovane, Federico Auditore. Era per lui che ero venuta. Lasciai qualche secondo di silenzio per far sì che la mia identità acquistasse un senso nella sua mente, poi gli domandai: ”Mi vuoi chiedere qualcosa?”
    ”Sì...” La sua risposta fu un sussurro.
    ”Cosa mi vuoi chiedere?” Lo esortai, con pazienza. Era importante che me lo dicesse lui stesso, la sua intenzione, perché sapevo che in caso contrario non avrei ottenuto lo stesso risultato. Avevo sentito la loro discussione, l'angoscia che quel giovane si portava dentro. Questo tormento lo rendeva fragile, troppo esposto al richiamo dell'oscurità.
    Era stato una pedina di Eris, e il pericolo che potesse avere altri ruoli chiave nella guerra che si stava preparando era forte. Non volevo lasciare alla nostra nemica un vantaggio così facile da ottenere, quindi avrei fatto in modo che il giovane Auditore trovasse la pace che voleva.
    Rifletté qualche secondo, poi alzò il mento, con decisione. ”Voglio tornare indietro, per poterli rivedere...”
    “Ma cosa pensi di fare? Ti ho già detto che non è stata colpa tua!” Il fratello gli mise una mano sulla spalla, e lo fece ruotare per poterlo fronteggiare. I loro profili si sfiorarono, mentre si guardavano negli occhi con intensità. Poi Federico voltò la testa dalla mia parte.
    “Lo puoi fare davvero?”
    Anuii lentamente, nascondendo la mia soddisfazione. Estrassi dalla custodia nascosta sotto la mantella il mio bastone, ma mentre mi preparavo ad invertire il flusso delle ore, Ezio Auditore si parò davanti a me, deciso.
    “Allora dovrai mandare anche me indietro nel tempo!”
    Alle proteste del fratello, gli rispose bruscamente:“Non ti lascerò da solo ad affrontare questa follia!”
    Provai un moto di ammirazione nei loro confronti: erano consapevoli che rivivere un'esperienza tanto devastante avrebbe arrecato loro nuovo dolore, e che l'obiettivo che speravano di ottenere non sarebbe stato facile da raggiungere. Nonostante questo, non c'era esitazione nelle loro azioni. Ancora una volta, mi chiesi se davvero noi, che appartenevamo a razze superiori, non stessimo facendo il grosso errore di sottovalutare quegli umani.
    ”Siate saggi. Ricordate che le conseguenze di ciò che farete si ripercuoteranno nel futuro in maniera imprevedibile...”
    Cominciai a far ruotare il mio bastone in senso contrario al moto naturale, sempre più velocemente. Le due figure persero poco alla volta di solidità, diventarono come vetri opachi che lentamente riacquistavano trasparenza. Poco prima che sparissero dal presente, gli lasciai un ultimo messaggio:
    ”Al termine del tempo che vi ho concesso, tornerete qui, dove vi attenderò”
     
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    :Federico:
    ”Al termine del tempo che vi ho concesso, tornerete qui, dove vi attenderò”
    Spalancai gli occhi. Ero in camera mia...
    "O cazzo! L'ha fatto davvero!" esclamai saltando fuori dal letto, guardandomi attorno sconvolto e meravigliato all'unisono. Guardai fuori dalla finestra e la rividi. La mia Firenze, al tempo stesso così simile e tremendamente diversa da quella in cui mi stavo abituando a vivere.
    Sarei potuto rimanere a fissare il paesaggio per ore, ma non potevo perdere tempo. Non potevo buttare quest'occasione.
    Distolsi lo sguardo e andai a vestirmi.
    Anche se adoravo i miei vestiti, dovevo ammettere che in quanto a comodità e praticità felpa e jeans non avevano rivali -e poi mi stavano anche da Dio, quindi ancora meglio.
    Allora, facciamo mente locale. Per prima cosa devo trovare Ezio. Persephone ci ha riportato al giorno prima dell'esecuzione, quindi lui dovrebbe aver passato la notte con Cristina ed essere qui a momenti.
    Aprii la porta e iniziai a scendere le scale, quando una voce attirò la mia attenzione.
    "Si può sapere perchè non sei a lavorare con tuo padre?"
    Quella voce. Risentirla mi paralizzò. Morivo dalla voglia di voltarmi per rivederla, abbracciarla, ma tremavo anche dalla paura, considerando che a breve l'avrei nuovamente persa.
    "Federico? Stai bene?" mi chiese parandosi davanti a me. Sentivo le lacrime pungere dolorosamente per uscire. Rischiavo seriamente di crollare, ma, non so nemmeno io come, mi trattenni. Piangendo l'avrei fatta preoccupare e basta.
    "Ehm, si madre, certo."
    Il suo viso si rilassò, per poi prendere la sua solita espressione arrabbiata. Ma quanto l'abbiamo fatta incazzare? Me ne rendevo conto solo ora. Perchè non me ne accorsi a suo tempo? Ovviamente ero troppo preso da me stesso e dalla mia vita sfarzosa e senza limiti.
    "Bene, ora puoi rispondere alla prima domanda che ti ho posto?"
    "Ero con il babbo fino a pochi minuti fa, poi mi ha mandato a fare una commissione e..."
    "In camera tua?" mi guarda scettica. Ovvio, le ho dato una scusa di merda.
    Iniziai ad indietreggiare in direzione della porta d'ingresso, mentre continuavo a dirle una bischerata dietro l'altra.
    "... e così, essendomi svegliato tardi, avevo dimenticato una cosa e lui mi ha mandato a riprenderla... ora torno da lui, non temere madre..."
    "Certo, come no. Te lo dico io cosa hai fatto. Ieri sera te la sei spassata fino a tardi con qualche altra ragazza, come tuo solito, sei rincasato e andato a dormire a un orario improponibile e ti sei svegliato dieci minuti fa. E come minimo tuo fratello era con te, visto e considerato che anche lui non è a lavoro con te e vostro padre!" mi sbraita dietro furiosa. Se avessi avuto tempo sarei rimasto qui a prendermi tutte le parti di merda che mi meritavo, ma purtroppo non potevo.
