Nyx & Oliver Origins

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    ”NON voglio essere una Dea... voglio solo essere una donna... la TUA donna... Colei che ti aiuterà a raggiungere l'apice che ti spetta, che starà al suo fianco e che pur non rinunciando ai suoi doveri, ti darà tutta sé stessa... Devi solo accettarlo... Devi solo volermi... Devi solo prendermi...”
    I suoi occhi nei miei sembravano quasi supplicarmi, e questo era sbagliato. La mia Dea non avrebbe dovuto piegarsi davanti e niente e a nessuno. Stavo cercando di accettare un sentimento che era molto più umano di quello che avrebbe dovuto essere, per lei, una tentazione che non sapevo dove mi avrebbe condotto.
    Ma in questo momento sapevo anche di non avere scelta: un mio rifiuto la avrebbe allontanata per sempre. Era il momento più delicato da quando la avevo incontrata in quella cella: si stava offrendo a me, riconoscendomi un'importanza che mi sbalordiva. E constatarlo mi inchiodava sul posto.
    Stavamo combattendo entrambi per superare dei tabù che controllavano i nostri ruoli in questo mondo ingiusto: lei era una divinità eterna, potentissima, perfetta, e io facevo parte dei suoi serventi. Da tempo immemore esseri come me avevano adorato e temuto queste manifestazioni, avevano posato la fronte a terra in loro presenza, non avevano mai osato alzare gli occhi su tale potenza.
    Nelle sue parole, una sofferenza ed una solitudine che derivava dalla stessa concezione del loro ruolo, di entità da adorare e a cui consacrarsi. Era così umano il dolore che provava, così inaudito ai miei occhi. Tali condizionamenti mi avevano soffocato per tutti questi anni, lo stavano facendo anche in questo momento. Al suo bacio, la mia reazione era stata quella di sottrarmi, di indietreggiare sgomento, timoroso che il suo tocco potesse bruciarmi e annientarmi.
    Il mio cervello urlava che era tutto orribilmente sbagliato, il mio cuore diceva che davanti a me c'era un'anima che per quanto chiedesse qualcosa, non per questo la sua perfezione ne veniva sminuita. Forse potevano convivere in lei due anime, chi ero io per dubitarne? Lei era magnifica anche in questo, la sua perfezione si sarebbe mantenuta anche abbassandosi al nostro livello.
    Un turbinio di sentimenti che faticavo a domare, che non mi permetteva di muovermi, di decidermi sul da farsi.
    Il nostro amore avrebbe infranto leggi sacre esistenti da tempo immemore. L'uomo doveva piegare il capo davanti alla divinità, perché non degno. E così mi sentivo io. La amavo, la desideravo come non sarebbe stato accettabile. Il suo sguardo, il suo profumo, il suo portamento, il suo corpo: spesso li ritrovavo nei miei sogni; al risveglio lasciavano un turbamento che neppure le peggiori azioni che avevo compiuto in vita mia potevano lasciare. Quelle illusioni notturne mi confondevano in un modo che non controllavo: la avevo cercata in altre donne, senza rendermene neanche conto. Le avevo usate e buttate via, perché pur con i loro tratti angelici e i capelli biondi erano solo una copia sbiadita di lei, ora lo capivo.
    ”Non ti sto offrendo un Impero... ti sto offrendo il mio cuore...”
    Dubitavo di me, certo, ma non di lei. Ed ecco quale era la strada giusta per dimostrarle la mia fede: agire secondo i suoi desideri. Quando tese la mano verso di me, pur tremando in ogni mia fibra, alzai lentamente la mia. Le nostre dita si intrecciarono, le mie cercarono le sue come se mi appigliassi ad una roccia per non precipitare nel vuoto che temevo si aprisse sotto i miei piedi. Avevo compiuto la mia scelta, lo avevo fatto solo per rimanere con lei, per non perderla.
    Ed era proprio questo il punto di tutto.
    Una parte di me rimaneva fissa su un'altra questione, forse ancora più importante. La sua richiesta di un amore diverso da quello che le avevo sempre tributato con la mia lealtà e la mia dedizione, mi aveva quasi sovrastato, aveva annichilito per qualche minuto ogni traccia di lucidità, mi aveva trasformato in un essere totalmente in balia degli impulsi e dei turbamenti.
    Ma la mia essenza non era quella, non totalmente. Risvegliando e accettando la mia natura di deviante ero diventato freddo, spietato, calcolatore, subdolo.
    La mia Dea aveva ignorato la richiesta di spiegazioni; aveva ribadito come il suo disegno fosse quello di affidarmi la guida dei suoi figli. Lei non si sentiva coinvolta nel nostro futuro.
    Era nella sua indole il dare senza risparmiarsi, senza pensare alla sua incolumità. Avrei dovuto essere io a proteggerla da sé stessa, a vegliare su di lei, per evitare che compisse qualche follia.
    Non me la avrebbe mai confidata, così come stava facendo per i nostri progetti dell'indomani. Sospettavo quali fossero le sue intenzioni, e non glielo avrei permesso. Non potevo rassegnarmi all'idea che non rimanesse accanto a me, sostenendomi, donandomi la sua luce e il suo supporto.
    Avevo poche ore ancora per ideare un piano alternativo al suo, un modo per impedirle di farsi lei stessa del male. Avrei cambiato il mondo, lo avrei fatto per la mia Dea, un mondo fatto a nostra immagine, dove le regole e le limitazioni non ci avrebbero più ossessionato. Un mondo dove lei avrebbe rivestito il ruolo che le spettava ma al contempo ottenuto tutto ciò che era suo desiderio.
    Se era il potere quello di cui avevo bisogno per poter ottenere la sola ed unica cosa che avevo davvero cercato da quando era iniziata la mia nuova vita, allora lo avrei accettato, sfruttato, utilizzato, abusato.
    Avvicinai le labbra al suo polso, dove le vene sottili erano visibili sotto la pelle liscia e diafana, per baciarlo e al contempo nasconderle i miei occhi, perché non notasse il lampo di risolutezza che li aveva attraversati.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:27
     
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    Lo guardai perplessa, confusa, come se tutta l'energia che si era appena creata e che sempre ci aveva legato si fosse dissolta. Un nodo in gola si formò rendendomi il semplice gesto di respirare difficile e quasi doloroso. Gli occhi mi si inumidirono ed una strana ansia mi attanagliò alla bocca dello stomaco.
    Ritirai la mano che gli aveva porto, adagiandomi sui talloni, mentre recuperando la vestaglia mi coprivo. Lo sguardo basso si rialzò risoluto e guardandolo lo liquidai con poche parole: "Domani è un giorno molto importante, meglio arrivarci riposati!" esclamai sforzandomi di sorridergli, mentre lui mi guardava confuso. Turbato. Disorientato.
    Tuttavia non osò ribattere e con un leggero cenno del capo eseguì il mio ordine, augurandomi la buona notte e lasciando la mia camera. La stessa che vuota parve quasi soffocarmi, mentre voltando il capo verso lo specchio mi guardai. Mi si leggeva negli occhi il peso che portavo, mentre tutte le buone intenzioni non bastavano a colmare la voragine che sentivo dentro al cuore.
    Ero sola. Sola. Mi sentivo sola. Sola.
    Alzandomi dal letto raggiunsi lo specchio e posandovi una mano al di sopra accarezzai il mio volto. Mi si leggeva negli occhi la nostalgia di un amore mai provato, mentre lacrime salate solcavano il mio viso perfetto, testimoni di emozioni che non credevo neppur di sapere provare.
    Ero sola. Sola. Mi sentivo sola. Sola.
    In quello specchio c'era l'allegria che avrei ritrovato nei gesti e nei dettagli piccoli ed importanti, anche se ad oggi vedevo solo amori infranti.
    Ero sola. Sola. Mi sentivo troppo sola. Sola.
    Continuavo a domandarmi quale senso aveva quel dolore. Che risposte avrei trovato prima o poi in fondo all'amore o se molto semplicemente se io potessi provarne. Ma ormai avevo la mia risposta, l'unica cosa che mi rendeva forte. L'unica alleata su cui potevo contare era la solitudine.

    Fu così che il giorno seguente mi alzai, sicura e pronta di ciò che avrei dovuto fare nonostante tutto e tutti.
    Dovevo liberarmi dalle mie emozioni, guardarmi dentro ed accettare che l'amore lasciava lividi.
    C'era quel vuoto che bruciava nelle vene come se l'intero universo mi fosse contro ed io non ne conoscessi il motivo.
    Non parlai con nessuno, scomparvi come un'ombra pronta a compiere il mio sacrificio. Pronta a tornare pura energia, liberandomi di quel corpo mortale e chissà forse anche di tutti quei sentimenti che non mi appartenevano, di quella natura umana di cui tanto ero rimasta affascinata, ma che complessa era molto più difficile da gestire che le responsabilità di un Dio.
    L'unica traccia che lasciai fu una lettera. Poche parole scritte finemente e rivolte ad una sola persona: Oliver.
    "Io sono qui. Per ascoltare un sogno. Non parlerò. Se non ne avrai bisogno. Ma ci sarò. Perchè così mi sento accanto a te, viaggiando controvento"
     
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    Uscii dalla stanza completamente scioccato, senza neanche rendermene conto.
    Non so cosa fosse successo di preciso. Da un secondo all'altro, qualcosa si era spezzato, perso, era svanito come se si fosse spenta una luce. Così come si era offerta a me, la mia Dea si era ritirata, nuovamente, nella sua ombra. Avevo sbagliato qualcosa, di questo ero certo. Forse aveva notato il mio tentennamento di fronte alla sua confessione, e mi maledissi per questo. Quando mi aveva congedato, l'unica cosa che riuscii a fare fu di chinare il capo davanti al suo rifiuto, e ritirarmi.
    Chiusa la porta dei suoi appartamenti, continuavo a guardare il vuoto davanti a me, perfettamente in sintonia con quello che trovavo nel mio cuore. Non avevo avuto il tempo neanche di scoprire la mia debolezza (perché di questo si trattava, di nient'altro, dato che mi aveva tolto la lucidità di reagire nel modo giusto) che l'idea di qualcosa che poteva essere empio ma immensamente dolce e desiderato mi era stato tolto.
    Non so quanto tempo rimasi in quello stato, piantato davanti alla sua porta come un guardiano votato alla sua sicurezza. E solo questo paragone, il fatto di avere un compito molto più importante da svolgere in questo mondo che non il soddisfare i miei sentimenti, mi fece muovere, ritornando nella mia stanza.

