Alternative Reality #1945: Eagle's Nest

Season 4

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    :Nike:
    Le operazioni nei Paesi Bassi erano procedute per il meglio, anche per via del ritrovamento di Bayek e Connor (oltre che l’incontro eccezionale anche con Vesta e Cerere) così come la carriera di alcuni di noi come Ezio che era stato promosso Maggiore Comandante del 2º Battaglione dopo un'operazione in cui avevamo annientato due intere Compagnie di SS con perdite minime.
    Con il proseguire della guerra e degli eventi la compagnia venne passata al Tenente Moose Heyliger, che portò a termine un'operazione di salvataggio di 140 Red Devils seppur sfortunatamente lo stesso venne ferito gravemente, per errore, da una sentinella perdendo in men che non si dica il comando della Easy, che passò ad un ufficiale di rimpiazzo: niente di me che il Tenete Haytham Kenway.
    Fu complesso accettare e comprendere il motivo della sua presenza, ed ancor più dalla nostra parte, ma non potemmo far altro che accettarlo ancor più perché a quanto pare in quella determinata ed assurda situazione eravamo tutti sulla stessa barca.












    :Altair:
    Passò qualche giorno prima che fummo costretti a ripartire in direzione delle Ardenne dove eravamo stati chiamati a proteggere il villaggio di Bastone.
    Fu lì che contro ogni aspettativa e speranza avevamo ritrovato Athena ed Aphrodite. Un balsamo per gli occhi miei e di Connor, ma anche per tutti i nostri compagni che non vedevano donne da mesi e men che meno così belle. Entrambe servivano come crocerossine e senza paura si erano occupate di chiunque ne avesse bisogno accudendolo e curarlo.
    Non immaginavamo che tale lieto rincontro nascondesse in sé tutto l’orrore di una delle pagine più oscura della storia. Eravamo in prima linea contro i tedeschi presso il villaggio belga di Bastogne ed affrontavamo il nemico con un equipaggiamento scarso: niente vestiario invernale, poche munizioni e pochissime medicine, oltre ad un organico ridotto.
    Nonostante questo la resistenza era costante da parte di tutti noi, che non riuscivamo nemmeno ad essere riforniti con lanci aerei perché la nebbia impediva la localizzazione corretta.
    A questo si aggiunse il fatto che i tedeschi, guidati da Leopold ed Ophelia, avevano sequestrato un battaglione medico costringendo Aphrodite ed Athena a fare da spola tra noi e l'ospedale di Bastogne.
    Dopo la morte di Lara nessuno di noi era pronto ad altre perdite così che quando Nike venne colpita, in modo assai grave, sentimmo tutti le forze e la speranza venir sempre meno.


    :Connor:
    Ormai credere e sperare in un ribaltamento degli eventi sembrava impossibile, svegliarsi ogni giorno con la speranza che tutto fosse solo un sogno appariva un miraggio irraggiungibile.
    Tuttavia, nonostante questo stato di totale disillusione, l’offensiva tedesca iniziò ad arretrare permettendoci di prendere la città belga di Foy.
    Tale successo, insieme a quelli delle battaglia delle Ardenne, ci concesse di stanziarci nella città di Haguenau, dove ritrovammo Partenope, e dove i più fortunati di noi, come me o Altair, poterono passare del tempo con le proprie moglie.
    Finalmente avevamo pasti caldi, abiti e un tetto sopra la testa, ma dentro di noi eravamo inevitabilmente cambiati, scioccati da quello che avevamo visto e vissuto. Lara era morta, Nike aveva perso un occhio e dopo ciò che avevamo vissuto portavamo dentro di noi una tristezza difficile da cancellare.













    :Bayek:
    Ormai il tempo delle grandi battaglie per la Compagnia era finito, e durante il ritiro dei tedeschi tutti noi ci ritrovammo con molto tempo per pensare, riflettere e goderci un po' di riposo. L’annuncio della morte di Hitler a Berlino ci comunicava come una sibilla nella notte che la guerra stava per finire e con questo tutti speravamo anche quell’incubo.
    Fu a fronte di quel momento che io e Toth decidemmo di lasciare la compagnia desiderosi di ritrovare Ares, Iuventas ed Horus mai incontrate durante la guerra.
    Ciò che non potevamo immaginare era che mentre io ci avviavamo a raggiungere il Nido dell’Aquila, il resto del gioco alle nostre spalle si dissolveva, così come i nostri compagni.
    Era rimasta una sola campagna da giocare e poche pedine sulla scacchiera: io, Toth, Ares, Horus, Iuventas e Shay.
     