    "Disgraziato, non è nemmeno rientrato. Ci penso io, a dopo!" le dissi mentre mi chiudevo la porta alle spalle e correvo in cortile, scontrandomi con Ezio che stava rientrando proprio in quel momento. Lo guardai e il cuore mi salì in gola. La nostalgia e il dolore erano troppo forti, questa volta non riuscii a trattenermi. Qualche lacrima riuscì a sfuggire al mio controllo, tanto con lui potevo permettermelo.


    Edited by SliteMoon - 9/5/2019, 01:47
     
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    :Ezio:
    “Sta' tranquillo, ragazzo, non siamo contagiosi... almeno, non io!”
    Lo guardai a bocca aperta. Lo choc del cambiamento così repentino, la sensazione di dejavù così forte che per qualche secondo lottai con la voglia di urlare. L'uomo, un alleato di mio padre, anche se allora non lo sapevo ancora, mi guardò sospettoso: “Che hai da guardare? Non ti piace la mia faccia?”
    “Scusate, Messere!” La mia voce risuonò così giovane! Mi guardai le mani: erano già come le avrei avuto da adulto, con le dita lunghe e forti, ma la pelle era ancora liscia, bianca, senza cicatrici...
    Piantai lui e la sua compagna senza un saluto. Scalai una piccola parete con una finestra dalle imposte serrate e mi ritrovai sui tetti inconfondibili nella loro tonalità rossastra. Cominciai a correre in direzione di Palazzo Auditore: orizzontarsi non era un problema, avrei trovato la strada di casa anche ad occhi chiusi.
    Solo che ora avevo un diavolo alle costole, tanta era la fretta di raggiungerla. Nella scarsella sentivo ancora il peso della missiva non consegnata. In verità, nel passato lo avevo fatto: avevo trovato il mercenario a cui mio padre mandava informazioni sulla grave situazione in atto: una fitta di dubbio mi assalì, e cercai di ignorarla. Cosa sarebbe successo se quel plico non fosse mai arrivato al suo destinatario?
    Eppure, non avevo tempo da perdere: mentre io giravo per Firenze, a fare le commissioni che mi aveva affidato mio padre, lui e i miei fratelli venivano arrestati e condotti alla prigione di Palazzo Vecchio.
    Persephone ci aveva avvisati del pericolo di cambiare il corso del tempo, ci aveva spiegato che la nostra “gita” era solo un modo per venire a patti con il passato. Mi ero opposto senza successo alla decisione di Federico, lo consideravo un gioco pericoloso con il destino che non andava fatto.
    Ma ora, la realtà di quello che stavo vivendo di nuovo, e la tentazione di poter fare la differenza, almeno questa volta, stavano diventando dei pensieri troppo forti da ignorare.
    Li avrei salvati. Neanche Federico si sarebbe fatto trovare impreparato. Dovevamo solo avere qualche minuto per pianificare un modo per sfuggire all'arresto, per anticipare le mosse del Borgia e del suo tirapiedi, il Gonfaloniere Alberti.
    Era una questione di pochissimo tempo: se al loro arrivo le guardie ci avessero trovati tutti e quattro, avrebbero arrestato e giustiziato la nostra intera famiglia. Neanche mia madre e Claudia si sarebbero salvate, questo è certo: i Templari avrebbero trovato un modo di zittire due donne sole, senza alcuna protezione maschile, senza troppi problemi.
    I miei piedi volavano sulle tegole di terracotta. Il mio corpo era scattante, pieno di forza, e anche se non era ancora abituato a molti dei movimenti e delle tecniche che avevo imparato solo negli anni a seguire, la mia mente riusciva a controllarlo perfettamente.
    Nella mia foga però, dimenticai di alcuni imprevisti che mi potevano rallentare. Udii una guardia cittadina intimarmi l'alt in malo modo. Ricordai che con loro c'era poco da scherzare, e anche se da giovane l'unico modo per evitarle era scappare a gambe levate, ora avevo l'abilità di neutralizzarle anche a mani nude.
    Ma non volevo farlo, e non potevo. Il Credo mi fermava. Il soldato in fondo, stava solo facendo il suo dovere. Mi girai verso l'uomo, e non sapevo bene cosa contenesse il mio sguardo (urgenza, frustrazione, minaccia, avvertimento), ma questo bastò per fargli abbassare l'arco con la freccia già incoccata. Mentre lui decideva il da farsi, io scavalcai il cornicione del palazzo, e continuai la mia corsa verso la nostra abitazione usando le strade caotiche e brulicanti di vita.
    Entrando a precipizio dentro il cortile di casa, quasi andai a sbattere contro mio fratello. Era sconvolto quanto me pochi minuti prima, ma mi stava venendo a cercare per lo stesso motivo per cui cercavo lui, ne ero certo.
    Lo trascinai via dalla vista, entrammo in casa, sprangai la porta.
    “Dobbiamo andarcene, raccogliere le carte più importanti, i nostri oggetti preziosi. Io avviserò nostro padre del pericolo, mentre tu andrai a preparare nostra madre per il viaggio. Presto!”
    Lui non si mosse.
    “Cosa? Persephone ha detto che non possiamo...”
    Non credevo alle mie orecchie: cosa pensava? Di lasciarsi portare al mattatoio come un agnello sacrificale? Il tempo stava scivolando via, non potevo mettermi a discutere con lui con calma. Lo presi per il colletto, e gli sibilai a denti stretti:
    “Non mi importa nulla del passato, del presente e del futuro! Io non vi lascerò morire senza muovere un dito, mi hai inteso bene?”
    “Ma state litigando?”
    Ci immobilizzammo entrambi. Come non riconoscere quella voce infantile? Mi girai verso il mio fratellino. Sul viso aveva un'espressione perplessa. Non mi aspettavo il tonfo al cuore che ricevetti.
    Petruccio.
    Quante lacrime aveva pianto nostra madre per la sua morte... fu la sua perdita ad averla colpita in maniera più devastante, riducendola in uno stato catatonico per molti anni, fino a che non si era ripresa lentamente, grazie alle nostre attenzioni.
    “No, Petruccio, che ti salta in mente? Io e Federico stavamo scherzando, nulla più... ma tu, non dovresti essere a letto? Nostra madre non sarebbe contenta di vederti in giro...”
    “Giusto... e poi devo completare quella cosa di cui ti dissi ieri...”
    Petruccio sorrise, e fece per andarsene, ma lo fermai, con una certa urgenza: “Aspetta!”
