Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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    Roberta
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    :Yulia:
    La delusione continuava a serrarmi il petto da giorni, come da giorni tentavo di restare da sola con Liam per capire cosa era successo nella gabbia. Ancora non ero in grado di darmi una spiegazione e lui mi evitava come la peste. Mi sfuggiva tra le dita come se non volesse affrontare il mio disappunto, o più semplicemente, non era affatto interessato al mio modo di vedere le cose. Dopo l'ennesimo pranzo con il gruppo, in cui aveva aleggiato, ancora una volta, un silenzio agghicciante, ero riuscita a intercettarlo poco prima che si defilasse. Lo avevo incastrato e costretto ad una sedia…

    “Ma cosa diavolo ti prende?” gli dissi, ormai non poco fuori di me. “Scappi? È diventata una chimera parlare con te…” iniziai a redarguirlo. Lui alzò gli occhi al cielo come se si fosse aspettato una mia simile reazione e poi rispose mantenendo la sua espressione di totale indifferenza.
    “Io non scappo… perché dovrei?”
    “Allora non hai problemi se ti chiedo che cosa è successo nella gabbia! No, perché sinceramente non ci ho capito nulla! Io pensavo che avrei dovuto condurre da te gli Originali per costringerli, una buona volta, a cedere alle nostre condizioni e poter avere finalmente una tregua. Invece…” Avevo quasi il fiatone, le immagini di quei combattimenti mi riempirono la mente e per un brevissimo attimo, quasi impercepibile, mi misero i brividi.
    “Invece?” ribattè lui.
    “Invece è stato un dannato massacro. Non mi riferisco ai duelli, sai benissimo che il sangue non mi impressiona, ma dopo? Hai tramato “tutto da solo” per spedire due Originali al Livello 2 e… Federico Auditore è in fin di vita!” tentai in tutti i modi di contenere il tremolio nella mia voce, mentre pronunciavo l’ultima frase. “Non era questo il piano… non avevo idea di cosa avessi in mente” dissi colta da un profondo fastidio. Mi sentivo tradita.
    “So benissimo qual è il piano e in quel momento non era prevista la vostra collaborazione. Certe cose le faccio da solo” mi rispose ferreo.
    “Ad esempio ingannarmi senza remore? E da quando non ti fidi di me? Da quando le cose le fai da solo?” lo incalzai, ormai una furia cieca mi stava montando in petto. Io ero sempre stata fredda, determinata, ma il mio carattere glaciale prendeva fuoco solo di fronte a Liam. Non ero in grado di mantenere la mia facciata di indifferenza come facevo con tutti gli altri! E questo lui lo sapeva, ma… non glie ne fregava niente.
    “Non è questione di fiducia. Si tratta semplicemente di ottenere dei risultati…”
    “Il fine giustifica i mezzi?” lo interruppi con una famosa massima che ricalcava a pieno il suo deplorevole atteggiamento. “Dunque non ti faresti scrupoli a passare sul cadavere di uno di noi, dei tuoi amici, dei tuoi alleati, se questo ti aiutasse a raggiungere i tuoi obiettivi? Perché, tanto che tu lo sappia, moralmente, lo hai appena fatto con me!”
    Il suo sguardo fisso davanti a se, gelido e penetrante, in totale assenza di una risposta, mi aveva pugnalata direttamente al cuore.


    Mi stavo dirigendo con passo felpato in infermeria, attraversando con cautela i corridoi deserti a quell'ora della notte. Ormai era diventata un'abitudine da parecchi giorni. Una guardia, che era tra gli accoliti di noi Grigi, aveva un debole per me e senza mai essere troppo esplicita la tenevo all'amo per poter avere dei “favori” in caso di necessità. In quel periodo aveva “l‘ordine” di non chiudere la mia cella dopo l’ispezione, così io potevo sgattaiolare fuori e andare in un posto ben preciso…
    Varcai la soglia dell'infermeria facendo attenzione a non farmi beccare. Di notte il personale era ridotto e l’ora delle visite era passato da un pezzo, così non correvo il rischio di essere vista.
    Quella sera uno strano presentimento mi fece indugiare più del dovuto a fianco della porta aperta della sala infermieri. I pochi in servizio sostavano lì chiacchierando e sonnecchiando, monitorando i parametri vitali dei pazienti ricoverati tramite monitor personalizzati, che emettevano dei bip snervanti.
    Udii un’infermiera parlottare e quando un nome in particolare giunse alle mie orecchie mi pietrificai sul posto.
    “Auditore oggi è stato stubato e lo abbiamo risvegliato. Le sue condizioni sono migliorate e può iniziare a respirare da solo senza particolari sforzi. Non ci avrei mai creduto che potesse riprendersi tanto in fretta. Hai visto in che stato era quando è arrivato? Sembrava passato sotto un treno. È un miracolo che sia sopravvissuto all'intervento…”
    La voce della donna mi giunse pacata, ma era ben percepibile l'orrore che aveva provato di fronte a quella scena.
    Io ricordavo molto bene l’espressione attonita di Federico quando aveva realizzato che Liam lo aveva pugnalato, i suoi occhi sgranati… non aveva gettato fuori neppure un urlo, quando era stato brutalmente caricato e pestato dalle guardie. Ma erano troppe, e benché avesse tentato di proteggere gli organi vitali, non era stato sufficiente. Erano in troppi, maledetti bastardi! Mi resi conto di star digrinando i denti e di aver sostato fin troppo in quel luogo. Avrebbero potuto scoprirmi. Mi spostai e raggiunsi la degenza che mi interessava. Entrai senza far rumore, sperando di trovarlo addormentato e le mie preghiere furono esaudite. Federico era lì disteso, inerme e con le palpebre abbassate. Un altro flash del suo volto ricoperto di liquido scarlatto, appena dopo l’assalto, si insinuò pericoloso nella mia mente. Mi fermai a pochi passi da lui, colta da un conato di nausea. Perché diamine reagivo così? La vista del sangue non era mai stato un problema per me ed ora solo un ricordo era in grado di destabilizzarmi… non riuscivo a spiegarmelo e questa cosa mi faceva infuriare.
    Dall'altro lato, fui felice di rivedere quello stesso viso libero dai tubi del respiratore. Ora aveva solo l'ossigeno attaccato direttamente al naso, ciò mi consentiva di notare come le ferite e le tumefazioni fossero ancora visibili ma sulla via della guarigione. “‘Felice’? Ho pensato proprio questa parola e perché mai? Forse intendevo: ‘sollevata’!” Mi sentivo dannatamente in colpa! Li avevo condotti io stessa nella tana del lupo ma non avrei mai sospettato un simile epilogo. Era per questo che avevo vegliato la sua convalescenza ogni volta che mi era stato possibile, soprattutto durante la notte, ma anche di giorno, appena avevo un varco libero per far passare inosservata la mia assenza, mi precipitavo lì. Grazie anche all'appoggio di un'infermiera che ormai si considerava mia amica. Io non l'avevo mai contraddetta, mi faceva comodo. Mi teneva aggiornata sulle condizioni di salute di Federico e copriva le mie incursioni diurne. Avrei dovuto ringraziarla in qualche modo. E lo avrei fatto.
