Arno & Vesta Origins

Earth Prime

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    “Respira, Arno, respira.” Dovevo tenere duro. Dovevo andare fino in fondo. Non potevo tirarmi indietro proprio adesso che avevo deciso che quella città non sarebbe più stata la ma casa. Ancora pochi giorni e avrei lasciato Parigi e la Francia. Non c’era più nulla che mi tratteneva e ogni angolo, ogni via, ogni guglia erano intrisi di ricordi che dovevo assolutamente cancellare. Con la mano mi strinsi la giacca all’altezza del petto. Il cuore, era il cuore a fare male così tanto? Oppure erano la mancanza di sonno, di cibo o il freddo a giocarmi brutti scherzi? Mi arroccai nel mio giaccone pesante, calando il più possibile il cappuccio sugli occhi. Mi chiedevo se fosse solo un modo per proteggermi da gelo, volevo forse nascondermi? Da chi, da cosa? Mi sentivo un ladro di ricordi, anche se di quegli stessi ricordi ero parte integrante. Avevo ricevuto degli ordini precisi dalla Confraternita: prima di andarmene avrei dovuto recuperare gli effetti personali della templare Elise De La Serre. Più facile a dirsi che a farsi. Sapevano che conoscevo l’indirizzo del suo rifugio, anche se non ci ero mai stato fisicamente. Quella era stata una delle “regole” che aveva imposto nel nostro rapporto. Una delle tante a dire la verità e da un certo punto di vista l’avevo ammirata per come riusciva a “scindere” l’affetto che aveva per il sottoscritto e la totale devozione per la sua causa. Io… non ci ero mai riuscito.
    Adesso avevo un ultimo dovere da compiere come Assassino e poi, be’, il poi non aveva molta importanza. La presa sul cuore si fece più ferrea e respirai… a fondo.
    Il piccolo monolocale, posto in un seminterrato vecchio e anonimo, doveva essere pieno di lei. E invece, nulla di quanto vedevo me la riportava alla memoria. Era un posto quasi asettico, senza nessuna anima, eppure Elise ci aveva vissuto per anni. Passai un dito su un mobile che aveva visto tempi migliori e vidi la striscia del polpastrello lasciata nella polvere. Nessuno era stato lì da settimane, forse mesi. Questa casa non era un rifugio “ufficiale” che i Templari avevano fornito a Elise e allora perché era così “vuoto”? Il terrore di aver sbagliato locale mi colse per un attimo, ma subito si volatilizzò, quando mi avvicinai di più allo scrittoio al mio fianco. Non so per quale ragione iniziai a frugarci dentro, frenetico, come se una strana forza mi stesse spingendo a farlo… ma non trovai nulla di interessante. Una collanina di poco valore, un fermaglio per capelli piuttosto spartano, una penna d’oca con relativo inchiostro. Una penna d’oca con inchiostro ma… nessun foglio su cui scriverci. A quel punto, mi ritrovai a setacciare i pochi altri mobili presenti nella stanza, aprii addirittura gli sportelli del piccolo cucinino a lagna. In pochi passi l’avevo percorsa tutta e con pochi gesti l’avevo perquisita da cima a fondo. Non trovai nulla su cui si potesse scrivere con una dannata piuma d’oca. Che avesse terminato la carta proprio poco prima di morire? Quante possibilità c’erano che accadesse una cosa del genere?
    Mi sedetti su una seggiola di fronte allo scrittoio, abbandonando il capo tra le mani. Ero frustrato.
    Avevo rimandato per mesi questo viaggio temendo che il dolore sarebbe stato insopportabile, che vestiti, oggetti, scritti appartenenti a lei mi avrebbero ferito come pugnali conficcati nella carne. In realtà questo maledetto monolocale sarebbe potuto benissimo appartenere a un qualunque parigino che versava in cattive acque. Di Elise non c’era nemmeno il profumo. La branda attaccata al muro macchiato dall’umidità era in perfetto ordine, la cassettiera non racchiudeva nulla di più che pochi abiti dimessi, la cucina era fornita dello stretto necessario per una singola persona. Evidentemente non era in quella casa che Elise riponeva la sua anima… eppure la piuma d’oca e l’inchiostro tornavano a ossessionarmi. Era una sciocchezza, probabilmente ero solo deluso di non aver trovato qualcosa che potesse confortarmi… una lettera per il sottoscritto, forse?
    Uno scricchiolio improvviso, che non proveniva dalla povera sedia su cui sedevo, mi fece sobbalzare: non ero solo. Eppure ero certo di aver controllato ogni centimetro di quel posto che pareva grande quanto un fazzoletto da donna, soprattutto con la mia mole a riempirlo. La stanchezza non poteva avermi accecato a tal punto. Che ci fosse qualche vano segreto? Qualcuno mi aveva preceduto? Chi altri poteva conoscere questo posto?! Altri Templari… ovvio!
    Mi mossi con cautela, lasciando che la lama celata scattasse fuori come una compagna fedele: avrei ucciso chiunque si fosse messo sulla mia strada. Una strana furia iniziò a divampare nel torace. Per un attimo la vista mi si appannò e temetti di aver esagerato con le privazioni. Scossi la testa e ripresi il controllo di me.
    “Chiunque tu sia, vieni fuori!” sibilai, minaccioso, la lama pronta a ferire. Non sapevo cosa aspettarmi, ma di certo non quello che mi si parò davanti un attimo dopo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/4/2020, 10:26
     
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    Soffiai via dalla faccia una ciocca di capelli che mi solleticava il naso, nervosamente.
    Possibile che nessuna missione, per quanto semplice come questa, dovesse mai andare liscia e perfetta fino alla fine? In fondo, dovevo solo recuperare un diario, in un luogo di cui nessuno doveva essere a conoscenza, dopo che la nostra alleata templare era stata uccisa.
    Mi dispiaceva per quella ragazza, Elise. Ci eravamo incontrate diverse volte quando ancora era viva, era molto carina e chi ci vedeva insieme ci scambiava quasi per sorelle, per via della nostra giovane età e della capigliatura dal colore simile – la mia di un rosso molto più acceso, comunque.
    Quindi, apprendere della sua morte mi era dispiaciuto, anche se non avevamo legato moltissimo: lei era fissata unicamente sui suoi obiettivi, nient'altro sembrava avere posto nella sua vita. Voleva solo risolvere la ricerca degli antichi manufatti che anche noi Guerriere avevamo il compito di trovare.
    ”Ho detto di venire fuori!” Il tono dell'intruso si era fatto più minaccioso.
    Dovevo decidere cosa fare. La stanza, anzi il bugigattolo schifoso in cui mi ero nascosta sentendolo arrivare era piccolo, con una finestrella minuscola da cui non sarei mai riuscita a passare per sgattaiolare via. Sentivo il peso del diario sul mio grembo. Non avrei potuto perderlo o farmelo portare via da nessuno, il contenuto era troppo importante. Già udivo come fosse reale lo sbuffo di irritazione di Aphrodite alla notizia del mio fallimento. Strinsi i pugni, frustrata.
    Ma come era possibile che qualcuno avesse trovato così presto questo infimo posto, che Elise utilizzava esclusivamente per lasciare qui gli appunti delle scoperte che faceva, come io e lei ci eravamo accordate di fare?
    Udii i passi dell'uomo. Cauti, ma sempre più vicini.
    Ero costretta ad agire prima che mi fosse addosso. Passai in rassegna con la mente la stanza in cui lui si trovava e decisi che la pesante brocca dell'acqua faceva al caso mio. Con un movimento elegante della mano, nell'aria davanti a me, mossi telepaticamente l'oggetto che volò come un proiettile dalla mensola su cui era poggiata fino alla testa dell'uomo. Udii il rompersi dei cocci e un grido di dolore e stupore.
    Sfruttai il momento per alzarmi dal mio nascondiglio e sfrecciare verso la porta, verso l'uscita da quelle stanze polverose e squallide. Nella corsa, intravidi la persona in ginocchio, che si teneva le mani sulle parte colpita.
    Un sorriso birichino si dipinse sul mio volto. Adoravo cavarmi d'impaccio con trovate semplici ma efficaci come questa. Mancavano due passi per raggiungere la via di fuga che fortunatamente era libera quando qualcosa mi tirò indietro. Il mantello che indossavo si era impigliato da qualche parte, ma non potevo permettermi di liberarlo, così opposi resistenza: girandomi per capire cosa lo stesse trattenendo, mi accorsi con stupore che non si era impigliato da nessunissima parte!
    L'uomo, il cui viso era nascosto quasi completamente da un cappuccio blu, lo aveva afferrato per l'orlo. Fissai con panico crescente la sua mano guantata, la sua giacca militare, le sue armi lucide e pericolose. Dalla foggia capii che apparteneva ai nemici giurati dei nostri alleati, che faceva parte dell'Ordine degli Assassini.
    A peggiorare il tutto, dalla smorfia della bocca non sembrava contento della mia trovata per distrarlo. Alla fine il gancio che chiudeva il mantello si aprì, ed io rimasi per un secondo immobile, a fissarlo, con il diario di Elise ben in evidenza sotto il braccio, a proteggerlo come un oggetto unico e prezioso.
    ”Maledizione!” Sussurrai con rimpianto e agitazione. Il mantello era di un tessuto abbastanza fine e di pregio, dati gli standard terresti, ma soprattutto, mi avrebbe donato un anonimato che ora non possedevo più: mi aveva vista, avrebbe ricordato facilmente i miei abiti eleganti, i miei capelli rossi. Sarebbe stato molto più difficile di quello che pensavo, far perdere le mie tracce e raggiungere come era nei miei piani la sede dei Templari, dove il loro capo, Robespierre, mi stava aspettando.
    Pazienza. Avrei dovuto fare come meglio potevo. Infilai la porta prima che quel rompiscatole si rialzasse, e mi buttai a rotta di collo per i vicoli di quella città, sporca, caotica, puzzolente e volgare, che assomigliava in tutto e per tutto all'umanità che la abitava.
     
