Past & Present: Florence

Season 3

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    :Persephone:
    ”Ho bisogno di qualcuno che conosca bene Firenze, la sua cultura, le tradizioni, il modo di comportarsi con le persone, le regole non scritte di galateo...” La voce quasi mi morì in gola ”...non te lo chiederei se non fosse estremamente importante!”
    Non era mia abitudine chiedere aiuto, di solito tutto il supporto che mi serviva lo ottenevo quasi fosse scontato, come l'aria che respiravo. Era una prerogativa che mi spettava come Guerriera, quando i miei interlocutori erano i governi e i governanti dei pianeti dell'Impero, e come Signora del Tempo e degli Inferi, quando ero tra le mie pari.
    Non avevo mai amato le posizioni di potere che avevo ottenuto per diritto di nascita e per obbligo matrimoniale; altri avevano deciso per me, ed io non le desideravo. Si trattavano di vincoli che mal sopportavo. Avrei voluto essere libera, da tutto, poter decidere io in prima persona delle scelte che mi spettavano.
    Ma ora, davanti a quell'umano, non potevo e non volevo far pesare in alcuno modo la mia posizione.
    Ciò che gli stavo chiedendo era un sacrificio molto oneroso per lui, me ne rendevo conto. Gli stavo chiedendo di ritornare nel luogo e nel tempo in cui aveva vissuto la sua prima vita, e di farlo pochi giorni dopo l'ardua prova che aveva dovuto superare, quella di rivivere la sua morte.
    La mia richiesta era però sinceramente accorata: muoversi in un tempo passato, in un ambiente controllato e codificato come quello dell'alta borghesia, poteva essere molto complicato, ed il rischio di attirare attenzioni non desiderate era concreto. Il ruolo della donna a quel tempo, ad esempio. Senza un uomo che la proteggesse, non avrebbe neanche potuto uscire di casa, figurarsi poi a pensare di partecipare ad eventi pubblici...
    Ma dovevamo fare in fretta, avvertivo lo scorrere del tempo come fosse il sangue nelle mie vene, ed era uno scorrere che presto sarebbe cessato.
    Era ironico, ma dovevo accettare il mio destino: su Plutone, il mio pianeta natio, a giorni sarebbe cominciato il periodo più buio dell'arco solare, l'inverno, ed il tempo della libertà, per me, stava per scadere. Avevo l'obbligo di tornare nel regno dei Morti, al cospetto di mio marito. Il mio terribile marito. Con lui le cose non erano mai semplici. Io per prima non la ero.
    Allontanai l'ondata di panico e di sofferenza che stava montando dentro di me a quel pensiero. Avevo compiti e ricerche importanti da portare a termine assieme alle mie sorelle, e dovevo cercare di sfruttare tutte le risorse a mia disposizione, fino a che ne fossi stata in possesso.
    Avevo scartato l'idea di chiedere aiuto ad Ezio Auditore, senza neanche sapere bene il perché.
    Ed ora lo stavo chiedendo a suo fratello, Federico.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:55
     
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    :Federico:
    Persephone. Come negare la sua innaturale bellezza? Come resistere a quei lineamenti talmente eleganti e perfetti da sembrare quasi scolpiti da audaci scultori. Ed io – fiorentino doc – di artisti con il dono dello scalpello ne conoscevo non pochi. Michelangelo (n.d.a)… sì, solo lui avrebbe potuto realizzare una donna con fattezze simili. Eppure, Persephone era reale… o quasi. Ai miei occhi abituati alla bellezza pareva comunque un essere sfuggente, un’anima fatta di nebbia e tristezza pronta a sfuggirti via tra le dita alle prime luci di una tremolante alba. Era strano ciò che mi si rimescolava dentro quando incrociavo il suo sguardo, molto di rado in realtà! Era… timida? No, non era la parola giusta per descriverla. Era schiva, ecco, un fiore raro e timoroso di uscire allo scoperto. Tuttavia, l’ammiravo e in qualche modo le ero grato. Grazie a lei avevo potuto compiere un viaggio assurdo, doloroso, angosciante… ma allo stesso tempo rivelatore. Il mio cuore si era fermato una seconda volta e no, non era stato affatto piacevole; no, non mi era piaciuto rivivere l’orrore di perdere la mia famiglia e non solo la mia vita. Ma… avevo capito, grazie a lei, che il Tempo è tiranno, dona alla stessa velocità con cui toglie, incanta con la stessa astuzia con cui dilania. Avevo avuto l’ardire di sperare che quel viaggio avrebbe cambiato le cose, ma se anche così non era stato, adesso ero consapevole di tutto ciò. E per me significava davvero tanto… forse tutto. Era questo che mi portava ad ascoltare Persephone come se prima e dopo di lei non esistesse nessun altro? Fissavo le sue labbra muoversi, quasi senza udire quanto diceva, ipnotizzato da quel movimento lento, tormentato, ma deciso! Sì, dovevo aver preso un bel colpo in testa giorni prima visto che faticavo a concentrarmi sulle sue parole…
    “Ho bisogno di qualcuno che conosca bene Firenze, la sua cultura, le tradizioni, il modo di comportarsi con le persone, le regole non scritte di galateo...” Doveva aver scambiato la mia titubanza per scetticismo, per cui aggiunse: ”Non te lo chiederei se non fosse estremamente importante!” Dovevo darmi una mossa, non volevo certo dare l’impressione sbagliata.
    “Persefone, ti devo molto. Ciò che hai fatto per me ha un significato che non credo tu riesca a immaginare fino in fondo. Nonostante ciò, ti andrebbe di raccontarmi qualcosa in più? Potrei essere molto più d’aiuto come Assassino che come valletto…”
    La mia voce era uscita fuori prima emozionata e poi volutamente leggera. Non sapevo bene perché ma desideravo vederla sorridere. Ma come constatai poco dopo, “farla ridere” sarebbe stata un’impresa degna di un eroe antico. Lei aveva distolto nuovamente lo sguardo, serrando le labbra piene. Era decisa a non dirmi di più. Non poteva dirmi di più, evidentemente.
    “Ehi, non ti angustiare. Va bene così, mi rassegnerò a fare da cicerone a una splendida dama. Chissà che questo non si riveli altrettanto interessante!” Con due dita sotto il suo mento e un movimento fluido la “costrinsi” ad alzare le sue intense iridi verso di me. Desideravo che mi guardasse e che dimenticasse la punta delle sue scarpe! “Davvero, nessun problema. Ti aiuterò volentieri… è il minimo che possa fare per ringraziarti.” Ed era la sacrosanta verità. In realtà, l’idea di ritornare nel passato… in “quel” passato… mi faceva tremare le vene e i polsi, “uscire” da un incubo a occhi aperti e ritornarci poco tempo dopo non doveva – e non poteva! – essere semplice. D'altro canto, l’idea di rifiutare a Persephone il mio aiuto non mi aveva sfiorato neppure per un secondo. Strano… oppure non tanto?
     