    Per tutta la notte pensai, pianificai, soppesai, elaborai, scartai soluzioni e alternative. La mia mente lavorava incessantemente intorno a quello che sarebbe accaduto l'indomani.
    Conoscevo il ruolo che mi spettava all'interno dell'operazione ed era una parte quasi banale, che non richiedeva particolari capacità, non per me almeno, grazie ai poteri da deviante che avevo sviluppato e potenziato negli anni.
    Durante il discorso che Hitler avrebbe tenuto al Reichtag, alla fine del quale avrebbe ufficialmente dichiarato aperte le ostilità con i nostri nemici oltreoceano, lo avrei dovuto uccidere e proclamare nell'immediato la presa di potere da parte della nostra razza, sparsa su tutto il globo.
    La mia Dea non voleva intervenire personalmente, reputava più corretto rimanere nell'ombra come aveva fatto fino a questo momento. Io non ero d'accordo con lei, avevo provato a convincerla, specie negli ultimi giorni, che la sua presenza al mio fianco avrebbe legittimato in maniera diversa il colpo di stato, un momento in cui i nuovi equilibri erano sul punto di formarsi e proprio per questo molto fragili e instabili.
    Non certo gli essere umani, solo i devianti conoscevano e riconoscevano lei come la Grande Madre, mentre io non ero molto importante... io ero come loro, e solo lei, la sua presenza al mio fianco, mi avrebbe consentito di reclamare l'autorità di guidarli verso il futuro che lei voleva per noi.
    Questo per quanto riguardava il piano di cui ero a conoscenza. Ma ormai avevo capito, e non era la prima volta, che c'erano altre intenzioni che non aveva condiviso con me. Era già accaduto che apprendessi a posteriori le sue decisioni, che lei mi tenesse all'oscuro. Mi andava bene. Non pretendevo certo di essere così indispensabile, così affidabile ai suoi occhi. Forse un giorno lo sarei diventato, e nel frattempo non mi sarei mai stancato di offrirle tutte le prove e le conferme di cui avesse bisogno, per poter diventare quel collaboratore fedele e solerte che sentivo di poter essere ai suoi occhi.
    Quindi, c'era un piano di cui mi aveva tenuto all'oscuro. Questa volta però i miei presentimenti erano molto negativi, sentivo che sarebbe stato qualcosa che avrebbe avuto pesanti conseguenze.

    L'indomani mattina, tornai alla sua porta. Bussai ripetutamente poi, non ricevendo risposta, entrai. La stanza era vuota, lei se ne era già andata.
    Il brutto presentimento si trasformò in certezza quando lessi le poche righe vergate con la sua grafia sottile. Era un addio.
    Non persi tempo a cercare di decifrare le motivazioni del suo gesto, non ne avevo da perdere.
    La cerimonia solenne si sarebbe svolta tra poco più di un'ora, così mossi le mie pedine come avevo deciso. Era un gioco sul filo del rasoio, le ore successive sarebbero state cruciali per tutto e per tutti.
    Perlustrai da cima a fondo la nostra abitazione, ma come era prevedibile di lei non ne trovai traccia. Mi voleva evitare, e immaginavo il motivo senza troppa fatica.
    Quando arrivò la vettura ufficiale per portarmi al Parlamento, salii e mi affidai alla speranza che tutto andasse come avevo previsto. Se così non fosse stato, comunque, per me non avrebbe avuto nessuna importanza. Il mio viso era impassibile, come quello di un giocatore di poker, e proprio questo sarei stato io, oggi.
    Per le strade, una folla oceanica e festante si sbracciava, urlava e gioiva per un annuncio di qualcosa che avrebbe portato morte, distruzione, disagi, privazioni. Quanto erano stupidi. Eliminarli non mi avrebbe portato nessun rimorso.

    Il Reichtag era un edifico imponente e austero, dove i soli abbellimenti erano le bandiere rosse con la svastica nera. Null'altro distraeva l'attenzione e l'importanza concessa a questo simbolo che per me era solo una dimostrazione di inutile ostentazione.
    Presi posto in mezzo agli altri militari di alto rango, che scattarono tutti in piedi quando le note dell'inno imperiale riempirono l'aria.
    Nella sezione riservata ai civili avevano preso posto i familiari dei militari, i giornalisti, gli imprenditori più ricchi e più vicini alla causa nazista. Lì avrebbe dovuto anche trovarsi lei, la Dea, ma nel caos della folla in delirio non ero riuscito a sincerarmi della sua presenza.
    E qui cominciava il mio gioco pericoloso. Era questo il momento in cui le carte venivano distribuite.
    Il Führer entrò nell'auditorio. Per diversi minuti, fu un continuo isterico di saluti a braccio destro teso, mentre quel piccolo essere insulso faceva il giro d'onore a raccogliere la cieca fedeltà dei suoi collaboratori. Alla fine, salì sulla Tribuna degli Oratori, il palco elevato da cui avrebbe pronunciato il suo discorso. E da cui non sarebbe sceso vivo.
    ”Chiunque pensi di potersi opporre direttamente o indirettamente al nostro dominio, crollerà. Se la nostra volontà sarà tanto forte da non essere vinta dalla fatica e dalla sofferenza, allora la potenza dell'Impero tedesco prevarrà”
    Pura propaganda; avevo sempre disprezzato le parole vuote di questo pagliaccio, ed era finalmente giunto il momento di farle cessare, di mettere a tacere quel debole umano che delirava da un palco ad una folla di altri pazzi esaltati come lui.
    Era il mio momento. La mandibola sembrava quasi saldata al mio viso, tanto era rigida. Le mie spalle erano diventate un blocco di marmo. Ero teso come non lo ero mai stato. Non per l'omicidio che stavo per compiere, ma per altro.
    Come un giocatore professionista, stavo per calare sul piatto di gioco, su cui avevo puntato ogni cosa, la mia mano di carte.
    Se fosse stata vincente o meno, non potevo saperlo, ma questo non avrebbe diminuito di un solo grammo la mia determinazione.
    Alle ultime parole di Hitler, mentre partiva l'ennesimo scroscio di applausi, utilizzai i miei poteri per trasformarmi in un'ombra, muovendomi più veloce del pensiero. Chi mi stava vicino fino al secondo prima non fece neanche in tempo di rendersi conto che ero scomparso che già comparivo dietro il Führer.
    Sotto centinaia di sguardi confusi, mi avvicinai all'uomo, basso da arrivarmi appena alle spalle, e con un gesto secco torsi la sua testa fino a sentire lo schiocco raccapricciante delle vertebre che si spezzavano. Hitler crollò a terra, inconsapevole di cosa fosse successo. Osservai a malapena quel corpo patetico mentre sussultava negli ultimi istanti di vita, mentre gli intestini e le viscere si contraevano e rilasciavano il loro contenuto. Quell'essere inutile morì in una pozza di escrementi: quanta giustizia c'era in tutto questo.
    Fu un pensiero che attraversò come un lampo la mia mente, ormai già concentrata su altro. La folla si riprese dallo shock nel giro di pochi secondi, o quantomeno quelli di loro che avevano il compito di sovrintendere e assicurarsi dell'incolumità della loro preziosa guida politica.
    All'improvviso cominciarono ad alzarsi urla di ordini, intimazioni di restare fermo, scatti metallici di armi che venivano caricate. Un secondo dopo, avevo puntati su di me non solo gli occhi orripilati e minacciosi di tutti, ma anche un considerevole numero di bocche da fuoco. La conclusione era scontata, per quello che avevo appena compiuto. Il processo non si sarebbe neanche potuto dire sommario, dato che per questo crimine non esisteva altro che una pena: l'esecuzione immediata.
    Ed io me ne stavo fermo, senza nessuna intenzione di giustificarmi, difendermi, ripararmi né soprattutto, di dichiarare i motivi che mi avevano spinto a quel gesto.
    Non avrei fatto ciò che la mia Dea mi aveva chiesto. Non avrei rivendicato niente per il suo popolo, non mi sarei assunto affatto il ruolo di nuovo Führer.
    Se fosse stata presente in sala, avrebbe capito in quel momento che io, il suo fedele servitore, non le avrei ubbidito.
    Stavo facendo qualcosa che non avrei concepito fino a pochi mesi prima, ma che ora avevo addirittura l'ardire di compiere. La stavo sfidando a compiere una scelta. Se avesse voluto realizzare il suo progetto, di un nuovo regno per i suoi figli, lo avrebbe fatto alle mie condizioni. Non mi sarei preso da solo questo incarico, come lei avrebbe voluto. Lei sarebbe stata al mio fianco, come avevo tentato di farle capire quando ne avevamo discusso. Senza di lei, il potere e l'onore di essere la guida dei miei simili non aveva nessuna importanza, alcuna attrattiva.
    Ero calmo, calmissimo, come se mi fossi trovato nell'occhio della tempesta, e forse era davvero così. La mia vita si stava per decidere.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:27
     
