Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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    :Bayek:
    Ciò che era successo ad Evie per forze di cose non era passato inosservato e ciò che aveva causato che avevo aspettato che venisse dimessa per avvicinarla. L'approccio di Altair con Jacob, scoperto il misfatto, era stato decisamente più rude e severo, come era suo solito fare. Nonostante non fosse il tipo di persona che amasse urlare o alzare i toni, era proprio il suo carattere serafico ed algido ad intimorire i suoi adepti quando ci aveva a che fare non proprio in modo amichevole.
    Nonostante fossimo tutti Assassini ognuno come Mentore aveva creato un proprio stile su come gestire la propria gilda ed i propri adepti. Il mio era basato sul dialogo.
    Era metà mattina e sostavo nel grande giardino della struttura, l'unico che permetteva a noi detenuti di stare all'aria aperta. Paradossalmente a guardarmi intorno non si sarebbe mai detto di quanto l'Abstergo fosse in realtà un fortino difficile da espugnare. Non esistevano muri di cinta, recinzioni, filo spinato o torrette di guardia. C'erano solo alcuni agente armati.
    Eravamo circa 600 detenuti. Alcuni erano Assassini fatti e finiti, persone che nel bene o nel male avevano abbracciato il Credo o lo conoscevano attraverso la loro famiglia e poi c'era a chi non gliene importava nulla ed apprezzava l'ambiente civilizzato. Molti di questi non avevano alcuna voglia di andarsene. Ormai completamente istituzionalizzati avevano più nell'Abstergo che nel mondo fuori. Un letto caldo, tre pasti al giorno, cure mediche gratuite. Erano per di più umani che di Ibridi, Devianti ed affini non conoscevano e non ne volevano saper nulla.
    Come ogni mattina mi trovavo in quel luogo per la mia passeggiata quotidiana. Il naso all'insù ed un sorriso alla mia Senu che mai mi aveva abbandonato. Non potevamo avere contatti, ma saperla vicina mi rincuorare. Camminavo lento sulla pista da jogging in terra battuta che sfiorava i bordi del campo e ne seguiva il confine, o "linea", come veniva comunemente chiamata. Superarla sarebbe stato facile. L'apparente mancanza di recinzioni era un invito a provarci, ma chi ci aveva provato era morto all'instante: campi invisibili elettrici. Ecco di cosa erano fatte le "mura invisibili".
    Nonostante ospiti una prigione, però la campagna era molto bella ed offriva panorami spettacolari. Ogni volta che camminavo e guardavo le colline in lontananza, dovevo lottare contro l'impulso di proseguire, di andare oltre a quella linea.
    Guardando Senu di fronte a me pensavo che a volte avrei voluto ci fosse una barriera, un muro di soliti mattoni altro tre metri, sormontato da spirali di luccicante e tagliente filo spinato, un muro che mi avrebbe impedito di guardare le colline e sognare la libertà. Quella era una prigione, maledizione!
    La tentazione era sempre presente, e per quanto io la combattessi cercando di dar adito alla ragione ed non all'impulsività di un atto sconsiderata, giorno dopo giorno diventata sempre più forte.
    “Sapevo che ti avrei trovato qui...” la voce gracchiante di Evie mi fece voltare ed immediatamente andarle incontro per sorreggerla. Era stata dimessa, ma doveva riposare. Sapevo che avrei voluto parlare, ma non avrei creduto che mi sarebbe venuta a cercare nel momento in cui avesse messo piedi fuori dall'infermeria.
    Con una mano sul fianco ed un braccio sulla spalla la invitai a sedersi sulla panchina vicina. L'ennesima terribile tortura. Una panchina affacciata sulla libertà. Sedendomi al suo fianco vedemmo Senu combattere contro la voglia di venirci incontro e dopo aver gracchiato un saluto volar via. Non immaginavo che avesse trovato Ares e che passasse il tempo, quando non era con me, con lei.
    La guardammo sparire in lontananza, oltre alla collina mentre il mio sguardo serio, ma preoccupato, preannunciava il confronto.
    "Voglio che mi dici filo e per segno quello che è successo Evie... Jake non è stato di molte parole con Altair e lui non ha la pazienza di invitarlo a spiegarsi. Ma tu mi conosci. Ti ascolterò, anche se... avrei preferito che tu fossi venuta da me prima..." aggiunsi con una lieve nota di rammarico. Era sottinteso che mi avesse deluso.
     
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    :Evie:
    Finalmente quella mattina mi avrebbero dimessa dall’infermeria. Erano parecchi giorni che mi trovavo rinchiusa tra quelle quattro mura di cartongesso, oggetto di “cure” e “controlli” da parte di personale specializzato. L’avevo messo in conto, quando avevo organizzato il mio folle piano, ma adesso ero giunta al limite della sopportazione. Avevo subìto un delicato intervento chirurgico e dai risultati, dedussi che era andato piuttosto bene. Mi ero procurata la ferita in maniera pulita e assicurandomi che il proiettile attraversasse i tessuti, senza rimanere imprigionato, ma era pur sempre un colpo d’arma da fuoco, che aveva attraversato la mia carne a troppa poca distanza. Non mi pentivo del mio gesto, con il mio “piccolo sacrificio” avevo evitato che un povero diavolo venisse ucciso a sangue freddo e soprattutto avevo evitato che Jacob si impelagasse nei subdoli giochetti dei Grigi, che in cambio di “fantomatiche informazioni” volevano una prova di lealtà. Jacob… a lui era tornato il mio pensiero più volte, non era potuto venire a farmi visita molto spesso, solo qualche volta e per pochi attimi, quando riusciva a intrufolarsi, approfittando del cambio di turno. Mi aveva fatto una lavata di capo coi fiocchi, che poco stava nelle corde del suo carattere, ma dovevo ammettere che era entrato molto bene nel personaggio. Ci era andato giù pesante e mi aveva rinfacciato di essermi messa dalla parte sbagliata della barricata. "Sono io che faccio le cazzate, Evie. Tu sei quella che mi fa la ramanzina e mi mette in riga, anche con la forza se è necessario!” mi aveva ripreso esasperata. Avevo capito come si fosse davvero messo nei miei panni, e un po’ sperai che se lo sarebbe ricordato quando avrebbe pensato di fare un altro de suoi colpi di testa. In fondo… aveva ragione. Non era da me agire per conto mio, senza neppure consultare il mio Mentore, ma in quell’occasione mi era stato impossibile. I Grigi avevano preso di mira mio fratello e zuccone com’è, si sarebbe lasciato convincere, pur di avere in cambio il “loro piano di fuga”. Non potevo permetterlo.
    Ora, l’unica cosa che desideravo era uscire da questo maledetto luogo e cercare Bayek. Avevo riflettuto molte volte, al mio prossimo incontro con lui. Dovevo spiegare i miei motivi, dovevo fargli capire che non mi ero deliberatamente dimenticata del suo consiglio e della sua presenza. Avevo un nodo nello stomaco che mi causava maggior fastidio della ferita al fianco. Non ce la facevo più!
    Chiamai un’infermiera per affrettare le pratiche di dimissioni. Stavo benone, lo avrei dimostrato a un medico e me ne sarei andata da lì.
    […]
    Mi stavo avviando a passo spedito, per quanto la mia condizione me lo consentisse, verso il giardino esterno alla struttura. Era l’ora in cui ci permettevamo di passare un po’ di tempo fuori e io sapevo perfettamente dove Bayek amava andare per godersi la tranquillità e la serenità che bramava.
    Eccola, davanti a me: una piccola illusione di libertà. La campagna aperta, panorama mozzafiato al di là infidi campi elettrici invisibili. Nulla suggeriva la loro presenza, ma tutti sapevano che erano lì a sempiterna testimonianza della nostra condizione di reclusi.
    Lui era lì: mi dava le spalle e guardava lontano, oltre la distesa di alberi, oltre l’orizzonte, oltre il cielo.
    ”Sapevo che ti avrei trovato qui…” dissi a fatica. Dopo la mia breve corsa per raggiungerlo, avevo il fiatone. I punti tiravano e la ferita bruciava, non era felice della pressione a cui l’avevo sottoposta.
    Bayek si voltò verso di me, ben conosceva la mia voce e con il volto stupito per la sorpresa di vedermi “così presto”, corse in mio soccorso e mi aiutò a sedermi al suo fianco sulla panchina di fronte al verde panorama. Il nodo allo stomaco era ancora più stretto e non vedevo l’ora di scioglierlo e dare tregua alla mia coscienza.