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    :Persephone:
    Firenze, anno del signore 1479.
    L'anno prima, un complotto ordito per annientare la famiglia più potente aveva gettato la città in uno stato di guerra civile inenarrabile.
    Al tentativo di assassinio era seguita una spietata caccia ai colpevoli, finita nel sangue, ovviamente. Gli umani sapevano essere così efferati e crudeli solo perché non imparavano mai dai propri errori. La loro non era una razza saggia, e forse per questo mi ammaliava così tanto da rendermi impossibile non viverle accanto, sfidando le proibizioni che vigevano nell'impero galattico ancora adesso, sotto il regno di Endymion e Selene.
    Avevo scelto come momento per la nostra missione il periodo di festa che veniva chiamato Carnevale; l'usanza di girare mascherati mi affascinava molto, ed era inoltre un ottimo stratagemma per girare per la città senza essere riconosciuti. Piacesse o no, l'esecuzione della famiglia Auditore era ancora ben nota tra il popolino, ed il viso di Federico ancora ben presente nella loro memoria.
    Ci rifugiammo in una casa che era appartenuta ad una delle famiglie dei congiurati; si era salvata dal saccheggio della popolazione inferocita per il semplice motivo che era stata reclamata come corrispettivo del danno subito da Lorenzo de Medici.
    Attraversai quelle stanze immense dai soffitti affrescati come se mi trovassi in un sogno ad occhi aperti. L'arte che le decorava, i mobili intagliati con gusto raffinato, non avevano eguali con niente altro, ai miei occhi. Sfiorai trasognata la lussuosa trama degli arazzi e dei tessuti che ricoprivano tavole e letti.
    Ero incantata da tanta bellezza. Mai come in questi giorni, trascorsi come una reclusa, avevo amato la vita, e odiato le catene che mi imprigionavano in ruoli che non desideravo.
    (...)
    Mancavano due giorni al ricevimento a palazzo Medici.
    Dagli scuri socchiusi delle ampie finestre, spiavo l'andirivieni frenetico e incessante degli abitanti, mentre mi tormentavo le mani e le labbra per il desiderio di parteciparvi; li osservavo camminare, commerciare, litigare, festeggiare, come se la loro vita fosse un qualcosa di scontato, di banale, e non il dono più grande che la mia anima potesse desiderare. Volevo quella normalità...
    Mi accorsi che Federico entrava nella stanza e mi ricomposi velocemente. Non volevo assolutamente che si accorgesse del mio turbamento.
    Accarezzai con lo sguardo la sua figura alta e armoniosa, mi soffermai sui suoi occhi accesi, e non potei fare a meno di nascondere le mani, che avevo ricominciato a tormentarmi, spinta da un impulso che non volevo nominare.
    Avevo soffocato i miei desideri per troppo tempo, nel tentativo di compiacere mia madre prima e mio marito poi. Non mi ero mai soffermata a domandarmi cosa realmente poteva dare un senso alla mia esistenza. Un amore, una vita serena, una famiglia?
    Mi rimproverai severamente, come un riflesso ormai automatico dentro di me. Non mi potevo permettere di sognare qualcosa di diverso da quello che possedevo. Avevo un regno da governare, una missione da seguire. Molte persone avrebbero dato tutto per essere al mio posto.
    Ed io, avrei dato tutto per poterglielo lasciare.
    Federico poteva essere quello che desideravo e molto altro. Se avessi allungato la mano, me lo sarei preso, senza che lui potesse dettare condizioni, sarebbe stato mio solo per il capriccio di una sera. Ma non avrei ceduto alla mia paura, perché era lei che parlava, in questi miei pensieri.
    La verità era che Federico, con la sua purezza di spirito, il suo entusiasmo, la gioia di vivere, sarebbe rimasto ustionato se si fosse avvicinato troppo a me. Non tanto alla Persephone schiva e silenziosa che lui conosceva, ma alla sua parte più oscura, distruttiva, malvagia.
    ”Dopo un'attenta e scrupolosa cernita di quello che contenevano i cassoni nelle stanze padronali, ho scelto alcune vesti che potranno servirci come abiti di scena”
    Mi mostrò tutto fiero ciò che reggeva sulle braccia: tessuti eleganti, rossi e bordeaux, con preziosi ricami e intessuti di fili d'oro.
    “Ho cercato anche di abbinare i colori tra la mia tunica di seta ed il tuo abito con lo strascico, così come usa tra la nobiltà durante le feste importanti” Ammiccò eccitato. ” Ed un ricevimento ospitato da Lorenzo il Magnifico è sopra ogni dubbio un'occasione solenne. Partecipai a una festa simile solo pochi giorni prima...”
    Per un momento il suo sguardo si spense, mentre faceva cadere il discorso, anche se io avevo capito immediatamente cosa voleva dire “...pochi giorni prima di essere arrestato ed impiccato nella piazza centrale di Firenze”
    Riprese a parlare con maggiore entusiasmo dopo qualche secondo, mentre mi mostrava gli altri tesori che aveva scovato: ”Sono stato fortunato, guarda che belle maschere avevano per celebrare i giorni carnascialeschi! Sai, saccheggiare gli averi dei Pazzi è una piccola soddisfazione che non credevo mi sarei mai potuto prendere!”
    “Questi Pazzi avevano cospirato contro la tua famiglia?” Mi sporsi verso di lui impercettibilmente.
    Contavo che avrei avuto la possibilità di affrontare questo argomento con lui: per Federico era un ricordo oscuro di cui parlava malvolentieri, ma io non avevo ancora ricostruito l'esatto accaduto, e credevo fosse importante farlo. Il ritorno alla vita di Federico era stato possibile solo perché i poteri dei deviati erano intervenuti per trattenere la sua anima lontana dal regno dei Morti. Ma quando, e come?


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:55
     
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    :Federico:
    Ecco che le mie doti di Assassino finalmente tornavano utili! I miei passi erano felpati, silenziosi come quelli di una fiera. I muscoli rispondevano sapientemente ai miei comandi e tutto ciò mi faceva sentire… potente, vivo, rinato? Mi muovevo con circospezione di stanza in stanza, alla ricerca di vestiario che sarebbe tornato utile a me e alla mia accompagnatrice nei giorni a venire, mentre la mente vagava. Tentavo di trovare una buona ragione che non mi impedisse di fuggire via da quel palazzo e da quell’epoca a gambe levate. Sì, perché la mia presenza in un luogo del genere era da folli, io ero un folle. Non c’erano altre spiegazioni. Erano trascorsi tre anni dalla morte della mia famiglia e della mia, eppure fra la gente si bisbigliava ancora il nostro nome; i fiorentini affollavano le strade infuriando in una guerra senza fine e questa sì che era un’ottima ragione per andarmene seduta stante. Se mi avessero riconosciuto cosa sarebbe accaduto? Nonostante ciò, per quanto mi sforzassi di essere razionale, non riuscivo a prendere quella decisione. Il viso di Persephone continuava ad offuscare l’ultimo barlume di ragione che mi restava. Aveva davvero bisogno di aiuto, e anche se non aveva voluto svelarmi la sua missione, ciò non mi aveva impedito di partire al suo fianco.
    Quando il fagotto che tenevo stretto tra le mani mi parve ben nutrito, mi avviai verso un salone dove sapevo avrei trovato Persephone ad attendermi, ma non palesai subito la mia presenza. Restai sulla soglia dell’enorme portone intarsiato, ad osservarla, celata da una penombra incombente. Si tormentava le mani, il profilo – appena illuminato da una lama di luce – era contratto, gli occhi erano persi in pensieri di certo poco piacevoli. Non stava realmente guardando oltre la finestra, al contrario, stava guardando dentro se stessa. Cosa celava dietro la sua espressione a volte decisa, altre smarrita? In quel momento mi appariva oltremodo vulnerabile e la mia decisione di restare accanto a lei si rafforzò improvvisamente, cancellando ogni remora, abbattendo ogni difesa… con lei non volevo averne! Ecco perché ero un dannato folle!
    A quel punto, rivelai la mia presenza, varcando finalmente la soglia con passi pesanti e un sorriso gioviale stampato in volto. Quando si voltò verso di me, Persephone aveva reso il suo volto nuovamente sfingeo e questo mi fece male. Non sapevo spiegare perché, ma desideravo che si confidasse con me ed io volevo aiutarla con ogni mezzo. Sapevo però che la mia era solo un’utopica speranza.
    “Dopo un'attenta e scrupolosa cernita di quello che contenevano i cassoni nelle stanze padronali, ho scelto alcune vesti che potranno servirci come abiti di scena”
    Meglio tornare al nocciolo del nostro daffare, di certo sarebbe arrivato il momento della resa dei conti. Sorrisi fra me e me al pensiero che avevo ingaggiato una vera battaglia con la potente Persephone, anche se non della natura che entrambi ci saremmo aspettati.
    “Ho cercato anche di abbinare i colori tra la mia tunica di seta ed il tuo abito con lo strascico, così come usa tra la nobiltà durante le feste importanti. Ed un ricevimento ospitato da Lorenzo il Magnifico è sopra ogni dubbio un'occasione solenne. Partecipai a una festa simile solo pochi giorni prima...” Senza accorgermene stavo ricadendo in ricordi che non volevo riportare alla mente, non era il momento, non volevo concedermi al senso di colpa che mi aveva tenuto prigioniero fin dal mio risveglio. Scacciai ancora – questa volta con violenza – ogni traccia di passato e ripresi a parlare.
    “Sono stato fortunato, guarda che belle maschere avevano per celebrare i giorni carnascialeschi! Sai, saccheggiare gli averi dei Pazzi è una piccola soddisfazione che non credevo mi sarei mai potuto prendere!” Ed era la sacrosanta verità! Avevo provato una segreta rivalsa nel calpestare quei pavimenti lucidi, violare le loro stanze affrescate, rovistare tra i loro averi preziosi. Era un sentimento forse fin troppo puerile, ma non potevo impedirmelo. Meditavo vendetta, dovevo essere sincero, avrei pagato un’intera cassa di fiorini pur di tenere i colli di quei bastardi tra le dita.
    “Questi Pazzi avevano cospirato contro la tua famiglia?”
    La domanda di Persephone arrivò inattesa e lo stesso passato che avevo voluto scacciare poco prima ritornò pesante come un macigno sul mio petto.
    “Esatto, non solo loro naturalmente. Altri personaggi di spicco di quest’epoca hanno organizzato una vera e propria congiura per assassinarci. Dovevano toglierci di mezzo per continuare indisturbati i loro sporchi intrighi!” La rabbia aveva preso il posto del dolore! Chissà che faccia avrebbero fatto se mi avessero visto vivo e vegeto? Sarei davvero potuto tornare in qualità di angelo vendicatore, spaventarli a morte e poi ucciderli a sangue freddo? Stavo accarezzando quell’idea malsana con i pensieri, quando mi accorsi che Persephone si era avvicinata a me, impercettibilmente. Incatenai il mio sguardo al suo e continuai. “La percezione del cappio sul collo continua a tormentarmi ogni notte, la corda che stringe fino a togliermi il più flebile respiro, i polmoni che bruciano in cerca d’aria, il sudore che scorre dalla mia fronte fin sotto le palpebre doloranti. Da quando sono… tornato, non riesco a levarmi di dosso questa terribile sensazione di déjà vu… Mi sveglio di soprassalto, faticando a respirare come se davvero ci fosse un cappio intorno al mio collo..." Perché mi stavo confidando con lei? Di tutto questo non avevo mai parlato con nessuno, neppure con i miei fratelli! Forse speravo che facendolo, avrei aperto in lei una breccia? Oppure avevo semplicemente il bisogno di farlo: buttare fuori tutto quel fiele che mi portavo dentro. I nostri volti si erano fatti ancora più vicini e lo sguardo penetrante di Persephone sembrava voler indagare oltre le mie parole. In quale situazione mi stavo infilando? Ne avrei ricevuto beneficio o danno?