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    Il sangue mi impediva di vedere e non potevo permettermelo!
    “Dannazione! Chi diavolo era quella ragazzina?!” I pensieri vorticavano come girandole, mentre con la mano tentavo di tamponare le ferite al viso. Una brocca per l’acqua “era volata” contro la mia testa, procurandomi un taglio profondo sul sopracciglio e uno simile sullo zigomo. Avrei dovuto fermarmi per controllare più attentamente i danni, ma non potevo, non volevo! Ero certo che la causa di tutto fosse stata la ragazza che aveva tentato di fuggire dalla casa di Elise… col quello che credevo fosse il suo diario. Ecco a cosa servivano la piuma d’oca e l’inchiostro. Ma perché era così importante? Era forse il materiale che la Confraternita mi aveva ordinato di recuperare? Credevo proprio di sì. Proprio per questa ragione – e forse anche per una piccola questione di orgoglio – mi ero mosso all’inseguimento. Non sarebbe stato difficile bloccare una giovane donna, in abiti vistosamente eleganti e una chioma colore del fuoco… se non fosse stato per il sangue che mi rendeva cieco da un occhio e per le persone che affollavano quella strada maleodorante. In ogni caso, non sarebbe andata molto lontano in un quartiere come questo, un ladro, un malfattore, un qualsiasi delinquente pratico del posto non si sarebbe lasciato sfuggire un bocconcino così ghiotto.
    Mi bloccai giusto un attimo per prendere fiato, il dolore al capo era lancinante, ma non avrei rinunciato neppure sotto tortura. Mi guardai attorno, misi in azione la mia vista particolarmente acuta e individuai subito una macchia rossa disperdersi dietro un angolo. Era lei, senz’altro.
    Quella dannata via era troppo affollata per permettermi un inseguimento senza ostacoli, ero stato intralciato già da tre individui che chiedevano qualcosa da mangiare e io non avevo tempo per fare la carità… non ora! Perciò mi decisi a proseguire “a modo mio”. In pochi istanti, tra salti, rotazioni, puntellamenti e volteggi arrivai a destinazione che – come previsto – era un vicolo cieco.
    Conoscevo bene la zona e sapevo ancora meglio che queste stradine laterali erano covi prediletti per la peggior specie di malviventi… perciò non mi sorprese la scena che mi ritrovai davanti: la ragazza dai capelli rossi – che dimostrava appena vent’anni – era circondata da quattro manigoldi.
    Arrestai il passo, sostando come un gargoyle sull’estremità di un balcone fatiscente in una posizione privilegiata per “gustarmi” la scena. Ero proprio curioso di vedere come avrebbe fatto a togliersi dall’impaccio… Riuscii quindi ad osservarla meglio: aveva i capelli scarmigliati, il vestito elegante strappato in più punti, un’espressione tra lo scocciato e l’irritato, non era certo la reazione che ci si attendeva da una fanciulla “in pericolo”. Quando alcune tegole di una casa diroccata poco distante iniziarono ad attraversare l’aire e a colpire gli aggressori, fui trafitto da un doloroso déjà vu. Mi sfiorai il viso laddove le ferite continuavano a sanguinare e un sorriso stranamente beffardo mi si dipinse sulle labbra. “Quella piccola impertinente…” Di certo aveva un dono che le permetteva di difendersi senza problemi da qualsiasi tipo di aggressione. Non smisi di osservare la scena, almeno fino a quando due dei tizi sfuggiti miracolosamente ad altrettanti detriti si lanciarono su di lei, attaccandola in forze. Sobbalzai nel vedere il diario di Elise cascare a terra, ma la mia bocca si aprii del tutto quando gli stessi tizi iniziarono a urlare: delle fiamme si erano accese sui loro abiti. Forse, era venuto il momento di intervenire… era chiaro che la “fanciulla” aveva ottimi mezzi per difendersi, ma questo non mi avrebbe impedito di portare a termine la mia missione.
    Con un agile balzo mi ritrovai poco dietro i mal calpitati, due erano ancora svenuti con una probabile emorragia cerebrale in corso; gli altri si erano denudati per togliersi i vestiti infuocati. Quasi fui travolto dalla ritirata di questi ultimi che, dopo essersi caricati in spalla i compari, fuggirono terrorizzati, inveendo contro streghe e maledizioni. Eppure il Medioevo era finito da un pezzo...
    Quando ci ritrovammo soli mi abbandonai a una risata, una di quelle che nascono spontanee anche se quanto ti circonda non ha nulla di divertente. Il fatto che avessi provato sulla mia stessa pelle “le abilità della strega” non prometteva bene, ma non ero riuscito a trattenermi.
    “Immagino che tu voglia tornare a casa, come me, ma abbiamo un problema: anche io sono interessato a quel diario. Apparteneva a una persona a me cara…” le dissi con un tono di voce stranamente calmo, quasi conciliante. Forse ero sulla strada giusta verso la pazzia, forse il troppo alcool e il poco cibo non aiutavano il mio cervello a funzionare a dovere. Fissai il mio sguardo in quello della sconosciuta e memorizzai ogni dettaglio delle sue iridi dal colore molto simile all’ambra, delle ciglia folte, della pelle di porcellana. Di certo non era parigina, chissà forse non era neppure di questo mondo viste le sue strabilianti capacità. Alzai un po’ il mento, così da rendere un po’ più visibile il mio volto – e i danni che mi aveva inferto, chissà che non avessi suscitato un po’ di rimorso e di conseguenza un po’ di collaborazione – ma non tolsi il cappuccio. Era chiaro che mi stava valutando, ma soprattutto stava valutando il modo migliore per risolvere la situazione: sapeva che ormai l’effetto sorpresa era perduto. Così rimasi all’erta, in mezzo alla strada, in attesa di conoscere la prossima mossa della “strega dai capelli di fuoco”…


    Edited by KillerCreed - 8/2/2020, 20:56
     
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    C'erano delle volte in cui la mia poca esperienza sul campo si rivelava in tutta la sua inadeguatezza, lasciandomi con un avvilimento tale da scuotermi nel profondo.
    In queste occasioni ripercorrevo con dolore tutte le volte che mi ero sentita diversa, non voluta, non sufficientemente “qualcosa” - qualsiasi cosa questo qualcosa fosse - rispetto a chi era venusiano come me, che invece marcava le differenze date dalle mie origini.
    E ora stavo lì, come una stupida, a fissare il muro scrostato e con macchie di muffa che mi impediva la fuga. Potevo solo sperare che tutta la strada che avevo fatto, aggirando ostacoli, gruppetti di persone, bancarelle e altre cose fossero bastati per seminare lo sconosciuto che mi aveva rovinato il lavoro.
    Udii un parlottare dietro di me, e girandomi osservai con disdegno un quartetto di cenciosi che stazionava all'entrata della stradina, bloccandomi il passaggio. Non era solo quello il mio problema. Correndo alla cieca avevo completamente perso il poco orientamento che mi era servito per individuare il luogo dove recuperare il diario. Senza neanche il sole, coperto da spesse nubi, a darmi un indizio, mi era impossibile capire in che direzione avrei dovuto muovermi per ritrovare il rifugio templare.
    Avevo ignorato i pezzenti nella speranza che loro facessero altrettanto: non avevo nulla da spartire con loro, perché mi continuavano a fissare come se li avessi ipnotizzati? Stavo per apostrofarli in maniera molto poco signorile quando due di questi mi vennero addosso.
    Le loro mani artigliarono i miei vestiti, il mio naso venne offeso dal puzzo di cibo putrefatto e di altre schifezze che non volevo neanche scoprire.
    Mi vennero in mente le parole di Aphrodite quando parlava degli abitanti della Terra: li definiva un popolo affascinante, colmo di contraddizioni intriganti. Assumeva sempre un'aria sognante quando lo diceva, ma io non ero mai riuscita a comprendere il suo punto di vista. Questi esseri mi facevano solo ribrezzo, erano volgari, lerci, animaleschi, rozzi!
    Repressi un conato di vomito. Volevano derubarmi, e magari approfittarsi di me, questi cialtroni! A quel pensiero, la collera e l'indignazione mi accecarono, e reagii senza neanche riflettere. Mi avevano sgualcito i vestiti, e nella colluttazione il diario prezioso era finito in una pozzanghera di fanghiglia marrone inclassificabile!
    Mi liberai di loro in pochi secondi, li misi in fuga con estremo piacere, che evaporò velocemente, quando le emozioni che si erano scatenate lasciaro il posto nuovamente alla razionalità: ero stata sconsiderata, mi ero comportata in maniera incauta e puerile. Avevo usato ogni minuscola stilla del mio potere, prima per fuggire da quel ficcanaso e ora da questi delinquenti.
    Fissai il quaderno a pochi passi da me: ero così stremata che non sarei riuscita neanche a muoverlo per attrarlo nella mia mano.
    Quasi mi lasciai sfuggire un gemito di frustrazione quando un'ombra piombò davanti a me: ancora lui!
    “Immagino che tu voglia tornare a casa, come me, ma abbiamo un problema: anche io sono interessato a quel diario. Apparteneva a una persona a me cara…”
    Questo giovane uomo, di cui più che il viso vedevo la maschera di sangue in cui lo avevo trasformato, aveva una bella voce calda, mascolina ed espressiva. Non mi sarei lasciata andare a comportamenti sconvenienti, quindi sfoderai la mia conoscenza della sua lingua, che parlavo perfettamente, e usai la stessa calma che mostrava curiosamente anche lui.
    Monsieur... non so chi voi siate ma credetemi, non potete vantare in alcuna maniera titolo su questo diario. Non è stato scritto per voi, e il contenuto non deve essere divulgato tra chi non è iniziato a simili discipline!”
    Ed era vero! Elise aveva lasciato quegli scritti a me, agli Eterni, dato che lavorava per noi!
    Eravamo in stallo. Non avrei ceduto per nulla al mondo il mio prezioso bottino, anche perché tornare a mani vuote su Venere non era da prendere minimamente in considerazione, però anche lui non avrebbe lasciato stare tanto facilmente, si vedeva quanto fosse cocciuto da come non aveva mollato la caccia e mi avesse inseguito fino a questo vicolo puzzolente.
    Mi piegai a raccogliere il diario, stringendo i denti per non svelare la fatica che anche un'azione banale come questa ormai mi costava, senza però perderlo di vista un attimo.
    Ci squadrammo per qualche secondo poi, oltre le sue spalle, vidi arrivare alcune persone. A queste se ne aggiunsero altre, e altre ancora. Sembrava che l'intero quartiere si stesse riunendo all'imboccatura del vicolo. Le loro espressioni erano fortemente ostili, c'era chi brandiva un bastone come arma improvvisata. Inizialmente si coglievano solo dei borbottii indistinti, poi, le loro parole, come se si fossero fatti coraggio l'uno con l'altro, divennero più chiare. Erano accuse.
    Maudite sorciére... Strega maledetta...
    Lo stomaco mi si contorse per un brutto presentimento... ecco perché Aphrodite si era raccomandata mille volte di non cavarmi d'impaccio usando i miei poteri in modo troppo plateale... ma solo ora capivo davvero la pericolosità dell'ignoranza di questa razza, che portava con sé solo violenza e sospetto.
    Non avevo altra scelta. Ero sola e inerme, e l'unico riparo lo avrei potuto trovare in quest'uomo, per quanto anche lui avrebbe rischiato parecchio se quella piccola folla che stava diventando inferocita se la fosse presa con entrambi.
    Mi avvicinai di alcuni passi. Avevo paura, ma cercai di mantenere un tono fermo.
    ”Mi pare che la nostra piccola contesa sia diventata secondaria. Avete idea di come fare per non finire smembrati da questi bifolchi?”
     