    L'unica domanda che continuava a frullarmi in testa era: Perché?
    Mentre ero seduta su una seggiola a fianco del letto con i gomiti appoggiati al materasso e il viso adagiato sulle mani, guardavo Federico mentre dormiva beato, adesso non avevo più una smorfia di dolore stampata in faccia, la fronte non era più aggrottata e le labbra erano distese, non più contratte. “Perché sono qui?” continuavo a torturarmi con quella domanda, convinta che il senso di colpa, per quanto possente, non mi avrebbe mai condizionata al tal punto. Ogni notte lo stesso risultato: nessuna risposta.
    Erano passati circa dieci minuti. Per fortuna, Federico non si era svegliato e la mia presenza stava passando inosservata. A volte rimanevo molto di più, altre meno, tentavo di regolarmi in base al movimento e al via vai degli infermieri all’esterno. Quella sera, nonostante fosse tutto fin troppo tranquillo, decisi di andare via prima, un fastidioso magone in gola mi rendeva inquieta ed io seguivo sempre il mio istinto.
    Mi alzai con cautela, facendo attenzione a non toccare il suo braccio a pochissima distanza da me. Ma mentre stavo per recuperare la sedia e rimetterla al suo posto, mi sentii afferrare per un polso. Il sangue mi si gelò nelle vene. Mi voltai piano, temendo dentro di me l’espressione che mi avrebbe accolta a breve. Un panico improvviso mi fece pianificare una fuga rapida e indolore, ma la morsa della sua mano grande e fredda, sebbene non fosse implacabile, mi fece desistere. Che cosa gli avrei raccontato per giustificare la mia presenza? Che scusa potevo inventarmi? In un primo momento, il vuoto cosmico mi invase la mente e mi sentii come in trappola. Poi… un'illuminazione. Ecco la mia SCUSA: il senso di colpa!
    “No, aspetta! Non è mica una scusa? È la pura e semplice verità” tentai ancora di convincermi, costringendomi ad affrontare una volta per tutte il suo sguardo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/4/2020, 10:22
     
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    Era successo tutto così velocemente.
    Quello scontro si era presto trasformato in un incubo fatto di sangue, dolore, urla e disperazione.
    Tutto era partito da quella pugnalata al fianco che O’Brian mi aveva inflitto.
    Il dolore era lancinante, il sangue usciva copioso, ma non gli diedi la soddisfazione di vedere sul mio viso nient’altro che lo stupore per quel colpo basso, per le parole che mi disse subito dopo.
    “È necessario, Auditore, per poter incontrare il Demone dovete andare in un posto terribile, da cui non è mai previsto alcun ritorno. Il livello 2 è la destinazione finale, anche se non sarai tu ad andarci…”
    Quella frase mi rimbombava nella testa mentre tentavo di rimanere in piedi e non accasciarmi a terra per la debolezza improvvisa e la sofferenza, mentre provavo a tenere testa a quei bastardi che mi stavano pestando in gruppo -quale onore c’era nell’accanirsi in quattro contro uno che a malapena riusciva a difendersi?
    Destinazione finale. Non sarai tu ad andarci…
    Più mi colpivano e più che questa frase mi angosciava, mi vorticava incessantemente in testa.
    Palesemente era una trappola, anche uno stupido lo avrebbe capito, ma a me in quel momento non interessava. In quel momento l’unica cosa che volevo era spaccare la faccia a quei bastardi, quelle semplici pedine che ormai avevano prevalso su di me, costringendomi a terra, rannicchiato su me stesso come un cucciolo impaurito che tentava di proteggersi e limitare i danni. Io però non ero nè un cucciolo, né impaurito.
    La vista era appannata, e non per il dolore, o almeno non solo per quello. Ero accecato dalla rabbia, dalla furia. Vedevo rosso, e non per il sangue che sentivo uscire copioso e imbrattarmi ovunque.
    Ero incazzato come un toro che tenta in ogni modo di infilzare quel cazzo di torero.
    E per me quel torero era O’Brian, che nel mentre di questo massacro se ne stava lì, compiaciuto a braccia incrociate, ad osservare la scena con un ghigno sulle labbra. Era questo il suo piano sin dall’inizio e noi ci eravamo caduti dentro come pesci in una rete.
    Lo volevo morto.
    Come poteva essere stato un Assassino? Come?! Non aveva un cazzo di principio o di morale. Se c’era una regola o un credo lui se ne fregava completamente facendo quel che cazzo gli pareva. La cosa ironica era che anche con le sue regole non riusciva a giocare pulito. A quanto pare non riusciva proprio a fare niente se non quel che gli pareva, era più forte di lui. Quanto avrei voluto risagomargli la faccia a suon di pugni e calci, rendergli il favore.
    All’improvviso, come per magia, i colpi e il peso di quei bastardi si volatilizzarono.
    In realtà non era magia, bensì Ezio.
    Fu quando mi mise a sedere che sentii che, anche se ci avevo provato, non ero riuscito a proteggere praticamente nessuno dei miei organi vitali. Stavo di merda. Non mi sarei sorpreso se ormai fossero ridotti in poltiglia.
    Ezio aveva ragione, dovevamo andarcene, ma io non ero più lucido, e come avrei potuto?
    Volevo vendetta, volevo quelle dannate risposte, ed invece quello che ottenni fu vedere mio fratello combattere come un leone per difendere me e sé stesso dall’ennesima ondata di guardie, ma loro ebbero la meglio.
    Erano tanti… troppi.
    Ormai si erano accaniti anche contro Altair.
    Volevo alzarmi, urlare, buttarmi nella mischia e riservargli lo stesso trattamento che loro avevano dato a me che stavano dando ora ai miei compagni.
    Ormai erano entrambi in ginocchio, raggomitolati tentando di salvare il salvabile, ma quei bastardi continuavano.
    Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello di Ezio, così simile ma incredibilmente diverso da quello che conoscevo.
    Delle guardie mi presero per portarmi via, forse in infermeria, o forse in una fossa comune, chissà. Sapevo solo che non me ne fregava nulla, io da quel posto non me ne sarei andato senza i miei compagni. Non senza Ezio, che ormai aveva la sconfitta negli occhi, che chiuse poco dopo. Continuavo a dimenarmi e a dar voce ai miei pensieri decisamente coloriti -in quel momento non davo proprio l’impressione di essere un nobile.
    Non sapevo nemmeno io da dove venivano tutte quelle energie, sapevo solo che non potevo lasciarli lì, non volevo. Quei bastardi avrebbero pagato per questo.