    Edited by KillerCreed - 20/5/2019, 11:29
     
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    :Persephone:
    ”Quello che ti è successo non dovrebbe mai accadere a nessuno... è innaturale e tormentoso...”
    Poggiai lieve una mano sul suo braccio, per confortarlo, ma subito la ritirai. Troppo forte la reazione a quel tocco che avevo osato. Sentivo premere qualcosa dentro di me, qualcosa che conoscevo troppo bene, e che non potevo affrontare in questo momento.
    ”La tua anima è rimasta imprigionata in qualche luogo per secoli, in attesa che venisse richiamata a svolgere il compito per cui era stata rubata”
    Federico mi guardò disorientato.
    ”Io... io lo sospettavo ma non pensavo che... forse avrei dovuto ascoltare Atlas, credevo fosse un mio amico...”
    Scelsi con cura le parole, non volevo che si allarmasse troppo. Era un umano, abituato a fatti umani.
    Ciò che era al di sopra della comune comprensione poteva avere l'effetto opposto di quello che tentavo di ottenere: aprire la sua mente perché ricordasse il passato, il benché minimo particolare che mi aiutasse a comprendere quale gioco era stato giocato sulla sua pelle.
    ”La tua resurrezione non è stata un caso fortuito, tu sei servito a compiere un atto indegno. Nessuno, nessuno dovrebbe sottrarre le anime al Regno a cui sono destinate. Chi osa farlo va incontro all'ira del Signore dei Morti”
    La sua espressione si rabbuiò, ma al contempo vidi che, al contrario di quello che temevo, stava concentrandosi, per assimilare le informazioni che gli stavo fornendo.
    ”Perché mi hanno riportato in vita? Quali erano le loro intenzioni?” Mormorò.
    ”Posso solo fare delle congetture, per quello che valgono. Il tuo ritorno è coinciso con il risveglio dal sonno eterno di Eris, la dea del caos. La madre di Atlas, la donna che hai incontrato quando sei stato accolto dal capo dei Templari, nel loro palazzo.”
    ”Eris? Non credevo fosse una dea, e comunque non l'avevo mai incontrata prima...”
    Sembrava divertito, e anche lievemente agitato, a quel pensiero, ma non mi lasciai distrarre da questo. Doveva essere così, non c'era altra spiegazione. Quello era il legame che li univa, indiscutibilmente.
    ”Ne sei sicuro?”
    Scandii le parole. Lo vidi valutare la mia domanda. Le sue labbra si arricciarono pensierose, i suoi occhi passarono dal colore del cielo terso in primavera a quello delle sere d'estate.
    E infine, la parte di me che cercavo di controllare si ribellò.
    Lo voglio, ad ogni costo. Voglio saziare la mia sete. Voglio la luce che arde in lui, la bramo per me. Non mi importa di sacrificare tutto ciò che in lui c'è di buono, della possibilità che, se fossimo state due persone diverse, con un passato meno gravoso da portare, avremmo potuto essere felici, insieme.
    Allungai la mano verso il suo viso.
    Mi accontenterò di una notte, di questa notte, di una manciata di baci. Un amplesso basterà per spegnere il fuoco e l'aridità che sento dentro di me. Tutto, tutto pur di sfuggire anche solo per poche ore al tempo che mi attende nel Regno dei Morti, come una condanna.
    Allungai anche l'altra mano, e presi il vestito color sangue che avrei indossato alla festa. Il tessuto era fittamente ricamato, squisitamente decorato con motivi di foglie e fiori. Lo valutai con attenzione: il peso della stoffa era maggiore di quello che mi aspettavo, tanto era ricca. Le mie mani lo stringevano convulsamente, la mia mente cercava di concentrarsi su particolari insignificanti per contrastare l'oscurità che per qualche secondo aveva annebbiato la mia razionalità.
    La battaglia interiore che avevo appena vinto era solo l'ultima delle infinite che avevo combattuto. Non sempre riuscivo a far prevalere la bontà. Ed ogni volta, comunque, il prezzo da pagare per lo scontro sostenuto era sempre più alto. L'oscurità dentro di me sempre più fitta.
    Cambiai discorso, perché non avevo più la forza per contrastare un nuovo assalto del mio lato ombra. Sarei ritornata sul mistero che mi preoccupava in un momento più adatto.
    ”Sono stanca, ho bisogno di riposare. E sono affamata”
    Il tono era petulante: in alcuni momenti, riaffiorava la ragazzina viziata di due genitori troppo accondiscendenti, che avevano dato e sacrificato tutto per l'amore dei propri figli.
    Demetra, mia madre, aveva combattuto come una leonessa per liberarmi dalle macchinazioni di Hyperion, che mi volevano merce di scambio per un accordo tra lui e Hades. Maledissi una volta di più la mia bellezza, la principale causa di tutto.
    Mi stavo di nuovo tormentando le labbra con i denti, quando la voce di Federico mi riportò alla realtà. A differenza delle volte in cui mi perdevo in sogni ad occhi aperti nel tentativo di sfuggire al dolore, questa volta era come atterrare su un cuscino di piume.
    ”In dispensa c'era poco e niente, e quel poco era andato in malora da mesi... dovremmo trovare il modo di procurarci del cibo, o soffriremo la fame in mezzo al lusso. Saremmo come dei Re Mida moderni!”
    Lui rise, ma a me scintillarono gli occhi. Per trovare il cibo, bastava procurarselo nelle botteghe della città, no? E tra poco sarebbe stato l'imbrunire, un momento perfetto per un giro esplorativo, nascosti nell'anonimato della penombra.
    ”Hai trovato anche dei mantelli, negli armadi?”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:55
     
