Alternative Reality #1942-1943: Camp Toccoa & Aldbourne

Season 4

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    C'era una volta il Supremo, il sommo creatore di tutti gli universi, multiversi e omniversi del Creato. Lui era l'unico essere ineluttabile che aveva creato la vita e tutte le specie esistenti che lo abitavano.
    Onnipotente, onnisciente, onnipresente, omniversale, onniveggente, onnilingustico e onnicomprensivo era al di fuori di tempo, spazio e realtà, oltre che essere al di sopra di tutto e tutti.
    Il Galaxy Cauldron invece era il Cuore pulsante dell'Universo da dove dallo stesso il Supremo creò il TUTTO oltre che i Celestiali, la Guardiana di Saturno e i Crystal Seeds.
    Con la necessità di controllare il Creato il Supremo creò il Tribunale Vivente, formato da 14 Celestiali che avevano il compito di mantenere l'equilibrio tra le diversi realtà che costituivano il multiverso.
    Il Tribunale Vivente entrava in gioco quando strettamente necessario, ad esempio quando dovevano giudicare un pianeta per qualche motivo, controllare le azioni di altre entità cosmiche oppure se dovevano agire come arbitro su questioni che riguardavano un intero universo. Era infatti a loro che mi ero rivolta prima di compiere e mettere in pratica quel piano e quel desiderio che da millenni covavo nel mio cuore.
    Mi avevano ricevuto e di fronte a tutti i Celestiali avevo avanzato la mia proposta.
    "Sommi Celestiali sono qui di fronte a Voi per perorare la mia causa. Come ben sapete il Supremo, all'inizio del TUTTO, creò me e mio fratello Etere con il compito di essere Padre & Madre di due elementi essenziali per l'universo: Oscurità e Luce. Due piatti della bilancia che avrebbero dovuto essere sempre tenuti in equilibrio, da Voi Tribunale Vivente, ago della bilancia. La Guardiana di Saturno da sempre è l'esecutrice delle Vostre condanne e mai come in questi ultimi secoli si è risvegliata, più di quanto sarebbe consono. Questo è indubbiamente un primo indizio che indica che le cose non sono più in equilibrio da molto tempo ormai ed è per questo che sono qui, per chiederVi il permesso di porVi rimedio"
    Ophelia si sta preparando al compito che le avevo dato, per risvegliare la Sorgente, mentre io mi trovavo in quel luogo sacro. Sapevo che se non avessi vinto la causa portare avanti la mia missione alle loro spalle avrebbe significato una condanna peggio della morte. Sarei stata esiliata nel Vuoto Cosmico e questa volta per sempre, senza possibilità di ritorno.
    "Abbiamo ascoltato la tua arringa Grande Madre, ora dicci: qual è la tua proposta?" la voce ultraterrena di Ashema risuonò vibrante, mentre osservandomi nella mia figura minuta, rispetto a loro, ma elegante, composta e rispettosa, presi un gran respiro prima di continuare.
    "Di rigiocare la partita. C'è stata una iper prolificazione di Eterni causando la rapida disfatta dei Deviati quanto dell'equilibrio cosmico. Chiedo di invertire le sorti, ma di farlo in modo corretto..." dissi con fierezza, mentre la mia mente viaggiò lontana, ad un ricordo così antico da parre quasi una fantasia, una che ancora mi doleva nel petto.

    "Difficile credere che un tempo eravamo legati. Fratelli ed eredi di poteri primordiali che ci resero il Grande Padre e la Grande Madre. Tutto il tempo è un tempo lunghissimo da colmare."
    NYX:"Vediamo… Sommo Sacerdote sull'ombra dello stolto, iper scacco matto
    "Noi due avevamo scelto di concentrare la nostra immortalità sulla stessa cosa… l’intrattenimento dei giochi. Un modo per non danneggiare nessuno. Nessuna forma di vita. Stavamo creando gli Eterni e i Deviati e lo stavamo facendo con parità e rispetto, mantenendo l'equilibrio, almeno fin quando mio fratello non alzò la posta in gioco."
    NYX:"Facciamone un’altra. Gioco azzerato e stavolta cerca di stare concentrato. Ok Etere?"
    "Etere era il mio avversario abituale, il mio fratello di scacchiera. Il mio amico."
    ETERE:"Ora ti fai chiamare Gran Maestra?"
    NYX:"Oh è una nuova moda. Dopotutto siamo ciò che facciamo. Taneleer si fa chiamare “Collezionista”, Ord Zyonyz è il “Giardiniere”… tu potresti essere il giocatori magari o il concorrente"
    ETERE:"Sì in effetti potrei… Il Gran Maestro"
    "Era mio amico, ma poteva esserci solo un Gran Maestro, solo uno di noi poteva essere il più grande. I rapporti tra noi iniziarono ad incrinarsi, la posta dei giochi si fece sempre più alta… al punto che Etere perdette di vista il nostro obiettivo primario: mantenere l’equilibrio e la pace"
    ETERE:"Comprendi la posta di questo gioco, vero? Di quest’ultimo gioco? Il vincitore sarà il più grande di tutti. Colui che rimasto solo potrà creare la propria civiltà… Ma lo sconfitto…"
    NYX:"Verrà bandito da questa realtà finché essa non avrà fine lo so… I nostri figli però non dovrebbero pagare i piatti rotti dei genitori, possiamo ancora fermare questa follia Etere…"
    ETERE:"Tu dici? Sommo Sacerdote sull'ombra dello stolto… è iper scacco matto"
    NYX:"No! Ti prego… non possiamo scendere a tanto è follia… siamo fratelli Etere! Fratelli! E poi tu hai imbrogliato… la partita deve essere rifatta! Etere! Ti prego!"
    ETERE:"Il mio nome non è “fratello”, è Gran Maestro!"
    "Dopodiché scomparvi. Rimossa dall'esistenza. Esiliata. Come i miei figli, rinnegati. Le colpe dei genitori non dovrebbero cadere sui figli, ma ad Etere non importò. Ero sulla sponda opposta, oltre ogni vita e morte. Ai confini del mistero. Dove non esiste tempo, spazio né sé… dove sei solo la negazione dell’essere… dove ogni psico secondo dura eternità ed eternità senza fine. Lì attesi nell'oscurità al freddo, sola. Attesi che tutto morisse e un giorno finalmente avvenne. Un faro di oscurità si accese e mi richiamò alla realtà. Giunsi su Terra X, spezzata, privata della mia essenza, ma con una speranza, la speranza di una rivincita"