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    Il gesto di Oliver arrivò come un fulmine a ciel sereno proprio nel momento in cui io mi stavo attingendo a non morire, come un semplice umano avrebbe potuto percepire, ma a tornare nella mia forma originaria. Ciò che ero sempre stata prima di assumere quel corpo. Ciò che ogni essere cosmico, chiamato Dio dagli esseri inferiori, era. Ma era ovvio che Oliver fosse troppo terrestre per capirlo e me ne diede conferma con il gesto avventato, superbo e sciocco che aveva appena compiuto. Aveva messo la sua boria sopra il mio volere, sopra la salvezza di tutti i Devianti. Una cosa che non potevo e non volevo permettere.
    Imprecando tra me e me finì per chiudere gli occhi e semplicemente volendo apparire lì dove Oliver era. Accerchiato da centinaia di uomini pronti a fare fuoco, mentre apparendo di fronte a lui gli feci da scudo.
    I proiettili partirono ma molto semplicemente alzando le mani con fare annoiato ne deviai la traiettoria mentre questi colpivano i diretti interessati. Tutti intorno a noi iniziarono ad urlare, correre e disperarsi mentre io aprendo gli occhi (dalla prima volta da quando ero arrivata) alzai una mano svuotando l'intero ambiente dell'ossigeno. Questo causò molto presto la caduta a terra di tutti i presenti, compreso Oliver, che tenendosi la gola tossicchiavano sempre più lividi in volto. Io austera mi guardai intorno prima di osservare dall'alto ormai anche il mio Prescelto, ai miei piedi dove amava tanto stare.
    "Dici di venerarmi e poi OSI opporti a me" esclamai con una voce così ferma, così calma e così eterea d'apparire per la prima volta quello che NON era. Umana.
    "Hai messo il tuo egoismo davanti alla salvezza di una razza intera!" lo sgridai austera mentre ormai era al limite, come tutti gli altri. Sarebbero morti in una manciata di secondi.
    Lo ignorai e dandogli le spalle alzai una mano valutando l'energia emessa dai cadaveri, ahimè molta era Deviante. Avevo ucciso dei miei fratelli, odiavo il termine figli perchè io NON ero la madre di nessuno, per salvare chi? Un bambino capriccioso che aveva rifiutato il grande dono che gli era stato fatto. Quello per cui molti altri avrebbero ucciso.
    Sospirai delusa e compresi che non potevo permettere che tale sacrificio fosse vano. Incanalai quell'energia e la usai, insieme alla mia, per compiere ciò che LUI aveva interrotto.
    Mi sollevai a mezz'aria, librando con le mani aperte e ed il mantello svolazzante. Nella mia divisa ed avvolta da raggi di luce nera e rossa apparivo davvero per la Dea che ero. Tutti, seppur agonizzanti, mi guardarono mentre i miei occhi divenivano neri e dalla mia bocca uscivano suoni non umani. Stavo pronunciando un incantesimo in una lingua così antica che nemmeno i Titani conoscevano.
    Tutto inizio a vibrare, tremare, la terra stessa sembrò prendere vita quando improvvisamente tutta l'energia che mi circondava esplose in un nero così pesto da lasciare tutti ciechi per minuti interminabili. Minuti in cui sicuramente si credeva morti, mentre lentamente chi era Deviante sentiva il seme germogliare in lui. Da Berlino al resto del mondo l'onda di energia aveva colpito TUTTI.
    I Devianti si erano trasformati, gli Ibridi che l'avevano percepita si erano nascosti e gli Umani... molti sopravvissero come se non fosse successo nulla, altri morirono, altri impazzirono ed altri successero cose ben peggiori.
    Anche nella stanza da cui tutto era partito chi si era trasformato si guardava intorno confuso ma lieto di respirare, di vivere ed ancor più di sentirsi carico di un'energia diversa scoprendo poteri inimmaginabili. Gli altri erano cadaveri privi di vita, mutanti o pazzi che vennero immediatamente abbattuti. Io dal canto mio sorrisi lieta di avercela fatta prima di crollare a terra priva di sensi. L'ultima cosa che vidi, prima di chiudere gli occhi, fu il volto di Oliver che avvicinandosi a carponi mi stringeva tra le braccia. Lo guardai ma non vi era nemmeno l'ombra di un sorriso sul mio volto e nonostante la debolezza svenni guardandolo come l'ultimo dei traditori.
     
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    Mi appoggiai, chiudendo dietro di me la porta dell'ufficio che era Hitler ed ora apparteneva all'attuale Führer, ovvero l'ex generale Winkler.
    Avevo bisogno di un po' di solitudine e di silenzio per ripercorrere mentalmente le ultime ore frenetiche e stressanti.
    Mi avvicinai lentamente all'imponente scrivania di legno scuro e lucido, calpestando tappeti preziosi che attutivano il suono dei miei passi. Girai intorno ai mobili eleganti, lo sguardo fisso al quadro appeso al muro di marmo scuro sopra la poltrona di pelle da cui il leader dei nazisti aveva sempre mosso i suoi tentacoli politici, economici, militari. Era un dipinto che ritraeva proprio lui, con lo sguardo duro e sprezzante. Lo sganciai dal supporto e spezzai la cornice sul ginocchio, stracciando nel contempo la tela. Poi lo lanciai con forza, facendolo frantumare completamente contro le poltroncine e il tavolino che occupavano il centro della stanza. Un gesto simbolico, niente di più, per decretare la fine di un'era deprecabile e l'inizio di una nobile.
    Nyx, la mia Dea, era svenuta dopo aver dilatato la sua energia oscura su tutto il mondo, toccando e destando ogni deviante dormiente. Era stato quindi questo il suo piano, da quando era giunta qui sulla Terra, il suo obiettivo ultimo, quello di cui non aveva mai voluto rendermi partecipe. Perché non lo aveva fatto? Temeva che la avrei fermata in qualche modo? Mi conosceva bene, quindi, perché questo era esattamente ciò che avrei fatto.
    Quando lei era crollata a terra senza forze, io ero lì vicino a lottare per non soffocare, ma nonostante il dolore intenso dell'aria che tornava a circolare nei polmoni ero strisciato fino a lei, stringendola in un abbraccio serrato.
    Nonostante la confusione che si era creata prima con le mie azioni e poi con le sue, non era ancora il momento di abbassare la guardia. La Dea mi aveva salvato dall'esecuzione sommaria, e ora dovevo svolgere il mio ruolo nel disegno che lei aveva desiderato con tutta sé stessa.
    Ora che avevo la certezza che lei avrebbe fatto parte del nuovo corso, al mio fianco, tutte le mie richieste erano state esaudite.
    Mi ero rialzato a fatica, aggrappandomi al leggio, e forzando la voce perché sembrasse controllata e solenne, mi ero rivolto a chi era rimasto vivo nella sala del Reichtag e a tutti coloro che in quel momento stavano assistendo al discorso che doveva proclamare l'inizio del terzo conflitto mondiale, trasmesso in mondovisione.
    Il mio annuncio ai quattro angoli del globo invece, richiamò al dovere tutti coloro che si erano appena scoperti devianti, ordinandogli di unirsi e di agire senza ritardi per instaurare la nostra nuova patria. Gli umani sopravvissuti sarebbero stati risparmiati, ma avrebbero dovuto riconoscere la nostra autorità e adeguarsi di conseguenza. Da quel momento, proclamai, non esistevano più confini, nessun altro stato o nazione che non fosse la nostra: i devianti prendevano il potere su ogni singolo metro quadrato terrestre, e io sarei stato al comando di tutti, come Prescelto dalla nostra Dea, che mi aveva dimostrato il suo favore proprio intervenendo per evitare la mia morte.
    Non fu un discorso ispirato ma servì allo scopo, perché seppi manipolare adeguatamente i fatti.
    Immediatamente dopo, feci portare Nyx in una delle lussuose stanze dedicate alla residenza del Führer, direttamente qui nel Parlamento.
    Da parte mia, nominai subito i nuovi gangli della gerarchia di cui ero al vertice, scegliendoli tra i precedenti gerarchi nazisti che ora erano devianti e tra altri soggetti che Nyx aveva fatto venire a Berlino in previsione del colpo di stato.
    Il mio sguardo si perse oltre l'ampia vetrata che sovrastava Berlino, quella città che avevo sempre odiato e che invece ora era appena diventata il cuore pulsante di un dominio che avrei guidato con pugno di ferro in nome della nostra Dea.

    Era la sera del terzo giorno dalla nascita del Governo Deviante e stavo lavorando agli ultimi aspetti di costruzione del nuovo apparato amministrativo e politico dell'impero, leggendo i rapporti più aggiornati che giungevano da ogni parte del mondo; la nostra presa di potere non era avvenuta senza contraccolpi, ma qualsiasi dissidente era stato presto individuato ed eliminato.
    L'ufficiale che gestiva i miei impegni quotidiani mi avvisò di una visita urgente da parte di uno dei miei più stretti collaboratori, Adrian McKay. Avevo imparato ad apprezzare quell'uomo che Nyx mi aveva indicato come persona di fiducia, perché possedeva un atteggiamento capace e disciplinato che mi aveva convinto ad affidargli uno dei ruoli più importanti, all'interno dell'organizzazione; non si dilungava troppo in discorsi e parole superflue, ed era una delle cose che più apprezzavo di lui.
    ”Mein Führer, sta riprendendo coscienza”
    A lui avevo lasciato il compito di avvisarmi immediatamente qualora Nyx si fosse risvegliata da quella specie di coma che l'aveva colpita dopo il suo intervento soprannaturale.
    Lo ringraziai con un cenno del capo, e mi avviai velocemente verso la suite nella quale lei riposava. Non bussai ma entrai con reverenza e discrezione. Un senso di apprensione mi premeva alla bocca dello stomaco.
    Avevo tante domande che richiedevano risposta, ma la più rilevante era solo una: avrebbe accettato ciò che avevo fatto in suo nome?
    Non mi era affatto sfuggito lo sguardo deluso e accusatorio che mi aveva rivolto prima di accasciarsi sul pavimento della sala, non avrei mai dimenticato le parole sferzanti che mi avevano schiacciato a terra più di un macigno, e sapevo che ne avrei pagato le conseguenze, in un modo o nell'altro.
    Il mio piano aveva avuto successo, mentre per un caso fortuito quello di Nyx non era riuscito appieno. Era per questo che la avevo vista furiosa per la prima volta? Che la sua potenza e la sua presenza divina avevano riempito brutalmente lo spazio intorno a noi, quasi fossero un soffio velenoso uscito dall'inferno? Eppure, questa era la nostra natura, e davanti alla sua oscurità, ognuno dei suoi figli doveva inginocchiarsi per adorarla. O lo faceva, o lo avrei costretto io. La sua magnificenza era incomparabile, il suo potere vibrava inesausto. Il mio amore per lei si era accresciuto, invece che smorzato.
    Sì, era vero, avevo agito alle sue spalle, ma non me ne vergognavo. Ero esultante anzi, perché anche se Nyx ancora non lo aveva capito, avevo agito solo per amore suo. Squadrai le spalle, inspirai a fondo, e mi lasciai andare ad un rarissimo sorriso, prima di ricomporre la mia espressione e varcare la soglia.