    "Voglio che mi dici filo e per segno quello che è successo Evie... Jake non è stato di molte parole con Altair e lui non ha la pazienza di invitarlo a spiegarsi. Ma tu mi conosci. Ti ascolterò, anche se... avrei preferito che tu fossi venuta da me prima..."
    Le sue ultime parole furono per me una stilettata al cuore. Sapevo che sarebbe stato comprensivo e che mi avrebbe dato l’occasione di spiegare quanto era accaduto, ma la sua delusione era pregnante e traspariva da ogni sillaba che aveva pronunciato. Era chiaro che Jacob avesse, come al solito, fatto il ribelle e poi lui non conosceva tutta la storia.
    ”Mi dispiace Bayek, prima di tutto volevo dirti questo. Avrei voluto venire da te non appena si è presentata la questione, ma ero certa che Jacob avrebbe fatto qualche colpo di testa nel frattempo, lo conosci bene, e allora ho agito di conseguenza, e in brevissimo tempo” iniziai il discorso. Mi premeva molto fargli comprendere il mio rammarico, ma non era tutto. “I Grigi lo hanno avvicinato, per fortuna in mia presenza, e gli hanno chiesto di far fuori una guardia, solo così avremmo provato la nostra lealtà e loro ci avrebbero messo a parte di alcune informazioni e chissà del loro piano di fuga da questo posto. Quanto deve essere bello fuori?” dissi in un attimo di nostalgica malinconia, guardando il vento insinuarsi tra le chiome degli alberi dinnanzi a noi.
    Bayek mi rimirò con il suo solito sguardo attento e comprensivo e mi incoraggiò a proseguire.
    ”Ho discusso pesantemente con lui, non avevo nessuna intenzione di essere complice di un omicidio a sangue freddo. Neanche lui era convinto in un primo momento, ma ero certa che se avesse pressato sui punti giusti, O’Brien sarebbe riuscito ad avere la meglio, con l’arma del ricatto. Sai… i Devianti non sono propriamente di beniamini di Jake e poi… chi non avrebbe fatto di tutto se avesse avuto la possibilità di uscire da qui?” Un’altra domanda retorica, che però questa volta ricevette una risposta.
    “Non c’è bisogno che giustifichi i pensieri o le possibili azioni di Jake, lo conosciamo molto bene, continua… raccontami tutto” intervenne pungendomi sul vivo. Era vero, non volevo che Jake fosse visto come la solita testa calda, ma cosa ci potevo fare se continuava a mettersi nei guai? Per l’ennesima volta, avevo tentato di evitarli. Mio fratello mi avrebbe mandato al manicomio, ne ero certa. Sospirai sconsolata e proseguii, cosa avrei potuto rispondere?
    ”Allora ho deciso di fare a modo mio. Non avremmo ucciso quell’uomo, ma avremmo trovato un modo per allontanarlo. Dopo vari tentativi falliti di trovare qualche scheletro nell’armadio, per costringerlo ad andare via, ho dovuto agire in fretta e alle spalle di Jacob, il quale stava cominciando a prendere la pazienza. O’Brien pressava e l’accordo sarebbe saltato, quindi ho fatto di testa mia. Ho provato a convincere la guardia con le buone, non volevo certo arrivare a questo. Nel mio piano sarebbe dovuta essere l’ultima alternativa, ma quell’idiota non ne ha voluto sapere… e quindi hai davanti a te il risultato. Alla fine quell’uomo è stato tolto di mezzo, trasferito per avermi sparato, e non è stato ucciso nessuno.” conclusi la mia arringa con una punta di amarezza nel cuore. Mi ero affannata così tanto per salvare una vita, mettendo addirittura a repentaglio la mia. Sarebbe servito davvero a qualcosa? Non conoscevo ancora gli esiti delle mie azioni.
    Gli occhi tempestosi di Liam e la sua voce cavernosa, che imprecava quando mi aveva soccorso nella cella, ancora visitavano la mia mente durante la notte e qualche volta anche di giorno, quando mi perdevo tra i miei pensieri. Ma questo non era il momento per rimuginarci su.
    Mi voltai verso il mio Mentore, colui a cui avrei affidato la mia intera esistenza e attesi, attesi rassegnata la sua reazione. Ero certa di averlo deluso fin nel profondo e sperai ardentemente che potesse in qualche modo comprendere le mie ragioni e che potesse darmi l’occasione di rimediare alla mia mancanza. Avrei fatto qualsiasi cosa mi avrebbe chiesto.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:29
     
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    :Bayek:
    Ascoltai il lungo sfogo di Evie senza pronunciare nemmeno una parola. L'ascolto da sempre era stato un mio grande dono soprattutto in quelle situazioni in cui era chiaro che già lei fosse in soggezione di suo. Avevo i gomiti appoggiati sulle ginocchia ed osservavo la linea dell'orizzonte assorbendo ogni parola che lei mi stava dicendo cercando di capire dunque le sue scelte ed azioni.
    "Ti sei trovata con le spalle al muro e poco tempo per agire, hai fatto la cosa giusta!" esclamai infine voltandomi verso di lei sereno, mentre la vedevo torturarsi le dita ed abbassare il capo. Non per rifuggire al mio sguardo, Evie aveva più che coraggio di affrontarmi, ma per scappare dalla delusione che aveva paura di incontrare in esso.
    Evie era così. Era tra i migliori Assassini della mia gilda, colei che consideravo il mio braccio destro seppur le malelingue la chiamavano "la prediletta". Ma la sua capacità e lealtà non era minimamente collegata ad un senso di ruffianaggine quanto di conoscenza ed io l'ammiravo. Mi piaceva chi si affidava sempre alla verità ed alla mente per prendere delle scelte, senza tuttavia mettere da parte il cuore.
    Per questo mi sollevai e prendendole il volto con entrambe le mani la costrinsi a guardarmi sorridendole con fare amorevole.
    "Mi hai reso orgoglioso Evie. Sei un'Assassina capace e a cui ho sempre meno da insegnare..." le dissi quasi con tono triste come quello di un padre che seppur lieto dei passi compiuti dal proprio figlio prova una nota di malinconia nel lasciarlo andare.
    Evie mi sorrise più serena, mentre le mie mani scivolarono via dal suo viso.
    “Adesso cosa farai?”
    "Ne parlerò con gli altri Mentori" sentenziai guardandola come a volerla rassicurare. Non era mia intenzione fare ciò per punirla, anzi.
    "E' chiaro che ora i Grigi ci devono qualcosa e non possiamo non approfittarne. Ormai quello che è stato fatto è stato fatto e non ha senso tornarci su per rimproveri o "e se...". Ne faremo tesoro ed approfitteremo del fatto di avere un vantaggio. C'è qualcosa nei Grigi che non mi è chiara, il loro piano non lo è. Le loro mosse sembrano casuali, confuse, ma sono certo che non lo sia... Finora abbiamo fatto il loro gioco, dobbiamo cambiare il trend!" sentenziai sicuro e deciso non potendo fare a meno di notare un sorrisino nascere sulle labbra di Evie, sotto le sue caratteristiche lentiggini.
    "Che c'è?"
    “Trend? Da quando sei così moderno?” mi chiese non trattenendosi dallo scoppiare a ridere mentre io scuotevo il capo divertivo godendomi quel momento di pace e tranquillità.
    "Pensa a riprenderti, ora gestiamo noi la situazione..."
    “Sto bene. Mi sembra chiaro che alcuni di noi abbiano qualcosa in più e bé sono certa di essere tra loro. Sto bene Bayek, davvero...”
    "Sei pur sempre un Frye e per quanto ti piacerebbe negarlo tu e Jake avete la stessa testardaggine!" la ripresi in modo bonario "A parte gli scherzi sapevamo che sarebbe arrivato questo momento... Ed ora di costringere O'Brien a mostrare le sue carte!"
     
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    :Altair:
    Non solo quale fosse stato l'approccio di Bayek con Evie, ma il mio prevedeva una grande dose di delusione, frustrazione e severità. Avevano agito da sciocchi irresponsabili ed adesso ci trovavamo nella peggior situazione: esserci mostrati loro succubi.
    “Secondo me questo ci da una grande occasione, sono in debito con noi! Dobbiamo approfittarne!”