    "Sì ricordiamo ciò che accade, come ricordiamo che mai nessuno vi obbligò a tale posta in gioco. Vi siete fatti corrompere dalla sete di potere e quel che è successo lo avete causato voi stessi!" mi rimproverò Jemiah prima che Gamiel prendesse la parola, manipolando ciò che il suo stesso fratello aveva appena detto.
    "Questo è vero, ma proprio in virtù di questo, del fatto che fu una loro scelta, forse dovrebbero avere la possibilità di giocare la resa dei conti"
    Arishem silenzioso ascoltò il tutto e poi sentenziò: "Tu affermi di desiderare la rivincita in base alla tua versione dei fatti, quella in cui affermi di essere stata imbrogliata e se così fosse meriteresti di averLa, ma non dovremmo forse poter ascoltare anche la versione di Etere?"
    Dal mio banco assentì e poi mi voltai verso il banco affianco, quello della difesa. Vuoto.
    "Ho dato a mio fratello la possibilità di presentarsi, ma come Voi potete vedere non l'ha fatto. Mi permetterò di usare un modo di dire terriano per esprimere ciò che penso... Chi tace, acconsente" esclami sempre più nervosa ed agitata, ma riuscendo ad ostentare calma.
    Il Tribunale Vivente si azzittì e dopo un lungo attimo mi congedarono per legiferare. Non seppi quanto attesi, lì il tempo non esisteva, ma quando mi richiamarono mi parevano essere passanti minute, ore interminabili.
    "Grande Madre il Tribunale Vivente ha ascoltato la tua richiesta, ha valutato le prove in suo possesso ed in mancanza della difesa ha deciso di dar credito a ciò che l'accusa ha presentato come prova. La richiesta è accolta. Voi Grande Madre potrete rigiocare la partita, ma qualsiasi sarà il risultato non potrà essere cambiato e più nessun'altra partita potrà essere rigiocata. L'unica regola è che Etere stesso sia il vostro sfidante..."
    "E se così non fosse? Se nuovamente non si presentasse? Non è una vittoria a tavolino ciò che voglio!" esclamai con un impeto ed un impulsività che non mi appartenevano, ma che non seppi controllare.
    "Allora sfiderete il più alto rappresentate degli Eterni in questo momento: l'Imperatrice della Luna!" assentì e ringraziando il Tribunale Vivente diede allo stesso i miei ossequi per avermi ascoltato e con la vittoria in tasca tornai a casa.

    La missione di Ophelia ebbe successo e con il consenso del Tribunale Vivente potei fare ciò che per millenni avevo tanto agognato. Ritrovarmi nella Sala dei Giochi Cosmici mi aveva fatto un certo effetto, come sacrificare il mio Frutto dell'Eden per accedervi un'ultima volta, ma trovarmi lì era nient'altro che l'apice di un piano che avevo rincorso per anni, con pazienza e dovizia. Certo i Celestiali non sapevano della Sorgente, ma questo non era importante, mai ne sarebbero venuti a conoscenza, non quando il suo destino si sarebbe compiuto all'interno del gioco, lì dove loro non avevano giurisdizione.
    Seduta alla scacchiera osservavo la sfidante di fronte a me spaesata, impaurita e confusa, mentre guardandosi intorno scoprì la sorella rinchiusa dentro una preziosa e fine gabbia d'oro. L'Imperatrice le corse incontro con il desiderio di aiutarla, ma io la ripresi prima che fosse troppo tardi.
    "Toccate le sbarre e Vostra sorella muore" esclami precisa senza nemmeno voltarmi.
    Mentre Selene si fermava in tempo ed in lacrime si voltava verso di me chiedendomi chi fossi e cosa volessi.
    "Voi mi conoscete molto bene Imperatrice, sono la Grande Madre dei Deviati e sono qui per sfidarVi" risposi questa volta voltandomi a guardarla e con una mano invitandola a prendere posto di fronte a me.
    "Vostra sorella sarà la nostra unica spettatrice, oltre che un'assicurazione. Vedete molto tempo fa giocai questa stessa partita con mio fratello, quello che Voi chiamate il Grande Padre e lui mi ingannò. Per evitare che accada di nuovo, la Principessa fungerà d'assicurazione. Giocate in modo onesto e non le accadrà nulla" spiegai, mentre la donna si sedeva di fronte a me scossa. Spaventata.
    "Che razza di gioco perverso è questo?" mi chiese a denti stretti, quasi stesse parlando di un mostro. Cosa che mi ferì assai.
    "Perverso? Non c'è nulla di perverso. L'universo è semplicemente in standby ed alcuni dei suoi abitanti sono stati posti sulla scacchiera. Le migliori pedine per voi e le migliori per me. Nulla all'infuori di questo luogo e momento attualmente esiste, tutto tornerà a scorrere a conclusione del gioco..." le spiegai per calmarla, per darle il polso di quello che stava avvenendo che non era certo un rozzo duello come probabilmente lei immaginava.
    "E questo tutto come sarà? Mi avete appena confessato di essere la Grande Madre dei Deviati, colei che tutti credevamo perduta... immagino vorrete vendetta, sovvertire le cose!"
    "Non confodentemi con mia figlia Eris, non lo sono! Io non pretendo e prendo con la forza, io gioco onestamente!" esclamai infastidita mentre accavallando elegantemente le gambe spostavo il peso da un lato.
    "Come ogni gioco ci sono delle regole e le rispetteremo, così come i premi in palio..."
    "Che sarebbero..."
    "Se la vittoria andrà a Voi, agli Eterni, io tornerò da dove sono venuta. Come non avete mai saputo di me finora, farete così per il resto dell'eternità. Vivrò nell'universo che mi ha accolto e non avanzerò pretese su questo..."
    "E se la vittoria sarà dei Deviati?" mi chiese quasi con voce tremante di chi teme di conoscere la risposta, cosa che mi ferì.
    Trovavo che entrambi i premi fossero equamente giusti.
    "E' semplice, mi prenderò la Terra di questo universo. Vedete Imperatrice un gran numero di miei figli su essa vivono dormiente ed io desidero solo svegliarli, unire la Terra da cui arrivo e questa e creare un unico Impero che però non interferirà con il Vostro. Io non sono mio fratello nè mia figlia, io non voglio prevalicare, ma riportare l'equilibrio. Vivremo in pace, ognuna con il proprio impero, il proprio popolo..." risposi vedendo lo stupore sul suo viso, chissà con quanti esseri meschini doveva essersi fronteggiata per credere che io stessa lo fossi.
    Fu così che abbassò lo sguardo sula scacchiera, il terrore si disegnò nei suoi occhi chiari e cristallini, motivo per cui allungai una mano per poggiarla sulla sua con il chiaro desiderio di rincuorarla.
    "Non temete le pedine verranno mangiate, ma non eliminate. Usciti dal gioco ricorderanno la loro esperienza nello stesso, ma non subiranno alcun trauma fisico... tutti ne usciranno illesi, Ve lo prometto..." conclusi concedendole un sorriso quando guardandomi la trovai incredula e scossa.
    "Ma ora bando alla ciance mia cara Imperatrice e che il gioco abbia inizio!"