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    :Thot:
    Dopo anni di addestramento, battaglie sanguinose, orrori indicibili, non potevo immaginare che la parte più difficile doveva ancora arrivare. Questa dannata galleria era infinita, nonostante non fosse poi così stretta percepivo comunque la sgradevole – per non dire terribile – sensazione che a ogni passo si avvicinasse sempre di più. E, a breve, mi avrebbe di certo schiacciato sotto le sue pareti di granito. Respirai profondamente, mentre stille di sudore gelido imperlavano la mia fronte e crollavano lunga la spina dorsale. Bayek mi gettò un’occhiata preoccupata, ma io feci finta di non notarlo. Non potevo cedere proprio ora, a un passo dalla fine di questa dannata partita. Mancava solo una battaglia all’appello, e anche se non l’avremmo combattuta tra cannoni e mitragliatrici, tra proiettili e fango, sarebbe stata comunque quella decisiva. Ne eravamo certi.
    Eravamo giunti a questa conclusione unendo i famosi puntini di un disegno che si era delineato solo alla fine di una guerra infinita, con la consapevolezza che avevamo fatto tutti parte di un “gioco”. Coloro che stavamo cercando erano pian piano comparsi all’orizzonte: le Guerriere compagne di alcuni Assassini; le Guerriere più giovani che mai mi sarei atteso di vedere in questo assurdo incubo; addirittura il Gran Maestro dei Templari Haytham Kenway… che avevo conosciuto solo di fama, attraverso le parole dell’Imperatrice, ma che aveva destabilizzato tutti con la sua presenza, ritrovandosi a combattere dalla stessa parte dei suoi nemici giurati. Non c’era spiegazione a tutto ciò, ma si erano evidenziate così “le grandi assenti” nel nostro schieramento: Ares e… sicuramente la piccola Iuventas, se ipotizzavamo che Selene e Pandia avessero mantenuto un ruolo più alto in questa follia.
    Hitler era morto, Berlino era caduta. Non restava che prendere il Nido dell’Aquila, una delle residenze del Fuhrer, che di certo nella partita, aveva rivestito un ruolo fondamentale, anche se noi lo scoprivamo troppo tardi. Gli Assassini erano certi che fosse la destinazione finale, anche per il fatto che l’aquila era uno dei simboli della Confraternita, che fosse questo l’indizio più evidente?
    Avevamo quindi deciso di muoverci e andare a verificare! Ares e Iuventas probabilmente non avevano corso pericoli in questi anni, ma adesso che il gioco era ormai al suo epilogo, cosa avevano in mente i “giocatori” per loro?
    Ed eccoci qui, a percorrere una strada di appena qualche chilometro ma talmente ripida che era pressoché impossibile mantenere eretta la schiena. Per non parlare poi delle continue gallerie che ci scortavano sempre più su, come se volessero rendere più difficoltosa la nostra scalata, la mia di sicuro. Riuscimmo a superare l’ultimo tratto di salita – dopo aver neutralizzato le uniche due guardie presenti – grazie a un ascensore talmente lussuoso che mi fece sentire ancora più a disagio. Nonostante fossi avvezzo a ben più sfarzosi arredamenti, mi ritrovai a rabbrividire nel pensare che questo luogo aveva ospitato uno degli uomini più malvagi del pianeta Terra e che per certo aveva anche trasportato Ares e Iuventas fin sulla cima. Per tutto il “viaggio” me ne stetti con le spalle contro uno dei tanti specchi e gli occhi serrati, era meglio così senza alcun dubbio.
    Arrivati al limitare del grande spiazzo antistante il rifugio, la situazione invece di migliorare, peggiorò. Eravamo a quasi duemila metri di altezza, l’aria assomigliava a schegge di vetro che dilaniavano la gola fino ad arrivare ai polmoni, già in difficoltà a causa della maledetta claustrofobia.
    Misi le mani sulle ginocchia e iniziai a rantolare.
    “Generale, respira a fondo. Prendi aria, senza fretta…” Bayek di Siwa non disse altro e io gliene fui grato. Mi sentivo un idiota, ma fin dal sogno di Pandia avevo iniziato a fare i conti con questa mia debolezza… e non ero affatto abituato ad essere debole. Senza i miei poteri, però, era tutto molto, molto più difficile.
    “Non abbiamo… tempo… Ares e Iuventas potrebbero… essere nei guai…” risposi con affanno. Poi raddrizzai la schiena e fissai il cielo scuro. Era l’imbrunire, una fioca illuminazione circondava il caseggiato che mi parve più lugubre di quanto avessi immaginato. Eravamo ancora ben nascosti ad occhi di eventuali sentinelle, ma dovevamo entrare in azione il prima possibile e chiudere così questa dannata partita.
    “D’accordo, allora dividiamoci. Controlliamo il perimetro, almeno fino a dove inizia il dirupo e ci ritroviamo qui per fare il punto della situazione. Ci devono essere sicuramente soldati di guardia, ma ormai la guerra è finita e con ogni probabilità anche la loro dedizione alla causa si sarà infiacchita! Procediamo!”
    Annuii con decisione, stringendo i denti fino a far scricchiolare la mascella. Dovevo tenere duro, eravamo rimasti l’unica speranza delle persone che ci stavano più a cuore. Le mie due sorelline dovevano tornare a casa sane e salve, questa partita aveva chiesto fin troppi sacrifici e non ce ne sarebbero stati altri.
    […]
    Neutralizzammo le poche guardie rimaste a presidio della struttura e riuscimmo a infiltrarci senza troppe difficoltà. Tenevo a bada la difficoltà a respirare, concentrandomi sullo scopo della missione. Ares e Iuventas erano la mia unica priorità. Di certo avremmo trovato Deviati a sbarrarci la strada, ma questo non ci avrebbe fermato. Come noi, anche loro si ritrovavano sprovvisti delle loro abilità speciali e quindi avremmo combattuto ad armi pari. Questa era una magra consolazione, ma ce la saremmo fatta bastare.
    Ci muovevamo con passi lenti e felpati, le nostre divise avevano visto giorni migliori ma il fucile che imbracciavamo era ben oliato e pronto all’uso. Entrammo in diverse stanze ma erano tutte stranamente vuote e silenziose… qualcosa non quadrava!
    “Dovremmo capire se ci sono cantine o sotterranei? Se sono tenute prigioniere forse avremmo maggiori possibilità di…” Non riuscii però a terminare la frase, perché udimmo dietro di noi dei passi veloci ma leggeri. Ci voltammo all’unisono e scorsi una figura minuta, coperta interamente di un mantello color dell’oro. Per un attimo fui abbagliato e un senso di déjà-vu mi colpì prepotente. Ma ritornai subito alla realtà. Bayek ed io sguainammo le nostre baionette, pronti a difenderci… anche se la nuova venuta – era ormai chiaro dalle sembianze che fosse una donna – non pareva avere intenzioni ostili. Ciò che vidi quando il cappuccio venne tirato via, però, superò ogni ipotesi che la mia fervida immaginazione avrebbe potuto produrre.
    “Horus?” mormorai appena, non per non farmi sentire da eventuali nemici, ma perché l’aria era di nuovo e all’improvviso – e questa volta per motivi diversi! – venuta a mancare!
     
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    :Ares:
    Tre anni in compagnia di Shay Cormac era molto più di quanto avrei mai creduto di poter sopportare, accettare ed affrontare eppure più stavo lì alla mercé di un uomo che non aveva più nulla di ciò di cui un tempo mi ero innamorata e più qualsiasi sentimento avessi sviluppato nei confronti di Bayek si fece ben più certo. Ben più solido.
    Il Nido dell'Aquila era una meraviglioso chalet di montagna situato a un'altitudine di 1.820 metri, a soli tre chilometri dal paese di Berchtesgaden, e posto ai confini con l'Austria. Il luogo era raggiungibile mediante la Kehlsteinstraße, una strada lunga 6,5 km ad un solo tornante che, in tutto quel tempo non avevo mai visto.
    Mai e dico mai avevo abbandonato il rifugio seppur più e più volte ci avevo provato, ribellandomi a quella follia che non comprendevo, ma ogni mio tentativo morì quando scoprì che ognuno di esso rappresentava una punizione per persone che, consideravo importanti: Iuventas ed Horus.
    Tremavo all'idea di cosa potessero patire e così venuta a patti con la mia impotenza, dovuta dalla mancanza di poteri, alla fine cedetti. Certo con le mie conoscenze di battaglia poteri o meno avrei potuto mettere insieme un piano e ribellarmi a tutto ciò, ma il mio senso di protezione ebbe la meglio.
    Così facendo potei tenerle vicine, potei proteggerle mentre Shay si divertiva ad agghindarle e sfruttarle come mie dame di compagnia, mentre la sottoscritta si era trasformata nella principessa della torre.
    Ogni giorno quel luogo era una festa, era un momento di rilassamento, svago o divertimento, seppur per me non lo era stato nemmeno un momento. Giocare alla fidanzatina perfetta non era nelle mie corde tanto meno assecondare le perverse fantasie di Shay di fingerci una coppia, ma lo feci ogni giorno maturando dentro di me un istinto che non avevo mai avuto così forte nei suoi confronti: quello di ucciderlo.
    Forse c'era ancora qualcosa che mi legava a lui, il ricordo di un emozione, di un sentimento, ma più il tempo passava e più nulla rimaneva dell'uomo di cui mi ero innamorata. Il ricordo era scemato e davanti agli occhi mi era rimasta solo la truce verità del mostro che era diventato.
    La morte di Hitler fu una liberazione, finalmente quel luogo iniziò a divenire una fortezza sempre meno sicura, anche se questo al contempo stava facendo uscire di senno Shay che si sentiva sempre più messo alle strette.
    “Ne sei certa?” mi chiese Horus che mi stava aiutando a chiudere l'abito da sposa che indossavo. Di fronte allo specchio assentì. Iuventas al mio fianco mi passò il velo.
    "Shay ora non pensa ad altro... vuole sposarmi prima della fine del tutto... sarà distratto... appena uscirò da questa stanza per raggiungerlo poi andate via!" dissi con voce ferma.
    "Distrarrò le due guardie qui fuori... avrete pochi secondi..."
    “E poi? Dove andremo? Non abbiamo conosciuto altro luogo che questo da quando siamo qui!”
    Sospirai voltandomi verso di loro e stringendo forte le loro mani.
    "Ovunque. Voglio credere che non siamo qui solo per un capriccio di Shay, non credo possa mai essere in grado di creare tutto questo... quindi deve esserci qualcun'altro!" esclamai prima di lanciare uno sguardo alla porta e poi dalla scrivania della lussuosa camera da letto tirar fuori dal primo cassetto due piccoli pugnali.
    "Li ho rubati a Shay. Usateli. Sarete umane, ma siete ancora delle Guerriere... di Marte per di più! Fatevi strada e scappate!"
    Iuventas aveva il broncio e scuoteva il capo, mentre Horus l'abbracciava preoccupata a sua volta. Io avrei voluto dire qualcosa, ma il battere sulla porta mi fece capire che il tempo era finito.
    Mi avvicinai a mia sorella ed Horus e non ci fu tempo e necessità di parlare perchè tutte ci eravamo già abbracciate forte. Avevamo le lacrime agli occhi, ma il nostro orgoglio marziano ci stava spingendo a nasconderle.
    "Aspettate il segnale... e poi a corridoio libero andate!" dissi pronta per allontanarmi, se non fosse che Iuventas mi bloccò e mi bracciò un'ultima volta.
    “Non ti abbandoniamo sorellona... ti tireremo fuori!” mi assicurò con fermezza, mentre piegando il viso da un lato le sorrisi e lanciai un'occhiata ad Horus certa che si sarebbero prese cura l'una dell'altra come avevano fatto fino a quel momento.
    Ma il tempo era finito. Sospirai. Voltai le spalle loro ed abbassandomi il velo di fronte al viso mi incamminai come un condannato faceva verso il patibolo. Shay poteva togliermi tutto, ma mai mi avrebbe tolto la mia dignità!
     
