Present Day #2020: Imperial Palace

Season 5

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    Cristina
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    :Endymion:
    Il ritorno su Haumea mi riservò un’amara sorpresa.
    Trovai Hybris ad attendermi. Le braccia incrociate ed il suo solito isterismo ad accompagnarla. seduto davanti alla mia illusione che continuava a intimargli di
    “Hai disobbedito al Re, noto. Chissà perché non me ne meravigli.” commentai spavaldo guardandola con un sopracciglio alzato.
    Eravamo cresciuti insieme, da quando lei orfana e giovane si era rifugiata nell'unico posto dove Hyperion e la sua caccia al Deviante non avrebbero mai osato cercarla: sul pianeta d'esilio del suo odiato nipote. Il legittimo erede al trono.
    Due ragazzini cresciuti pieni di odio e senso di vendetta che avevano trovato in tali sentimenti l'unico train d'union. Wiseman, la forza oscura che dominava quel pezzo di roccia, ci aveva preso sotto la sua ala protettrice. Ci aveva cresciuti, addestrati ed infine ci aveva fatto sposare convinto che la nostra unione avrebbe rafforzato l'Impero e così era stato. Tuttavia non c'era amore che ci legava ed ahimè, nemmeno rispetto.
    Ero stato assente per andare dai nostri pochi alleati in cerca d'aiuto a fronte dell'attacco che stavamo subendo e mentre avevo chiesto ad Hybris di andarsene, di occuparsi dell'evacuazione della popolazione, lei come sempre mi aveva ignorato facendo di testa sua.
    “Qualcuno deve pur indagare su chi sia la causa di tale attacco non trovi?”
    “Lo sappiamo già! Hyperion! Ci illudevamo davvero che prima o poi non ci avrebbe attaccato? Che il fatto che io sia qui lo avrebbe tenuto lontano?"
    “Vaneggi! L'orgoglio di quel misero Titano è troppo grande per un atto del genere, ma per Perseo no!”
    “Lo odi dal primo giorno!"
    “E a ben vedere! Si è insinuato come una serpe in seno, Wiseman ti ha avvertito... ti ha detto che poteva essere pericoloso. Un falso alleato e così è stato. E' lui la causa di tutto questo! Vuole sminuirti agli occhi del popolo, farti passare per un inetto mentre lui sconfigge la minaccia che lui stesso ci ha riversato addosso! Ma io non permetterò mai che nè lui nè la sua sgualdrina ci rubino ciò che con fatica abbiamo costruito. E tu? Lo permetterai? ”
    Guardai Hybris con la mascella contratta. Il suo veleno quella volta andò a segno e mi spronò ad accettare la realtà. Ero stato tradito. Di nuovo. Lei e Wiseman avevano ragione, permettevo troppo spesso alla mia parte da Eterno di prevalere. Fiducia, speranza e verità erano valori in cui dovevo smettere di credere.
    Fu così che orgoglioso mi feci strada fino a palazzo dove nella sala del trono trovai un Perseo strafottente sul mio trono. Mi fissò divertito mentre avvicinava il calice alle labbra, lasciando che il pregiato nettare di Haumea lo rinfrancasse. Andromeda al suo fianco ci sfidava con lo sguardo.
    “TU lurido traditore! Ti ho aperto le porte del mio regno e mi ripaghi così?” gli urlai contro adirato. In tutta risposta lui scoppiò a ridere.
    “Ti avevano avvisato TU hai deciso di non ascoltare... Io non ho mai celato le mie intenzioni, sei tu ad non averle viste!”
    Beffardo si alzò vendendo incontro, sicuro e convinto della sua vittoria. Quanto stolto poteva essere? Lo osservai impassibile e solo quando mi fu abbastanza vicino ghignai questa volta io divertito. Lui non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo che già Hybris era arrivata alle spalle di Andromeda e con la sua energia oscura aveva creato una lama con la quale conficcò il costato della donna. Affondò la lama fin quando non le trafisse il cuore, mentre il suo urlo strozzato moriva sotto quello lacerante di Perseo.
    "Non guardarmi così. Ho infranto le tue speranze? Mi si spezza il cuore a vederti così afflitto…" lo presi in giro, mentre con una mano ed un gesto annoiato aprì un portale per la dimensione oscura dentro quale lo gettai. Era risaputo che ciò equivaleva ad una sorte peggio della morte.
    Hybris soddisfatta mi osservava lieta di come il nostro piano fosse andato come sperato, ma adesso non avevamo tempo da perdere, avevamo un pianeta, ma sopratutto, un nome da salvare.
     
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    :Selene:
    La luce lontana e fredda delle stelle illuminava debolmente la sala del trono, silenziosa e disabitata. Il soffitto di cristallo riceveva il debole barlume e rifrangeva il chiarore, moltiplicandolo così da farlo sembrare più potente di quello che effettivamente era. Solo ai margini, dove la luce non riusciva ad arrivare, regnava l'oscurità. I miei passi erano lievi e silenziosi, diretti al centro dell'ampia sala. Davanti a me si innalzava la piattaforma e i due troni, che prima di me ed Endymion erano stati occupati dai miei genitori. I ricordi che li riguardavano erano ancora fonte di disorientamento, così come tutti quelli legati alla vita che non avevo mai vissuto, ma che faceva ormai parte della mia realtà.
    Rimpiangevo molte cose della mia precedente situazione, e non sapevo se sarei mai riuscita a ottenerle ancora. Quello che più mi addolorava era la perdita del legame strettissimo con alcune guerriere, che si era formato nel corso del lungo soggiorno che avevamo passato sulla Terra, ultime sopravvissute dei nostri popoli. Il dolore che avevamo attraversato come un deserto ostile ci aveva unite in maniera indissolubile, mentre in questa nuova storia, dove molti accadimenti erano diversi, il nostro rapporto non aveva avuto modo né ragione di crearsi.
    Ed ecco che era successo che Athena, Ares, Nike e Aphrodite avevano disubbidito alle mie disposizioni, ed erano fuggite nell'Impero dei Devianti per salvare i loro compagni. Oltre al rischio di innestare una guerra senza precedenti, avevano lasciato dei sostituti a coprire i loro ruoli ufficiali, indebolendo quindi in maniera inevitabile i loro pianeti.
    E non era solo questo. Avrei tanto voluto la saggezza di Athena, l'imparzialità di Nike, la fermezza di Ares e la lievità di Aphrodite a darmi consiglio e sostegno, davanti a questa nuova sfida che stavamo affrontando noi Imperatori.
    Ero stata informata la sera precedente dell'ultimo attacco avvenuto su Giove, sulla particolarità dell'avversario che avevano affrontato le guerriere più giovani assieme ai miei Moon Knight.
    Un morto, o un redivivo, dotato di poteri incredibili.
    Chi aveva potuto creare un simile mostro? E scoprire quale scopo aveva il mandante, che necessitava degli oggetti più sacri e preziosi dei pianeti, sembrava essere un rebus insolubile. Cosa avevano in comune le Sacre Acque di Mercurio, i Sacri Testi di Venere e l'Oro del Pianeta Rosso se non che rappresentavano l'essenza stessa della cultura di questi popoli? Mi stavo facendo distrarre nuovamente dalle troppe domande, anche se erano poi queste che mi guidavano nella giusta direzione.
    Alzai lo sguardo e lo lasciai vagare tutto intorno, mentre sopprimevo un tremito di freddo che non arrivava solamente dal contatto del pavimento gelido con i miei piedi scalzi. Pensai solo in quel momento che avrei dovuto avere l'accortezza di mettermi addosso qualcosa di più caldo, invece di fuggire dal mio letto e dal mio amato come se stessi rincorrendo una visione vaga, anche se in verità era davvero così: sapevo che qualcuno sarebbe apparso qui, per minacciarci.
    Un debole rumore attirò la mia attenzione tra le ombre più fitte. Non mi sorprese che colui che attendevo non avesse usato la porta per arrivare, sapevo che non ne aveva bisogno.
    “Vieni alla luce, cosicché possa vedere il tuo viso!”
    Una risata bassa e offensiva mi gelò il sangue, perché conteneva tutta la malvagità che si potesse mai immaginare. Distinsi una sagoma imponente fare alcuni passi nella mia direzione. Quello che non avevo previsto era la presenza di un'altra persona, insieme all'uomo che mi stava squadrando con le mani sui fianchi. Una figura femminile e minuta, non per questo meno inquietante, nel suo atteggiamento.
    “Non era te che volevo incontrare, se avessi potuto scegliere. Il mio sangue urla ancora vendetta contro il tradimento ignobile di chi ora si crede un sovrano saggio e rispettabile, ma che per arrivare dove è ora non ha mai esitato a calpestare chi lo intralciava”
    Rimasi immobile come una statua, i miei pensieri che frullavano impazziti come le ali di un uccellino in gabbia. Nella mia visione c'era lui, e tanto sangue. Sapevo che era collegato al mio sposo, perché avevo intravisto anche il suo viso, distorto in una rabbia implacabile. Forse era anche per questo motivo che avevo preferito non destarlo, non avere la sua presenza nell'affrontare questa minaccia.
    Ciò che legava me ed Endymion non era più quel legame di comunione assoluto che ci aveva fatti innamorare nell'altro universo. Qui non condividevamo le nostre anime, il nostro amore era nato in situazioni diverse, forse ancora più dolorose, ma si era sviluppato e rafforzato in maniera unica e ferrea. Nonostante il nostro legame fosse saldo, avvertivo che molto del suo passato mi era stato celato, tenuto lontano come se fosse una pagina troppo ripugnante di cui parlare. Sapevo che era stato cresciuto e allevato da un mago potente e oscuro, che gli aveva instillato l'odio per i suoi persecutori. In questo, non era diverso dal mio Endymion, però... il fatto che non aveva mai voluto parlarmi di quegli anni, che si fosse sempre riparato nel silenzio mi aveva lasciato sconcertata.
    Potevo dire di conoscere davvero il mio amato? Di conoscere ogni suo pensiero e impeto interiore? Potevo davvero... fidarmi di lui, nonostante lo amassi più del mio respiro, nonostante fossi disposta a rinunciare a tutto pur di avere lui e il suo amore?
     