    Alle parole di Bayek alzai un sopracciglio, il massimo del mio stupore, mentre con le mani incrociate sopra il tavolo di legno lo fissavo poco convinto. Ci trovavamo a mensa, uno dei pochi ed ottimi momenti per poter parlare un poco più serenamente senza troppi occhi addosso. Mangiavamo lenti e tranquilli, mentre in realtà tiravamo le somme. Lo facevamo almeno una volta al giorno, che fosse a colazione o durante i pasti, un po' l'equivalente delle riunioni dei Mentori che avevamo un tempo.
    “Vedo che non sei d'accordo Altair, ma mi è permesso ricordare che tu stesso sei stato tra quelli a cercare un dialogo con i Grigi?” mi punzecchiò Federico con quel suo solito modo di fare che detestavo. Era maestro nel mettere il dito nella piaga.
    Fui risentito perchè ancora mi stavo riprendendo dall'umiliazione che quella ragazzina mi aveva fatto subire, senza contare i tre giorni in infermeria per avvelenamento.
    "Quello che penso, semplicemente, è che se iniziamo ad abbassarci a fare ciò che ci chiedono non avremo MAI il pugnale dalla parte del manico!" sottolinea guardando Bayek con fare alquanto infastidito. Lo ammiravo ma molto spesso non condividevo la sua visione fin troppo speranzosa e confidente nei confronti degli altri.
    “Quel che è fatto è fatto. Non serve a nulla perdere tempo in questo. Andiamo dai Grigi e riscattiamo ciò che hanno promesso ai Frye e poi decidiamo il da farsi!”
    Connor era stato tutto il tempo a capo basso, mangiava la sua razione senza fiatare ed apparentemente senza nemmeno degnarci di attenzione. Era fatto così. Taciturno e solitario a differenza del sottoscritto era meno incline a far pesare la sua presenza anche se poi le uniche parole che diceva erano sempre mirate e ben calibrate.
    Federico ridacchiò soddisfatto che mi "avesse messo al mio posto", mentre Bayek gli appoggiò una mano sulla spalla.
    "Mi sembra che abbiate già deciso dunque forse non c'è altro da dire!" sentenziai alquanto infastidito. Si comportavano come ragazzini a fronte invece di qualcosa di serio e quella cosa mi infastidiva non poco.
    “Datti una calmata Altair, Connor ha ragione! Per quanto tu adori far sentire in colpa la gente in sto momento non serve a un cazzo! Quindi perchè non ti togli la scopa dal culo e diventi più collaborativo?”
    Federico mi aveva sputato addosso tutta la sua frustrazione, mentre io iniziai a stringere così forte il bicchiere di metallo tra le mani che si incrinò sotto la mia presa.
    "E tu perchè non frequenti meno Frye? E' chiaro che questo linguaggio forbito sia merito suo!"
    Risposi serafico con quel tono che lo faceva uscire di testa e la situazione sarebbe sicuramente peggiorata se Bayek non fosse intervenuto in tempo.
    “Per l'amor del cielo dateci un taglio! E' deciso affronteremo i Grigi, gli faremo sapere che siamo interessati alle informazioni in loro possesso e poi agiremo di conseguenza!”
    "Bene!" esclamai stizzito prima di alzarmi ed andarmene. Tutti mi guardarono, Federico indugiò sulla mia figura che si allontanava più di tutti, ma poi preferì tornare a Bayek e Connor.
    “Vado a cercare Ezio, recapiteremo noi il messaggio a Grigi... vi faccio sapere!”
     
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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Federico:
    Mi sono sempre ritenuto una persona ragionevole, paziente quando serve, ma soprattutto lucida e controllata.
    Dopotutto il ruolo di Mentore non l’avevo vinto a carte, me l’ero sudato dimostrando il mio valore, la mia dedizione nella Confraternita e nei suoi valori, tentando di ripercorrere i passi di mio padre e di fare del mio meglio per aiutare gli altri.
    Tutto quello che ho fatto come Assassino non l’ho fatto per ottenere questo ruolo, l’ho fatto perché credevo in quello che facevo e in quello che pensavo.
    Perché tutto questo pippone sui miei ideali, vi starete chiedendo…
    Semplice: perché qui dentro, in questa prigione abbellita da tutti i comfort possibili, mi sentivo in gabbia, braccato, sempre sotto controllo, e la cosa mi faceva incazzare, e anche tanto.
    Come dicevo prima, tutte quelle caratteristiche che vi ho elencato prima con tanto orgoglio, grazie a questo posto di merda rischiavano di andare dritte nel cesso.
    Questo posto rischiava di cambiarmi, o meglio, di tirare fuori quella parte di me che in genere tenevo al guinzaglio, quella impaziente, irragionevole, irrazionale, attaccabrighe, irresponsabile e fin troppo canzonatoria.
    Detto in poche parole, quando perdevo il controllo mi comportavo come l’adolescente che ero. E la cosa mi infastidiva. Non che rinnegassi il me di allora, anzi, alla fin fine ero il solito coglione, però c’era il momento per le bischerate e quello per le cose serie. E questo faceva decisamente parte della seconda categoria.
    Ecco perché era inaccettabile come mi ero comportato con Altair… non troppo dai, gli serviva una bella scrollata… forse la scopa nel culo era eccessiva… no, ci stava.
    Visto? Dopotutto sono un coglione in fondo.
    Come altro potevo rispondergli? Capisco la sua reticenza, io ero lì in cortile a leggermi un libro – mentre ovviamente tenevo sotto controllo il cortile -quando all’improvviso la sua faccia decide di avere un incontro ravvicinato con il tavolo.
    Sarei incazzato anch'io al suo posto e lo sono già di mio, figuriamoci, però non potevamo farci scappare questo vantaggio nei confronti dei Grigiastri.
    Ecco perché stavo andavo dalla persona perfetta per aiutami a riscattare le informazioni che ci spettavano.
    “Fratellino! Abbiamo una missione!”
    “Prenderci quelle informazioni?” chiese ironico mentre continuava a prendere a pugni il sacco da boxe.
    “Esattamente, con le buone o, se mi fanno incazzare, anche se non ci vorrei arrivare, con le cattive.”
    Tornò il silenzio, quel maledetto oppressore, interrotto solo dal suono del sacco che oscilla e dei guantoni che lo colpiscono.
    Ormai era da un po’ di tempo che Ezio era strano. Da un giorno all'altro era cambiato. Ovviamente era sempre lui, non era un cambiamento radicale, era più qualcosa di impercettibile che però aveva comunque il suo peso.
    Nei suoi occhi leggevo pesantezza, orrore, sconforto, incredulità, disagio. Sì, ok, eravamo in una prigione dove accadeva decisamente di tutto, però avrei capito -nemmeno troppo in realtà, visto che nella nostra vita avevamo visto di tutto, in primis nostro padre e nostro fratello appesi a un cappio- quel suo sguardo all'inizio della reclusione, non ora dopo nemmeno un mese.
    Sembrava più… maturo? Vissuto? Sapevo già che questi pensieri non avevano senso. È vivo da circa cinque secoli, è normale che lo sia, ma avevo questa sensazione strana, come una zanzara fastidiosa che continuava a ronzarmi vicino all'orecchio e che non aveva intenzione di volare altrove.
    Era decisamente più serio e sembrava ricordarsi meno le cose, o meglio, cose diverse, distorte, soprattutto relative alla nostra vita dopo la morte di nostro padre e Petruccio. Era cascato dal pero, e mi era sembrato anche quasi infastidito, quando aveva scoperto che io ero Mentore.
    Sembrava distante, sempre con la mente a qualcos'altro, perso nel suo mondo.
    Proprio per questo lo tenevo d’occhio, per capire il perché di questo cambiamento repentino e per capire che cazzo gli passasse per la testa.
    “Maremma come sei silenzioso però!”
    “Sono solo concentrato. Non sono una radio sempre accesa come te. Mi chiedo seriamente come fai rimorchiare con la parlantina esagerata che ti ritrovi.”
    Non mi sfuggì il ghigno che gli incurvò le labbra.
    “Parla il muto! Venvia costì, invece che stare a sparare bischerate, appendi i guanti al chiodo e andiamo a prenderci quelle informazioni.”
    Sospirò, fingendosi infastidito “Che rompipalle che sei. Dimmi, avevi qualche idea?”
    “Ho qualcuno in mente, però volevo sentire cosa ne pensavi te.”