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    Risvegliarmi fu inatteso, ma dolce. Non potevo negare a me stessa il piacere che quella forma mi dava. La sensazione di un corpo, vero e vibrante, che si era formato ad immagine della mia energia o anima -come la chiamavano sulla Terra, era piacevole. Quindi in parte non potevo negare di sentirmi felice nel percepire di possederlo ancora seppur questo voleva dire che non sarei stata più quella di prima.
    Ero comunque forte, più di chiunque altro, ma quella forza negli anni si sarebbe spenta. Invece di morire velocemente ed in modo indolore per tornare pura energia, ci avrei messo anni. Chissà quanti.
    Mi sarei appassita come una rosa che via via perde i suoi petali fino a scomparire.
    Seduta sul bordo del letto pensavo a questo, mentre con occhi spenti, stringevo il bordo del letto in modo così convulso che piegai il la struttura dello stesso. Non mi mossi dalla mia posizione nemmeno quando qualcuno entrò nella stanza. Quel qualcuno di cui percepivo l'energia anche se fossi stata dall'altra parte dell'universo.
    Non mi degnai di voltarmi a guardarlo anche se la mia voce risuonò chiara e piena di risentimento.
    "Spero che ora tu sarai contento..." dissi incontrando i suoi occhi scuri come la notte, mentre con le mani dietro la schiena ed il capo alzato mi fissava.
    "Il pianeta è nostro, il Vostro piano si è realizzato. I Devianti hanno vinto!" ghignai. Non era certo questo a cui mi riferivo e sia lui che io lo sapevamo. Tuttavia non potevo negare di sentirmi fiera di lui. Era diverso dall'uomo smarrito che avevo incontrato ormai una vita fa. Brillava della forza che avevo visto in lui. Era deciso. Fermo e tronfio. Era il Führer che ci avrebbe guidati.
    Mi rimisi in piedi a fatica, rifiutando il suo aiuto, mentre cercando la toletta di fronte a me mi ci appoggiai. Avrei iniziato a dover convivere con tanta debolezza.
    "Il lavoro sarà in messo... Abbiamo acceso la scintilla, ma ora va alimentata... Roma dopotutto non è stata costruita in un giorno..." ironizzai trovando piacere nel capire e nell'usare le metafore umane.
    Sembrava che tutto fosse risolto tra noi, anche se non c'era più traccia delle attenzioni che ero solita rivolgergli. Nè del contatto che ero solita cercare.
    "Per questo ora cercherò un altro pupillo" lo dissi senza incertezze, ma notando in lui un lampo di fastidio. Non lo avrei abbandonato, era chiaro che mi era impossibile farlo. Sarei stata al suo fianco e avrei guidato il nostro popolo insieme a lui, ma per il resto tutto sarebbe cambiato.
    "Non hai bisogno di me. Non più in quel senso. Sei pronto per il ruolo che devi ricoprire ed io ti sosterrò, ma avrai bisogno di qualcuno che ti aiuti. Qualcuno che sia disposto a prendere il tuo posto, a morire al tuo posto se necessario. Mi occuperò io della ricerca, dell'addestramento e mi assicurerò della sua totale e cieca fedeltà. Ho fatto un buon lavoro con te no, non fallirò!" esclamai tranquilla, ma quasi con un tono di sfida.
    Non sapevo come quell'atteggiamento si chiamasse, forse era malizia o forse era provocazione. Una cosa era certa, presto ci sarebbe stato un nuovo uomo nella mia vita.
     
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    Ecco la mia punizione. Mi voleva allontanare da sé. Lo aveva anzi già fatto, con la decisione di sostituirmi quantomeno nelle sue priorità, nelle sue attenzioni. Mi avrebbe concesso la sua presenza solo quando fosse stata costretta, la sua luce non avrebbe più illuminato generosamente il mio cammino.
    Nel rifiutare il mio aiuto anche solo nell'alzarsi dal letto vi era un segno chiaro di quello che aveva deciso.
    Ma non era importante, non per la parte di me che si riteneva solo un suo sottoposto, un semplice strumento per realizzare la sua volontà. L'altra parte, quella che si era resa conto di amarla, sarebbe stata soppressa ferocemente per non intralciare i miei piani e il mio lavoro per la sua gloria.
    Sarei stato più forte della mia delusione, che in qualche modo avevo previsto. Gli esseri umani erano da sempre sottoposti al giudizio e ai capricci degli dei. Gli dei sapevano essere volubili, eccentrici, potevano cambiare idea da un secondo all'altro. Io non ero un dio, e questo non lo avrei fatto. Sarei stato la roccia di Nyx, il suo appoggio, il suo riferimento, anche se non avesse voluto.
    Nonostante le mie convinzioni però, non riuscii ad evitare una reazione di disappunto. La mia risposta suonò fin troppo amareggiata e conteneva una sfida, una nuova sfida, alla sua volontà. Era stato più forte di me e, anche in questo caso, non trovai alcun pentimento nel mio animo.
    “Io non ho bisogno di nessuno. Ho già al mio fianco le persone che voi avete scelto per agevolare il mio lavoro. C'è già chi è disposto a morire per me, per il loro Führer, e non mi sostituiranno mai, perché non è il loro destino. Nessuno lo farà”
    Il suo sguardo sembrava volermi scuotere e colpire. Si stava sicuramente chiedendo la medesima cosa che incuriosiva anche me: dove trovavo tanta insolenza da risponderle con quel tono tagliente? A differenza sua, però, la risposta era chiara nella mia testa: lo facevo per lei. Era l'unico vessillo che avrei portato avanti, anche a costo di essere dannato e giudicato bieco e prevaricatore.
    Lei doveva sapere questo, doveva essere rassicurata che, nonostante il mio comportamento non fosse costantemente rispettoso dei suoi ordini, niente altro era cambiato, nelle mie intenzioni.
    Eppure, quando aprii bocca per dirglielo, altre parole salirono corrosive e acide: ”Volete crescere un altro burattino? Va bene, vi lascerò al vostro divertimento, ma non dimenticatevi che il nostro mondo ormai si basa sulla vostra presenza, io sono solo un tramite...”
    La stavo mettendo sull'avviso: tra me e l'essere che lei aveva scelto per compensare il vuoto che avevo lasciato, ci sarebbe stata solo ed unicamente rivalità. Non cercavo di farle cambiare idea, ma stavo tracciando un confine netto che non avrei mai superato.
    Nyx mi aveva assicurato che sarebbe stata al mio fianco per governare la nostra razza, ed era esattamente l'obiettivo del mio primo atto di disubbidienza. Quello che avevo appena capito era che ce ne sarebbero stati altri, se le cose non fossero andate come volevo.
    Mi chiesi vagamente se, in realtà, fosse ancora così come lo avevo sempre pensato, il nostro rapporto: se fossi ancora un suo fedele e umile suddito, sottoposto alla sua volontà per scelta, o se non fosse lei, in questo momento, ad essere quasi incastrata nel suo sogno di costruirsi una vita diversa, un futuro dove si era immaginata libera dalla prigione in cui la aveva confinata suo fratello Etere. Come se avesse lei stessa costruito la sua attuale gabbia dorata. Forse non era nei suoi progetti, visto che intendeva sacrificarsi per far rinascere l'intera stirpe deviante, ma qualcosa non aveva funzionato, ed ora doveva accettare una temporanea debolezza.
    Non sapevo quello che sarebbe successo una volta riacquistati i suoi poteri, ma calcolavo nel frattempo di rientrare nelle sue grazie. No, non speravo. La speranza era inutile, era un vano spreco di energie e di tempo. Avevo dimostrato a me stesso che ero in grado di diventare l'artefice della mia vita, di esistere non solo all'ombra della mia dea. Pensieri strani continuavano ad affacciarsi alla mia mente da quando ero diventato il capo materiale di un impero che spaziava sull'intero pianeta.
    Nel frattempo, continuavo a sostenere lo sguardo pesante di Nyx, che non si muoveva né dava segno di alcuna emozione. Era diventata impenetrabile.
    ”Dovete farmi sapere quando sarete pronta per assumervi i primi impegni ufficiali. Il vostro popolo vuole vedervi!”
    Non attesi una sua risposta, non ne avevo bisogno. Con un cenno secco del capo, mi congedai, senza che lo facesse lei.
    Non ne avevo più bisogno.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:27
     
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    :Nyx:
    Le conseguenze del mio gesto sinceramente erano state per me semplicemente motivo di moltissima noia. Fingere che tutto quel poter non mi mancava, che anzi ero felice di essermene liberata per tornare una donna coscienziosa e sopratutto distrutta per ciò che era successo... che dire niente di più falso.
    Il mio obbiettivo era tornare la alla mia forma naturale lasciando come done al mio popolo la propria rinascita, ma ora con la mossa di Oliver tutto era stato vanificato. Il mio potere era stato inevitabilmente piegato e per sopravvivere tutto ciò che potevo fare era fare buon viso a cattivo gioco. Mantenere quella farsa e stringere i denti per dare dimostrazione al mio popolo che ero la Dea che loro credevano fossi.