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    Annarita
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    :Thot:
    Avevo decisamente bisogno di una doccia. Questa era ormai una certezza visto lo sguardo strano che Horus mi rivolgeva dal suo trespolo di cristallo. Dopo la battaglia conto Atalanta su Giove non c’era stato verso di rivederla con sembianze umane! Ero certo di essere io il problema visto che con le altre Guerriere non aveva alcun problema a dismettere le piume. La fissai di sottecchi, mentre lei mi gettava occhiate fugaci cariche di sospetto.
    “Lo so, non faccio una doccia da quando siamo stati su Giove, ma non mi sembra il caso di fare così tanto la schizzinosa!” la stuzzicai, avvicinandomi un po’ e sfiorandole il becco con la punta del dito. Horus mi beccò di rimando, irritata. Fece un male cane ma non lo diedi a vedere, troppa soddisfazione altrimenti. Sogghignai, poi cominciai a sfilare l’armatura: la sentivo pesante come un macigno, tanto quanto il terribile fallimento appena portato a casa. Avevamo catturato Atalanta ma non ne eravamo riusciti a cavarne un ragno dal buco e, come se non fosse abbastanza, non avremmo più avuto occasioni per riprovarci. Mi feci pensieroso, ogni traccia di leggerezza era scomparsa dal mio volto, mentre levavo le protezioni delle braccia e delle gambe, assieme agli artigli d’acciaio. Sospirai e a passi pesanti mi diressi verso la camera da bagno per terminare di svestirmi e buttarmi nel box doccia. Di sfuggita, colsi un movimento di Horus: aveva nascosto il becco sotto un’ala color della pece. Davvero credeva che mi sarei spogliato davanti a lei? Ma… certo, ovvio, il “vecchio” Thot non aveva di questi problemi! Un moto di rabbia mi colse improvviso e il mio respiro divenne affannoso.
    “Puoi stare tranquilla, Horus. Per questa volta ti priverò della vista di cotanta bellezza…” La mia voce voleva apparire divertita, sollecitare uno sguardo del volatile che si azzardò a guardarmi solo dopo qualche istante di troppo: era convinta che le stessi riservando un tiro mancino! Solo quando si rese conto che dicevo la verità si rilassò un po’. Io, dal mio canto, scossi il capo e mi rifugiai in bagno. Questa situazione mi faceva infuriare, questa mancanza di fiducia personale, questi pregiudizi che mi etichettavano come un villano senza un minimo di tatto. In realtà? Non era il comportamento di Horus a rendermi tutto difficile, ma i ricordi che io avevo dentro di me.
    Il “vecchio” Thot non aveva mai avuto remore a cambiarsi d’abito di fronte a lei, a comportarsi come se fosse un mero animale da compagnia e non una donna… vera. Ok, era anche un’aquila ma questo non voleva dire che fosso solo quello…! ”Arghhhhh! Che cazzo!” Sarei andato al manicomio di questo passo, altro che Conte di Marte e Generale dei Moon Knights! Respirai a fondo, mentre con rabbia sfilavo via la maglietta e i pantaloni di lino che tenevo sotto l’armatura. Una volta nudo mi guardai allo specchio e ciò che vidi non mi piacque [“solo a te caro, perché a noi piace tanto” (cit. ruolante XD)]. I miei lineamenti erano distorti dall’ansia… Horus mi metteva ansia! Lasciai che l’acqua bollente se la portasse via, assieme alla rabbia e alla frustrazione. Dovevo stare calmo e gestire ogni cosa come un adulto senziente e non come un adolescente alle prime armi.
    Restai sotto il getto caldo forse per troppo tempo, oppure la stanchezza degli ultimi giorni mi stava giocando qualche brutto scherzo, perché un capogiro mi costrinse ad addossarmi alle piastrelle lucide per non crollare. “Forse è meglio uscire da qui prima di combinare guai…” mi dissi concitato, quasi come se ciò potesse comportare davvero una catastrofe. E sapevo bene a cosa dovevo la mia ansia ritrovata: Horus si sarebbe accorta che qualcosa non andava e fedele al suo ruolo di “guardia del corpo” sarebbe stata costretta ad entrare. Ed io questo non lo volevo, affatto!
    Mi gettai fuori dal box doccia quasi strisciando e proprio in quel momento udii bussare alla porta.
    “Brava, ragazza. Non entrare, sto bene, finisco di asciugarmi ed esco… Non entrare…” Mormorai tra i pensieri, un po’ confusamente forse perché ciò che sentii subito dopo mi lasciò interdetto.
    “Thot, che succede? Non stai bene!” Eccola la splendida voce che ricordavo e che avevo iniziato ad apprezzare in un’altra vita: Horus si era trasformata in donna.
    “Nessun problema, solo l’acqua… credo fosse troppo calda… adesso vengo fuori…” risposi a voce alta, cercando di tenerla il più ferma possibile. In realtà, non era quel piccolo malore a farmi temere uno sbalzo di tono, piuttosto l’emozione di sentirla ancora, vibrante e melodiosa. Ok, era anche un filino sostenuta, come se stesse trattenendo il fiato o qualsiasi altra cosa dentro di sé. E credevo di sapere esattamente cosa: il disprezzo che provava per il sottoscritto.
    Non replicò, speravo di averla tranquillizzata davvero ma nel dubbio mi asciugai alla bell’e meglio e indossai i ricambi che tenevo sempre a disposizione. Era la volta di un pantalone di cotone molto simile alle tute sportive che si usavano sulla Terra, tolto per il fatto che qui non esistevano gli elastici. Sorrisi al pensiero che se qualcuno mi avesse chiesto come facevo a sapere una cosa del genere, non avrei potuto rispondere in alcun modo. Completai la tenuta con una casacca senza maniche, anch’essa di cotone… anche se, in effetti, mancavano ancora cose importanti e no, non erano le scarpe. Scalzo, tornai nella camera, incrociando subito lo sguardo preoccupato di Horus. Il disprezzo che credevo di aver udito oltre l’uscio pareva scomparso… forse me l’ero sognato? Oppure era ciò che speravo.
    “Sto bene, te lo ripeto. Ho solo avuto un capogiro per la temperatura troppo alta dell’acqua… mi ci stavo addormentando sotto…” precisai con voce tranquilla, annegando nelle sue iridi di ossidiana. Annuì poco convinta, prima di compiere il tipico gesto che anticipava la sua trasformazione in aquila… “No, non farlo!” dissi all’improvviso, con un tono forse più alto del previsto perché la vidi sobbalzare. In realtà non avevo una motivazione valida per giustificare la mia richiesta, di certo non valida per la diretta interessata che mi guardava con sguardo interrogativo. “Non voglio stare da solo…” mormorai infine, di getto.
    “Da solo? Non me ne sto mica andando? Horus era stranita, un po’ come lo ero io. Così sospirai, pronto ad affrontare le conseguenze della mia avventatezza.
    “No, lo so, ma quando sei in forma umana mi sembra di avere una vera amica al mio fianco…” Strizzai un po’ gli occhi, in attesa della sua reazione, mentre mi dirigevo verso il mobile su cui avevo riposto i monili che non indossavo mai in servizio. Gli stessi di cui avevo stranamente bisogno per sentirmi me stesso… Strano vero? Il “vecchio” Thot era così simile a me che mi terrorizzava. Non apprezzavo come si era comportato con Horus, anzi, lo odiavo se proprio dobbiamo essere sinceri, tuttavia la sua esperienza da giramondo mi ricordava molto la mia esperienza come mercenario. Anche nella mia precedente vita avevo l’abitudine di “prendere” un pezzo del luogo in cui mi trovavo per una qualche missione e portarlo via con me. Non che volessi ricordare questo o quell’altro omicidio, ma in ogni posto era come se lasciassi a mia volta un pezzo della mia anima. Forse per questa ragione, quando avevo salvato la vita di Pandia, mi ero ritrovato completamente vuoto dentro ma stracolmo di oggetti addosso. Oggetti che avevo prontamente gettato una volta divenuto Generale dei Moon Knights. Ma, ma, ma questo non aveva niente a che fare con ciò che ero adesso… Il mondo girò ancora una volta trasformandosi in un’infida girandola, costringendomi ad aggrapparmi ai bordi del mobile. Horus, in un attimo, fu a un passo da me. Mi strinse il braccio e mi sostenne come se fosse davvero la mia àncora nella tempesta. Peccato che gran parte della tempesta era proprio lei a provocarla…
    “Non lo fare! Smettila di dire che stai bene. Da quanto non dormi? E non mangi dall’ultima colazione con Iuventas!” mi apostrofò zittendo ogni mia protesta. Evitai di guardarla, nel tentativo di acquietare il cuore che aveva cominciato a battere all’impazzata. Afferrai al volo ciò per cui mi ero avvicinato al mobile e mi lasciai indirizzare docile verso il letto, nella speranza che quel contatto durasse in eterno. Era strano, ma la mia debolezza non era dovuta alla mancanza di cibo, avevo superato cose ben peggiori. Era colpa di tutta questa confusione, i ricordi che si sovrapponevano, a volte fondendosi altre respingendosi come se fossero cariche elettriche di uguale segno. Quando si allontanò per ordinare qualcosa da mangiare quasi boccheggiai per la sua improvvisa assenza. Ero stanco, sì, dannatamente stanco di vivere tra due mondi.
    Respirai piano, a fondo, mentre infilavo uno per uno i monili che mi appartenevano e che raccontavano una storia che non avevo davvero vissuto… o forse sì? La voglia di urlare mi travolse, ma la repressi… irrigidendo tutti i muscoli del corpo. Dovevo solo tenere duro fino a quando la normalità non avrebbe avuto la meglio. Speravo solo che non ci avrebbe messo un’altra vita, non ne avevo a disposizione una terza, di questo ero certo.
     