    “Sicuramente eviterei un approccio diretto con O’Brien.”
    “Vuoi provare con quel Tazim?” ghignai divertito ripensando a quel povero bischero e guadagnandomi un’occhiataccia di mio fratello “Comunque eviterei anche quella mocciosa che ha accoppato Kenwey. Non mi sembra ci si possa ragionare più di tanto.”
    “Se è per questo anche quella che ha steso Altair non mi è sembrata molto ragionevole...”
    “Lo so. Le uniche di cui non sappiamo molto sono la sorella di quest’ultima e quell’altra, che però non mi ispira molta collaborazione...”
    “... proviamo con le sorelle?”
    “Andata.”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:29
     
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    :Yulia:
    Discutere con Liam mi metteva sempre di cattivo umore. Quando mi aveva raccontato del casino avvenuto nelle celle, mi aveva riversato addosso tutta la sua frustrazione e nervosismo. Ma più lo osservavo e più sentivo che c’era dell’altro. Lo conoscevo fin troppo bene per non comprendere che sotto la sua solita corazza vi era qualcosa che lo ossessionava e non mi riferivo affatto alla natura che tanto detestava e che voleva demolire con tutte le sue forze.
    Avevamo tentato di portare gli Assassini Originali dalla nostra parte solo ed esclusivamente per non averceli tra i piedi, non perché, le nostre visioni sul Credo potessero, adesso, come per magia, combaciare in qualche modo, ma le cose non erano andate secondo i nostri piani. I gemelli Frye, o meglio la sorella Frye aveva fatto di testa sua, mettendo tutto di nuovo in discussione. Forse lei credeva di aver fatto una buona azione, ma non si rendeva conto che la razza Deviante era tutta un’immensa feccia? Non vi erano innocenti o carnefici. Tutti avevano accettato di prendere parte a questa enorme e maledetta farsa, eseguendo ordini come se fossero automi, piuttosto che pensare con la propria testa. Per quanto mi riguardava questa poteva essere una colpa tanto grave quanto agire in prima persona. Invece no, lei aveva voluto mettere a repentaglio la sua vita per quale ragione? Un giochetto moralista da quattro soldi? E la cosa che più mi impensieriva era quanto Liam ne fosse rimasto scosso e turbato. Non me lo aveva confessato apertamente, ma potevo leggere nel suo cuore, ed era evidente che la reazione di Evie lo avesse allarmato, anche se non riuscivo ad immaginare il motivo. “È normale” pensai. “Ha mandato all’aria anche la più piccola probabilità di una muta alleanza per convenienza. Non è ciò che abbiamo programmato, è ovvio che Liam sia irritato” tentai di convincermi per non sprofondare in una spiacevole sensazione che odiavo provare e che non volevo neppure chiamare per nome, ma un sottile quanto infido dubbio continuava a serpeggiare sotto pelle…
    Mentre ancora ero seduta a un tavolo della mensa a fingere di sbocconcellare un pasto che non avevo ancora neppure iniziato e totalmente immersa nei miei pensieri controversi, udii un colpo di tosse. Non uno di quelli veri, ma al contrario, che si fanno solo per schiarirsi la voce ed attirare l’attenzione.
    Sollevai lo sguardo dal vassoio e mi ritrovai d’innanzi i due fratelli Auditore. Ezio e Federico, se non andavo errato. Li osservai con il mio solito sguardo indolente e insolente insieme. La loro espressione, invece, era battagliera, soprattutto quella del Mentore. Sembrava sul piede di guerra e già potevo immaginare quale sarebbe stata l’anima della discussione.
    Sempre il maggiore dei fratelli, presa una sedia accanto a me e girandola dalla parte dello schienale, si sedette con fare strafottente. Quanto odiavo il suo modo di fare così saccente. Era certo di essere migliore di noi e non si affannava minimamente a dimostrare uno straccio di umiltà. Con ogni probabilità non conosceva neppure il significato di questa parola.
    “Ehi biondina, puoi dedicarci qualche minuto del tuo preziosissimo tempo?” iniziò a parlare con la sua faccia da schiaffi. Continuai a guardarlo senza dire nulla, in un primo momento, poi, pensai che qualcuno avrebbe dovuto metterlo al suo posto una volta per tutte!
    “Hai detto bene, il mio tempo è molto prezioso… perché mai dovrei sprecarlo con voi traditori?” affondai il primo colpo. “Ah… ‘biondina’ potrai chiamare tua sorella, se le farà piacere!” conclusi con tanto veleno nella voce, che neppure una vipera avrebbe potuto tenermi testa.
    “La ragazza si è alzata male questa mattina!” disse Federico rivolto al fratello e poi tornando a guardarmi con un sorrisetto stampato in volto, ma era palese che avrebbe preferito scorticarmi viva, piuttosto che continuare a parlare con me. Ma evidentemente era costretto. “Siamo qui per riscuotere delle informazioni, ricordi? Evie Frye ha fatto un lavoretto per voi!” sputò fuori con disprezzo, a sottolineare che lui piuttosto sarebbe morto.
    “Non erano questi i patti, cari miei! La Frye non ha affatto eseguito ciò che gli abbiamo detto… non ha ucciso la guardia! Dunque, quali informazioni vi aspettate?” risposi io, fredda come il ghiaccio.
    “Evie è quasi morta per togliere di mezzo la guardia che voi gli avete indicato! Non è sufficiente come prova di lealtà!” intervenne per la prima volta Ezio Auditore. La sua voce era rabbiosa, ma pareva meno guerrafondaio del fratello, che avrei più che volentieri preso a schiaffi.
    “Evie Frye ha messo volontariamente a rischio la sua vita per qualcosa che nessuno gli ha chiesto. È stata una sua libera scelta!” Io parlavo con noncuranza e accavallai la gamba con un movimento fluido. Fu allora che vidi uno scatto di Federico nella mia direzione. Era stato maledettamente veloce e se non fosse stato per il fratello che lo aveva fermato afferrandolo per la spalla e costringendolo a rimanere seduto, mi avrebbe certamente presa alla sprovvista.
    “Ascoltami bene, biondina. Non siete il Padreterno qui dentro quindi se non ci darete le informazioni per le quali abbiamo “lottato”, beh… consideratevi in guerra. Non dovrete più proteggervi solo dai Devianti, ma potrete di certo considerarci vostri nemici giurati. Quello che è successo fino ad ora e che abbiamo fatto solo per difenderci dai vostri attacchi, sarà nulla in confronto! Questo sarà o no un piccolo problema per i vostri piani di fuga da questo posto merdoso?!” Il suo volto era trasfigurato dalla collera e non potei fare a meno di osservarlo con più attenzione! La fronte aggrottata, gli zigomi disegnati e la bocca cesellata. Se non fosse stato tanto adirato, sarebbe stato anche affascinante. C’era solo un problema, anzi più d’uno. Era un Assassino originale, in aggiunta un Mentore, era tanto fastidioso quanto una mosca che ti ronza intorno per ore; per un ultimo e cosa più importante: non era Liam.
    “Ehi, calmati “biondino”, altrimenti rischi un infarto… e comunque, non posso fare nulla per voi… per te! Non siamo noi a prendere le decisioni, ma il Demone” confessai con aria afflitta. Come se mi interessasse un fico secco dei loro problemi. Intanto, non potevamo lasciare che continuassero a inficiare il nostro cammino qui dentro. Liam non aveva più tempo. Non potevo e non volevo immaginare cosa sarebbe accaduto se a breve, anzi a brevissimo ormai, non avessimo trovato un’altra dose di siero da iniettargli. Sarebbe stata una catastrofe senza precedenti. Il saldo equilibrio che, tutti insieme, avevamo con grande fatica raggiunto, si sarebbe incrinato e sarebbe stata la fine per i Grigi.
    I due mi guardarono stupiti. “E adesso chi sarebbe questo Demone?” chiese Ezio, del tutto esasperato dal continuo cambio di carte in tavola. Non potevo dargli torto, ma era questo il nostro gioco. Confonderli e stremarli anche a livello psicologico con mosse sempre nuove. Prima o poi sarebbe caduti nella nostra trappola.
    “Noi facciamo capo a ‘lui’, niente accade se non è ‘lui’ a volerlo. Anche gli attacchi che avete subìto sono stati una sua idea!” risposi loro senza nessun colore nella voce, ma con la intima speranza di attrarli e incuriosirli.
