Past & Present: Flashback

Season 3

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  1. Renesmee_Snape
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    Ero ancora scossa per quello che era successo giorni addietro, ancora non avevo capito tutti quei flash che mi erano passati davanti agli occhi mentre concentravo il mio potere su Eris...
    Ne avevo parlato con Atlas? No, non l'avevo fatto... Avevo intenzione di farlo? Non ne avevo la più pallida idea... camminavo per i corridoi della Trinity, avevo appuntamento con Atlas per parlare di quello che era successo, per trovare una spiegazione... Ma avrei trovato il coraggio di dirgli tutto? Tutto quello che avevo visto, che pensavo, che provavo? No... Forse... Avrei lasciato tutto al caso.
    Mi portai una mano alla testa massaggiandomi le tempie, da quel giorno mi portavo dietro un mal di testa allucinante che non voleva abbandonarmi e stavo cominciando ad impazzire.
    Arrivai al punto di incontro ma Atlas non era ancora arrivato, mi appoggiai al muro e chiusi gli occhi sperando che il dolore si alleviasse.

    Leopold ed Ophelia mi avevano sempre ripetuto che ero importante ma non avevo parlato con nessuno di quello che era successo, ne avevo parlato con me stessa, e avevo convenuto che avevo paura, ancora, ma ero anche giunta alla conclusione che dovevo parlare con Atlas perché se c'era qualcuno che poteva capirmi quello era lui.
    Vedevo davanti a me quella enorme libreria e tutto quello che volevo fare era entrarci...
    Mi ero chiusa nella mia mente ed avevo provato ad entrarci, ma se mi soffermavo su quella immagine, il mal di testa aumentava e due porte d'argento si materializzavano a chiudermi fuori da quella marea di libri che sembravano essere così importanti per me, per la mia storia.
    Avrei scoperto chi ero veramente? Avrei scoperto perché non mi sentivo appartenere a quel posto?
    Sapevo cosa dovevo fare, o almeno lo credevo corretto... dovevo parlare con Atlas, dovevo raccontargli tutto, lui non mi avrebbe creduto pazza, mi avrebbe creduto, avrebbe avuto fiducia in me, come io l'avevo in lui.

    Aprii gli occhi sentendo dei passi in lontananza, rendendomi conto solo adesso della mano indolenzita per averla tenuta fino a quel momento sulla tempia destra, dove il dolore era più forte.
    Che stavo facendo? Non era da me farmi mille domande, essere tanto insicura... ma in fondo, nel mio piccolo, sapevo di non essere sicura nemmeno di questo. Allo stesso tempo, ero sicura di non essere stata così prima, ma quel prima, non sapevo neanche io quando e se era esistito.
    Mi fidavo davvero di Atlas? Sì, sembrava la cosa giusta da fare... Mi fidavo di Eris? Una cosa era certa, mi intimoriva.
    Rabbrividii mentre mi staccavo dal muro e prendevo un gran respiro prima di pulire il viso da quei pensieri e sorridere ad Atlas
    "Ciao, Atlas"