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    :Horus:
    Eravamo alle solite. Prendermi cura del mio compagno come se fosse più della mia persona, anticipare i suoi bisogni, prevedere le sue azioni, rappresentare un punto saldo nella sua strategia in battaglia.
    Questa era la gloria del nostro ruolo di compagni alati, e quando ero ancora una ragazzina ingenua un tale sogno mi aveva spinto oltre ogni limite per ottenere l'investitura che già portava lustro alla nostra famiglia grazie a mia madre e alle mie sorelle.
    Avevo scelto una strada faticosa, impegnativa, costellata di sacrifici, e mai me ne ero pentita.
    Però avrei voluto cancellare certi momenti, come questo, per esempio.
    Correvo per i corridoi deserti del Palazzo dopo aver fatto una sortita nelle cucine imperiali e aver riempito un piccolo cesto con quello che avevo trovato. Della frutta, principalmente. Quella che Toth prediligeva, gli esemplari più maturi e perfetti che avevo trovato.
    Essere al suo fianco aveva voluto dire prendermi cura di lui, svolgere il mio ruolo di assistente, molto spesso simile a quello di una cameriera personale. Molte volte lo avevo raccolto ubriaco fuori dalla porta della stanza, prestando ascolto senza avere scelta ai suoi vaneggiamenti rabbiosi, se aveva litigato con compagni di bevute, oppure lamentosi, se qualche sua conquista non era andata come desiderava.
    Oh, quanto avrei voluto ignorare questi obblighi particolari. Quanto avrei voluto confidarmi con mia madre, per capire se fossi obbligata a subire queste esperienze.
    Lo avrei fatto, se già non avessi previsto la sua risposta. Il legame tra il compagno alato e il marziano era sacro, indissolubile, come un matrimonio senza talamo. Quindi sì, avrei dovuto continuare ad assisterlo anche quando toccava il fondo con le sue azioni dissolute, immorali e squallide.
    Sarebbe stato tutto più agevole se il sentimento che provavo per lui non si fosse mai palesato, non mi fossi mai resa conto che il trasporto e l'assoluta abnegazione con cui lo servivo avesse come motore un sentimento che sfiorava il concetto dell'incesto, nella mia cultura natia.
    Tornai alla nostra stanza con l'affanno, tutta la mia fretta dovuta alla preoccupazione che comunque non riuscivo a nascondere per quello sciagurato.
    Non sapevo se covavo più rabbia per la sua condotta o per i miei sentimenti; avevo imparato con gli anni ad accettare entrambe le cose senza farmi troppo condizionare. Non troppo almeno.
    Aprii la porta e lo trovai dove lo avevo lasciato, seduto sul letto, pensieroso.
    Le sue mani erano raccolte al petto, e gli occhi posati sopra a quello che era poggiato sui palmi. Strinsi gli occhi per la collera: quello che fissava con tanto trasporto era un braccialetto di turchesi, quel braccialetto. Quello che si era tenuto come ricordo di quella missione sulla Terra, nel paese di Grecia. Quel giorno in cui mi aveva umiliata, insultata, lui e quello sciocco del suo compagno di venture. Da quel giorno, tutto era cambiato, e solo peggiorando.
    Quando mi vide entrare, invece di indossarlo come sempre lo poggiò accanto a sé sulla coperta.
    Presi una mela dal cesto. Resistetti alla tentazione di tirargliela addosso. Non mi sfuggì l'involontario aspetto risibile che avrebbe avuto il mio gesto: il temibile guerriero attaccato da proiettili vegetali. Gliela misi sotto il naso.
    ”Mangia almeno questa. Non ho trovato altro di meglio a quest'ora...”
    Sottrassi velocemente la mia mano al suo tocco, come tutte le altre volte in cui aveva cercato di concedersi libertà che mi infastidivano molto.
    Intendevo il nostro rapporto improntato al massimo rispetto, vivevo la mia missione sempre con il massimo onore, e questi suoi approcci, così inusuali per i suoi modi, erano ulteriori umiliazioni e svilimenti del mio incarico.
    Toth continuava a guardarmi senza muovere un muscolo, e il suo atteggiamento metteva a rischio la solidità delle barriera che avevo eretto per mantenere l'indifferenza quando il suo menefreghismo mi colpiva duramente.
    Mi girai per poggiare il cesto sul mobile al fianco della porta. Gli concessi qualche secondo perché decidesse, una volta tanto, di abbandonare la disattenzione che mostrava per me.
    Invece, quando tornai a guardarlo, era sempre lì, la mela ora posata in grembo. Uno sdegno cocente mi strinse la gola. Mi avvicinai con decisione, sentendomi come una madre che rimprovera il bambino che fa i capricci.
    ”Non essere...”
    Non riuscii a terminare la frase per la sorpresa. Toth aveva bloccato il mio movimento per rimettergli la mela sotto il naso afferrandomi il polso. Scosse la testa lentamente, la sua voce sembrava arrivare da lontanissimo.
    ”Non voglio più niente di tutto questo...”
    Sgranai gli occhi, e sentii contemporaneamente le lacrime cominciare a pungere agli angoli. Aveva davvero espresso un'intenzione così grave? Voleva forse rinunciare ad avere un compagno alato, nonostante fosse un prestigio che solo i migliori tra loro possedevano? Oppure – e qui il mio cuore fu trapassato da uno spillone infuocato – ero io a non andargli più bene? Forse solo così si poteva spiegare lo strano comportamento che aveva con me da qualche tempo a questa parte!
    Mi morsi il labbro inferiore per evitare di tremare al solo pensiero del disonore che avrei portato a me e alla mia gente se fosse avvenuto un simile rifiuto. Sarei morta, piuttosto che vivere una simile vergogna.
    Tentai una difesa, perché, in tutta coscienza, sapevo di non aver fatto nulla di tanto riprovevole da potermi accusare di indegnità nello stargli accanto come compagna. Non avrei buttato via tutto solo per una semplice frase, per un momento di noia o stanchezza da parte sua.
    Lentamente ma con decisione mi liberai dalla stretta. Lui era strano, come non lo avevo mai visto, sembrava non essere neanche del tutto presente a sé stesso. Il suo malessere aveva delle cause che non comprendevo.
    Mi appoggiai al mobile con le gambe che mi tremavano. Dove era andato tutto il mio coraggio, tutta la tempra che avevo coltivato per affrontare ogni periglio? Stavo combattendo per me stessa, e non avrei gettato le armi al primo attacco. Parlai con tono fermo, basso e controllato.
    ”Cosa sta succedendo? Ti sono sempre andata bene per tutto questo tempo, la nostra collaborazione ha sempre avuto questi condizioni. Perché vuoi che cambi qualcosa?”
     
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    Permisi al mio sguardo di percorrere i lineamenti alterati di un viso che stavo imparando a conoscere di nuovo. Horus tentava di rimanere calma, di mantenere intatta la sua espressione impassibile, di non mostrare l’uragano che la stava sconvolgendo dall’interno. Ma furono le sue parole a confermare ogni mia supposizione.
    “Cosa sta succedendo? Ti sono sempre andata bene per tutto questo tempo, la nostra collaborazione ha sempre avuto queste condizioni. Perché vuoi che cambi qualcosa?”
    Un leggerissimo tremore aveva accompagnato l’ultima sillaba e a quel punto il mio cuore si spezzò in due metà perfette. Un lato voleva dirle tutta la verità, voleva confessarle la mia identità e cos’era realmente successo. L’altro lato sapeva bene che avrei infranto regole universali di cui non avevo nessuna nozione, anche se ero dannatamente certo della loro esistenza. Perciò, optai per una soluzione “di mezzo”, come recitava un antico detto terrestre: “La virtù sta nel mezzo”. Espirai piano una quantità d’aria che non ricordavo neppure di avere inalato, prima di lasciare che il mio capo ondeggiasse in segno di diniego.
    “E’ proprio questo il punto. La nostra collaborazione ha sempre avuto queste condizioni. Condizioni che a me non stanno più bene per motivi che non potrei spiegarti neanche se lo volessi.” Iniziai a dire, prima di cercare di alzarmi da quel maledetto letto, dovevo parlarle faccia a faccia per farle capire l’importanza di quanto stavo per dire. Ma il mio corpo non voleva collaborare, barcollai pericolosamente e subito alzai un braccio per bloccare Horus e qualsiasi suo intervento di soccorso”. “E’ questo che deve finire. Non devi correre ogni volta che ho un giramento di testa! Non ho bisogno di una balia, di una cameriera, né di una crocerossina…” La vidi sgranare gli occhi e immaginai che il suo stupore fosse dovuto solo in parte alla parola di cui ignorava il significato: come diavolo poteva sapere che cosa fosse una crocerossina? Ma non mi diedi per vinto, dovevo farle capire bene il concetto. Raddrizzai la schiena e alzai il mento, fiero, i miei occhi scuri piantati nei suoi. “Da ora in avanti avrai una stanza tutta tua, dove la sera andrai a riposare e dove potrai decidere in quale forma passare il tuo tempo; non dovrai preoccuparti se mangio, dormo o se invece decido di diventare un asceta; al mattino ci rincontreremo, faremo il punto della situazione e affronteremo i compiti che ci competono, una volta terminati tu sarai libera di congedarti e fare ciò che più ti piace.” La mia voce era bassa, ma sembrava quasi rimbombare in quella stanza come se stessi emettendo un decreto reale. Feci qualche passo nella sua direzione, senza interrompere il contatto visivo anche se la testa girava vorticosamente. Temevo che quanto stavo facendo fosse il motivo per il quale il mio malessere non accennava a passare, anzi aumentava di momento in momento, parola dopo parola: stavo interferendo con la mia nuova realtà e in qualche modo ne stavo pagando le conseguenze. Trattenni un conato di nausea artigliandomi il labbro inferiore con i denti, solo quando percepii il sapore del sangue in bocca mi concessi di continuare. Non avevo finito. Horus, dal suo canto, non osava fiatare, con ogni probabilità la sua mente stava elaborando questo cambiamento di rotta tentando di dargli un significato plausibile. Purtroppo non ce l’aveva e non ce l’avrebbe mai avuto ai suoi occhi. “Horus, non voglio rifiutarti come compagno alato, non credo che riuscirei davvero ad esistere senza di te. Tuttavia… ho capito… che al mio fianco voglio un consigliere fidato, un pari grado e solo se mi riterrai degno anche un’amica. Nulla di più… nulla di più…” La nausea era diventata insopportabile e percepivo stille di sudore rigarmi le tempie. Solo quando tentai di parlare, ancora, mi resi conto di non avere molta aria nei polmoni. Nel pugno stringevo il bracciale di turchesi che portavo con me da tempi immemori, che idiota ero stato? Forse il vecchio Thot voleva ricordare a se stesso il suo fallimento? Desiderava averlo sempre presente come un monito a non sbagliare più? “Come hai fatto a non renderti conto di quanto profonda fosse diventata la sua ferita…?” Gli chiesi, in un dialogo interiore che mi fece realmente capire in che stato delirante mi trovassi. Fissai per un attimo il palmo adesso aperto, laddove le pietre rimandavano il riflesso di una mia fiera decisione e quello distorto di una Horus divisa tra mille sentimenti che non ero in grado di discernere.
    Feci ricorso agli ultimi barlumi di forza che la Luna quella notte mi aveva donato e feci sparire il monile, disintegrandolo tra le dita. Tornai a guardarla anche se avevo la sensazione che in questo stato non sarei riuscito a decifrare nessuna delle sue emozioni, speravo solo che mi stesse prendendo sul serio e che la sua accettazione facesse scomparire ogni residuo di confusione.
    “Prima che tu lo dica: non sto delirando, non sto scherzando, né ti sto prendendo in giro… non lo pensare neanche…” Speravo fosse sufficiente, perché io di più non sarei riuscito a fare… Doveva essere un nuovo inizio… ne avevo bisogno più dell’ossigeno, e lo avrei avuto anche a costo di rimetterci del tutto il legame con Horus, tanto anche così era irrimediabilmente compromesso. Non avevo idea di cosa mi avrebbe risposto, ma non l’avrei fatta uscire da questa stanza senza averne ricevuta una.
     