    “Vogliamo sapere di più!” azzardò il più piccolo degli Auditore.
    “Non ho nessuna intenzione di dirvi altro… perché dovrei farlo?” continuai sulla scia della testardaggine che avevo intrapreso fin dall’inizio.
    “Ricordi il discorsetto di poco fa sul fatto che saremo il vostro peggiore incubo?! Ecco, facci un pensierino!” rispose a denti stretti Federico. Sorrisi soddisfatta, ma loro non avrebbero potuto comprenderne il motivo. Era il momento di sganciare la bomba.
    “Va bene, vi dico solo questo: Cella 3B allo spegnimento delle luci” dissi io glaciale. Mi alzai dalla sedia, lasciando il mio cibo quasi intonso. Feci per andare via, ma quando fui al livello del maggiore dei fratelli, mi avvicinai sinuosa al suo orecchio, tanto vicino da poter sentire il suo profumo muschiato… non era nulla di artificiale. Non ci era permesso averne o indossarne. “Miraccomando sii… puntuale!” gli dissi in un soffio, stuzzicandolo come se si trattasse di un appuntamento. Buttai fuori una risata perfida e me ne andai, ancora prima che uno dei due potesse rispondere e con la certezza che ci saremmo rivisti molto presto.
     
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    :Ezio:
    Sembrava improbabile, visto la scarsa affidabilità che il gruppo che si faceva chiamare Assassini Grigi aveva dimostrato finora, ma alle 11 della stessa sera, quando iniziava il coprifuoco per tutti i residenti della prigione, udimmo in contemporanea allo scatto dello spegnimento delle luci anche quello, più prossimo, della riapertura della serratura. Non di tutte, come ci accorgemmo io e Federico mentre ispezionavamo l'area dove ci confinavano durante la notte. Ci muovevamo silenziosi e veloci, come eravamo addestrati da sempre. Federico camminava in avanscoperta, assumendosi implicitamente il controllo e la responsabilità delle nostre azioni. Se ci fossero stati dei problemi, se fossimo stati attaccati, sarebbe stato lui il primo a reagire. Era il modus operandi degli Assassini.

    Quanto mi straniava il non essere io ad assumermi il maggior rischio?
    Parecchio, ovviamente. Lo avevo fatto per secoli, mi ero abituato ad essere il punto di riferimento per gli altri. Avevo guidato la Confraternita di tutto il mondo con il mio confratello, Altair, a lungo. La avevo diretta da solo in un periodo critico della sua storia, per di più. Per me era ormai diventato naturale come respirare assumermi il ruolo con le sue responsabilità e gli onori che ne conseguivano.
    Poi era sopraggiunto un nemico più ostile e pericoloso di quelli che avevamo mai incrociato la nostra strada, una forza contraria che non si era mai mostrata ai nostri occhi, che non aveva mai chiaramente dimostrato quale fossero i suoi scopi e il suo volere.
    Era già accaduto che dovessi agire in situazioni che non comprendevo appieno, che richiedevano determinazione e saggezza anche quando la lungimiranza non era possibile per l'oscurità che si infittiva pochi passi avanti. Avevo fatto quello che potevo, cercando sempre di agire come una guida, come il capo che tutti conoscevano.
    Avevo combattuto per salvare la Confraternita, per proteggere i miei fratelli, per essere all'altezza della storia, per onorare il nome della mia famiglia. Avevo lottato per salvare chi amavo, senza pensare troppo alle conseguenze su di me. E quando finalmente mi ero arreso alla forza dei miei sentimenti, avevo perso tutto. Per anni.
    Troppo dolore e orrore affrontammo in quella guerra senza senso, e quando la soluzione dell'enigma pareva avvicinarsi, tutto scomparve.
    Ed io, solo io, mi ritrovai in questa prigione insolita e selettiva. Solo io possedevo certi ricordi, solo io arrancavo nel ricordare quello che per tutti era chiaro, oggettivo, condiviso. Mi sentivo scalzato via da tutto, come se vedessi e sentissi cose a cui nessun altro aveva accesso. Dopo i primi fraintendimenti, dopo l'iniziale disorientamento, feci quello che sapevo fare come il Maestro che ero.
    Mi mimetizzai.
    In mezzo ai miei compagni.
    Non era saggio raccontare a nessuno, nemmeno a Federico, quello che sapevo. Era inutile. Non tentai più di cercare la verità ad ogni costo, misi da parte questo bisogno fino a quando non fossi riuscito a fuggire.
    Cercai solo di recuperare i ricordi che non mi appartenevano il più velocemente possibile. C'era Pandia, in quei ricordi. Ecco ciò che mi dava speranza. La avrei ritrovata, se fossi riuscito a evadere dall'Abstergo. Questo mi bastava. Anche se lei non fosse più stata la mia Pandia, avrei trovato comunque la strada e il modo per raggiungerla, per ricostruire il mondo che mi era fuggito dalle mani appena creato.

    Facendo il giro delle celle degli altri detenuti, constatammo che quelle aperte erano solo due; la nostra e quella dove dormiva Altair.
    Con lui percorremmo il corridoio scuro e silenzioso, fino a raggiungere la cella 3B, quella che ci era stata indicata dalla bionda vistosa del gruppo. Il buio quasi assoluto, spezzato solo dalle luci di sicurezza sul pavimento, non era un problema. La vista dell'Aquila ci permetteva di riconoscere oggetti, muri, ostacoli e... persone acquattate dove le ombre erano più fitte.
    La colluttazione durò pochi secondi, e non un minimo rumore uscì dall'ambiente ristretto. Tre uomini abituati a combattere e uccidere come se fosse la loro seconda natura contro due ragazzine che per quanto brave, avevano uno svantaggio che non poteva contare neppure sulla sorpresa? Federico neutralizzò la Grigia che ci aveva fatto la soffiata con poche mosse letali; c'era un conto in sospeso tra di loro e notai come avesse cercato volontariamente lo scontro con lei. La immobilizzò con un braccio dietro la schiena e il suo attorno al collo, mentre io e Altair ci occupavamo dell'altra ragazza. Fu fin troppo facile renderle inoffensive. Fin troppo facile
    Federico soffiò rabbioso all'orecchio della ragazza: ”E allora? Tutto qua? Ci aspettavate per farci la festa, ma la vostra accoglienza è stata pietosa...”
    “Con calma, Originali! La festa non è qui, penserete mica che certe cose si possano fare così in bella vista? Conosciamo anche noi le regole del gioco”
    Non c'era traccia di sottomissione o preoccupazione nella sua voce, solo la lieve tensione dovuta alla pressione del braccio di mio fratello sul suo collo.
    ”Muoviamoci allora! Siamo stanchi dei vostri giochetti. Questi mezzucci per ottenere la nostra attenzione stanno esaurendosi. Non illudetevi di poter giocare ancora a lungo con il fuoco!” Altair si controllava a stento, come tutti del resto.
    ”Ma che paura! I grandi Assassini che minacciano delle ragazze solo perché riescono a tenergli testa! Dove è finito il vostro onore, e le gesta leggendarie che si narrano su di voi, saranno poi vere?”
    La voce soffocata dell'altra ragazza era intrisa di sarcasmo. Altair la tirò su dal letto dove la bloccava con un ginocchio in mezzo alla schiena. Le sibilò una minaccia:
    ”Dovresti tacere! Il vostro comportamento è inclassificabile! Sembrate dei bulli da quattro soldi, ma avete il coraggio di definirvi Assassini, come se una parola potesse donarvi l'onore che non avrete mai!”
    ”Siete voi a non meritarvi rispetto! La visione che avete è vecchia, antiquata, inadeguata. Non è così che si ottengono le cose!”
    ”Mentre voi sì, che avete capito tutto! Criticate senza sapere, senza ponderare. Siete degli opportunisti uniti da... da cosa? Quale ideale avete? Siete dei ragazzini che hanno solo voglia di ribellarsi, di non seguire alcuna regola che non sia la convenienza del momento. Non avete la più pallida idea di cosa significhi davvero essere degli Assassini!”
    La mia voce, anche se bassa, vibrava di rabbia. Non era davvero a loro che avrei voluto urlare tutta la mia contrarietà, perché ero consapevole di ciò che rappresentavano: solo un piccolo ostacolo sulla strada per uscire da lì. E per combattere i nostri veri nemici, coloro che comandavano l'intero pianeta: i Devianti.