    Era da davvero tanto tempo che non mi sentivo così. Da quel maledetto giorno in cui perdemmo tutto, in cui perdemmo nostro padre e Petruccio. Quei ricordi erano indelebili nella mia mente, ed in quel momento fin troppo vividi.
    L’ultima cosa che vidi in quella stanza fu mio fratello immobile a terra, ricoperto di lividi.
    Mi immaginai gli scenari peggiori. Che fosse morto, che sarebbe finito in quel fantomatico Livello 2. Non sapevo cosa gli sarebbe successo, sapevo solo che avevo il terrore di non vederlo più. Non potevo e non volevo crederci.
    Avevo davvero fallito di nuovo?

    Finalmente, dopo l’ennesima volta che rivivevo tutto questo come in un loop infinito, mi svegliai.
    Era pomeriggio, forse, e sentii i medici parlare. Coma? Intubato? Cazzo, come facevo ad essere ancora vivo?
    Per come li sentivo parlare di me ormai dovevo già essere all’altro mondo.
    Chi se ne frega, ero ancora qui, era questo l’importante… anzi no, l’importante era capire dove fossero Ezio ed Altair.
    Speravo davvero che stessero bene. L’unica cosa che mi faceva ben sperare era la sensazione che qualcuno avesse vegliato su di me durante la mia “dormita”. Speravo davvero che quella presenza che spesso avevo percepito al mio fianco fosse mio fratello.
    Purtroppo le mie speranze andarono a farsi benedire nella stessa serata.
    Mi svegliai. Era notte, il silenzio riempiva la stanza praticamente vuota, ma ecco che risentii quella presenza di fianco a me.
    Il terrore e la rabbia mi attanagliarono lo stomaco. Riconobbi subito la figura esile ed aggraziata che si era ormai alzata e che se ne stava andando, silenziosa com’era arrivata.
    L’afferrai per un polso con la stretta più decisa e ferrea che riuscii a fare in quel momento.
    Era tutto sbagliato cazzo! Perchè non c’era Ezio al suo posto?
    Si voltò verso di me e lo sguardo che mi rivolse non era affatto quello che mi ero immaginato. Non mi stava guardando con il gelo che aveva sempre riservato a chiunque non fosse della sua cerchia ristretta di stronzi.
    Avevo una miriade di domande in testa, ma non sapevo da quale iniziare... avevo paura di conoscerne le risposte.
    La guardai duramente, anche se ero sicuro che dai miei occhi traspariva una stanchezza non indifferente.
    “Siediti.” le dissi con un tono che non ammetteva risposta. Che fatica solo pronunciare quella frase! Avevo le labbra e la gola completamente secche, la voce impastata e fiacca.
    In che stato pietoso ero?
    Lei però si rimise a sedere.
    “Sei qui per prenderti gioco di me, Biondina? Per tenere informati i tuoi amichetti per poi giocarci qualche altro scherzo? Perchè sei qui? Perchè ci sei tu e non mio fratello?” Quanto strazio nel dire quest'ultima frase. Sicuramente aveva già notato i miei occhi lucidi.
    Il nervoso e l’ansia mi stavano uccidendo. Fitte dolorose allo stomaco e un peso enorme sui polmoni mi stavano soffocando. Ero confuso, arrabbiato, amareggiato, impotente. Sentivo il cuore battere come un ossesso, le tempie pulsare.
    “Dov’è Ezio? Ed Altair?” le sussurrai, stringendole maggiormente il polso.
    Lo sguardo che fece mi tolse ogni dubbio.
    Avevo nuovamente fallito.
    “Dove cazzo sono?!” questa volta lo chiesi con ringhio rabbioso ed una stretta quasi disperata “Dimmelo.”
     
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    :Yulia:

    ”Siediti!” Aveva una voce rauca, che quasi raschiava le sue corde vocali, come se stesse venendo fuori da un antro oscuro. La fuga sarebbe potuta essere ancora una soluzione praticabile. Avrei facilmente potuto eludere la presa con cui artigliava il mio braccio. Ma non volevo farlo, nonostante sapessi quanto sarebbe stato arduo affrontarlo. Non sarebbe stato facile metterlo di fronte alla realtà dei fatti: erano stati ingannati ancora e ancora, ma questa volta con un epilogo ben più agghiacciante. La sua furia e la sua frustrazione ardevano e si propagavano attraverso le sue dita infuocate sulla mia pelle gelata. Non fuggii… tornai a sedere consentendogli ancora di stringermi, come se fossi un’àncora o meglio, nel suo caso, come se fossi un pezzo di legno che si afferra tra i denti per non sentire troppo dolore. Lo lasciai fare… perché potei percepire così distintamente la sua sofferenza da restare intrappolata tra le sue spire.
    “Sei qui per prenderti gioco di me, Biondina? Per tenere informati i tuoi amichetti per poi giocarci qualche altro scherzo? Perché sei qui? Perché ci sei tu e non mio fratello?” Sul finale il suo tono si era incrinato. Ero certa che se avesse potuto mi avrebbe disintegrata col suo sguardo incendiario… al solo pensiero di suo fratello, stava vacillando, la sua voce tremava per l’angoscia e per la rabbia. Cosa avrei potuto rispondere? La mia gola era più secca della sua, che era stato costretto per giorni in un letto d’ospedale. La mia mente era vuota e il mio petto arido. Dovevo staccarmi da quelle emozioni. Dovevo riprendere il controllo sulle mie azioni o il senso di colpa mi avrebbe distrutto.
    Al mio silenzio, infine, era sbottato chiedendomi disperato di Altair e di Ezio. Era certo che non avessero fatto una bella fine, che la sua presenza in infermeria fosse un puro caso e che le persone più in pericolo fossero proprio loro. Non aveva torto… al contrario, aveva dannatamente ragione!
    Mi sistemai meglio sulla sedia che pareva fatta di carboni ardenti, ma dissimulai alla perfezione quel fastidio. Con una decisa torsione del polso, mi liberai dalla sua presa che si era fatta spasmodica, al punto da lasciarmi dei segni rossi sulla pelle. Mi appoggiai allo schienale e accavallai le gambe, come era mio solito fare per occultare le mie emozioni e indossare la maschera di gelida indifferenza. Avevo notato la sua difficoltà a respirare e tutta la sua ansia, ma… “Non posso cedere! Non posso cedere davanti a lui” continuavo a ripetermi con foga.
    “Cosa vuoi che ti dica? Sei fortunato ad essere qui, Auditore! Dopo l’intervento sei stato in coma per parecchi giorni” tergiversavo parlando di lui, per non dover rispondere alle sue domande spinose, per le quali, tra l’altro, non avevo tutte le risposte e questo faceva ancora più male. Mi faceva ricordare quanto marginale fossi stata in tutta quella faccenda, a quanto fossi stata messa da parte da colui che consideravo un mentore e un alleato.
