Nanda Parbat: Ezio Auditore Bedroom

Season 4

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    :Pandia:
    Viaggiare in quel momento sulla Terra aveva senso? Poco, molto poco.
    Per Selene l'unica cosa a cui dovevo pensare era il mio fidanzamento ed ovviamente al mio ruolo di Guerriera, ma oggettivamente i miei pensieri andavano ad altro ed ancor più dopo lo scontro che avevo avuto con Toth, uno che però ero certa avrebbe fatto bene ad entrambi.
    Della stessa opinione non era Iuventas che era intenzionata più che mai a rifiutarmi il mio passaggio sulla Terra, quello che gli avevo chiesto di aprirmi. Non era intenzionata ad appoggiare le mie follie e tanto meno dopo aver rotto il cuore di Toth. A volte ammettevo che il suo difenderlo così strenuamente mi confondeva e mi chiedevo se lei non ne fosse innamorata. Ma alla fine, come sempre, aveva ceduto. Tanto cocciuta quanto buona come il pane.
    Sempre lei mi avrebbe fornito una copertura in caso qualcuno avrebbe notato la mia assenza, mentre io toccavo con i piedi il suolo di Nanda Parbat e notando immediatamente un gran fermento e movimento.
    Ero uscita dallo specchio nella camera di Ezio, ma lui non c'era. Lo cercai in giro notando un grande andi e rivieni di Assassini tutti decisamente indaffarati, tanto da non accorgersi di me, almeno fin quando non incrociai nei corridoi un Federico che parve sorpreso di vedermi.
    Indossavo un paio di jeans, una semplice t-shirt bianca ed in mano stringeva un grosso scatolone.
    "Pandia! Cosa ci fai qui?" mi chiese sorridente e sorpreso.
    "Ehm... cercavo tuo fratello, ma credo sia un brutto momento o sbaglio?" chiesi guardandomi intorno un po' in imbarazzo, mentre lui fermava un giovane Assassino e gli mollava lo scatolone in braccio, così pesante che quello si allontanò barcollando ed io ridacchiai sotto i baffi.
    "Pivelli! Devono pur farsi i muscoli no? Comunque! Dicevamo Ezio mh? Sì è nella piazza d'armi... questo ritorno sulla Terra ci ha messo un po' nel caos... questioni logistiche oltre che riorganizzazione interna... prima non avevamo problemi di temperatura, ma ora senza condizionamento e sopratutto riscaldamento sarà difficile superare estate/inverno!" lo ascoltai molto assorta, ma al contempo divertita dal suo perdersi in mille spiegazioni. Come sempre il mio tempo sulla Terra, di qualsiasi natura fosse, era bello. Leggero. Vero. Semplice.
    "Tornando al grano... Ezio! Perchè non vai in camera sua ed io gli dico che sei arrivata così ti raggiunge?"
    "Camera sua? Ehm... posso incontrarlo anche altrove..." spiegai mettendo su una maschera d' imbarazzo, ma lui mi sorrise di sottecchi. Fece una smorfia e si allontanò ed io capì in quello stesso momento che probabilmente non esistevano segreti tra i fratelli Auditore, ma la cosa invece di infastidirmi mi fece sorridere con malinconia.
    Tornai dunque nella camera di Ezio e lì mi persi ad osservare alcune foto che non avevo mai notato veramente di lui e la sua famiglia... e lo invidia. Doveva essere bello avere dei fratelli con cui condividere ogni pensiero senza paura di essere giudicati, senza paura di venir condannati... invidiai quel rapporto ed in cuor mio mi chiesi, se mai, un giorno lo avrei anche solo sfiorato un rapporto del genere.
    Stavo ancora stringendo la cornice tra le mani quando sentendo la porta aprirsi alle mie spalle mi asciugai le lacrime veloci sulle gote e riposando la foto sulla cassettiera mi voltai verso di lui sorridendogli.
    "Ehilà Auditore, spero non ti dispiaccia la sorpresa!" esclamai poi andandogli incontro e baciandolo, prendendo da lui quella forza e quell'energia per continuare a combattere per me. Per noi. Per quella libertà che mi stava spingendo ad insorgere.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 24/11/2019, 18:30
     
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    :Ezio:
    Avevo appena finito di fare una sfuriata ad un Discepolo per una sciocchezza sull'immagazzinamento delle scorte.
    Durante i primi giorni del nuovo corso della Confraternita le questioni più pressanti da risolvere erano di ordine pratico, più che spirituale, e non era facile ricominciare a vivere senza molti dei privilegi che ci erano stati concessi da tempo immemore.
    Avevamo scelto per la nuova Nanda Parbat un vecchio monastero tibetano abbandonato; assomigliava ad un Covo dei secoli precedenti, situato oltre un passo di montagna inaccessibile a chi non conoscesse lo stretto ed impraticabile sentiero per raggiungerlo.
    L'edificio era a strapiombo su una parete rocciosa, costruito per armonizzarsi con questa. Le stanze erano piccole, le pareti in pietra grigia, le finestre simili a feritoie, per ripararsi dagli eventi atmosferici estremi a queste altitudini. Non avevamo comfort, tutto era molto spartano, e oltre ad una cucina, dove dividevamo i pasti, c'erano la stanza delle armi, la sala per gli addestramenti, la biblioteca, dove conservavamo tutta la nostra storia, la sala delle cerimonie, quella per le riunioni ed un unico ufficio, destinato ai quattro mentori. Mi sembrava di essere ritornato al covo di Roma, sull'isola Tiberina.
    Molti dei confratelli più giovani non avevano mai conosciuto l'epoca in cui le sedi erano esclusivamente fisiche, situate in luoghi strategici e al contempo nascosti, nel mondo. Da quando, dopo l'avvento dei mezzi di trasporto di massa, non era più stato un problema coprire i pochi chilometri che ci separavano da una delle tantissime entrare di Nanda Parbat, i covi in giro per il mondo erano scomparsi. Esisteva solo questo luogo, immenso e riparato, in cui vivere, allenarsi, incontrarsi.
    Dalle facce di molti assassini, capivo che la decisione dei Mentori di abbandonare un simile paradiso non era stata del tutto compresa, né accettata. Ma non era solo per una questione ideologica che avevamo scelto di abbandonarlo.
    Quella che gli Eterni avevano chiamato Guerra dei Deviati aveva scoperchiato una verità che era stata ignorata da tanti miei confratelli, Altair compreso. La nostra alleanza con le guerriere era fondata su un terreno precario, e aveva retto così a lungo perché non si erano mai presentate cause di gravi discordie. Qualche anno prima, si era già arrivati ad un soffio dal romperla: Selene si era sentita tradita dalle nostre azioni, ed io avevo dovuto fare un passo indietro, cercando di far tacere i miei dubbi.
    La convivenza forzata durante le ultime settimane aveva messo davanti agli occhi di tutti, anche dei più scettici, quanto fossero profonde le divergenze tra di noi. Avevamo discusso a lungo, noi Mentori. Gli Imperatori avrebbero agito solo secondo il loro interesse, con una quasi assoluta indifferenza per la Terra. Ed i loro metodi non rispecchiavano minimamente il nostro modo di intendere la libertà. Il punto di vista mio e di Arno aveva prevalso: dovevamo dividerci.
    Però, con grande disappunto di Dorian, non si affrontò la questione armi in pugno, cercando una rivalsa sulle loro azioni tiranniche e prevaricatorie. In questo, non la vedevo come lui.
    Le strade con le nostre antiche alleate si sarebbero divise, ma cercando comunque di preservare una pace che, dopo il rischio di perdere tutto, era fondamentale mantenere.
    Arno non era stato contento di questa manifestazione di debolezza, tanto che si era rifiutato di partecipare alla cerimonia in cui si era ufficializzata la nostra decisione. Lui non era cambiato molto da quando lo avevo conosciuto nel diciottesimo secolo, ai tempi del suo allontanamento dalla Confraternita francese.
    Rapporti provenienti dai reggenti locali dell'Ordine parlavano di questo elemento problematico, indisciplinato, arrogante e piantagrane, sempre sull'orlo dell'insubordinazione. Raggiunsi la Francia, curioso di conoscerlo e frattanto di vedere più da vicino il tumulto che stava scuotendo le radici monarchiche europee e rovinando le trame dei templari che erano dietro il potere costituito.
    Lo cercai e lo trovai nella tenuta diroccata del suo patrigno, il nobile de la Serre, male in arnese, completamente perso nei suoi fantasmi. Sapevo che per molti anni a muoverlo era stata la stessa motivazione che aveva mosso anche me, la vendetta. Ma, diversamente da me, non aveva avuto la fortuna di trovare delle guide sagge nei suoi confratelli, e la sua natura era diventata cinica, rabbiosa, ossessiva. Mi piacque, vedevo in lui un fuoco che avrebbe dovuto ardere per la Causa: riuscii a penetrare nell'apatia che lo avvolgeva dopo aver perso la donna che amava. Lo convinsi ad intraprendere una missione a Franciade, un recupero di un Frutto dell'Eden che, in mano ad una persona ambiziosa come il Generale Napoleone, avrebbe potuto trasformare la Francia in un paese governato da una terrificante dittatura.
    Avevo riposto bene la mia speranze. Il recupero riuscì, e Dorian rientrò a far parte dell'Ordine. Fece strada velocemente tra le nostre fila, e quando raggiunse il rango di Maestro lo portai con me a Nanda Parbat, riconoscendogli i benefici di cui avevamo goduto per secoli, tra cui il Pozzo di Lazzaro.
    I miei pensieri vagavano nel passato per evitare di soffermarsi troppo sulla notizia che avevo ricevuto quella stessa mattina. Ero nello studio insieme con Altair, a gestire e coordinare alcune squadre, tra cui quella formata da Bayek e Lara, impegnate in missioni sulle tracce dei templari. In quegli ultimi giorni le attività dei nostri avversari erano riprese con forza, e dietro le loro mosse avevamo intravisto un disegno preoccupante di cui dovevamo assolutamente ottenere maggiori informazioni.
    Altair commentò con noncuranza uno dei dispacci diplomatici appena ricevuti:
    ”E' stato annunciato un matrimonio alla Corte Imperiale: la Principessa Pandia si è fidanzata con il Generale delle Guardie Lunari, quello che sembrava l'ombra onnipresente di Endymion”
    Rimasi impassibile, anche se una stretta impietosa mi stava fermando il cuore. Fissavo il vuoto senza riuscire a pensare a nulla che mi aiutasse a reagire. Cominciai ad avvertire una sensazione di freddo spandersi in tutto il corpo, come se mi fossi ritrovato sbattuto sulla cima della montagna che sovrastava il covo, in mezzo ad una tormenta di neve. Ebbi paura di non riuscire a tornare indietro da quella sofferenza. La mano poggiata sui documenti ne artigliò uno, accartocciandolo.
    ”Ma mi hai ascoltato?”
    Gli risposi forzatamente, mentre mi alzavo per andarmene: ”Sì... sì... finisci tu con i rapporti, io devo occuparmi di un lavoro giù agli approvvigionamenti”
    Mi sentivo un guscio vuoto. In un angolo del mio cervello ero convinto che una simile evento non si sarebbe mai presentato, anche se Pandia mi aveva avvisato più volte delle sue paure. Avevo pensato di sfidare la fortuna? O peggio, avevo creduto che sarei stato capace di perdere ancora chi amavo, senza doverne pagare il prezzo? Ero disorientato e molto irritato con me stesso.
    Qualche ora dopo, Federico mi trovò nella sala delle armi, intento a fare un inventario di quelle a nostra disposizione. Un lavoro semplice, ordinario, per aiutarmi a vincere lo scoramento che mi pesava addosso come un mantello di piombo. Lei non era più mia. Agli occhi del mondo, apparteneva ad un altro uomo. Fidanzata, e poi sposata di qui a qualche giorno, dato che sulla Terra il tempo passava più velocemente.
    Mi comunicò che avevo un visitatore. Dal suo tono, non ebbi dubbi sulla sua identità.
    Mi precipitai su per le scale di pietra che conducevano ai nostri alloggi, e spalancai la porta della mia stanza. Mi bloccai sulla soglia. Pandia aveva in mano una cornice, che posò vedendomi entrare. Il suo viso si rischiarò di un sorriso che arrivò dal suo cuore, senza però nascondere del tutto il dolore di ciò che era successo.
    Avevo deciso di tenermi fuori dalla sua vita, di nasconderci a tutto e tutti. Temevo gli ostacoli che ci avrebbero sbarrato la strada: io che avevo sempre avversato le unioni con le guerriere, che insistevo sulla cautela nell'affidarsi a loro, mi legavo sentimentalmente proprio ad una di loro. Aveva forse parlato anche il mio orgoglio di essere smentito nei fatti, in questa mia decisione?
    Per evitare problemi futuri, ecco cosa avevo ottenuto: avevo evitato con intenzione di essere felice, ed ora era ironico che mi stessi rammaricando così tanto delle conseguenze.
    Da una parte della mia mente, continuavo a provare amarezza per il suo comportamento durante la missione in cui avevamo rischiato entrambi di morire per mano di Atlas. Mi aveva ferito la sua reticenza, provavo ancora irritazione per la poca fiducia che aveva avuto in me, come alleato.
    La mente e il cuore stavano litigando per conquistare il comando delle mie azioni, dato che, mai come in quell'istante, mi ero reso conto di quanto la amavo.
    Chiusi la porta e coprii la distanza che ci separava in pochi, svelti passi. La abbracciai, mi strinsi a lei come se temessi che potesse sparire da un momento all'altro.
    In amore avevo chiesto molte cose: piacere, permesso, baci, carezze, tempo, attenzione, devozione, fedeltà.
    ”Perdonami. Mi dispiace, Pandia, per quello che è successo. Per ciò che hai passato a causa del nostro amore...”
    Non avevo mai chiesto scusa.
     