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    ”Monsieur... non so chi voi siate ma credetemi, non potete vantare in alcuna maniera titolo su questo diario. Non è stato scritto per voi, e il contenuto non deve essere divulgato tra chi non è iniziato a simili discipline!”
    Quel fraseologare mi aveva suscitato un sorriso sghembo, di quelli che ti restano piantati in viso senza un’apparente motivazione. Questa sconosciuta era davvero un curioso soggetto.
    L’avevo studiata attentamente, ogni gesto anchilosato da una fatica improvvisa. Usare quei giochetti non doveva essere tanto semplice, ma perché farlo in modo tanto sconsiderato? Ne dedussi che doveva essere con ogni probabilità “un agente” inesperto o occasionale. Forse lavorava per i Templari, ma di certo non era uno di loro. Il diario… forse Elise lavorava per il suo stesso padrone? Stavo per fare qualche passo verso di lei e spiegare le mie di ragioni, quando un trambusto infernale dietro di noi mi costrinse a voltarmi: una folla inferocita di pezzenti armati di bastoni e forconi anelavano a farci la pelle… o meglio a farla alla “strega maledetta”. Ciò purtroppo non coincideva con i miei attuali piani, ossia recuperare il diario, facendo sì che la ragazza tornasse davvero a casa senza ulteriori impedimenti. Il perché mi era oscuro, semplicemente era così che doveva andare, non ero mai stato uno che si fermava a riflettere molto sulle decisioni che prendeva.
    La percepii avvicinarsi di pochi passi, io ero ancora di schiena e senza volerlo le stavo facendo da scudo contro la folla inferocita… Si stava mettendo male, molto male!
    “Mi pare che la nostra piccola contesa sia diventata secondaria. Avete idea di come fare per non finire smembrati da questi bifolchi?” La sua ennesima frase, pronunciata con un tono colmo di disgusto, mi fece pensare a una principessa non abituata ai vicoli maleodoranti di nessuna città. Ma cosa ci faceva una principessa nei bassifondi di Parigi? Perché inviare lei a recuperare un semplice diario? O era molto di più?
    Mi voltai appena nella sua direzione, indietreggiando fin quasi a sfiorarla, ma continuando a tenere d’occhio “i bifolchi” in questione… che si stavano facendo sempre più minacciosi.
    “Un modo ci sarebbe, ma non sarà comodo né semplice. Soprattutto perché richiede una bella dose di fiducia nei miei riguardi…” In realtà, la giovane donna non aveva molta scelta, fidarsi di me o cadere vittima della folla violenta. Al suo posto non avrei dato per scontato su chi fosse il male minore tra noi, ma badai bene a non darle suggerimenti in merito.
    Eravamo adesso l’uno di fronte all’altra, a pochi centimetri di distanza, quando mi ritrovai ad osservare il suo sguardo confuso con un misto di compassione e tenerezza: “in che guaio ti hanno cacciato?” pensai, senza rendermene conto. Poi incastrai il diario sgualcito fra le pieghe del suo abito e la issai con un movimento fluido sulle mie spalle. La sentii gemere per la sorpresa e forse un po’ per la fatica, speravo che riuscisse a tenersi ben salda nelle sue condizioni.
    “Intreccia bene le braccia e le gambe, il viaggio sarà un po’ movimentato ma conosco un posto… e un uomo… che potrà darci un po’ di tregua! Non mollare la presa per nessuna ragione, d’accordo? Temevo che l’abito l’avrebbe intralciata nei movimenti, ma quando mi sentii quasi soffocare a causa della sua stretta sul ventre e sul collo, capii che il messaggio era stato recepito alla perfezione. Fu così che, poco prima che il primo bastone calasse sulle nostre teste, mi puntellai su alcune cassette di metallo e spiccai un balzo che mi permise di aggrapparmi a un cornicione sufficientemente solido per scavalcare poi una ringhiera fatiscente. Eravamo fuori portata dai bastoni, ma non dai forconi. Salii ancora più in alto, avvalendomi di diversi punti di appoggio attento a non mettere un piede o una mano in fallo… o sarebbe stata la fine per entrambi.
    Il peso aggiuntivo non era affatto gravoso, al contrario, avevo la sensazione di avere sulle spalle un sacco di piume e non una ragazza in carne ed ossa… illusione che scompariva quando la stessa stringeva le braccia sulla mia trachea in maniera convulsa ad ogni balzo. Non doveva essere facile affidarsi a uno sconosciuto che ti porta a spasso per la città aggrappandosi a ringhiere e cornicioni. Non la biasimavo, ma avevo anche bisogno di respirare per non cascare giù!
    Ormai gli assalitori erano lontani e l’uomo che stavo cercando molto più vicino, stavamo per raggiungere la sua Corte dei Miracoli. Là dove lui era il padrone assoluto, là dove la sua parola era legge. Approfittai di un balconcino riparato per riprendere fiato – letteralmente – e dare un po’ di tregua alla ragazza.
    “Ci siamo quasi, ancora un piccolo sforzo…” la incoraggiai, guardandola da sopra la spalla. Aveva allentato un po’ la presa e il viso era cereo. Sembrava più spossata di prima… che stesse facendo in modo di non pesare troppo su di me con qualche trucchetto? Questo poteva spiegare la “mancanza di peso” che avevo notato… “Riesco a portarti lo stesso, smetti coi giochi di prestigio, siamo a destinazione!” La redarguii con voce più dura, non volevo che perdesse le forze del tutto e all’improvviso durante un salto ad altezze improponibili.
    Mi fissò con occhi sgranati, come se la mia intuizione fosse una specie di miracolo. Sbuffai irritato, ma con chi diavolo pensava di avere a che fare? Me la risistemai sulle spalle con un gesto più stizzoso e percepii di colpo il reale corpo della ragazza, adesso davvero plasmato contro di me. Che strana magia era quella? Tuttavia, non avevo tempo per darmi una risposta: il Marquis de Sade ci attendeva già, ne ero certo. Le “voci” sulla nostra disavventura dovevano essere già arrivate al suo covo ormai e non avrebbe faticato a riconoscere la mia descrizione. Ero altresì sicuro che ci avrebbe fornito un posto tranquillo, ma soprattutto protetto, dove la “strega” avrebbe riposato per poter riprendere al momento opportuno la nostra contesa. A questo punto era diventata una questione di principio capire cosa diamine stava succedendo? A maggior ragione dopo tutta questa fatica!
     