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    Strinsi forte il piccolo pugnale che avevo ricevuto da Ares, nascondendolo tra le pieghe del prezioso abito che indossavo. Un abito che qualcuno aveva scelto per me, che si intonava con il colore della mia pelle, con una profonda scollatura e la gonna lunga. Apparivo una donna elegante, bella e ammirata, ma tutto era solo una menzogna; una falsità, come il lusso che mi circondava.
    Non era una scelta nostra la condizione che stavamo vivendo, ed era un eufemismo parlare di gabbia dorata. Non erano stati anni di agi e divertimenti in cui poter soffocare il pensiero di essere prigioniere di un mostro, per Ares, Iuventas e me.
    Ares aveva cercato in ogni modo di conquistare quello che volevamo anche noi, aveva provato a liberarsi dalle catene invisibili in cui si era trovata costretta. Ma, ad ogni minimo atto di ribellione, la punizione ricadeva su noi due, che agli occhi di Cormac avevamo un'importanza minima, se non inesistente.
    Per quale motivo ci maltrattava? Voleva piegare le nostre volontà, cosicché fossimo delle bambole docili al suo controllo. Noi ragazze servivamo solo come arma di ricatto per Ares: se lei non fosse stata ubbidiente, noi avremmo sofferto.
    Non do certo la colpa a lei, per i giorni passati rinchiusa al buio, senza cibo, oppure per le percosse ricevute fino a svenire dal dolore. Iuventas e io la esortavamo a non cedere ai soprusi, a non piegarsi davanti alle ingiustizie. Era nel nostro retaggio dimostrare la forza e il coraggio in battaglia, e di uno scontro si trattava appunto: a lungo gli opponemmo resistenza, fiere, senza mai un lamento o un atto di debolezza. Le punizioni divennero via via più crudeli, fino a stremare i nostri corpi: Ares avrebbe assistito alla nostra morte, se non avesse accettato i desideri del nostro aguzzino.
    Le dichiarava amore, ma il suo sentimento era un'ossessione malata. Non si poteva nobilitare in alcuna maniera la sua volontà, che era solo quella di piegare un altra persona al suo volere, per un senso di rivincita inutile e sadico.
    L'amore era ben altro. Era qualcosa che ti elevava anche quando soffrivi, che rappresentava un faro sicuro in un cielo in tempesta. La sapevo bene io, che mi aggrappavo ormai solo a quello, per riuscire a resistere. La speranza che qualcuno ci salvasse si era ormai esaurita, così come quella che Cormac ci lasciasse libere.
    Così, solo l'amore per mia madre, per le mie sorelle, per Iuventas riusciva a fornirmi ancora la capacità di non mollare. L'amore, e l'orgoglio di essere una guerriera, la compagna di Iuventas, che dovevo proteggere e aiutare quando si trovava in difficoltà. E allora perché, se dovevo essere la voce della sua saggezza, l'alleata su cui contare, io per prima ero così stupida?
    Perché anche quando ero ad un passo dalla morte, il mio unico rammarico era quello di non poter rivedere il suo viso? Ero assennata con gli altri, prodiga di ottimi consigli, che però su di me non avevano alcuna presa. Quante volte mi ero ripetuta che i miei più dolci desideri non erano realizzabili? Avrei dovuto ripugnare il mio cuore, per non essere io, a mia volta, scacciata dalla mia comunità, dalla mia famiglia. Il popolo degli Alati può accoppiarsi solo tra di loro, e massimo disonore viene attribuito a chi non si conforma a questa regola.
    Ecco cosa ero io: una persona colma di buonsenso che lo distribuisce solo perché lei non se ne fa niente. Lo avevo aspettato, sognato ogni notte, ma questa era la realtà: io non ero una principessa minacciata da un drago, e Thot non era il mio salvatore.
    Scossi la testa, per concentrarmi sul da farsi. Pur avendo vissuto molto tempo in questo posto chiamato Nido dell'Aquila, non avevamo mai avuto la libertà di esplorare altro che non fossero le poche stanze – camere da letto, salone, biblioteca, magazzini/prigioni – in cui eravamo recluse. Oltre un certo punto del corridoio, non avevamo mai potuto spingerci, dato che erano presenti in ogni momento dei soldati di guardia. Ma ora, nella quiete irreale e minacciosa che era scesa da qualche giorno, dopo la notizia della morte del Führer, trovavamo finalmente la strada libera, senza ostacoli tra noi e la fuga. Ma non era quello a cui pensavamo.
    Ares si era davvero convinta che ce ne saremmo andate senza di lei?
    ”Ci saranno bene delle armi da qualche parte, no? Io provo ad esplorare i sotterranei, mentre tu attraversa il piazzale e cerca nella baracca che usano come magazzino. Poi, torniamo qui con quello che troviamo. Quella testona di mia sorella ha bisogno di noi, anche se non lo confesserebbe manco in sogno!”
    Iuventas mi diede una lieve spinta per prevenire le mie proteste sul dividerci, così mi diressi verso il corridoio che portava all'uscita. Camminavo veloce, il battito furioso del cuore era come un tamburo che mi invitava alla fretta, ma non alla prudenza. E infatti, finii quasi addosso a due soldati di cui non avevo notato la presenza. Soldati perché armati, ma totalmente diversi dai nazisti!
    Mi puntarono subito i fucili contro, sicuramente i loro nervi erano tesi quanto i miei, ma la paura di essere uccisa da quelli che potevano essere i nostri salvatori non mi sfiorò un secondo perché... per un istante, temetti che i miei occhi mi ingannassero.
    Avevo immaginato tante volte questo momento! Thot era davanti a me, trasformato da esperienze che lo avevano segnato, coglievo questo e tanto altro nel viso amato ma l'unico pensiero che invase la mia mente era che stavo assistendo a un miracolo! Abbassai il cappuccio e poi, spinta da un bisogno irresistibile, corsi verso di lui. Mesi e mesi di sofferenze, di lacrime, di preghiere si dissolvevano nei pochi passi che ci separavano. Lo abbracciai senza esitazione, nascondendo il viso nella sua spalla. In quel momento mi sentii completa, invincibile, potente. Nulla mi sfiorava, perché avevo tutto ciò che desideravo. Riaprii gli occhi e, da sopra la sua spalla, notai lo sguardo divertito di Bayek. Lo riconobbi solo in quell'esatto momento e, contemporaneamente, mi resi davvero conto di quello che avevo fatto.
    Mi staccai da Thot, con gesti goffi e nervosi. Ero stata troppo presa da me stessa da non pensare che quello che provavo fosse solo mio. Mi ero resa ridicola e vulnerabile. Avrei riflettuto dopo su tutto questo, quando il rumore del mio cuore che si spezzava fosse stato udibile solo da me. Ora, se avessi fatto finta di niente forse l'errore mi sarebbe stato perdonato.
    Inoltre, avevamo davvero qualcosa di urgente a cui pensare. Parlai con decisione fissando, per sicurezza, Bayek: ”Siete arrivati appena in tempo! La baita è ormai sguarnita di ogni guardia, ma in questo momento Ares e Cormac sono chiusi nel salone principale e... dovete intervenire per fermarlo! Non so quello che ha in mente di fare, ma quell'uomo è pericoloso!”
    Li presi entrambi per mano, cercando di non pensare che stavo stringendo anche la sua, e mi diressi, correndo, verso il punto in cui avevo lasciato Iuventas, sicura che lei sarebbe stata già lì.
     