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    “Quello che ti è successo non dovrebbe mai accadere a nessuno... è innaturale e tormentoso... La tua anima è rimasta imprigionata in qualche luogo per secoli, in attesa che venisse richiamata a svolgere il compito per cui era stata rubata”
    Ero confuso. Per la prima volta nella mia vita io, Federico Auditore, dongiovanni incallito, ero confuso di fronte a una donna. Poteva un semplice tocco della mano di Persephone farmi perdere così la ragione? Ero io che gestivo il rapporto con le donne, sempre io ad ammaliarle e farle cadere ai miei piedi… adesso? Mi sentivo in trappola. Una deliziosa e peccaminosa trappola, intendiamoci, ma pur sempre una trappola. La sua voce era… triste? Si preoccupava davvero per ciò che mi era accaduto? Ma non capivo comunque cosa desiderasse dirmi. Sembrava ci fosse molto di cui lei era a conoscenza e che, al contrario, io ignoravo. Atlas mi aveva ingannato? Haytham mi aveva aiutato nel momento più nero della mia seconda esistenza solo ed esclusivamente per portarmi tra le sue fila?
    “Io... io lo sospettavo ma non pensavo che... forse avrei dovuto ascoltare Atlas, credevo fosse un mio amico...” Scossi il capo turbato, passando le dita tra i capelli mossi e ancora sciolti sulle spalle. Ben presto avrei dovuto costringerli in un nastro di raso perfettamente abbinato alla giubba appena recuperata nella stanza padronale di quel dannato palazzo.
    “La tua resurrezione non è stata un caso fortuito, tu sei servito a compiere un atto indegno. Nessuno, nessuno dovrebbe sottrarre le anime al Regno a cui sono destinate. Chi osa farlo va incontro all'ira del Signore dei Morti.”
    Il Signore dei Morti? Mi avevano davvero sottratto alle sue “cure” e per quale oscura ragione? Serrai gli occhi, respirando ora affannosamente. Cosa diavolo mi avevano fatto?
    “Perché mi hanno riportato in vita? Quali erano le loro intenzioni?” Avevo posto ad alta voce una domanda che, in fondo alla mia anima, mi rivolgevo fin da quando le mie iridi color del cielo si erano di nuovo illuminate. Tuttavia, non mi aspettavo una risposta da Persephone, di sicuro non mi aspettavo quella che mi aveva appena dato!
    “Posso solo fare delle congetture, per quello che valgono. Il tuo ritorno è coinciso con il risveglio dal sonno eterno di Eris, la dea del caos. La madre di Atlas, la donna che hai incontrato quando sei stato accolto dal capo dei Templari, nel loro palazzo.”
    “Eris? Non credevo fosse una dea, e comunque non l'avevo mai incontrata prima...”
    La moglie di Haytham era la dea del Caos? E cosa aveva a che fare tutto questo con il mio ritorno? Mi girava la testa e, senza accorgermene, avevo stretto la presa sul braccio di Persephone. In quel momento, pareva quasi che fossi io ad aver bisogno di sorreggermi…
    “Ne sei sicuro?”
    Cercai dentro di me la risposta a quella domanda, interrogando pensieri, ricordi, sogni. Ma nulla, non riuscivo a ricollegare il volto di Eris a nessun evento del mio passato. In realtà, mi era venuto un gran mal di testa… desideravo cancellare ogni brivido di insicurezza che pareva fustigarmi ogni istante di più, fino a quando… un altro genere di brividi mi costrinse – piacevolmente – a distogliere l’attenzione dalla mia confusione e concentrarla interamente su Persephone. Improvvisamente mi sentì mancare la terra da sotto i piedi, una vertigine sembrava volermi intrappolare paralizzando gambe e braccia. Non mi accorsi neppure che stavo trattenendo il respiro fino al momento in cui mi ritrovai in debito d’aria e annaspai.
    Il tocco di Persephone, questa volta sul viso, fu capace di mozzare quel flebile respiro che ancora osavo profondere. L’attrazione che si era scatenata fu potente, avvolgente, una scintilla che d’un tratto si era trasformata in un incendio… La fissai intensamente mentre valutava l’abito che avevo trafugato per lei, ma sapevo che il legame magnetico che ci attirava l’uno verso l’altra era ancora lì, talmente forte che rischiava di diventare d’acciaio inossidabile. Cosa ci stava succedendo? Non mi ero mai sentito così con una donna… Adagiai il mio palmo su quello di lei, a sua volta stretto sul ricco tessuto. Le accarezzai pelle: era bollente, tremante, pareva avere la febbre, ma non mi arrischiare a domandare nulla. Temevo che la forte intimità che avevo sentito fosse stato solo frutto della mia fantasiosa immaginazione. Infatti, lei aveva smesso di guardarmi e… di accarezzarmi.
    “Sono stanca, ho bisogno di riposare. E sono affamata”
    Colsi al volo quell’occasione per riavermi dalla strana vertigine che mi avevo colpito, rispondendo alla sua affermazione.
    “In dispensa c'era poco e niente, e quel poco era andato in malora da mesi... dovremmo trovare il modo di procurarci del cibo, o soffriremo la fame in mezzo al lusso. Saremmo come dei Re Mida moderni!”
    L’ironia, il sarcasmo, la battuta pronta, ecco di cosa avevo bisogno per ritornare in me.
    “Hai trovato anche dei mantelli, negli armadi?”
    Il mio sguardo si fece curioso ed… emozionato! Una sana passeggiata per i vicoli della città protetti dall’ombra della sera imminente era proprio ciò che ci serviva per poter trovare un po’ di pace e – dentro di me speravo – un altro po’ di quella complicità che stavo imparando ad apprezzare.
    […]
    La tenevo per mano. Questo bastava a rendermi euforico. Passeggiare per le vie della mia Firenze, poi, completava la sensazione piacevole di déjà che mi animava. Tuttavia, a tratti, un leggero peso sul petto mi riportava alla mente la mia reale situazione: ero in un’epoca in cui ero morto da davvero troppo poco tempo! I nostri abiti ci mimetizzavano alla perfezione e la penombra delle strade ci proteggeva da eventuali fastidiosi incontri. Avevo indicato a Persephone una bottega minuscola in cui vendevano le prelibatezze migliori di tutta la città, almeno secondo i miei gusti. Perciò desideravo che anche lei potesse gustarli. Lasciai che i capelli, ancora liberi, ricadessero sul volto e adombrassero il mio sguardo… lì quasi certamente mi avrebbero riconosciuto se non avessi usato qualche accortezza. Fummo fortunati, il commesso che ci servì era nuovo e molto giovane, perciò uscimmo dall’esercizio colmi di leccornie senza aver corso un reale pericolo. La tenevo ancora per una mano, mentre con l’altra sorreggevano entrambi un sacchetto di carta grezza. Non riuscivo a smettere di lanciarle occhiate fugaci ma attente e il suo sorriso – quanto mai raro sulle sue labbra – mi parve il miracolo più grande a cui avessi mai assistito ed io, di miracoli, me ne intendevo.
    Parlammo poco, come se quella vicinanza fosse già colma di mille e mille parole non dette, mentre ci appartavamo in una piccolissima piazzetta poco frequentata. Una fontana di pietra a forma di delfino spruzzava acqua cristallina in tutte le direzioni, creando dei giochi ipnotici. Persephone ne rimase incantata, eppure ero certo che quello spettacolo non era nulla in confronto a ciò che aveva visto nella sua intera mutevole esistenza… o forse no? In fondo non la conoscevo davvero e questo mi incuriosiva ancora di più.
    “Qui saremo al sicuro, questa piazza non è frequentata dai nobili – loro preferiscono ben altri luoghi! – e a quest’ora della sera potrebbe esserci solo qualche passante. Direi che possiamo goderci qui il nostro pasto e potrai anche riposarti un po’.” Avevo parlato guardandomi attorno per avvalorare le mie parole, ma non ero preparato a ciò che avrei visto sul viso di Persephone quando mi voltai verso di lei. Aveva gli occhi lucidi, era… emozionata? Sorpresa? Non riuscivo a decifrare le sue emozioni in quel momento. Beh, in realtà non ci riuscivo praticamente mai! Per cercare di superare quell’impasse, cominciai a tirare fuori il cibo appena acquistato: pane caldo alle olive, formaggio morbido di capra, succosi pomodori conditi, un fiaschetto di vino rosso profumato… e niente, non riuscivo a capire perché Persephone continuasse a tenere stretto il suo sacchetto tra le dita, le nocche bianche per la presa ferrea, le labbra strette in una linea quasi dolorosa.
    “Persephone, tutto bene? Sembri provata…” Senza pensarci su due volte le passai le dita sulla fronte e poi su una guancia, come se davvero volessi sincerarmi che non fosse febbricitante. Sembra quasi che tu non abbia mai passeggiato per una città… con qualcuno… e che non abbia mai visto una fontana, del buon cibo, un sorriso…” Perché avevo la netta – e terribile – sensazione che Persephone fosse… sopraffatta? Non sapevo bene da cosa, ma di certo lo avrei scoperto a breve. Riposi quanto avevo scartato al sicuro sul bordo della panca su cui avevamo preso posto e poi mi rivolsi ancora più serio verso di lei. Avvolsi il suo viso caldo tra mie mani e mi avvicinai piano, pianissimo, fino a sentire il suo respiro veloce sulla mia bocca. Ma non andai oltre. Avevo solo bisogno di capire.
    “Dimmi cos’è che ti turba, Persephone… puoi dirmelo…” la esortai con voce dolce, bassa e sì, forse un po’ suadente.