    La riunione di quel giorno ne era la prova, era durata più del previsto e nonostante la mia presenza attenta stavo stringendo i denti per resistere. Era tutto il giorno che ero in giro per adempiere ai miei doveri e non sarebbe stato un problema se fino a quel momento non avessi avuto nemmeno un momento per star sola. Per rifiatare. Per ritrovare le energie. Così appena conclusa ignorai chi tentò di salutarmi o pormi domande ed immediatamente a grandi passi mi allontanai. Cercai con lo sguardo una stanza vuota, a prescindere della natura, ed individuata mi ci gettai dentro sbattendo la porta.
    Una volta sola poggiai la schiena contro il legno della stessa e mi permisi di accasciarmi a terra stremata.
    Ci rimasi per un po' fin tanto riuscendo a rimettermi in piedi raggiunsi la finestra per guardare fuori, ma in realtà per cercare aria come se mi mancasse. Fortunatamente chiunque entrò, mi trovò così. Di spalle. Senza dar adito ad ulteriori dubbi domande.
    "Non ti hanno mai detto che si bussa?" dissi con nonchalanche, percependo chiaramente una presenza alle mie spalle.
    ”Puoi darla a bere a chiunque, ma non a me...”
    La sua voce sfacciata ed irritante l'avrei riconosciuta tra mille. Poteva essere diversa, ora, ma manteneva il suo tono arrogante e altezzoso che sempre l'avevano caratterizzata. Mi voltai verso di lui sconvolta, i tratti così simili ai miei.
    L'ultima volta che ci eravamo visti eravamo Dei, nel vero senso della parola. Mentre ora eravamo così simili. Avevamo perso la nostra luce e maestosità.
    ”I miei poteri così come i tuoi sono ai minimi storici e la cosa è frustrante. Per me ancora più che per te. E frustrante è anche rimanere confinati su questo pianeta dimenticato, immobili come se non potessimo fare nient'altro, lasciando al tuo giocattolino la gestione del mondo. Quindi la mia domanda è: perchè perdere ulteriore tempo? Se continuiamo a girarci intorno così forse riusciremo a concludere qualcosa quando sia gli Eterni che i Devianti si rovineranno con le loro stesse mani. E in quel caso... non penso ci sarà più alcuna soddisfazione da trarre da una vittoria."
    Esattamente come lo ricordavo Etere puntava sempre e solo ad uno scopo: la sua vittoria.
    Mi feci improvvisamente seria osservandolo attentamente perdendo tutta la mia sfrontatezza. Sottolineare l'ovvio, mi innervosiva. Non necessitavo di lui per ricordare che adesso ero poco più che una Deviante qualsiasi. Non volere essere più la Grande Madre non voleva dire che volevo perdere la mia forza e il mio potere.
    "Bari, mi imprigioni e poi sparisci per millenni ed ora con che faccia tosta di presenti?" gli chiesi funesta, mentre lui sfacciato con le braccia incrociate al petto mi guardava scanzonato.
    Sapeva cosa provavo. I miei poteri erano a pezzi rendendomi l'ombra di ciò che ero un tempo. Ero una condottiera, una Dea.
    Volevo incolpare lui. Volevo incolpare Oliver. Ma in realtà non potevo che non incolpare me stessa. L'unica responsabile ero io.
    "Forse però la vera domanda è un'altra: come ti sei ridotto così?" mi resi conto in quel momento di aver preso il coltello da parte del manico quando lui rizzando la schiena sembrò punto sul vivo.
    ”Diciamo che forse ho fatto incazzare un po' di gente... sai l'Osservatore... il Collezionista... il Giardiniere...”
    "Fammi indovinare hai manipolato l'Osservatore per farti dire qualcosa che ti interessava, hai rubato qualcosa al Collezionista ed hai usato il Giardiniere per crearti il tuo proprio orticello..." di fatto aveva "giocato" con esseri antichi per il solo piacere di fare tutto ciò che era proibito per cosa? Per vincere? Perchè a lui piaceva vincere a prescindere. Senza un motivo. Senza uno scopo. Si trattava di lui. Solo di lui. E per quello era lì.
    "Devono avertela fatta pagare cara se ora sei rodotto così..."
    ”Anche tu sei ridotta così!” mi prese in giro muovendosi verso di me, fermandosi ad un passo.
    "Io l'ho fatto pr il mio popolo tu per te stesso! Vattene Etere, non costringermi a cacciarti... questo non è un gioco, qui non c'è niente per te!" sibilai velenosa, mentre lui prendendomi il mento tra due dita si avvicinò ulteriormente ghignando.
    Mi terrorizzava la sua presenza, perchè se finora era stato lì, tra i ranghi dei Devianti, osavo immaginare cosa avesse combinato. Cosa avesse in mente ed io... io non lo avevo sentito così debole per riuscirci.
    Eravamo così presi l'un l'altro che non ci accorgemmo dell'arrivo di Oliver. Lui non poteva sapere chi fosse e l'immagine che aveva davanti non so a cosa potesse dar adito, ma ad Etere divertì.
    Ridacchiò e guardando Oliver lo salutò con fare beffardo prima di girarsi verso di me e farmi l'occhiolino.
    ”Abbiamo un discorso in sospeso... ricordatelo...” pronunciò prima di andarsene, mentre io lo guardavo tesa. Spaventata. Ansiosa. Come mai mai mai mai mi ero permessa di essere o dimostrare da che ero lì. Niente poteva più turbarmi della sua presenza.
     
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    :Oliver:
    ”La situazione nel settore occidentale sta lentamente tornando alla normalità...”
    Il Comandante Göring stava illustrando il rapporto settimanale sullo stato della sicurezza nel territorio oltreoceano: i ribelli, anche quelli che si erano organizzati in manipoli di guerriglieri irregolari, erano stati infine scovati e annientati dalle migliori unità militari del nostro esercito. Per questo incarico non avevo ammesso alcun errore né inadeguatezza. Era troppo azzardato permettere agli umani di poter creare scompiglio e instabilità nei nostri territori.
    Eravamo nel mio ufficio, luogo che preferivo per le riunioni operative con i miei più stretti collaboratori. Io ero appoggiato alla scrivania, con le braccia conserte e lo sguardo fisso sul Comandante, uno degli elementi più di spicco e preziosi dell'esercito, che poco alla volta si stava facendo strada brillantemente tra le file dei miei fedelissimi.
    Eravamo solo in tre, stranamente.
    Da quando Alexander Pierce era entrato nelle grazie di Nyx, questo la seguiva manco fosse la sua ombra. Difficile che si presentasse da sola come oggi. Cercavo di accettare le sue decisioni, pur avendo subito odiato quell'individuo per il modo troppo confidenziale con cui le si rivolgeva, la totale mancanza di rispetto con cui la guardava, come se fossero davvero molto intimi. Non avrei mai osato nuocergli, perché questo avrebbe voluto dire scontentare lei, ma se avessi potuto lo avrei distrutto seduta stante, altro che dichiararlo mio protetto. Nel momento in cui Nyx me lo avesse affidato, avrei provveduto in poco tempo a farlo “sparire”.
    Un rumore imprevisto di vetri infranti interruppe la disanima del rapporto. Perplesso ne cercai la fonte e, con sconcerto, vidi che il bicchiere di vino che Nyx stava bevendo era caduto per terra, frantumandosi. Le era caduto di mano quando si era accasciata per terra, una mano sulla poltrona al centro dell'ufficio, per reggersi e non crollare di schianto.
    L'accaduto mi agitò profondamente: in questi mesi eravamo stati molto lontani, tanto quanto non avrei voluto, ci incontravamo solo alle riunioni e agli impegni ufficiali come le parate vittoriose o le esibizioni militari, ma non mi ero accorto, colpevolmente, che qualcosa non andasse.
    La vicinanza di Pierce era un dei motivi per cui il muro di ostilità che lei aveva eretto con me continuava ad essere presente. Ora vedevo chiaramente il manifestarsi di una fragilità che andava ben oltre quella che la aveva colpita dopo il risveglio di tutti i Devianti. Le sue mani tremavano vistosamente, il respiro era faticoso e irregolare. Sembrava malata, sull'orlo di una crisi di natura misteriosa. Ero addolorato dalla visione della mia Dea così debole, impotente e indifesa.
    Göring aveva la stessa espressione alterata e allibita che avrei avuto anche io, se non avessi imparato con il tempo a nascondere i miei pensieri dietro un volto impenetrabile. I suoi occhi sgranati, dove le iridi si perdevano quasi nel bianco della cornea, esprimevano orrore: la Dea stava morendo, molto probabilmente, in ogni caso il suo potere era diventato insignificante.
    ”Comandante Göring...” Attirai il suo sguardo su di me, e quando me ne impossessai, usai su di lui il mio Potere Oscuro. Entrai con facilità nella sua mente, cercai e trovai quale fosse l'angoscia più grande dell'uomo. Fu un lavoro facile, ero un maestro nell'utilizzare la mia specifica facoltà da Deviante.
    Göring era uno dei più convinti sostenitori della nostra causa da quando, semplice soldato del Reich, si era risvegliato alla sua nuova vita eccezionale e gloriosa. La lealtà era un elemento essenziale della sua personalità, ecco perché la sua paura maggiore era proprio quella di non essere un Deviante, di non avere o di perdere la sua natura.

    Ma i poteri erano svaniti. Senza nessun preavviso, la capacità di controllo sui metalli non gli apparteneva più. Era tornato ad essere un comune umano, come lo era stato negli anni precedenti della sua vita. Questa volta però era diverso. Un destino amaro attendeva coloro che non erano Devianti, la razza padrona della Terra. Herman Göring dovette scappare, rifugiarsi in luoghi sperduti, braccato da chi era come lui in passato. Senza potersi fermare, senza potersi fidare di nessuno. Era diventato uno dei reietti che lui aveva cacciato con tanta efficienza e convinzione. Questo era il destino degli umani che non erano imprigionati nelle zone delimitate da filo spinato e torrette di guardia, lontani dagli occhi di chi aveva la fortuna di possedere geni diversi e più preziosi, alla mercé di fame, malattie, miseria e desolazione.
    Herman visse per anni nella paura totale di essere catturato, di essere umiliato dai suoi stessi sottoposti, di essere dimenticato e considerato meno di niente. Uno dei suoi peggiori incubi, divenuto realtà. La fatica, il panico, la vergogna, tutto contribuì a sfiancarlo, a fargli odiare ogni singolo giorno e ora e secondo di quella vita abietta. Un pensiero cominciò a tormentarlo, fino a che non gli lasciò altro scampo che la fuga. Quella definitiva.

    Göring estrasse dalla fondina la sua pistola d'ordinanza. Le sue mani tremavano, quando la avvicinò alla tempia. Il suo viso era bagnato di lacrime e saliva, la bocca una smorfia di orrore che non riusciva più ad essere contenuto e gestito. Quelli che furono anni di disperazione nel tempo dilatato che creavo nella mente della mia vittima corrispondevano nella realtà a pochi secondi di orologio.