    “So perfettamente come sto io, mi sento di merda, grazie! Non era questa la mia domanda!” mi assalì senza mezzi termini. “Ora mi dirai dove si trovano Ezio e Altair, e non provare a fare giochetti con me” Il fatto che fosse appena sveglio, dopo un prolungato coma indotto non aveva affatto inciso sul suo temperamento furente. L’unica soluzione che avevo per tirarmi fuori da quella situazione inattesa era squagliarmela, ma non gli dovevo almeno una spiegazione? Non aveva il diritto di sapere che fine avesse fatto suo fratello minore? Lo straccio di coscienza che mi era rimasto, quello scorcio di anima che la vita che conducevo ancora non si era portato via, mi imponeva di onorare la preoccupazione che Federico provava. Anche io ero una sorella maggiore e avrei ucciso senza pensarci due volte per difendere Yelena. Potevo comprendere fin nel profondo il cuore dell’uomo che mi trovavo d’innanzi.
    “Ezio e Altair sono stati trasferiti al Livello 2” dissi con apparente non curanza, ma con un macigno sul petto. Sapevo cosa comportava quella circostanza…
    “Cosa gli faranno?” Questa volta parlò in un soffio, come se il terrore gli avesse mozzato le parole in gola.
    ”Mi dispiace… ma non lo so” e poi mormorando tra me e me: ”Ci sono fin troppe cose che non conosco” Subito dopo mi pentii di aver dato voce a quella che lui avrebbe potuto considerare come una debolezza da parte mia. Sperai che non mi avesse udito, preso com’era dai suoi pensieri nefasti.
    I suoi occhi neri divennero dei pozzi profondi.
    "Era una trappola fin dall'inizio. Ci avete mandato là come carne da macello. Sappiamo che mai nessuno è tornato dal Livello 2 per raccontare cosa facciano esattamente. Con questa stronzata del demone ci avete incastrato. Ma cosa vi abbiamo fatto di tanto grave per ricevere un simile trattamento?! Abbiamo tentato di trovare un accordo stando al vostro gioco e qual era il vostro obiettivo fin dall'inizio?! Toglierci di mezzo per continuare imperterriti i vostri piani! Mi fate vomitare..." disse con un ringhio. Temevo stesse per esplodere.
    Il suo disgusto mi arrivò come una pugnalata in pieno petto... Non aveva torto, Liam aveva architettato tutto utilizzando una mia imbeccata sulla presenza di un fantomatico demone al Livello 2, mi aveva mentito spudoratamente ed io, come una stupida, non mi ero accorta di nulla. Ma Federico non mi avrebbe mai presa sul serio.
    "Non penso che mi crederai, ma io ho il dovere di dirtelo... Non ne sapevo niente! Vi ho portati da lui convinta che eravamo tutti pronti a trovare un punto di incontro per poter finalmente collaborare. Ci ho creduto sul serio..." dissi sconsolata. Non volevo giustificarmi ai suoi occhi, ma Liam questa volta aveva superato ogni limite e io non ero disposta ad assumermi le sue responsabilità come avevo altre volte fatto in passato.
    “Non farmi ridere! Non ti crederei neppure sotto tortura! Siete fatti tutti della stessa pasta!" mi schernì con una risatina isterica che coinvolgeva solo gli angoli della bocca ma non gli occhi.
    "Esatto... proprio come mi aspettavo. Non ho nessuna intenzione di rimanere qui a farmi insultare da te. Anzi non so nemmeno perché sono venuta in tutti questi giorni... Meglio che me ne vada!" risposi stizzita alzandomi dalla sedia. Avrei voluto urlargli contro che non ero affatto come Liam, come colui che negli ultimi tempi non riconoscevo quasi più, avrei voluto gridargli in faccia quanto mi si era spezzato il cuore nel vederlo agonizzante e ricoperto di sangue nella gabbia. Ma non potevo. E non volevo! Mi era rimasto un briciolo di dignità e non l'avrei gettata tra le grinfie di una persona che mi disprezzava con tanto ardore.
    Mentre stavo finalmente per andare via e liberarmi da quella spiacevole sensazione di inadeguatezza, che non ero abituata a provare, lui mi afferrò di nuovo per il polso e con uno strattone mi costrinse ad avvicinarmi a lui. Le mie mani sul suo torace, i nostri nasi quasi si sfioravano e i nostri respiri affannati si fondevano. Poi... una voce proprio dietro la porta della degenza, qualcuno stava per entrare...
     
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    Mi ero appena svegliato e tutto era surreale e fottutamente senza senso.
    Ero sveglio, o meglio, vivo per miracolo dopo un pestaggio in cui mi avevano ridotto come un budino spappolato sul pavimento.
    Avevo seriamente rischiato di crepare.
    La cosa ironica -ovviamente sono sarcastico- era che quando mi sono risvegliato non solo trovo Yulia al mio capezzale, per di più scopro che mio fratello ed Altair, paradossalmente, sono nella merda molto più di quanto lo sono stato io… ed io sono quasi morto!
    Non sapevo chi, se la vita, il fato o più semplicemente lo sculo, ma qualcuno mi stava palesemente prendendo per i fondelli.
    Yulia mi confermò che erano al Livello 2, il luogo da cui nessuno fa mai ritorno, dove si trovava questo fantomatico “Demone”, ma quando le chiesi a cosa sarebbero andati incontro, lei mi rispose che non lo sapeva…
    Certo, è più che comprensibile non sapere tutto… ma porca puttana! Era stata lei a parlarcene, ad attirarci in quel fight club di merda dove ci aspettavano i suoi amichetti, ed ora mi veniva a dire che non lo sapeva?
    Ovviamente sbottai, vomitandole addosso tutta la mia rabbia, frustrazione, impotenza, sofferenza, terrore e disgusto. Un cocktail di emozioni micidiale.
    In un angolo del mio cervello sapevo che Yulia non si meritava la scenata che le stavo facendo, ma il dolore e l’umiliazione erano troppo forti, mi travolsero come uno tsunami.
    “Era una trappola fin dall'inizio. Ci avete mandato là come carne da macello. Sappiamo che mai nessuno è tornato dal Livello 2 per raccontare cosa facciano esattamente. Con questa stronzata del demone ci avete incastrato. Ma cosa vi abbiamo fatto di tanto grave per ricevere un simile trattamento?! Abbiamo tentato di trovare un accordo stando al vostro gioco e qual era il vostro obiettivo fin dall'inizio?! Toglierci di mezzo per continuare imperterriti i vostri piani! Mi fate vomitare..." terminai la mia arringa con il fiatone. Mi mancava l’aria.
    "Non penso che mi crederai, ma io ho il dovere di dirtelo... Non ne sapevo niente! Vi ho portati da lui convinta che eravamo tutti pronti a trovare un punto di incontro per poter finalmente collaborare. Ci ho creduto sul serio..." lo disse con tono dispiaciuto e sofferto.