    Federico spinse fuori dalla cella la ragazza, seguito da Altair con l'altra. Io chiudevo il piccolo gruppo che raggiunse senza imprevisti un'area appartata e segreta della prigione. La porta era chiusa a chiave e le ragazze la aprirono dopo altre minacce da parte nostra. Come era possibile che loro, come detenute, fossero in possesso di qualcosa che solo la Sicurezza avrebbe dovuto avere? Troppe domande senza risposta.
    Quando entrammo, le luci intense ci accecarono qualche istante, e un vociare sommesso segnalò la presenza di altre persone.
    ”Ottimo lavoro, Yulia, Yelena! Ora che ci siamo tutti, possiamo dare inizio ai divertimenti!”
     
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    Annarita
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    Sangue, tanto sangue, solo sangue. Ricopriva la mia divisa da prigioniero, le gambe, le braccia, le mani… Aprii le dita a ventaglio e le fissai intensamente. Non vi erano ferite evidenti ma non per questo smettevano di sgorgare liquido scarlatto a iosa. Le strofinai tra loro, cercando di pulirle, sul tessuto grezzo della giacca, sulla parete immacolata accanto a me. Strofinavo forte, ma non percepivo alcun dolore, come se quelle non fossero le mie mani. Un lampo. Iridi color dell’ambra mi fissavano. Un ghigno di disprezzo e di sofferenza mi costrinsero ad aprire gli occhi di scatto e il rumore tutt’attorno parve inghiottirmi. Avevo perso il contatto con la realtà solo per qualche secondo, eppure mi erano parsi un’eternità. Effetti collaterali dell’essere un Deviante Negato. Stavo sopprimendo la mia natura con un siero che uccideva le cellule al pari di una chemioterapia, se non peggio. Il risultato? Una lotta infinita, struggente, delirante. Più cellule “malate” uccidevo più ne nascevano per compensare quelle perdute, ma non potevo permette al cancro di prendere il sopravvento, non fino a quando la mia missione non sarebbe stata conclusa. Lo stesso corpo che iniziava di nuovo a perdere colpi. Il tempo di una nuova dose si avvicinava pericolosamente ed eravamo ancora chiusi in questa fogna, ma avevo preso in mano la situazione: avremmo presto avuto i riscontri desiderati, non c’erano alternative se non la morte.
    Gettai lo sguardo attorno a me, persone dai volti più o meno conosciuti si ammassavano contro reti metalliche che circondavano un ring a dir poco spartano. Due contendenti si stavano ammazzando di botte per un motivo senza importanza: noia? Svago? Non ne avevo idea e non mi interessava. Avevo un piano da portare avanti e quel posto era perfetto per procedere.
    Fissai alcune guardie con aria di sfida, seduto da una panca un po’ in disparte. I Devianti erano marci, erano marci dentro. Era bastato poco per circuirli, far leva sulla monotonia di un lavoro che li stava distruggendo e dare vita a uno “gioco” che potesse tenerli occupati. Incontri clandestini, scommesse, nessuna regola se non quella della sangue… non erano poi così diversi dagli esseri umani i bastardi! In un posto del genere avevo ampia libertà di movimento, i soldati erano ufficiosamente “fuori servizio” e non avrebbero rotto le palle.
    Volsi il mio sguardo verso una piccola anticamera che portava all’ingresso principale. Ero in attesa, febbrile attesa. Yulia e Yelena sarebbero dovute comparire da un momento all’altro, perciò mi avvicinai in modo da occuparmi personalmente del comitato di benvenuto. Quando sentii la serratura scattare, il mio cuore perse un battito e lottai con cinismo per continuare quanto avevo iniziato senza barcollare. Dovevo farcela e non solo per me.
    “Ottimo lavoro, Yulia, Yelena! Ora che ci siamo tutti, possiamo dare inizio ai divertimenti!” dissi con voce falsamente divertita e accogliente. Nell’anticamera eravamo al riparo da occhi indiscreti e anche i suoni della ressa arrivavano in maniera ovattata. Meglio così, dovevo preparare i miei ospiti prima di gettarli nella mischia. Percepii dietro di me l’arrivo degli altri miei compagni, Emir masticava un chewingum esibendo un sorrisino strafottente con Morrigan al suo fianco, Lin si era subito avvicinata a Yelena chiedendole con lo sguardo se stesse bene, mentre io facevo un cenno a Yulia di allontanarsi dagli Originali e venire al mio fianco. Solo quando fui sicuro delle loro condizioni, riportai la mia attenzione sugli Assassini Originali.
    Come previsto, avevo di fronte i fratelli Auditore e Altaïr Ibn-La'Ahad, le ragazze avevano fatto un ottimo lavoro! I loro sguardi truci non mi facevano nessun effetto, ma non mancai di notarne uno in particolare, del maggiore degli Auditore: fissava Yulia come se avessero un conto in sospeso. Alzai un sopracciglio, perplesso, ma non era il momento di soffermarsi su queste sottigliezze, Yulia sapeva cavarsela anche senza il sottoscritto.
    “È arrivato il momento di alzare la posta, dovrete seguire alla lettera le regole, altrimenti non saprete mai chi è il Demone e quali piani ha in mente per tutti noi…! Basta eroismi e colpi di testa. La vostra Assassina ha già mandato all’aria un primo barlume di accordo, spero che voi sarete più saggi!”
    “Basta parlare, coglione. Dicci cosa dobbiamo fare senza girarci troppo intorno.” La voce di Federico Auditore era arrivata affilata come una lama a interrompere il mio discorso. Lo fissai senza scompormi, notando come gli altri due si fossero irrigiditi, parevano pronti a difendersi da una ennesima imboscata. Come biasimarli.
    “È questo che ho sempre voluto: arrivare al sodo senza impedimenti, ma la signorina Frye non era del mio stesso avviso. Perciò, mi sembra un mio preciso obbligo mettervi subito in guardia. Seguite le regole questa volta e avrete le informazioni che cercate. Adesso venite con me!"
    Anche se sbuffante Federico fu il primo a venirmi dietro, gli altri due si mossero più guardinghi.
    Li lasciai abbracciare con lo sguardo il panorama, li lasciai assimilare “cosa” si faceva qui dentro, li lasciai immaginare cosa sarebbe venuto dopo. Poi ripresi a parlare.
    “Ci saranno due incontri nella gabbia. Uno di voi combatterà contro Emir, gli altri due avranno l’onere – o l’onore fate voi – di battersi contro il sottoscritto. Solo a incontri conclusi avrete le prime fondamentali informazioni!”
    “Non ti pare che queste continue ‘prove’ stiano diventando ridicole, O’Brien? Che senso hanno?” Ezio aveva parlato con tono pacato, ma il suo sguardo pareva perforare il mio. Strano, non sapevo il motivo, ma a pelle avrei detto che il maggiore dei fratelli fosse lui. C’era un vissuto in quel volto che pareva andare oltre il comprensibile.
    “Non si tratta affatto di prove, al contrario. Questa sera ho promesso uno spettacolo indimenticabile alle guardie. In qualche modo devo pur tenerle buone e ‘soddisfatte’, altrimenti come potrebbe esistere tutto questo?” Con un cenno del braccio indicai il manipolo di bastardi che urlavano sempre più eccitati alla vista del sangue.
    “E cosa succede se non riusciamo a batterti?” Questa volta era intervenuto Altaïr, pratico come sempre. Non aveva messo in dubbio la vittoria su Emir, ma io… beh, forse ai loro occhi rappresentavo un pericolo diverso. Mi ritrovai ad ammirare quel pensiero strategico che aveva fatto storia nella Confraternita, ma mi morsi subito il labbro quando un sorriso compiaciuto stava per fare capolino.
    “Tranquilli, avrete lo stesso ciò che volete. Devo solo mantenere il mio impegno con le guardie, dopodiché potremo occuparci dei nostri affari!” Esibii la mia migliore poker face e si dovettero accontentare di quella, perché annuirono tutti e si guardarono tra loro. Era arrivato il momento di decidere chi avrebbe combattuto. “A voi la scelta!” dissi alla fine, consapevole di aver fatto un altro passo verso la risoluzione del tutto: un altro tassello era stato inserito nel mosaico!