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    Era arrivata la resa dei conti. Me lo sentivo. Ne ero certo.
    La notizia della morte del Führer aveva rappresentato il famoso “giro di boa”, la celeberrima “linea del non ritorno”, il famigerato “adesso o mai più”. Ed io non avevo più carte da giocare, le avevo messe tutte sul tavolo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Tutte tranne una.
    La guerra era finita, gli anni erano volati, ma io ero ancora qui, prigioniero di questo assurdo incubo forse più delle reali prigioniere che “mi avevano fatto compagnia” per tutto il tempo.
    Della Grande Madre nessuna traccia, dai Devianti neppure un cenno. Dall’ultima conversazione avuta con Nyx nessuno di loro aveva avuto la decenza di portarmi notizie su come il Progetto procedeva, sui miei eventuali compiti come Sorgente, su come il gioco si era dipanato. Niente di niente. E dopo il primo anno di silenzio avevo cominciato a capire che così sarebbe stato fino alla fine… alla mia fine.
    Così avevo iniziato a sfidarli! Mi ero arrogato il diritto di muovere le pedine altrui a mio piacimento, avevo coercizzato, torturato, insultato, deriso. Avevo toccato definitivamente il fondo dell’abisso di autodistruzione in cui ero caduto e da cui non ero riuscito a riemergere.
    Si dice che quando si raschia il fondo del baratro è positivo, perché non si può che risalire. Ma io era la testimonianza lampante che era tutta una cazzata. Molti avrebbero potuto dirmi che non ci avevo provato abbastanza ed io non avrei saputo cosa ribattere… perché? Perché avevano dannatamente ragione.
    Stavo distruggendo anche l’unico barlume di luce che aveva sfiorato la mia esistenza. Ares. La Guerriera che avevo creduto di poter amare, salvo poi rendermi conto che non sarei mai stato in grado di farlo. Né lei avrebbe mai potuto amare un essere come me. Non si può amare il buio eterno, la tenebra più profonda, la nebbia soffocante. Prima o poi, annaspando, si cerca di ritornare alla luce. E quello non era un posto per me.
    Perciò avevo usato Ares come pedina principale, Iuventas e Horus come pedine secondarie. Avevo tentato di sconvolgere eventuali strategie dei “piani alti”, che fossero di Nyx o di Selene poco importava, volevo solo uscire da lì! Volevo tornare al mio buio, alla mia tenebra, alla mia nebbia, lontano da tutti coloro che avevano tentato di manipolarmi e dagli stessi che avevano tentato di salvarmi, benché potessi contarli sulle dita di una sola mano.
    Ero stato diabolico, avevo torturato Ares e le sue fedelissime, ma per quanto avessi voluto far credere il contrario non ero ossessionato da lei, non l’amavo – come può un corvo amare un’aquila reale? –, non la disprezzavo davvero. Ma mi era tornato utile, mi avevano odiato – sai quale novità! – ma si erano sottomesse. E io avevo bisogno che così fossero: ubbidienti e solerti.
    Tuttavia, come dicevo prima, i giochi erano giunti a termine e io non avevo scoperto nulla di più di quanto sapevo prima di rifugiarmi al Nido dell’Aquila. Anzi no, non era corretto, adesso sapevo con certezza che ero stato l’ennesimo burattino e presto i fili che mi tenevano dritto sarebbero stati recisi.
    Non mi restava che un’ultima mossa: costringere Ares a sposarmi, se avesse rifiutato la pena sarebbe stata la morte di Iuventas e Horus.
    Al contrario di quanto tutte loro erano convinte, sapevo bene che non avrebbe mai accettato senza lottare. Ares si sarebbe ribellata, avrebbe escogitato qualsiasi cosa pur di fermarmi, approfittando della carenza di guardie, ed io era di questo che avevo bisogno: innescare una miccia, affrettare il culmine, mandare all’aria il gioco dei Burattinai. Non avevo idea se avrebbe funzionato, forse anche questo era previsto fin dall’inizio, la mia richiesta era stata accolta per costruirci su le mosse successive. Non avevo nessuna certezza, se non ciò che sentivo… ed io di tradimenti me ne intendevo.
    Era arrivato il mio turno di cadere in trappola, ma non intendevo mollare. Se c’era qualcosa che odiavo più di me stesso era lasciare che altri decidessero il mio destino.
    Ero un bastardo, un cinico, un calcolatore, un assassino e sarei morto un giorno con i fantasmi e le punizioni che meritavo a farmi compagnia sul lastricato di carboni ardenti; ciò nonostante non avrei mai permesso a nessuno di mandarmi all’altro mondo per i loro scopi! Non senza sfoderare gli artigli… e i miei avevo avuto molto tempo per affilarli a dovere.
    Un leggero rintocco contro il portone massiccio della sala principale mi fece ritornare alla realtà. Lisciai con le mani la giacca scura del pregiato smoking che indossavo, aggiustando subito dopo i gemelli d’oro allacciati ai polsini della camicia di seta, anch’essa nera come la notte. Sorrisi al mio riflesso distorto rimandato indietro dal marmo rosso che rivestiva il grande camino. Dovevo essere uno sposo perfetto! Tuttavia le fiamme scoppiettanti attirarono subito la mia attenzione. Stavo per incontrare la dea del fuoco, poco importava se in questa realtà non aveva i suoi poteri, sapevo molto bene di cosa era capace e lo avrei sfruttato fino a raggiungere il mio scopo!
    “Entra, mia cara, sei in perfetto orario per l’inizio della festa!” dissi a voce alta, invitando Ares ad entrare nel salone. E avevo ragione. Era il momento di entrare in azione e poi avrei atteso la contromossa del mio avversario, nella speranza che avrebbe deciso di combattere finalmente a carte scoperte.
     
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    Il freddo era pungente, entrava nelle ossa, martoriava i sensi e la volontà. La stanza era minuscola, una cella oscura e maleodorante, ed io… rannicchiata con le ginocchia al petto ero in attesa. La paura mi invadeva fremente, fino a che non udii il suono che più mi terrorizzava: squittii. Stavano arrivando ed io non avevo nulla con cui allontanarli, ero a mani nude e con le vesti stracciate. Nessun piano sopraelevato dove ripararmi. Eccoli, sempre più vicini. Il respiro era affannoso, ero disperata, non potevo sopportare di nuovo quel dolore così intenso e acuto da farmi impazzire. Il mio corpo ne portava i segni, sulle gambe sulle braccia, sulle mani… erano troppi… non di nuovo, no… Non potei fare altro che affondare il viso tra le ginocchia per proteggerlo e con le mani mi coprii le orecchie. Un urlo impietoso mi sconquassò il petto, non aveva nulla di umano.