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    Stavo rivalutando l'uomo che aveva scombinato tutti i miei piani e aveva complicato ampiamente una delle prime missioni che mi erano state affidate come Guerriera.
    Lo stavo rivalutando perché si era dimostrato coraggioso e generoso: mi aveva salvato portandomi lontano da quei mostri. Una parte di me provava gratitudine per lui e quindi accettai di farmi condurre senza lamentarmi da una persona che ci poteva aiutare; ero davvero molto stanca e non vedevo altre soluzioni alternative.
    Arrivammo davanti a una casa diroccata circondata da altre catapecchie ancora più malridotte, niente che la rendesse speciale, però il mio compagno entrò senza alcuna esitazione e alla vista di quello che mi trovai davanti sgranai gli occhi favorevolmente stupita per la prima volta. Iniziai a pensare che potessi trovare qualcosa di bello in questo pianeta che fino a quel momento mi aveva offerto davvero molto poco di cui essere entusiasta.
    In quell'ambiente che secondo il mio gusto rimaneva comunque squallido e misero, sembrava quasi di entrare in un mondo diverso, un mondo simile a Venere, dove si compivano i riti di sesso sacro. Ne rimasi quasi incantata. La stanza era arredata con divanetti, candele, tavoli con bicchieri e bottiglie e c'erano tantissime persone perlopiù nude o con abiti succinti, molte di queste intente a fare l'amore, tranquillamente, come se fosse la cosa più bella e più sacra che esistesse. Il mio sguardo indugiò su molte di queste coppie, attratta dai loro movimenti e dal piacere che mostravano.
    Su un divano imponente al centro della stanza un uomo di mezza età era adagiato mollemente su cuscini di broccato. Indossava vestiti eleganti, se non fosse che ormai i suoi abiti sopraffini erano sporchi, sgualciti e strappati; portava addosso anche molti gioielli.
    Parlò con voce nasale, lenta, carezzevole e anche se era una persona molto eccentrica, sentivo una certa simpatia per i suoi gusti in fatto di divertimento.
    ”Arno, mio caro! Il mio suddito stava giusto informandomi sugli ultimi avvenimenti, ed ero proprio curioso di conoscere questa fanciulla a cui hai prestato aiuto. Mi hanno detto che è molto particolare!”
    Si alzò dal divano, lento e sinuoso come un serpente, continuando a fissare me pur parlando ad... Arno – avevo scoperto il suo nome. E poi infine si rivolse a me.
    ”Sono molto colpito dal tuo aspetto, e mi piacerebbe che tu ti unissi a noi, stasera!”
    Feci un passo avanti, aprendo la bocca per rispondere che sì, avrei davvero voluto, ma il braccio di Arno mi bloccò, la sua mano sfiorò il diario che era al sicuro in una tasca del mio vestito. Capii il motivo delle sue parole quando rispose al mio posto, con voce asciutta: ”Mi dispiace, Marquis De Sade, ma lei è con me. Abbiamo bisogno solo di un posto per passare la notte sotto la vostra protezione”
    Avrei detto che tra i due fosse in corso un braccio di ferro fatto di sguardi.
    Il Marchese lo osservò sorridendo, facendo un gesto vago verso una zona della sala chiusa da tendaggi polverosi e sbiaditi. ”Ho giusto un posticino libero e appartato per voi, se così desiderate!”
    Arno ringraziò e prendendomi per il braccio mi portò via. Non opposi resistenza perché nonostante fossi contrariata dal suo modo di fare maleducato nei confronti di una persona così ben disposta ad aiutarci, ero davvero stanca e avrei dovuto mettere da parte la mia natura e i miei desideri per concentrarmi sulla missione.
    Mentre scomparivamo oltre la tenda, il Marchese si lamentò a voce bassa ma ben udibile: ”Possedere in esclusiva una donna è tanto ingiusto quanto possedere degli schiavi...” Mi girai, sorridendogli.
    Il nostro rifugio per la notte era uno spazio angusto, delimitato dai tendaggi, con un misero letto molto più simile ad un pagliericcio, ma su cui mi buttai senza la minima esitazione, coricandomi su un fianco con il viso verso il muro ed il diario stretto tra le braccia, come fosse un bambino da proteggere. Presi sonno cullata da suoni e gemiti di piacere, come se fossero una ninnananna melodiosa.

    L'indomani mattina, mi svegliarono rumori di attività di tipo più quotidiano e la luce che filtrava attraverso i buchi del tessuto. Il riposo mi aveva fatto recuperare totalmente le forze e soprattutto, i miei poteri. Mi sentivo rigenerata, rinfrancata, completamente fiduciosa di saper gestire al meglio il resto della missione. Mi svegliai anche rendendomi conto che c'era qualcosa che si appoggiava alla mia schiena. Qualcosa che respirava; quando capii che si trattava del mio compagno, che dormiva nel mio letto, lo spinsi via. Sentii un tonfo e un'imprecazione.
    Mi sedetti sul pagliericcio, talmente piccolo da ospitare a stento due persone, e lo vidi, seduto per terra, che mi fissava malamente.
    Era vestito come il giorno prima, si era liberato esclusivamente delle armi che comunque erano a portata di mano, ma a differenza del solito, aveva abbassato il cappuccio e lo vidi in faccia per la prima volta. Sembrava strano ma aveva sempre celato i suoi occhi, del colore del mare. Erano così belli ed inusuali, sul suo viso sempre accigliato e severo. Era giovane ma così serio!
    Le ferite che gli avevo procurato si erano arrossate e gonfiate. Allungai una mano, sfiorandogli quella sotto l'occhio: ”Dovreste applicare un unguento sui tagli, o vi rimarrà la cicatrice!”
    Lui evitò il mio tocco: ”Parliamo del diario, invece! Dovresti mostrarmi un po' di riconoscenza, visto che ieri ti ho salvato da una folla inferocita...”
    Che sfrontato!
    Poggiai il gomito sul materasso e il mento sulla mano: ”Arno” Sorridevo dolcemente, ma nel mio tono gentile c'era una nota di avvertimento: ”Mi hai salvato da un pericolo in cui ero finita per colpa tua!”
    Rimase in silenzio, quindi alla fine fui io a sbottare: ”Ma poi perché lo vuoi tanto?”
    Ancora nessuna risposta, quindi tirai ad indovinare: ”Era della tua fidanzata?”
    Distolse lo sguardo su cui era passato una nuvola temporalesca. Mi dispiacque per lui e per il suo amore sfortunato: ”Sai, io so riconoscere i cuori spezzati, però conosco anche tanti modi per guarirli...”
    Mi sporsi verso questo uomo dagli occhi tristi, invitante. Non mi sarebbe dispiaciuto provare su di lui l'arte della seduzione che veniva insegnata a tutte le venusiane dalla più tenera età.
    ”No, grazie!” Rispose glaciale.
    Feci spallucce, sbuffando. Non gli avrei permesso di rovinarmi l'umore.
    ”La situazione sta diventando proprio noiosa, vorrei tanto potermene volare via, con il buio...” Ragionai tra me e me.
    ”E comunque non mi interessa trovare note personali, in quei documenti...”
    ”Ah, già, sei un Assassino e vuoi rubare i segreti dei Templari!” Risi a vedere la sua contrarietà: ”Credevi che non me ne fossi accorta? Chi pensi che io sia, una sciocca?”
    Il nostro battibecco venne interrotto dalla comparsa del Marchese. Lo accolsi con un sorriso di gratitudine.
    “Buon giorno miei preziosi ospiti! Stanotte ho pensato che per sdebitarvi della mia magnanimità potreste fare una commissione per me...”
    ”Ma certo!” Una missione nella missione! Come potevamo essere ingrati verso una persona che era stata così premurosa con noi? Ma non era solo quello: grazie a questo lavoro avrei aumentato la mia esperienza sul campo, e avrei messo subito a frutto le lezioni del giorno prima.
    Ignorai con molta soddisfazione l'occhiataccia di Arno.


    Edited by Illiana - 13/2/2020, 14:20
     
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    “Potresti almeno avere la decenza di smetterla di sorridere?” Ero irritato, molto irritato. Quella che doveva essere la mia ultima missione, l’ultimo mio compito e dovere nei confronti della Confraternita e di… Elise, si stava trasformando in un incubo. Dovevo recuperare solo un dannato diario e mi ero ritrovato a vagare per la città con una ragazza di cui non conoscevo neppure il nome ma che già aveva mandato all’aria tutto il mio piano per lasciare Parigi nel più breve tempo possibile. E continuava a ridacchiare come se quello che stavamo per fare era la cosa più eccitante del mondo. Il Marchese De Sade era stato chiaro…

    “C'è un uomo, Grignon, che gestisce una rete di bordelli a nord di qui. Tratta le sue ragazze come se fossero animali. Le cose migliorerebbero se tu... gli infliggessi una punizione eterna.” Era ovvio che molto di più si celava dietro questa “semplice” richiesta.
    “Tu che ci ricavi?” domandai con voce incolore, in fondo non avevo problemi ad ammazzare un sudicio magnaccia, ma volevo sapere se il mio debito poteva davvero considerarsi ripagato o se lui stesso avrebbe avuto di che sdebitarsi “dopo”.
    “Oh! Il cinismo non ti si addice, amico. Dicono che se la compagine delle povere signorine di Grignon si dovessero ritrovare senza un protettore... be', il mio regno si espanderebbe di sicuro, no?” Come dargli torto.
    “Visto il grande guadagno che ne avresti, sappi che non solo ti avrò ripagato della tua ospitalità di stanotte, ma sarai in debito semmai ne avessi ancora bisogno!” Non ero tanto bravo negli affari, ma quando si trattava di interessi che mi riguardavano sapevo come trattare.
    “Come siamo puntigliosi, mio caro Arno, ma visto che mi hai allietato con la vista della tua splendida compagna di viaggio, mi sento molto generoso oggi. E sia!”