    Il rumore dello sparo fece alzare gli occhi confusi di Nyx, che ancora si stava tenendo la fronte con le dita sottili e bianche come la cera delle candele. Fissò per qualche secondo il corpo del militare, caduto a terra come un fantoccio di stracci.
    Poi guardò me, la bocca socchiusa, con stupore e incomprensione, anche se proprio lei non poteva avere alcun dubbio su quanto era appena accaduto.
    ”Perché lo hai fatto?”
    Alzai le sopracciglia, l'unico cenno di meraviglia che mostrai ai suoi interrogativi. Come poteva chiedermi una cosa così palese?
    ”Nessuno deve sapere della vostra debolezza!”
    Perché non le era chiaro? Avevo compreso immediatamente quanto sarebbe stato pericolosa la notizia della sua prostrazione. Era un'informazione che la avrebbe danneggiata: se fosse uscita da questa stanza, per la sua potenza deflagrante avrebbe raggiunto ogni angolo dell'Impero in poche ore.
    Nonostante il potere e il controllo che esercitavamo sulla Terra, conoscevo bene quelli della mia razza. Rispettavano l'autorità e mantenevano l'ordine perché riconoscevano in me e soprattutto in Nyx una guida salda, sicura, potente, ma molti di loro erano lupi, pronti a tirare fuori denti e artigli per prendersi quello che ritenevano di riuscire a guadagnarsi con la forza e i poteri, se avessero avuto anche il minimo sospetto di una qualche esitazione da parte nostra. Era pericolosissimo.
    Nyx scosse la testa, incredula, ed io mi avvicinai, in pochi passi le fui vicino. Mi fece male notare che quasi si ritrasse, come se temesse qualcosa di inconsulto da parte mia. A questo eravamo arrivati?
    Strinsi i denti per l'umiliazione. Come avevo potuto permettere che la sfiducia si ingrandisse a tal punto tra di noi? Quanto di questo era dovuto alle mie azioni, e quanto piuttosto al veleno che le insinuava nella mente Pierce?
    Mi inginocchiai lentamente davanti, presi le sue mani tra le mie. Erano ghiacciate. Lei non diede segno di volersi sottrarre al primo contatto fisico che avevamo da tempo. Le sue labbra erano talmente pallide che sembravano appartenere ad una statua di marmo.
    Di solito, erano rosa e vellutate come i petali di un fiore. Quante volte le avevo baciate? L'ultima volta, la sera prima.

    Lei indossava uno degli abiti che preferivo, un morbido vestito che le arrivava poco sotto il ginocchio, di un colore che si intonava perfettamente ai suoi capelli biondi, raccolti in un morbido chignon, e alla sua pelle diafana.
    Avevamo fatto l'amore subito dopo aver cenato nella mia stanza, come al solito, con cibi raffinati e vini pregiati.
    Spogliarla era una delle cose che più amavo fare, lei se ne stava ferma ad osservarmi con i suoi occhi cristallini, fino a che l'ultimo pezzo di lingerie di pizzo era scivolato sul pavimento. Poi mi beavo del suo corpo, della sua fragranza, dei suoi gemiti. Era un paradiso che comparavo a quello dato dalle droghe, ma era per quello che vivevo. Avevamo fatto l'amore più e più volte, per tutta la durata della notte, e ci eravamo addormentati quando il cielo aveva cominciato ad ingrigirsi.
    Poche ore dopo ci eravamo svegliati con i nostri corpi nudi ancora allacciati. Potevo riposarmi ancora pochi minuti, poi i miei impegni mi avrebbero allontanato, per questo cercavo di imprimere nella mia memoria ogni particolare di quei momenti preziosi.
    Lei si stava rivestendo con gli stessi vestiti della sera prima, gli stessi gesti che ormai mi erano diventati morbosamente familiari. La dolcezza che amavo accompagnata a una grazia infinita. Ne rimasi abbacinato, come se avessi fissato troppo a lungo la luce del sole. Persi ogni contatto con la realtà. Allungai una mano per fermarla nel suo vestirsi, perché si girasse verso di me.
    ”Dimmi che mi ami...”
    La maschera che portavo continuamente mi era scivolata via, il mio sussurro era una supplica appassionata. Lei rimase stupita, mi guardò con incertezza. Poi un sorriso insicuro, un sorriso che NON riconobbi, comparve sulle sue labbra.
    ”Ma... certo che ti amo... Oliver!”


    In quell'istante, mi ero riavuto dall'inganno che io stesso mi dispensavo. Quella non era Nyx, ma una delle tante Devianti Mutaforma che McKay trovava per i miei desideri proibiti. Era un incarico confidenziale che avevo affidato a lui per l'estrema fiducia di cui godeva ai miei occhi. Nessuno avrebbe dovuto sapere del mio punto debole, la mia ossessione, il mio vizio, a cui non riuscivo più a rinunciare. Da quando avevo ammesso i miei sentimenti per la Dea, nell'impossibilità di poterglieli esprimere, mi ero accontentato di suoi surrogati, come se fossero una droga. Una droga che poteva parlare, raccontare, tradirmi, e non potevo consentirlo.
    Grazie al contatto visivo ero entrato nell'inconscio della ragazza e avevo frugato con abilità, fino a trovare ciò che la faceva tremare, che le procurava incubi da cui svegliarsi in un bagno di sudore.
    Era stata violentata anni fa, quando era poco più di una bambina. Fu con facilità che le rivoltai contro l'esperienza più dolorosa che aveva tentato con ogni mezzo di seppellire nell'oscurità dell'oblio. Le feci rivivere lo stupro decine e poi centinaia di volte, come se fosse un film dell'orrore a cui ogni volta si aggiungeva l'angoscia, la vergogna, lo strazio della volta precedente.
    A differenza di molte altre Devianti che in precedenza avevano recitato lo stesso ruolo sul mio palcoscenico privato, esclusivamente per me, la ragazza – non conoscevo neanche il suo nome - non si suicidò buttandosi giù dalla finestra o tagliandosi le vene con la scheggia affilata di uno specchio. Lei impazzì, trasformandosi in un essere non senziente con lo sguardo fisso, incapace di comunicare e di raccontare nulla che fosse coerente. Avrebbe finito i suoi giorni nella stanza vuota di un manicomio, lasciata a sé stessa e ai suoi deliri.

    Strinsi i denti per recuperare la mia compostezza e la mia presenza. A pochissima distanza da me, una distanza che avrei potuto coprire in meno di un battito di cuore, se fossi impazzito improvvisamente, c'era la mia Dea. Una Dea mai così umana come in quel momento.
    ”Io ti proteggerò da ogni minaccia, se tornerai a fidarti di me...”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:27
     
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    Ancora scossa per quell'attimo di debolezza che non ero stata in grado di controllare ero rimasta meravigliata, impressionata e colpita da ciò che aveva appena fatto.
    I miei occhi erano ancora sbarrati per ciò che era appena successo quando alla sua frase non potei non guardarlo se non con tutto l'affetto che per lui provavo. Alzai una mano ed accarezzai il suo volto. I miei occhi pregni di desiderio e delicatezza.
    "Non ho mai smesso" dissi quelle poche parole quasi come se mi ferisse che lui pensava il contrario. Credeva che fossi così volubile e capricciosa da dimenticare tutto ciò che lui rappresentava per me solo per pochi e sciocchi errori.
    "Piuttosto tu... cosa hai fatto?" gli chiesi sinceramente preoccupata guardando il corpo senza vita accanto a noi. Non bisognava però confondersi, la mia non era orrore o preoccupazione dovuta a ciò a cui avevo assistito, era semplice apprensione nei confronti di Oliver.
    "Göring era tra i nostri uomini migliori. Tra i più leali ed efficaci e tu lo hai sacrificato, per me?" chiesi. Era come se per la prima volta sentissi e percepissi che il suo gesto era andato oltre al preservare la mia incolumità di Dea. Perchè sapevo che di questo si trattava, era evitare che una mia debolezza potesse causare la perdita del controllo. Dopotutto se un Dio può cadere chiunque può prendere il suo posto, ma c'era altro. E lui lo sapeva.
    "Se tornassi nella mia forma originaria sarei solo venerata ancora di più e lo sai..." lo rimproverai con l'affetto però di una mamma che sgrida in modo bonario il proprio figlio.
    Gli permisi di prendermi in braccio, mentre io allacciavo le braccia intorno al suo collo non prima però di alzare una mano e puntandola verso il corpo senza vita del gerarca far sì che esso diventasse polvere che lentamente scomparve. Così nessuna prova sarebbe rimasta e lui sarebbe stato considerato semplicemente "scomparso".

    Viaggiai nell'ombra con Oliver che apparendo nella mia stanza mi adagiò sul letto non prima che Etere piombasse nella stanza. Confuso e preoccupato seppur sapevo fosse solo la sua ennesima sceneggiata.
    In quel tempo non avevo fatto altro di trovare un modo di liberarmi di lui non prima però di capire e scoprire la sua vera venuta. Non ero sciocca se davvero aveva fatto qualcosa di così grave come raggirare degli Antichi volevo saperne il motivo. Prima di liberamene dunque, avrei scoperto cosa aveva di così importante da ridursi a nascondersi sulla Terra pur di proteggerla. Ahimè però temevo che quella vicinanza e desiderio di tenerlo sotto controllo avesse dato adito ad altre speculazioni seppur io ero ancora troppo ingenua, sotto questo punto di vista, per accorgermene.
    ”Ok te ne puoi andare ora me ne occupo io!” disse camminando a grandi passi verso di me, mettendosi tra il letto ed Oliver che senza degnare di uno sguardo aveva spalleggiato con il chiaro intento di provocarlo. Di farlo sentire di troppo.
    Al tentativo di Etere però di prendermi per mano io vi rifuggì. Disgustata. Infastidita.
    "Sei tu quello che se ne deve andare Alexander... desidero rimanere sola con il Führer" dissi con tono perentorio che non ammetteva replica. Un tono che rispetta chiunque. Che impauriva e soggiogava chiunque. Tranne lui.
    ”Non se ne parla minimamente! LUI non è niente capito? E' solo il tuo cagnolino, io... io sono quello che MERITA restare...”
    Ed eccolo lì il giocatore. Il bambino viziato che voleva averla sempre vinta a prescindere di ogni cosa. Ma fui irremovibile e fui lieta finalmente di aver il coraggio di guardarlo negli occhi e non aver paura.
    Lui digrignò i denti. Serrò la mascella e con un sibilo mi minacciò prima di andarsene sbattendo la porta.
    Il tenergli testa mi aveva sfiancato e così mi lasciai cadere con la schiena all'indietro sui cuscini, mentre percepì chiaramente Oliver muovere dei passi. Probabilmente per andarsene, ma io fui più veloce. La mia mano cercò la sua e la strinse per fermarlo.
    "No. Resta. Te ne prego..." gli chiesi a mezza voce. Di fatto supplicandolo.
    Lo guardai sorridendo, eterea, soave... bellissima come un Ofelia prossima alla sua triste fine.
     