    Edited by KillerCreed - 20/5/2019, 11:13
     
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    :Persephone:
    Mentre mi calavo sul viso l'ampio cappuccio del mantello di lana, faticavo a nascondere l'emozione che stavo provando. Cercavo di essere assennata, ma la voce della bambina dentro di me continuava a riempirmi i pensieri, scompigliandoli e mandandoli all'aria senza troppe cerimonie.
    I profumi, i rumori, gli edifici ed i palazzi stuccati, i volti delle persone, la loro parlata con il forte accento, tutto mi veniva incontro, sembrava accogliermi, sembrava invitarmi a rimanere sulla Terra per sempre, circondata dalla bellezza.
    Il canto cristallino dell'acqua nella fontana fu complice dei miei piani di fuga: sarei scomparsa, mi sarei nascosta agli occhi indagatori di mio marito, avrei trovato un luogo nel quale rifugiarmi, per vivere il sogno di amore che stava riempiendomi l'anima.
    Se avessi considerato ogni angolo della Terra, ogni momento della sua storia, sarei sicuramente riuscita a trovare il nascondiglio adatto per rendermi invisibile.
    Il mio dovere di Guerriera sarebbe passato ad altri: in fondo poco mi importava. Fino a quel momento, la mia vita era stata una continua successione di doveri, di regole e di compiti da rispettare. Di persone da compiacere, di situazioni nelle quali essere all'altezza.
    Nessuno aveva mai davvero chiesto a me cosa desideravo, nessuno, neanche mia madre, che pur mi amava molto. Per lei, ero sempre la sua piccola figlia, da proteggere.
    Men che meno mio marito, per cui ero solo un trofeo da esibire, una sfida da dominare.

    Da dove veniva tutta questa amarezza, questo rancore?
    Poteva essere tutto riconducibile a Federico? Alla prima persona che davvero mi aveva guardata negli occhi cercando di capire chi fosse l'anima era celata dietro?
    Desideravo che la sua vicinanza mi proteggesse da tutto quello che mi pesava sulle spalle, che mi difendesse addirittura da me stessa.
    Dalla mia parte oscura, quella che veniva fuori contro il mio volere.
    Mi avrebbe accettata anche in quel caso? Avrebbe avuto il coraggio e la forza di contrastare la perversione, la cattiveria, la crudeltà che possedevo dentro di me?
    “Dimmi cos’è che ti turba, Persephone… puoi dirmelo…”
    Nei miei tormenti, non mi resa conto che ci fossimo seduti, non avevo avvertito la fragranza del pane appena sfornato che in altre circostanze avrebbe deliziato i miei sensi, non mi ero neppure accorta del tocco gentile di Federico sul mio viso.
    Un tocco che desideravo, ma che sapevo di non poter avere.
    Sbattei le palpebre, come se mi risvegliassi da un sogno.
    Perché ero così sciocca da illudermi? Lui mi avrebbe trovata, comunque e ovunque. Non avevo scampo. E, a mio favore, non potevo neanche invocare la mia innocenza, la mia inconsapevolezza... entrambe le avevo perse da troppo tempo.
    Ero corrotta. Hades aveva fatto in modo di legarmi a sé per sempre. Avevo accettato la dissolutezza, la licenziosità, la perversione, il vizio senza opporre alcuna resistenza. Ero malvagia, per una buona parte della mia anima.
    Ero persa.
    Gli misi una mano dietro la nuca, i nostri profili si sfioravano. Per qualche secondo, respirammo la stessa aria. Fissai lo sguardo nel suo. Scorsi perfettamente la sua incredulità, lo sgomento che lo colpirono come un pugno allo stomaco, quando lesse nei miei occhi quello che davvero ero.
    Celai la mia infelicità dietro un tono sprezzante, gelido e distante quanto una landa inospitale durante il momento più freddo dell'inverno: ”Credimi, non vuoi davvero conoscere l'origine dei miei turbamenti”!
    Mi alzai, voltandogli le spalle. Prima di sparire nei vicoli bui, recisi con crudeltà anche la più piccola speranza di trascorrere altri momenti di gioia in sua compagnia: ”Sei più sprovveduto di un bambino che gioca con uno scorpione. Non so se ammirarti o compatirti per la tua stupidità...”
    Scappai per le strade della città, ormai deserte.
    Non mi parevano più così tanto accoglienti, ora, perché rispecchiavano la solitudine e la desolazione che sentivo premermi sul cuore.
    Alla fine, stremata e disorientata, mi rifugiai dentro un magazzino dalla porta socchiusa. Nella penombra intravvedevo casse, otri e pacchi di mercanzie disposte in bell'ordine, un contrasto quasi beffardo al caos che avevo dentro di me. Scivolai per terra, e lasciai che le lacrime si portassero via almeno un po' del mio dolore.
    Mi addormentai senza rendermene conto, un sacco di granaglie come cuscino.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:56
     
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    :Federico:
    La musica riempiva la sala, rallegrando gli ospiti intenti a conversare e, soprattutto, ballare.
    Dentro a quel salone, riccamente decorato per l’occasione, in mezzo a tutta quella gente che si divertiva, io, Federico Auditore, mi sentivo strano.
    Forse perché ormai mi ero un po’ abituato al XXI secolo, o forse, molto più probabilmente, perché ero lì, vivo, in mezzo a persone sicure della mia morte, in un’epoca dove ormai non ero altro che un ricordo.
    Stavo vivendo come un deja-vu della mia vita prima della mia morte. Ahh, i bei vecchi andati. Praticamente ogni sera Ezio ed io eravamo a feste del genere… sto pensando come un vecchio!
    Ero in mezzo alla folla, nessuno sapeva chi fossi, ma io mi sentivo così strano perché stavo danzando con lei.
    Dovevo ammettere che avevo seriamente avuto paura che non l’avrei più rivista dopo la sua reazione di qualche sera fa. Mi aveva lasciato interdetto, non per quello che mi aveva detto -di quello non me ne fregava nulla-, ma per lo sguardo che aveva mentre mi parlava, mentre mi guardava, il modo in cui si perdeva nei suoi pensieri, come se dentro di lei non ci fossero altro che battaglie interiori.
    Persephone mi aveva detto quelle parole per allontanarmi, ma ovviamente non aveva fatto altro che incuriosirmi e avvicinarmi a lei.
    Volevo aiutarla. Volevo vederla sorridere. Volevo che fosse felice, perché attualmente sembrava non esserlo.
    Per questo l’avevo invitata a ballare. Ora era stretta a me, fasciata in un abito che la rendeva ancora più bella di quanto già non fosse. Lei evitava costantemente il mio sguardo, o almeno ci provava, perché era successo più volte che i suoi occhi incontrassero i miei, e in quei momenti, almeno per me, sembrava che il tempo si fermasse. Che diavolo mi aveva fatto questa donna?
    Mi aveva persino convinto a tuffarmi in una missione di cui non sapevo assolutamente niente. Mai nessun’altra era riuscita a farmi sentire come mi faceva sentire lei.
    Ero un ragazzino insicuro e perso di fronte a lei, un po’ come Ezio quando ci provò per la prima volta con Cristina. Ecco, io mi sentivo sempre così con lei.
    Il cuore che batteva all’impazzata, l’aria che quasi mi mancava.
    Più la guardavo, più la stringevo, e più che non potevo fare a meno della sua presenza.
    La musica finì, per poi ricominciare subito dopo con un’altra melodia.
    “Ti va di ballare ancora?” chiesi speranzoso.
    “Ho bisogno di un po’ d’aria. Dopo però più che volentieri.” disse accennando un sorriso.
    “Vuoi che venga con te?”
    “No grazie. Preferisco stare un po’ da sola.”
    Sparì oltre il corridoio, ma notai una cosa che mi mise in allarme.
    Un uomo mascherato la seguì. Questo l’afferrò per il polso e le sussurrò qualcosa all’orecchio.
    Non sapevo cosa le avesse detto, sapevo solo che Persephone sembrava sconvolta e terrorizzata.
     