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    Dovevo essere onesta, non me lo aspettavo. Non che non mi fece piacere, anzi, ma mi lasciò interdetta. Sentivo il suo abbraccio forte, quadi disperato a cui io ricambia con altrettanta forza ed affetto, prima di scostarmi di quel poco che mi avrebbe permesso di guardarlo negli occhi, mentre gli prendevo il viso tra le mani.
    "Non mi sposerò Ezio. Non lo farò perchè non voglio. Sono una donna libera e combatterò per questa libertà" esclamai con fermezza nella voce, ammorbidendo i tratti e facendo correre la punta delle mie dita sul suo viso. Le sue cicatrici. Le sue rughe. Le sue labbra. Scesi fino al suo collo dove sfiorai la collana che nascondeva sotto la maglia e che celava il mio anello.
    "Ti appartengo ricordi? Attualmente l'unica cosa che sto facendo è nascondermi in piena vista... ho già parlato con Toth e su questo siamo d'accordo..." lo rassicurai. Dopotutto ero là per quello, sapevo che sarebbe giunta alla Confraternita la notizia del mio matrimonio e seppur avrei voluto darla io personalmente ad Ezio, ero partita appena mi era stato possibile per affrontarlo e spiegargli i fatti.
    "E' una questione che va oltre l'amore che provo per te. E' una questione di principio che non posso ignorare. Noi siamo gli architetti delle nostre azioni, noi dobbiamo conviviere con le loro conseguenze, gloriose e tragiche che siano, ma come è possibile farlo se non si ha la libertà di provarci? Spero di essere d'esempio ed ispirare altre persone dell'Impero a comprendere che le fondamente della società sono fragili, ma che non si solidificano con la dittatura o le imposizioni, ma che devono essere le persone stesse i pastori della propria civilità!" avevo parlato con impeto condividendo ciò che da tempo stava crescendo in me, ma che da troppo tempo ingoiavo. Non potevo più farlo.
    Ezio sorrise. Un sorriso caldo. Colpito. Orgoglioso, mentre portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio non smise di fissarmi con quello sguardo indecifrabile.
    "Perchè sorridi?" gli chiesi sinceramente curiosa.
    "Perchè le tue parole mi hanno riportato alla mente qualcuno..." per un attimo divenni quasi gelosa, mentre assottigliando lo sguardo facevo aderire completamente il mio corpo al suo.
    "Ed è possibile sapere chi?"
    Lui si compiacque del mio atteggiamento ed invece di rispondermi mi portò una mano tra i capelli, dietro la nuca spingendola verso il suo viso. Mi baciò con forza e passione, mentre indietreggiando con molta poca grazia raggiungemmo il muro dove la mia schiena aderì perfettamente. Una sua mano corse verso il mio fianco e la mia gamba alzandola, mentre io gettavo il capo all'indietro e mi libavo della sua bocca sul mio collo. La stessa che salì in piccoli baci fino al lobo del mio orecchio e fu lì che mi sussurrò la risposta con voce calda e roca.
    "Me stesso"
    Tornai a cercare la sua bocca, mentre le mie mani erano già corse alla sua maglia per toglierla e lo avevo appena fatto quando un giramento di testa mi annebbiò la vista. Vacillai ed immediatamente Ezio se ne accorse al punto che preoccupato mi prese il viso tra le mani cercando di capire cosa fosse successo.
    "Pandia? Cos'hai? Pandia?"
    "Ehm... non lo so... mi è venuto un giramento improvviso... io... io..." cercai di spiegarmi, ma faticavo a tenere gli occhi aperti e stare in piedi, così che Ezio lento mi accompagnò al suo letto dove mi fece sedere prendendo posto accanto a me.
    "Pandia? Parlami... Pandia?"
    Lo guardai faticando sempre più a mettere a fuoco i contorni del suo viso.
    "Non lo so... sono stanca... voglio solo... dormire" esclamai sbadigliando e sentendo le forze venirmi sempre meno tanto che nonostante la voce di Ezio che mi incitava a parlare e restare sveglia alla fine cedetti e perdetti i sensi tra le sue braccia.
     
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    La notizia era arrivata come un fulmine a ciel sereno, spodestando eventi ufficiali e minacciando la stabilità di un intero Impero: Pandia era svenuta all’improvviso; Pandia si trovava a Nanda Parbat quand’era accaduto; l’annuncio era stato fatto da un Ezio Auditore piuttosto preoccupato. Il dispaccio proveniente dalla Terra ci convocava tutti a Nanda Parbat e con tutti intendevo Selene, me… e Iuventas, l’unica che avrebbe potuto portarci a destinazione in un batter di ciglia. Io e lei sapevamo perché Pandia era andata sulla Terra, ma Selene no, per questa ragione, di comune accordo avevamo inventato una copertura.
    Io avevo inventato una copertura per la Principessa Pandia.
    Sì, dovevo ripetermelo perché faticavo ancora a crederci.
    La donna che amavo aveva costretto Iuventas a trasportarla dal suo amante e io avevo accettato di coprire la sua fuga. Ecco, Iuventas l’aveva messa proprio in questi termini ed era stato come se mi avesse dato un pugno in pieno viso. La Guerriera però aveva dovuto – per fedeltà alla Principessa e a me – tenere saldo il mio racconto, testimoniando ogni mia parola: Pandia era scesa a Nanda Parbat per capire come gli Assassini si stavano organizzando dopo la decisione di scindere l’antica alleanza con l’Impero. Non era d’accordo con questa decisione e desiderava vederci chiaro prima di continuare con la sua vita, prima di sposarsi (con il sottoscritto!) e finalmente vivere la vita che tutti avevano predisposto per lei. Per farlo però aveva bisogno di chiudere definitivamente quel capitolo… Ma nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare cosa sarebbe accaduto…
    Non ero certo che Selene aveva creduto alle mie parole, tese come corde di violini e pronte a spezzarsi da un momento all’altro, ma non aveva commentato se non con un sospiro stanco. La consideravo troppo intelligente per non aver intuito che qualcosa non andava tra me e Pandia, in tutta quella dannata farsa che eravamo stati costretti a mettere su. Ma per qualche ragione, continuava a non voler affrontare la situazione, come se tentasse di rimandare l’inevitabile.
    Adesso, però, l’incolumità di Pandia veniva prima di ogni pensiero: cosa le era accaduto? Perché era svenuta all’improvviso? Perciò eravamo partiti di gran carriera, destinazione Nanda Parbat, con una nube carica di tempesta al posto del cuore.
    Era il mio primo viaggio sulla Terra, ne avevo sentito parlare innumerevoli volte, ma la loro atmosfera più pesante parve quasi schiacciarmi al suolo! Ebbi bisogno di un attimo per riprendere a respirare e controllare i miei movimenti. Iuventas mi mise una mano sul braccio per sostenermi, un gesto più simbolico che reale vista la mia mole in confronto alla sua, ma lo apprezzai lo stesso. Se non avessimo avuto così tante preoccupazioni, di sicuro mi avrebbe preso in giro. Selene e lei non parvero avvertire minimamente il cambio di dimensione, ed io stesso dopo pochi attimi riuscii a ritornare quasi alla normalità, quasi. Faticavo ancora un po’ a respirare, ma forse non era solo per l’atmosfera diversa. Era ciò che Ezio Auditore aveva da raccontare che mi stava uccidendo…
    Arrivammo direttamente in una sala gigantesca, sembrava una specie di sala del consiglio, con un tavolaccio enorme e rotondo al centro, le pareti di pietra scarne, l’illuminazione troppo scarsa per rendere giustizia all’ambiente. Era chiaro come quel posto fosse ancora in piena ristrutturazione, in fondo, sulla Terra era trascorso circa un mese da quando gli equilibri si erano spezzati, mentre da noi era già passato un anno. Non era facile abituarsi a tutti questi cambiamenti ma non avevo tempo né voglia di concentrarmici adesso, l’unico pensiero era rivolto a Pandia.
    Alcuni dei mentori ci accolsero, senza astio ma nemmeno con calore, accanto al loro ebbi modo di riconoscere altri Assassini conosciuti durante il periodo trascorso assieme sulla Luna: Arno Dorian, Federico Auditore, solo per fare un esempio. Tutti i loro volti esprimevano preoccupazione, tensione, voglia di agire. Primo fra tutti Ezio. Si avvicinò subito e dopo un breve inchino di saluto ci raccontò quanto era accaduto, senza convenevoli o incertezze. La sua voce era decisa, chiara: un soldato che faceva rapporto, ecco cosa mi ricordò e mi si strinse il cuore, perché riconobbi una parte di me in quel soldato dall’espressione apparentemente impassibile ma che – ne ero certo – nascondeva turbini e tempeste. Sapevo del suo sentimento per Pandia come lui doveva sapere ormai del mio, della nostra unione, ma la Principessa aveva fatto in tempo a dirgli “tutto”? Non potevo saperlo e, ancora una volta, neppure questo era importante.
    Fummo presto scortati dai fratelli Auditore e da Dorian in una stanza attigua alla “sala del consiglio”, più piccola ma molto più confortevole. Un grande camino scoppiettava acceso sulla parete nord e illuminava il viso di una Pandia dormiente. Il mio primo pensiero fu che era serena, un leggero sorriso aleggiava sulle labbra pallide. Era chiaro che non si trattava di un normale sonno ristoratore e rabbrividii.
    “Sembra che Pandia sia stata vittima di un sortilegio, il suo sonno è chiaramente indotto e dobbiamo scoprire chi è l’artefice di tutto questo!” Dopo averla “controllata” da vicino, la voce di Selene aveva risuonato forte tanto da farci sobbalzare. La sua risolutezza era ammirevole, anche in un momento in cui la disperazione sarebbe stata la condizione più normale. “Terrò l’Imperatore fuori da tutto questo, per quanto mi sarà possibile, ma tu, Generale, in qualità di promesso sposo della Principessa dovrai salvarla, dovrai riportarla tra noi.”
    Non avevo intenzione di chiedere cosa avrebbe comportato questa missione, non erano i dettagli del genere a interessarmi: mi fidavo dell’Imperatrice, tanto da affidargli la mia stessa vita, perciò annuii semplicemente battendo il pugno sul petto in segno di obbedienza. Un leggero mormorio si spandeva intorno, ma una sola voce prese il sopravvento e io non ne restai affatto sorpreso. Ezio Auditore.
    “Andrò con il Generale, Selene. Potrei essere d’aiuto.” Tentava di mantenere la calma ma riuscivo a leggere l’agitazione nei suoi occhi e nei pugni stretti in morse convulse.
    “È un viaggio molto pericoloso, potreste rimanere bloccati in un’altra dimensione e non posso permettere che rischiate così tanto in due.” Quanto che era sottointeso in quella frase mi fece accapponare la pelle, e non certo la parte in cui si accennava ai rischi concreti, ma quella in cui l’Imperatrice celava ben altro: Ezio era un estraneo, non aveva diritto di metterlo in pericolo e magari – nella peggiore delle ipotesi – attirarsi le ire di tutta la Confraternita, non dopo la recente rottura di una così antica alleanza… Una scelta da perfetta sovrana, che io avrei appoggiato in tutto e per tutto se… se non avessi saputo.
    “Mia Imperatrice, ascoltatemi, so bene che mettere a rischio la vita di un terrestre in una situazione del genere potrebbe creare più danno che utile, ma sono certo che la sua presenza potrebbe essere di aiuto. È un valido guerriero e potrei aver bisogno di lui. Non sappiamo cosa o chi troveremo ad attenderci oltre…” Mi resi conto che era la prima volta che parlavo da quanto avevamo attraversato il passaggio di Iuventas e la mia voce era venuta fuori più rauca e bassa del solito. Sperai che le mie parole non avessero, per questo, perso incisività. Vidi Selene riflettere, mentre Iuventas sembrava essere stata punta da uno scorpione: non riusciva a stare ferma. Al pari di Auditore.
    “E sia, ma declino ogni responsabilità. Ezio, tu e tutti i tuoi confratelli, giurate di essere consapevoli dei rischi e che non vi rivarrete su di noi se qualcosa non dovesse andare come programmato?” In realtà non avevamo la pallida idea a cosa stavamo andando incontro, quindi la risposta del mentore avrebbe quanto meno dovuto suonare “strana, precipitosa”, tanto che vidi suo fratello scuotere il capo sconsolato e Dorian alzare gli occhi al cielo contrariato: ma entrambi non si azzardarono a replicare.
    “Ne siamo consapevoli! Cosa dobbiamo fare?”
    Qualsiasi cosa ci attendeva oltre il varco l’avremmo affrontata con coraggio e tenacia, avremmo affrontato il nemico e riportato indietro la nostra Pandia. Auditore ed io.
    Certo ciò che ci trovammo di fronte una volta passati oltre, mai, neppure facendo appello alla nostra più fervida immaginazione, avremmo potuto saperlo!
     