    Edited by KillerCreed - 9/4/2020, 19:53
     
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    Per tutto il tempo rimasi con le braccia conserte ed il mio solito cipiglio altezzoso quando guardandomi intorno non fui per nulla stupito da ciò che vidi quanto più infastidito. Sarà stato il lungo tempo passato con Aphrodite, ma non apprezzavo particolarmente la rozzezza di tali combattimenti ed atteggiamenti. Sarò stato un Assassino puro, ma non c'è era nulla che più amavo che i lavori puliti. Letali e ben fatti. Nulla in quel fight club da quattro soldi aveva a che vedere con la mia idea di combattimento, seppur non mi era nuovo.
    Sembrava di rivedere i bassi fondi di Acri, quelli dove già allora guardavo con fare schivo le zuffe di strada, quelle su cui c'era chi scommetteva e chi faceva la cresta guarda caso non facendo mai arrivare i soldi nelle tasche dei poveri o dei mal capitati convinti a combattere.
    In silenzio di fronte a me i fratelli Auditore stavano discutendo sul da farsi, su come affrontare la situazione ed etc... per nulla d'accordo su come procedere, mentre io mi ero già tolto la casacca da detenuto e rimasto a petto nudo li guardai con le mani sui fianchi.
    "Avete finito?" chiesi notando che solo allora entrambi si erano accorti della mia mise.
    “Ci pensi tu?” mi chiese Federico quasi divertito e non ne capivo il motivo.
    "E' un ragazzino impulsivo non tanto diverso da Jacob. Se combatte come lui in addestramento non sarà difficile batterlo..." esclamai sicuro di me. Come sempre. Mentre passando tra i due mi accinsi ad entrare nella gabbia.
    Mi guardai intorno fissando i volti dei presenti, mentre le loro urla mi urtavano il sistema nervoso, forse soprattutto perchè la maggior parte erano in tedesco ed avevo imparato che era una lingua che mi infastidiva. Così rude. Così poco melodiosa. Orribile.
    “Uh la Signorina ci ha fatto l'onore di unirsi a noi... sicuro di non aver paura che ti si spezzi un'unghia?” mi sbeffeggiò Emir guardandosi intorno e ridendo di me, sicuro e contento di come tutti tifassero per lui e lo incitassero a colpirmi e prendermi in giro.
    Io lo ignorai, ma quello mi prese alla sprovvista e calciandomi mi strinse la vita spingendomi all'indietro e schiacciandomi contro la rete della gabbia del ring. Iniziò ben presto a caricarmi con una serie di colpi violenti, continui e decisi, ma a dir poco scoordinati.
    “Hai abbassato la guardia, qui non ci sono regole non durerai più di 2 minuti...” mi urlò in faccia provocatorio, mentre io mi dedicavo a parare i suoi colpi sulla difensiva.
    "Sei veloce e forte, ma non hai tecnica... immagino che il tuo caro O'Brien non sia un granché come Maestro!" risposi a tono prima di venir colpito prima in viso da un suo pugno, che mi fece cadere a terra, e poi un calcio in faccia che mi spaccò il labbro.
    Emir stava già alzando le braccia vittorioso ed io ghignai. Esattamente come pensavo. Dagliela vinta per un secondo e lo sbruffone si darà le arie, il momento perfetto per colpire e così feci. Approfittai della sua disattenzione per alzarmi e piantagli un pugno sul costato, poi mentre si piegava per il colpo ricevuto, gli diedi una gomitata nell'incavo del collo e conclusi con un colpo netto alla gola che lo fece barcollare togliendogli il respiro. Lo spinsi all'indietro contro la grata del ring, parai un suo pugno e lo calciai ad un ginocchio costringendolo a inginocchiarsi per poi colpirlo al volto. Ormai era a gattoni e mi bastò un ultimo calcio al ventre per metterlo ko.
    Lo guardai per niente colpito dal fatto di aver vinto. Era scontato. Mi voltai dunque cercando lo sguardo di Liam, pensava di continuare a lungo o ci avrebbe dato finalmente ciò per cui eravamo venuti?
    "Mi sono stancato O'Brien... esci allo scoperto e dacci ciò che ci devi... ORA!" e la mia non era una richiesta.
     
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    Annarita
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    Avevo seguito il combattimento con un’attenzione quasi spasmodica e non perché desiderassi vedere un particolare vincitore. Mi rendevo conto di quanto Emir fosse tecnicamente inferiore ad Altair. Il mio adepto sapeva colpire forte e veloce, ma mancava di disciplina e controllo. Avevo impiegato le mie migliori energie per fargli comprendere l’importanza di mantenere la calma, ma fallendo miseramente. Perciò, avevo mirato a rafforzare le singole caratteristiche di ognuno dei miei Assassini, in modo da creare un’unica macchina da guerra infallibile: Emir rappresentava la testa d’ariete, Yulia la tenacia, Morrigan l’astuzia, Yelena e Lin erano quasi complementari, una sorta di Yin e Yang generante una forza distruttiva: luce e tenebre, sole e luna, perfettamente intercambiabili nelle loro peculiarità. Ed io… ero il collante, la mente calcolatrice che si serviva impunemente dei suoi figli dandogli al contempo uno scopo nella vita. Avevo smesso di sentirmi in colpa per questo da quando Yulia – un giorno molto lontano ma non per questo meno nitido – mi aveva confessato cosa rappresentassi per quel gruppo di ragazzini male in arnese: una speranza. E allora avevo capito quanto fosse reciproco il bisogno e i relativi benefici. Così era iniziata una strana avventura che continuava ancora adesso, mentre guardavo Emir andare al tappeto e udivo Altair urlarmi contro.
    Le labbra si piegarono in un sorriso diabolico, un altro passo era stato compiuto, adesso bisognava proseguire.
    Gli ordini di Altair mi scivolarono addosso, la mente totalmente votata al prosieguo della missione. Mi levai la giacca della divisa e restai in canottiera bianca. Prevedevo già che si sarebbe imbrattata a dovere ma la cosa anziché preoccuparmi mi calmava. L'impassibilità era la mia migliore arma, creava una distanza tra me e le cose che mi permetteva di ragionare, calibrare, organizzare. Riuscivo a chiudere fuori rumori molesti, immagini inutili, concentrandomi solo sull'obiettivo finale.
    Morrigan si era precipitata per aiutare Emir, ancora privo di sensi, a lasciare il ring, affiancata quasi subito da Lin e Yelena.
    ”Adesso tocca a noi…” urlai verso i fratelli Auditore per sovrastare le voci eccitate di quella dannata bolgia. Ma in un attimo Altaïr mi fu addosso con l'intento di farmi sputare le informazioni che li aveva portati fin qui, mi schiacciò contro la parete della rete metallica tenendomi stretto dal collo. Io non avevo mosso un solo muscolo e la mia espressione continuava ad esprimere semplice disappunto. Cosi non andava affatto bene!
    ”Vi ho già spiegato i passaggi che bisogna seguire per arrivare alla meta, se non combattiamo le guardie saranno molto scontente e con ogni probabilità faranno qualche cazzata che non ho intenzione di sopportare. Quindi o la smettete di rompere il cazzo e seguite le mie regole oppure potete tornarvene nelle vostre celle con un pugno di mosche in mano… a voi, di nuovo, la scelta ma che sia quella definitiva perché sono davvero stufo”. La mia voce era uscita fuori strozzata per via della pressione sulla trachea ma non per questo aveva perso la sua inflessione incolore. La mano di Ezio sulla spalla di Altaïr calmò il Mentore e questa cosa mi parve ancora più strana in un contesto simile, ma fui sollevato di poter tornare a respirare normalmente. Senza aggiungere altro mi avviai verso il ring e solo quando mi voltai verso i miei avversari seppi che erano già in posizione, letali e impietosi come solo i veri Assassini sapevano essere. Scrocchiai i legamenti del collo e respirai a fondo, dovevo giocare bene le mie carte se non volevo rimetterci le penne. Altaïr da solo era spaventoso, ma non mi illudevo di poter battere tanto facilmente i fratelli Auditore in contemporanea. Strinsi forte il pugno, sentendo il profilo di una piccola lama incidere la pelle: sarebbe stata la mia salvezza e il segnale convenuto affinché un altro tassello del piano andasse al suo posto.