    Il senso di colpa che la attanagliava era palese.
    Una parte di me voleva crederle, soprattutto per quella frase che, anche se sussurrata, avevo chiaramente sentito.
    “Ci sono fin troppe cose che non conosco.”
    Non osavo immaginare come ci si potesse sentire a vivere con il dubbio nei confronti dei propri compagni, che si insinua in ogni conversazione, ogni decisione da prendere ed ogni ordine da seguire, che scava e logora sempre più in profondità come un tarlo nel legno.
    Era però chiaro come il sole che lei fosse decisamente brava a manipolare gli altri, lo aveva ampiamente dimostrato in quella prima conversazione con me ed Ezio.
    Chi mi assicurava che non fosse O’Brian ad averle detto di venire a controllarmi? No, non avrebbe avuto senso… ma perché era qui? Lei aveva abilmente aggirato la mia domanda. Altra dimostrazione che sapeva bene come far fare agli altri quello che lei voleva.
    Perchè sei qui?
    “Non farmi ridere! Non ti crederei neppure sotto tortura! Siete fatti tutti della stessa pasta!” le dissi sprezzante per provocarla… ma chi volevo prendere in giro, ero semplicemente furioso e fin troppo diffidente. E come biasimarmi?
    "Esatto... proprio come mi aspettavo. Non ho nessuna intenzione di rimanere qui a farmi insultare da te. Anzi non so nemmeno perché sono venuta in tutti questi giorni... Meglio che me ne vada!" mi rispose indignata per poi allontanarsi, o almeno ci provò, perché la afferrai per polso e la strattonai verso di me, forse con troppa veemenza. Il suo sguardo gelido e tormentato era incatenato al mio, le sue mani calde sul mio petto, il suo viso a pochi, decisamente pochi centimetri dal mio.
    Era bellissima.
    Sembravamo congelati, entrambi assorti negli occhi dell’altro, tentando di scorgere quello che non era stato detto, le reali emozioni e pensieri. Era una sorta di sfida a chi interrompeva per primo il contatto, una battaglia fatta solo di sguardi, e sembravamo entrambi determinati a non perderla.
    Ci pensò una voce oltre la porta a rompere questo stallo.
    “Nasconditi!” le sussurrai nervoso.
    Chiunque fosse, non doveva trovarla qui, altrimenti avrebbe rischiato grosso.
    Perchè ti stai preoccupando per lei?
    Silenziosa e rapida, andò dietro l’ingombrante testata del letto ed i numerosi macchinari medici un attimo prima che la porta si aprisse, rivelando il visitatore.
    “Bayek, ce ne hai messo di tempo! Ti aspettavo da almeno cinque ore.” scherzai, dissimulando non benissimo la mia stanchezza e le mie condizioni ancora pietose.
    Sorrise e si avvicinò al letto, sedendosi sulla prima sedia che gli capitò a tiro.
    “Come stai?”
    “Che dire, non sono una poltiglia, già questo è un inizio no?” gli dissi ridendo, venendo però interrotto da un violento colpo di tosse. “Sto bene, tranquillo. Piuttosto, che mi racconti di bello?”
    “La situazione sta peggiorando. La tensione è così tangibile che potrei tagliarla con un coltello. Se prima cercavamo un accordo con i Grigi, ora per molti di noi l’unica possibilità è un confronto ben poco pacifico con loro. Quella sera è stata la rottura. Prima io e Connor che abbiamo subito un’imboscata, poi il caos che c’è stato al fight club, con te in infermeria, Ezio ed Altair in questo fantomatico Livello 2...”
    “Un’imboscata?!”
    Addentai l’interno guancia per trattenermi. Questo la biondina non me l’aveva mica detto!
    “Esatto, ma tranquillo, stiamo bene... Federico, tu sei l’unico che ci può raccontare cosa è accaduto la dentro.” mi chiese con la pacatezza e comprensione che lo contraddistingueva.
    “Era una trappola. L’unico loro obiettivo era quello di mandare due di noi in quel posto infernale di cui non sappiamo assolutamente nulla.” dissi afferrando la stoffa delle coperte. La rabbia e la frustrazione si stavano nuovamente facendo sentire. Le immagini di quel massacro erano ancora vivide nella mia testa.
    “Non va bene, per niente. Per di più così rischiamo anche che vada tutto all’aria.”
    “Che significa? Mi sono perso qualcosa?”
    “Abbiamo scoperto che le ragazze stanno per ultimare un piano per tirarci fuori da qui.”
    Sgranai gli occhi, grato per quella notizia, ma anche perché quest’informazione l’aveva sentita anche Yulia, che era ancora nascosta dall’altro lato del letto rispetto a Bayek. Che razza di situazione. Chissà perché, mi ricordava la mia adolescenza.
    Tornando alla questione importante, Yulia non avrebbe dovuto sentire, cazzo!
    “Menomale.” sospirai, accentuandolo più del dovuto. “Grazie mille amico mio per avermi aggiornato, però sono un po’ stanco...”
    “Tranquillo, riposati e riprenditi. Quando sapremo altro ti informeremo.” mi disse poggiandomi una mano sulla spalla. “Poi è meglio se torno a dare man forte a Evie. Prima Jacob ha iniziato nuovamente a sproloquiare, volendo, testuali parole, "far fare ai Grigi la stessa fine dei Blighters".”
    “Non è l’unico.” gli risposi ridacchiando.
    Mi sorrise prima di andarsene, anche se… solo per un attimo, mi sembrò che avesse guardato esattamente dove si trovava Yulia… forse me l’ero immaginato.
    “Vieni fuori.” le dissi una volta che mi ero accertato che se ne fosse andato.
    Ripensai alla conversazione appena avuta con Bayek, alle informazioni che Yulia non avrebbe dovuto sentire, e il nervosismo mi assalì.
    Che faccio ora? Mi chiederà sicuramente qualcosa, che le rispondo? Per di può potrebbe riportare questa informazione ai suoi amichetti, e questo non andrebbe per niente bene.
    Aspetta un attimo… e se la mettessi alla prova?
     
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    Roberta
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    :Yulia:

    Il mio cuore batteva furioso nel petto. Fin troppo rapido per riuscire a ossigenare bene i polmoni. L'aria mi mancava... o forse era semplicemente l'effetto magnetico del suo sguardo? Mi sentivo pietrificata e non sapevo come avrei reagito se quella voce dietro la porta non avesse interrotto il suo malefico sortilegio. Presa dal panico mi fiondai al riparo dell'enorme testiera del letto, dotata di ampi schermi e attrezzature elettroniche per monitorare i parametri vitali del paziente. Rallentai il respiro che assomigliava sempre più a un fiatone e mi zittii. Non potevo permettermi di essere scoperta, chiunque fosse il misterioso visitatore.
    [...]