    Io e Federico ci avvicinammo a lui, con la medesima intenzione. Petruccio ci guardò un po' timoroso: non era tanto sicuro che non gli avremmo fatto qualche scherzo, e come dargli torto? Noi fratelli maggiori sapevamo essere davvero delle canaglie.
    Invece, alzai la mano e gli toccai i capelli. Neri, lisci e fini.
    Quanto sono più preziose le cose, quando sei consapevole che le perderai... Racimolai un sorriso per non insospettirlo:
    “... fai un buon lavoro con quelle piume, d'accordo?”
     
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    Pietruccio mi era appena sfrecciato accanto tutto felice, mentre io delusa ed arrabbiata stavo cercando un posto dove star sola e lontano da tutti e tutto se non fosse che quello mi aveva portato ad assistere ad uno strano scambio di battute tra i miei fratelli maggiori.
    "E dove dovremmo andare esattamente?" chiesi con le mani sui fianchi ed il tono serio e scocciato tipico di quella ragazzina viziata che a quel tempo ero ancora. Sbuffai infastidita.
    "E no miei cari niente scena muta ora mi spiegate, perchè oggi non sono proprio dell'umore di altre prese in giro, ho appena scoperto che Duccio de Luca mi è stato infedele... vi rendete conto? Come ha potuto!" esclami cercando di non piangere, ma fallendo nell'intento. Ciò che mi ferì più di tutto fu però vederli guardarmi come se per loro non contasse nulla.
    Come era possibile? Il Federico e l'Ezio che conoscevo io avrebbero già perso le staffe e sarebbero già corsi per dargli una lezione, invece erano lì immobili a guardarmi come due ebeti.
    "Che avete da guardare eh? Sono stata umiliata ed il mio buon nome infangato, fate qualcosa!" scalpitai come una bambina capricciosa.
    “Claudia non è il momento...” cercò di reguardirmi Federico facendomi solo infuriare di più.
    "Non è il momento? Ma cosa vi prende mh?" dissi infastidita mentre Ezio mi prese per un braccio per riaccompagnarmi in casa dicendomi di restarci, io però non ero intenzionata ad ascoltarlo e così iniziai ad urlare e liberarmi della sua presa e fu allora che arrivò nostra madre verso la quale corsi per pormi alle sue spalle.
    “Cosa sta succedendo qui?”
    "Chiedilo a loro madre! Sono strani ed Ezio mi ha appena fatto male!" esclami indispettita vedendo nostra madre ben presto fare altrettanto. Le mani sui fianchi e lo sguardo corrucciato.
    “A no signorini silenzio non voglio sentire una mosca. Ezio tu mi accompagnerai a recuperare i quadri che ho commissionato ad un giovane pittore... un certo Leonardo Da Vinci e tu Federico ti occuperai del compito che tuo padre ha lasciato per te...” e così dicendo nostra madre porse nelle mani del mio fratello maggiore delle lettere.
    “Sulle stesse tuo padre ha scritto a chi dovrai consegnarle ed una terza dovrai recuperarla da un colombaia!”
    Un po' indispettita da come nostra madre più di tanto non li aveva ripresi incrociai le braccia annoiata, si prospettava un lungo e noioso giorno a casa. Da sola. Come sempre.
     
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    Ero decisamente stordito, disorientato, confuso.
    Avevo voluto io tutto questo, rivivere tutto, così da poterlo accettare una volta per tutte, ma soprattutto, per poter accettare me stesso e le mie azioni.
    Anche se con difficoltà, avevo seguito l'avvertimento di Persephone, limitandomi a rivivere tutto esattamente come la prima volta.
    Poi mi ero scontrato con Ezio, di nuovo diciassettenne, ovviamente solo d'aspetto, perchè nemmeno il tempo di dire mezza parola che mi aveva già trascinato in casa e preso per la collottola, risvegliandomi dalla mia rassegnazione.
    Le parole che pronunciò ebbero l'effetto di un pugno in pieno stomaco.
    Io la facevo facile. Avrei passato di nuovo tutto quell'inferno, è vero, ma poi sarei morto. Avrei ricordato nuovamente la mia morte, è vero, ma lui avrebbe rivissuto la perdita, il dolore, il terrore, l'ansia e l'impotenza di quei momenti. Non glieli avrei fatti rivivere, non se lo meritava, e io non mi meritavo di arrendermi così, sapendo già tutto.
    Era proprio il motivo per cui ero voluto tornare indietro cazzo! Per cambiare le cose, fare la differenza, combattere e non starmene lì come un deficiente in balia degli eventi.
    Ezio aveva ragione. Non avrei fatto rivivere quell'inferno a nessuno. Nè a noi due, che sapevamo, nè ai nostri genitori e ai miei fratelli.
    Rivederli mi aveva reso immensamente felice, una stretta al cuore tanto bella quanto dolorosa. Risentire la vocina di Petruccio, rivedere il viso di mia madre, Claudia così giovane -devo dire che, anche se sono affezionato a lei da piccola, la sua versione adulta mi piace di più-, era stato tremendamente stupendo.
    Era a questo che continuavo a pensare mentre correvo come un ossesso verso la colombaia a recuperare la terza lettera.
    Ero fiducioso, ce l'avremmo fatta. Anche se non di molto, le cose stavano già cambiando.
    Ezio non aveva malmenato come si deve quel porco di Duccio -mi era dispiaciuto tanto per Claudia, ma al momento avevamo altre priorità- e non aveva ancora consegnato le lettere di nostro padre ai suoi alleati, mentre io non ero rimasto in banca con mio padre ma ero a consegnare altre lettere che forse la prima volta non era riuscito a mandare.
    L'unica cosa rimasta immutata, per ora, era la giratina di mia madre ed Ezio da Da Vinci.
    Consegnare le missive era stato estremamente semplice e, soprattutto, avevo tentato di fare il più in fretta possibile.
    Arrivato alla colombaia presi la lettera, me la infilai nella scarsella e scattai verso casa, senza badare alle guardie che mi vociavano dietro e alla gente che urtavo durante il tragitto.
    Non avevo mai corso così in fretta, ne ero sicuro. Sentivo lo scorrere del tempo, così tangibile e concreto, così crudele e inesorabile.