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    "Alice in Wonderland" era un libro che mi era capitato tra le mani, per caso, quando arrivai sulla Terra per la prima volta. Mi avevano affascinato i suoi disegni delicati e quel mondo così fantastico per i terrestri, ma per me simile a molti luoghi diversi nella galassia ed infatti non era stato questo ad attrarmi quanto più il viaggio di Alice. Continuamente pieno di imprevisti ed ostacoli così come sentivo la mia vita essere adesso, solo meno colorata.
    “Che strada devo prendere?” chiesi improvvisamente osservando ai lati del grande tavolo a cui mi trovavo. Intorno a me le mie più care amiche e poi un insieme magico di farfalle colorate ed uccellini che ci portavano té, zucchero e cupcakes tutto per il nostro meraviglioso tea party in mezzo al bosco.
    "Dove vuoi andare?" mi rispose una piccola Vesta vivace con un'altra domanda mentre fece balzare sulle sue ginocchia un piccolo draghetto rosso che sbuffava in maniera dolce e pucciosa.
    “Non lo so” ragionai poggiandomi un dito sul mento e poi risposi scrollando le spalle.
    "Allora non ha importanza" concluse Iuventas allegra, allungandosi per prendere una delle molteplici teiere sopra il tavolo per servirmi il tè.
    "Però dovresti dire quello in cui credi" esclamò una sofisticata Cerere che posava la sua tazzina su un piattino che le voleva di fronte il viso.
    “È quello che faccio” risposi di gran carriera, quasi offesa di tale osservazione “Almeno credo a quello che dico, che poi è la stessa cosa” conclusi perdendomi nei miei stessi pensieri, mentre Partenope uscendo dalla sua tazza, in cui nuotava come un pesciolino, si scrullò e nella sua forma umana si buttò sulla torta, ne tagliò una fetta e lasciando quella si mangiò il resto.
    "Non è affatto la stessa cosa! Scusa, è come se tu dicessi che vedo quello che mangio è la stessa cosa di mangio quello che vedo!" ci fece notare mentre si abbuffava e mentre invece noi pensierose e silenziose ci guardavamo l'un le altre per poi assentire e trovare che avesse proprio ragione.
    Ma il nostro tea party fu improvvisamente interrotto dall'arrivo di due loschi individui che non erano stati invitati, io dunque mi nascosi e le mie amiche si fecero più minacciose.
    "È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze" esclamò infastidita Vesta avanzando verso i due con il suo draghetto in mano e gli occhi socchiusi.
    "Se ognuno si facesse i cavoli suoi" ringhià Iuventas "il mondo girerebbe un bel po’ più svelto" concluse Cerere incrociando le braccia al petto.
    "Non mi pare che stiate giocando con lealtà" protestò Partenope con il viso sporco di cioccolato "e poi battibeccano tutti con quanto fiato hanno in gola che uno non riesce neanche a sentire la propria voce… e le regole poi, così imprecise, ammesso che ce ne siano, non le rispetta nessuno…"
    "Di solito Pandia si da degli ottimi consigli, però poi li segue raramente" dissi in un sussurro uscendo da sotto il tavolo e con il naso arricciato guardare i due nascosta dietro le mie amiche.
    "Perchè siete venuti a disturbare il nostro tea party?"
    "Per riportarti a casa...
    "Bè io non ci voglio venire!" esclami capricciosa e con le lacrime agli occhi. Feci la pernacchia loro e piangendo fuggì via.
     
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    Riaprii gli occhi e il panorama era completamente diverso. Ero convinto di essere ancora a Nanda Parbat, disteso sul letto a fissare il soffitto in legno, mentre aspettavo che la droga che Selene aveva somministrato a me e a Thot facesse effetto.
    Invece, passai qualche secondo a osservare uno spettacolo alquanto bizzarro, a voler essere oggettivi. Il prato e il sottobosco davanti a noi erano di un colore blu intenso; il vento che muoveva lievemente le foglie degli alberi autunnali le portava via con sé, ma invece di farle cadere a terra, salivano fino a scomparire nel cielo, che era di un verde smeraldo. In mezzo ai piedi mi passò come un fulmine, per poi sparire in mezzo ai cespugli, una tartaruga.
    ”Ma siamo sicuri che fosse un potente sonnifero e non un allucinogeno?” Mormorai tra me e me.
    Mi riscossi dai miei dubbi sentendo un tossire discreto: al mio fianco, il generale mi lanciava un'occhiata perplessa, tanto quanto la mia. Non ricordavo che, arrivando a Nanda Parbat, indossasse la sua divisa da cavaliere lunare, con la corazza argentata e la mezzaluna lucente in mezzo al petto, i parabraccio con lo stesso simbolo ed il lungo mantello grigio.
    Con un mezzo sospetto, abbassai gli occhi: indossavo anche io la mia divisa ufficiale, con la casacca bianca e lunga, l'alta cintura con il simbolo degli Assassini e le lame celate negli antibracci istoriati. Controllai velocemente le armi: il mio arsenale era al completo, tra spada, spada corta e coltelli da lancio. Non mi piaceva per niente. Cosa avremmo dovuto affrontare per portare a termine la missione, se qualcuno aveva deciso che ci sarebbe servito tutto questo,?
    Udimmo schiamazzare oltre la radura in cui ci eravamo risvegliati, ed era lì che ci dirigemmo, senza neanche il bisogno di comunicare tra di noi la decisione. Sembrava quasi fossimo una squadra affiatata, abituata da tempo a collaborare insieme. Invece, sapevo che ciò che ci univa, e che avrebbe rappresentato il nostro maggiore punto di forza, era lo scopo comune che ci aveva portato in questo luogo bizzarro, all'interno dei sogni di Pandia.
    Nello spiazzo erboso notammo una tettoia ricoperta di foglie dello stesso colore assurdo dell'erba. Sotto la tettoia, un grosso tavolo ricoperto di cibo e... teiere? Pensavo che niente avrebbe più potuto stupirmi, invece a fare tutto il chiasso che ci aveva condotto lì erano un gruppetto di bambine, intente a festeggiare qualche evento che non afferrai con precisione... un non-qualcosa.
    Loro ci squadrarono malamente, e dovetti ammettere che la nostra apparizione, armati di tutto punto, poteva sembrare più minacciosa che rassicurante.
    Avevano un'aria familiare ma fu Thot il primo le riconobbe. Sbuffò piano e sentii che pronunciava i nomi delle nuove Guerriere, mentre portava le mani ai fianchi, con fare intimidatorio.
    ”Dove è Pandia?” Sembrava un insegnante che sgridava le sue allieve. Non ottenne alcun risultato da quelle monelle, che continuarono a ciarlare ancora per qualche minuto, mentre si abbuffavano di dolci e si passavano tazzine colme di té.
    Da sotto il tavolo però fece capolino una bambina dai capelli castani, vestita di rosso, dallo sguardo indagatore e stizzito.
    La avevamo trovata, ma non come pensavamo. Non sarà affatto semplice, temo...
    ”Perchè siete venuti a disturbare il nostro tea party?”
    ”Per riportarti a casa...”
    ”Bè io non ci voglio venire!”
    Avvenne tutto in un battito di ciglia. La piccola Pandia fuggì verso il bosco, ed io mi tuffai in avanti per afferrarla, prima che sparisse in mezzo a quel luogo misterioso che, avevo ormai capito, ci avrebbe riservato delle sorprese niente affatto piacevoli.
    La mia mano riuscì ad afferrare solo un lembo di stoffa del suo vestito ricco di gale e fiocchi, strappando un nastro rosso, ma contemporaneamente le altre mocciose si mossero con prontezza per impedirmi di raggiungerla.
    Bambine d'accordo, ma combattive e micidiali come la loro controparte adulta, me ne resi conto nell'immediato. Finii per terra, sgambettato senza alcuna cerimonia, e solo grazie ai miei riflessi evitai per un soffio il fiato infuocato del piccolo drago in braccio alla bambina vestita di rosso. Sentii il calore sfiorarmi il viso, e l'odore di bruciato della stoffa mi punse le narici.
    ”Vesta, no!”
    Rotolai per terra, solo per essere attaccato in massa da quelle pesti. Cosa avrei dovuto fare, rispondere ai loro colpi? Tentai di ripararmi dalla gragnuola che mi stava piovendo addosso. Avevo sicuramente una di loro seduta a cavalcioni sul mio torace, che cercava di raggiungere il mio viso con i suoi pugni. Per un secondo, rimpiansi di non dover affrontare l'esercito del Borgia a mani nude.
    Con la stessa velocità con cui era iniziato l'attacco, questo cessò. Udii le grida di frustrazione e di protesta delle bambine, tre delle quali erano state prese per i vestiti e sollevate da sopra di me senza tanti complimenti da Thot. Mi ripromisi di manifestargli la mia più totale gratitudine, quando saremmo stati di nuovo al sicuro, lontani da questo posto pazzesco.
    Un pensiero continuava a tornare, e mi smarriva sempre di più: questo è l'inconscio di Pandia? Cosa ci sarebbe stato ancora da affrontare?
    Mi alzai, ammaccato ma deciso a proseguire, mentre controllavo il braccio sfiorato dall'attacco del draghetto: la manica era quasi del tutto danneggiata, ma per fortuna il morso del fuoco non era arrivato alla pelle.
    L'urlo di Thot mi perforò quasi un timpano: ”Ora basta! Non mi interessano le vostre stupidaggini infantili! Lasciateci passare!”
    Cinque paia di occhi lo guardarono ammutoliti. Sì, cinque, pure i miei.
    Lasciammo la festa nel silenzio più totale, dirigendoci verso il sentiero che la piccola Pandia aveva fatto di corsa per scappare da noi. Avrei giurato che fummo bersagliati da dei pezzi di torta, ma non ritenni saggio fermarmi a controllare.
    Il viottolo conduceva ad un buco nel terreno, sufficientemente grande da permetterci di entrare, strisciando. Il cartello piantato lì vicino diceva: Tana del Bianconiglio – Andate via!
    ”... Bianconiglio?”
    Scrollai le spalle, rassegnato.
     