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    :Horus:
    Stupidaggini. Tutte stupidaggini.
    Sentivo la rabbia crescere e fondersi con la disperazione. Non ero mai stata una persona che si faceva incantare dalle belle parole, come quelle che aveva pronunciato Toth per rassicurarmi.
    Non lo credevo stupido, né tanto meno così ingenuo da ignorare le conseguenze di quanto stava proponendomi.
    Un compagno alato sceglieva il proprio campione per la vita. Le regole erano chiaramente stabilite prima ancora di cimentarsi nel processo di selezione e scelta dei due. Erano obbligati a passare l'esistenza insieme, a stretto contatto, e solo la morte o, in casi gravi come il tradimento o un atto la codardia, il ripudio, poteva separarli.
    Un legame solido, un affiatamento perfetto, una mente sola per due corpi. Tutto questo affinché durante le sacri fasi della battaglia, il campione potesse accedere a molteplici informazioni senza neppure rendersi conto da chi le ricevesse. Era una commistione non di anime ma di intenti e di razionalità. Non era una banale intesa che derivava dalle ore trascorse in palestra o sul campo di addestramento.
    Con la sua decisione mi stava relegando al ruolo di semplice collaboratore: il mio impegno avrebbe perso qualsiasi significato.
    Potevo urlare e piangere, muoverlo a compassione, fare leva sull'emotività per estorcergli una promessa, una confessione, una ritrattazione. Ma avevo ancora una dignità, fino a che non me la avrebbe fatta perdere agli occhi di tutti, quindi ressi il suo sguardo che quasi mi intimoriva, tanto era colmo di determinazione, e parlai con fermezza:
    ”Dici di non volermi cacciare, ma come pensi che verrà accolta dalla tua famiglia e dalla mia gente questa decisione? Mi allontani da te, dalla tua persona, per buona parte del tempo. Devo ricordarti io cosa è un compagno alato? Non è un semplice commilitone, con cui allenarsi e parlare di strategia. Potrai urlare ai quattro venti che nulla cambierà tra di noi, ma non sarà così agli occhi degli altri. Io sarò comunque infamata dalla tua decisione. Verrei richiamata sul mio pianeta, e punita. Non è così che si realizza un rapporto di fiducia o si ottiene un consigliere fidato”
    Fiducia
    Le parole pronunciate da Toth mi avevo colpito come uno schiaffo, e solo ora, riflettendoci, compresi il motivo del loro effetto. Muovevano una parte di me, quella che ignoravo accuratamente per evitare di cedere davanti alle storture che non volevo vedere.
    Quanta fiducia avevo in lui? In battaglia, avrei dovuto affidare la mia vita alle sue capacità, così come lui avrebbe dovuto affidarsi a me per ottenere un vantaggio in più sui nostri nemici. Ma da quanto non era così? Da quanto mi ero chiusa ad ogni altra preoccupazione che non fosse di provvedere alla sua salvaguardia, senza peraltro contare sul suo supporto per la mia?
    Ero diventata solo questo: una cameriera, pronta ad accorrere in qualsiasi ora del giorno e della notte, come una qualsiasi fantesca... Aveva ragione lui...
    Cominciavo a comprendere le sue motivazioni. Non capivo cosa aveva prodotto questo cambiamento in lui, ma ora mi rendevo conto che ciò che mi stava chiedendo era comprensibile e condivisibile.
    Chinai il capo. La rabbia era svanita, rimaneva il vuoto della disperazione. Non avrei pianto davanti a lui, ma forse avrei dovuto rinunciare all'alta idea che avevo di me, e accettare che non ero perfetta e ineccepibile, avevo anzi commesso grossi errori.
    Povera Horus, troppo presa dai tuoi sentimenti e dagli aspetti pratici del tuo ruolo per renderti conto che stavi andando alla deriva nei tuoi compiti più importanti!
    Inoltre, ero preoccupata dalla sua condizione fisica. Non stava bene. Barcollava, e non voleva aiuto. Perché me lo nascondeva, contraddicendosi mentre mi chiedeva di fidarmi di lui? Cosa stava evitando di dirmi? Era come se stesse combattendo una battaglia da cui voleva escludermi. Questo, tra le tante cose che stavano succedendo, aveva il potere di ferirmi maggiormente.
    Avevo passato parecchio tempo persa nelle mie amare riflessioni, e lui era rimasto fermo a pochi passi di distanza, paziente. Avvertivo la sua tensione, ma non capivo.
    Fissavo senza realmente vedere i frammenti del monile che aveva distrutto, incomprensibilmente. Un altro pezzo dell'enigma che era diventato Toth che non sapevo collocare, perciò decisi di ignorarlo.
    Era arrivato il momento di capire quanto davvero tenessi al mio ruolo, e quanto fossi disposta a sacrificare per mantenerlo. Le mie parole furono sussurrate, ma il silenzio della stanza le rese perfettamente e dolorosamente nitide:
    ”So di aver sbagliato. Ma ti prego, non cacciarmi. Il mio posto è qui. Se mi allontanassi, sarebbe uno scandalo dalle conseguenze orribili. Il nostro rapporto non resisterebbe a tutto questo, in nessuna forma, perché si snaturerebbe...”
     
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    “[…]Verrei richiamata sul mio pianeta, e punita. Non è così che si realizza un rapporto di fiducia o si ottiene un consigliere fidato!”
    Dovetti premere un pugno chiuso contro le labbra per non cedere alla nausea. Una contrazione terribile pareva voler distruggere il mio stomaco. Le parole di Horus erano talmente reali da trasformarsi ben presto in lame affilate. Stavo davvero facendo la cosa giusta? Stavo davvero muovendo mari e monti per ridare dignità a una guerriera che aveva perso il senso di ciò che significava un rapporto simile? E non potevo definirmi innocente perché la causa di questa trasformazione ero io. L'avevo indotta a disprezzarmi, a starmi accanto solo per dovere, e la sua reazione non mi sorprendeva affatto. Ma non risposi, sapevo che stava riflettendo e cosi anche io, ero pronto a mettere un'intera tradizione in discussione per una mia esigenza? Ero egoista, irresponsabile, egocentrico… ma non riuscivo a ritrattare ciò che avevo appena detto, ero una persona terribile, un conte e un generale senza onore. Questa volta mi morsi una guancia, la confusione aumentava assieme al dissidio interiore, percepivo distintamente il “vecchio” Thot dimenarsi per far prevalere la Ragion di Stato – maledetto codardo! – mentre io cercavo di non svenire. Horus non meritava il disonore, ma volevo davvero che capisse a cosa miravo. Lo desideravo con tutto me stesso… e sembrò che le mie preghiere venissero ascoltate perché le frasi che pronunciò dopo mi lasciarono interdetto.
    “So di aver sbagliato[…] Il nostro rapporto non resisterebbe a tutto questo, in nessuna forma, si snaturerebbe…!”
    Horus aveva chinato il capo e quel gesto ebbe la forza di dilaniarmi. Non lo stava facendo per deferenza ma per una sorta di vergogna per ciò che la stavo costringendo a fare… A quel punto il fuoco prese a divampare e potevo sentire distintamente ogni oncia di forza prosciugarsi all'aumento della temperatura interna. Non volevo perderla, non volevo umiliarla, non era sua la colpa, dannazione!
    In pochi passi barcollanti fui di fronte a lei, le circondai il volto con le mani e la costrinsi a rialzarlo.
    ”Guardami, guardami, guardami, non odiarmi Horus, non farlo ti scongiuro. Il mio scopo è cancellare il disprezzo e l’ostilità che ormai caratterizza un rapporto che, lo sai bene, dovrebbe essere diverso, molto diverso. Ma tu… tu non hai nessuna colpa. È tutta mia invece, ho ceduto alle mie paure nascondendomi dietro i miei doveri. Ho generato tutto questo, ti ho reso schiava di un legame insoddisfacente, ho annullato la fiducia che un tempo, troppo lontano, ci legava. Tu sei il mio Compagno Alato, la mia forza, la mia guida, i miei occhi… il mio cuore.” Il “vecchio” Thot era terrorizzato, se avesse potuto mi avrebbe zittito con un bel pugno nei denti e forse era lui la causa del dolore sordo che sentivo alle tempie, mi annebbiava la vista e questo non lo tolleravo: volevo guardare Horus negli occhi. Nonostante ciò non mollai, dovevo andare fino in fondo a costo di rimetterci la vista. Perciò continuai, liberandola però dal mio tocco, sapevo bene quanto lo detestasse. ”Se dobbiamo essere una cosa sola, tutto questo deve finire. Saprò riconquistarmi la tua fiducia, ma ho bisogno che tu me ne dia la possibilità. E con questo non ti chiedo di cancellare il passato, anche se personalmente vorrei farlo eccome, ma di non chiudere le porte, di lasciare uno spiraglio che mi permetta di respirare… di respirarti, Horus. Mi sei mancata da morire…” Stavo andando troppo oltre, me ne rendevo conto. Non capivo più dove iniziavano i miei pensieri e quelli del mio alter ego, spilli infuocati mi si conficcavano nel cervello e lo torturavano senza tregua. Avevo bisogno di un time out, altrimenti avrei ceduto di schianto. Tentai di incamerare ossigeno, distogliendo lo sguardo da quello di Horus. Come potevo spiegarle cosa stava accadendo? Non che io lo capissi, non nei dettagli almeno. Si trattava di sensazioni, talmente vivide da trasformarsi quasi in certezze. Dovevo smettere di lottare con questa realtà se volevo tornare a stare bene. Ma lei aveva compreso ciò che le chiedevo? Avrei avuto davvero una possibilità di recuperare un rapporto che sembrava ormai compromesso? Perché poi lo desideravo cosi tanto? Temevo che non fossi l'unico a volerlo, anzi dentro di me “il codardo” aveva iniziato a sperare che il mio lavoro sporco portasse davvero a un successo di qualche tipo. Probabilmente questa flebile speranza aveva permesso alla mia vista di snebbiarsi un po' e persino la pressione alla testa parve diminuire… ”Brutto figlio di… mi fermai solo per rispetto a quella madre che mi aveva generato senza abbandonarmi. Tuttavia, non trovai il coraggio di tornare a guardare Horus, il timore di una chiusura totale aleggiava intorno minaccioso, anche se il cuore batteva forte come un tamburo nella folle sensazione che qualcosa sarebbe cambiato e non necessariamente in peggio.
     