    La voce di Bayek di Siwa era pacata e controllata, come potevano esserlo le chete acque di un lago. Dal suo tono traspariva la preoccupazione per le condizioni precarie in cui versava il compagno ferito; l'apprensione di non sapere, riferita ai due Mentori spediti al Livello 2; tutta la tensione di quel momento travagliato che il suo gruppo stava attraversando. Tante emozioni contrastanti, sempre immerse nelle acque del famoso lago cheto.
    Ero certa come la morte che se mi avesse scoperta, in questo preciso istante, non avrebbe dato di matto, insomma non ai livelli di Jacob Frye che mi avrebbe anche tranquillamente staccato la testa dal collo in una situazione simile. Ma d'altronde come biasimare la loro collera, il loro astio e la loro sete di vendetta? Erano stati ingannati ad ogni piè sospinto solo nella speranza "comune" di poter porre finire alle ostilità e collaborare per uscire indenni dall'Abstergo.
    Se solo avessi saputo qualcosa di più. Che cosa avrei fatto? Avrei appoggiato Liam? Avrei tentato di farlo ragionare? No... di certo. Forse aveva fatto bene a tenermi all'oscuro, perché conoscendomi bene, non gli avrei mai consentito un gioco tanto sporco. A costo della nostra amicizia e della nostra alleanza. Anche se poi... anche se non così palesemente, il nostro rapporto si era incrinato sul serio. Dov'era la fiducia che tanto avevo riposto in lui, mio leader, mio amico? Aveva rovinato tutto e ancora ero all’oscuro di troppe cose. Situazione che mi faceva infuriare.
    Per quanto avessi tentato di estraniare la mia mente non avevo comunque potuto fare a meno di ascoltare l'intera conversazione tra i due Assassini e una parte in particolare aveva attratto la mia attenzione. Chi erano queste fantomatiche "ragazze"? Quale sorta di fanciulla era in grado di mettere su un piano per penetrare nell'Abstergo e liberare gli Originali? Si trattava forse di altre Assassine alleate? E perché mai tutte donne? Mmm la cosa proprio non mi convinceva...
    Una strana sensazione mi colse di sorpresa, come uno sguardo indagatore che infilzava la mia schiena. Ma non era possibile. Bayek non mi aveva scoperto. Stava tranquillamente accomiatandosi dal suo compagno.
    "Vieni fuori" mi chiamò Federico, una volta che fu certo che il Mentore fosse andato via. In una condizione di forte disagio, e per la spiacevole percezione di poco prima e per le informazioni "origliate" dalla loro conversazione, uscii allo scoperto.
    Camminavo ancora circospetta, come se da un momento all'altro la porta potesse spalancarsi di nuovo.
    Mi voltai e rimirai in silenzio il volto di Federico, che appariva chiaramente sulle spine. Era evidente che fosse del tutto contrario che io fossi a conoscenza di informazioni tanto delicate (anche se non sapevo fino a che punto). Nonostante ciò, lo vedevo ancora sofferente e lo stress di quegli ultimi momenti lo aveva provato molto. Insomma, si era svegliato dal coma solo poche ore prima e aveva passato quasi tutta la notte a lottare con me e ad affrontare funeree notizie.
    "Io vado" dissi con decisione e mantenendomi a debita distanza da lui. Non ero certa che mi sarei sottratta al suo tocco incandescente, se qualcun altro non fosse intervenuto. Non potevo rischiare.
    "Non se ne parla nemmeno!" affermò sul piede di guerra. "Dobbiamo parlare di un sacco di cose io e te. E tu lo sai" concluse con evidente nervosismo.
    Temeva senza dubbio che potessi spifferare quanto avevo sentito al mio gruppo. E come biasimarlo? Neppure io mi sarei fidata di una tipa come me, dopo tutto quello che era successo. Ma io non potevo rimanere... la notte stava fuggendo via e non potevo rischiare che mi beccassero in flagrante. E poi...
    "Devo riflettere..." dissi ad alta voce dirigendomi verso la porta chiusa. Ciò che non mi aspettai fu la reazione di quel pazzo di Federico, che iniziò a tirar via le cannule e gli elettrodi attaccati al suo corpo, con la seria intenzione di raggiungermi.
    "Non credere che te la caverai tanto facilmente, biondina..." aveva iniziato a dire, ma io ero già lì, vicina a lui, che tentavo di rimettere tutto a posto, per evitare che qualche sensore dei suoi parametri vitali iniziasse a trillare, richiamando l'attenzione delle infermiere al completo. A quel punto non avrei avuto scampo.
    "Ma sei pazzo? Vuoi che mi scoprano?" lo rimproverai mentre già seduto, e con le gambe penzoloni, provavo a farlo stendere di nuovo. In quel momento però biascicò: "Non puoi andare vi..." e svenne.
    La sua mole non indifferente si accasciò all'improvviso e per non farlo scivolare a terra, lo sostenni da sotto le braccia in un abbraccio caldo ma che di romantico aveva ben poco. Sembrava avesse il peso di una montagna e con non poca fatica riuscii a risistemarlo tra le lenzuola. Per fortuna aveva appena fatto in tempo a staccare le flebo ma gli elettrodi erano ancora al loro posto. L'allarme non era scattato. Tirai un sospiro di sollievo e mi soffermai solo un attimo a osservarlo da vicino. Mentre dormiva era decisamente più semplice. Lo avevo sperimentato molte volte. Riordinai i corti riccioli neri con la punta delle dita e potei notare la mandibola contratta e la fronte aggrottata. Soffriva ancora.
    "Alla fine hai ceduto..." sussurrai piano. "Riposati adesso... avremo tempo per parlare" conclusi con un’inspiegabile morsa che mi attanagliava il cuore.
    [...]
    Finalmente la giornata era giunta al termine. Riuscivo ad ottenere sempre gli ultimi turni alle docce per avere un po’ di privacy e un po’ più di tempo rispetto a quello concesso alle altre prigioniere. Non era certo una velleità di bellezza o un motivo per dedicare più attenzioni al mio corpo, ma era più un momento di relax in cui potevo rimanere sola con i miei pensieri, senza interruzioni esterne.
    La sala degli spogliatoi, anticamera delle docce, era deserta e presi a spogliarmi con tutta calma per poi infilarmi in uno dei box, incubato da piastrelle candide ma rimaneva aperto sulla parte posteriore. Non avevo nulla di cui vergognarmi. Avevo un fisico sinuoso e slanciato, ma odiavo il solo pensiero che qualcun altro potesse vedermi nuda contro la mia volontà. Che diamine, un po’ di riserbo era dovuto a un essere umano, no? Eravamo pur sempre in una prigione e parecchie di queste “questioni” passavano del tutto inosservate. Mi scrollai anche da quei pensieri snervanti e mi godetti il getto dell’acqua bollente che cadeva in rivoli gentili su tutto il mio corpo.