    Mi svegliai urlando e rantolando nel buio. Madida di sudore mi guardai intorno atterrita. Era solo un incubo, per fortuna non vi era nulla di reale, non quella volta! Era parecchio tempo ormai che non venivo rinchiusa nelle segrete di quel luogo che assomigliava sempre più ad una fortezza. Giusto da quando Ares aveva deciso di non contrastare più il volere di Cormac. Insieme ad Horus eravamo il suo punto debole e lui ci usava come armi di ricatto. Ad ogni rifiuto di mia sorella, quel pazzo si rivaleva su di noi facendoci patire le torture più atroci. Una di queste era proprio rinchiuderci in una delle celle dei sotterranei e liberare una marea di topi disgustosi e affamati. Non avrei mai potuto dimenticare quei momenti. Il mio corpo ebbe un tremito tanto forte da scombussolarmi. Altre volte ci faceva picchiare e ci lasciava senza cibo né acqua. Dopo vari tentativi allora, Ares dovette arrendersi al nostro aguzzino, anche se solo in apparenza, ero certa che la sua ferrea volontà, nel suo io più profondo, non aveva mai vacillato ed era sempre in cerca dell’occasione giusta per poterci salvare tutte dalla follia di Cormac e da tutti i soprusi ai quali ci sottoponeva.
    Da tre anni eravamo rinchiuse nel Nido dell’Aquila e solo nell’ultimo periodo, da quando quel pazzo scriteriato di Hitler era morto, avevamo potuto tirare un sospiro di sollievo, almeno per la stretta sorveglianza che ci teneva costantemente sotto osservazione. Le guardie si erano dimezzate e noi avevamo più libertà di movimento. Il problema principale però era che Shay Cormac appariva sempre più nervoso e impetuoso. Forse anche lui intuiva che le cose erano diverse, che quel vento di cambiamento stava per intaccare la sua vita così come se l’era creata fino ad allora, rischiando di scardinarla fin dalle fondamenta.
    […]
    Abbracciai con forza mia sorella, io e Horus l’avevamo aiutata a indossare un abito da sposa. Quanto sarebbe stato bello poterlo fare in altre circostanze, ben più liete, invece avevo la morte nel cuore. Vederla agghindata per qualcuno che non amava e in stato di schiavitù mi faceva ribollire il sangue. Nel mentre ci aveva istruite su come fuggire da lì, lei avrebbe tenuto occupato Shay e noi avremmo dovuto trovare una via di fuga. Non l’avremmo abbandonata alla sua mercé. Ero certa che avremmo trovato una soluzione in un modo o nell’altro.
    “Non ti abbandoniamo sorellona... ti tireremo fuori!” le dissi con una convinzione che mi usciva direttamente dal cuore e pregna dell’affetto che provavo per lei.
    Armate, anche se di una semplice lama, io e la mia fidata compagna alata ci incamminammo per poter trovare degli equipaggiamenti migliori e poi cercare una via d’uscita. Solo dopo avremmo potuto salvare anche mia sorella.
    “Ci saranno pure delle armi da qualche parte, no? Io provo ad esplorare i sotterranei, mentre tu attraversa il piazzale e cerca nella baracca che usano come magazzino. Poi, torniamo qui con quello che troviamo. Quella testona di mia sorella ha bisogno di noi, anche se non lo confesserebbe manco in sogno!” dissi, convinta di poter essere d’aiuto. Forse tutti mi consideravano una ragazzina un po’ scalmanata e indisciplinata, ma ero pur sempre una Guerriera e in quel preciso istante nessuno mi avrebbe ostacolato. Nessuno!
    Mi ritrovai nei sotterranei della struttura. Da dove era venuto fuori tutto il mio coraggio? Mi ero offerta volontaria per andare a cercare delle armi proprio nel posto che odiavo di più. Mi maledì per la mia debolezza e scossi il capo per scrollarmi di dosso anche la terribile sensazione di ribrezzo che ne derivò. Per fortuna non vi erano topi in vista, nonostante l’umidità della fredda pietra mi entrasse nelle ossa. Anche se contro ogni mia volontà, avevo avuto modo di frequentare le cantine e durante uno dei miei “soggiorni”, mentre i soldati mi “scortavano” nella cella, credevo di aver intravisto una camera piena zeppa di armi.
    Tentai di riportare alla mente il tragitto esatto per raggiungerla, sperando di non aver preso un abbaglio… e così non fu, la mia memoria non aveva fagliato. Mi mossi con estrema cautela, sperai con tutta me stessa di non dover ingaggiare battaglia con qualche soldato di guardia. Armata di un semplice pugnale non sarebbe stato semplice. Ah, quanto mi mancavano i miei poteri! Ma in quella strana dimensione in cui eravamo state catapultate, non eravamo altro che semplici umane. Urlai dentro di me per la frustrazione.
    L’armeria era deserta, nessuno a vigilarla. Entrai di soppiatto, sorprendendomi che la porta fosse aperta. Evidentemente, i militari del Reich avevano perso ogni motivazione e attenzione e a nessuno era venuto in mente che delle “dolci donzelle”, come tutti ci vedevano, potessero “correre agli armamenti”.
    Presi tutto ciò che potei. In una sacca inserii delle palle di metallo, dovevano essere granate, e altro materiale esplosivo, pugnali dalle lame seghettate nei rispettivi foderi e molta altra roba di cui non sapevo nemmeno il nome. Poi due fucili con rispettive munizioni, uno per me e uno per Horus. Non avevo idea di come si utilizzassero, ma se quello era il tempo, l’avrei imparato e anche in fretta. Nel dubbio che i proiettili non fossero sufficienti, ne presi degli altri. Non si poteva mai sapere. Ci stavo mettendo troppo, dovevo tornare al punto di incontro con Horus e dovevo farlo il più silenziosamente possibile, perché di sicuro, con tutto il materiale che trasportavo, ben più pesante anche di me, sarebbe stato difficile neutralizzare possibili nemici. Imbracciai un fucile e il secondo lo misi su una spalla, mentre sull’altra adagiavo la sacca che avevo riempito fino all’orlo.
    […]
    Con grande fatica e barcollando avevo raggiunto il punto di ritrovo. Horus non era ancora arrivata, ma non dovetti attendere molto. In lontananza, nel lungo corridoio scorsi tre figure che si affrettavano nella mia direzione. Riconobbi senza dubbio il mantello dorato e sfolgorante della mia cara amica. Ma gli altri due? Erano soldati… mi misi subito in all’erta. “Che l’abbiano catturata” pensai, ma man mano che si avvicinavano mi avvidi che la divisa che indossavano non era dei tedeschi, era diversa. Ad un tratto sentì il cuore scoppiare nel petto e un moto di gioia pervadermi fin dentro le ossa. Feci uno scatto in avanti, ma un enorme peso mi trattenne sul posto. Non mi ero resa conto di avere ancora indosso l’armamento che avevo trasportato. Allora, senza nemmeno pensarci su, mi scrollai tutto di dosso, producendo un tonfo non indifferente, ma non mi importava di nulla, in quel momento avrebbero potuto anche assediarci. Adesso leggera come l’aria, volai in direzione del mio caro “istruttore”, era lui, era proprio lui!
    Incurante dell’abito lungo che indossavo, mi avvolsi a lui, intrecciando anche le gambe ai suoi fianchi e udii uno strappo che lacerò ulteriormente il corto spacco già presente nella parte laterale del vestito. Sembravo una piccola scimmietta ancorata ad un ramo che non avrebbe mollato facilmente.
    “Oddio, sei qui!! Sei proprio tu! Ma come hai fatto a trovarci, ma come hai fatto ad arrivare qui… ma come…!” Mi resi conto solo allora di star stritolando il povero Thot, che preso alla sprovvista, aveva appena fatto in tempo a sostenere il peso del mio corpo lanciato a velocità supersonica.
    “Sono felice di constatare che neppure la guerra ti ha resa meno logorroica!” mi apostrofò con voce emozionata a dispetto delle parole pronunciate.
    Mentre lo liberavo dalla mia presa, notai che il terzo venuto era Bayek, che mi guardava a braccia conserte e uno sguardo dolcemente canzonatorio.
    “Ma è possibile che tutti gli abbracci tocchino a lui?” disse imbronciato, riferendosi senza dubbio al mio istruttore. “E io cosa sarei venuto a fare qui?” Non compresi bene le sue parole, ma al solo vederlo, fu come se un moto invisibile mi spingesse verso di lui, lo abbracciai forte in vita e appoggiai il mio capo appena sotto al suo petto. Era un gigante in confronto a me. Mi feci prendere dalla nostalgia e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Lui ricambiò il mio abbraccio.
    “Sapevo che saresti arrivato prima o poi… sapevo che non avresti mai abbandonato mia sorella, che non ci avresti mai abbandonate…” I singhiozzi tentavano di venir fuori ma li domai con forza. Con gli occhi ancora lucidi, alzai il volto per guardarlo. “Grazie per essere qui…” mi voltai anche verso Thot, tenendo ancora stretto il fianco di Bayek, come se potesse sparire da un momento all’altro. “Ci siete mancati”. E un sorriso malizioso si unì alla malinconia… “A tutte quante noi…” conclusi guardando la mia cara amica Horus che intanto stava per svenire dall’imbarazzo e la sua pelle scura non riusciva a nascondere il rossore delle sue guance.
     