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/5/2019, 20:00
     
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    :Atlas:
    Sorrisi di rimando a Rhea sentendomi come sempre a disagio con quella ragazza che avevo incontrato quasi per caso circa un anno fa e che ora si era trasformata in una compagna di scuola oltre che l'unica amica che avessi (oltre le Erinni ovvio). La verità è che entrambi eravamo figli dell'indifferenza della gente che spariva solo quando quest'ultimi decidevano di usarci come loro passatempo perferito per prese in giro insensante e bullying di cattivo gusto. Nonostante le mie immense capacità e la voglia a volte di metterli a tacere, il ricordare quanto piccoli ed insignificanti fossero mi aiutava a frenarmi, a non curarmi di loro ed andare oltre.
    "Sono molto felice che tu abbia accettato il mio invito, come stai?" le chiesi sinceramente interessato e leggendo nei suoi occhi il mio stesso smarrimento.
    "Come se il mondo fosse a conoscenza di qualcosa che a noi sfugge" mi rispose lei con quel tono sempre malinconico che la contraddistingueva.
    Assentì un po' ansioso mentre guardandomi intorno feci un ulteriore passo verso di lei, abbassando il tono di voce.
    "Sei spaventata?"
    "Dovrei. Insomma ho visto due dei mie insegnanti e coloro che per anni si sono presi cura di me divenire improvvisamente... non so nemmeno io. Venir attaccata da strane donne da poteri incredibili e in ultimo venir incitata da tua madre ad usare un'energia che non sapevo di possedere. Dovrei essere sconvolta. Incredula. Dovrei dire che è impossibile, che il sovrannaturale non esiste eppure... tutti mi sembra così normale... così ovvio e non so nemmeno io perchè" aveva parlato in modo calmo, nascondendo benissimo la sua concitazione e la sua confusione.
    Mi intenerì ed in modo del tutto smaliziato questo mi spinse a prenderle la mano ed invitarla silenziosamente e fiduciosamente a seguirmi. Camminammo per i corridoi vuoti fino a prendere una porta che ci portò nei sotterrani lì dove dietro un apparente porta di un rispostiglio si nascondeva in realtà una stanza un poco più grande, il mio rifugio segreto.
    "Vengo qui quando non voglio essere trovato da nessuno, quando voglio star solo..." glielo dissi con dolcezza, con quell'ingenuità e purezza che apparteneva più ad un bambino piccolo che ad un giovane teenager. Ma entrambi eravamo così, due anime antiche in due corpi assai giovani.
    Rhea si guardò intorno sorridendo ad alcuni elementi che io avevo messo per abbellire la stanza, come delle lucine alla parete o qualche peluche, fin quando guardando in fondo alla stanza riconobbe quello che appariva come un altare.
    Dopo aver riportato in vita mia madre mi ero allenato molto con gli incanti, all'oscuro dei miei genitori, e con piacere ed orgoglio trovavo nello studio degli incanti un'interessante hobby.
    "Non aver paura, te ne prego... ti ho portato qui perchè... ecco volevo chiederti se anche tu come me vuoi sapere di più su ciò che siamo veramente... insomma io lo so, ma... sento che ci sono ancora delle lacune... immagino che anche tu abbia molto domande ed io... io so come fare per avere le risposte..." parlai un po' tentennate, mentre lei guardandomi perplessa si torturava le mani osservando l'altare su cui campeggiavano un tomo nero, assai alto e vecchio, ed un calice finemente intarsiato.
    Era il libro nero degli incantesimi di mia madre ed il Graal che avevo trafugato dagli archivi della Trinity, entrambi li avrei rimessi apposto affinché nessuno si accorgesse che li avevo presi in prestito.
    "La logica mi dice di fuggire, ma l'istinto mi spinge ad accettare... Dopo quello che è successo, mi sento strana ed ho mille domande..."
    "Fidati di me Rhea..." sussurrai alzando la mano e porgendola nei confronti della ragazza, lei che la fissò a lungo prima di decidersi a prenderla ed insieme dirigerci di fronte all'altare ove ci inginocchiammo.
    "Preparerò una pozione e poi la berremo... alché ogni nostra domanda riceverà una risposta!"
     
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  3. Renesmee_Snape
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    Il sorriso dolce di Atlas mi riscaldò un poco, ma nella mente avevo ancora un miliardo di domande, forse anche di più.
    Comunque fosse, lui era il solo con cui riuscivo a essere tranquilla e riuscivo a parlare forse perché eravamo simili, o meglio, eravamo in situazioni simili, per così dire nella stessa barca, ma in questo caso si trattava sia di una piccola scialuppa di salvataggio che ci sbalzava in mare durante la tempesta sia di un potente vascello che ci teneva ancorati a quella realtà da cui entrambi, pensavo, volevamo fuggire.
    Atlas mi disse che era lieto che avessi accettato, e come avrei potuto rifiutare? "Come sto?" Presi fiato e gli risposi guardandolo solo per un secondo "Come se il mondo fosse a conoscenza di qualcosa che a noi sfugge"
    Ed era vero... mi sentivo esattamente così, non stavo né bene né male, ero semplicemente smarrita, persa nelle domande innumerevoli che aleggiavano nella mia mente da quel giorno, alle quali, mio discapito, non sapevo dare risposta...
    Guardavo in basso quando sentii Atlas avvicinarsi a me e quella sensazione mi fece alzare il viso quel tanto che bastava per guardarlo meglio e rispondere alla sua domanda cercando di non far capire come esattamente mi sentivo e cosa provavo veramente.
    "Dovrei. Insomma, ho visto due dei mie insegnanti e coloro che per anni si sono presi cura di me divenire improvvisamente... non so nemmeno io. Venir attaccata da strane donne da poteri incredibili e in ultimo venir incitata da tua madre ad usare un'energia che non sapevo di possedere. Dovrei essere sconvolta. Incredula. Dovrei dire che è impossibile, che il sovrannaturale non esiste eppure... tutto mi sembra così normale... così ovvio... e non so nemmeno io perché"
    Bugiarda. Il perché lo sapevo ma non volevo ammetterlo, sentivo che tutto quello era legato a ciò che avevo visto o creduto di vedere, no no, sicuramente visto per certo, ma non lo avrei mai ammesso a me stessa... forse ad Altas... forse...
    Ma non ebbi il tempo di dire o pensare altro che la mia mano si ritrovò tra quella di Atlas e venni accompagnata da lui lungo i corridoi... Il modo silenzioso in cui mi aveva invitata a seguirlo e con il quale mi guidava mi dava fiducia in quel ragazzo di cui forse conoscevo troppo o troppo poco.
    Mi portò nei sotterranei e si fermò davanti ad una porta che aprì lasciandomi entrare...
    "Il suo rifugio?" La dolcezza e l'ingenuità della sua voce mi spinsero a fare un passo verso l'interno e guardarmi intorno.
    Le lucine alle pareti e i peluche mi fecero sorridere, quel posto abbellito alla bel e meglio rispecchiava il desiderio del ragazzo di rimanere da solo in un posto da chiamare rifugio, all'occorrenza.
    Il mio sguardo si fisso sull'altare nella stanza sul quale erano riposti con cura alcuni oggetti tra cui un bellissimo calice intarsiato e un tomo nero; mentre osservavo questi oggetti e ascoltavo le sue parole, le mie mani litigavano tra loro su quale delle due dovesse contorcere prima l'altra. Stavo riflettendo su quello che aveva detto, volevo delle risposte, ma se le volevo dovevo essere pronta a far presente ad Atlas le mie domande... non si può rispondere ad una domanda silente... "La logica mi dice di fuggire ma l'istinto mi spinge ad accettare... Dopo quello che è successo, mi sento strana e ho mille domande..." Fissai la mano che mi offriva per un tempo che mi parve lunghissimo prima di accettarla e inginocchiarmi all'altare accanto a lui.
    "Una pozione, per rispondere a domande numerose quanto le stelle? Io mi fido di te... ma forse tu non ti fiderai di me, dopo quello che sapremo, Atlas
    Avevo deciso. Glielo avrei detto prima di continuare.
    "Le mie domande sono grandi, e forse hanno tutte la stessa risposta o più di una risposta... ho visto delle cose... che neanche io so spiegarmi... in quel momento... mentre usavo un'energia che non sapevo di possedere, ho visto cose di un mondo che so appartenermi ma che non ho mai visto... Prima di continuare, devi giurarmi una cosa importante...
    Lo guardai negli occhi, con la paura nel cuore e gli occhi lucidi...
    "Devi giurarmi che non cambierà nulla, che non ci abbandoneremo a vicenda, qualsiasi cosa vedremo... Giuramelo, Atlas