    Fissai in tralice la “mia splendida compagna di viaggio” e lei mi ricambiò con uno spintone scherzoso ma che rischiò di gettarmi dall’altro capo della strada, in una pozzanghera che lei stessa avrebbe definito “disgustosa”. Di una cosa ero certo, le forze le aveva recuperate interamente! Perché avevo accettato di portarmela dietro? A questo punto, anche lasciarle il diario e piantarla una volta per tutte mi sembrava un’idea più saggia!
    Dopo una nottata da incubo, tra i versi di piacere dei lascivi compagni di De Sade e il leggero respirare della giovane donna a pochi passi da me, mi era parso di impazzire. Perché? Be’, nonostante il mio amore travagliato per Elise, ero pur sempre un uomo! E gli uomini… si sa… hanno i loro bisogni. Scossi il capo per cancellare anche le immagini del rocambolesco risveglio: aveva avuto anche la faccia tosta di preoccuparsi per le mie ferite fisiche… e non, offrendosi come panacea per tutti i miei mali. E per un attimo, dico solo per un attimo infinitesimale, aveva creduto a quelle parole suadenti, avevo creduto a quelle iridi d’ambra, a quella voce cristallina… salvo poi tornare alla realtà in una maniera fin troppo brusca: Santo Dio, mi aveva fracassato in testa una brocca di ceramica! E poi, quale donna normale si esaltava di fronte alla possibilità di partecipare a un’orgia, si offriva al primo sconosciuto che le faceva pena, civettava addirittura con un essere ambiguo come De Sade… Aspettate un momento, le ho fatto pena? Strinsi con forza l’elsa della mia spada mentre proseguivo lungo la strada con un passo a dir poco marziale. La furia si era impossessata di me. Dovevo mettere fine a questo delirio mentale, portare a termine questo “lavoretto” per il Marchese e filarmela lontano da tutta la follia in cui ero precipitato. E che si tenesse pure il diario di Elise… anche lei non mi era parsa tanto sconosciuta come adesso. E la sensazione di devastazione che mi agitava il petto non mi piaceva, mi toglieva il respiro, e avevo bisogno di una bella bottiglia di whiskey… dannazione!
    “In questo momento assomigli a una tempesta, sai? Non di quelle che avete qui, ma di quelle che si vedono solo sulla superficie del Sole!” Mi voltai di scatto verso la ragazza che aveva interrotto i miei pensieri e la fulminai con lo sguardo.
    “La tempesta sei tu, hai gettato a gambe all’aria ogni mio piano e mi sembra naturale che questo non mi vada giù! O dovrei addirittura fingermi entusiasta?” Ok, forse ero stato un po’ troppo duro nel risponderle, ma diamine quanto mi irritava tutta questa situazione? Forse avrei dovuto mangiare qualcosa prima di partire, che senso aveva costringermi a tutte queste privazioni? Elise era morta e non sarebbe più tornata indietro, probabilmente non mi aveva mai neppure amato, non come io avevo amato lei… dovevo solo dimenticarla una volta per tutte, ma come potevo fare se non andavo via da Parigi? Al contrario di me, la ragazza non aveva fatto complimenti, aveva approfittato fino in fondo dell’ospitalità di De Sade, concedendosi un lungo bagno ristoratore, una colazione degna di una regina e godendosi ogni singolo complimento fattole da De Sade: “Madmoiselle, i vostri capelli fanno invidia a quelli di una dea”; “Vi hanno mai detto che la vostra pelle sembra seta d’oriente?”; “Sono certo che i vostri amanti siano stati gli uomini più fortunati sulla faccia della Terra a godere delle vostre grazie.”. Se non fossi intervenuto io, con ogni probabilità, se la sarebbe davvero portata a letto!
    Missione, missione, missione. Questo era il mio prossimo passo. Dopodiché avrei archiviato questa assurda disavventura, dimenticando altresì la guastafeste più disastrosa della storia.
    E mi teneva pure il broncio! Presi un respiro profondo e mi costrinsi a parlare con ogni briciolo di calma che ero riuscito a racimolare.
    “D’accordo, vediamo di rendere produttivi i minuti che ci separano dal nostro obbiettivo. Grignon è un bastardo della peggiore specie, un sacco di immondizia che non faticherò a togliere di mezzo, anzi al di là degli interessi di De Sade, sicuramente tutta la società beneficerà della sua dipartita. Premesso ciò, con te al mio fianco, avrò un modo molto semplice ed efficace per avvicinarlo. Chiederò udienza tramite i suoi tirapiedi e ti presenterò come merce in vendita. Non appena ti vedranno, sono certo che non esiteranno un attimo a farci passare…” Mi fissò compiaciuta, consapevole che tra le righe era celato qualche tipo di complimento in merito al suo aspetto. Distolsi lo sguardo, a disagio. Fino a quando un suo gesto improvviso non mi fece sobbalzare. Si era avvicinata in un lampo e aveva girato il mio viso verso di sé, “costringendomi” a guardarla: ma perché avevo permesso che riprendesse le forze? Adesso sembrava molto meno umana di quando l’avevo conosciuta!
    “Non è un reato… pensare che sono bella, intendo!” L’autocompiacimento era evaporato lasciando il posto a un qualcosa di più profondo, una nota di malinconia sfiorò il suo sguardo prima che iniziasse a scavare nel mio. Ma non ero affatto disposto a permetterglielo. Mi allontanai con un gesto brusco che la fece barcollare per un attimo.
    “Dovrei sapere come ti chiami per presentarti, anche un nome inventato va bene, scegli tu.” Era meglio alzare le barriere che avevo costruito in così tanti anni, solo così sarei rimasto davvero al sicuro. La fissai serio, in attesa di una risposta alla mia domanda, era chiaro che non le avrei concesso nulla di più che questa missione… dopodiché avremmo preso strade separate ed io sarei tornato alla mia autodistruzione con buona pace del mio fegato e del mio cuore. Non volevo essere salvato. Non potevo essere salvato.


    Edited by KillerCreed - 14/2/2020, 18:52
     
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    ”Vesta... questo è il mio nome...”
    Alla fine, l'umore me lo ero rovinato. Non erano bastati tutti i complimenti di De Sade a scacciare la mia eterna insicurezza per il mio aspetto.
    Vedere negli occhi di Arno l'indifferenza e anzi, l'insofferenza nei miei confronti era una fitta che aveva un sapore troppo amaro, troppo consueto. Fino a quando non ero scappata dal pianeta che mi aveva visto nascere e crescere, dal luogo che amavo nonostante il rifiuto che mi restituiva, negli occhi delle altre persone vedevo solo disdegno e derisione perché i miei capelli non erano abbastanza lucidi, i miei occhi non avevano la sfumatura violetta che aveva mia sorella, la mia pelle si arrossava facilmente, il mio corpo non era sufficientemente flessuoso e sensuale. Cerere era sempre al mio fianco, a difendermi e a sostenermi; lei era davvero l'unica fortuna che mi era spettata del mio destino.
    Solo lasciando la mia casa avevo cominciato a rendermi conto quanto il mio aspetto non fosse così rilevante agli occhi di chi non era venusiano e, in piccola parte, quanto anche io avessi delle peculiarità che mi rendevano, se non bella come Cerere, almeno carina.
    Invece, quello zotico mi aveva sbattuto nuovamente in faccia tutte le mie insicurezze, e non ero disposta a perdonarglielo. Di una cosa andavo fiera sopra ogni cosa: il carattere combattivo e fiero, che mi derivava dalla mia metà marziana. Ovviamente su Venere non era apprezzato, dato che non apparteneva alle caratteristiche che la donna perfetta doveva possedere, ma non mi importava. Lo avevo celato per essere accettata un po' di più, ma non avevo mai smesso un secondo di considerarlo la mia dote migliore. Ero infatti convinta che il Crystal Seed che mi aveva qualificata come Guerriera avesse scelto me proprio per il mio temperamento.
    Sistemai meglio il cappuccio sul viso. Il mantello me lo aveva gentilmente prestato il Marchese, per evitare ”...che la tua bellezza attiri qualsivoglia attenzione sconsiderata da parte di qualche poveruomo ammaliato suo malgrado!”.
    Percorremmo la strada restante per la casa di questo Grignon in completo silenzio. Arno si comportava come se neanche esistessi, ed io cercavo di ricacciare in gola la voglia di piangere. Rallentò il passo ad un crocevia affollato, e si appoggiò all'angolo di un edificio, facendomi segno di spostarmi dietro di lui. In quel momento presi una decisione: non mi sarei fatta mettere da parte da un uomo qualsiasi, gli avrei dimostrato che valevo più di quanto pensasse. Si sarebbe dovuto scusare con me!
    Controllò la situazione, poi mi informò con voce ferma e impersonale: ”Ho contato già una decina di scagnozzi, questo solo fuori dal suo rifugio! La missione sarà più complicata del previsto. Difficile che due persone riescano a venire fuori da lì in qualche modo, se le nostre azioni li allerteranno!”
    ”E questo cosa vuol dire? Hai intenzione di lasciarmi indietro? Pensi che sarò un peso? Ti ricordo che sono io che ti permetterò di avvicinare Grignon!”
    Borbottò qualcosa che non compresi, ma dal tono non era di certo una replica entusiasta. Quindi, si decise e, mettendomi una mano al centro della schiena per farmi camminare, mi redarguì: ”Cerca di non fare i tuoi giochetti di prestigio come ieri, o questa volta mi guarderò bene dal toglierti dai guai!”
    Lo odiavo. Ne ero certa.
    Le guardie che stazionavano davanti al cancello ci fecero passare senza molte storie. Una di queste ci intimò di fermarci nel cortile, per aspettare il suo capo.
    Senza che se ne accorgessero, feci un controllo del potenziale campo di battaglia. Il cortile era molto ampio, c'erano diverse casse accatastate in giro, dei carri per il trasporto senza cavalli attaccati e numerose persone, ne contai più di due decine, che stavano lavorando. La gran parte erano uomini, e notai che erano armati. Alzai lo sguardo sulla casa, a tre piani, con diversi terrazzini su cui erano appostati altrettanti cecchini. Il mio cervello lavorava freneticamente. Non potevamo uccidere il nostro bersaglio in quel luogo, dovevamo cercare un posto più appartato per farlo, sennò non saremmo sopravvissuti a lungo.
    Dall'edificio uscì un uomo con una giacca ed un tricorno dello stesso panno verde. Era un ricco uomo d'affari, di quegli affari deprecabili e illeciti ma che rendono un sacco. Aveva la faccia butterata, e poiché avevo sentito parlare delle malattie che venivano contratte da chi si accompagnava troppo spesso con prostitute, immaginai che anche lui ne fosse stato colpito.
    ”Monsieur Grignon, avrei un affare da proporle, ma preferirei parlarne in un luogo meno rumoroso e caotico”
    L'uomo rise, sprezzante: ”Credete che faccia entrare chiunque nella mia casa? Vediamo prima la merce che avete da offrire, e poi deciderò!”
    Arno mi guardò, teso. Prima di sollevare il cappuccio, cercai di eliminare ogni traccia di sfida e di collera dal mio viso, sostituendole con un'espressione di arrendevolezza. Ero brava ad interpretare dei ruoli, e volevo che mi venisse riconosciuto.
    Tenni bassi gli occhi, ma notai comunque che Grignon si irrigidiva, stupito da quello che vedeva. Chissà perché, non mi diede nessuna gioia accorgermi di averlo ammaliato anche senza impegnarmi. A che serviva farlo, se tanto Arno aveva rovinato il valore di queste conferme con la sua insensibilità?
    Grignon parlò con voce strozzata: ”Quanto volete per lei?”
    ”Non si era parlato di concludere l'affare in un altro luogo?”
    “Non mi piace il vostro tono arrogante! Facciamo così, lei rimane con me e voi porterete via la vostra vita come ricompensa. Sparite ora!”
    Grignon mi afferrò per il braccio, trascinandomi verso l'edificio, ordinando ai suoi uomini di tenersi pronti ad attaccare se il mio compagno avesse fatto la benché minima resistenza. Il rumore di diverse lame che venivano sguainate sovrastò il baccano della strada affollata oltre le mura del cortile.
    Mi girai verso Arno, facendogli un cenno perché capisse che me la sarei cavata anche senza il suo aiuto. Stava andando tutto bene. Ce l'avrei fatta senza troppa fatica. Avrei aspettato la notte, quando si sarebbe sicuramente goduto la nuova arrivata, e lì lo avrei ucciso, fuggendo poi indisturbata.
    ”Ehi, un momento, io ho già visto quella donna! Non mi sbaglio, è la strega che ieri ha dato fuoco ai miei amici, nel quartiere di Les Halles!”
     