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    :Persephone:
    Non mi sorpresi quando mi sentii afferrare il braccio e trascinare dentro ad una stanza vuota. Non opposi resistenza quando lui chiuse la porta a chiave dietro di noi, e mi portò nell'angolo più lontano, attraversando un ambiente spazioso, debolmente illuminato dalla luce lunare che arrivata dalle finestre alte.
    Avevo percepito la sua presenza mentre ero nel salone affollato di ballerini, e da quel momento l'oppressione al petto era aumentata fino ad impedirmi di respirare. Avevo abbandonato la festa alla ricerca di aria, ma anche alla ricerca di mio marito.
    Hades mi stava davanti, immobile, ad osservarmi con quel suo modo rapace e possessivo. Si sfilò lentamente la maschera di porcellana, scoprendo i suoi lineamenti marcati, il suo sorriso storto, che mi erano dolorosamente familiari. Gli occhi erano due tizzoni ardenti che contenevano il suo temperamento volitivo e passionale.
    Rimasi immobile a mia volta, troppo angosciata per poter decidere rapidamente una strategia per affrontarlo.
    “Non dovresti trovarti qui, su questo pianeta, mia amata sposa... non ricordi il divieto che proibisce di visitare questo sasso sperduto e arretrato? Immagina per di più la mia sorpresa quando ti ho vista ballare con uno sconosciuto, tu che detesti partecipare a feste e cerimonie...”
    Come avevo potuto pensare di potergli sfuggire, di poter trovare un luogo abbastanza celato da non essere alla sua portata?
    Mi sentivo sempre più in trappola. Ma non volevo mostrargli la mia paura, che mi avrebbe tradita, così con tono accusatorio gli risposi: “Lo stesso divieto che riguarda anche te... eppure sei qui...”
    “Io sono qui per un motivo ben preciso! Dovevo recuperare un oggetto che è mio! Il ladro si pentirà di quello che ha fatto, ma prima di tutto dovevo rientrare in possesso del mio potere”
    Da una scarsella allacciata alla cintura dei pantaloni, tirò fuori il Globo per mostrarmelo. Mi morsi il labbro: ero arrivata troppo tardi.
    “Immagino che tu fossi qui per lo stesso motivo, non potrei spiegarmi in altro modo una simile coincidenza, o mi sbaglio?”
    Non risposi alla sua domanda, la risposta era fin troppo chiara, ed era confessione lampante del fatto che ero a conoscenza del furto, che stavo cercando di porre rimedio alla sottrazione e che, quindi, il colpevole poteva essere solo una persona che amavo, che tentavo di proteggere.
    Hades non era uno stupido, la sua mente era lucida, tagliente, e molto contorta.
    Avrei dovuto pensare velocemente al modo di avvertire mio fratello, prima che la vendetta di mio marito lo raggiungesse. La sua ira sarebbe stata devastante, ma in questo preciso momento, la avrebbe controllata. Era molto furbo, sapeva ben manovrare le sue risorse e muovere a suo vantaggio ogni situazione.
    Il suo sguardo non lasciava il mio. C'era qualcosa che desiderava di più della vendetta, e quel qualcosa ero io. Mi sfiorò il mento, scendendo lungo la gola, fino alla scollatura dell'abito, così ampia da lasciare il seno ben in evidenza.
    “Il nostro tempo sta per arrivare... dimmi, quanto ti sono mancato?”
    Tentai di sorridergli. Mentirgli non era un'opzione, ma la verità non gli sarebbe piaciuta.
    Mi prese per le spalle, e mi baciò di prepotenza, con durezza. Io rimasi immobile, non risposi alla sua richiesta, per quanto a suoi occhi paresse legittima.
    Le sue mani cominciarono a frugarmi, imperiose e urgenti. Era rude, e mi fece male. Le sue carezze lasciavano lividi sulla mia pelle, ma non riuscivo a fermarlo, ad impedirgli di ottenere quanto desiderava.
    Nonostante tutto, lui mi conosceva, molto meglio di quanto avrei voluto. Sapeva esattamente dove trovare la Persephone oscura, immorale e malvagia, la degna compagna del Signore degli Inferi.
    Il suo tocco impetuoso, per quanto tentassi di respingerlo, raggiungeva sempre la parte di me che reprimevo con fermezza.
    Cominciai a sentire che il sangue diventava bollente, e la creatura terribile dentro di me si risvegliò dopo lungo tempo. Solo lui la conosceva nella sua interezza, solo lui sapeva affrontarla e domarla. Solo Hades non la temeva o ne rifuggiva disgustato.
    In fondo, per quanto, lontana da lui, facessi ogni cosa per negarlo, solo lui era in grado di capirmi e di accogliermi interamente.
    Risposi al suo bacio, con più passione e violenza di lui. Lo morsi, e sentii il sapore del suo sangue nella mia bocca. Gemetti, quando il piacere si impossessò di me. Mi strinsi a lui, la mente annebbiata dal desiderio che il suo tocco mi trasmetteva, dalla brama di toccarlo, di graffiarlo, di dominarlo.
    Nel nostro rapporto, questi erano i frangenti in cui il potere era nelle mie mani, e mio marito solo un uomo adorante ai miei piedi. E questa era la cosa che amavo di più: la sensazione che provavo, quella del controllo che esercitavo su un essere così possente e formidabile.
    Cominciai a slacciargli i lacci della giubba che indossava, alla ricerca del suo petto, della sua pelle tatuata. La desideravo come l'aria, come l'acqua, come i miei sogni.
    I miei gesti erano diventati febbrili e incontrollabili, ma all'improvviso lui si staccò violentemente da me. Ansimai, lo shock talmente forte che fu come ricevere una frustata in pieno viso. Mi appoggiai al muro per non cadere in ginocchio, attonita e stupefatta.
    Lui mi fissava intensamente, un'espressione di soddisfazione e di rivalsa chiaramente visibile sul volto. Si asciugò il sangue con la manica di velluto, incurante.
    Lo odiai, perché capii ciò che aveva voluto dimostrarmi: che aveva la forza di resistermi, anche se mi desiderava più di ogni altra cosa nell'universo, più del potere stesso. Che ero sua, e lo sarei sempre stata. Ero sua moglie, e questo doveva venire prima di tutto.
    “Ti sono mancato parecchio, quindi. Tra pochi giorni ti riaccoglierò nel nostro regno e questa volta ti renderai conto quale è il posto che davvero ti appartiene. Deciderai tu stessa di rimanere con me per sempre!”
    Nel suo sguardo un mondo di promesse, di amore, di bramosia. Poi, se ne andò, abbandonandomi senza pietà.
    Le lacrime che avevo cercato di nascondere cominciarono a scendere sulle guance. Con mani tremanti mi affannai a rassettarmi l'abito, per coprire i segni rossi che avevo sulla pelle con la stoffa stracciata.
    Attraverso il velo delle lacrime, vidi per terra la mia maschera. Era caduta quando Hades si era avventato su di me, ed ora giaceva sul pavimento in due pezzi, spezzata esattamente come mi sentivo io.
    “Persephone, stai bene?”
    Riconobbi nella porta lasciata aperta da Hades andando via Federico. Esitava ad entrare, come se temesse di violare la sacralità di una tomba.
    Gli diedi la schiena per nascondere il viso ed il mio turbamento, mentre tentavo di ricostruire la pettinatura, aggiustando le ciocche di capelli che erano sfuggite dalla rete di perle.
    Non volevo vederlo, né parlargli. Volevo solo che se ne andasse.
    Invece, udii i suoi passi avvicinarsi.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:56
     