     
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    :Atlas:
    La domanda di Rhea mi riempì di tenerezza perchè le sue paure erano anche le mie. Entrambi avevamo la certezza e la consapevolezza di essere emarginati... dei freaks, ma al contempo entrambi avevamo fatto della nostra solitudine la nostra virtù. Non ci curavano dei pensieri, degli sguardi o delle parole altrui, ma entrambi avevamo la certezza che non avremmo sopportato il disprezzo dell'uno nei confronti dell'altra. Fu in virtù di questo che presi entrambe le sue mani nelle mie e guardandola dritta negli occhi esclamai: "Lo giuro" perchè era una promessa che facevo a lei, quanto a me.
    Rimanemmo per un breve periodo in quella posizione entrambi cercando conforto e tranquillità in quella stretta, cercando nei nostri occhi un porto sicuro in cui calmare il maremoto che sentivamo dentro.
    Quando iniziai il rito e la pozione fu pronta nessuno dei due esitò nel prenderla, anche se era palpabile l'agitazione per ciò che avremmo scoperto. Vivere nell'incertezza era ciò che davvero frustrava e confondeva e la ricerca della verità diveniva così ai nostri occhi l'unica panacea seppur una paura insormontabile d'affrontare.
    Ad occhio esterno entrambi saremmo apparsi come privi di sensi, sdraiati nella buia stanza, ma in realtà le nostre coscienze avevano preso a viaggiare lontano inalzzandosi dai nostri corpi, superando le barriere di muratura dell'edificio, andando oltre le nuvole e poi sempre più su... superammo addirittura l'atmosfera terrestre, iniziammo a viaggiare nella galassia, nel tempo, nello spazio... sempre più profondamente... sempre più lontano fino a giungere in un luogo di oscurità puntellato di stelle.
    Una grande piana desolata dove si eregevano 15 giganti di luce. Questi erano disposti a cerchio ed ognuno emanava delle vibrazioni forti riconducibili alle loro virtù. Erano esseri antichi che osservavano lo spazio intorno a loro, così vuoto, così triste, così privo di equilibrio.
    "E' finito il tempo della solitudine, per millenni abbiamo lavorato per costruire tutto ciò... ma adesso... adesso è arrivato il momento di dargli vita" esclamò Jemiah, l'Analizzatore.
    "La vita porta confusione, porta conflitti, porta squilibrio... è saggio?" esclamò Ziran, l'Esaminatore.
    "Allora assicuriamoci che così non sia. I giusti calcoli possono garantire un modo affinché l'equilibrio sia sempre mantenuto" esclamò Nezarr, il Calcolatore.
    "Dobbiamo assicurarci che i vizi ed il caos dilagano seminando terrore e sangue" esclamò Exitra, Lo Sterminatore.
    "Senza dimenticare le virtù, principi che ispirino ordine, libertà e coraggio" esclamò Hargen, Il Misuratore.
    "Che non si aggiunga altro... saranno queste le due entità che garantiranno luce ed oscurità come l'universo fatto di materia oscura e stelle concluse Ashema, l'Ascoltatrice.
    "Permettemi di dissentire, necessitiamo di una terza parte... un'identità che io stesso potrò creare... una che non sarà nè oscura nè brillante, ma bensì l'ago della bilancia tra buio e luce" esclamò Devron, lo Sperimentatore.
    Fu così che vidono Eson, ricercare le risorse per creare tutto cià. Gamiel, manipolarne le forze. Eson, ricercarne le qualità. Gammenon, raccoglierne le oscurità. Mentre Oneg esplorarne la natura. Arishem, il Giudice diede la sentenza e Tefral, il Rivelatore diede l'epifania: Deviati ed Eterni avrebbo dato vita all'universo che avevano creato, Nemesi ne sarebbe stato l'ago della bilancia.
    Tiamut, il Celestiale Dormiente sapeva però un'altra verità ed il Supremo sogghignò conscio della verità.
    Improvvisamente tutto si fece sfocato e confuso ed Atlas e Rhea si trovarono ad essere spettatori della triste e dura vita di Nemesi, lei che costretta in un Cristallo (per contenere il suo potere) vive spettatrice di guerre nate in ogni angolo del cosmo con la coscienza che tanto sangue, dolore e perdite sono dovute a lei. Alla brama di possederla.
    In quel momento spettatore della vita di Nemesi dal sui punto di vista, percependone le sensazioni di impotenza e tristezza capì tutta l'ira che mia madre da sempre covava verso gli Eterni. Esseri di luce si definivano, creati per rispecchiare le virtù e la bontà, ma era davvero così? Avevano costretto Nemesi in un Cristallo impedendole di vivere una vita libera, una che le avrebbe dato un privilegio enorme: scegliere.
    Ci fu un segreto che però mai nessuno seppe, uno di cui lui fu testimone. Nemesi sapeva del triste destino che le spettava, sapeva che la sua prigione eterna era lì per accoglierla e così prima di concedersi a ciò strappò una piccolpa parte della sua essenza e della sua anima e la lanciò nel cosmo. Sapeva di compiere un atto proibito, ma affidava a quel gesto tutte le sue preghiere. Un gesto che avvenne all'oscurò di Deviati ed Eterni, un gesto che avrebbe fatto nascere una sua controparte maschile un giorno... Nemesi non sapeva quanso quel dì sarebbe arrivato, ma sapeva che anche lei aveva bisogno di qualcuno che la bilanciasse. Qualcuno che la sollevasse dal peso che teneva sulle spalle, qualcuno che potesse tenere l'equilibrio tra caos ed ordine, tra pianeti e cosmo.
    E' così che entrambi osservammo quel piccolo puntino di luce che fluttuano arrivò vicino a noi fino, con mio grande stupore, avvicinarsi al mio petto ed in esso entrare. Tutte le mie domande ebbero una risposta, riempì il vuoto che sentivo e compresi la vera missione di mia madre in tutto quel tempo. Possedere Nemesi per riunirla a me, la sua metà.
     