    Era come se stessi correndo su una lunga passerella che, lentamente e costantemente, si stava sgretolando dietro di me, più io correvo e più che questa crollava. Speravo davvero di fare in tempo. Questa volta dovevamo evitarlo a tutti i costi. Non volevo assolutamente che quella passerella crollasse sotto i nostri piedi, i miei piedi. Non di nuovo. Ero già rimasto una volta senza il terreno sotto di me, sospeso per aria grazie a un cappio... una volta basta ed avanza.
    Arrivato in banca, irruppi nell'ufficio di mio padre senza bussare, rischiando di urtare contro niente di meno che Umberto Alberti, che in quel momento sembrava se ne stesse andando.
    La rabbia mi stava assalendo e non sapevo davvero come fare a contenerla.
    In quel momento la voglia di mettergli le mani al collo e strangolarlo come lui ha fatto con noi era tanta, davvero tanta, ma, non so come, riuscii a controllarmi. Pensandoci bene, non avrei saputo che cosa inventarmi con mio padre se mi avesse visto fare una cosa del genere.
    “Buongiorno giovanotto.”
    “Buongiorno a lei, Gonfaloniere Alberti.” gli dissi col tono più pacato e cordiale che potevo permettermi in quel momento… mi limitai solamente a lanciargli occhiatacce, nella speranza che potesse crepare all’istante solamente grazie ad esse. “Perdonate l’intrusione, ma dovrei parlare urgentemente con mio padre.”
    “Federico!” mi ammonì mio padre, guardandomi severo. Mi venne un groppo in gola, e non per la probabile ramanzina che mi sarei sorbito a breve. Rivederlo, così fiero e risoluto, provocò un susseguirsi di immagini nella mia testa: quando si arrabbiava per qualche bischerata fatta da me e mio fratello, quando dimostrava quanto era fiero di noi... quando, come un leone, si è battuto per salvarci, per opporsi al destino orribile a cui eravamo destinati… quando sentii la sua ultima frase troncarsi a metà, come la sua vita.
    “Tranquillo Giovanni, tanto me ne stavo andando.” disse sorridente, per poi salutarci e scomparire oltre la porta. Quanto avrei voluto fargli sparire quel sorrisetto falso a suon di pugni.
    “Si può sapere che ti è preso Federico?!”
    “Padre, rimandiamo a dopo la sfuriata. Abbiamo cose molto più importanti a cui pensare, quindi dobbiamo sbrigarci, il tempo non è molto.”
    “Ma di che diamine stai parlando?”
    “Dobbiamo andarcene di qui, da Firenze, e anche alla svelta se non vuoi ritrovarti appeso al cappio con l’accusa di tradimento!”
     
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    Mi sembrava di giocare con il fuoco in un fienile. O di essere un giocoliere che utilizzava bolle di sapone per il suo numero, e non doveva farle scoppiare.
    Decidemmo di assecondare nostra madre, almeno temporaneamente, perché questo ci permetteva di controllare le mosse delle guardie cittadine senza dare troppo nell'occhio.
    Federico volle occuparsi di informare nostro padre sulla cospirazione in atto. Avrebbe dovuto portarlo via dagli uffici della nostra banca senza fare troppo baccano, e raggiungerci entro l'ora convenuta nei pressi della chiesa di San Lorenzo, dove avremmo preso una diligenza per raggiungere il più velocemente possibile Monteriggioni.
    Sulla carta, sembrava tutto semplice...
    Invece, faticai parecchio anche solo a convincere la nostra serva, Annetta, ad andare ad avvisare di tenere pronta una carrozza per la nostra fuga. Perché avrebbe dovuto dare retta ad uno degli inaffidabili figli dei suoi padroni, quando aveva una montagna di altre incombenze da svolgere prima di sera?
    Alla fine, dovetti scoprire il mio gioco, almeno in parte: le dissi che ero al corrente dell'esistenza della Confraternita, e che si trattava di una questione che poteva mettere in pericolo l'esistenza di tutti noi.
    Accompagnai mia madre alla bottega di Leonardo; durante tutto il tragitto cercai di individuare mosse sospette tra i cittadini che affollavano le strade, o tra le guardie che pattugliavano i tetti. Nulla mi insospettì, ma sapevo con certezza che eravamo controllati.
    Dalle spie dei Templari, non da semplici sicari o soldati. Ecco perché dovevano avere l'illusione che tutto fosse normale, che nostro padre e noi figli non sospettassimo nulla delle loro azioni.
    Bussammo alla porta del laboratorio di Leonardo. Il suo viso giovane e sorridente si affacciò dopo pochi attimi.
    Rimasi in disparte mentre mia madre discorreva amabilmente con lui, perché una forte commozione si impadronì di me. Non avrei potuto ringraziarlo come desideravo per tutto quello che avrebbe fatto per me nei decenni futuri. Per la sua amicizia, il suo aiuto, la sua genialità, la sua lealtà nei miei confronti, più che nella causa che perseguivo. Mi limitai a fissare la sua immagine, per imprimermela ancora più a fuoco nella mente, tanto che mia madre notò il mio strano comportamento.
    ”Leonardo è un artista mirabile, e si dice che la sua intelligenza sia ancora più sublime del suo talento. Dovresti prendere esempio da una persona così eccezionale!”
    ”Lo farò madre, statene certa. So riconoscere le persone speciali quando ne vedo una...”
    La voce mi uscì molto più grave di quella che era al tempo, perché nascondeva l'emozione e la riconoscenza che stavo facendo fatica a contenere, ma lei sgranò gli occhi, perplessa. Rimase a fissarmi qualche secondo, confusa, mentre un dubbio nasceva in lei. Sapeva avere una lingua tagliente quando voleva, ma era anche una figlia dell'alta nobiltà fiorentina, educata all'uso delle buone maniere in qualunque circostanza.
    ”Sono certa che sarai in grado di gestire i tuoi sentimenti, una madre queste cose le capisce al volo...”
    Ritornammo da soli a palazzo Auditore; Leonardo era stato trattenuto dalla visita non prevista di un facoltoso cliente: un'altra differenza nel flusso degli avvenimenti che notavo con apprensione. Forse non era possibile rivivere in maniera esatta ciò che era già accaduto, forse Persephone aveva voluto esagerare nelle raccomandazioni, ma in caso contrario, che cosa poteva cambiare che non era alla nostra portata il poterlo controllare?