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    Ci sono momenti nella vita in cui sei costretto a rivedere tutto il tuo operato, a mettere in discussione ogni parte di te, a renderti conto che dalle tue azioni dipendono intere esistenze… ecco questo era uno di quei momenti. Io, Arno Victor Dorian, dovevo prendere una decisione: salvare la pelle o rischiarla – ancora una volta – per Vesta. Questo era il nome della sconosciuta dai poteri incredibili che aveva incrociato la mia strada solo il giorno prima, ma chissà perché, avevo la sensazione di conoscerla da mesi se non da anni. Non certo per la familiarità di rapporti, ma per una stranissima coincidenza di eventi e sensazioni. Tanto che, la decisione importante fu presa senza alcuna esitazione, senza neppure rifletterci su. Non ebbi bisogno di mettere in lista pro e contro, sapevo che i secondi avrebbero sovrastato i primi e sarei rimasto incastrato in una logica che non avevo alcuna voglia di seguire. Perché… be’, non ne avevo la più pallida idea, era così e basta! Sbuffai, gettando un’occhiata scocciata al cortile gremito di nemici. Le loro spade brillavano anche se i raggi del sole erano piuttosto pallidi. Tuttavia, anche io avevo diverse lame da far brillare e non mi sarei certo tirato indietro, oltre alla vita di Vesta, in gioco c’era anche la mia parola con De Sade. Non ero affatto uno stinco di santo ma non per questo sarei venuto meno. Così agii per come ero abituato: seguendo a pieno l’istinto. Misi in azione la mia lama fantasma e la direzionai alla gola di Grignon. Quando il dardo trafisse la giugulare di quel sacco di immondizia, i suoi scagnozzi si erano appena accorti del mio gesto. In un baleno fui su Vesta, la afferrai per un fianco e con un mezzo giro su noi stessi ci riparammo dietro a una catasta di barili, nello stesso istante in cui una serie di colpi d’arma da fuoco raggiungevano il lastricato dove ci trovavamo prima. Il tutto si era svolto in pochissimi secondi e potevo sentire il cuore della ragazza battere forsennatamente contro il mio petto. La sovrastavo con la mia mole anche se eravamo rannicchiati entrambi, i respiri corti, vicini come amanti. Ma non c’era nulla di romantico in quella situazione!
    “A cosa pensavi esattamente mentre facevi fuori Grignon?” Vesta aveva parlato in un sussurro esasperato, come se un tono più alto di voce avrebbe potuto compromettere quel delicato equilibrio.
    “A portare a termine la missione…” fu la mia lapidaria risposta.
    “Peccato che la tua brillante idea abbia fatto infuriare i suoi tirapiedi!” adesso era proprio adirata anche se non osava voltarsi. Le ero praticamente addosso e insieme eravamo plasmati contro il legno dei barili.
    “Credi che se non avessi fatto nulla, ci avrebbero risparmiati? Ti hanno riconosciuta come ‘la strega’ che ha abbrustolito i loro compari, non penso proprio che ci avrebbero invitati per una bevuta! La mia replica era uscita fuori più ironica che caustica come avevo desiderato. Ero preoccupato sì, ma stranamente non avevo voglia di assecondare la sua rabbia. Mi capitava sempre quando decidevo di agire, lasciavo andare l’istinto e seguivo l’onda degli eventi… adesso dovevamo creare un diversivo per aprirci una via di fuga e distrarre un numero non indifferente di nemici. Un grande diversivo.
    “Avrai tempo per mandarmi al diavolo quando saremo usciti da qui, nel frattempo ho la sensazione che le tue abilità potranno tornarci molto utili per toglierci dall’impaccio!
    Questa volta si girò verso di me con un movimento brusco. Ero talmente vicino che la punta dei nostri nasi si sfiorarono e i suoi occhi tempestosi mi fulminarono all’istante.
    “Di grazia, in cosa potrei esservi utile?!” mi chiese con sarcasmo bruciante. Era chiaro che la mia raccomandazione precedente nel non usare i suoi poteri adesso mi si ritorceva contro, ma poco importava!
    Scossi il capo atteggiando le labbra in un sorriso sghembo: questa donna riusciva a mandarmi fuori di testa con la sua semplice presenza e no, ancora una volta, non c’era nulla di sentimentale in questa constatazione dei fatti.
    “Semplice, in questi barili è contenuta della polvere da sparo. Se tu li facessi esplodere, potremmo distrarre i nostri avversari e filarcela...” Semplice proprio come bere un bicchiere d’acqua. La vidi deglutire e osservare le mie labbra per un attimo prima di rispondere. Uno strano senso di disagio mi strinse lo stomaco, perciò mi affidai ancora una volta al sarcasmo per metterlo a tacere. “È una richiesta troppo esagerata, madmoiselle?” Sbuffò a sua volta, in una maldestra imitazione del sottoscritto, nel tentativo di levarsi una ciocca di capelli finita sugli occhi. D’istinto – il mio, a volte, davvero poco saggio consigliere – la presi e la portai dietro al suo orecchio. Lei si irrigidì e io ritrassi la mano, in attesa di una sua risposta. Avevo la sensazione che il tempo si fosse dilatato ma non erano trascorsi che pochissimi minuti…
    “Posso farlo, ma dobbiamo prima allontanarci o rischiamo grosso… posso accendere la miccia, ma non controllare l’esplosione!” Poi si voltò nuovamente verso i barili e iniziò a tastarli, mentre io davo una sbirciata verso il cortile. I nemici si stavano avvicinando cauti, non potevano sparare contro di noi per ovvie ragioni di sopravvivenza.
    “D’accordo. Allora io carico le pistole e mentre faccio fuoco corriamo verso quella nicchia nel muro, alla tua destra. Non è lontano, ma saremo un facile bersaglio non appena usciremo da qui, magari fai volare qualche oggetto qui e lì per confonderli, ma non stancarti troppo… l’obiettivo è la polvere!” Non le stavo dando ordini, non più. Le parlavo come se… come se fossimo una squadra di affiatati guastatori! E solo quando la vidi annuire con decisione, con uno sguardo degno di una guerriera, che mi convinsi che avevo fatto la scelta giusta nel decidere di restare.
    Ci preparammo all’azione, caricai le armi e… via! Scattammo alla stregua di velocisti nati, anche se la scena sembrò svolgersi con una lentezza esasperante. I colpi partirono dalle mie pistole andando a segno in altrettanti avversari; anche la lama fantasma andò di nuovo a segno facendone fuori un altro e proprio mentre i nostri nemici sparavano a loro volta udii un piccolo urlo dietro di me: il mantello di Vesta si era impigliato in un qualcosa che non seppi indentificare, un qualcosa che maledissi con tutto me stesso. Era talmente lanciata verso il nuovo rifugio che quell’impedimento la fece sbilanciare oltre che rallentare. Si era trasformata in un attimo in un bersaglio ideale per i cecchini che stavano ricaricando i loro fucili. Arrestai di colpo la mia corsa e feci un’inversione totale di rotta scivolando appena sul terreno sdrucciolevole. Imprecai a denti stretti, mancava davvero poco prima che i proiettili riprendessero a viaggiare… e in un attimo anche le spade dei nemici sarebbero state su di noi! Le sganciai il mantello in un unico gesto e la tirai verso di me, nello stesso momento lei metteva su uno dei suoi giochetti di prestigio, facendo volare una serie di attrezzi – alcuni anche molto appuntiti! – verso i nostri assalitori: aveva bloccato la loro avanzata! Ciò nonostante, non feci in tempo a gioirne, perché i cecchini erano pronti a sparare, così mi voltai verso Vesta per farle da scudo ma non fui abbastanza veloce. Il viso di lei si trasformò in una maschera di dolore, a distanza di pochi centimetri potei sentire il suo respiro farsi affannoso mentre con le dita si aggrappava alle mie braccia per non crollare: un pallettone l’aveva colpita al fianco e il sangue sbocciò come un fiore sull’abito elegante prima di imbrattarlo a una velocità che mi terrorizzò. Quando tornai a fissarla in volto, la sua fronte era velata da perle di sudore, le labbra serrate in una linea dura, mentre lo sguardo era rivolto ai barili.
    “Lascia perdere! Morirai! Se con lo sfoggio di poteri del giorno prima era arrivata allo stremo delle forze, non avevo idea di cosa sarebbe potuto accadere adesso! O meglio, potevo intuirlo e non glielo potevo permettere. Un’altra serie di proiettili sibilò nella nostra direzione e uno di questi ferì il mio braccio di striscio, nemmeno me ne accorsi perché proprio in quel momento il primo barile di polvere prese fuoco e da lì si scatenò un vero inferno. Afferrai Vesta, bruciai la distanza che ci separava dalla nicchia e la coprì con il mio corpo, piccola com’era non fu difficile. Dovevo solo pregare che al termine dello spettacolo pirotecnico fossimo ancora abbastanza in forze per fuggire… e per lasciarci alle spalle questo dannato incubo! Non volevo pensare al fiore sul suo vestito, non volevo pensare al sudore sulla sua fronte, ma soprattutto dovevo dimenticare lo sguardo determinato che aveva rivolto alla polvere da sparo prima di crollare. Oppure il senso di colpa mi avrebbe divorato per il resto dei miei giorni.