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    Quel viaggio etereo ed eterno era offuscato da mille domande quando vivendo in prima persona tutta quell'onirica realtà la cosa più strana fu come assistere ad un film muto. Le immagini che vedevo faticavano ad acquisire senso senza l'audio quello che parve concesso solo ad Atlas e questo mi fece pensare. Che ciò a cui stavamo assistendo fosse la risposta alle domande di Atlas? Motivo per cui io giustamente non potevo avervi accesso? Ci ragionai, mentre tutto cambiò velocemente e dall'universo più primordiale ed immenso venimmo trascinare in un luogo buio, desolato e triste.
    La strada sterrata era illuminata da flebile luci verdognole che a mezz'aria galleggiavano come fuochi fatui, mentre guardandoci intorno spaventati io ed Atlas ci prendemmo per mano. Era chiaro che il luogo dove eravamo finiti fosse disabitato, ma ancor peggio non vi risplendeva la luna facendo diventare così le stelle gli unici abitanti di quel luogo abbandonato.
    Avevo il terrore di scoprire che quello riguardasse me e quando il pianto disperato di un neonato attirò la mia attenzione non ebbi più dubbi: Atlas non lo sentiva.
    Mi voltai ed immediatamente vidi il piccolo in mezzo alla strada avvolto da pesanti stracci neri, la sensazione era quella di correre a vedere come stesse, ma ero come congelata, spaventata da quella possibilità. Un terrore che divenne ancora più forte quando una figura dal lungo manto nero, munita di falce e dal viso nascosto, comparve all'improvvisò. Fluttuò fino al piccolo fagotto e con delicatezza lo prese tra le sue braccia.
    "Tu sarai morte e distruzione, tu sarai rinascita e costruzione" sussurrò quello con una voce che non parve nemmeno tale. Era fredda, spettrale ed appariva più come il lamento di un dannato. Fu in quel momento che un fascio di luce accecante squarciò il cielo, così forte che mi costrinse a portarmi un braccio sopra gli occhi che lentamente si stavano abituando a quel bagliore. Era così forte che ci misi un po' per rendermi conto che tutto intorno a me si era fermato, come congelati nel tempo. La figura oscura con il neonato ed Atlas.
    Fu allora che capì che quella luce era qualcosa di più, era il Supremo, uno dei Celestiali. Fu lasciandomi avvolgere dalle sue vibrazioni che ne lessi i pensieri... Nemesi era stata creata per porre equilibrio tra Eterni e Deviati, ma ella si mostrò incapace di mantenere il suo ruolo tanto che dovette creare a sua volta una controparte che mantenessi l'equilibrio tra ordine e caos. C'era delusione in quella verità, c'era disprezzo nei confronti di un gesto che Nemesi aveva fatto alle loro spalle pensando che non lo sapessero, c'era paura nel riferirsi ad Atlas come "figlio" di quell'errore. Ma ogni errore necessitava una correzione e per questo il Supremo all'oscuro di tutti i Celestiali, creò lei, una forza di pura distruzione e ricostruzione chiamata in causa ogni qualvolta che l'equilibrio non sarebbe stato mantenuto. Una chiamata a distruggere tutto per permettere a tutto di rinascere.
    All'improvviso la luce scomparve, il tempo riprese a scorrere ed io venni investita violentemente dalle milioni e milioni di vite che avevo vissuto, a prescindere che queste fossero corte o lunghe. Tutto avvenne così violentemente e velocemente che caddi a terra urlando di dolore, mentre percepivo chiaramente Atlas al mio fianco che mi abbracciava nel vano tentativo di aiutarmi. Nel mentre il respiro divenne sempre più corto, mentre il cuore accelerava ed io rivivevo gli attimi più importanti di quella mia ultima vita: ero nata, rimasta orfana quasi subito, presa dalla Trinity perchè riconosciuta come portatrice di un grande potere, mi vennero fatti esperimenti e poi capì... capì il motivo di quella mia vita.
    Per il Dottore ero solo il suo più grande esperimento, un oracolo per un'eredità negata, ma per Eris ero qualcosa di più... ero il ricettacolo di Moros, ero il suo modo per fondermi ad Atlas e così far nascere una nuova realtà da lei plasmata. Ma a prescindere di quello che gli altri desideravano io sapevo CHI ero. Io ero una Guerriera, ma soprattutto una Guardiana, colei che avrebbe portato morte e distruzione.
     