    Senza neppure volerlo, la mia mente volò a quattro giorni prima, quando avevo memorizzato in ogni suo tratto il volto addormentato di Federico. Era l’unico modo per potergli stare accanto senza franare in una furiosa litigata. Da svegli era impossibile stare l’uno di fianco all’altra e non urlarci contro. Da quel giorno non ero più tornata in infermeria. Non potevo rischiare tanto, ma questo non era l’unico motivo. La realtà era che lui sarebbe stato sveglio e che i discorsi che avremmo dovuto affrontare sarebbero stati troppo spinosi e importanti per non assicurarci l’ennesima lite. Non ne avevo proprio voglia.
    L’acqua calda ormai stava per finire, avevo svolto tutte le mie abluzioni, ma continuavo ad indugiare senza un reale motivo. All’improvviso, una presenza incombente alla mie spalle mi gelò il sangue nelle vene e non feci in tempo a voltarmi che una mano mi tappò la bocca e mi costrinse con la tempia contro le piastrelle gelate della doccia.
    Una cosa però mi parve fin troppo strana: oltre a sentire il peso del corpo del mio aggressore, percepivo il contatto con un tessuto morbido, che stonava in tutto il contesto. La soffice spugna di un asciugamano poggiava sulle mie spalle e avvolgeva le mie braccia. Era trattenuta in bilico tra la mia schiena e il petto dell'uomo. Se solo lui si fosse spostato mi sarei trovata nuda come un verme davanti a lui. Poi un profumo speziato, come di muschio aromatico e vaniglia... lo avrei riconosciuto tra mille, come riuscivo a distinguerlo anche tra i disinfettanti e gli odori pungenti dell'infermeria.
    "Federico..." dissi biascicando nella sua mano. Lo sentii sorridere con un tono basso ed inquietante.
    "Abbiamo lasciato qualcosa in sospeso, io e te, biondina!" disse con ironia e mi lasciò libera la bocca, ma non si scostò dal mio corpo.
    "Che diavolo ti è saltato in mente? E che stai facendo lì dietro appiccicato come una sanguisuga?" sussurrai con la gola in fiamme. Avrei voluto urlare ma non potevo attirare attenzioni indesiderate e lui lo sapeva bene. Il calore della sua vicinanza mi stava facendo perdere il senno e non avevo nessuna intenzione di cedere al suo fascino. Perché sì, dannazione, era sexy da morire ed io non ero nelle migliori condizioni per poterlo affrontare senza fallire miseramente.
    Mi fece voltare piano e continuò a sostenere l'asciugamano a coprirmi anche "il davanti". Non avevo il coraggio di guardare in basso, sarebbe stato troppo imbarazzante, ma non c'era pericolo che lui sbirciasse, continuava a tenere i suoi occhi incastonati nei miei. Sarei voluta precipitare mille volte in quei suoi grandi pozzi neri, ma non lo avrei mai ammesso, neppure sotto tortura!
    "Avevo una certa fretta di incontrarti" rispose lui candidamente alle mie domande di poco prima, che io avevo pressoché dimenticato... "Mi hanno dimesso stamattina è beh, sai, non potevo aspettare. Non sei più venuta a trovarmi..." continuò con fare finto imbronciato, mentre con la punta del naso stuzzicava la mia guancia e si portava sempre più vicino all'orecchio e al collo.
    "Non mi è sembrato che gradissi le mie visite!" risposi, reprimendo un fremito improvviso. Poi tentai di recuperare le mie facoltà mentali. "Adesso potrei asciugarmi e rivestirmi? Sto congelando..." conclusi battendo leggermente i denti. La tovaglia era molto ampia, ma i capelli lunghi erano fradici e gettavano una cascata di gocce gelate sulle spalle e le braccia rimaste scoperte e che sentivo ormai rigide per il freddo.
    "Certo... anche se è proprio un peccato. Sei uno spettacolo niente male" disse sorridendo a pochissimi centimetri dal mio viso, prima di sparire per andare a recuperare un altro asciugamano. Quel senso di vuoto improvviso quasi mi diede la nausea, ma tornò in un lampo e si mise paziente a frizionare con cura i miei capelli bagnati.
    Quel gesto mi sembrò così intimo che arrossii come una quindicenne, lieta che non potesse scorgermi.
    "Vieni qui... Non voglio che ti prendi un malanno per colpa mia. Io ce l'ho una coscienza... Al contrario di qualcuno che conosco!" mi disse enfatizzando l’ultima frase.
    Io feci per allontanarmi da lui, spingendolo in malo modo, ma non calcolai il pavimento umido e scivolai in avanti, andando a sbattere contro il suo petto che pareva fatto di marmo, protetto solo da una canotta di cotone nera. Mi aggrappai disperata alle sue braccia per non rovinare a terra, con l'unico inconveniente che il telo avvolto al mio corpo cadde, lasciandomi praticamente nuda e spiaccicata contro di lui. Non osavo guardarlo e mille maledizioni mi passarono per la testa.
    "Eh no biondina. Allora è un vizio... Non sono mica fatto di pietra... e non aspiro neppure alla santità. Tutt'altro!" disse buttando fuori una risata cristallina. Mi sembrò davvero sincera, come se tutto il male che aveva vissuto fosse scomparso per un breve, piccolissimo attimo.
    Fui un razzo. Mi staccai da lui, raccolsi il telo di spugna e mi precipitai più veloce della luce nello spogliatoio. Sperando con tutto il cuore di non prendere qualche altro brutto scivolone, evitando l'ennesima pessima figura. Ma dove cavolo era finita la maschera di fredda indifferenza che mi fregiavo di esibire con tutti coloro che mi si avvicinavano? Ne avevo un dannato bisogno ma di fronte a quello sfrontato, continuava a latitare. Maledetta!
    [...]
    Ormai ero vestita di tutta punta quando Federico fece capolino da dietro gli armadietti, quasi avesse calcolato il tempo con un cronometro.
    "Va bene, adesso parliamo" iniziai con furore per coprire l'imbarazzo. "Chi sarebbero queste fantomatiche 'ragazze' che devono venire a salvarvi?" chiesi stizzita. Perché avevo dato più importanza al "chi" e non al piano per la loro salvezza? Ci avevo rimuginato su per giorni, senza riuscire a trovare una risposta e con una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco.
    "Hai spifferato tutto ai tuoi amichetti?" incalzò lui...
    Rimasi di stucco. Era davvero convinto che avessi fatto la spia?! Ero incasinata fino al collo. Non sapevo di chi potermi fidare, ogni mia certezza era andata in frantumi. A chi avrei dovuto raccontarlo?! E poi che cosa?
    "Non arrivare a conclusioni affrettare, caro mio. La verità è che non ci ho capito proprio nulla. Quindi cosa avrei dovuto riportare, sentiamo... e poi non rispondere a una domanda con un'altra. Lo odio!"
    "Che cosa vuoi sapere? Chi sono queste ragazze... che te ne importa? Sei forse gelosa?"