    Trovammo Annetta già nel nostro cortile, dopo aver compiuto la commissione che le avevo affidato. A quel punto, avrei dovuto fare la mia parte del piano, e preparare mia madre, Claudia e Petruccio alla partenza. Scelsi la via più diretta per mettere mia madre al corrente del nostro piano, evitando di scendere troppo nei dettagli che avrebbero potuto compromettere la storia.
    “Madre, ho bisogno di parlarti, e dovrai credermi, anche se sembrerà un'assurdità la mia: siamo in pericolo. In un pericolo mortale. Dobbiamo fuggire da Firenze immediatamente. Un mezzo ci sta già aspettando per condurci via da qui!”
    Lei sospirò in maniera impercettibile.
    ”Oggi sei pieno di sorprese, Ezio. Ma sono troppo stanca per ascoltare le tue storie, ho bisogno di riposarmi qualche minuto”
    Mi accarezzò il viso, con l'intenzione di congedarmi e di andare nelle sue stanze, ma la trattenni mettendomi sulla sua strada.
    ”Ascoltatemi, ve ne prego! Uberto Alberti sta complottando con lo Spagnolo, approfittando dell'assenza di Lorenzo de Medici da Firenze per poter agire con più facilità! In questo momento potrebbero già esserci le guardie fuori dalla nostra porta, con l'ordine di arrestare tutti noi!”
    La mia voce si alzò di varie ottave, pur mantenendo il volume basso, per non insospettire gli altri abitanti della casa. Stavo quasi pregandola, e sapevo io per primo quanto fossi poco convincente, eppure qualcosa riuscì a persuaderla del fatto che non stavo scherzando.
    Ringraziai mentalmente il Dio nel quale non credevo, quando contro tutte le mie aspettative lei cominciò a dare disposizioni ai domestici per la preparazione dei bagagli. Le raccomandai che fossero ridotti al minimo, che solo le cose più preziose fossero portate con noi.
    Claudia sbuffò e protestò vibratamente, alla notizia di lasciare la nostra elegante abitazione per andare a soggiornare in un borgo isolato e sicuramente noioso come pensava che fosse qualsiasi luogo che non fosse Firenze, mentre Petruccio si lasciò facilmente convincere, allettato dalla prospettiva di vedere il mondo che c'era al di fuori delle mura del nostro palazzo.
    Prendemmo strade secondarie, noi quattro, scortati da un gruppetto di mercenari che avevo assoldato strada facendo. Tutto era tranquillo, ma non abbassai la guardia.
    Giungendo al luogo dell'appuntamento, trovammo già Federico e nostro padre che ci attendevano. Il viso di mio padre era terreo, ma saldo e risoluto. Per un secondo, rimpiansi dolorosamente il fatto di averlo perduto così presto. Quanto avrebbe potuto insegnarmi, quanta saggezza mi avrebbe trasmesso, quanti errori avrei evitato sotto la sua guida... sarei sicuramente diventato un uomo migliore, un Assassino migliore, con lui.
    Mi consolai pensando che questa volta sarei riuscito ad ottenere la possibilità di averlo vicino per molti anni ancora. Questa volta, ero pronto.
    La diligenza ci stava aspettando nei pressi delle porte della città. Il prezzo del servizio era già stato versato. I cavalli erano riposati, il viaggio sarebbe durato poco più di mezza giornata. I pochi soldati di guardia erano impegnati nei soliti, banali controlli su chi entrava e usciva. La salvezza era così vicina...
    Mia madre, Claudia e Petruccio erano già saliti sulla carrozza, quando l'aria sibilò sinistra. L'urlo di dolore di mio padre mi fece girare di scatto.
    ”No! NO!!”
    Le persone intorno a noi scappavano terrorizzate. Avevano cominciato a piovere numerose frecce dall'alto; intravvidi alcuni arcieri sui tetti, ma dovevano essere molto più numerosi di così, ed un'idea mostruosa cominciava a diventare a poco a poco più reale.
    I mercenari tentarono una difesa riparandosi dietro casse e bancarelle, ma diversi di loro vennero comunque colpiti.
    Nella confusione persi di vista qualche secondo mio padre e Federico.
    I soldati di guardia al cancello stavano correndo agli argani per chiudere la saracinesca. Non avevo più tempo. Non pensai, agii.
    Urlai al cocchiere di partire, mentre colpivo sulla groppa i cavalli. La carrozza schizzò in avanti, giusto in tempo per evitare le punte acuminate della pesante grata metallica. La guardai per qualche secondo allontanarsi a gran velocità, sobbalzando sulla strada di pietra, indisturbata. Almeno loro, erano salvi. Anche Petruccio, era salvo.
    Federico era chino su nostro padre, che si teneva la spalla dalla quale spuntava la aletta piumata della freccia. Il pandemonio ed il terrore erano aumentati all'arrivo di un grosso contingente di guardie. Le contai velocemente. Erano troppe.
    L'altra volta non erano così numerose. Cosa era successo? Gemetti, quando compresi. Le lettere che avrei dovuto recapitare avrebbero allertato gli alleati della nostra famiglia, che si sarebbero occupati di fermare o uccidere una parte dei soldati agli ordini del gonfaloniere.
    Ma così non era successo. Ecco che cosa avevamo ottenuto con il nostro tentativo di cambiare il passato. Anche se per un breve istante avevo gioito nel pensare al mio fratellino che cresceva e scorrazzava sulle mura merlate di Monteriggioni, ora la realtà si presentava a chiedere il pagamento del conto.
    Strinsi i denti.
    Non lo volevo accettare, ma non c'era altra possibilità: non si può combattere contro quello che è il tuo destino. O meglio, quello che era il tuo passato. Se questo era ciò che avrebbe dovuto essere, sarebbe stato. Avevo salvato una parte della mia famiglia, ma non sarei riuscito a farlo con tutti. Forse non sarei riuscito nemmeno a salvare me stesso. La prospettiva mi atterriva.
    A che costo avevo pensato di poter giocare con il fuoco? Ora il fienile era in fiamme, fino al tetto.
    ”Federico, porta al riparo nostro padre!”
    Mi preparai allo scontro; senza le mie lame e disarmato mi sentivo nudo, ma anche con quelle, quante probabilità avevo?