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 9/12/2019, 17:40
     
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    :Ezio:
    Una sirena d'allarme ruppe il silenzio della mia stanza, distogliendomi dalla disperazione. Era un suono inconfondibile, anche se lo avevo udito per l'ultima volta decine di anni prima. Spalancai la porta, deciso infine a capire dove ero finito, dove mi ero risvegliato dopo la missione nei sogni di Pandia.
    Un uomo molto giovane che camminava velocemente si bloccò nel vedermi, e mi rivolse un deciso saluto militare. Indossava una divisa verde, di foggia antiquata, con una giacca stretta in vita da una cintura con borselli e fondina, pantaloni infilati dentro a stivali stringati.
    ”Sottotenente Auditore ma... dobbiamo correre... a rapporto!”
    Il suo sguardo saettò sui miei vestiti. Indossavo, stranamente, ancora jeans e t-shirt bianca, come durante l'ultima, terrificante, parte del sogno. Il soldato mi aveva parlato in inglese, anche se aveva storpiato il mio cognome - Oditori - come solo gli americani sapevano fare. Gli risposi nella stessa lingua, confuso: ”Ma cosa sta succedendo?”
    L'uomo sgranò gli occhi, sempre più perplesso: ”E' il segnale per l'addestramento a sorpresa! Questa settimana è già il terzo, ma il tenente Cormac non sente ragioni... entro tre minuti dobbiamo presentarci nel cortile principale!”
    Fissai il soldato che, dopo un veloce saluto, corse via. Avevo sempre più domande che certezze, ed ogni minuto che passava le prime aumentavano, ma dovevo fare qualcosa, se volevo risposte. Rientrai in camera, aprii il piccolo armadio di ferro che prima non avevo degnato di attenzione. Dentro trovai due divise, una più formale, l'altra più operativa, uguale identica a quella indossata dal ragazzo. Non ero molto esperto in gradi militari, in tutta la mia vita avevo sempre preferito tenermi fuori da simili scelte, preferendo combattere le mie battaglie in altre maniere. Eppure, dalle mostrine sulle spalle e dalla targhetta con il mio nome cominciavo a trovare conferme che non si trattasse di un semplice sbaglio, o di uno scambio di persona.
    Poco alla volta, utilizzando gli indizi che trovavo, cominciavo a ricostruire il luogo in cui non avrei dovuto trovarmi: era una base militare, probabilmente negli Stati Uniti, in un periodo che si aggirava durante la Seconda Guerra Mondiale. Questi pensieri li feci mentre, a malincuore, indossavo tutto il necessario per presentarmi anche io alla chiamata del... tenente Cormac. Una coincidenza, il nome? Avrei scoperto anche questo a breve.
    Ma avevo anche altri programmi in testa. Se ero finito qui, probabilmente anche Pandia e Thot si trovavano nello stesso luogo. E, se non erano in questa base, li avrei dovuti rintracciare comunque, anche fuggendo, anche rischiando il reato di diserzione, dato che a tutti gli effetti ero un ufficiale dell'esercito americano.
    A meno che, risvegliandomi l'indomani, non mi fossi ritrovato a Nanda Parbat.
    Ancora mi aggrappavo alle speranze.
    (...)
    Quello che non sapevo era che le mie supposizioni non erano corrette. Non mi risvegliai nel nostro Covo né l'indomani mattina, né la settimana seguente. Sembravo bloccato definitivamente in questa realtà, senza uno straccio di indizio ad aiutarmi a comprendere come fare per andarmene.
    Nel frattempo, ovviamente, tentai di fuggire. Né Pandia né Thot erano a Camp Toccoa, ma il piano si era dimostrato impossibile da attuare: il luogo dove si addestrava il mio plotone, era sottoposto a una sorveglianza strettissima, impossibile da superare. Dovetti rassegnarmi ad aspettare occasioni migliori. Utilizzai quel tempo per ambientarmi, entrare nell'ottica del mio ruolo e soprattutto, per capire come regolarmi con il mio superiore. Fino a che, una settimana dopo, appunto, non arrivarono anche gli altri.
    (…)
    Ci misi qualche minuto per riuscire a reperire tutta l'equipaggiamento necessario: il revolver, il fucile e la relativa scorta di proiettili, la baionetta, la torcia e... il paracadute. Sorrisi, al pensiero che nel corso dei secoli, un tale oggetto non fosse poi così cambiato da quando il mio geniale amico l'aveva inventato, ed io l'avevo collaudato.
    Quando arrivai al luogo dell'adunata, un ampio spiazzo di terra antistante le basse costruzioni con i dormitori, l'intera compagnia era già sul posto, in formazione perfetta e in un silenzio di tomba assoluto. Mancavo solo io. Presi il posto rimasto vuoto nella prima fila del secondo plotone, di cui ero al comando.
    Guardavo fisso davanti a me, sull'attenti, come gli altri commilitoni, ma mi sentivo addosso lo sguardo accigliato e minaccioso del tenente.
    Il tenente Shay Patrick Cormac.