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    Quel ritrovarci era stata per me una bocca d'aria fresca, la consapevolezza che ci fosse ancora speranza. La verità è che quello che lungo ero andato cercando in tutta la mia vita era stata la certezza che nulla era davvero perso anche quando tutto ci faceva credere il contrario.
    Guardare Iuventas ed abbracciarla mi commosse perchè nei suoi occhi così vispi e sinceri ritrovavo la stessa vitalità che un tempo scorreva in Khemu, il mio piccolo Guerriero. Il primo che mi aveva spinto ad accettare la proposta di Osiride di tornare come se fosse certo che così facendo avrei finalmente trovato ciò che avevo sempre inseguito: una famiglia.
    Il dolore per il rifiuto di Aya di proseguire insieme come Occulti tanto come una famiglia era qualcosa che non avevo mai davvero superato. Avevo sofferto per quella sua scelta una che paradossalmente però l'aveva fatta passare alla storia, mentre il mio nome si era perso nelle pieghe della storia. Ma ora intorno a me avevo la certezza che ciò in cui avevo sempre creduto non fosse una vana speranza.
    Avevo ritrovato l'amore in Ares, una donna coraggiosa e combattente che non credeva che amore facesse rima con mancanza di responsabilità, avevo stretto un rapporto con Toth pari a quello di due fratelli d'armi quanto di sangue, avevo ritrovato in Iuventas la forza della luce nell'oscurità tipica di Khemu ed in Horus la pazienza ed il supporto di Senu. Avevo trovato la mia famiglia.
    Fu così che mi misi un pugno sul cuore e chiudendo gli occhi ringraziai silenziosamente Khemu che sorridente mi esortava a proseguire, a mettere la parola fine a quell'incubo con la sicurezza che un nuovo mondo mi aspettava. Uno che avrebbe accolto me i miei amici.
    Riaprì gli occhi e li fissai sui compagni accanto a me, insieme decidemmo come agire. Un solo attacco frontale. Compatto. Un solo obbiettivo: Shay.

    “Arrenditi alla forza oscura!”
    “Mai!”
    Fu tutto ciò che udimmo da Shay ed Ares, che uno di fronte all'altro stavano procedendo allo scambio delle fedi. Cormac stava proprio mettendo in quel momento la sua al dito di Ares quando il lancio preciso del pugnale, da parte di Iuventas, fermò la mano dell'uomo, mentre Horus e Toth gli si scagliarono contro senza paura seppur vennero immediatamente respinti e lanciati all'indietro con un suo solo gesto.
    Io intanto ero già corso verso Ares e prendendola per la vita l'avevo allontanata per poi affrontare Shay. Feci per colpirlo con un pugno, ma lui lo schivò lanciandomi a terra con violenza.
    Scivolai lontano mentre tutto intorno a noi iniziò a tremare, come in un terremoto. I suoi occhi divennero neri come la pece e la sua voce così profonda da sembrare ultraterrena.<b>“Siete arrivati tardi!” esclamò trionfale mentre Toth lo affrontava, ma ben presto anche lui venne preso per il bavero, sollevato, rigirato in aria e poi scagliato a terra colpendo con violenza la stessa con la schiena.
    “Non c'è salvezza!” le sue labbra sembrarono sorridere nel pronunciare quella parola, mentre preparandosi a dare il colpo di grazie a Toth questo riuscì a fermare il suo pugno, mentre invano cercava di trattenerlo. Shay venne attaccato alle spalle sia da Iuventas che da Horus, ma sembrò che i colpi di pistola inferti non lo scalfirono minimamente.
    "Non è vero! Non sempre hai fatto le scelte giuste, ma hai avuto sempre la possibilità di evitarle... Sei un codardo Cormac!" esclamai alzandomi in piedi a fatica e raggiungendolo. Ormai si era liberato di Toth, Horus e Iuventas che ora faticavano a rimettersi in piedi.
    Eravamo uno di fronte all'altro e lui faceva saettare lo sguardo da me ad Ares.
    Cercò di venirci addosso e caricarci, ma entrambi ci scostammo evitandolo.
    “SHAY FERMATI! E' finita!” urlò Ares mentre sia io che lei ci tenevamo alle pareti per non cadere. Il tremore stava divenendo così forte che era quasi impossibile riuscire a rimanere in piedi.
    “Lo dici ancora nello stesso modo. Con sorpresa unita ad un pizzico di paura, ma con una punta di speranza. Non cambierai mai Ares... per questo tu e tutti gli altri non vedete quello che sta succedendo proprio sotto il vostro naso!”
    “Ciò che ho sempre tentato di fare è stato cambiarti, in meglio... nulla più...”
    Shay sembrava immune alle scosse al punto che mentre io ci guardavamo intorno per capire che fare, lui si versò da bere noncurante di tutto ciò che stava avvenendo.
    “E' buffo ho sempre creduto sarebbe stato la famiglia a renderci ciò che siamo... poi ho sperato che fossero gli amici ed infine all'amore, ma se guardiamo alla storia i grandi uomini e le grandi donne sono sempre stati definiti dai loro nemici”
    Cercai di cogliere nello sproloquio di Shay un occasione per agire e mi sembrò di vederlo nel momento in cui mi diede le spalle, era un ora e mai più e lo colsi al volo.
    Gli corsi incontro e senza indugiare usai una sedia caduta a terra come trampolino per saltare e colpirlo, ma lui si voltò in tempo per prendermi per il collo e gettarmi schiena a terra. La sua mano sulla mia che prestò voltò verso me stessa, come la punta del pugnale che adesso sfiorava il mio collo e lui spingeva contro. Ero certo di non farcela e per questo piegai il viso all'indietro verso Ares e gli altri.
    "VIA! ORA! VIA! Toth portale via!"
     