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    Il suo sorriso mi arrivò dritto al cuore. Era la cosa più sublime su cui avevo posato mai gli occhi. Lei era una Dea, ma in un corpo umano, e provava sentimenti umani. Per qualche fortunato caso, aveva posato gli occhi su di me.
    Non volevo sapere o pensare altro, in questo momento. I suoi occhi mi chiamavano e mi attiravano come fossero magneti, ed io li avevo desiderati come non avevo mai voluto nient'altro.
    Mi abbassai lentamente su di lei, quasi temendo di venire respinto all'ultimo un'altra volta, ma questo non successe.
    La baciai. Il desiderio era fortissimo, avrei potuto essere anche più prepotente e appassionato, invece sfiorai le sue labbra morbide e respirai il suo stesso respiro. Le emozioni mi travolsero quando lei rispose al mio bacio con trasporto.
    Mi inginocchiai accanto al suo letto. Avevo una confessione che mi pesava da troppo tempo, e non poteva più aspettare. Dovevo risolvere il mio dubbio, in un modo o nell'altro.
    Mi fidavo di lei, dei suoi occhi, ma l'episodio nella sua camera da letto ancora mi bruciava e mi destabilizzava.
    ”Io ti amo. Non è un sentimento che un essere inferiore dovrebbe provare per un dio, e per molto tempo non sono stato pronto ad accettarlo. Ma adesso non ho più timori, e non ho più intenzione di fare finta di niente, di fingere che non mi importi a chi darai il tuo cuore”
    Nyx sembrò quasi stupita. Quello di cui avevo maggior timore forse era che mi guardasse con accondiscendenza, come se fossi un bambino spaurito che aveva bisogno di conforto. Non ero lì per essere compatito, non avrei accettato un rapporto d'amore con chi mi guardava con semplice affetto. Nyx avrebbe avuto sempre la mia devozione, la mia più profonda lealtà, ma se l'amore era tra un uomo e una donna, così dovevamo essere noi, almeno nei momenti di intimità.
    ”Io sono sempre stata tua. Ti ho amato da sempre, da quando ho cominciato ad avvertire la tua oscurità, quella chi mi ha salvato e mi ha portato qui. Prima non sapevo dare un nome a tutto questo, ma ora l'ho capito. Il tuo essere mi completa. Io ti ho sempre amato!”
    Sorrisi. Il cuore sembrò andare al suo posto, il mio mondo trovò la pace.
    Poi, come un crollo nascosto, la sua espressione quasi si spense, il suo pallore si accentuò. La baciai sulla fronte, preoccupato per lei.
    ”Devi riposarti, o non riprenderai le forze. Veglierò io su di te”
    ”Oliver... non recupererò più i poteri con cui sono stata creata. Si stanno spegnendo poco a poco, il mio corpo deperirà e tornerò ad essere energia intangibile, prima o poi. Mi riposerò qualche minuto, e sarò di nuovo in grado di mantenere la parvenza di potere. Fino alla prossima crisi, almeno”
    Non risposi ai suoi timori, ma mi sdraiai a fianco a lei, sul letto. La presi tra le mie braccia, per poterle trasmettere almeno il calore del mio corpo.
    Fissavo il buio della stanza come se potessi trovare il bandolo dei miei sentimenti, che sembravano impazziti. Ero passato dallo stupore, all'estasi, alla gioia, allo sconforto e all'ira più totale in poche manciate di secondi.
    Non aveva importanza il fatto che Nyx, per mesi, mi avesse tenuto nascosto il suo stato di salute. L'unico rimpianto era che avevamo sprecato tempo prezioso nella ricerca di un modo per evitare quanto era inevitabile.
    Perché una soluzione ci sarebbe stata, a tutti i costi. Non avrei tollerato che niente e nessuno mi portasse via la donna che amavo, avessi dovuto sacrificare il mondo e i suoi abitanti. Avessi dovuto sacrificare l'universo. Ero ferocemente determinato, e solo la morte mi avrebbe fatto desistere da questo proposito.
    Lei si addormentò in pochi minuti, con la testa sulla mia spalla. Ascoltando il suo respiro delicato e lieve, capii che non avrei avuto bisogno di alcun surrogato della sua persona. Mai più.
    Le avevo promesso che la avrei protetta, e volevo cominciare a farlo subito.
    Non aveva mai perso la fiducia in me, eppure ad un certo punto era comparso Pierce. Lui era un rivale che non intendevo sopportare oltre. Nyx aveva dimostrato chiaramente che non lo desiderava più attorno. Se anche ci aveva giocato, si era divertita con lui, ora rappresentava solo una minaccia come Göring che andava eliminata.
    Non avrei messo a parte Nyx dei miei pensieri perché non desideravo che una simile macchia fosse la sua. Per me gli omicidi erano dei semplici strumenti che usavo per raggiungere i miei scopi, o quelli della mia Dea. Lei doveva rimanere incontaminata.
    Mi alzai con cautela, per non disturbarla, poi mi diressi alla ricerca di Pierce.
    Avevo piani ben chiari in testa, quindi quando lo rintracciai non persi tempo in inutili discorsi, non era il mio stile.
    Attaccai immediatamente.
    Con il potere dell'ombra mi portai dietro di lui, e lo agganciai per il collo. Il contatto fisico servì per teletrasportare me e lui nel mio studio. L'ampia stanza rappresentava un ottimo luogo per liberarmi in maniera pulita di quell'essere arrogante: era stata insonorizzata per assecondare le manie di persecuzione di cui soffriva il precedente Führer. Lì, tenevo anche alcuni oggetti che avrebbero potuto venirmi utili.
    Riapparimmo vicino alla scrivania: terminai il gesto scagliandolo attraverso la stanza dove si trovava il mobile-bar.
    Piombò malamente sopra bicchieri e bottiglie di liquore con un baccano notevole ma, come era mio proponimento, nulla sarebbe filtrato dall'altra parte della porta. Un ottimo luogo per ottenere la mia rivincita.
    Pierce si rialzò senza fatica, come se non avesse sentito il colpo, un ampio sorriso sulla faccia, con l'espressione di uno che finalmente otteneva quello che desiderava. Desiderava morire?
    Sottovalutare i miei avversari era un'ingenuità che non avevo mai commesso, ma lui mi venne addosso senza che riuscissi a prevedere o contrastare il suo attacco. Mi colpì con un pugno al viso, con una forza sufficiente a scaraventarmi contro il muro, come pochi istanti prima io avevo fatto con lui.
    Non sentii quasi il dolore, perché la ferrea determinazione che indossavo in combattimento come una corazza ancora più efficace del mio potere e del mio allenamento aveva cominciato a crescere a dismisura. Solo uno di noi avrebbe lasciato vivo la stanza.
    Risposi al suo attacco usando come supporto la scrivania, colpendolo con un calcio poderoso al petto. O almeno, quella era la mia intenzione. Usò per la seconda volta la sua velocità prodigiosa, e scansò il mio colpo per una distanza minima.
    Il suo braccio sulla mia gola sembrò quasi materializzarsi dal nulla. Con una violenza brutale mi schiacciò al muro.
    Allungai il braccio per raggiungere la nicchia perfettamente celata in cui custodivo l'arco, quello che avevo trovato ormai una vita fa nel covo degli assassini, l'arma con cui avevo ucciso Kara.
    Feci solo in tempo ad prendere questo e le frecce che Pierce mi afferrò il braccio. Non cercò di impedirmi il movimento, e capii dopo, quando un dolore lancinante mi percorse la pelle, quale fosse la sua intenzione.
    Mi smaterializzai per togliergli il vantaggio, ricomparendo in un angolo della stanza con le spalle coperte. Il punto dove aveva posato la mano mi pulsava terribilmente e dall'odore di tessuto e carne bruciata capii senza bisogno di controllare. I poteri di quel deviante non si limitavano alla velocità prodigiosa, poteva controllare il fuoco; era potente e scaltro, ma non mi sarei fatto intimidire dall'essere spregevole che aveva usato e manipolato la mia Dea.
    Alzai il braccio pur dolorante per colpirlo con una freccia, quando lui distorse la sua faccia in un'espressione di sbalordimento astioso.
    “Lo Yumi Bow! Uno sporco deviante come te non dovrebbe possederlo!”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:27
     