    Edited by KillerCreed - 19/2/2020, 23:38
     
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    Ansimavo, digrignando i denti per il tormento infuocato che risaliva dal ventre fin su, fino alla gola, fino al cervello. Ero furiosa. Avrei voluto tornare nel cortile, occuparmi di ogni singolo scarafaggio che si trovava in quel luogo!
    Purtroppo però, dovevo controllare e gestire le mie reazioni. Il controllo! Una delle qualità più difficili da imparare durante il mio addestramento, una delle prime a cui era più difficile adeguarsi nell'affrontare situazioni critiche come questa.
    A rendere più complicato il tentativo di calmarmi c'era il mio compagno: Arno bloccava totalmente la visuale sul campo di battaglia e la possibilità di muovermi, di controllare la ferita. Anche se per la verità non avevo bisogno di accertarmi delle mie condizioni. Il colpo era penetrato nel fianco sinistro, e da lì non era uscito. Il piombo del proiettile stava già cominciando ad avvelenare il mio sangue, il corpo, la mente. Stavo perdendo le forze: cominciavo ad avere la vista sfuocata, e sentivo la pelle bruciare e gelare al contempo.
    Oltre le sue spalle vedevo i riflessi arancioni delle fiamme; l'incendio stava propagandosi all'intero spiazzo. L'aria intorno a noi si surriscaldava come una fornace. Ero per metà marziana, una temperatura alta non mi creava grossi problemi, ma non era così per un essere umano. E comunque non ero immune ad un più che possibile crollo di macerie, riparati nella nicchia di una casa fatiscente.
    ”Togliti di dosso, mi stai soffocando!” sibilai tra i denti. La rabbia mi serviva per rimanere lucida e cosciente, ma non avevo intenzione di spiegarlo al mio compagno. Mi aveva salvata, sì, era venuto in mio soccorso quando un contrattempo mi avrebbe rallentato troppo per cercare un riparo dai colpi dei diversi cecchini che cercavano di fermarmi, ma ero stufa di mostrargli una riconoscenza che lui avrebbe accettato senza battere ciglio, con impassibilità.
    Il suo sguardo esasperato mi inacidì ancora di più.
    Lo spostai sgarbatamente posandogli una mano sulla spalla, per controllare quello che stava succedendo. L'esplosione del barilotto di polvere da sparo ci aveva tolto in buona parte il problema degli uomini di Grignon ma ora eravamo noi ad essere in difficoltà.
    Mi alzai in ginocchio, studiando il modo per fuggire: non potevamo avanzare, e dietro di noi il muro sarebbe crollato immediatamente se avessi provato ad aprire un varco per passare. L'unica via di fuga si trovava verso l'alto ancora per pochi istanti, a causa delle fiamme che già lambivano la nostra nicchia.
    Strinsi i pugni. Vedevo solo quella possibilità. Avrebbe consumato ogni mia forza, non sapevo neanche se sarebbe bastata per fare quello che pensavo oppure la avrei esaurita nel frattempo.
    ”Io mi sono fidata di te, ieri. Ora tu dovrai fare lo stesso con me, se ci tieni alla vita. Non lasciare il mio braccio!”
    Sollevai la mano, spostandola dalla ferita sanguinante, e concentrandomi al massimo elevai entrambi su, su fino al tetto, togliendoci dal pericolo sempre più vicino.
    Ansimavo per la fatica. Per sicurezza, tastai il vestito dove avevo infilato il mio prezioso bottino. Mi mancò quasi un battito, quando non sentii la rassicurante solidità della copertina. Mi girai freneticamente per cercarlo giù in basso, verso il cortile. Come in un incubo, notai il diario per terra, proprio nel punto in cui ero stata ferita. Mi doveva essere caduto in quel frangente. Le fiamme lo avevano già raggiunto e devastato.
    ”No! No, no, no... NO!!” Fui presa da una furia incontrollabile, persi la lucidità che avevo mantenuto fino a quel momento. Avevo fallito la mia missione, deludendo tante, tantissime persone. Avrei scontentato l'Imperatrice, ma soprattutto Aphrodite. E poi mia sorella... mi sentivo un'incapace, un'inetta. Tutta la fatica di costruire un'identità che avesse un qualche valore ai miei occhi era diventata futile.
    Commisi l'errore peggiore di tutta la missione: mi lasciai guidare esclusivamente dalla collera. Usai le mie ultime forze per uccidere i pochi sgherri che ancora cercavano di colpirci oppure di salvarsi dal pandemonio. A me non importava nulla: li schiacciai colpendoli con oggetti pesanti, li feci volare giù dai balconi, li scaraventai nel fuoco. Urlavo, quasi invasata. Ma anche la mia forza si esaurì, complice l'avvelenamento e la perdita di sangue. Crollai in ginocchio, tremante.
    Sentii una mano che mi afferrava e mi tirava su. La voce lontana del mio compagno era trattenuta e circospetta: ”Dobbiamo andarcene di qui...”
    Mi girai come una pazza verso di lui, artigliai la sua giacca, come se lo ritenessi responsabile di ciò che stava succedendo. Pur nella confusione più totale, avevo una cosa in testa che sapevo di dover fare a tutti i costi: tornare alla sede dei Templari, trovare l'attuale Gran Maestro Robespierre. Lui conosceva un medico che mi avrebbe estratto la pallottola dal fianco. Non potevo perdere del tempo, se volevo sopravvivere, il veleno nel corpo di noi Eterni viaggiava veloce.
    ”Devo raggiungere l'Hôtel de Ville, devo andarci subito, subito!”
    Non era poi molto lontano, bastava andare verso sud in questo stesso quartiere, tutti i parigini conoscevano il luogo!
    Arno annuì, mi promise che mi ci avrebbe portato. Il tragitto non so perché ma parve lunghissimo. Per tutto il tempo lo insultai, lo minacciai, lo accusai e lo esortai. Stavo delirando ma non me ne rendevo conto. Il mio corpo era sul punto di collassare e il cuore batteva fortissimo, a tonfi dolorosi e potenti, per cercare di compensare tutto il sangue che avevo perso. La presa sulla mia mente si stava allentando, la mia vista diventava più incerta, più scura. Non sentivo più il terreno sotto i miei piedi, le gambe si muovevano spinte da uno slancio che non gestivo più. Solo quando intravvidi l'elegante facciata del palazzo dove si sarebbero presi cura di me provai un debole sollievo, ma forse era troppo tardi. Le palpebre divennero troppo pesanti per tenerle aperte, la coscienza si dissolse come se fosse una fregatura.
     
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    Annarita
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    :Arno:
    “Devo raggiungere l'Hôtel de Ville, devo andarci subito, subito!”
    Non erano le parole pronunciate ad avermi lasciato interdetto, si trattava del nome del luogo che mi aveva indicato. Desiderava che la portassi nel covo dei Templari, laddove io stesso sarei stato in pericolo. Tuttavia, anche in questo caso, senza capire la reale ragione, non mi opposi. Questa donna, o presunta tale, aveva un potere – tra i tanti di cui aveva dato ampiamente sfoggio – che le permetteva di spuntarla in ogni dannata situazione… con il sottoscritto almeno. Se ripensavo a quando avevo persino deciso di mollarle il diario al termine del “lavoretto” per De Sade, ne avevo la conferma indiscussa. E ancora continuai a non riconoscermi quando, durante il tragitto che mi stava portato dritto dritto nella tana del lupo, Vesta non perse motivo per insultarmi, rinfacciandomi il mio stesso esistere: la missione a cui tanto teneva era andata a monte, il diario era andato distrutto ed era accaduto tutto ciò per causa mia. Se non mi fossi “intromesso” lei avrebbe ritrovato la via di casa e non starebbe rischiando la vita… E su quest’ultima affermazione non me l’ero sentita di darle torto. Non del tutto almeno.
    Avevo tentato di prenderla in braccio, ma non me lo aveva permesso, pareva che nelle vene le scorresse sangue infuocato tanto si dibatteva. Temevo che stesse davvero cadendo in uno stato delirante dovuto alla ferita, alla perdita di sangue o qualsiasi altra cosa mi stesse sicuramente sfuggendo. Non era normale quel comportamento, per quanto su Vesta la definizione “normale” si addiceva tanto quanto una brioche nel tè.
    Alla fine mi aveva concesso di sorreggerla per la vita con un braccio, ma a causa della differenza di statura me l’ero praticamente caricata sul fianco così da muovermi con più velocità. Complice la sua graduale mancanza di forze, riuscii ad arrivare a destinazione salvando anche le mie orecchie dalle sue urla. Questa cosa mi dava sollievo da un lato, ma mi impensieriva dall’altro. Che fosse troppo tardi? Non volevo pensarci perciò, senza rifletterci su, arrivai a inoltrarmi nell’elegante via che ospitava l’Hôtel de Ville e non passò molto tempo prima di essere circondati da un manipolo di sentinelle. Il nostro arrivo non poteva certo passare inosservato: i nostri abiti erano a brandelli, la nostra pelle sporca, ferita e bruciata, la mia compagna di viaggio praticamente svenuta tra le mie braccia. Tuttavia, i segni distintivi della mia appartenenza alla Confraternita non ci riservarono una calda accoglienza…
    Una sola consapevolezza mi rendeva meno amaro questo epilogo, il fatto che forse Vesta se la sarebbe cavata ed io, se fossi sopravvissuto s’intende, avrei potuto finalmente lasciarmi tutto alle spalle.
    […]
    La stanchezza, la fame, la sete e il dolore rischiavano di prendere il sopravvento.
    La ferita al braccio doveva essersi infettata perché sentivo di avere una temperatura che faceva invidia al cratere di un vulcano. Forti brividi mi costringevano a battere i denti come se fossi in un antro di ghiaccio e non in una semplice cella sotterranea. Non che quest’ultima fosse dotata dei confort che una residenza di lusso imponeva, ma in fondo non ero affatto un ospite gradito, cosa potevo pretendere? Un tozzo di pane avvizzito e un sorso d’acqua però mi avrebbero fatto molto, ma molto piacere.
    Prima di incontrare Vesta versavo già in condizioni abbastanza precarie a causa del troppo alcol e del poco cibo, ma adesso ero giunto al limite. I Templari d’altro canto ci avevano messo del loro per rendermi la vita più complicata: un Assassino tra le loro mani poteva valere oro… ma erano consapevoli che per estorcere informazioni a uno di noi avrebbero dovuto armarsi di pazienza e di tempo. Io però, di tempo non ne avevo molto.
    Mi ero rannicchiato sul tavolaccio di legno che osavano chiamare “branda” e forti tremori mi scuotevano con forza mentre tentavo di non far vagare troppo i pensieri. Continuavo a chiedermi se Vesta ce l’avesse fatta, se fosse già tornata a casa, avevo perso la cognizione del tempo e la febbre mi impediva di ragionare in maniera lucida.
    Quando udì il cigolare della porta che delimitava la mia cella, espirai esasperato: non credevo ce l’avrei fatta a sostenere un’altra “seduta” con i miei amici Templari perciò non feci altro che raggomitolarmi ancor di più in posizione fetale in attesa del primo colpo che, stranamente, non arrivò.
     