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    Lo sconosciuto la trascinò in una stanza adiacente ed io mi affrettai a seguirli, pronto ad intervenire, trovandomi davanti una porta chiusa a chiave. Tentai di aprirla, ovviamente senza successo. Avrei anche provato a buttarla giù, ma avrei attirato troppo l’attenzione, e non era proprio il caso. Dopotutto non dovevo nemmeno essere vivo in quest’epoca, dovevo passare assolutamente inosservato.
    Accostai l’orecchio alla porta per tentare di sentire qualcosa, ma niente. Ogni tanto percepivo qualche sussurro, però ovviamente a me del tutto incomprensibile.
    Non mi piaceva, non piaceva proprio per niente questa situazione. Non sapevo che fare. Mi sentivo inutile, impotente, in balia degli eventi… di nuovo. Cazzo! Ogni volta doveva ripetersi?! Chissà cosa le stava accadendo, forse il peggio, ed io ero lì fuori come un coglione con le mani in mano!
    Basta! Che mi scoprano pure, non me ne frega niente!
    Feci un passo indietro, pronto a calciare la porta, quando sentii dei rumori provenire dall’interno.
    Qualcuno stava per uscire. Mi nascosi velocemente dietro a una colonna lì vicino, vedendo lo sconosciuto sparire oltre il corridoio.
    Mi precipitai sulla soglia della porta e la vidi in un angolo buio della stanza. Mi dava le spalle mentre tentava di risistemarsi.
    “Persephone, stai bene?”
    Non ricevetti risposta. Il silenzio più totale regnava imperioso nella stanza, troppo ingombrante e soffocante per proferire anche solo un’altra parola.
    Ma in quel silenzio percepivo tutto il suo dolore. Non sapevo nemmeno io come, ma lo sentivo, forte e chiaro.
    Sapevo cosa voleva. Voleva che me ne andassi. Ma non potevo, o più semplicemente, non volevo.
    Come avrei mai potuto lasciarla così?!
    Mi avvicinai lentamente a lei, le sfiorai una spalla, facendo in modo che si voltasse verso di me.
    Le lacrime le segnavano il viso, il suo sguardo era schivo ma turbato, colmo di dolore.
    Non voleva che la guardassi in quello stato, per questo evitava di incontrare i miei occhi.
    Numerose ciocche di capelli erano sfuggite alla rete di perle, mandando all’aria la sua acconciatura.
    L’abito, che aveva tentato di sistemare, lasciava intravedere dei segni rossi sulla sua pelle diafana.
    Vederla così fu come ricevere l’ennesima coltellata nello stomaco.
    Guardai un attimo verso la porta. Ero furibondo. Una parte di me avrebbe voluto raggiungere quell'essere e spaccargli la faccia a suon di pugni fino a cambiargli totalmente i connotati.
    Come si può fare una cosa del genere? Come si fa a trattare in questo modo una persona? Ridurla così?! Con lo sguardo spaventato, ferito e colmo di vergogna? Come si può umiliare così una persona? Farla sentire persino dalla parte del torto quando questa non ha alcuna colpa?! COME?!
    Repressi a forza la rabbia che minacciava seriamente di prendere il sopravvento, riportando lo sguardo su Persephone.
    Dolcemente la aiutai ad alzarsi e la portai fuori evitando di farci vedere da sguardi indesiderati.
    La portai in Piazza Santa Trinita, che a quell’ora sapevo fosse deserta.
    La feci sedere sulla stessa panchina dove io e mio fratello sostavamo dopo le nostre scorribande o dopo una delle innumerevoli visite dal medico.
    Mi portai davanti a lei, inginocchiandomi per vedere meglio il suo viso.
    “Persephone, chi è era quello? Cosa ti ha fatto?”
    Glielo chiesi a bruciapelo. Forse avrei dovuto usare un po’ di tatto, ma dovevo sapere se stava bene, perché da quel che vedevo non sembrava affatto.
     
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    :Persephone:
    Come si può avere due anime? Per molto tempo, pur sapendo questo di me, avevo eluso sapientemente la domanda.
    Ero convinta di dover vivere assecondando solo la mia parte migliore, e ritenevo che quella negativa fosse un'anomalia, una malattia di cui vergognarsi, come un familiare orribile da nascondere alla vista degli estranei.
    Mi vergognavo quando lasciavo i miei istinti liberi di esprimersi, e odiavo le persone che mi obbligavano a portarli allo scoperto.
    Finché mi trovavo alla luce del sole, e rivestivo il mio ruolo di Guerriera, potevo vivere tranquilla, perché non mi sarei dovuta controllare, o preoccupare che le mie azioni fossero meno che integerrime.
    Ma quando scendevo negli Inferi, a sedere su quel trono che amavo e odiavo, accanto all'uomo che mi muoveva sentimenti contrastanti, tutto era più difficile, non esistevano più i toni definiti, ed ogni cosa sfumava in una penombra in cui la moralità si mischiava alla licenziosità.
    Hades cercava i miei vizi e se ne beava quando li riusciva a stanare. Oh, eravamo così simili in quei frangenti, sembravamo proprio due anime gemelle.
    Avrei potuto sforzarmi di essere migliore, ma il mio cuore batteva più forte, quando leggevo l'approvazione nel suo sguardo. Mi esaltava, sapere di essere ammirata da lui. Il suo compiacimento nei miei confronti era una droga, che anelavo ogni momento in cui gli ero vicina.
    Desideravo quell'amore, credevo che fosse l'unico che avrei potuto meritarmi.
    Poca importanza aveva, successivamente, il disprezzo che provavo per essermi piegata a compiere comportamenti orribili solo per appagarlo.
    Tutto questo lo avevo accettato come ineluttabile, fino a quando non avevo incontrato Federico. Da quando i suoi occhi avevano catturato i miei, la sua persona era stata al centro dei miei pensieri così spesso da non lasciare spazio ad altro.
    Era fortissimo il bisogno di averlo vicino, di avvertire il suo respiro, di rilevare il mutamento sottile nel colore delle iridi al cambiare del tempo atmosferico, di veder formarsi la piccola ruga sulla fronte quanto un pensiero fastidioso la attraversava.
    Il notare i piccoli cambiamenti, anche insignificanti, che si verificavano in lui ad ogni istante era un gioco che avrei giocato per sempre.
    Avvicinarmi così tanto ad un essere umano mi aveva permesso di capire molte cose. Prima fra tutte, che la bellezza non risiedeva solo nella perfezione, anzi, le imperfezioni ed i difetti erano quello che rendevano una persona, un luogo, un oggetto ancora più preziosi.
    In silenzio, un pensiero rivoluzionario si era formato nella mia mente. Aveva richiesto tempo perché riuscissi a riconoscerlo, ma la sera della festa, a causa delle profonde emozioni che mi turbinavano dentro, era finalmente nato. Forse per salvarmi da me stessa.
    Anzi, sicuramente per questo motivo.
    Non c'era nulla di sbagliato in me, niente che avrei dovuto nascondere più a nessuno. La mia anima era fatta di luci ed ombre, così come quella di qualsiasi altro essere vivente.
    Non era Hades l'unico che mi avrebbe accettata, perché non ero così spaventosa come avevo sempre creduto. Avevo diritto a vivere secondo le mie inclinazioni, ed ero quasi sicura che Federico mi avrebbe accettata.
    La piazza dove ci eravamo rifugiati aveva un debole profumo di incenso, che proveniva dalla porta della chiesa lì vicino, ancora aperta nonostante l'ora tarda.
    “Persephone, chi era quello? Cosa ti ha fatto?”
    Mi sentivo coraggiosa e fiduciosa, quindi decisi di scrollarmi di dosso la consueta ritrosia a parlare delle mie questioni private. Alla sua domanda, non mi ritrassi come al solito, ma lo guardai dritto negli occhi.
    ”Quell'uomo è Hades, il Signore degli Inferi. Ma è anche mio marito, da molto tempo. Non l'ho scelto come mio sposo, non lo avrei scelto mai. È stato lui a reclamarmi, quando ero poco più di una bambina, ed io sono cresciuta al suo fianco, subendone l'influenza. Lui è possessivo, geloso, irascibile, violento. Ma è anche premuroso, intelligente, affascinante, ed ha saputo conquistarsi poco a poco il mio affetto, la mia devozione. Nonostante odi il fatto di dovermi ritirare dal mondo per rispettare il patto che ci lega, non credo che potrei mai rinunciare veramente a lui. Se fossi libera di decidere, vivrei la mia vita in maniera diversa, senza le assurde limitazioni che mi soffocano. Purtroppo, sono stata educata ad obbedire, e a lasciare da parte quello che desidero”
    Sospirai profondamente. Mi ero messa a nudo con lui come mai prima d'ora; anche se ero sollevata di essermi tolta dal cuore il peso dei tanti segreti che avevo con chiunque, sentivo pizzicare la paura alla reazione di Federico. Di come avrebbe accolto le mie rivelazioni.
    Per tutto il tempo in cui avevo parlato, sembrava quasi non aver respirato. Il suo viso era parzialmente nascosto dalle ombre, inaccessibile.
    Avrei voluto allungare una mano per toccarlo, ma non osai.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:56
     