    Edited by Illiana - 11/12/2019, 08:58
     
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    :Arno:
    Su e giù, su e giù, su e giù. Mi importava solo del movimento continuo dei miei muscoli, volevo sentirli tirare, bruciare, espandersi sotto l’ondata di sangue ossigenato proveniente dal cuore sotto sforzo.
    Su e giù, su e giù, su e giù. La sbarra era scivolosa sotto i palmi sudati, ma la presa era salda e la resi ancora più solida per la rabbia che animava ogni mio pensiero e gesto.
    Su e giù, su e giù, su e giù. Le nocche divennero bianche per lo sforzo estremo, gocce di sudore mi bruciarono gli occhi costringendomi a serrare le palpebre e alla fine… mollai.
    Caddi accovacciato sul pavimento spoglio, le mani aperte sulle ginocchia, il respiro affannoso ma non abbastanza per me! L’allenamento era l’unico modo per tenere a bada l’urlo agghiacciante che tenevo, a fatica, stipato nel petto. Tra gli addestramenti al limite dell’umano di quel viscido verme e quelli che mi imponevo nelle pochissime ore di libertà concesse, ero sempre talmente stremato da non riuscire neppure a respirare a volte. Ma la mia mente no, quella non smetteva di analizzare, elaborare, studiare. Quella continuava a macinare pensieri su pensieri, piani su piani, con un unico obiettivo: vendicarmi! Lo avrei ucciso con le mie mani, presto o tardi sarei riuscito a stringerlo in un angolo e a quel punto non avrebbe avuto scampo. Nessun dio avrebbe potuto salvarlo da me!
    Con un braccio asciugai la fronte e lasciai che i muscoli scaricassero la tensione accumulata in tremori inconsulti. Sembravo avere la febbre, ma la mia era una febbre diversa, era animata dall’ira che dentro di me covava senza sosta.
    Non sapevo quanto tempo era trascorso dal mio arrivo in questo mondo senza senso. Avevo perso il conto dei mesi, dei giorni, delle ore. Un attimo prima ero di fronte al camino della stanza in cui Ezio, la Principessa Pandia e il Generale Thot combattevano in un sonno agitato, l’attimo dopo mi ero risvegliato in questa stessa cella maleodorante. Non osavo neppure chiamarla stanza… Due letti a castello addossati alla parete erano l’unica mobilia presente, una finestrella posta in alto aveva sbarre spesse come un polso femminile, i miei “compagni d’arme” russavano e puzzavano come caproni. E io… io avrei solo voluto urlare!
    Conoscevo bene la storia, la conoscevo a tal punto da aver riconosciuto con facilità il periodo storico in cui ero stato catapultato: anni ’40, durante la Seconda Guerra Mondiale. Non capivo né come, né perché ero arrivato qui, ma tutto questo aveva perso ogni importanza da quando il mio sguardo si era posato su di lui, il mio più acerrimo nemico, colui che meditavo di ridurre a brandelli: il Tenente Shay Patrick Cormac! Lo avevo riconosciuto dal nome, non certo dall’aspetto fisico. Ma Ezio e Federico mi avevano dato la conferma definitiva: l’assassino di mio padre era il mio attuale diretto superiore in quel dannato campo militare.
    Questo però non mi avrebbe fermato, anzi, avrei sfruttato questa occasione d’oro per avere finalmente la mia vendetta! Ero cambiato molto nel corso dei decenni, ma – e di questo ne andavo più che fiero! – non ero uno che dimenticava. Al contrario… la mia memoria era lo scrigno in cui racchiudevo ogni mio principio, ogni mia forza: la memoria ti insegnava a vivere ed io avevo imparato questa regola sulla mia stessa pelle!
    (…)
    Ezio e Federico mi fissavano perplessi e preoccupati. Probabilmente, solo Ezio conosceva il mio lato distruttivo, aveva davvero visto il peggio di me, ma suo fratello – come tutti gli altri nella Confraternita – no. Mi conoscevano come una “testa calda”, ma non sapevano di cosa ero veramente capace. Ma forse lo avrebbero scoperto presto.
    “Stai calmo, Arno. Non possiamo fuggire, non c’è modo di uscirne vivi. Se deciderai di farlo, renditi conto che sarà un attacco suicida!” Ezio cercava di farmi ragionare, mentre puliva la sua arma con una meticolosità senza pari. Le dita si muovevano leste sul metallo, ma i suoi occhi color della pece era fissi sul mio viso. Io, dal mio canto, evitavo di guardarlo, concentrandomi il più possibile sul mio fucile. Pezzo dopo pezzo, lo oliai con cura, sapendo che ad esso avrei dovuto affidare la mia intera esistenza.
    “Posso immaginare come ti senti, ci siamo passati anche noi, ricordi? La vendetta non porta a niente, soprattutto se ci rimetti la vita. Senza via d’uscita sei già un morto che cammina! Pensaci bene, ne vale davvero la pena?” Federico mi stava davvero facendo quella domanda? Lui che aveva visto suo padre morire con un maledetto cappio al collo, proprio al suo fianco?
    “Federico, non m’interessa cosa tu ritieni importante. Per me, uccidere quel bastardo è più importante della mia stessa vita. Per questa ragione vi ho categoricamente vietato di intervenire. È un mio conto in sospeso e lo salderò quanto prima!” Non so cosa vide nel mio sguardo il maggiore dei fratelli Auditore, perché distolse il suo allarmato e fissò Ezio come a dire “Cerca di farlo ragionare almeno tu!” Ma non c’era nulla da ragionare. Avevo ormai preso la mia decisione. Le mie mani si sarebbero sporcate di sangue, con ogni probabilità sarei rimasto ucciso a mia volta, ma Shay Patrick Cormac sarebbe morto presto e non in maniera indolore.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 29/12/2019, 15:49
     