    Atterrai con un calcio il soldato più vicino, strappandogli di mano la spada e usandola per trafiggerlo. Mi buttai nella mischia, sperando almeno così di evitare di venir colpito dagli arcieri sui tetti.
    Colpii senza pietà chi provava a fermarmi, mentre il tempo si dilatava in un eterno istante. Urtavo, schivavo, abbattevo, mentre sul mio corpo cominciavano ad aumentare le strisce brucianti dei colpi che non riuscivo a contrastare.
    Prima che tutto diventasse un confuso agitarsi, controllai ancora una volta la piazza: di mio padre e di Federico non ce n'era traccia.


    Edited by Illiana - 10/5/2019, 08:01
     
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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Federico:

    "Corri Federico! Corri!"
    È questo che mi urlò mio fratello un attimo prima che una spada gli si conficcasse nel ventre. Il suo viso era una maschera di dolore, quasi irriconoscibile, il sangue che copioso gli sgorgava dalla ferita. Cadde pesantemente in ginocchio, privo di forze, mentre quei cani dei Pazzi continuavano a infliggergli una coltellata dietro l'altra.
    Io ero immobile, troppo sconvolto per fare qualcosa. Ezio non doveva morire, soprattutto non in questo modo.
    Sentii dei passi pesanti alle mie spalle. Mi voltai: il Borgia era di fronte a me, il cappuccio calato sul viso che però non nascondeva il suo sorriso sadico.
    “È tutto inutile, giovane Auditore. In un modo o nell’altro morirete tutti.”
    Detto questo tirò fuori una spada, nascosta fino a poco prima sotto il suo mantello, e con un colpo secco e repentino mi decapitò.

    Mi svegliai terrorizzato. Portai subito le mani alla testa, per assicurarmi che fosse al suo posto. Stavo sudando e avevo il fiatone.
    “Federico, stai bene?”
    Mi voltai subito e vidi mio padre seduto a terra che mi guardava preoccupato.
    “S-si… solo un incubo...”
    Solo in quel momento mi accorsi che quello che stavo vivendo era davvero un incubo, da cui però non potevo svegliarmi.
    Eravamo in una stanza spoglia e sporca, le pareti e il pavimento interamente in pietraforte.
    A Firenze la maggior parte degli edifici erano fatti di questo materiale, ma io sapevo perfettamente dove eravamo, avrei sempre riconosciuto quel luogo.
    Mi affacciai a una delle piccole finestrelle, aggrappandomi disperato alle inferriate, tentando di calmarmi, senza successo.
    La brezza notturna mi solleticava il viso mentre osservavo la Loggia dei Lanzi sotto di me.
    Ero di nuovo in quella maledetta cella a Palazzo della Signoria.
    Ci eravamo impegnati tanto per cambiare le cose, ma alla fine dei giochi tutto era rimasto immutato.
    Ci eravamo fregati da soli. Eravamo riusciti a scappare, è vero, ma, pur non avendo fatto le cose come la prima volta, avevamo ottenuto lo stesso risultato.
    L’unica cosa diversa, per fortuna, era che almeno Petruccio era salvo.
    Persephone aveva ragione. Potevo tentare di cambiare il corso degli eventi quanto volevo, ma il destino era quello. Avrei cambiato il come ci sarei arrivato, ma la meta era sempre quella… ma io non volevo arrendermi.
    Era un comportamento infantile? Forse, ma le cose, anche se di poco, erano cambiate. Avrei tentato il tutto per tutto, sarei andato avanti con i miei propositi fino alla fine.
    Dovevano uccidermi per farmi desistere.
    Non potevo accettare di rivivere quel momento sul patibolo, tutti convinti della nostra colpevolezza, darla vinta nuovamente a quei bastardi.
    Sarei uscito da questa cella in un modo o in un altro, dovevo solo capire come.
    Proprio mentre mi stavo arrovellando sentii dei suoni sordi poco più sotto di noi. Mi sporsi, per quanto potevo, e vidi la soluzione che cercavo.
    “Ce ne hai messo di tempo.”
    “Sai com’è, ho dovuto nascondermi da tutte quelle guardie e poi sono tornato a casa a prendere un paio di cose.”
    “Ezio, sei tu?” disse nostro padre affiancandosi a me, sorprendendosi per quello che vide. “Come hai fatto a trovarla?”
    Potevo capire il suo sgomento. Non gli aveva mai parlato di Assassini e Templari ed ora lo vedeva con la sua veste. Dovevo ammettere che faceva strano anche a me. Avevo sempre visto nostro padre con quella divisa, ma soprattutto non ero abituato a vedere mio fratello così. O almeno il vecchio Ezio, perché ormai, volente o nolente, nel presente mi ero abituato a vederlo cresciuto in tutto.
    “È una lunga storia e non ne abbiamo il tempo.”
    “Figliolo, se hai trovato la veste significa che hai trovato anche dei documenti, fra cui una lettera. Portala a messer Uberto e...”
    “Padre, non servirà a nulla! Lui è uno di loro!” esclamai, non riuscendo a trattenermi.
    “Ma che stai dicendo?”
    “Federico ha ragione.” disse Ezio mentre mi lanciava un’occhiataccia. “Del Gonfaloniere non possiamo fidarci. Al momento siamo soli. L’unica soluzione è scappare.”
    “Come fate ad avere queste informazioni?” chiese nostro padre sempre più confuso.
    “Non abbiamo tempo. Quando saremo al sicuro vi spiegheremo tutto.”
    Quell’ultima frase mi fece tornare in mente una cosa.
    “Ezio, nostra madre, Claudia e Petruccio sono riusciti a fuggire, giusto? Non li hanno fermati…?”
    “Per fortuna no. Dovrebbero essere già dallo zio Mario. Ora basta chiacchiere, diamoci una mossa.”

    Stavamo correndo a perdifiato.
    Avevamo tre cavalli ad aspettarci alle porte di Firenze.
    Era un buon piano? Assolutamente no. Era un potenziale suicidio, ma non avevamo tante altre scelte. Prima avremmo raggiunto Monteriggioni, meglio sarebbe stato.
    Per fortuna Ezio si era messo in contatto con gli alleati di nostro padre -quelli a cui avrebbe dovuto consegnare le lettere ieri mattina- e con Paola, la sorella di Annetta, nonché proprietaria della Rosa Colta. Tutti loro si sarebbero occupati di tenere impegnate quante più guardie possibile.