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    :Ares:
    “Sei bellissima…” mi disse mia sorella con le lacrime agli occhi.
    Guardai il mio riflesso nello specchio. Non lo ammettevo così spesso, a dir la verità non mi rimiravo mai allo specchio -per noi Marziani la bellezza era secondaria, veniva decisamente dopo il nostro valore in battaglia- ma dovevo ammetterlo: ero bella.
    L’abito da sposa che indossavo era magnifico: rosso fuoco con ornamenti dorati, la gonna liscia che seguiva la mia figura era quasi impalpabile, il corpetto decorato con del pizzo disegnava una scollatura moderata sul davanti e una profonda sulla schiena. I capelli, lasciati completamente lisci, quasi come una criniera, incorniciavano il mio viso finemente truccato, le labbra rosso scuro e gli occhi enfatizzati da uno smoky eyes.
    Bussarono alla porta. Il momento tanto atteso era finalmente arrivato.
    Mi voltai verso Horus che mi porse un bouquet di fiori di loto di varie tonalità, tutte tendenti ai colori caldi.
    Le guardai, entrambe commosse, e le abbracciai forte, prima di calarmi il velo sul viso e avviarmi impaziente verso il salone dove Shay, il mio amato, il mio a breve marito mi stava aspettando.
    … o almeno così avrebbe dovuto essere.
    Le lacrime di mia sorella ed Horus non erano di commozione, bensì di rabbia e frustrazione.
    Ero bella? Sì, come lo può essere un canarino in una gabbia dorata. Tutti quegli ornamenti, quei gioielli che avevo addosso non erano altro che pesanti catene, il trucco nient’altro che una bella maschera che nascondeva il mio vero stato d’animo.
    Quell'abbraccio che ci eravamo scambiate era disperato, e forse, se le cose fossero andate male, l’ultimo. Speravo davvero di essere riuscita a trasmettergli tutta la mia fiducia, tutto l’incoraggiamento e la sicurezza di cui avevano bisogno, ma soprattutto, di avergli ricordato chi erano. Diedi loro le uniche armi che ero riuscita a trovare e quelle poche istruzioni che, speravo con tutto il cuore, le avrebbe salvate.
    Mi calai il velo sul viso come se in realtà avessi avuto un elmo, pronta -o almeno lo speravo- per affrontare, forse per l’ultima volta, Shay.
    Eh sì, la resa dei conti era finalmente giunta.
    Percorsi i corridoi che mi avrebbero portata al salone quasi in apnea, ripensando a tutto quello che era successo in quegli anni di reclusione. Impresse nella mia memoria c’erano Iuventas e Horus, a come quel bastardo le aveva usate contro di me. Le aveva ferite, torturate, quasi uccise pur di piegarmi. Poteva anche aver pensato di essere riuscito nel suo intento, ma si sbagliava di grosso.
    Io non mi piego davanti a niente e nessuno.
    Raggiunsi il portone della sala principale e lentamente lo aprii.
    "Entra, mia cara, sei in perfetto orario per l'inizio della festa!" esclamò Shay, impeccabile ed elegante nel suo smoking nero, mostrandomi un sorriso smagliante.
    Una fitta al cuore mi sorprese. Come eravamo arrivati a questo punto? A tutta questa situazione incredibilmente assurda?
    I ricordi della nostra relazione tornarono a torturarmi. Sembrava una vita fa.
    Tutto era partito come una magnifica favola, con l'uomo migliore che avessi mai incontrato -e io ne avevo viste di persone- e poi... beh, è andato tutto in malora.
    Il nostro rapporto è volato a picco, improvvisamente e rapidamente, come un aereo che si schianta al suolo, e ciò che resta non sono altro che macerie.
    Mi avvicinai a lui, gli sguardi legati in una sorta di sfida.
    "Non è ironico?" gli dissi una volta arrivata di fronte a lui "Non troppo tempo fa ero arrivata a pensare che forse, un giorno, avrei potuto legarmi a una persona per la vita, che forse sarei arrivata ad un momento analogo a questo... Sin da piccola non ho mai visto di buon occhio il matrimonio, considerando quello dei miei genitori non è nemmeno troppo difficile da immaginare... ma la cosa ironica è che proprio tu, Shay, sei stato capace di farmici pensare, anche se per un solo attimo. Sei stato il primo a cui ho davvero donato il mio cuore, anzi, ti ho dato più di quello che io potessi solo immaginare. Peccato che era proprio quello che volevi. L'hai usato a tuo vantaggio per la tua maledetta missione. L'unica cosa che mi consola è che almeno non è stata tutta una completa finzione da parte tua, questo lo so per certo... o forse voglio solamente credere che anche tu mi abbia amato come ho fatto io con te."
    "Eh sì, anch'io ho pensato molto ad un possibile futuro insieme... E quale modo migliore per sistemare le cose se non così?" mi chiese prendendomi le mani, che io scansai prontamente.
    "Shay, per me tu sei il passato ormai."
    "Perchè ormai c'è Siwa, giusto?" mi disse infastidito.
    "Come puoi biasimarmi? Tu mi hai usata, hai tradito la mia fiducia, mi hai distrutta! Prima di incontrare Bayek ero in rovina, ero in rotta verso l'autodistruzione, la stessa a cui stai andando incontro tu! E poi come pensi che potrei mai legarmi a colui che mi ha praticamente trasformato in Raperonzolo? Che ha quasi ucciso mia sorella e una mia cara amica solo per farmi cedere al suo volere? Come potrei mai sposarmi con una sorta di diavolo sadico? Come?!"
    "Questo non mi riguarda." mi riafferrò bruscamente la mano sinistra per mettermi al dito la sua fede. "Arrenditi alla forza oscura!"
    "Mai!" gli urlai in faccia un attimo prima che un pugnale gli sfiorasse la mano.
    Mi voltai e vidi Iuventas -aveva lanciato lei il coltello-, Thot e Horus, che si scagliarono contro Shay per poi venir lanciati al suolo da un suo gesto... e Bayek.
    Il mio cuore si riempì di gioia solamente vedendoli.
    Bayek mi allontanò per poi ingaggiare uno scontro impari con Shay.
    Tutto attorno a noi iniziò a tremare, i suoi occhi divennero neri come l'oscurità, la sua voce sembrava provenire dall'oltretomba.
    "Siete arrivati tardi! Non c'è salvezza!" disse mentre contrastava e colpiva pesantemente Thot, Iuventas e Horus.
    "Non è vero! Non sempre hai fatto le scelte giuste, ma hai avuto sempre la possibilità di evitarle... Sei un codardo Cormac!" esclamò Bayek andandogli incontro.
    Il terremoto non aveva proprio intenzione di cessare, rendendo i nostri movimenti sempre più difficoltosi ed imprecisi. Di li a poco sarebbe crollato tutto se non si fosse fermato.
    "SHAY FERMATI! È finita!" gli urlai contro.
    “Lo dici ancora nello stesso modo. Con sorpresa unita ad un pizzico di paura, ma con una punta di speranza. Non cambierai mai Ares... per questo tu e tutti gli altri non vedete quello che sta succedendo proprio sotto il vostro naso!”
    “Ciò che ho sempre tentato di fare è stato cambiarti, in meglio... nulla più...”
    “E' buffo. Ho sempre creduto sarebbe stata la famiglia a renderci ciò che siamo... poi ho sperato che fossero gli amici ed infine l'amore, ma se guardiamo alla storia i grandi uomini e le grandi donne sono sempre stati definiti dai loro nemici” in quel momento compresi veramente quanta tristezza, solitudine aveva provato durante la sua lunga vita. In quelle parole appena dette c'erano rassegnazione e consapevolezza. Ora più che mai avrei voluto aiutarlo a cambiare. Ero sicura che se solo si fosse lasciato aiutare sarebbe uscito da quell'abisso di oscurità che lo stava inghiottendo e distruggendo.
    Fu proprio mentre stavo per parlargli nuovamente che vidi Bayek scattare e balzargli addosso per colpirlo.
    Fu tutto così rapido che compresi davvero cosa stava per accadere quando lo sentii urlare a Thot di portarci via.
    Bayek era a terra, Shay sopra di lui, una mano stretta attorno al suo collo, l'altra sul pugnale che ora premeva sul petto di Bayek.
    Lo sta per uccidere...
    "NO!" gridai con tutta l'aria che avevo nei polmoni.
    Una forza incredibile e un calore incontrollabile mi investirono. Era da anni che non provavo quella sensazione, eppure l'avrei potuta riconoscere in qualunque situazione. Sprigionai quel calore intenso e prese la forma del mio arco sacro.
    D'istinto scoccai un dardo di fuoco che colpì Shay sulla schiena.
    Fu un attimo. Shay divenne cenere, il terremoto cessò, Bayek e gli altri erano salvi. Tutti erano sconvolti per quello che era appena successo, io per prima. Il fuoco, come era arrivato, se n'era andato, lasciandomi svuotata e stanca.
    Era davvero la resa dei conti. Addio Shay.
    Non facemmo in tempo a fare un sospiro di sollievo che tutto cominciò nuovamente a tremare.
    Un vento incontrollabile spaccò i vetri delle finestre, distrusse il tetto e rischiava di trascinarci via.
    Guardai il cielo e mi gelai. Il cielo non c'era più. Solo nubi rosse. Sembravano fatte di sangue.
    Eravamo nell'occhio del ciclone, che stava completamente radendo al suolo qualsiasi cosa attorno a noi.
    "Ma che sta succedendo?!" esclamò sconvolta Iuventas.
    "Non ne ho idea!" le risposi.
    "Dobbiamo andarcene!" disse Thot.
    "E come?!" chiese Horus.
    Tutta quella situazione per noi che provenivamo dalla galassia era un maledetto deja-vu. Un incubo che si ripete.
    È impossibile scappare. Moriremo qui.
    Guardai Bayek, gli presi il viso fra le mani e lo baciai.
    "Ti amo. Non scordarlo mai." gli dissi stringendogli le mani subito prima di sentirmi trascinare via e vedere il buio più totale.