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    :Horus:
    Alzai le mani, con i palmi rivolti verso Toth. Questo fece in modo che lui facesse un passo indietro, che mi liberasse dalla sua presenza incombente.
    Mi staccai dal mobile al quale mi ero appoggiata perché sostenesse le mie gambe e nel contempo la testa che vorticava, piena di pensieri amari e spossanti.
    Ora non ne avevo più la necessità, perché improvvisamente, alle parole e al gesto così intimo di prendermi il viso tra i palmi, come fossimo due teneri amanti coinvolti in una conversazione affettuosa, qualcosa dentro di me si era risvegliato, palesando la sua presenza in maniera violenta e netta.
    Paura.
    Paura legata ad un sentimento primordiale di vergogna e peccato. Un terrore che non avevo patito fino a che non avevo sfidato le leggi del mio popolo.
    Mi allontanai fino a che non guadagnai una distanza di sicurezza da lui, dal suo corpo, dal suo sguardo. Tutto di lui rappresentava una minaccia inaccettabile al mio mondo.
    Non mi girai, preferivo nascondere il viso e lasciare che tutte le emozioni intense e contrastanti si sfogassero liberamente, almeno sull'unica parte di me che potevo celargli senza che si insospettisse. Non sarei riuscita a controllarmi ulteriormente, già il mio corpo era teso come una corda per rimanere immobile, le mani strette a pugno con le unghie conficcate nei palmi per darmi una sensazione di controllo che non era comunque sufficiente.
    Mi ero odiata per troppo tempo, quando avevo scoperto i miei veri sentimenti per Toth.
    Sentimenti proibiti, immorali, disonorevoli: la società alla quale appartenevo era fondata su leggi rigide, e una delle più sentite e rispettate era quella di potersi accoppiare solo con individui appartenenti alla nostra tribù.
    Era considerato indecente amare chi non era di Koronis, ma io avevo fatto anche di peggio. Mi ero innamorata del mio Campione.
    Se fossi stata così imprudente da lasciare che qualcuno, anche tra i miei stessi simili, lo capisse, avrei rischiato la pubblica condanna. Sarei stata più che disonorata o esclusa dalla mia comunità. Dato che avrei anche violato e reso impuro il solenne accordo che esisteva da millenni con i governanti di Marte, sarei stata condannata, insultata, incarcerata, condannata a morte.
    Il solo pensiero di quanto il mio sentimento fosse disonorevole mi provocava una stretta alla gola che mi impediva di respirare.
    No, Toth non aveva colpa, se il nostro rapporto era degenerato ad un tale livello di pochezza e fallimento. Ero io che mi ero illusa di trovare la soluzione ai miei drammi rifuggendo da tutto quello che si avvicinava troppo all'unione con la persona che amavo. Avevo creduto che sarei riuscita a mantenere, come un bravo equilibrista, tutti i piatti in movimento. Che sarebbe stato facile continuare a servire il mio campione anche senza concedergli attenzioni troppo personali.
    E invece avevo fallito, e il disastro di cui era convinto di essere il solo responsabile era invece totalmente una mia scelta.
    Mi asciugai di nascosto le lacrime che avevano bagnato le guance senza che me ne rendessi conto. Per chi piangevo? Per me, per la delusione che ero.
    Non avevo ottenuto nulla.
    Allontanarmi, isolarmi, aveva solo distrutto il rapporto sacro che avrei dovuto costruire con lui, mentre non era servito in alcuna maniera a spegnere o affievolire i sentimenti che dovevo combattere a tutti i costi.
    Io non disprezzavo Toth, anche se avrei voluto: mi sarebbe stato più facile ignorare i miei sentimenti. Il suo volersi avvicinare, il suo toccarmi all'improvviso, i suoi modi premurosi erano continui attacchi alle mie difese, fragili e disperate.
    Dovevo cercare un nuovo equilibrio con lui, avere la forza di aprire la mia anima alle sue richieste. Dovevo tornare a fidarmi di lui, a considerarlo una persona degna di stima e di rispetto, senza per questo superare quei limiti troppo labili nel mio cuore che sconfinavano in ammirazione, attrazione, amore.
    Sarei stata abbastanza forte? Non avevo altra scelta, e forse era meglio così. La forza la dovevo trovare, o tutto sarebbe finito in questo esatto momento. Presi un grosso respiro, poi ruppi il silenzio con voce ferma e senza inflessione, lasciando fuori le emozioni che ancora mi pesavano sul cuore:
    ”Te lo prometto... da oggi in avanti, farò in modo che il nostro rapporto cambi. Ti rispetterò come dovrei fare, e ti concederò la fiducia che non ti sto dando da molto tempo. Ma...”
    E qui mi girai di scatto, lo fissai negli occhi decisa.
    ”Dovrai mostrarmi anche tu il rispetto che mi merito. Continuerò a stare al tuo fianco, mi impegnerò con tutta me stessa per essere il compagno alato che desideri, però dovrai accettare che questo è il mio posto!”
    Repressi un brivido per l'audacia che mostravo nell'imporre delle condizioni, nell'oppormi così nettamente al suo volere espresso. Non avevo mai osato chiedere qualcosa per me, ma credevo che proprio questo richiesta mi aiutasse a tracciare una riga netta tra il mio comportamento passato e quello nuovo che lui voleva.
    ”Inoltre...” Feci un passo nella sua direzione ”Ora mi dirai che cosa sta succedendo, e non mi nasconderai i motivi del tuo malessere, credendo che non mi accorga di nulla!”
     
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    "Allora?"
    “Niente!”
    "Sicuro?"
    “Assolutamente!”
    Osservavo Myles con le braccia conserte al petto dopo che per l'ennesima volta mi aveva riportato la solita risposta. Niente.
    Gli avevo dato appuntamento nell'Atrio dei Quattro Venti uno dei miei luoghi preferiti quando ero sulla Luna. Si trovava nel grande parco del Palazzo Reale e si presentava come un ambiente ottagonale a cielo aperto, con un bel pavimento a mosaico, sulle cui pareti rivestite di travertino trovano posto nicchie con le statue che rappresentavano i caduti della famiglia Imperiale e decorazioni musive a grottesche.
    Spesso quel luogo era teatro di giochi d'acqua durante feste o ricevimenti, ma anche disattivo manteneva il suo fascino.
    Osservai pensierosa lo sguardo di Hyperion di fronte a me prima di tornare a guardare il Templare che mi aveva raggiunto.
    "Dunque non ci sono stati movimenti sospetti da e verso la Terra è corretto?"
    “Esatto. Come Templari Patrol lo sapremmo. E' nostro compito assicurarci che nessun oggetto con proprietà particolari o persona con poteri usi gli stessi contro l'Impero o le sue direttive. Ma dimmi perchè ti interessa tanto?” la voce di Myles si era fatta più bassa, mentre con le mani nelle tasche e quell'atteggiamento canzonatorio aveva mosso un passo verso di me.
    Io che non mi spostai di mezzo millimetro e guardandolo dall'alto in basso, piena della mia grandissima stima lo affrontai senza timore.
    "Perchè sono una Guerriera, è tra i miei compiti assicurarmi che tutti rispettino le regole..."
    “Comprese le tue amiche?” affondò lui, mentre io mi mordevo il labbro ed ingoiavo il rospo. Sorrisi piegando il capo da un lato, probabilmente credendo di avermi messo spalle a muro ed io glielo lasciai credere prima di affondare la mano nel suo petto e strappargli il cuore.
    "Vattene e dimenticati di cosa abbiamo parlato! Per te sarà stato solo un tentativo di abbordaggio andato male. Andrai via, umiliato e con la coda tre gambe..." sibilai al suo cuore prima di rimetterlo al suo posto e fissandolo notando come la vergogna si impossessava di lui e velocemente si allontanava mentre io ghignavo soddisfatta.
    Andava bene che credesse che ci aveva provato con me ed io l'avevo respinto, soprattutto perchè ora avevo la mia risposta.
    "Oggetti e persone... giusto come ho fatto a non pensarci prima!?" mi chiesi mentalmente scuotendo il capo e voltandomi affrontando lo sguardo della bellissima Theia, statua collocata esattamente di fronte a quella del marito. Negli altri due angoli Helios ed Eos.
    Ero preoccupata. Ero certa che Iuventas mantenesse contatti con la sorella e non gliene facevo una colpa, anche a me e Vesta mancava Aphrodite come Athena a Partenope, ma contattarle voleva dire mettersi in pericolo ed io nonostante quello che le altre credessero volevo proteggerle. Potevo concordare o meno con la scelta delle Guerriere scese sulla Terra, ma sicuramente confidavo nel fatto che nemmeno loro avrebbero voluto mettere in difficoltà le persone a cui tenevano.
    Dovevo parlare con Iuventas e mettere un guinzaglio a quel maledetto cane, ma fu proprio mentre mi voltai decisa per il mio intento che per poco non sbattei contro il dorso impettito di Haytham. Mani dietro la schiena ed il suo solito cipiglio infastidito.
    “Non sapevo fossi in confidenza con Lee”
    "Non sapevo fossi geloso" lo provocai come al mio solito.
     