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    Annarita
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    :Thot:

    Non avevo idea che entrare nella mente di Pandia sarebbe stato così devastante e non per la “quasi” lotta contro le baby guerriere, non erano così poi diverse da come le avevo conosciute molti anni prima! Le ricordavo poco più che ragazzine, più agguerrite che mai nella decisione di “non” seguire le mie istruzioni e i miei insegnamenti. Ognuna, a loro modo, poi era cresciuta ma non avevano ancora perso quel tratto fanciullesco che – a mio modesto parere – gli avrebbe permesso di fare tanta, tanta strada. Dicevo, la devastazione stava nel fatto che… beh, soffrivo di claustrofobia! La nascondevo, la tenevo sotto controllo, la dominavo, ma in questo luogo fuori da ogni mondo conosciuto avevo la sensazione che ogni mia paura fosse amplificata, come se avessi tutti i nervi del corpo scoperti e qualcuno ci stesse danzando su una qualche coreografica tribale. Seminate le bambine, ben consapevoli che con me c’era poco da scherzare, avevamo seguito le tracce della piccola Pandia, fuggita su per un sentiero assurdo. Farfalle con orecchie da elefante mi svolazzavano attorno e mi si posavano sulle spalle e sul viso con poca leggiadria. Le scacciai con una mano e impallidii non appena vidi il cartello: “Tana del Bianconiglio – Andate via!” Dovevamo davvero strisciare dentro quel cunicolo così stretto? Auditore non sembrò avere dubbi e mi fidavo del suo istinto, perciò mi costrinsi a ingoiare ogni mia reticenza e, uno dopo l’altro, ci infilammo nel buco. Il passaggio sembrava più stretto di quanto in realtà non fosse, anzi sembrava che man mano avanzavamo, più di allargava. Sperai che non fosse solo frutto della mia immaginazione. Dopo solo pochi minuti, il tunnel finiva in una pozza di luce, l’uscita! Arrivammo in una piccola stanzetta, in cui i mobili erano “appoggiati” sul soffitto, senza neppure una finestra – questo poteva risultare normale, in teoria dovevamo essere ancora sotto terra! – mentre pupazzetti, bambole e vari giochi fluttuavano nell’aria. Aria che pareva dolce, quasi palpabile… un sommesso singhiozzare attirò la nostra attenzione, tanto che Ezio ed io ci guardammo all’improvviso per poi saettare lo sguardo dappertutto. Pandia doveva essere lì, ben nascosta. Non appena la piccola si accorse di noi, il lettino su cui era rannicchiata (sul soffitto), si capovolse e tornò nella sua posizione (a detta nostra!) normale. I suoi occhioni erano pieni di lacrime e mi si mozzò il respiro. Dovevamo riportarla indietro.
    “Principessina, è il momento di andare, vi stanno attendendo tutti con grande ansia!” parlai con voce placida, molto diversa da quella usata con le bimbe guerriere poco prima. Avevo la sensazione di stare camminando sul filo del rasoio e Pandia era colei che lo stava tenendo saldamente in pugno.
    “Principessina? Io non sono una principessa, avete sbagliato persona!” La sua voce si fece indispettita ed io rimasi impietrito.
    “Cosa vuoi dire? Chi sei allora?” Uno sguardo reciproco di assenso scambiato con Ezio decise che avrei cercato di portare avanti io la discussione, in caso di necessità avrei lasciato a lui il campo. Mi inginocchiai di fronte il lettino della piccola, in attesa di una risposta. Pandia mi pizzicò il naso, come a voler verificare che fossi reale e non frutto di una sua fantasia.
    “I miei sogni fluttuano verso le stelle e i miei problemi sono ben chiusi nel carillon” Con un ditino aveva indicato nuovamente sul soffitto, e ancora una volta, come per magia, la cassettiera si capovolse e si posizionò accanto al letto. Lassù, un carillon argenteo, decorato con intarsi preziosi, faceva bella morta di sé. Ezio si mosse per aprirlo, ma Pandia urlò: “Non lo toccare!! Oppure il sogno finirà e saremo tutti in pericolo!!”
    Non capivo cosa intendesse, ma Ezio indietreggiò e optammo nuovamente per il dialogo.
    “Pandia, vuoi dirmi cosa ti turba? Perché non vuoi tornare indietro con noi?”
    “Ho paura! Ho paura di diventare come loro, ho paura di tornare nella mia prigione, ho paura di… diventare grande!” Cominciavo a capire la logica di quel ragionamento e un brivido mi percorse la schiena.
    “Ma se non tornerai con noi, come potremo starti vicina? Non permetteremo mai che ti facciano del male!” Pandia mi sfiorò ancora una volta il profilo della fronte, pensierosa, sembrava davvero riflettere sulle mie parole, ma un fondo di timore bloccava ogni sua risposta. “Non devi aver paura, noi saremo sempre al tuo fianco!” rincarai la dose, convinto di essere sulla strada giusta per “farla tornare in sé”. Ma all’improvviso scoppiò in un pianto disperato, singhiozzi potenti cominciarono a sgorgare e squassare il suo corpicino. Ezio espirò affranto, potevo sentire la sua frustrazione e il suo abbattimento. Lo fissai, in cerca di consigli. Si avvicinò a sua volta e si inginocchiò al mio fianco.
    “Ehi, piccola, così ci costringi a trovarci un’altra amica e un’altra compagna! Noi senza non possiamo stare e se non ci sarai tu accanto a noi saremo costretti a sostituirti! Vuoi davvero questo?” Nonostante le parole forti, il torno di Auditore era rimasto pacato, dolce. Non ero convinto che avrebbe sortito effetti, ma sbagliavo. Pandia lo fissò, smettendo improvvisamente di singhiozzare e asciugandosi qualche lacrimone.
    “No, non potete, non potete sostituirmi. Resterò di nuovo sola!” Odiavo vedere quella nota di terrore nei suoi occhi, mi spezzava il cuore, nonostante ciò pian piano vedemmo il suo viso di bimba trasformarsi, maturare, diventare quello che ben conoscevamo, e amavamo. Era cresciuta, Pandia era tornata in sé, adesso dovevamo solo portarla via. “Oh, no! E adesso? Sono tornata grande! Dovrò diventare tutto ciò che loro vogliono…” Si coprì il volto con entrambi le mani, mentre sia Ezio che io, senza rendercene conto, l’abbracciavamo. I nostri corpi la sommersero, mentre piano, riprendeva a singhiozzare. Io da un lato e Auditore dall’altro fummo improvvisamente catapultati in un’altra scena. Il contatto con Pandia aveva fatto riemergere un ricordo lontano, sbiadito, ma non per questo meno atroce.
    Vidi una piccola bambina, vestita di stracci, vagare per strade che conoscevo molto bene. Nettuno. Lì, nel mio passato di mercenario avevo svolto molte missioni e il degrado che vi regnava all’epoca era senza pari in tutto l’Impero “decaduto”. Quella bimba camminava scalza, i piedini tumefatti e la pelle resa violacea dal freddo pungente. Fingeva di cercare un riparo, ma il suo intento era quello di rubare qualche frutto da una bancarella scalcinata. Ma ogni tentativo risultava vano, così si lasciò cadere stremata contro la parete rugosa di un grande edificio. Mi avvicinai a lei, sapevo che non era reale, ma dovevo fare qualcosa oppure sarei impazzito. Mi tolsi il lungo mantello e glielo adagiai sulle spalle tremanti, mentre Ezio – non so da dove – tirava fuori una mela e gliela porgeva con un sorriso affabile. Nemmeno lui avrebbe sopportato a lungo quella visione, dovevamo porvi fine.
    “Ecco, è per questo motivo che non posso… non voglio essere la Principessa che tutti desiderano. Ho patito la fame, la sete, il freddo… Per colpa di quello stesso Impero che dovrei servire e onorare! Non sono una Principessa, sono una sopravvissuta. E non posso continuare a mentire a me stessa e a chi mi sta intorno. Non voglio più farlo!” Fu la Pandia del ricordo a parlare, ma la voce che udimmo era della Pandia che conoscevamo, della giovane guerriera che voleva conquistare la sua libertà…
    Ritornammo di colpo nella stanzetta, ancora inginocchiati sul legno profumato, mentre Pandia ci fissava con sguardo deciso. Ero disorientato, non immaginavo ciò che aveva patito nella sua giovanissima età. L’avevo conosciuta poco più che ragazzina, animata da una scintilla di ribellione ma anche da un forte senso di giustizia. Dove affondavano le radici di tutto questo? Non lo sapevo, non ancora, ma avevo la sensazione che l’avremmo scoperto molto presto. Il nostro viaggio non era ancora finito.
     