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    “Respira. Respira. Respira.”
    Mi ripetevo queste parole come un mantra, una preghiera, una supplica. Non avevo mai pregato o supplicato, ma negli ultimi tempi avrei dato qualsiasi cosa pur di uscire da quel dannato incubo. Non avevo preso mai ordini da nessuno, avevo rinnegato credi di ogni genere pur di seguire solo ed esclusivamente la mia volontà… ed ora? Da più di un anno mi ritrovavo ad essere un burattino nelle mani di chi credevo avesse cambiato la mia vita. Ed era vero, la mia vita l’avevano cambiata davvero! Per tre anni avevo vissuto su una Terra sconosciuta, in una società anacronistica, tra coloro che avevo imparato a chiamare fratelli. Gli stessi fratelli che avevano riconosciuto in me un essere indispensabile e che mi avevano dato una speranza: non ero del tutto perduto! Ma adesso… adesso percepivo questa speranza come una catena stretta saldamente al mio collo. Non riuscivo a respirare. Non avevo un buon rapporto con le catene io…
    “Ti ho detto di muoverti, soldato! Vuoi davvero presentarti a rapporto con quegli stivali degni di un lercio contadino? Lucidali con la lingua se necessario, ma voglio vederli brillare!” Stavo tormentando una recluta che mi era capitata a tiro mentre percorrevo il breve tratto di strada che separava il quartier generale dal mio alloggio. Come alto ufficiale in comando avevo diritto a una stanza privata, dotata di tutti i comfort, una reggia rispetto alla topaia in cui avevo vissuto negli ultimi anni della mia miserabile vita sulla Terra. Una topaia rispetto all’alloggio che mi avevano riservato su Terra X… ma stavo divagando, l’unico modo che avevo per non impazzire. Ero di nuovo prigioniero di una realtà alternativa, braccato da persone che “fingevano” di credere in me, ingabbiato in una logica che non riuscivo a capire. E per me, non capire era l’affronto peggiore. Non ero mai stato un cazzo di burattino e questi panni mi stavano dannatamente stretti.
    Con uno strattone mi tolsi la camicia perfettamente inamidata, quasi a fare uno spregio a “chi” stava sopra di me. Stessa sorte riservai ai pantaloni della divisa. Gettai tutto in terra e potei sentire il tintinnio delle mostrine da Capitano risuonare per la stanza vuota. Il battito del mio cuore – colonna sonora perfetta per la frustrazione che sentivo scorrere nelle vene – era assordante per le mie orecchie. Infilai i pantaloncini da ginnastica e a torso nudo iniziai a colpire un sacco da boxe che avevo fatto sistemare in un angolo proprio per occasioni come quelle: quando la voglia di fuggire e mandare tutto al diavolo ringhiava dentro di me come una belva feroce messa in gabbia.
    Perché avevano scelto me? Perché darmi questi poteri immensi? Ero stato così cieco da pensare che fossi io ad essere speciale… ma la consapevolezza di essere semplicemente una pedina sacrificabile si era fatta strada piano piano, mentre osservavo il comportamento del Führer e consorte. Non mi convincevano più e non volevo più nascondermi dietro stupidi sogni, non avevano mai fatto parte di me. Mi ero illuso, volutamente, e per questo mi davo dell’idiota… ma dovevo trovare una soluzione e in fretta. Altrimenti, ne ero certo, avrei fatto la fine di un miserabile topo da laboratorio.
    Il sudore iniziò a colare dalle tempie e sulla schiena, ma non sentivo freddo o la stanchezza, più cercavo di sfinirmi e più l’energia che scorreva dentro di me colmava ogni debolezza. Ero potente fuori, ma sentivo che anche questo potere era un’illusione, mi si sarebbe ritorto contro!
    Sferrai pugni e montanti, alternati a calci e diretti, fino a sentire il respiro mozzarsi all’improvviso. L’energia ci impiegò poco a riportarlo alla totale normalità. Urlai! Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, cadendo subito dopo in ginocchio, le dita ad artigliare il capo.
    Il mio sguardo feroce si intravedeva tra il sipario di carne e ossa. L’unico modo che avevo per scrollarmi di dosso questa sensazione di impotenza e continuare a cercare una soluzione alla mia situazione era quella di non destare sospetti tra i miei “superiori” – un boccone acido risalì lungo l’esofago al solo pensare quella parola – ed eseguire gli ordini ricevuti dalla Madre dei Deviati: “Tormenta gli Assassini che avrai tra i tuoi sottoposti, rendigli la vita impossibile, fagli rimpiangere di essere nati…” Non che tale compito destasse in me particolare disagio, né rimorso. In realtà mi ero trovato a tormentare chiunque mi venisse a tiro, Assassini o meno, odiavo essere lì e a mio modo non lo nascondevo affatto.
    Nel corso di quell’anno abbondante, Ezio Auditore aveva riscosso non poco successo nella truppa – complici i miei modi da tiranno e il suo essere “virtuoso” – e tra gli alti ufficiali, tanto che si paventava una promozione anche per lui. La verità era una: a me non importava nulla di essere ben voluto, amato dai soldati e tutte quelle manfrine che mi davano addirittura la nausea! Io volevo solo uscire da lì e capire cosa i capoccia stavano tramando… Se per arrivare al mio scopo avrei dovuto recitare questa parte, non mi sarei tirato indietro! Li avrei distrutti tutti, dal primo all’ultimo, al di là se si fosse trattato dei fratelli Auditore o di quel Dorian che – dal suo sguardo era chiaro come il sole che sorge a Est – mi avrebbe volentieri scuoiato a mani nude se solo avesse potuto. Non era stato difficile riconoscere in lui il figlio del Dorian che avevo ucciso in tempi davvero lontani, lo sguardo fiero era lo stesso, anche se questo era la quint’essenza della ribellione. Nelle vesti di soldato era ancora più ridicolo di me, a pensarci bene! E ancora, non avevo fatto nulla per placare la sua evidente ira, al contrario, lo avevo provocato in ogni modo. Chissà che un suo gesto inconsulto non avrebbe potuto rimescolare le carte di un gioco a cui tutti – nostro malgrado – stavamo partecipando. Gli Assassini non immaginavano neanche i miei pensieri, volevo semplicemente sfruttare le loro debolezze per cercare di “scuotere il Palazzo”. Avevo bisogno che qualcosa arrivasse a stravolgere quella dannata realtà alternativa… non immaginavo però che quel “qualcosa” sarebbe giunto come un fulmine a ciel sereno: il conflitto, conosciuto in seguito come Seconda Guerra Mondiale, ci reclamava al fronte. Destinazione: Aldbourne, Inghilterra.