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    :Haytham:
    Cerere era sulla Luna. Notizia sicuramente non fondamentale per la sicurezza dell’Impero Lunare, ma molto importante per il sottoscritto. Il perché? Non chiedetemelo, la risposta sarebbe una sequela di scuse più o meno elaborate ad hoc per essere plausibili. Nel corso degli anni – dal nostro famoso incontro/scontro su Venere – avevo capito che questo “giochino di intenti” poteva essere un ottimo escamotage per rifuggire dalla realtà: avevo un certo interesse per Cerere. Contro questa realtà però avrei potuto elencare tanti di quei dissensi da far invidia a un vecchio brontolone e… nessuno dei due termini erano stati scelti a caso. Rispetto a lei avevo la mia veneranda età, primo dei dissensi; non mi ero mai lamentato del mio aspetto fisico – forse perché non me n’era mai importato davvero – ma da quando l’avevo conosciuta, il paragone con la sua bellezza sfolgorante era diventato di prassi; da qui, l’odio viscerale per il suo ex ragazzo-ameba. Come potete constatare, tutte riflessioni che mal si addicono a un guerriero veterano qual è il sottoscritto. Eppure, non ero in grado di metterle a tacere davvero, restavano sempre lì, ronzanti, fastidiose, inopportune.
    Sbuffai contrariato, per l’ennesima volta da quando era arrivata “la notizia”.
    L’avevo cercata in lungo e in largo, per il Palazzo e tutti i suoi maestosi giardini. Non aveva avvisato del suo arrivo, così come non era stata neppure convocata dagli Imperatori, di conseguenza: stava tramando qualcosa. E il mio istinto mi diceva che la sua presenza qui aveva qualcosa a che fare con le Guerriere “disperse” sul Pianeta Proibito.
    Dopo una buona mezz’ora di ricerche – al termine della quale darmi dello stupido con matricola era quanto meno d’obbligo – la adocchiai. Era ai margini dell’Atrio dei Quattro Venti e civettava con quello scansafatiche di Myles Lee, ma cosa diavolo avevano in comune quei due? Di certo Cerere lo stava circuendo per ricevere informazioni importanti che potevano provenire solo dalla casta dei Templari Patrol. Non mi fu difficile immaginare le domande che gli stava facendo, ma non per questo mi palesai. Al contrario, lasciai che terminasse la sua “manovra” e solo allora decisi di avvicinarmi. Complici il mio passo felpato e i pensieri che vorticavano furiosi nella sua mente riuscii a coglierla di sorpresa, per poco non andò a sbattere contro il mio petto. Era davvero strano osservare quanto quella figura così minuta racchiudesse una guerriera letale e dalla forza distruttrice. Avevo avuto modo di vederla in azione e potevo testimoniarlo senza ombra di dubbio. Ecco un altro punto a favore della venusiana: Cerere Vs Haytham, 5 a 0.
    “Non sapevo fossi in confidenza con Lee!” la apostrofai con voce ironica.
    “Non sapevo fossi geloso” mi rimbeccò pronta.
    “Sei tremenda lo sai? Quella lingua dovresti usarla in maniera un po’ meno impudente” le tenni testa, ma sapevo di averle servito una specie di rigore e già avevo iniziato a sorridere.
    “Non colgo il riferimento solo perché altrimenti di distruggerei!” E poi rise, abbondonando la testa all’indietro e mettendo in mostra i suoi denti bianchissimi. Era vicinissima, il suo volto all’altezza del mio torace, il nostro respiro quasi uno solo. Mi fissò da sotto le lunghe ciglia, consapevole che la nostra schermaglia non sarebbe bastata a distogliermi dal fulcro del nostro incontro. Così come sapeva bene che non ci avrei girato intorno.
    “Lo sai che le tue colleghe guerriere rischiano moltissimo in questo momento, vero? Un solo passo falso e potremmo assistere a due scenari distinti ma entrambi disastrosi…” iniziai a parlare con voce seria, ma stranamente senza la solita spocchia che riservavo ai miei sottoposti. Di Cerere mi fidavo, ero conscio che non avrebbe mai favorito una situazione tanto spinosa, ma non potevo neppure pretendere che voltasse le spalle a coloro che considerava alla stregua di sorelle. “Scenario numero 1: La Luna, dietro decisione dell’Imperatrice, sarò costretta a dichiarare guerra alla Terra e le conseguenze sono ben più che immaginabili. Scenario numero 2: l’Imperatore avrà la meglio sull’opinione di Selene e decideranno di lasciare le Guerriere dietro le linee nemiche, disconosceranno le loro azioni e rimarranno da sole alla mercé dei Devianti.” Presi un respiro profondo, giusto il tempo di lasciar sedimentare le mie parole nell’animo di Cerere. Non era mia intenzione minacciarla, non era così che funzionava tra noi. Negli anni avevamo imparato ad essere onesti l’uno con l’altra, a muoverci in completa sinergia nonostante le nostre mansioni non potessero essere più diverse, mai era venuto meno questo principio fondamentale che era alla base di un rapporto che durava da molto tempo. “Lo so che non dovrei neppure dirtelo, lo faresti in ogni caso, ma se riuscirai a metterti in contatto con loro, fagli presente queste problematiche e… semmai decidessero di porre fine a questa follia, qui troveranno comprensione. Ma devono tornare indietro subito e senza farsi scoprire dai Devianti…” Le feci una carezza fugace, indugiando sulla superficie delle labbra schiuse, un modo come un altro per trasmettergli la totale fiducia che riponevo in lei e nella sua rettitudine. Strano ma vero: avevo trovato una persona di cui mi fidavo davvero in centinaia di anni. Speravo di non dovermene pentire proprio adesso.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 14/4/2020, 20:30
     
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    Braccia conserte al petto ed il chiaro piacere delle sue attenzione nei miei riguardi, come quella carezza da cui non mi scostatai, ma cui non diedi nemmeno seguito. Non ancora.
    Lo guardavo seria e composta, ben concordate con le sue parole eppure con un pizzico di fastidio che mi bruciava la gola.
    "Credi che sia questo quello che stavo facendo?" gli chiesi con tono di sfida, leggermente scocciato, ed un sopracciglio alzato.
    "Non è mio compito fare da baby-sitter alle Guerriere scese sulla Terra. E' una loro scelta. Una che non metto in discussione a fronte delle motivazioni, ma che non condivido nemmeno. Non è dunque nè mio interesse nè mio scopo supplicarle di tornare a casa... Hanno preso una scelta, ne faranno i conti..." esclamai con semplicità.
    Potevo apparire fredda. Calcolatrice e menefreghista, ma a mio parere ero semplicemente e totalmente giusta. Oltre che obbiettiva verso di loro quanto verso l'Impero.
    Con una mano scacciai i capelli indietro facendoli sollevare con fare affascinante prima che gli stessi ricadessero sulla mia spalla.
    "Quello che stavo facendo era evitare che le Guerriere che QUI si trovano facessero azioni di cui potrebbero pentirsi. Alcune di loro sono, come dire, impulsive. Vengo considerata da loro la "stronza", l'"antipatica", la "rompiballe"... ad usare i termini più gentili, ma non importa. Mi importa tenerle al sicuro, metterle in riga e far compiere loro le scelte giuste anche a costo di obbligarle!" conclusi con un tono di voce che metteva ben in chiaro che io NON mi stavo giustificando, anzi se possibile stavo chiarendo il mio punto di vista. Uno che a quanto pare perfino lui aveva frainteso.
    Mi credeva incapace di mettermi contro le persone che io stessa amavo per dovere? Si sbagliava di grosso. Il mio onore e credo dominava sopra a tutto. Solo che ero venusiana, i sentimenti facevano parte di me. Erano la mia stessa essenza e nel tempo per non renderli una debolezza avevo saputo manipolarli e trasformarli in forza. Ecco dunque che il mio amore verso le mie compagne mi stava facendo agire in quel modo, proteggendole prima di essere costretta a mettermici contro. Un qualcosa che mi avrebbe devastato, ma avrei fatto se necessario.
    "Ho fatto altro comunque oltre che a parlare con Myles. Interessato a saperne di più?" gli chiesi mentre lo vedevo corrucciare la fronte con fare interessato. Sorrisi allora maliziosa e prendendolo per mano lo portai al ninfeo. Era una parte ben tranquilla dei grandi giardini del palazzo e quella costruzione di conchiglie e sassi formava anche un riparo da occhi indiscreti.
    Lo sospinsi su una panchina e senza troppi complimenti mi misi a cavalcioni su di lui giocando con i bottoni della sua camicia.
    "Le prigioni Imperiali sono famose per essere costruite a livelli. In quello più basso vi è la massima sicurezza. Tale livello può ospitare massimo 30 detenuti, oltre le guardie che per inciso sono sostituite a rotazione ogni 3 mesi" gli spiegai facendo strusciare un poco di più mio bacino verso il suo mentre dopo aver slacciato i primi bottoni con le dita sottili ed il tocco gentile gli accarezzai la porzione di dorso a mia disposizione.
    "Quando una guardia arriva a questo livello vi rimane fino alla fine dei 3 mesi. Nessuna eccezione. Nessuna possibilità di tornare a casa. Le uniche eccezioni sono in caso di falla esterna o di problematiche di contenimento"
    Continuai piegandomi verso di lui e baciarli il collo prima di soffiare le ultime parole al suo orecchio prima di giocare lo stesso tra baci e piccoli morsi.
    "L'accesso ai civili e gli ingressi speciali sono possibili soltanto attraverso Decreto Imperiale. Esiste una lista pre-approvata di civili, familiari di svariato grado, che possono far visita ai detenuti una volta all'anno, ma ad oggi nessuno ha mai avanzato richiesta"
    Raccontai tornando a guardarlo, mentre rilassato, ma attento lo vedevo cercare il punto di quel mio racconto.
    “Dunque chiunque ha ucciso Atalanta non rientra in nessuna di tali categorie, ma se così fosse...”
    "Chiunque lo abbia fatto è un fantasma. Esatto. Qualcuno che nessuno può vedere. Percepire. Sentire. E tanto meno fermare. Ma chi conosciamo di invisibile? Inesistente?"
    Era una domanda senza risposta, ma che quanto meno stava iniziando a darci una direzione verso il nemico silenzioso e sconosciuto che stavamo combattendo. Colui che si celava dietro gli attacchi di "ritornati" a quanto pare semplici pedine in uno schema più ampio.
    Ghignai soddisfatta. Perchè si diceva "prima il dovere e poi il piacere"? A mio dire le due cose potevano tranquillamente convivere.
     