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    :Atlas:
    Tornare alla realtà fu più traumatico di quanto mi aspettai perchè non era tanto riprendere coscienza e svegliarsi era tornare in possesso del proprio corpo. Ciò che avevamo vissuto era stata proprio un'esperienza metafisica che andava oltre al semplice vagare della coscienza e per quato quando ripresi i sensi rimasi comunque immobile a terra a fissare il soffitto confuso.
    La vista era appannata ed il corpo mi appariva improvvisamente pesante, così diverso a come mi ero sentito fino a quel momento. Anche respirare era una tortura al punto che dovetti riabituarmi lentamente anche a quello prima di tentare di rimettermi in piedi o almeno seduto. Riuscirci fu tutt'altra cosa, ma appoggiando entrambe le mani a terra lo feci chiudendo gli occhi e sperando che tutto intorno a me smettessi di girare.
    La nausea era fortissima e fu solo con grandi respiri che passarono i conati abbastanza da farmi aprire gli occhi e fermarmi a fissare Rhea che a differenza di me pareva già stare benissimo seppur qualcosa nel suo sguardo era cambiato.
    Volevo chiederle qualcosa, ma non ero in grado. Ripensavo a ciò che avevo visto riguardo lei, ma era stato poco e niente rispetto a me oltre al fatto che non avevo sentito nemmeno una parola. Al contrario soffermandomi su ciò che mi riguardava sentivo il rispetto e la fiducia verso mia madre crescere.
    Mio desiderio era aiutarla nel suo piano, aiutarla a rimettere a posto le cose, ma cosa più importante riunirmi a chi mi aveva dato la vita, la mia controparte, la mia gemella.
    Tentai di rimettermi in piedi, ma rovinai di nuovi in ginocchio e fu solo grazie all'aiuto di Rhea che ci riuscì. Lei era impassibile, forte, decisa... mi accompagnò in stanza, si preoccupò che fossi sdraiato e mi raccomandò di dormire e riprendermi e poi come un'ombra della notte scivolò via oltre la porta della mia stanza...
     