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    Cristina
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    :Altair:
    "Ti sento teso?"
    "E come potrei non esserlo?"
    La voce di Aphrodite mi era arrivata suadente e preoccupata al tempo stesso all'orecchio, mentre seduto sul bordo del letto la sentivo farmi un massaggio alle spalle.
    "Non mi piace questo status quo e lo sai, come tua moglie tu vieni prima di ogni altra cosa amore mio... prima dell'Impero... di Selene e le sue scelte... ma sai che non sono l'unica a pensarlo..." mi sussurrò lei con voce calda, mentre fermandosi si sedette al mio fianco guardandomi dolcemente, mentre io soppesavo le sue parole e le notizie che proprio Bayek e Lara avevano riportato nel pomeriggio dopo il loro ritorno dalla propria missione.
    "Bayek mi ha fatto capire una cosa simile... dice che dovremmo suddividere le persone da ciò che sono" esclamai come poco convinto di quella osservazione o quanto meno avendo poca chiarezza in merito.
    "Ed ha ragione! Ad Athena non piace la posizione in cui è stata messa ed è fuggita, certo io e le altre teniamo segreta questa fuga, ma... lo sta facendo a rischio di venir accusata di Alto Tradimento, ma sai perchè lo ha fatto perchè come dice Bayek non siamo più Guerriere. Saremo anche Eterni Altair, ma ciò non significa che abbiamo un pensiero unico. Anche io la penso in egual modo, non mi piace questo aver voltato le spalle a voi ed al pianeta interno dell'Impero... è sbagliato, è ingiusto. La Terra è stata la nostra casa per tanto tempo e sono fiera di vivere qui, di combattere per essa... Nike e Ares non la pensano diversamente da me. Ci fa male questo distacco da Selene, perchè negartelo, ma ora come ora non riusciamo a condividere le scelte dell'Impero ed infatti stiamo cambiando molte cose nel governo dei nostri pianeti anche grazie e sopratutto a ciò che questo pianeta... questa confraternita ci ha insegnato. Abbiamo scelto di vivere qui... di rimanere al vostro fianco... non rischiamo grandi punizioni o rischiami perchè siamo indipendenti, ma... così non è per Pandia o le attuali Guerriere... loro non hanno scelta... credo che questo tu debba tenerlo in mente... sia per quanto concerne loro ed anche tutti i semplici abitanti della Luna, loro non possono pagare per le scelte di chi li comanda..."


    La voce di Aphrodite mi stava ancora risuonando in mente quando con le braccia conserte stavo osservando silenzioso il corpo addormentato di Ezio, insieme a quello del Generale Toth, accanto a Pandia.
    In totale segretezza, sopratutto all'oscuro di Selene, avevo interrogato Federico e Lara per sapere il motivo della presenza di Pandia lì. Una era la sua più cara amica e l'altro doveva dirmi come mai la Principessa aveva cercato suo fratello.
    Entrambi sapevano di non poter mentire ad un Mentore e così mi avevano confessato le domande, sempre più insistenti, e l'interesse di Pandia verso la confraternita un qualcosa che se scoperto sarebbe stato considerato Alto Tradimento e che per questo si vedeva di nascosto con Auditore per avvicinarsi agli Assassini, desiderava che lui l'allenasse. Seppur io non potevo sapere che ci fosse alto c'era un fondo di verità in ciò, motivo per cui credetti loro.
    Tutto questo aumentava le mie perplessità verso Selene ed il suo Impero, quanto le cose dovevano essere sbagliate e fosche se anche la sua stessa sorella e le sue stesse amiche parevano andarle contro?
    "Vorrei aver chiara la Vostra posizione Imperatrice..." esclamai improvvisamente rompendo il silenzio calato nella stanza. Continuavo a fissare gli "addormentati", quando parlando voltai il capo per incontrare lo sguardo cristallino di Selene.
    "Ho ben chiaro che non siamo più alleati, ma vorrei sapere se da oggi devo considerarci nemici" le mie parole erano ben scandite e volevano sottolineare quanto e come sapessi del suo attuale avvicinamento ai Templari, uno sul quale non poteva soprassedere. Chi era loro alleato era nostro nemico.
     
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    :Selene:
    Cercai di reprimere un ennesimo sospiro e mascherare così la mia apprensione.
    Da quanto tempo Ezio e Thot sono addormentati?
    Forse pochi minuti, ma a me sembravano eternità infinite. Mi strinsi la cappa intorno al corpo, per contrastare il freddo che non diminuiva neanche in prossimità del caminetto, del fuoco così debole che riscaldava e illuminava la stanza povera e spartana in maniera debole e inadeguata.
    Il freddo che mi colpiva derivava però dalla stanchezza di quei giorni così intensi, dei continui pensieri che mi affollavano la mente, delle visioni che disturbavano il mio sonno. Una nuova tempesta di stava approssimando, il periodo di pace in cui avevamo potuto ricostruire le basi del nuovo Impero, riorganizzando tutte le istituzioni, ricostruendo le città e le strutture sociali, era terminato. Sapevo che sarebbe successo, per questo motivo mi stavo preparando già da tempo.
    Fissavo senza potermene distaccare il viso abbandonato nel sonno di Pandia, di colei che amavo come me stessa, ma che nelle visioni vedevo comportarsi in maniera oscura, che mi avrebbe ferito immensamente.
    Ero accorsa immediatamente sulla Terra quando gli Assassini avevano comunicato il suo stato. Mi ero concessa solo il tempo di indossare il mio completo da viaggio: una tunica corta azzurro cielo, pantaloni, stivali in pelle bianca alti sopra il ginocchio e una mantella bianca foderata di candida pelliccia. Non avevo avvisato Endymion del mio viaggio; non volevo farlo preoccupare, e per il fatto del diverso trascorrere del tempo, la mia assenza sarebbe consistita in poche ore e non sarebbe stata notata da nessun membro della Corte.
    Inoltre, se avessi comunicato a mio marito il viaggio imprevisto, non sarei riuscita a nascondergli un fatto molto grave: non avevo creduto un solo secondo alle parole che mi erano state date come spiegazione. Il Generale Thot, il suo uomo di fiducia, stava nascondendoci della verità sul conto della sua promessa sposa.
    Mi premetti i polpastrelli sulle tempie e poi sulla fronte. I mal di testa mi stavano torturando sempre di più, in quelle ultime settimane, come se qualcosa che volesse uscire ad ogni costo premesse da dentro la mia testa con violenza. Altair mi offrì dell'acqua ed una sedia con modi garbati ma distanti, così come tutti loro si erano mostrati da quando eravamo arrivati. Rifiutai, tornando ad osservare le tre figure distese.
    Quanto tempo è passato?
    Se anche all'inizio non mi ero comportata bene con mia sorella, negli ultimi anni avevo cercato in ogni modo di costruire con lei un rapporto che rappresentasse un sostegno per entrambe. Le avevo donato il mio affetto, le avevo insegnato ogni cosa che sapevo sul regno, sulla politica, sul modo di destreggiarsi in un campo insidioso come la diplomazia. Avevo dimostrato fiducia nell'assegnarle compiti importanti, non ultimo la guida della nuova generazione di Guerriere.
    Non ritenevo di aver commesso con lei nessuno sbaglio, ero convinta di averla coinvolta nel mio mondo, nei miei pensieri, facendo quanto nelle mie possibilità per renderla felice, finanche nella scelta dell'uomo da sposare. Pensavo che mi sarebbe stata vicino ed invece... qualcosa si era rotto. Non avrei saputo dire quando, ma ne ero certa, lo vedevo nei suoi occhi ed ora... anche nella reticenza delle persone che le erano più vicine.
    Eppure ero lì, a temere per la sua vita, mentre invece avrei dovuto essere sulla Luna, a consolidare la mia nuova alleanza con Kenway e a cercare di risalire all'ubicazione delle cripte nascoste.
    Non era stato un caso il ritrovamento dei diari di mio padre, nascosti sotto le rovine dell'antica sala del tesoro. Essi volevano essere ritrovati, la loro conoscenza lì trascritta doveva essere riportata alla luce.
    Guardai quasi con fastidio e freddezza Altair, che con la sua domanda mi aveva riscosso dai miei ragionamenti.
    ”Vorrei aver chiara la Vostra posizione Imperatrice... Ho ben chiaro che non siamo più alleati, ma vorrei sapere se da oggi devo considerarci nemici”
    Notai l'estrema deferenza con cui Altair, che un tempo si era professato mio leale compagno, ora si rivolgeva a me. Un rispetto che andava oltre quello che mi avrebbe tributato chiunque non fosse stato in ben altri rapporti con me. Quella deferenza raccontava molte altre cose, stabiliva confini netti, non travalicabili.
    Il tremito del mio corpo aumentò, aggravato dallo sconcerto delle sue parole. Fitte lancinanti facevano balenare lampi davanti agli occhi.
    Mi girai verso di lui, per fronteggiare la neanche tanto vaga accusa che mi rivolgeva. Non la accettavo, non la ritenevo giusta, e questo mi amareggiava ancora di più.
    ”Altair, tu dici che non siamo più alleati, ma da chi è stata presa questa decisione? L'Impero vi avrebbe continuato a sostenere come ha sempre fatto. Avete deciso voi di lasciare la protezione della casa terrestre che vi avevo donato, per rifugiarvi...” Feci un gesto ampio con la mano, indicando la stanza ”... in questo luogo sperduto, lontano da tutti. Inoltre, nessuno di voi mi ha ancora spiegato chiaramente quali sono le vostre motivazioni. Quello che pensavo ci fosse tra di noi era sincera amicizia e solide relazioni, considerando anche ben altre questioni che ci legano. Io ed Endymion abbiamo un progetto per il futuro del nostro popolo, un sogno che potrebbe, per la prima volta da quando esiste l'Impero, comprendere anche i popoli della Terra”
    Strinsi le labbra, che tremavano ogni volta che evocavo il sogno ed il desiderio che io e mio marito avevano cullato per anni, quando eravamo imprigionati nella Foresta Rossa; quello stesso sogno che ci aveva donato la forza di tornare alla realtà. Quel disegno di un futuro migliore che impegnava me e lui ogni giorno, ogni ora, ogni secondo, corpo e anima. Ricacciai indietro le lacrime che inumidivano gli occhi.
    ”Non intendo giustificarmi per il mio agire. Io mi adopero per il bene universale e non mi lascerò ostacolare da pregiudizi o antiche faide che non mi appartengono. Quello che sto cercando di donare ad ogni essere vivente è una vita senza minacce, paure, ingiustizie! Non lo vedete? Come fate a non desiderarlo? “
     
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    Annarita
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    :Arno:

    Non credevo sarebbe stato possibile, per giorni mi ero costretto a non pensarci, a credere che – in qualche modo – tutto si sarebbe sistemato. Adesso, però, con quei fogli tra le mani dovevo ammettere di essermi sbagliato, clamorosamente. Non riuscivo ancora a capacitarmi di come fosse successo. Troppo in fretta… continuavo a ripetermi. In un batter di ciglia, avevo visto crollare un sentimento che credevo indistruttibile. Avevo tenuto gli occhi chiusi per così tanto tempo? Lontano dalla Confraternita avevo perso la bussola, solo che lo scoprivo in ritardo e nel peggiore dei modi.
    Claudia mi chiedeva il divorzio. Dopo neppure venti giorni dalla sua partenza per la Russia, dopo nemmeno venti giorni dalla nostra ultima discussione.