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    :Federico:
    Quando feci quella domanda sapevo di aver toccato un argomento tabù. L’avevo capito dalla sua espressione e dal suo silenzio tombale.
    Stava ragionando. Mi sembrava quasi di percepire la pesantezza dei suoi pensieri. Mi maledissi mentalmente. Non avrei mai dovuto permettermi di farmi i fatti suoi, anche se l’avevo fatto solo per sapere se stava bene. Tenevo a lei, più di quanto pensassi, e farla soffrire era l’ultima cosa che volevo fare.
    Stavo per alzarmi e dirle una cosa tipo "Ehi tranquilla, lascia fare quella stupida domanda" e altre scuse varie, quando il suo sguardo si incatenò al mio indissolubilmente. Non stava evitando l’argomento, anzi, diversamente dal solito ci si stava buttando a capofitto.
    Aveva sempre dimostrato sicurezza, sia in quello che faceva che in quello che diceva, ma mai l'avevo vista così determinata. All'apparenza fragile -visto lo stato in cui era- ma in realtà forte come non mai.
    (...)
    Mi immaginavo che sarebbe stato un racconto difficile, ma mai avrei potuto anche lontanamente pensare a quello che mi aveva appena detto.
    Non so come, riuscii a mantenere una facciata quasi inespressiva, come se stessi ragionando, ma dentro...
    Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo!
    Quello era suo marito! E per di più era anche il Signore degli Inferi! Non osavo immaginare il peso e il dolore che le gravavano addosso ogni giorno. Il terrore del tempo che scorre, quello stesso tempo che poteva maneggiare ma non manipolare a suo piacimento. Dono e prigione allo stesso tempo. Che razza di scherzo crudele era? Il detto "Chi ha il pane non ha i denti" era proprio azzeccato nel suo caso.
    Sentirle dire quelle parole colme di tristezza mi aveva stretto il cuore.
    Come un fulmine -tanto il ricordo era improvviso- mi tornò alla mente di quel mito che il precettore tentava di farmi entrare in testa quando ero un moccioso. All’epoca mi annoiava terribilmente perchè la consideravo solo una storiella.
    E guarda ora! Mi sono preso una gigantesca sbandata per la sfortunata protagonista di quella storia.
    Pensai all’enorme sforzo che aveva fatto per raccontarmi la sua storia, la fiducia che aveva riposto in me, la paura di essere giudicata. Tutto ciò sommato al fatto che fra non molto doveva tornare con lui giù negli Inferi.
    Quel pensiero mi terrorizzò.
    Misi una mano sulla sua e l’altra sulla sua guancia, carezzandola dolcemente con il pollice. La guardai dritta negli occhi. Aveva paura. Paura di non essere accettata.
    Le baciai la mano e le sorrisi dolcemente.
    “Che ne dici se da ora inizi a seguire i tuoi desideri e a vivere solo e soltanto per te? Non si può vivere per sempre in una prigione, anche se questa è dorata... Se vuoi, io sono più che disponibile ad aiutarti Persephone. Farei di tutto per rivedere quel bellissimo sorriso spensierato.”
     
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    :Persephone:
    Le emozioni mi travolsero. L'aria tiepida della notte, il silenzio quasi sospeso del luogo, la vicinanza, inusuale per me, con un altro essere, il suo tocco delicato e le sue parole, colme di una passione sincera quanto coraggiosa, arrivarono a compiere la magia: alla fine, il mio vero io venne alla luce.
    Alla fine la vera Persephone si mostrò al mondo. Non aveva più un passato, ed il futuro non era una preoccupazione che le pesava sulle spalle.
    Avrei voluto dilatare il momento presente a mio piacimento.
    Per una volta, riuscii ad essere davvero me stessa. A capire quali fossero davvero i miei desideri più nascosti, quelli che non avevo mai avuto il coraggio di confessare neanche a me stessa.
    Volevo essere felice.
    Volevo sentirmi amata per quello che ero.
    Ero stanca di indossare una maschera anche davanti allo specchio, nel tentativo di compiacere altre persone. Provavo una stanchezza che non riuscivo neanche più a quantificare.
    Volevo essere vista in tutte le mie imperfezioni, meschinità, slanci di generosità, sogni ad occhi aperti.
    Volevo smettere di nascondermi, almeno agli occhi di una persona in tutto l'universo; la mia anima aveva scelto proprio lui, questo ragazzo forte, generoso e bello, dallo sguardo limpido e sincero.
    ”Farei di tutto per rivedere quel bellissimo sorriso spensierato”
    A quelle parole, il mio cuore si librò alto nel cielo. La gabbia in cui era stato imprigionato da sempre si aprì al suo tocco, ed io mi sentii leggera, felice, piena di speranza. Tutto sarebbe stato possibile, se fossi rimasta fedele a me stessa.
    Non era solo l'assaporare la libertà a rendermi così euforica. Il fatto di essere finalmente libera mi aveva anche dato il coraggio di ascoltare i miei sentimenti. Mi aveva permesso di chiamare con il nome giusto ciò che provavo.
    Hades sarebbe sempre stato una persona importante per me, i sentimenti che ci legavano erano forti e non intendevo negarli o reciderli, perché comunque sentivo che non sarei mai riuscita ad estirparli mai del tutto dal mio cuore.
    Ma l'amore, ecco quello che era, che provavo per Federico era altrettanto forte. E al contempo, luminoso, audace, pieno di promesse. Non avrei rinunciato all'entusiasmo e alla gioia che mi scorrevano nelle vene, alla pienezza che sentivo dentro me stessa grazie a quello che provavo per lui. Non potevo promettere nulla a Federico, se non che con lui sarei sempre stata sincera. Anche a costo di ferirci.
    Il mio cuore era diviso a metà tra due uomini, ma io ora non temevo più le conseguenze delle mie scelte. Le avrei affrontate, sarei stata forte a sufficienza per farlo.
    Non volevo più aspettare. Non avrei più frapposto ostacoli a ciò che desideravo con tutta me stessa. Decisi che mi sarei concessa questi momenti in cui la mia anima avrebbe potuto splendere, senza muri che la imprigionassero, senza doveri che mi opprimessero.
    Feci quello che volevo fare da tanto tempo. Lo baciai.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/9/2019, 17:56
     
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    :Federico:
    Quante donne avevo baciato nella mia breve vita? Ormai non ricordavo più quante, nè quei numerosi momenti.
    Gli unici di cui avevi ancora memoria e che non si erano sbiaditi e confusi con gli altri si potevano contare sulle dita di una mano.
    Ero però certo che quello che mi scambiai con Persephone non me lo sarei mai dimenticato, sarebbe rimasto impresso nei miei ricordi e nel mio cuore.
    Fu completamente inaspettato e diverso, come un fulmine a ciel sereno -esattamente come lei era apparsa nella mia vita.
    Dovevo ammettere che l'idea di baciarla ce l'avevo già da tempo, ma non ci avevo mai provato per paura di un suo rifiuto o di spaventarla.
    Paura! Io! Di baciare una donna! Che diavolo mi sta succedendo?!
    Mai, e dico MAI, mi era capitata una cosa del genere.
    In passato potevo avere il timore di assumermi le mie responsabilità e di fallire nel tentativo, potevo sentirmi inadeguato e dubbioso riguardo al mio ruolo di primogenito, ma di sicuro non avevo paura di confrontarmi con il gentil sesso -ancora devo capire perchè viene definito così.
    A pensarci bene, anche se non lo davo a vedere, non ero davvero lo scansafatiche menefreghista che sembravo. In realtà non era altro che una maschera fatta di spavalderia che nascondeva la mia parte più profonda e intima, costantemente attanagliata da dubbi e senso di inadeguatezza.
    Questo lato di me l'ho mostrato a pochissime persone -Ezio, Claudia, forse qualcun'altro?-, non senza difficoltà, ma con Persephone mi sentivo davvero libero di lasciarmi andare anche da questo punto di vista. La conoscevo da relativamente poco tempo, ma tutte le mie difese e la mia maschera si erano sgretolate con estrema velocità con lei.
    Forse perchè -ovviamente con enormi differenze, lei purtroppo viveva una situazione ben peggiore della mia- eravamo molto simili?
    Tutto questo mi fece capire quanto lei contasse per me, quanto io tenessi a lei. Non sapevo esattamente quanto, ma sicuramente molto.
    Ogni volta che la vedevo il mio cuore sussultava come mai aveva fatto.
    Se fossi completamente impazzito potrei anche dire che la amo… forse è così?
    Non lo sapevo, ma sicuramente non mi interessava saperlo in quel momento.. o forse quello era il momento perfetto per capirlo?
    L'unica cosa che sapevo era che volevo concentrarmi solo e soltanto su quel momento, su di lei, sulle sue labbra ed il suo bacio, a cui risposi con dolcezza, stringendola a me.
    Anche se una parte di me voleva approfondire quel bacio, mi controllai per paura che si ritraesse. Era assolutamente l’ultima cosa che volevo. Mi accorsi in quel momento di quanto ardentemente avevo aspettato questo momento, quanto la desiderassi.
    Non so quanto durò quel bacio, però in quel -secondo me fin troppo breve- momento mi sentii davvero in pace. Con me stesso, con il mondo, con tutto. Mai mi era capitato. Fu una sensazione stupenda.
    Eh sì, sono davvero cotto.
     
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