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    Mi ero addormenta serena tra le braccia di Oliver e la consapevolezza che finalmente quel muro che tra noi si era creato si fosse dissolto. Era chiaro che ancora moltissimo avevo da imparare dalle emozioni umane sopratutto perchè qualcosa che io avevo dato per scontato non avevo saputo come gestirlo e lui aveva dovuto metabolizzarlo. Poteva essere così complesso e sfaccettato l'amore? A quanto pare sì ed io lo stavo scoprendo.
    Le sue labbra scoprì presto che furono il sapore più buono che da che ero in quel corpo avevo provato. Era cose se nel suo bacio avessi percepito le sue due anime ed entrambe in quel momento trovassero la pace, combaciassero e si unissero per un unico scopo: amarmi.
    Non mi accorsi della sua assenza o meglio non me ne accorsi subito. La fortuna fu che il suo calore mi mancò, ne percepì immediatamente la mancanza e la necessità di cercarlo mi portò a svegliarmi. Ero ancora seduta sul bordo del letto quando un dolore al centro del petto mi tolse il fiato. Pensai ad un ennesima crisi, ma era diverso. Era come se percepissi la mia anima spezzarsi, il mio cuore incrinarsi e fu quando cercai telepaticamente Oliver che ne capì il motivo.
    Balzai in piedi e dimenticandomi immediatamente della mia debolezza raggiunsi il suo ufficio solo per assistere ad una scena spaventosa. Oliver era in un angolo, una bruciatura sul petto a forma di mano e mio fratello di fronte a lui guardandolo con un sorriso beffardo sul viso.
    Non persi tempo e lanciai un raggio energetico addosso a lui che immediatamente deviò facendolo schiantare contro un vaso che cadde in mille pezzi, al che mentre io volavo verso di lui per atterrargli addosso con un pugno ma lui alzò uno scudo impedendomelo. Caddi a terra in ginocchia e lì iniziò una lotta senza esclusione di colpi in un corpo a corpo che non vedeva nè vinti nè vincitori. Oliver colse l'occasione e si materializzò alle spalle di mio fratello cercando di strozzarlo con il proprio arco, mentre io ergevo un campo di energia intorno al suo corpo per imprigionarlo.
    ”Patetici!” sibilò a fatica, gli stava iniziando a mancare l'aria, ma con un esplosione di energia ci fece volare entrambi lontani. Colpimmo il muro con la schiena, mentre mio fratello alzando una mano richiamò velocemente lo Yumi Bow a sè. Oliver fece per agire, ma quando lo puntò verso di me si fermò.
    ”Come dicevo possiedi un'antica reliquia di cui non conosci nemmeno tutte le capacità. Attaccami e la freccia che scaglierò contro mia sorella la renderà una calamità... attirerà così tante energie Devianti su di sè che diventerà instabile...”
    Oliver corrucciò improvvisamente le sopracciglia, sorpreso come non lo avevo mai visto.
    ”Sorella? Sei Etere...”
    ”Il solo ed unico!” esclamò quello beffardo ed orgoglioso prima di voltare la mira e puntare ora Oliver ”E tu sei il figlio di puttana che ha liberato mia sorella. Non capisci? Io la stavo proteggendo. Avete una storia simile sulla terra, come la chiamate... ah sì... Raperenzolo... lì era al sicuro da tutto. I sentimenti, l'odio, la paura, la debolezza... ma tu hai rovinato tutto... lei è mia... capisci? MIA!”
    Urlò perdendo la sua razionalità e finalmente mostrandosi per il folle che era.
    "Smetti i tuoi deliri di onnipotenza e prendi quello che vuoi. Me giusto? Vuoi la mia energia... Prendila!"
    ”NO!”
    Avevi i pugni stretti lungo i fianchi pronta a sacrificarmi per la prima volta non per scopi universali. Per salvare i Devianti o tenere in equilibrio il cosmo. Ma per puro e semplice egoismo. Amavo Oliver a tal punto che mi ero appena accorta che sarei andata contro a tutto ciò in cui credevo per lui. Che avrei perfino rischiato la sorte della mia gente e dell'universo intero se questo significava salvarlo.
    ”E' quello che volevo hai ragione, ma ti sei vista? Stai morendo, sei messa peggio di me... quindi no, passo... mentre lui...” e così dicendo incoccò la freccia all'arco.
    ”E' potente abbastanza. Sarai un ottimo ospite. I tuoi poteri ed i miei faremo scintille... oltretutto ho tra le mani qualcosa che ci renderà Re incontrastati del cosmo... con quello creeremo tanti bei giochi...” i suoi occhi azzurri parevano spiritati mentre guardava Oliver con chi era affamato da così tanto tempo che non vedeva l'ora di gettarsi sulla propria preda.
    ”Sorridi sis! Entrambi gli uomini che ti vogliono li avrai in un corpo solo... Sarà divertente!” capì le sue intenzioni quando ancora stava pronunciando la penultima lettera che quando la freccia partì io fui abbastanza veloce da alterare le probabilità, battere la sua breve chiaroveggenza ed arrivare veloce di fronte ad Oliver per bloccare la punta della freccia ad un centimetro dal suo cuore con la mia mano.
    Al che dovetti richiamare a me tutto ciò che mi era rimasto, accorciare le mie possibilità di vita, ma liberarmi una volta per tutte. L'energia che in noi era caratterizzata da tachioni positivi (Eterni) e negativi (Devianti) se essi interagivano causavano un corto circuito. Un infezione. Caricare la freccia di tachioni negativi voleva cedere parte della mia linfa vitale, ma quando questa tornando indietro trafisse il costato di Etere lo infettò. Ben presto iniziò ad essere avvolto da energia oscura, urlava e si dimenava dal dolore e quando quella lo avvolse completamente esplose così forte da costringere me ed Oliver in ginocchio dietro al mio mantello per proteggerci. Fu solo quando lo abbassi che di Etere non c'era più traccia come parte della mia essenza...
     
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    Etere era stato eliminato. Non era certo morto, gli dei non muoiono neanche quando perdono la loro forma umana, ma almeno avrebbe smesso di minacciare e ostacolare Nyx con le sue azioni. Avrebbe sicuramente trovato altri modi in futuro di vendicarsi, ma non era quello che aveva la priorità in quel momento.
    Nyx stava morendo.
    La sua energia vitale già limitata si era consumata quasi del tutto per sconfiggere Etere, per impedirgli di appropriarsi del mio potere e del mio corpo per ottenere nuovamente la sua forza originaria.
    Nel farlo, la mia anima sarebbe stata bruciata dalla sua presenza, sarei scomparso.
    Il sacrificio di Nyx, questa volta solo e semplicemente per la mia salvezza, aveva suggellato in maniera sacra e indissolubile il nostro rapporto. Quello che ora ci univa non era più solo un legame di sudditanza, di lealtà, anche se erano gli elementi che ci accomunavano agli occhi del mondo, ma era un legame di anime, di corpi, di muscoli, di sangue e di respiri. Di volontà e dedizione, di forza e tenerezza. Di comunione di intenti e di progetti futuri. Di amore infinito.
    Etere si era nascosto sulla Terra perché fortemente indebolito e braccato da nemici troppo pericolosi perfino per lui: aveva manipolato degli Antichi, dei come lui e Nyx, anche se molto più potenti, per sottrarre indisturbato un oggetto divino, che nessuno avrebbe dovuto possedere.
    Con la sua sete di azzardo, aveva fatto in modo che l'Osservatore, il dio neutrale per eccellenza, intervenisse per risolvere litigi create ad arte da Etere stesso in tutto l'universo. L'insolito e preoccupante intervento dell'Antico aveva distratto il Collezionista, l'obiettivo di Etere: bastò un momento di disattenzione e il fratello di Nyx rubò dal prezioso tesoro di oggetti curiosi e preziosi una piccola porzione di forza del Galaxy Cauldron. Con quella in suo possesso, avrebbe potuto farsi costruire dal Giardiniere una sorgente per incubare il piccolo frammento, farlo crescere ed ottenere un secondo Calderone generatore e distruttore di energie cosmiche.
    Nyx non conosceva il piano completo del fratello, ma era sicuramente una delle tante follie a cui si era abituata nei millenni in cui avevano vissuto insieme.
    Dopo lo scontro, cercammo e trovammo quel frammento. Gli Antichi lo stavano tuttora cercando, così come erano alla ricerca di Etere per punire la sua insolenza, ma mai si sarebbero immaginati che quell'oggetto fosse ora in mano nostra.
    A lungo discorremmo sul da farsi. L'intenzione della mia amata era di nasconderlo nel luogo più inaccessibile esistente, perché non venisse mai ritrovato e nessuno potesse pensare che fossimo coinvolti nel furto.
    Ma io ero di avviso diverso.
    Quello che avevamo in mano era una cellula embrionale che poteva generare un nuovo Galaxy Cauldron, perché non avremmo dovuto approfittarne? Con questa magnifica possibilità saremmo stati degli artefici, avremmo posseduto una potenza che ci avrebbe posto al di sopra di tutti gli Antichi, se lo avessimo desiderato.
    Il Calderone distruggeva ma soprattutto creava nuovi universi, e per quello scopo lo avremmo utilizzato noi. Per formare un nuovo universo in cui vivere o meglio, una nuova vita. Quella della mia Dea, ovviamente.
    Se avessimo avuto successo, dei milioni di universi che coesistevano da sempre, così come mi aveva insegnato Nyx, ne avremmo ottenuto solo uno, in cui quelli precedenti si sarebbero fusi con una casualità caotica, impossibile da prevedere. Ma in questo caos, ci saremmo arrogati la scelta su un solo elemento, il risultato più importante: una nuova esistenza per la donna che amavo.
    Mi volli occupare io di tutto: formai una sezioni scientifica che lavorasse esclusivamente su questo progetto, misi a capo di un team di menti brillanti che io stesso supervisionavo uno scienziato tra i migliori del mondo, il dottor Alistar Morgan.
    Misi a loro disposizione risorse infinite e il motivo di tanto impegno e segretezza venne motivato in questo modo: la possibilità di creare un mondo nuovo, dove i devianti sarebbero stati padroni assoluti di tutte le specie, senza più nemici interni o esterni a contrastarli.
    Era una mera scusa, ma fui convincente.
    Bastava solo trovare un contenitore umano, abbastanza forte da contenere ed espandere il nucleo di energia che avrebbe innestato il processo di creazione del nuovo Galax Cauldron.
    Faticai molto a convincere Nyx che un risultato così difficile da raggiungere sarebbe valso il rischio di perdere tutto quello che avevamo. Ma se anche si fosse trattato di una possibilità su un milione, io avrei fatto tutto quello che era necessario per ottenerla.
    Nulla era troppo ambizioso per salvarla. Nessun ostacolo mi intimoriva, neanche la ricerca complessa e difficile di trovare la Sorgente per permettere l'attivazione del Calderone.
    Nel nostro universo sembrava non esistere un essere con queste caratteristiche, troppi esperimenti erano falliti e avevo cominciato a odiare l'espressione sottomessa e sconfitta del dottor Morgan Senior quando mi comunicava che anche l'ultimo, ennesimo soggetto scelto non si era rivelato idoneo allo scopo. Nessuno tra i devianti più potenti che avevamo cercato e rastrellato su tutta la Terra era sopravvissuto all'innesto nel proprio organismo di una tale energia dirompente e devastante.
    Di questi e di altri aspetti delle ricerche che i nostri scienziati compivano, con precisione e determinazione nonostante le morti orribili che procuravano a questi soggetti, non ne facevo parola con Nyx.
    La volevo proteggere il più possibile, e per lei ero diventato un doppio scudo.
    Proteggevo la Dea, che sarebbe stata bandita e addirittura rovesciata dal suo piedistallo se la sua fragilità si fosse palesata. Il suo popolo si sarebbe diviso, frantumato, distrutto.
    Soprattutto proteggevo la donna che amavo, la sua parte umana, il corpo che doveva sopravvivere ad ogni costo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:27
     
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