    “Il mondo ha bisogno di noi, ora! Ha bisogno degli Assassini che eravamo un tempo: fedeli alla causa, vicini alla gente e non meschinamente arroccati in un palazzo invisibile!” Non urlavo, la mia voce era più simile a un ringhio. La potevo sentire nel petto, tesa e vibrante, come una corda di violino. Non ero solito alzare i toni, con Claudia poi non ne avevo mai avuto bisogno, ma sì, in quel preciso istante avrei voluto levare le braccia al cielo e gridare tutta la mia frustrazione. Perché? Perché non riuscivo a capirla. Mi chiedeva di tornare il Russia, con lei, dopo tutto quello che era accaduto. Da Assassina, come poteva farlo?
    “Davvero credi che sarà più facile? Almeno gli alieni ci proteggevano, ci tenevano alla larga da pazzi scriteriati che – in ogni momento! – potrebbero arrivare qui e scoprire i nostri segreti!”
    “Non abbiamo bisogno di protezione, Claudia! Abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi e non possiamo farlo se continuiamo a stare chiusi e invisibili al mondo. Un tempo, sfruttavamo la nostra capacità di diventare fantasmi per servire la Luce… cosa abbiamo fatto in questi ultimi anni? Io per primo mi sono allontanato dal Credo, seguendo te e la tua nuova vita. E non lo rimpiango. Non lo rimpiangerò mai. Ciò nonostante, dopo tutto quello che è successo, tu da Assassina, come puoi chiedermi di mollare tutto di nuovo? Quando c’è così tanto da fare, da ricostruire…” Cominciavo a pensare di essere io il pazzo.
    “Arno, ricorda che non sono solo un’Assassina, sono ben altro!” Il suo tono era glaciale, irriconoscibile. Dov’erano finite le note calde e rotonde di cui mi ero innamorato?
    “Quando ti ho sposato eri solo un’Assassina, eri soltanto mia e di nessun’altro. Poi sono arrivate altre responsabilità e io ho lasciato il mio mondo per seguire il tuo. Senza rimpianti, ripeto. Ma adesso che chiedo a te la stessa cosa? Per inciso, una richiesta che non avrebbe dovuto neppure esserci. Da Assassina avresti dovuto farlo a prescindere! Invece? Siamo qui a ringhiarci contro come due estranei… credo che qualcosa non stia andando per il verso giusto!" Adesso ero rammaricato, sinceramente rammaricato, mentre il cuore pulsava a una velocità doppia di fronte a un’innegabile verità: stava franando tutto.
    “Finirete tutti impiccati, Arno! Questa nuova apertura porterà solo dolore e devastazione. Non posso accettarlo, non posso sacrificarmi quando ho ben altre responsabilità!”
    “Responsabilità che vanno oltre ciò che provi per me. Non avevi mai pensato che sarebbe potuto succedere un giorno? Che avrei sentito il bisogno di tornare tra i miei Fratelli? Ho rinchiuso il mio spirito in uno scrigno, per l’amore che provo per te, ma oggi… oggi quello scrigno si è aperto all’improvviso e l’amore… l’amore che tu provi per me non basta…” Non ero certo di aver davvero pronunciato parole tanto terribili. Parevano lame che squarciavano senza pietà cuore, mente e anima. Una consapevolezza così terribile da lasciare inebetiti… da non permettere di percepire neppure lo schiaffo che si abbatté sulla mia guancia, i passi veloci di Claudia che avevano abbandonato la stanza, le sue terribili parole di addio…


    Afferrai i fogli che avevo tra le dita e li lasciai cadere a terra. Li guardai svolazzare placidi fino a raggiungere la pietra fredda, fredda come le mie mani e il mio respiro. Ancora una volta avevo perso parte delle mie certezze. Claudia era diventata per me un faro, solo pochi mesi prima aveva dichiarato che nessuno ci avrebbe mai spezzati… e invece era accaduto! Non ci avevano solo spezzato ma dilaniato! Respiravo a fatica, appoggiato malamente allo scrittoio davanti a me, un mozzicone di candela ancora accesso rischiarava i lineamenti contratti del mio viso.
    Ben presto, però, fui costretto a scuotermi dai miei pensieri funerei. Qualcosa di ben più grave era accaduto! E io avrei dovuto mollare i miei Fratelli in un momento tanto delicato?

    Mi trovavo dietro Altair e Selene, quasi a guardia dell’entrata della piccola stanza. Anche io fissavo i corpi esanimi di Ezio, la Principessa Pandia e il Generale Thot. In appena un’ora la nostra esistenza era stata nuovamente stravolta. Avevo intuito da tempo che fra Ezio e la principessa doveva esserci qualcosa di più di una semplice complicità basata sull’interesse verso il nostro Credo. Non escludevo che Pandia ne fosse affascinata e, segretamente, credevo che grazie al suo temperamento battagliero avrebbe anche potuto fare strada tra le nostre fila. Tuttavia, non poteva essere solo questo il vero motivo delle sue visite, non quando aveva un promesso sposo e un matrimonio da organizzare. Perciò l’offerta di Ezio di aiutare il Generale in quella missione oltremodo rischiosa non mi stupì affatto… ciò che mi lasciò interdetto fu invece il dispaccio che ci era stato recapitato da un fedelissimo proveniente da Bayek e Lara. Dovevamo ancora attrezzare il nostro nuovo Covo con la tecnologia di ultima generazione di cui avevamo disperatamente bisogno, visto il posto sperduto dove ci trovavamo. Anche se, dovevo ammetterlo quell’aria spartana mi ricordava molto i miei primi tempi da Assassino, quando non esisteva internet e nemmeno la corrente elettrica a dirla tutta.
    La conversazione che stava avvenendo tra Altair e Selene mi fece rabbrividire, perché avevo ben percepito la minaccia celata nella domanda del Mentore, ma… la risposta dell’Imperatrice non sembrava avere falle… dal suo punto di vista. Erano così inconciliabili le nostre vedute? Mi sembrava quasi di sentire Claudia e questo mi rabbuio ancora di più il volto. Mi avvicinai al camino, dove le fiamme stavano languendo e le riattizzai con un gesto deciso. I miei occhi color del ghiaccio parvero ardere di quelle stesse lingue di fuoco quando udì le ultime parole di Selene.
    “Non intendo giustificarmi per il mio agire. Io mi adopero per il bene universale e non mi lascerò ostacolare da pregiudizi o antiche faide che non mi appartengono. Quello che sto cercando di donare ad ogni essere vivente è una vita senza minacce, paure, ingiustizie! Non lo vedete? Come fate a non desiderarlo?”
    Alzai lo sguardo e guardai Altair, chiedendo tacitamente il permesso di rispondere. Solo dopo il suo cenno lo feci.
    “Imperatrice, sono Arno Dorian. Non abbiamo avuto modo di conoscerci molto a causa di una mia prolungata lontananza dalla Confraternita, non per questo mi sono però allontanato dal Credo. Non stiamo rigettando i vostri doni preziosi, vogliamo semplicemente farvi capire che a causa di questi doni stavamo rischiando di perdere davvero ciò in cui crediamo. E questo non possiamo permetterlo. Non esiste un bene universale, permettetemi, l’Umanità è molto più che sfaccettata, così come lo saranno le genti degli altri pianeti. Per conoscere queste sfaccettature bisogna camminare tra loro, non rintanarsi in un castello di avorio…” La mia voce era venuta fuori più pacata di quanto mi ero imposto. Speravo però di non averne perso in incisività. Ero certo di interpretare il pensiero degli altri Assassini. Tutti, tranne una… Strinsi la mascella per nascondere il dolore che mi provocava quel pensiero, ma avrei combattuto fino all’ultimo respiro per il Credo. Anche solo contro tutti sarei rimasto in piedi, con le mie lame celate a difendere e servire la Luce. E al diavolo tutto il resto!


    Edited by KillerCreed - 30/11/2019, 01:29
     
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    Essere messa a nuda in quel modo di fronte a loro mi scuoteva, il problema è che non avevo controllo sui ricordi che emergevano come quello in cui Toth scopriva che non sempre ero stata la Principessa che credeva, nè da bambina, nè anni prima quando appena arrivata sulla Terra combattevo una crociata solitaria contro le Guerriere, che odiavo con tutta me stessa. Le accusavo di essere scappate dopo la distruzione dell'Impero ed essersi rifugiate su un pianeta dove mentre loro vivevano con tutti i crismi e i lussi, il resto della galassia sopravvissuta soccombeva alla pirateria ed ai mercenari.
    Volevo recuperare il Cristallo Nero e con esso ricostruire tutto, solo che la mia idea di ricostruzione era diversa da quello che poi era stato e forse quel ricordo ora non era altro che un rimorso. E se ce l'avessi fatta? Forse le cose sarebbero state diverse.
    Era così che nella vecchia casa che usavo all'epoca come base operativa osservavo l'unico muro non spoglio della casa in cui con foto, puntine e fili avevo segnato tutte le informazioni che avevo recuperato sulle Guerriere, gli Assassini ed il Black Moon per capire come agire.
    Ero una Pandia più giovane, vestita da ribelle e con le braccia incrociate percepivo chiaramente la presenza di Ezio e Toth alle mie spalle.
    "Il mio errore è stato non rivolgermi agli Assassini... li combattuti credendoli succubi delle Guerriere, ma forse se lo avessi fatto insieme saremmo riusciti a recuperare il Cristallo..." ammisi pensierosa bloccata nel mio ricordo mentre loro si guardavano attorno, toccavano vicino un momento della mia vita, l'ennesimo.
    Fu quando Ezio mi mise una mano sulla spalla per farmi voltare che facendolo tornammo nella mia cameretta ed io tornai con l'aspetto attuale che tutti conoscevano, compresi loro.
    "Non esiste nulla peggio dei rimorsi, io lo so bene... ma, ahimè, anche se si avesse la possibilità è impossibile cambiare l'inevitabile..." e lui lo sapeva molto bene, era una lezione che lui e Federico avevano avuto sulla propria pelle, che Persephone si era preoccupata di impartire loro.
    Tuttavia più la mia agitazione, ansia e paura cresceva più il carillon iniziò a tremare, così forte che alla fine cadde a terra e quello che ne uscì spaventò i miei compagni in un modo che non credevo possibile.
    Di fronte a loro c'era una Pandia uguale a me se non fosse stato per vesti stracciate, i capelli unti, le occhiai spesse e la bocca pregna di sangue. Stringeva in mano un pugnale fatto d'osso ed appariva come uno di quei personaggi tipici dei film horror.
    Immediatamente quella ci attaccò scagliandosi contro di noi, mentre io guardandomi intorno l'unica cosa che trovai fu un cuscino che le sbattei in faccia, prima di prendere i due uomini con me e con loro chiudersi nel mio piccolo armadio. Lì osservammo la figura terribile sbattere con i pugni sulle ante, fare strani versi e cercare di entrare, mentre io respiravo a fatica stretta tra Ezio e Toth.
    "Q-Quella sei tu?" la domanda del Generale al mio fianco mi spinse a volermi giustificare. I loro sguardi sconvolti nei miei confronti mi mettevano in soggezione.
    "Selene mi ha sempre detto che noi non possiamo permetterci di esprimere i nostri pensieri negativi e così li ho riposti tutti in una scatola. Ordinati. Schiacciati. Non era previsto che uscissero!"
    Biascicai prima che il muro alle nostre spalle cedette e cadendo all'indietro mi trovai a terra seppellita dai miei abiti, gli stessi che scostai prima di guardarmi intorno e scoprire di essere sola.
    "Ezio? Toth? Dove siete? Dove siete?" iniziai ad urlare e chiamare sempre più terrorizzata.
    Era tutto buio intorno a me, ed io avevo paura. Non volevo restare sola. Non volevo perdere anche loro. Mi venne in mente mia madre e come tutto dopo la sua morte mi pareva impossibile, la sua morte aveva causato la fine della mia vita, una povera ma in cui ero felice ed ora non volevo che accadesse di nuovo.
    Il respiro si affannò e le lacrime mi iniziarono ad uscire copiose, mentre raccogliendomi le ginocchia al petto iniziai a piangere sempre più spaventata.
     