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    Ero una dea. Un essere potente, immortale, superiore a molti.
    Ero una dea. Potevo controllare forze impensabili con la mia sola volontà.
    Ero una dea. Mi meritavo adorazione e ammirazione, ogni mio ordine doveva essere eseguito alla lettera.
    Ero una dea... e mentivo a me stessa.
    Non ero libera come pensavo. Ero legata ad un ciclo di vite e rinascite infinito.
    Non ero venerata, ero temuta. Non venivo accudita, venivo imprigionata.
    Lo scopo della mia esistenza era portare distruzione. Io portavo con me la fine di ogni cosa, di ogni sentimento, di ogni sforzo, di ciò che di bello e di vivo si fosse creato mentre io ero ignara del mio destino.
    Quindi, tutto era una menzogna. Non ero un essere speciale, ero solo un oggetto. Che qualcuno avrebbe utilizzato a suo piacimento.
    Ero uno strumento di distruzione, ero il contrario della vita. Nel momento del risveglio tutti i ricordi erano tornati a me, tutta la mia antica conoscenza era tornata a mia disposizione e il senso di incompiutezza e di insufficienza avevo smesso di tormentarmi. Avevo appreso la mia vera natura, la mia identità.
    Avevo scoperto fatti a me ancora sconosciuti: tutta la cattiveria, la cupidigia, l'egoismo, la crudeltà erano davanti ai miei occhi.
    Accedere al potere ultimo era una tentazione, l'idea di spazzare via ogni cosa per ristabilire la neutralità e sperare che ciò che sarebbe nato in sostituzione a questo universo sarebbe stato migliore era una scelta logica.
    Trascorsi molte ore, una volta lasciato Atlas, a valutare tutte le soluzioni che avevo a disposizione, tutti gli scenari possibili. Ma ogni alternativa portava solo ad una conclusione: non ero io a decidere davvero, ma chi aveva piani talmente ambiziosi da considerare la morte di un universo solo un effetto secondario.
    Non conoscevo a sufficienza il quadro di intrighi, alleanze, pro e contro che si andava creando, ma avevo capito che non mi potevo fidare di nessuno, che ogni persona mi avrebbe trattato solo come una pedina per i suoi obiettivi.
    Anche Atlas. Una fitta al cuore mi colpì a questo pensiero. Ignari di tutto, avevamo costruito un'amicizia speciale e preziosa. Ma, ero sicura, posto di fronte ad una scelta, avrebbe seguito il volere di sua madre.
    Non lo biasimavo. Anche lui, con il suo immenso potere, era un mezzo per ottenere un risultato. Anche lui era nato per soddisfare un'esigenza che non proveniva da un gesto d'amore.
    Non ero così ingenua da sperare di fargli cambiare idea. Io ero fortunata a non possedere simili legami – perché sì, avevo invidiato per anni i bambini che, al contrario di me, possedevano una famiglia, ma ora vedevo tutto da una prospettiva più realistica. I legami affettivi erano solo questo: dei vincoli.
    Abbandonai la Trinity di nascosto, la lasciai senza troppi rimpianti, anche se era l'unica casa che avevo avuto negli anni di quest'ultima esistenza.
    Avevo preso la mia decisione.