    Edited by KillerCreed - 30/12/2019, 20:20
     
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    Rantolai, con il fiato che mi bruciava i polmoni. Aprii gli occhi ma non vidi nulla, nell'oscurità che mi avvolgeva. Il cuore batteva incontrollabile, trasmettendomi ancora di più il senso di atterrimento e di orrore che mi aveva lasciato il sogno.
    Allungai la mano e sfiorai, grato, le corde che reggevano il materasso del letto sopra il mio: ero nella piccola camerata che dividevo da qualche tempo con i soldati del mio plotone, e non nella stanzetta in cui ero stato nel primo mese della mia nuova vita, insieme ad altri due ufficiali e al tenente Cormac.
    Era stato difficile, dividere uno spazio ristretto con quell'infame bastardo. Ero rimasto sempre all'erta per prevedere i suoi attacchi o le sue insidie, e al contempo non dargli alcun motivo per poter sfogare ancora di più su di me le sue ritorsioni.
    Tra i problemi del giorno e le angosce della notte, ero continuamente assediato. Dormivo con un occhio solo, ma gli incubi che mi perseguitavano dopo la missione per salvare Pandia mi assalivano comunque con rinnovato vigore ogni notte.
    Spesso sognavo di vagare in un luogo dove ogni cosa era celata dalla nebbia, e pur affannandomi alla sua ricerca, chiamandola ininterrottamente, non ricevevo mai nessuna risposta. Le altre volte, i miei incubi mi riportavano nella stanza delle torture, e più che il dolore era la sensazione di impotenza che mi portava ad urlare e a svegliarmi in un bagno di sudore.
    E Cormac era lì, a pochi centimetri da me. Ero certo che conoscesse benissimo le ragioni dei miei incubi, ne fosse soddisfatto e si accanisse con le sue bassezze ancora di più proprio per questi motivi.
    Quando era stato promosso a capitano, aveva preteso che la stanza fosse destinata solo a lui, e io ero stato ben felice di rinunciare al privilegio di una sistemazione più riservata per tornare a dormire nelle camerate insieme ai miei sottoposti.
    Gli occhi si erano abituati alla lieve luce che filtrava dalle finestre dello stanzone, quindi vidi una sagoma avvicinarsi e sedersi sul mio letto, con movimenti così silenziosi da sembrare solo un'ombra. Federico.
    La sua mano si posò sul mio braccio. Era preoccupato, nonostante le rassicurazioni che gli fornivo per minimizzare quello che stavo passando e per evitare di chiarire troppi dettagli su quella missione maledetta.
    “Si può sapere che succede Ezio? E' così quasi tutte le notti! Non mi puoi continuare a raccontare frottole su frottole, cazzo! Che è successo veramente quanto sei andato a recuperare Pandia?”
    Avevo la bocca che sembrava un panno secco, e lo stomaco che si rivoltava ogni volta che il mio pensiero si avvicinava a quei ricordi. Ma forse il mio errore era di continuare a ignorare quel dolore, invece che di affrontarlo. Così, sussurrando per non svegliare gli altri soldati che dormivano, gli rivelai tutte le dolorose fasi di quella missione. Le cose che avevo visto, provato, subito...
    “... e poi mi sono risvegliato qui, una settimana prima che arrivaste anche voi. Forse siamo solo noi tre, forse ci sono anche gli altri, da qualche parte...” Tentennai: ”Magari potremo trovare anche Claudia...”
    Dire il suo nome era come violare un tabù. Quando se ne era andata per la seconda volta dalla mia vita, aveva lasciato, come un tornado, solo distruzione e abbandono.
    “Sì, ma se fossi in te non pronuncerei il suo nome davanti a lui...”
    Gettai un'occhiata sulla sagoma che dormiva nel letto a castello a fianco al nostro. Già, Arno...
    “Non voglio sapere cosa è successo tra di loro, ma... Claudia, nostra sorella, è cambiata molto di più di quello che sono cambiato io. Non so che persona sia davvero tornata, dopo tutti i secoli in cui la avevo creduta morta. Non so cosa abbia veramente fatto, non è mai stata chiara sulle sue cose. Da quando voi siete stati giustiziati, ci siamo allontanati inevitabilmente, e ora lei è poco più che un estranea, un mistero, per me”
    Federico annuì. Le sue spalle basse, nella poca luce, mostravano bene gli stessi interrogativi senza risposta che avevo io. Dopo qualche secondo, riprese:
    “E così, cosa pensi di fare? Non possiamo fuggire da qui, perché diventeremmo dei disertori. Come facciamo a trovarli...”
    Colsi dell'apprensione, la stessa mia, per la sorte delle persone amate.
    “Infatti, non è questa la soluzione. Dobbiamo aspettare di poterci muovere di nuovo liberamente, e questo succederà solo una volta finita la guerra. Siamo nel 1943, ci vorrà ancora del tempo, ma poi sarà tutto più facile”
    “E se questo fosse solo un sogno?”
    Mi irrigidii, ma risposi con sicurezza: “No, non lo è. Conosco la differenza. Questa è la realtà, un mondo maledetto e reale che sta precipitando verso il caos della guerra”
    “Quindi è così, siamo davvero nel passato...”
    “Dobbiamo assumere questo, fino a prova contraria. E fare del nostro meglio per rimanere vivi e arrivare ad ottenere le risposte che vogliamo. Perché non mi rassegnerò a non averle... e a non riavere indietro... Pandia...”
    ”Anche se è promessa sposa al generale Thot...”
    ”Sì ma sono stati costretti dagli Imperatori. Pandia avrebbe rifiutato i loro ordini, una volta risvegliatasi da quello strano sonno”
    Federico sghignazzò: ”Chissà come si sarebbe incazzata Selene!”
    ”Già... anche se questo problema lo avremmo affrontato insieme, non la avrei lasciata sola, questa volta...”