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    :Ezio:
    Caddi all'indietro, in un buio così fitto da sembrare solido e precipitai per ore, o forse erano invece pochi battiti di ciglia. Quando cominciavo a pensare che la caduta sarebbe continuata per sempre, avvertii il terreno solido sotto i piedi. Rimasi immobile per una frazione di secondo, per recuperare il disorientamento, ma con tutti i sensi tesi e vigili.
    La luce dell'ambiente mi accecò, e quando riabituai la vista mi accorsi di essere in un luogo a me familiare. Il silenzio e la tranquillità quasi mi colpirono sfavorevolmente, dopo l'apparizione terrificante nella camera da letto di Pandia e gli istanti concitati che erano seguiti immediatamente dopo.
    Nasconderci davanti ad un solo avversario, quando eravamo in tre e anche discretamente preparati ad affrontare ogni genere di conflitto, per quanto terrificante sembrasse, poteva apparire una vigliaccheria, ma Pandia era stata chiara: ”Dobbiamo rimanere illesi, anche se ci troviamo in un sogno. Se il nostro corpo venisse ferito, quello fisico che si trova a Nanda Parbat subirebbe le medesime conseguenze, anche le più estreme, come la morte...”
    Ed ora, eccomi qui, da solo. Mi sfuggì un'imprecazione a mezza voce per il disappunto: se ci dividevamo, aumentavamo il pericolo di non riuscire a tornare indietro, ora che avevamo ritrovato Pandia.
    Un paio di occhi ostili mi fissarono lievemente incuriositi dalla mia reazione. Cercai di riprendere il controllo di me stesso, e di studiare velocemente una strategia davanti alla nuova partita che dovevo giocare, senza farmi abbattere dai contrattempi.
    Dove ero finito? Ovviamente riconobbi senza esitazione la stanza di Contenimento che esisteva nella vecchia Nanda Parbat, ed avevo subito riconosciuto il frangente in cui – Chi mi ha spedito qui? Pandia? Chi gestisce le situazioni e a che scopo? - ero arrivato: Pandia aveva attaccato le Guerriere per rubare loro il Cristallo d'Argento, riducendo quasi in fin di vita Altair. A quel tempo, lei era solo una ragazzina pericolosa e irritante, che si rifiutava di collaborare o anche solo di spiegare le motivazioni dei suoi gesti. Stavo interrogandola già da diverse ore, ma con scarsi risultati, tanta era la testardaggine che dimostrava. Solo Selene, che sarebbe arrivata di lì a qualche minuto, sarebbe riuscita a rompere il muro di ostilità che aveva eretto.
    Mi scervellavo per comprendere il mio ruolo in questo pezzo del sogno, e l'unica risposta che mi davo era questa: dovevo risvegliarla anche qui. Questa volta però, contavo su diversi vantaggi che nella realtà non avevo posseduto: conoscevo molto meglio la mia prigioniera, e sapevo dare un nome a quell'irritazione mista a tensione emotiva che a quel tempo mi rifiutavo di riconoscere. Credevo che fosse semplicemente frustrazione, ma il suo atteggiamento mi aveva attirato da subito, anche se per causa sua portavo ancora i segni dello scontro avuto con lei.
    Sorrisi, avvicinandomi al tavolo che ci separava. Pandia si irrigidì, sospettosa, ma io mi limitai a sedermi sul tavolo, rivolgendo a lei tutta la mia attenzione.
    ”Non ti ho neanche chiesto se hai fame. Immagino di sì, dato che siamo qui da così tanto da non sapere più neanche se è giorno o notte. Cosa ti piacerebbe? Un sandwich con burro di arachidi e marmellata, forse?”
    Conoscevo la sua passione per queste cose, ora. La vidi tentennare, quasi pronta a cedere. Se avessi conquistato la sua fiducia, sarei anche riuscito a farla tornare, a farla partecipare nuovamente alla missione.
    Non mi rispose, ma i suoi occhi non lasciavano i miei, e questo era positivo.
    ”Pandia, sei sicura di non sapere chi sono io...”
    Aggrottò le sopracciglia, diffidente, disorientata dal mio improvviso cambio di registro. Durante l'interrogatorio ero stato implacabile, ringhioso, caustico, beffardo, offensivo e non avevo fatto altro che provocare ancora di più la sua reazione di difesa. Intuivo i suoi pensieri: un carceriere che diventa improvvisamente accondiscendente e gentile non è un buon segno.
    Eppure, non c'era solo quello nel suo sguardo. Misi dentro al mio ogni singolo grammo di amore che provavo per lei, le parole non sarebbero servite, la avrebbero solo portata a rifugiarsi nuovamente nel suo guscio.
    Lentamente, il suo sguardo si illuminò, vidi una barlume di ricordo emergere, che man mano diventò più deciso. Poi, sembrò quasi un miracolo, ma seppi che mi aveva riconosciuto, che si ricordava di noi.
    In quel momento, la porta della stanza si aprì. Non mi girai per controllare, pensavo che si trattasse di Selene. Pandia era sul punto di riacquistare la memoria, ed ero certo che di lì a breve ci saremmo ritrovati in una nuova realtà o, non osavo sperarlo, a Nanda Parbat, in salvo.
    Invece lei, che era di fronte all'entrata, reagì con uno sgomento inaspettato. Si allungò per prendermi la mano, urlando: ”Non è qui per me! Devi scappare!”
    Le strinsi la sua: ”Mai senza di te!” Poi mi girai per vedere chi fosse la persona che aveva quell'effetto su di lei.
    Quando il mio sguardo incontrò il suo, impallidii. Non mi vergognai ad ammettere che provai il terrore più puro ed irrazionale. La donna aveva i capelli scuri, indossava una divisa militare che rimandava ad un passato di orrore che il mondo aveva vissuto settant'anni prima, ma non era quello. Era lei: il suo sguardo raggelante e feroce, e la sua presenza, così diversa da tutto il resto, come se non appartenesse a quella realtà. Non feci in tempo a reagire, mi sentii risucchiare verso il pozzo oscuro delle sue pupille. La mano di Pandia scivolò via dalla mia, e tutto divenne nuovamente nero.
     
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    Era tutto buio, ma io mi trovavo a mio agio con l’oscurità. Ciò che mi preoccupava era la posizione in cui “sapevo” fosse il mio corpo. Dopo aver perso i sensi – o forse ero stato semplicemente catapultato in un altro luogo, questo non mi era molto chiaro – avevo riaperto gli occhi in quel mare di pece, le mie caviglie erano infilzate da catene che reggevano tutto il mio peso: mi trovavo a testa in giù, prigioniero, i polsi legati dietro la schiena, il cuore che batteva all’impazzata a causa del terribile senso di impotenza che stavo provando. Non osavo immaginare in quale altro posto assurdo ero finito, la mente di Pandia era un labirinto che nascondeva terribili sorprese dietro ogni angolo. Quando il carillon era caduto, rompendosi in mille pezzi, nessuno di noi aveva immaginato cosa sarebbe accaduto! Rabbrividivo nel ricordare Pandia, Ezio e me rinchiusi in quell’angusto armadio, a dire il vero non capivo come riusciva a contenerci tutti, ma immagino che “in sogno” tutto sia possibile. Non sapevo se essere felice di essere uscito da quella soffocante scatola, perché avevo la sensazione che ciò che mi attendeva sarebbe stato ancora più terribile. Nulla in confronto al mio terrore per i posti ristretti.
    Un respiro pesante interruppe il filo dei miei pensieri, nonostante la mia vista “notturna” eccellente non ero in grado di vedere ancora nulla. All’improvviso il respiro si trasformò in un ghigno e lo udì pericolosamente vicino. Potevo sentire un odore insopportabile di morte proprio accanto a me e quando uno spiraglio di luce mi permise di mettere a fuoco la scena fu il mio di respiro a fermarsi. Di fronte c’era la Pandia oscura, i suoi occhi brillavano di odio e risentimento, le sue labbra grondavano sangue, in una mano stringeva il pugnale d’osso con cui ci aveva minacciati nella sua prima apparizione, non avevo idea se fossero trascorsi pochi attimi o interi anni. Avevo perso la cognizione del tempo… ma non dello spazio. Un urlo grottesco uscì dalla gola di Pandia, prima che iniziasse a incidere con la lama il mio torace privo di corazza. Il dolore non arrivò immediatamente, al contrario, mi parve di vivere ogni cosa in una sorta di macabro slow motion. Il pugnale incise la pelle, i muscoli, fino a spezzare le ossa della gabbia toracica, poi Pandia afferrò il mio cuore e lo strappò via: lo vidi pulsare davanti ai miei occhi allibiti. L’atroce agonia iniziò subito dopo. Il dolore esplose come una palla di fuoco nel mio petto, anche se la mia razionalità continuava ad essere vigile: se fosse accaduto nella realtà sarei già morto. Ma qui no, qui continuai a rivivere quel supplizio una, due, tre, parecchie volte. Ogni volta ripartiva tutto d’accapo: incidere, dilaniare, strappare. Ma il dolore fisico era nulla in confronto a quanto mi uccidesse il pensiero che fosse proprio Pandia a farmi questo… cosa aveva nascosto nel suo cuore per così tanto tempo? Ero terrorizzato, sì, lo ero sul serio e non me ne vergognavo. Non vedevo via d’uscita, sapevo che non avrei potuto ragionare con questa Pandia, non era veramente lei…!
    Un radicale cambiamento del tutto distrusse ogni mio ultimo barlume di ragione. Sarei morto qui, come nella realtà: questa l’unica certezza. Presi a sanguinare copiosamente, il dolore mi faceva digrignare i denti e gemere senza dignità, percepivo distintamente la lama penetrare nella carne, questa volta era diverso, questa volta sarebbe stata l’ultima. Non sapevo come facevo ad avere quell’incrollabile convinzione, ma sentivo che se avesse strappato il mio cuore adesso, tutto sarebbe finito. Mi trovai a sperare che ad Ezio fosse toccata una sorte migliore e che sarebbe riuscito a salvare Pandia… la nostra Pandia…
    Percepivo la lucidità venir meno, il pugnale pronto a recidere quanto mi teneva ancora legato alla vita… e mi parve strano, ma se non consideravo Pandia nell’equazione, non riuscivo a trovare un solo rimpianto per cui rammaricarmi. Forse ero impazzito durante il supplizio di Tantalo, forse il terrore aveva annebbiato anche il mio giudizio in punto di morte… ma era così. Ero assurdamente pronto, folle ma pronto alla mia fine… quando ancora una volta, il fato corse in mio soccorso. La vera Pandia non avrebbe potuto permettere che accadesse tutto ciò, non nella sua mente almeno!
    Un’Assassina comparve all’orizzonte della mia vista ormai opaca, Lara, credevo si chiamasse, una cara amica della Principessa. Non stetti lì a chiedermi se l’aveva mandata Selene percependo le nostre difficoltà o se l’aveva creata Pandia per “ribellarsi” a quanto di orribile stava accadendo, ma le sarei stato eternamente grato! Lara attaccò subito la mia aguzzina mandandola al tappeto con un poderoso calcio rotante, poi si preoccupò di liberarmi. Non proferì neppure una parola ed io, dal mio canto, non sapevo bene cosa avrei potuto dire. Una volta accasciato sul suolo sudicio, mi resi conto che la mia corazza era tornata al suo posto, il sangue era sparito, così come il terribile squarcio che aveva decorato il mio torace per un tempo infinito!
    Vidi Lara continuare a combattere con la Pandia oscura e capii che era giunto il momento di mettere fine a questa storia! Dovevo trovare Ezio e con lui salvare la Principessa, riportandola alla realtà, oppure nessuno di noi sarebbe uscito vivo da quel terribile incubo!