    Eravamo vicini, intravedevo già le mura, quando ci si pararono davanti alcuni uomini con le spade sguainate.
    Erano gli sgherri dei Pazzi.
    “I vostri Signori sono davvero così codardi da mandare solo voi?”
    “Vi piacerebbe, Auditore.”
    Ed ecco Francesco e Vieri de’ Pazzi sbucare dall’ombra con i loro soliti sorrisini odiosi.
    “La vostra fuga finisce qui.” disse Francesco prima di mandarci contro i loro uomini.
    Per fortuna Ezio ci aveva portato delle spade, in caso di emergenza.
    Li neutralizzammo abbastanza in fretta, dopotutto erano solo in sei. Se fosse stato come la prima volta, io ed Ezio non ce l’avremmo fatta sicuramente. Peccato per lo che noi sapevamo ed eravamo pronti. O almeno così pensavo, perché altri uomini sbucarono dal vicolo adiacente e in più si unirono anche quei due bastardi alle danze.
    Ero disperato. Le mura erano così vicine, ma fuggire era fuori discussione. Saremmo stati più vulnerabili. L’unica soluzione era farli fuori tutti. Non stavamo andando per niente male, considerando che inizialmente erano quattro volte noi ed ora erano poco più della metà.
    Dovevo essere sincero, ero ottimista. Credevo davvero che ce l’avremmo fatta. Io mi ero liberato di quelli che avevano tentato di uccidermi, mio padre aveva quasi finito. Mancava solo Francesco…
    Dov’è? Non lo vedo…
    Iniziai a guardarmi attorno. Avevo un brutto presentimento. Fino a poco fa era ad affrontare mio padre, ma ora non era più lì.
    Che fosse scappato? E invece no.
    Si stava dirigendo verso Ezio, che aveva appena conficcato la sua lama celata nel petto di Vieri.
    Voleva approfittare della morte imminente di suo figlio e della momentanea distrazione di Ezio per ucciderlo.
    Per un secondo rividi l’immagine di mio fratello morto nel mio sogno.
    No…
    Scattai. Non mi importava più niente di niente.
    No…
    Mi mossi in automatico. Mi ritrovai a correre nella loro direzione.
    No.
    Il terrore e una fredda e disperata determinazione mi stavano muovendo. Non doveva andare così. Non sarebbe andata così. Ezio non meritava di morire. Lui non poteva morire. Io avevo già vissuto il dolore e l’oblio della morte, lui no -o almeno, non come l’ho vissuto io-, e non dovrà mai viverlo.
    No!
    Chi sarebbe stato con i nostri genitori e con i nostri fratelli? Chi li avrebbe aiutati e sorretti nel momento della sofferenza? Chi avrebbe ripreso tutti i cocci della nostra famiglia e li avrebbe rimessi insieme? Lui. Lui l’aveva già fatto, e lo avrebbe fatto di nuovo. Quello che è riuscito a fare all’epoca sono sicuro che io non sarei riuscito a farlo, o forse sì, ma non lo saprò mai. Non voglio saperlo. So per certo che con lui staranno tutti bene.
    Quello che questa gita nel tempo mi ha insegnato è che il passato non si può cambiare del tutto e allo stesso modo non si può cambiare quello che siamo destinati ad essere.
    Ezio a vivere, io a morire.
    “NO!”
    Ero in piedi, immobile, fra mio fratello e Francesco Pazzi, la spada di quest’ultimo a trapassarmi il ventre. Sentii le forze scivolarmi via, il mio corpo che a malapena si reggeva in piedi.
    Un tonfo. Il corpo ormai senza vita di Francesco ai miei piedi, la gola squarciata, il suo sangue sulla mia spada. Almeno questa soddisfazione me l’ero presa.
    In un attimo mi ritrovai a terra, fra le braccia di Ezio, sconvolto, che tentava di bloccare la mia ferita. Mi stava insultando e ne aveva tutte le ragioni. Stava rivivendo quel momento. Almeno nostro padre era ancora vivo.
    “È un miglioramento... non trovi?
    “Che cazzo stai dicendo?! Come potrebbe esserlo?!”
    “Questa volta… morirò solo io…” le palpebre divennero pesanti, ormai non sentivo quasi più il dolore. “Sai, è decisamente meglio questa come morte...”
    “Ma che discorsi fai?!”
    Scoppiai a ridere, iniziando poi a tossire sangue.
    “È meno dolorosa, te lo assicuro… Sono felice, sono riuscito nel mio intento… ho capito che avevi ragione sin dall’inizio… non dovevo addossarmi la colpa di tutto...”
    “Cretino! E dovevi morire un’altra volta per capirlo?”
    “A quanto pare sì… comunque stai tranquillo, appena tornerai nel presente ci sarò anch’io...”
    La vista mi si stava offuscando ma riconobbi mio padre che ci aveva appena raggiunto.
    Me ne stavo andando, lo sapevo, ma non prima di aver detto qualcosa a mio padre. Qualsiasi cosa. La prima volta non ce l’avevo fatta, ma ora potevo.
    “Padre… salutatemi mia madre, Claudia e Petruccio… ma soprattutto… vivete...”
     
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    Rientrarono dal viaggio che erano passati solo pochi secondi, nel mio presente. Ore, per loro, nel passato.
    Ero abbastanza curiosa di scoprire quale effetto avesse avuto su di loro quel ritorno alle loro origini. Rivedere persone morte ormai da anni, la tentazione di intervenire o di migliorare l'accaduto, la forza di gestire quei mille contrattempi che potevano far naufragare qualsiasi buona intenzione.
    L'ordalia che gli avevo consentito di affrontare era ardua, forse troppo, e forse da quegli umani, deboli per nascita, mi ero aspettata qualcosa di spropositato.
    Ma avevo avuto le mie buone ragioni, e tanto bastava: troppe vite erano in bilico per colpa della guerra imminente, e le mie azioni, seppur riprovevoli, erano giustificate.
    Li osservai come se guardassi la vita contenuta dentro un acquario: in maniera distaccata, lucida, razionale. Con loro avevo fatto un esperimento che nessun altro essere umano aveva mai affrontato, e volevo vederne i risultati.