    (…)

    “Federico, non m’interessa cosa tu ritieni importante. Per me, uccidere quel bastardo è più importante della mia stessa vita. Per questa ragione vi ho categoricamente vietato di intervenire. È un mio conto in sospeso e lo salderò quanto prima!”
    Alle parole tempestose di Arno, Federico mi lanciò uno sguardo che era un SOS chiaro e forte. Era a me che tutti loro si rivolgevano, era la mia l'autorità che richiamavano per superare i momenti difficili, le decisioni cruciali. Troppa pressione e responsabilità sulle mie spalle. La volevo, certo. Mi piaceva essere il loro punto di riferimento. Ma cosa sarebbe successo se avessi mai fallito un ordine, se avessi sbagliato una valutazione? Queste domande tornavano sempre più ossessive nella mia testa, soprattutto da quando eravamo a Camp Toccoa, e avevo dovuto accettare il mio ruolo di comandante di un plotone, una trentina di soldati sotto di me.
    Sospirai silenzioso, cercando un tono conciliante per far ragionare Arno. Non avevo la certezza che mi avrebbe dato retta, ma dovevo tentare. Posai l'arma che avevo appena finito di preparare per l'esercitazione del pomeriggio.
    ”Arno, credi che quel verme schifoso non abbia previsto una simile opportunità? E' da prima che arrivaste voi che non perde un'occasione per provocare e vessare chiunque. Ho sentito dei miei soldati che si auguravano di arrivare in battaglia il prima possibile, per poterlo uccidere con la scusa del fuoco amico! Ed è questo il punto: noi sappiamo cosa ci aspetta, tra qualche settimana. Noi facciamo parte della forza militare che si troverà in prima linea il giorno dello sbarco in Normandia, dove affronteremo una delle carneficine più sanguinose della seconda guerra mondiale. Ti domando questo, Arno: come possiamo sperare di farcela, se non rimanendo uniti? Abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te, che tu mi copra le spalle, quando saremo lì in mezzo all'inferno e fino a quel momento, che tu lo faccia qui dentro. Come io lo farò con te e con Federico. Siamo fratelli, siamo Assassini, questo è l'essenza del giuramento che abbiamo prestato”
    Mi interruppi, per far arrivare il messaggio chiaramente.
    “Se tenterai di uccidere Cormac, quello che otterrai non riguarderà solo te, ma tutti noi. Ti chiedo solo di aspettare, se proprio non riesci a rinunciare alla tua vendetta. Potremmo trovare altre strade, in fondo. Il malcontento che genera il suo modo di trattare l'intera compagnia potremmo sfruttarlo a nostro vantaggio”
    Di più non avrei detto. Non era vietandogli di seguire il suo odio, come suo superiore non una ma due volte, che gli avrei impedito di continuare con i suoi pericolosi piani suicidi. Arno non rispose, ma notai che la sua mandibola non era più strettamente contratta, mentre continuava a lavorare sul suo pezzo.
    Federico mi stava fissando, pensieroso. Poi vidi spuntargli un sorriso, di quelli che conoscevo fin troppo bene. Come quando mi aveva raccontato della sua pensata per sottrarre fiorini dalla cassa del banchiere per il quale lavorava come apprendista, a Firenze.
     