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 4/12/2019, 13:50
     
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    Avevo le braccia conserte e lo sguardo fisso sui numerosi monitori di fronte a me, mentre osservavo il progresso della missione in atto in quel momento.
    Indossavo l'alta uniforme del Reich che per nel mio caso era una tailleur formata da una giacca con spalle larghe e voluminose, ma vita stretta. Nera riportava sulle spalle la bandiera del Reich da un lato e del paese di appartenenza, nel mio caso della Germania, dall'altra. Sul dorso numerose spille che indicavano il mio grado ed i miei meriti.
    La gonna, sempre nera, era dritta fino al ginocchia.
    La camicia, che si intravedeva leggermente al di sotto, era beige chiara, mentre i capelli erano raccolti creando sulla nuca i famosi victory rolls.
    Il rossetto rosso come sempre sottolineava i miei tratti delicati e la mia pelle di porcellana, mentre lo smalto dello stesso colore era sulle mie unghie che adesso indicavano dei valori su uno degli schermi.
    "Herr Doktor questi sono i parametri vitali di Ophelia giusto?"
    "Sì Grande Madre, sono leggermente accelerati, ma nulla di cui preoccuparsi..."
    "Resisterà abbastanza?"
    "Assolutamente. Gli unici valori di cui dobbiamo preoccuparci sono quelli della Principessa, non vogliamo che muoia prima di ottenere ciò che vogliamo, giusto?"
    Assentì all'affermazione posata, ma folle del Dottore, quando spostando il mio sguardo sul lettino affianco osservai Shay che leggeva un libro distrattamente, come se nulla di tutto ciò lo toccasse, mentre riceveva la trasfusione di sangue.
    "Tutto apposto Cormac?"
    "Sì non c'è male, solo un po' annoiato... anche se non capisco, non bastava tutto ciò che già avevo fatto?" mi chiese osservandomi con quel suo solito fare strafottente, mentre io sorridendogli pacata spostavo abbassavo il viso prima di tornare a puntarlo verso il suo.
    "La Sorgente non è altro che un'imitazione del Galaxy Cauldron, esso è nato dall'oscurità e dalla luce dell'Universo. Come Deviata ho donato l'oscurità necessaria per incubare questa forza, cosa che Herr Doktor ha fatto con le punture che puntualmente ti ha somministrato, ma ora che è pronta serve una miccia per farla risvegliare..."
    "La luce di un Eterno immagino..." mi disse quasi stupito di essere riuscito a seguire il mio discorso, mentre io assentivo colpita dal suo acume.
    "Esatto! Ophelia la sta raccogliendo ed attraverso la trasfusione te la sta passando direttamente... come ti senti a proposito?"
    "Onestamente? Mi sento sempre più forte... è una fortezza diversa però... non so spiegare..."
    Feci un piccolo cenno con il capo ben lieta che tutto stesse andando come previsto, mentre il monitor che indicava il grado di "luce" raccolta riportava il numero 75%. Mancava poco, davvero poco e la mia unica speranza era che i suoi soccorritori non sarebbero stati bravi di svegliarla prima che tutto fosse completato, ne andava dell'esito della missione, del quadro generale delle cose e della mia stessa vita.
    Quasi a leggere i miei pensieri, come sempre, Oliver mi raggiunse posando le sue possenti ed amorevoli mani sulle mie spalle per poi farle scivolare lungo le mie braccia, mentre io mi abbandonavo al suo conforto percependo l'appoggio incondizionato che da sempre mi dava. Quell'amore trascendentale che ci legava.
    "Spero che tutti avete chiaro ciò che accadrà quando porteremo a termine questa missione. Vi chiedo tanto lo so, di rinunciare ai vostri poteri, alla vostra invincibilità... ma non vi chiederei un sacrificio tale se non fossi certa della vittoria..." avevo parlato lenta, ma decisa, attirando gli sguardi di tutti su di me.
    Conoscevano il piano, cosa sarebbe successo poi ed io avevo ammirato il loro senso del dovere, il loro accettare senza dubbi o riserve.
    "E questo lo sappiamo Grande Madre, lo sappiamo tutti. Ci fidiamo ciecamente della vostra guida... siamo certi della vittoria perchè siamo certi di voi. E' un nuovo inizio e non vediamo l'ora di farne parte!" la voce di Hybris era uscita piena di orgoglio e felicità, mentre la vicina di Adrian e i loro sorrisi mi fecero capire che aveva parlato a nome di tutti. Anche Oliver avrebbe fatto la sua parte e questo mi terrorizzava, mai prima d'ora eravamo stati divisi.
    Ma dopo tutto sarebbe stato migliore, per me, per loro, per i Deviati. Sarebbero tornati a casa con i loro poteri, le loro capacità, tutti più forti e liberi di prima. Tutti tranne uno, ma questo non era necessario che nessuno di loro lo sapesse. E così sorrisi ringraziandoli silenziosamente uno ad uno in attesa che Ophelia portasse a termine il compito assegnategli.
     
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    :Oliver:
    Le mani dietro alla schiena, le spalle dritte e le gambe ben piantate a terra, lievemente divaricate.
    Questa era l'immagine che davo a tutti quelli che mi conoscevano, che mi osservavano, temendomi o ammirandomi, poco mi importava. Quello che contava, ai miei occhi, era che ubbidissero, che si adoperassero in ogni modo, al limite delle loro capacità, per la gloria del Reich.
    Io ero la guida indiscussa di questo grandioso regno, e Nyx era la mia meravigliosa compagna.
    Ma nel mio cuore, lei era molto di più. Lei era tutto. Il significato del mio vivere, dell'esistenza dei Deviati che comandavamo, della lotta per raggiungere un luogo migliore, per conquistare un futuro più prospero. Lei era la genesi, l'inizio di tutto. Ero io, in verità, ad essere il suo compagno. Lei mi aveva sostenuto, guidato e aiutato nella scalata alla gerarchia del Reich sempre rimanendo nell'ombra, ma rappresentando il fulcro di ogni mia azione, di ogni mio sentimento.
    Dire che avrei fatto di tutto per lei non era abbastanza. Dire che senza di lei non sarei stato nulla era minimizzare.
    Da quando mi aveva salvato da una vita miserevole e incompleta, donandomi la sua fiducia nello starle accanto, eravamo diventati più che un'anima in due corpi. Avevo fatto mio il suo sogno di riabilitare la nostra razza, ero arrivato a tradire chi mi chiamava fratello senza battere ciglio, senza provare nessun rimorso che rubava il sonno la notte. Niente di tutto ciò mi sfiorava, da quando avevo trovato il solo e vero oggetto degno della mia lealtà: la mia Dea.
    Avevamo condiviso tutto, o almeno, questo era quello che avevo fatto io e non lei, che aveva agito alle mie spalle, negli ultimi giorni. Lo aveva fatto perché se avessi saputo delle sue intenzioni, che la avrebbero indebolita ancora di più, glielo avrei impedito.
    Ma ora, questi pensieri li avevo accantonati, e nessun rancore o sospetto oscurava il mio cuore. La sua bellezza potente era l'unica cosa a cui guardavo.
    Rilassai i muscoli del braccio, aprendo e chiudendo le dita che fino a quel momento avevo stretto così spasmodicamente nel pugno che le unghie si erano conficcate nei palmi, trapassando la pelle nera dei guanti.
    Il processo di estrazione dell'energia di un Eterno stava avendo successo; concentrare il nostro attacco sulla Principessa e non sull'Imperatrice, per quanto fosse un processo più lento, era stata una scelta opportuna della mia Nyx. Lei possedeva la saggezza di una mente superiore, a cui tutti noi dovevamo affidarci, se volevamo progredire nella nostra condizione. Dovevo fidarmi di lei, su questo non avevo dubbi, anche se odiavo ammettere che la parte del nostro piano, quella che si sarebbe avviata appena la nostra Sorgente fosse stata adeguatamente potenziata, mi sgomentava.
    Avrei dovuto separarmi da lei, lasciarla sola nel luogo dove ci saremmo diretti per vincere. Per risvegliare altri Deviati e trovare una nuova patria più dove espandere il nostro potere, così sapevano i nostri più stretti collaboratori.
    Ma il vero scopo di tutti gli esperimenti che per anni avevamo condotto era un altro, e solo io, oltre a Nyx, ne ero a conoscenza: la creazione di un nuovo Galaxy Cauldron serviva principalmente per salvare la vita della mia diletta.
    Respirai profondamente attraverso i denti, mentre i miei occhi scrutavano ancora una volta il laboratorio: dalla strumentazione medica collegata agli alambicchi graduati, agli schermi lampeggianti, agli scienziati in camici bianchi con le espressioni tese e concentrate, al soggetto principale dell'esperimento, che non dava segni di malessere, alla mia luce, la mia personalissima sorgente di vita.
    Mi avvicinai a lei, le posai le mani sulle spalle. Il tessuto spesso e rigido della divisa mascherava l'esilità del suo corpo, quasi consumato dallo sforzo sublime e portentoso che si costringeva ad affrontare per il bene del suo popolo. Non avrei potuto fare altro che seguire ogni sua volontà senza il minimo tentennamento, per ricompensarla di tutto quello che faceva per noi.
    Osservai il misuratore dell'energia assorbita fino a quel momento: 75%. Eravamo quasi arrivati al punto critico, quando il ricettacolo, Cormac, sarebbe stato pronto per il suo ruolo decisivo.
    Cercai gli occhi della mia amata nel riflesso dello schermo. Ci eravamo già salutati prima di lasciare il nostro appartamento, quindi non mi sarei mai permesso di cedere a gesti di tenerezza o di intimità nei suoi confronti, davanti a chiunque, ma sentivo il bisogno di un ultimo contatto, prima che si compisse la parte più ardua del nostro piano.
     
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