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    :Vesta:
    Il medico aveva appena lasciato la stanza dell'Hȏtel de Ville che mi ospitava, un'ampia camera con soffitti affrescati, poltroncine imbottite, spessi tappeti e un ampio letto a baldacchino con drappi di tessuto damascato e un morbido materasso di piume. Un trattamento degno per una regina, se questi francesi avessero ancora un po' di rispetto per la monarchia, ma così non era.
    Alzai la stoffa della camicia che indossavo. Sul mio ventre liscio e candido, spiccava come un obbrobrio un segno rosa scuro dalla forma quasi tonda, leggermente in rilievo e raggrinzito. La ferita si era rimarginata molto velocemente grazie alla mia costituzione eccelsa, ma la cicatrice sarebbe rimasta per sempre. Un respiro tremulo sfuggì dalle mie labbra, e lacrime pesanti e amare inumidirono le mie guance.
    Un segno sul mio corpo era una tragedia che superava il disonore per la perdita del diario di Elise. Era quasi un'onta, un segno di cui vergognarsi. Non che me ne fosse mai importato molto, ma nessun venusiano avrebbe mai accettato una moglie con un simile stigma, ero diventata merce avariata...
    Mi asciugai in fretta le lacrime quando sentii dei passi avvicinarsi, e poco dopo entrò il Gran Maestro dei Templari francesi, Maximilien de Robespierre. Si inchinò leggermente davanti al letto. Tutti erano così cerimoniosi ed estremamente gentili nei miei confronti ed il motivo era sicuramente il fatto che fossi una Guerriera.
    ”Il dottore mi ha informato delle vostre ottime condizioni di salute. Ne sono molto soddisfatto!”
    Annuii, ma non riuscii a nascondere la mia immensa delusione nella voce:
    ”Vi ringrazio per le cure preziose che mi avete fornito, senza di quelle non sarei sopravvissuta ma... purtroppo, ho fallito la mia missione, l'oggetto che dovevo recuperare è andato distrutto!”
    Robespierre incurvò lievemente le labbra, il suo sorriso rimase fermo lì, non raggiunse gli occhi. Era una persona molto particolare, ma l'imperatrice non aveva mai avuto motivo di lamentarsi del suo lavoro, ragion per cui alla morte del precedente comandante dei Templari, lui era stato nominato velocemente e con l'assenso imperiale.
    ”Non crucciatevi di questo, non è stato un insuccesso completo: ci avete portato l'assassino, era diverso tempo che lo stavamo cercando e ora prima di ucciderlo gli caveremo fuori ogni segreto che custodisce” Rise compiaciuto ”Finora sono stato paziente, ma ora la mia virtù è terminata, e mi occuperò personalmente di questa canaglia così ostinata”
    Alzai la testa di scatto: Arno era stato catturato? Perché non era fuggito, quello sciocco? Ecco che ora avevo un problema da risolvere e non di poco conto! Avrei dovuto farmi leggere meglio il destino dall'indovina di corte, prima della partenza per giungere sulla Terra, perché stava andando tutto storto, nel peggiore dei modi possibili, ed ora dovevo anche preoccuparmi di quel rompiscatole!
    Pensai freneticamente a come dovevo comportarmi, ma mi si poneva un grave dilemma. Per coscienza avrei dovuto aiutarlo, lui lo aveva fatto con me quando non sarei riuscita ad arrivare per tempo qui all'Hȏtel, ma se lo avessi fatto fuggire avrei danneggiato i Templari, che erano nostri alleati! Non potevo avere anche questo addebito sul mio operato di Guerriera, non dopo che avevo appena fallito una missione elementare come quella che mi avevano affidato!
    ”Da quanto tempo sono qui?”
    ”Non da molto. Avete passato un paio di giorni incosciente, dopo che vi è stato estratto il proiettile dalla ferita...”
    Mi abbandonai sui cuscini, fingendo una stanchezza improvvisa, che portò il Gran Maestro ad accomiatarsi pochi minuti dopo.
    Attesi che l'orologio a pendolo sulla mensola del caminetto segnasse il passare di un congruo periodo di tempo e poi mi alzai, mi abbigliai con piacere con i vestiti nuovi messi a mia disposizione e mi diressi ai sotterranei.

    La chiave che la guardia mi aveva ceduto con docilità era arrugginita, e produsse uno sgradevole rumore girando nella toppa. Aprii la porta di ferro ed una zaffata di effluvi pestilenziali mi costrinse a tapparmi il naso in maniera frenetica.
    La luce filtrava da una piccola apertura dotata di sbarre situata in alto vicino al soffitto, lasciando intravvedere il cortile dove una massa di esseri scompaginati e male in arnese stavano provando a effettuare manovre militari con scarso successo. La guerra civile era ormai iniziata, e uomini che condividevano la stessa lingua, la stessa cultura si massacravano senza ritegno. Borbottai a mezza voce, disgustata sempre di più da quello che apprendevo: ”Gli esseri umani sono una razza ignobile! Non vedo l'ora di andarmene e non tornare mai più su questo immondo pianeta!”
    Spostai lo sguardo sulla figura accartocciata su una tavola di legno fissata al muro. Arno era ridotto in uno stato pietoso per le percosse che gli avevano già inflitto, ma mi rifiutai di addossarmi la colpa per la sua condizione. Non ero stata io a chiedergli di accompagnarmi fino alla porta del quartier generale dei suoi nemici!
    Ciononostante, mi dispiaceva per quello che aveva subito a causa del suo atto di bontà nei miei confronti.
    ”Ho saputo stamattina che ti tenevano qui, e sono venuta appena ho potuto”
    L'uomo sbatté le palpebre un paio di volte, quasi non credesse a quello che vedeva, poi cercò di mettersi seduto. Lo aiutai a farlo.
    ”Non mi hanno dato alcuna tua notizia, non ero certo che fossi ancora viva”
    Scrollai le spalle, minimizzando; non mi piaceva compatirmi davanti agli altri, e non volevo che qualcuno si sentisse in dovere di farlo per me. Ma non era questo il caso.
    ”Sto bene, e tornerò a casa domani... ma non potevo lasciarti qui nelle mani dei tuoi nemici”
    Lo alzai e lo sostenni quando le sue gambe si piegarono per la lunga immobilità e forse per la mancanza di acqua e cibo. Tentò di soffocare un gemito e, nonostante il risentimento che provavo per lui, ammirai il suo stoicismo. Ma non avevo tempo per essere attenta e accomodante: la guardia si sarebbe “risvegliata” presto dal mio trattamento ammaliatore.
    ”Grazie...”
    Sbottai furiosa, perché volevo che fosse ben chiaro il mio pensiero: ”Non credere che lo faccia perché ti ho perdonato! Penso tutto quello che ho detto! Per colpa tua avrò grossi problemi con la mia imperatrice e la duchessa!”
    Mi morsi un labbro, aumentando la presa per poterlo sostenere meglio mentre percorrevamo veloci il corridoio sotterraneo, le orecchie tese al minimo rumore o segnale di pericolo. Arrivati alle scale per risalire in superficie però, proseguii decisa verso una piccola porta fatta di sbarre metalliche, chiusa da un catenaccio che aprii con facilità. Entrammo in un canale di scolo, una sorta di passaggio segreto che mi avevano mostrato i nostri alleati nel caso avessi avuto bisogno di muovermi con discrezione, in incognito. Arno non fece domande e in cuor mio fui lieta che mostrasse fiducia nel mio giudizio.
    Durante il tragitto, cercavo di non far troppa attenzione a dove strusciava il mio abito lungo, e a cosa fossero dovuti quei lievi rumori che si udivano in continuazione, provenienti dai punti più oscuri della galleria.
    Il passaggio sbucava a vari isolati dal palazzo, ad un passo dal quartiere del Louvre. Quando cominciai a notare una luce fioca, proveniente dall'uscita sempre più vicina, sospirai di sollievo. La grata di protezione era aperta a sufficienza per permettere ad Arno di passarvi attraverso. Io non lo avrei seguito.
    Ora era libero di tornare dai suoi confratelli, ed io non ero legata a lui più da nessun obbligo morale. Ci fissammo per un lungo istante, senza sapere di preciso cosa dire o come comportarsi in un simile frangente. Alla fine, per rompere l'imbarazzo che stava diventando un fastidio fisico, dissi goffamente: ”Addio, abbi cura di te!”
    Gli volsi le spalle, senza aspettare risposta, per tornare nelle mie stanze e non destare sospetti indesiderati.


    Edited by Illiana - 27/2/2020, 21:12
     
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