    Il più sconvolto dei due era Ezio; abbracciò subito il fratello, come se lo avesse perso una seconda volta, e magari era proprio così. Federico invece sembrava sereno, anche se il pallore sul suo viso era molto evidente; si vedeva che si era liberato del fardello che lo stava schiacciando.
    Fui soddisfatta di constatare il suo stato d'animo, perché significava che ero riuscita nel mio intento, quello di assicurarmi che non avrebbe più potuto essere una pedina nelle mani dei nostri nemici.
    Mi avvicinai ai due uomini, con passo lento.
    Ezio mi guardò sospettoso e accusatorio: ”Cosa ha significato tutto questo? Il passato originario si è comunque avverato, se Federico è qui con noi... ed io... io credo che i miei ricordi non siano affatto cambiati... ricordo sempre la loro esecuzione, e tutto il resto...”
    Abbassai gli occhi. ”Per te, non è cambiato nulla, infatti. Le vostre azioni hanno però creato una realtà alternativa, separata da questa, come sono differenti due strade che non si incontreranno mai.”
    Il suo viso si oscurò ulteriormente: ”E allora tutto questo a cosa è servito? Rivivere tutta questa sofferenza, impegnarsi a migliorare qualcosa che non servirà a... niente... a nessuno?”
    Lo guardai in silenzio, indifferente e distaccata. Loro erano serviti ad un mio scopo, tutto il resto non mi riguardava. A ben vedere, li avevo messi in guardia sui rischi, e non mi sentivo responsabile del loro dolore. Lo avevano scelto, lo avevano voluto.
    Ezio irrigidì la mascella, quando capì che non avevo nessuna risposta, nessuna consolazione, nessun significato da affidare a loro come riparazione. Nei suoi occhi passò un sentimento che si avvicinava al disprezzo.
    Mise un braccio intorno alle spalle del fratello, con la chiara intenzione di concludere il prima possibile il nostro incontro.
    Da parte mia, avevo la stessa fretta. La mia prossima mossa sarebbe stata il recupero di un antico manufatto, creato da Hades: il Globo del Controllo. In quella sfera d'oro, mio marito aveva riposto una parte del potere che gli permetteva di ottenere l'obbedienza sulle anime dei morti. Un gesto molto pericoloso che lui aveva compiuto comunque, nell'arrogante presunzione che sarebbe stato sempre al sicuro tra le mura della sua fortezza.
    Ma così non era andata. Mio fratello Pluto ne era venuto in possesso, e lo aveva portato con sé durante uno dei numerosi viaggi che compiva sulla Terra. Per secoli il furto non era stato scoperto, ma poi le leggende generate da un tale oggetto, così potente da offuscare le menti degli uomini, destarono la mia attenzione. Mela dell'Eden, la chiamavano, come se si trattasse di qualcosa di sacro e mitico.
    Per molto tempo ne avevo seguito le tracce, la scia di sangue e tradimenti che aveva contraddistinto ogni passaggio di mano. Ma finalmente, ero riuscita a localizzarla un'ultima volta, nel passato, prima che svanisse, incomprensibilmente. Avevo appena scoperto che il Globo si trovava nella collezione privata di un ricco nobile italiano, custodita in maniera molto stretta.
    Ora che avevo risolto questa faccenda con gli Auditore, avrei studiato un modo per recuperarlo, prima che mio marito si accorgesse della sua mancanza, scatenando ulteriormente la sua ira.
    Portai la mano dietro la schiena per sfilare il mio Bastone. Qui il mio lavoro era compiuto, niente mi tratteneva, neanche il desiderio di godere ancora di questi luoghi bellissimi.
    Federico non aveva detto una parola, ma mentre si faceva condurre docilmente via da suo fratello, incamminandosi verso la scalinata che portava alla villa che dominava il borgo, mi lanciò un'occhiata da sopra la spalla. Un gesto innocente, semplice. Un saluto, un ringraziamento, un soddisfacimento di curiosità.
    E successe.
    A quello sguardo non ero preparata.
    Io, che avevo il controllo di ogni particolare, anche il più insignificante, che agivo come un burattinaio, che tutto decide e controlla... quello sguardo mi raggiunse veloce e penetrante come un dardo, attraversando le mie numerose corazze. Qualcosa si incrinò dentro di me, e da quella crepa filtrò una luce abbagliante.
    Ai suoi occhi, mantenni l'impassibilità che mostravo a chiunque, ma dentro di me, il mio cuore si fermò. Il mondo intorno a me si fermò.
    I nostri sguardi rimasero legati fino a che la curva della scalinata non lo nascose ai miei occhi. Ma la mia anima continuò a seguire la sua immagine, come la catena segue l'ancora che viene calata sul fondo marino.
    Avevo trattenuto il fiato per un tempo indefinito, sentivo i battiti feroci del mio cuore martellarmi nelle orecchie.
    Quello che stavo provando mi sconvolgeva profondamente, e anche se ero abituata a gestire emozioni e sentimenti violenti, avvertivo un cambiamento nella mia anima che non avrei potuto ignorare facilmente.
    Mi sedetti sul muretto, le gambe tremanti. Rimasi ad osservare il moto che stava crescendo in me. Avevo voglia di piangere, e di ridere come una ragazzina. Stavo fluttuando in un oceano di incanto e non volevo smettere.
    Mi chiesi cosa fossero, questi sentimenti selvaggi di gioia e di speranza che provavo.
    Avevo una sola risposta. L'amore era l'unico sentimento che poteva turbare i cuori con tale forza, e spesso ne avevo sognato, negli anni in cui ero una fanciulla ingenua ed ignorante di tutto.
    Pensavo di amare mio marito, ma quello che mi legava ad Hades, per quanto profondo, era così diverso... era come paragonare l'ambrosia ad una droga. L'ambrosia era molto più dolce, ma la droga anche se più pericolosa, era più allettante.
    Hades mi aveva sempre riempito di attenzioni, di gentilezze; in un suo modo perverso, mi amava.
    Quante forme diverse può assumere l'amore?
    Nella confusione più totale, avevo una sola certezza: per quanto fosse un'emozione pericolosa, che poteva causarmi sofferenze e rimorsi, che mi avrebbe messo tutto e tutti contro, non potevo già più farne a meno.
     
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