    Era avvenuto ciò che temevamo.
    Rhea e Atlas, la distruzione e l'equilibrio ultimi, si erano risvegliati. Non era bastato il nostro attacco congiunto per aver ragione di loro, perché un imprevisto inconcepibile si era frapposto tra noi e il triste compito che dovevamo adempiere.
    La liberazione del Nulla, quegli umani che si erano elevati a dei.
    La mia rabbia era immensa. Forse avevamo valutato male la situazione, e ci era sfuggita di mano, ma si era trattato dell'unica possibilità che avevamo per salvare la nostra civiltà, ed era difficile da accettare di essere state sconfitte da Eris.
    Per quanto Skye, Calypso ed io stessimo cercando nuove possibilità per eliminare dal tavolo di gioco il potere immenso che Rhea rappresentava, non ne vedevamo il modo.
    Ci trovavamo sul tetto di un grattacielo della città, su una terrazza colma di piante e di angoli appartati in cui potersi riunire senza essere disturbate.
    Calypso dava voce alla mia stessa frustrazione: ”Pensare di infiltrarsi nuovamente alla Trinity è da pazzi, ci asp...”
    ”Ma cosa...?” La interruppe Skye, gli occhi sgranati sopra la mia spalla.
    Mi girai di scatto e lì, tranquilla come un bambino innocente, stava Rhea, pallidissima e seria.
    Non potevo credere a quello che stava succedendo, a meno che non si trattasse di un attacco orchestrato da Eris.
    E, anche se le nostre possibilità di vittoria a quel punto erano minime, mi preparai per fronteggiare la Dea della Distruzione... ma Rhea alzò una mano per fermarci.
    La sua voce, dapprima insicura, si fece via via più ferma: ”Non sono qui per combattere. Eris ha risvegliato i miei ricordi, e tutto questo mi ha fatto... pensare. Quale che siano le vostre intenzioni, se giuste o sbagliate, non mi interessa. Io voglio essere libera e prendere le decisioni che mi riguardano da sola. Non voglio essere responsabile della morte di infinite persone. Vorrei tornare alla mia casa, su Saturno, tornare in mezzo ai miei diari e ai libri. Vorrei... essere lasciata in pace. Ma so che non riuscirò ad ottenere nulla di questo, sarei perseguitata da tutti. Da voi, che volete evitare la fine dell'universo, da Eris che vuole una nuova possibilità di ottenere il controllo di ogni singola cosa. A me tutto questo non interessa, perciò, sono qui per chiedervi di... uccidermi. Questo è ciò che volete e, per altri motivi, ciò che voglio anche io... di poter decidere per me...”
    Strinsi i denti. La tristezza di Rhea mi colpiva al cuore, ma aveva ragione. La minaccia che lei rappresentava era troppo grossa. Anche se era una Guerriera, non si sarebbe mai schierata dalla nostra parte, per sua natura osservava e non partecipava mai attivamente, ma anche in quel caso Eris avrebbe trovato il modo di costringerla a collaborare al suo piano.
    Terminato il discorso, Rhea chiuse gli occhi, in attesa. Sembrava svuotata.
    Scambiai un'occhiata di intesa con Skye e Calypso: sapevamo cosa fare. Mentre puntavo il mio bastone verso quella che appariva come una ragazzina, sentii sul mio polso una presa esile, eppure ferma.
    Guardai stupita alla mia destra, ed incontrai lo sguardo severo di Selene.
    Alle sue spalle si stava richiudendo il portale interdimensionale che aveva usato per viaggiare dalla Luna alla Terra.
    Era splendente, con tutti i simboli del suo rango e del suo potere sulla fronte e alle sue mani. Il bianco puro e scintillante dell'abito aumentava la radiosità della sua figura.
    Pronunciò una sola parola: ”No!”
    Questo era tutto. Avrei voluto ribattere, spiegare le nostre motivazioni, ribellarmi. Ma non potevo. Non potevamo disattendere un ordine così chiaro e perentorio. La disubbidienza non era consentita a nessuno, neanche a noi tre, Guerriere del Sistema Esterno.
    Perché mi stava fermando? Perché salvava una vita condannando tutte le altre?
    Ingoiai la bile che mi bruciava la gola. E, pur costandomi terribilmente, decisi di dare fiducia a Selene, anche se non ne avevo mai avuta molta, in lei.
    Seguendo l'esempio delle mie compagne, mi inginocchiai davanti a lei: ”Sì, mia Imperatrice!”