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    :Arno:
    “Se tenterai di uccidere Cormac, quello che otterrai non riguarderà solo te, ma tutti noi.”
    Le parole di Ezio mi stavano facendo impazzire, ma erano arrivate con impeto al centro del mio cuore. Sapeva quanto tenessi alla Confraternita, sapeva quanto gli Assassini contassero per me, sapeva anche quanto avessi sacrificato per tutto questo. Il mio mentore, colui che mi aveva strappato dalle braccia di una morte certa, lo stesso che adesso stracciava il velo dell’ira che mi offuscava la vista. Ezio Auditore era stato il mio punto di riferimento per centinaia di anni, diventando presto un Fratello – e non solo nell’accezione canonica avendo accettato lo stesso Credo –, qualcuno per cui avrei sicuramente dato l’ultimo respiro.
    “… Come possiamo sperare di farcela, se non rimanendo uniti? Abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te, che tu mi copra le spalle, quando saremo lì in mezzo all'inferno…”
    Non potevo tirarmi indietro, non di fronte a un richiamo tanto forte. Neppure la vendetta avrebbe potuto saziare questo bisogno di fratellanza che sentivo nel sangue. Per anni ero stato lontano da loro, per anni avevo creduto che Claudia avrebbe potuto soppiantare ogni mio ideale: era diventata il mio tutto. Ma… ma… mi ero illuso? Era stato l’ennesimo vortice autodistruttivo in cui ero caduto con chiari segnali di come sarebbe finita? Il pensiero, inevitabile, corse ad Elise… e non potei non ripensare a quando ci siamo incontrati per la prima volta: lo stesso giorno in cui mio padre morì… per mano di Cormac! Poteva essere tanto meschino il destino? Era tutto così dannatamente collegato, adesso tanto chiaro da fare paura. Mio padre era morto quando ero troppo piccolo per affrontare il mondo; Elise era morta tra le mie braccia, lasciandomi solo con un dolore capace di dilaniare al pari di tanti artigli affilati; Claudia mi aveva ucciso nell’anima, spegnendo la scintilla che mi aveva fatto vedere in lei l’unica in grado di risanare le mie ferite: uniti nello stesso Credo, avremmo potuto affrontare ogni cosa, era questo in cui avevo voluto credere con tutte le mie forze. Alla fine… era stato dunque tutto una grande ed effimera illusione? Cercavo di capire cosa l’aveva spinta ad aprirmi il suo cuore e le parole di Ezio affiorarono alla mia memoria:
    “Claudia è cambiata molto di più di quello che sono cambiato io. Non so che persona sia davvero tornata, dopo tutti i secoli in cui l’avevo creduta morta. Non so cosa abbia veramente fatto, non è mai stata chiara sulle sue cose. Da quando voi siete stati giustiziati, ci siamo allontanati inevitabilmente, e ora lei è poco più che un estranea, un mistero, per me”
    Qualche sera prima aveva parlato con Federico, gli aveva confessato quanto sua sorella gli fosse estranea ed io? Io come potevo pretendere di conoscerla? Forse non lo avevo mai fatto, forse avevo solo vissuto un sogno, una parentesi, l’ennesima favola costruita ad hoc dal mio cervello bacato.
    “Al diavolo!” sbuffai, spazientito, ero stanco di rimuginare, ma l’insonnia non mi permetteva di fare altro in quella notte campale.
    Ero sulla porta della camerata che dividevo con i miei compagni d’arme, la luna era piena e brillava solitaria offuscando la luce delle stelle più vicine. Il giorno dopo tutto sarebbe cambiato. Il giorno dopo saremmo partiti per il fronte e io avevo dovuto rinnegare ogni mio proposito di vendetta verso Cormac. Non perché il desiderio di ucciderlo fosse venuto improvvisamente meno, con Ezio avevamo fatto un patto silenzioso: in un modo o nell’altro avremmo trovato l’occasione per toglierlo di mezzo. Un essere del genere non meritava di respirare nessuna aria. Nonostante ciò, quando era giunto l’ordine di partire per Aldbourne, Inghilterra, la sua faccia non si era più vista. I nostri superiori si chiedevano dove fosse finito, esultando silenziosamente per essersi liberati di un soggetto tanto mal visto; mentre i suoi sottoposti esultavano molto meno pacatamente, ringraziando Iddio per questa “sorpresa” e pregando che fosse finito in qualche fosso rompendosi l’osso del collo. Di fatto, non fu spiccato nessun mandato di ricerca, non fu fatta nessuna denuncia di scomparsa, sembrava che neppure gli alti ufficiali avessero voglia di far luce su questo giallo. Giallo che di certo andava a vantaggio dei soldati in partenza, ma non certo dei miei piani di vendetta. Non credevo alla manna divina, non ci avevo mai creduto, avevo visto con i miei occhi cosa faceva la miseria umana e la Provvidenza non era tra i valori che veneravo, al contrario… ero certo che dovevamo agire in prima linea per risolvere i problemi e su questo principio avevo basato tutta la mia vita. Adesso, complici Ezio e Federico, avevamo tutti lo stesso scopo: sopravvivere a quanto di terribile ci attendeva, riuscire a trovare gli altri fratelli e Pandia. Era importante per il mio mentore e lo sarebbe diventato anche per me: la mia vendetta avrebbe aspettato ancora un po’, non avevo alcun dubbio che in questa realtà o in un’altra avrei ritrovato Cormac sulla mia strada e allora non avrebbe avuto scampo.
    Rivolsi il volto alla luna, percepì la sua luce invadere i miei lineamenti e cercai di capire come sarebbe andata tutta quell’assurda vicenda. Ci saremmo addestrati ad Aldbourne per delle missioni ben specifiche, con Ezio avevamo analizzato tutte le possibilità, riprendendo i nostri ricordi sull’epoca storica che stavamo rivivendo. Certo era che avremmo dovuto affrontare una carneficina senza l’aiuto delle nostre abilità e questo mi inquietava non poco. Sapevo bene quanto potesse far tremare il fuoco di un cannone, lo sparo e la lama di una baionetta, i proiettili di una mitragliatrice. Negli anni avevo visto evolvere questi strumenti di terrore diventando più precisi, più tecnologici, più letali… ma il risultato non era cambiato: avremmo visto in faccia Monna Morte, ma questa volta le avremmo sorriso da comuni esseri umani, mortali tanto quanto i nostri compagni ignari. Avrei servito il Credo anche in queste condizioni, avrei aiutato il mio mentore a ritrovare la sua metà, avrei ritrovato e difeso i miei fratelli fino all’ultimo battito di cuore e… chissà… forse saremmo riusciti a scoprire l’arcano che si celava dietro a tutta questa assurda follia.


    Edited by KillerCreed - 1/1/2020, 20:09
     
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5 replies since 9/12/2019, 16:42   152 views
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