    Edited by SliteMoon - 7/2/2020, 08:41
     
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    Si dice che quando muori, vedi tutta la tua vita in un istante… che grande stronzata. Vi chiederete come mai ne sono così certo. Be’, molto semplice, sono morto… o meglio sto morendo. E nessuna immagine è sopraggiunta ad arginare questo dannato dolore che mi pare stia incendiando il mio petto e da lì, tutto il mio corpo. Forse è l’ultimo atto di clemenza verso il sottoscritto. Chi gestisce “queste cose” forse sa che sarebbe molto più doloroso rivedere i flashback della mia inutile vita piuttosto che agonizzare – ben presente a me stesso – con questa freccia conficcata nella carne.
    Tutta l’energia che mi aveva animato fino a poco prima sembrava scomparsa.
    Tutta la voglia di lottare per scoprire cosa i Burattinai avevano in mente si era totalmente volatilizzata.
    Nulla aveva più importanza, se non il sangue che sgorgava a fiotti dalla ferita, come se l’energia avesse deciso di abbandonarmi scegliendo proprio quella via. Il sangue però era nero. Era il colore della forza che mi aveva sostenuto in quegli anni? Oppure era il colore naturale della mia linfa vitale? Non mi sarei stupito se fosse stato realmente così. Nero, nero come la mia anima, come i miei ricordi, come tutto ciò che mi circondava. Sempre coerente.
    Un gorgoglio in gola e la sensazione di soffocare mi hanno avvisato che il sangue ha riempito i polmoni che stanno collassando a una velocità sorprendente. Sfiorai appena la punta della freccia infuocata che sbucava dal petto, con dita insanguinate, col cuore a pezzi. Un bel modo di morire, davvero, fatto fuori dall’unica donna che credevo di aver potuto amare… almeno un po’, per quanto ne fossi capace. Ma, in fondo, che diavolo potevo pretendere? Le stavo massacrando il nuovo fidanzato… dopo aver pestato ben bene le persone a cui teneva di più. Conoscendo Ares, dovevo immaginarlo che non me l’avrebbe fatta passare liscia… era questo l’aspetto che mi aveva affascinato fin dall’inizio: la sua fottuta determinazione. E per questa ragione l’avevo scelta per il mio piano al Nido dell’Aquila. Piano totalmente andato in fumo per il sottoscritto ma, avevo capito senza ombra di dubbio, che per chi stava “sopra di me” stava procedendo alla perfezione.
    Uno sguardo fugace verso il tetto della villa, che mi parve fatto di stelle e non di crepe. Non ebbi il coraggio di guardare nessuno, ancora una volta temevo ciò che avrei potuto scorgere nei loro occhi… nei suoi occhi e non era l’odio, il disprezzo, la rabbia, no… era il dolore, la pietà, la disperazione. Perché Ares ci sperava ancora, ma lo avevo capito già da tempo, non c’era speranza per quelli come me.
    Era giunto l’epilogo, i fili erano stati recisi e dovevo prepararmi a marcire dopo aver portato a termine il mio ultimo compito. Volente o nolente, più il secondo che il primo. Perché no, non volevo morire, non per mano di altri, non senza aver dato una severa lezione a coloro che mi avevano manipolato… ma non ci sarebbe stata vendetta per me… Mai più.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 7/2/2020, 10:20
     
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    La pedina di Shay, come uno scacco matto, cadde a terra esamine e mentre questo accadeva io sentivo una nuova forza sprigionarsi. Era così che ciò che per millenni avevo covato dentro, da quando Etere mi aveva imprigionato, si preparava a realizzarsi.
    Dopotutto non avevo mai desiderato altro che l’equilibrio e la giustizia, ma con una visione diversa di quello che il Galaxy Cauldron aveva scelto per me ed una libertà ben distante da quella superficiale di mio fratello.
    Io ero onorata di essere l’Originale dei Devianti, ma non volevo esserne la Grande Madre. Che senso aveva aver tutto quel potere e poi non poterlo condividere? Potevo essere una guida, certo, essendo la prima della mia razza, ma volevo anche essere un essere vivente che potesse vivere sulla sua pelle le stesse emozioni dei suoi discendenti: amare, soffrire, ridere, piangere… essere donna, moglie e madre. Tutto questo voleva dire essere finalmente libera da lacci che per millenni mi avevano stretto, ma al contempo rimanere alle redini del mio popolo ciò che mio fratello non aveva fatto, un capriccio che avrei sistemato.
    Intorno a me e Selene, ora in piedi, una luce durata iniziò a svolazzare in filamenti di stelle. Tutto lentamente stava sparendo quanto tutto si preparava a cambiare.
    Dar vita ad una forza pari a quella del Galaxy Cauldron mi aveva portato via tempo ed anche energie, il vero motivo del mio stato decadente e prossimo alla morte, ma in egual modo aveva portato ad una ricerca che pareva infinita. Se mai avrei trovato chi sarebbe stato in grado di accogliere tale forza tutto sarebbe stato vano. Ma poi era avvenuto il miracolo.
    Shay Cormac era stato l’unico in grado di accogliere in sé la Sorgente, di alimentarla con la sua dose di luce quanto di oscurità e farla maturare fino a divenire ciò per cui era stato creato: un nuovo Galaxy Cauldron.
    Tutto ciò era proibito, non poteva esistere un doppione di tale energia, l’unica in grado di dare la vita come toglierla, ma non mi importava anche se ora tutto era stato svelato il Tribunale Vivente non avrebbe fatto in tempo a fermarmi, presto avrebbe dimenticato ogni cosa.
    "Alla fine ce n'era soltanto una..." pronunciai all'improvviso osservando il muoversi delle stelle e dello spazio intorno e sopra a noi.
    "Un'unica nera infinità. Poi l'infinità trovò il suo modo di liberarsi. Ed alla fine le tenebre vennero spezzate e riempite con la vita... con il multiverso. Ogni esistenza moltiplicata da più possibilità e diffusa nel tempo e nello spazio in maniera infinita. Civiltà nacquero e si estinsero e nacquero di nuovo grazie alla realtà costantemente in espansione” dissi indicando a Selene intorno a noi il vorticare di infinite realtà e pianeti.
    ”La vita, un dono prezioso che persevera davanti ad ogni ostacolo” sottolinea voltandomi verso la scacchiera di gioco fin quando anch’essa scomparve.
    ”Finché alla fine non nacque l'era degli eroi..." conclusi guardandola.
    “La tua vittoria”
    ”La nostra vittoria!” la corressi ”Vedi Selene il nuovo universo che si accinge a nascere raccoglierà il meglio del multiverso. Per gli Eterni e per i Devianti. Finalmente il cosmo sarà in equilibrio e tutti gli errori saranno corretti. Noi…” esclamai prendendo le sue mani nelle mie e sorridendole ”Ne siamo state le fautrici. Nulla in quel gioco è stato reale se non i sentimenti dei suoi protagonisti e la volontà delle sue master. Noi abbiamo acceso la fiamma e loro l’alimenteranno… nascerà da tutti noi. Un privilegio unico. Siamo liberi dal destino che qualcun altro ha scritto per noi… saremo noi a scriverlo…”
    Le dissi percependo come anche noi stavamo per sparire, per essere conglobate nella nuova realtà. Certo gli altri non sarebbero stati consci di ciò che avevano creato con il loro solo pensiero, con una volontà che andava oltre la coscienza, ma tutti ne sarebbero stati fautori seppur poi, solo pochi eletti, ne avrebbero conservato il ricordo. Il ricordo di ciò che c’era prima.
     
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