    Il combattimento iniziò senza esclusioni di colpi, come avevo previsto il primo attacco era stato simultaneo e lo respinsi con non poca difficoltà, raggranellando una costola incrinata e qualche contusione di troppo. Era andata bene. Tuttavia, non attesi un nuovo affondo, dovevo agire in fretta altrimenti non avrei più avuto dalla mia l'effetto sorpresa. Mi gettai su Federico, bersagliandolo con una serie di diretti e montanti, alternati da calci rotanti che lo avevano costretto ad arretrare verso la rete. Attesi di sentire dietro di me l'incombere di Ezio prima agire. A quel punto, gli fui addosso e gli conficcai la mia piccola lama artigianale in un fianco. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio e potei vedere nelle sue iridi il riflesso del mio stesso profilo. Inespressivo. Gli occhi erano sgranati in segno di stupore, ma si riempirono di rabbia e disprezzo dopo aver ascoltato le mie parole.
    ”È necessario, Auditore, per poter incontrare il Demone dovete andare in un posto terribile, da cui non è mai previsto alcun ritorno. Il livello 2 è la destinazione finale, anche se non sarai tu ad andarci…” Sfruttai l'effetto sorpresa per allontanarmi e lasciare che Ezio vedesse il sangue sul corpo del fratello. Non poteva sapere che avevo colpito senza intaccare organi vitali, ma il sangue era copioso e la reazione dell’Assassino assolutamente prevista. La scelta della vittima era stata improvvisa, mi ero detto che uno sarebbe valso l'altro, ma nello studiare Ezio in quei pochi minuti avevo capito che a Livello 2 lui avrebbe avuto un ottimo potenziale, o almeno era ciò che speravo. I miei pensieri furono bruscamente interrotti dal suo attacco repentino, che mi scaraventò con lui al tappeto. ”Sono necessari dei sacrifici per raggiungere la meta, tienilo a mente…” gli sussurrai sibillino in un orecchio, prima di indicare con un cenno suo fratello, bersaglio diretto di un pestaggio violentissimo da parte delle guardie. La mia ferita non l'avrebbe di certo ucciso ma non ero sicuro che sarebbe sopravvissuto a lungo sotto quella pioggia di colpi. Lo stesso pensiero dovette avere Ezio, perché ben presto mi liberò dal suo peso e si scagliò su una guardia per allontanarlo da Federico e in quell'esatto istante vidi Altair entrare nella gabbia. Il sapore del sangue sulla lingua fu una specie di presagio: tutto stava andando come programmato!
     
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    Vedere il sangue sul corpo di Federico fu rivivere un incubo che non si era mai sopito. Il terrore di perdere qualcuno che amavo, quante volte avevo dovuto attraversare questi momenti? Non avevo ancora finito di pagare lo scotto dei miei privilegi?
    Non avevo mai davvero avuto qualcuno al mio fianco, se non i primissimi anni della mia vita, con la famiglia che era stata decimata da un complotto. E poi, per anni, per secoli, avevo dovuto subire più e più volte il dolore del distacco. La mia anima si era logorata, i miei occhi si erano spenti alla gioia e all'entusiasmo. Anche quando avevo ritrovato il coraggio di amare, di far entrare nel mio cuore il tocco di un'altra persona, ero di nuovo passato in mezzo a questi momenti infernali. Non mi ero mai arreso alla vita, ma cominciava ad essere sempre più faticoso farlo. Basta...
    Ignorai O'Brien, preferii salvare mio fratello dal violento pestaggio delle guardie, che fino a pochi secondi prima facevano da spettatori allo spettacolo cruento che i Grigi avevano allestito per vincere la noia. Perché quel bastardo, che tanto era ossessionato dal rispetto delle sue regole, permetteva ora che venissero infrante? Perché invece di intervenire lasciava che continuassero a massacrare mio fratello già a terra e inerme?
    Erano tre uomini, vestiti in abiti civili. Compresi che fossero guardie perché non erano visi che riconoscevo degli altri prigionieri. La furia e l'aggressività con cui li attaccai mi bastò per atterrarli tutti senza che potessero organizzare una minima parvenza di difesa. In pochi secondi, i loro corpi ansimanti e sofferenti erano sul pavimento. Non li avevo uccisi, il mio codice d'onore non contemplava la libertà di ammazzare chiunque volessi. Dovevo proteggere mio fratello, non eliminare dei nemici dell'Ordine, perciò bastava che li rendessi inoffensivi. Questo ero io, principi e onore fino all'ultimo. E non mi rimproveravo mai per questa scelta.
    Con uno sguardo veloce, controllai il resto della situazione: Altair era rientrato nella gabbia e si stava confrontando verbalmente con il Grigio. Urlavano, ma le loro parole si confondevano con i rumori e le grida bellicose che riempivano la stanza illuminata a giorno da riflettori che rendevano ogni oggetto, contorno e persona più nitido, crudo e allucinante nella brutalità del contesto.
    Mi chinai su Federico. Era ancora cosciente, anche se davvero malridotto. Lo aiutai delicatamente a mettersi seduto, appoggiandogli la schiena alla rete della gabbia.
    ”Dobbiamo andarcene di qui velocemente, e portarti in infermeria, stai sanguinando troppo e potresti avere lesioni interne ancora più gravi!”
    La sua mano si posò sul mio braccio, lo afferrò con una foga dettata dalla collera e dall'ostinazione.
    ”No, non ancora! Quel porco ora dovrà mantenere la parola e darci risposte che ci servono!”
    ”No, Federico, non sarà così!” Gli urlai con rabbia: ”E' una trappola!”
    Mio fratello mi guardò per una frazione di secondo, poi i suoi occhi si portarono sopra la mia spalla, sgranati:
    ”Attento!”
    Ebbi solo il tempo di girarmi, prima che una serie di colpi mi investì con ferocia. In un angolo della mente, registrai un numero di attaccanti troppo alto per poterlo sopraffare a mani nude. Registrai anche che erano uomini armati, e in divisa antisommossa. Guardie che fino a pochi secondi prima erano nascoste. Ebbi la certezza che quello che avevo intuito fosse verità: O'Brien ci aveva raccontato solo delle frottole, ci aveva manovrato con abilità per i suoi fini.
    Cercai di rialzarmi per potermi difendere, e contemporaneamente mi posizionai davanti a mio fratello, che non aveva la forza di muoversi né tanto meno di intervenire per darmi un aiuto. Sottrassi un manganello alla guardia più vicina e con quello misi al tappeto due avversari, riuscii a spezzare qualche osso, a guadagnare un po' di spazio per muovermi, a guadagnare un po' di tempo.
    Notai tra uno spiraglio e l'altro di quei soldati, quasi un esercito, che un altro gruppo simile per numero e equipaggiamento si stava accanendo su Altair. Non lo vidi, ma lo capii istantaneamente, dato che poco lontano il Grigio stava in piedi a braccia conserte, a osservare con un ghigno soddisfatto lo spettacolo.
    Ad un ordine secco che provenne da un punto indefinito i soldati si spostarono, aprendo un varco in mezzo alle loro divise corazzate.
    Poi un sibilò attraversò il silenzio innaturale che si era creato, seguito da altri suoni uguali e minacciosi. Mi sentii strattonare alla spalla, mentre un dolore acuto si irradiava dal punto colpito. Giusto il tempo di controllare la ferita, che non sanguinava, per capire cosa mi aveva colpito, che altri proiettili di gomma mi centrarono lo stomaco, le gambe, il viso, senza darmi tregua. Mi accasciai per il dolore. Erano di gomma, non penetravano la carne, ma causavano fratture, danni a organi interni, contusioni. Uno mi aveva colpito al plesso solare, e respirare era complicato.
    Non riuscii più a reagire quando tornarono all'attacco. I colpi che ricevetti alla testa, ovunque, senza neanche più distinguere cosa e chi mi colpiva, aprirono ferite e lacerazioni. Crollai sul pavimento.
    Volsi lo sguardo verso Federico, sconfitto. C'erano altre guardie che si stavano occupando di lui, che lo stavano portando via tra spintoni e pugni. Negli occhi di mio fratello, occhi così diversi da quelli che ricordavo, che avevo dovuto imparare a conoscere di nuovo, c'era rabbia, odio, vendetta, ma soprattutto preoccupazione. Per me, per tutti noi.
    Rantolando, provai a rialzarmi ma non riuscii senza farmi colpire nuovamente. E alla fine, anche la mia lotta terminò. Svenni, senza avere la certezza che mi sarei risvegliato.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 11/4/2020, 17:53
     
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