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    Annarita
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    :Haytham:
    Per un singolo, eterno, attimo smisi di respirare. Il tocco di Cerere era rovente e fresco allo stesso tempo, tutto in lei era sapiente contrasto, per questa ragione mi divertivo a definirla un ossimoro vivente. In quei momenti, la venusiana mi guardava e metteva su un broncio talmente malizioso da farmi dimenticare persino il mio nome. Dopo il famoso attimo che pareva durare un’eternità, riprendevo a immettere ossigeno nei polmoni e iniziavo a godermi i suoi gesti quasi rituali. Quando mi accarezzava non lo faceva mai a caso, né con il chiaro intento di sedurmi. Era un nostro modo di stare vicini, di respirarci, di assorbire energie vitali che sembravano scorrere solo tra noi. Erano rari questi istanti, ma non ce li facevamo sfuggire… era passato il tempo dell’imbarazzo, del rifiuto, della negazione. Non potevo più negare l’effetto che Cerere aveva su di me, mi accontentavo quindi di sensazioni rubate conscio che non avrei mai potuto viverle a tempo pieno. Le remore non erano state azzerate, così come la lista dei motivi per i quali non potevamo stare assieme si era allungata notevolmente nel tempo.
    Le afferrai i fianchi e la spinsi ancora un po’ contro di me, lasciando che il suo petto si plasmasse al mio in un incastro pressoché perfetto e la tenni lì, vicina al cuore, mentre riflettevo sulle sue ultime parole. Era astuta, altroché.
    “Non conosciamo nessuno tra i nostri nemici che sia in grado di rendersi totalmente invisibile, anche perché non sarebbe solo questo. Non ci sono segni di effrazione, non è stato visto ma non ha nemmeno lasciato tracce di sé.” Appoggiai le labbra nell’incavo del collo di Cerere, inspirando piano il suo profumo fruttato e speziato assieme. La sua pelle era morbida come seta, lattea come i raggi della luna, assomigliava a una stella. “Invisibile e capace di attraversare la materia. Una sorta di fantasma…” conclusi pensieroso. Avevo alzato appena il capo dal suo collo, ma mi ci ero rifugiato subito dopo aver parlato. Con le braccia la tenevo stretta, mentre lei vezzeggiava con le dita i miei capelli e si muoveva lenta su di me. Il desiderio era sempre lì, in agguato, pronto a compromettere anche quel piccolo anfratto di paradiso che ci potevamo concedere. Mi staccai un po’, quel tanto che bastava per poterla guardare in volto. Sfiorai la sua bocca con la mia, piano, una, due, tre volte. Prima di mordicchiarla e accarezzarla subito dopo con la lingua. La vidi stringere le palpebre e sapevo che anche io stavo osando troppo… più del solito. Eppure, il mio bisogno di lei m’impediva di fare marcia indietro.
    “Questa cosa mi sta facendo impazzire?!” sussurrò appena, tra un bacio e l’altro. Anche lei soffriva, ma non potevo permettere che la sua sofferenza raggiungesse limiti inauditi. Stare con me avrebbe significato essere esiliata – se non fisicamente, moralmente di certo – dalle sue sorelle guerriere. Non si fidavano di me e non potevo dargli torto. Non avrei mai tradito Cerere, qualsiasi confidenza sarebbe rimasta tale morendo sotto lo spesso strato di fiducia che riponeva in me. Ciò nonostante, tutto questo non poteva venir fuori, nessuno conosceva il rapporto che ci legava e di conseguenza nessuno avrebbe potuto davvero capirlo.
    “Sarebbe più doloroso perdere le tue compagne, tua sorella. Loro sono la tua famiglia… io… sono solo io…” Ero stato categorico in questo. Non avevo molto da offrirle, se non la mia completa devozione. La mia reputazione sul “lavoro” era impeccabile, ma per quanto riguardava i “rapporti sociali” le critiche si sprecavano e non avevo elementi per smentirle. La venusiana era stata in grado di creare uno spiraglio e accedere nella parte più nascosta di me, ma tutti gli altri non ci sarebbero arrivati neppure in un milione di anni. La realtà era questa e dovevo farmene una ragione. E credevo di essere arrivato a un ottimo grado di autoconvincimento… ogni volta che le ero distante. Ma in momenti così, la convinzione vacillava ma non al punto da cedere.
    “Perché non posso avervi tutti nella mia vita e alla luce del sole? Non sei un criminale, sei il Gran maestro Templare, un veterano pluridecorato, ammirato da tutti per il suo valore…” Sbuffò, soffiando via una ciocca rosa che le era ricaduta sul viso. Io le sorrisi, ma con una punta di amarezza.
    “Continua, Cerere, la descrizione non termina qui. A nessuno importa di un veterano pluridecorato quando si tratta di sentimenti. Non puoi dimostrare di amare una persona mostrando una lettera di encomio!” Le parlavo sottovoce, mentre con le dita le sistemavo i capelli dietro le orecchie e poi le prendevo il volto per costringerla a guardarmi. “Sono un cinico bastardo, che passerebbe sopra il cadavere di sua madre solo per portare a termine una missione con successo. Non ho mai permesso a nessuno di avvicinarsi, di diventare mio amico, di ottenere la mia fiducia…”
    “A nessuno, tranne me!” Mi apostrofò Cerere, mostrando tutta la sua disapprovazione dandomi un morso scherzoso sul naso. Io la fissai fintamente arrabbiato prima di risponderle.
    “Tu sei l’eccezione che conferma la regola! Un’eccezione che non sono riuscito ancora inquadrare tra l’altro.” Ero di nuovo serio, ma la voce era uscita con una strana nota di tenerezza che non mi apparteneva. Era lei la causa di tutto, l’unica in grado di tirare fuori lati di me di cui non sapevo neppure esistessero.
    “So di essere eccezionale, altrimenti non sarei riuscita in questa impresa!” mi rimbeccò muovendosi fin troppo energicamente sul mio bacino. Sobbalzai per la scossa elettrica che mi attraversò la spina dorsale. Era il suo modo di punirmi per averle messo davanti – per l’ennesima volta – la realtà dei fatti. Poi mi fissò soddisfatta, con un ghigno delizioso sul viso. Eccola la mia Cerere spigliata, maliziosa, intraprendente. Scossi il capo, consapevole che non sarebbe finita bene, no… non sarebbe finita per niente bene.
     
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    :Cerere:
    "Mi sottovaluti, è l'errore che fanno tutti" risposi con semplicità, ma arroganza in egual misura.
    Solo che se normalmente leggevo ciò come una sorta di "potere" da usare a mio favore, se si trattava di lui mi irritava solamente.
    "Pensi di avere il diritto di giudicare? Di scegliere, capire ed imporre quello che io voglio o quello che meriti? Dici che sarebbe più doloroso perdere le mie compagne che te, ma hai la certezza delle tue parole= Ciò che ti ho mostrato, tutto ciò che ho detto e fatto, dovrebbero mostrarti di quanto il dovere e fare la cosa giusta per me sia importante... ad ogni costo. Non ho appoggiato le Guerriere che ora sulla Terra sono. Non le ho agevolate ed ogni giorno combatto al tuo fianco per cercarle anche a costo di essere "apostrofata" traditrice dalle mie compagne stesse. Non mi sono mai nascosta dietro le belle parole, non confondere il mio essere venusiana con l'essere superficiale. Io dico solo il vero, l'unica differenza tra me e tutti gli altri è che io non fingo dei sentimenti se non li provassi..." conclusi con un tono di voce che di provocatorio, giocoso o malizioso non aveva niente.
    Erano parole dure, ferme e prive di morale o incertezza. Era la mia verità e lui doveva accettarla.
    "A differenza di quello che può sembrarti mi sono stancata di giocare... tutto o niente Haytham. O accetti di amarmi, come io amo te. O mi lasci andare e te ne fotti di quanti uomini mi porto a letto o con quanti altri gioco..." dissi alzandomi da lui, ma fissandolo con le mani ben poste sui fianchi.
    "Se dovessi denunciarti per aver tradito lo farei. Se dovessi lasciarti morire per salvare un pianeta o evitare il fallimento di una missione importante lo farei. Se dovessi ucciderti con le mie stesse mani perchè non ci sarebbe altra soluzione lo farei. Ed io ti sto chiedendo di fare lo stesso con me. Ti sto chiedendo di amarmi così come sei. Non me ne frega nulla di aver un demente mosso da sentimentalismi inutili al mio fianco. O che si preoccupa di fare o dire la cosa giusta... io voglio te. Così come sei. Rude. Fiero. Deciso... ma è un'offerta a tempo..."
    Era un modo assai strano di dire ti amo. Di confessare i propri sentimenti forse perchè di solito prevedeva parole diverse, un modo decisamente più garbato ed una situazione studiata a tavolino per creare l'atmosfera perfetta, ma gli avevo appena mostrato che io non necessitavo di tutto quello.
    Certo non mi schifavo di fronte ad un regalo o una cena a lume di candela, ma da sempre preferivo i fatti alle parole. La concretezza all'astrattezza degli ideali. Motivo per cui mai avevo compreso gli Assassini e ciò che li muoveva.
    Inseguivano una chimera che portava caos e non ordine, un sogno che alimentava gli animi e li lasciava in balia del nemico con il rischio di essere soggiogati. Ma non era ufficialmente nostro nemici seppur nostri alleati e dunque poco importava il mio pensiero, tranne forse in quella precisa situazione.
     