    Edited by Illiana - 25/6/2019, 18:36
     
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    Ero intervenuta appena in tempo. Già avvertivo l'addensarsi del potere delle tre Guerriere del Sistema Esterno come predatori pronti a colpire.
    Ottenni la loro obbedienza al mio ordine con parecchia esitazione, e questo non mi piacque affatto.
    Rendermi conto di quanto poco Persephone, Calypso e Skye rispettassero l'autorità degli imperatori mi impensieriva, ma avrei dovuto valutare la questione in un altro momento. Non ero lì per loro.
    Ero tornata sulla Terra per evitare che compissero un gravissimo errore.
    Le mie visioni ricorrenti, sempre più vivide, sempre più incalzanti, mi avevano fatto capire poco a poco quale fosse il pericolo, di quanto stesse incombendo su tutti noi. Con grosse remore, avevo lasciato il mio ruolo di guida dell'Impero ed il mio posto al fianco di Endymion per tornare ad un ruolo più attivo, ad una missione sul campo.
    Portai il mio sguardo su Colei che si era Risvegliata, la Signora della Distruzione, la temibile Guardiana di Saturno. Nessun titolo sembrava adatto per lei in quel momento, ai nostri occhi poco più di una ragazzina che provava con coraggio a nascondere il suo terrore.
    Al mio apparire era rimasta sconcertata come tutte le altre, ma ora la sorpresa aveva ceduto velocemente il posto alla contrarietà. No, lei non si era inginocchiata.
    Anche se ero sollevata dalla sua posizione neutrale, che ci avrebbe donato maggiori speranze di poter vincere la sempre più prossima, feroce, immensa battaglia che avremmo dovuto affrontare, non potevo accettare che tutto questo avvenisse attraverso la sua morte. Non era una soluzione, questa. E non era neanche giusto che lei sacrificasse la sua vita.
    ”Perché non rispetti i miei desideri?”
    ”Come puoi desiderare la morte?”
    Si strinse nelle spalle: ”Non trovo altra soluzione. Chi non mi vuole morta, mi vuole schiava. In entrambi i casi, non sarei io a decidere per me stessa”
    “Invece esiste un altro modo. C'è sempre un altro modo”
    Lo sguardo tiepidamente interessato di Rhea mi diede una speranza.
    Mi avvicinai di un passo. Sentii dietro di me le altre guerriere che si spostavano per compattare i ranghi, in modo da potersi, e potermi, difendere da qualsiasi minaccia.
    Da quando una di noi era diventata un simile pericolo? Ero triste. Potevo solo percepire la solitudine che imprigionava Rhea, tanto da isolarla in un mondo di paure e fantasmi.
    Il suo destino era crudele, lo era stato infinite volte, ma questa volta sarebbe stato diverso.
    Perché ora avevo io il potere di decidere, e non avrei permesso che un'anima, per quanto immortale, venisse sacrificata con indifferenza e cinismo.
    Rhea si portò una mano alla bocca, tormentandosi le labbra in un gesto di nervosismo. Vedevo che ero riuscita a raggiungere il suo cuore, e che il dubbio la stava facendo vacillare. Scosse la testa lievemente, la sua voce incerta e flebile.
    “Non mi puoi proteggere. Eris mi verrebbe a cercare, rivolterebbe tutti i mondi esistenti per ottenere quello che vuole”
    “Abbiamo già sconfitto altre volte Eris, e ce la faremo anche questa volta. So che non ci vuoi aiutare, e posso accettarlo, ma non ti lascerò comunque sola. Sei una Guerriera, e questo, che tu lo voglia o no, ci lega in maniera indissolubile. Siamo più che sorelle. Siamo compagne sul campo di battaglia, siamo le protettrici dell'ordine e della pace.”
    Sentivo l'ostilità e l'incredulità di Persephone e delle altre premermi sulle spalle come un muro fisico.
    “Imperatrice Selene!”
    Persephone cercò di fermarmi. Il potere della Guerriera di Saturno era terrificante, talmente potente che neanche lei era pienamente capace di controllarlo: ora che questo si era risvegliato, poteva essere evocato con facilità, ed Eris avrebbe saputo bene come farlo. Rhea, ora come ora, era nitroglicerina pura, pronta ad esplodere ad una minima scossa. Perché non eliminare questo pericolo, ora che ne avevamo la possibilità? Nessuna di loro tre capiva perché stessi rinunciando ad un simile vantaggio sui nostri nemici. Avevo molti motivi per farlo, ma quello principale era una questione di egoismo: volevo dimostrare che non ero un sovrano impietoso e crudele come mio padre.
    Rhea le stava fissando, come se volesse trovare in loro delle alleate. Mi avvicinai ancora a lei, mettendomi intenzionalmente davanti alle tre.
    Guarda me Le intimai mentalmente. Sentivo che bastava davvero poco per abbattere le sue difese. Sentivo che il suo desiderio non era morire, ma vivere.
    “Non voglio permettere al mio potere di annientare tutto..."
    “Non devi, infatti. Noi non siamo come i nostri avversari, che agiscono senza pietà. Noi ti aiuteremo a preservare il nostro universo e nel contempo, a farti vivere”
    Ero abbastanza vicina per prenderle la mano. Il suo involucro era così giovane, nonostante la sua anima fosse millenaria. La mano che strinsi era minuta, con le unghie tonde e rosa pallido. Era solo un'idea di debolezza, quella che lei emanava.
    “Ti proteggeremo noi, fintanto che non sarà tutto finito. A quel punto, potrai decidere se rimanere qui sulla Terra, oppure tornare su Saturno. Non ha senso sprecare una vita solo per paura, vero? Noi Guerriere la difendiamo, questo è quello che abbiamo giurato di fare...”
    Rhea mi guardò combattuta ancora per qualche secondo, poi annuì.
    Mi girai verso le altre tre Guerriere, sempre tenendola per mano: volevo che fosse ben chiaro che ora lei era sotto la mia protezione.
    Le guardai ad una ad una negli occhi, mentre pronunciavo i loro nomi: ”Persephone, Calypso, Skye! Noi non uccideremo una nostra compagna, per nessun motivo al mondo. Il compito che vi affido è di portarla al sicuro, di vegliare su di lei per impedire a chiunque di farle del male”
    ”Selene! Non basterà una buona intenzione per mettere tutto a posto! Stai mettendoci nelle mani del fato più di quanto non lo siamo già!”
    Lo sapevo. Avevo calcolato anche questo rischio. Ma oramai avevo preso la mia decisione, e niente me la avrebbe fatta cambiare.
    Fino a poco tempo prima, non sarei mai riuscita ad esercitare in modo tanto fermo la mia volontà, ma ora avevo il dovere di essere una guida per tutti. Ed un faro nella notte non è utile a nessun se la sua luminosità è flebile.
    Sentii la presa di Rhea stringersi alla mia. Respirai di sollievo; almeno questo primo obiettivo della mia missione lo avevo raggiunto, ma non ero tornata sulla Terra solo per salvarla.
    Troppe forze ostili stavano muovendo le loro risorse per guadagnare vantaggi su di noi. Non erano solo i nostri soliti nemici, a loro si erano aggiunte altre figure ancora più minacciose e potenti.
    Purtroppo, il tempo che avevamo utilizzato per ricostruire l'Impero Galattico aveva allentato inevitabilmente le nostre alleanze con gli Assassini (ero venuta anche a conoscenza dei grossi cambiamenti che erano avvenuti all'interno della Confraternita); era il momento di ricominciare a stringerle.
     
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