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    Annarita
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    :Haytham:
    Non avevo smesso di fissarla per un solo attimo di quella specie di dichiarazione mascherata da arringa. Chissà perché non mi aspettavo nulla di diverso da Cerere! Nonostante fosse una venusiana e sapesse utilizzare alla perfezione l’arte della seduzione, le moine invece non le appartenevano. Riusciva a comunicare senza fronzoli ciò che pensava e questo era un motivo per cui era riuscita ad avvicinarsi al sottoscritto. Avevo accavallato le gambe, in attesa che terminasse, che buttasse fuori ciò che le ribolliva nello stomaco… nulla che non sapessi già in realtà. Mi amava… mi desiderava… odiava questa danza tra il tutto e il nulla… forse tanto quanto me. La amavo… questo ormai era certo: non poteva spiegarsi in altro modo la sensazione di smarrimento che mi coglieva quando non l’avevo al mio fianco; la desideravo… con ogni cellula del mio corpo, lo dimostrava l’eccitazione che aveva causato con i suoi movimenti sinuosi; odiavo non poterla avere in tutto il suo splendore senza sotterfugi e ne era la prova lo strano disagio che provavo in questo dannato momento. Cerere voleva stare con me, alla luce del sole, dinnanzi agli Imperatori e alle sue sorelle Guerriere, al punto da farmi un ultimatum nonostante sapesse quando odiassi ogni tipo di condizionamento.
    “Un’offerta a tempo?” mormorai in un sospiro, come se stessi parlando più a me stesso che a lei. Mi grattai il mento coperto da un velo di barba, senza smettere di sondare le sue iridi chiare e determinate. In esse, solo per un istante vidi un barlume di incertezza, causato con ogni probabilità dalla mia reazione a dir poco strana. Non avevo idea di cosa si aspettasse da me: rabbia? Gioia? Esaltazione? Disprezzo? Neppure io riuscivo a capire a fondo ciò che stavo provando. Di sicuro avrei dovuto essere infastidito, nessuno si era mai permesso di pormi limiti e condizioni. Ci pensai su, ma niente, mi sentivo come la superficie calma di un lago quando decisi di mettermi in piedi e avvicinarmi. Aveva distolto gli occhi, guardava con ostinazione una pianta ornamentale di cui non conoscevo il nome, con le braccia rigorosamente intrecciate al petto. Non si mosse neanche quando mi percepì talmente vicino da poter quasi sentire il suo profumo.
    Infilai una mano nel groviglio di braccia, costringendola a sciogliere la stretta, prima di circondarla a mia volta con le mie.
    “Non provarci, Haytham, voglio una risposta…” Pensava che la volessi adulare per distrarla?
    “E se fosse questa la mia risposta? Hai così poca fiducia nelle mie doti comunicative?” la rimbeccai con voce fintamente offesa, ottenendo ciò che volevo: Cerere era tornata a guardarmi, ancora seria ma con una sfumatura divertita sulle labbra. “Mi piace quando mi chiami per nome, sei l’unica a cui permetto una cosa del genere. Così come sei l’unica in grado di darmi un ultimatum e continuare a respirare subito dopo…” La vidi deglutire, temeva forse di aver passato un confine invisibile? Credeva di aver rovinato davvero tutto? Il mio tono era volutamente neutro. Volevo sondare ancora meglio ogni sua reazione. La stavo tenendo un po’ sulle spine? Forse. Ma non lo avrei fatto ancora a lungo, anche la mia pelle tremava per un’emozione sconosciuta… per ora.
    “Sei pronta ad affrontare tutte le conseguenze, Guerriera? Non è facile stare con uno come me, ma ho imparato nel tempo che siamo più simili di quanto credessi e le tue parole di oggi mi hanno dato la conferma definitiva… Anche io…”
    Le mie parole furono interrotte da un colpo di tosse per nulla discreto e non sapevo se avessi dovuto considerarlo un segno del destino oppure infischiarmene. Vesta, la sorella di Cerere, ci fissava senza velare molto le sue remore. Le mie dita artigliavano ancora i fianchi della mia guerriera, i nostri volti si erano inconsapevolmente avvicinati durante la discussione, era chiaro il nostro atteggiamento “intimo” e no, lei non lo approvava, ma questa non era una novità. Dovevo pur imparare a conviverci con quegli sguardi, no?
    “Cerere, sei qui! Abbiamo bisogno di te… adesso…” disse Vesta con voce controllata, lanciandomi un’occhiata eloquente: non ero il benvenuto nei loro affari.
    Cerere sbuffò spazientita, era chiaro che non si aspettava un’interruzione proprio quando il granitico Maestro Templare aveva deciso di fare un passo in avanti. Potevo quasi sentire sfrigolare le sue emozioni… era divisa tra il restare con me e l’accorrere per le necessità delle sue “sorelle”. Ecco il primo ostacolo da superare, ero conscio che sarebbe stato il primo di moltissimi altri… l’avevo avvisata. Adesso, però, era troppo presto per metterci alla prova.
    “Vai, io devo tornare al Quartier Generale.” La dispensai da qualsiasi scelta, allontanandomi solo in quel momento dal suo abbraccio. Stranamente non lo avevo ancora fatto.
    “Ci vediamo dopo…?” Era una domanda o no? Cos’era quel fondo di ansietà nella sua gola? Ma l’aveva chiesto proprio di fronte a sua sorella: un chiaro segnale nei miei confronti.
    “Ovviamente si!” La spinsi un po’ verso Vesta con un gesto fin troppo tenero per i miei standard di stronzo asociale, ciò nonostante non me ne curai. Non era più il momento delle riflessioni. Senza attendere ulteriori parole o sguardi, voltai i tacchi e me ne tornai al lavoro, dovevo assolutamente tornare al mio dovere: avevamo dei nemici invisibili da catturare.
     
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    :Selene:
    ”Perseo, non puoi violare impunemente il Palazzo Imperiale! Tu e la tua compagna non siete altro che copie sbiadite di esseri viventi, siete solo zombie che non posseggono una volontà propria. Andatevene, ritiratevi dall'oscurità da cui provenite!”
    L'uomo si immobilizzò un secondo, quasi sorpreso di essere stato scoperto, ma si riebbe velocemente, e un sorriso viscido rese il suo viso ancora più spaventoso.
    ”Sei davvero una stupida, Imperatrice! Ti fidi del tuo consorte nonostante quello che ha commesso. Sei cieca e incauta come ogni persona che ha paura a guardare la realtà negli occhi. Noi saremo forse fantasmi, ma scaturiamo dalla cattiva coscienza di Endymion. Pretendiamo che paghi per i crimini che ha commesso, per gli assassinii a sangue freddo di cui si è macchiato le mani. Per questo nessuno potrà ostacolarci, nemmeno tu!”
    Le parole di quel demone riecheggiavano antichi incubi che ora non avevo la possibilità né l'obbligo di dover affrontare.
    La donna che finora era rimasta ferma e silenziosa rise come per una battuta divertente. La sua risata era stridula, inquietante, insopportabile. Provai l'impulso di tapparmi le orecchie, anche se sentivo che era già entrata nel cervello, che mi procurava un'insopportabile senso di nausea.
    Andromeda! Il suo nome mi attraversò la testa come un lampo infuocato.
    Forse non avrei dovuto tanto concentrarmi su Perseo quanto più su di lei: lentamente, si stava spostando alla mia sinistra, nel tentativo probabilmente di colpirmi da più parti.
    Erano avversari forti, come quelli che avevano già affrontato le guerriere e i Moon Knight sugli altri pianeti dell'Impero, mentre io ero da sola. Oltre a dovermi difendere, avevo la responsabilità maggiore di proteggere le vite che portavo in grembo.
    Non potevo permettermi una lotta così pericolosa, soprattutto perché era passato molto tempo da quando ero scesa in battaglia l'ultima volta.
    Era una situazione difficile, mi sentivo in trappola, i due ne erano consapevoli come me, era per questo che non mi avevano ancora attaccata? Un dubbio improvviso mi colse, perché sembravano stessero aspettando qualcosa o... qualcuno...
    Perseo mi fissava con freddezza, quasi con disinteresse. Lo aveva già detto, che non era me che avrebbe voluto incontrare. Il dubbio di pochi istanti prima diventò una certezza, come un quadro in penombra che viene illuminato completamente.
    Non ero io l'obiettivo, ma Endymion. Io servivo solo ad attirarlo qui, cosicché il suo antico alleato potesse consumare la sua vendetta, o forse, forse neanche quello era poi il vero motivo della loro apparizione; c'era qualcosa di molto più minaccioso e grave dietro a tutti questi eventi.
    Intanto, nel silenzio che si stava protraendo, da fuori poteva sembrare che ci stessimo studiando, i passi lenti di Andromeda erano come dei ticchettii di un meccanismo che stava per scattare.
    Perché erano così sicuri che il loro piano avrebbe funzionato? Tutti a Palazzo stavano riposando, Endymion stesso, lo avevo lasciato pochi minuti prima nella nostra camera da letto.
    Non dovevo cullarmi in queste inutili illusioni, mettendo a rischio le vite che erano dentro di me, le cose più preziose di tutte, per proteggere quella dell'uomo che amavo. Non mi sarei piegata al ricatto che loro mi volevano imporre.
    Dovevo andare in cerca di aiuto, allertare i soldati di guardia alle porte del Palazzo, richiamare le Guerriere... in qualche modo...
    Li colpii per prima, senza dar loro il tempo di reagire. Aprii le braccia e li accecai con dei lampi di luce lunare. Inoffensivi, certo, ma la mia scommessa era sul tempo che gli sarebbe servito per riacquistare la vista. Erano esseri potenti, forse non avrei fatto in tempo a raggiungere i portoni della Sala del Trono, ma dovevo tentare.
    I piedi scalzi erano quasi intorpiditi dal freddo del pavimento di marmo, il tessuto della camicia da notte si avviluppava intorno alle gambe che scattavano nella corsa. Non mi girai indietro per controllare la loro reazione, non avevo il tempo. Arrivai di slancio all'entrata, quasi andai a sbattere contro i battenti bianchi di legno pesante. Mi aggrappai alle maniglie per aprirle, ma non riuscii. Venni come afferrata e gettata lontana da un'esplosione che scardinò e bruciò una delle due ante del portone.
    Mentre lo spostamento d'aria mi scagliava lontano, istintivamente raccolsi le braccia a proteggere il ventre, e la mia mano toccò il Crystal Seed che portavo sempre con me, incastonato in un anello, permettendomi di rivestire la mia armatura da Guerriera in meno di un battito di cuore.
    Quando toccai il pavimento, le sue protezioni attutirono il colpo e rotolai ancora, per esaurire la forza cinetica. Mi rimisi in piedi con un unico movimento fluido e una luce agguerrita negli occhi. Se anche avessi avuto il dubbio che il lungo tempo in cui avevo badato solo ai miei doveri di regnante avesse appannato le mie abilità da combattente, questo era sicuramente scongiurato.
    Li attaccai con ferocia, senza dare loro respiro. Uno dei miei proiettili luminosi centrò in pieno petto Andromeda, che si schiantò contro una colonna della sala. Perseo si avventò contro di me, ma riuscii a tenerlo lontano innalzando una barriera di energia.
    ”Fermi!” Quella voce maschile così amata mi fermò il cuore.
    Perseo si girò con una luce agghiacciante e vittoriosa negli occhi. Andromeda si alzò dal pavimento come se una forza invisibile avesse tirato i fili di quel burattino. Sembravano invincibili e incuranti del combattimento appena avuto con me.
    Mi girai anche io: dal portone dove le fiamme dell'esplosione stavano spegnendosi vidi entrare Endymion e il generale Toth, seguiti da alcune Guerriere.


    Edited by Illiana - 26/4/2020, 17:20
     
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