    Mi sentii punta sul vivo. Aveva dato un nome alla strana sensazione che avevo provato nei giorni passati... ma non poteva essere vero, non “doveva” essere vero. Sarei stata un pazza scriteriata se fossi stata gelosa di Federico Auditore.
     
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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Federico:
    Apro gli occhi di scatto e la luce solare che filtra attraverso i tetti rossi mi abbaglia. Sono in piedi, immobile, in mezzo alla fiumana di gente che scorre per la strada lastricata in pietra. Non mi chiedo nemmeno dove sono, perché so esattamente dove mi trovo. Un luogo talmente familiare da farmi male. Il vociare dei bottegai e delle persone che mi camminano accanto mi inondano le orecchie.
    Come sono finito qui?
    La gente mi spinge, sembra quasi che mi trascinino nella corrente. Quindi cammino, li seguo, capendo fin troppo presto dove stiamo andando. Passo dopo passo faccio sempre più fatica a respirare, come se stessi affogando nel fiume di persone.
    Passo davanti a quello che un tempo era il mercato nuovo per poi girare a sinistra, dove si staglia davanti a me Piazza della Signoria, con al centro quel maledetto patibolo, ma questa volta è diverso.
    Con il cappio al collo non ci sono mio padre e Petruccio, bensì Ezio ed Altair, mentre al posto di Alberti c’è O’Brian che ghigna sadico mentre da l’ordine di uccidere i miei compagni.
    Scatto in preda all’ira e gli salto addosso pugnalandolo più e più volte, non fermandomi più.


    Mi svegliai terrorizzato, con il respiro affannato. Mi guardai attorno.
    La strada in pietra, i tetti rossi, il vociare della folla, tutto era scomparso.
    Ero sul mio letto in infermeria, l’infermiera che accorreva preoccupata. A quanto pare nel sonno avevo un po’ alzato la voce e mi ero leggermente dimenato… avevo urtato ripetutamente qualche macchinario ed ero riuscito inconsciamente a staccarmi qualche elettrodo.
    Mi riadagiai sul cuscino. Per fortuna era solo un incubo… no, era semplicemente la realtà. Quel terrore lo provavo costantemente. Non sapevo se effettivamente Ezio ed Altair fossero ancora vivi. L’unica cosa che potevo fare era aggrapparmi come un disperato alla speranza.
    Peccato però che ero anche un tipo abbastanza pratico, ergo, non riuscivo a starmene con le mani in mano. Ma che cacchio potevo fare costretto a letto?
    “Auditore, buone notizie. Oggi ti dimettiamo.” mi disse uno degli infermieri.
    “Finalmente! Grazie di tutto, mi mancherete!” esclamai, facendo l’occhiolino verso le colleghe del burbero che mi aveva appena dato la bella notizia. Le sentii schiamazzare. Mi adoravano.
    Il burbero non tanto, infatti lanciò loro un occhiataccia.
    “A noi no ed ora stai zitto! Ti preferivo quando eri privo di sensi.”
    Vi ricordate la famosa scopa in culo di Altair? Ecco, il mio caro amico non se la meritava per niente, al contrario di questo rompicoglioni qui.
    Devo ricordarmi di chiedergli scusa per quello.
    Speravo davvero di riuscire a dirglielo.


    Libertà!
    Ironico pensarlo in una prigione, non trovate? Però finalmente non ero più costretto su un maledetto letto tutto il giorno, quindi già questo mi bastava.
    Ora mi trovavo con gli altri miei compagni in giardino a parlare. Avevo raccontato per filo e per segno quello che era successo in quel maledetto fight club, loro mi avevano messo al corrente dell’attuale situazione e del piano delle Guerriere e tutti insieme ragionammo sul Livello 2, su come tirare fuori Altair ed Ezio, sperando di trovarli ancora vivi. Purtroppo era più probabile non vederli più. Il solo pensiero mi uccideva.
    C’era però un piccolo problema: non avevamo alcuna informazione su quel maledetto posto, di conseguenza ognuno di noi aveva un’idea diversa su come procedere.
    Jacob ed Edward erano furiosi e volevano buttarsi all'arrembaggio -a volte mi sorprendo di quanto il mio umorismo possa essere veramente puerile-; Bayek, Connor ed Evie volevano prima avere un piano ben congegnato da seguire; Arno era chiuso nel suo isolamento, ma riuscì comunque a concordare con Ed e Jake.
    Ed io? Io la pensavo nel mezzo. Avevo decisamente l’urgenza di tirarli fuori da lì, ma sapevo che se fossimo andati alla carica senza una strategia non avremmo concluso nulla.
    Ecco perché nel mentre di tutto ciò, mentre Evie dava della testa vuota ed impulsiva a suo fratello -lui a sua volta le dava della secchiona-, mentre Edward sbraitava un po’ a tutti -contro Connor e Bayek, contro Arno dicendogli di darsi una mossa-, io fissavo Yulia.
    Era dalla sera in cui mi ero risvegliato, per poi svenirle esausto fra le braccia, che non le parlavo.
    Non era più tornata a farmi visita e da quando ero uscito dall’infermeria stamattina non faceva altro che evitarmi. Le dovevo parlare al più presto, e qualcosa mi diceva che anche lei doveva farmi qualche domanda. Era fin troppo palese che la conversazione con Bayek le aveva dato da pensare.
    Era insieme ai suoi amichetti del cazzo e sua sorella, ma c’era qualcosa di strano.
    Prima del massacro, ogni volta che mi era stato possibile avevo osservato i Grigiastri con molto interesse, tentando di capire le dinamiche all’interno del gruppo e la indole di ogni componente.
    Potevo quindi affermare con abbastanza sicurezza che Yulia si stava comportando in maniera strana con tutti ma soprattutto con O’Brian. Era decisamente diffidente, sembrava quasi essersi allontanata dagli altri, come se ci fosse qualcosa di impercettibile a dividerla dal resto del gruppo. E sua sorella sembrava essersene accorta. Come non avrebbe potuto? Anche non sapendo il motivo, si nota sempre se c’è qualcosa che non va nel proprio fratello.
    La vidi allontanarsi. Era il mio momento.
    Mi allontanai a mia volta con la scusa di andare in palestra per rimettermi in forma. Non era del tutto una scusa, perché comunque a breve sarei andato davvero ad allenarmi, avevo i muscoli completamente intorpiditi, sentivo il mio corpo debole a causa del lungo periodo costretto a letto. Nemmeno un minimo di riabilitazione fisica ‘sti stronzi!
    La mia priorità però al momento era parlare con Yulia.
    Si diresse nello spogliatoio femminile annesso alle docce.
    Per qualche minuto rimasi ad aspettare in quello maschile, per non dare nell’occhio nel caso fosse passato qualcuno, per poi sgattaiolare in quello adiacente.
    Lo scroscio dell’acqua mi inondava le orecchie. Ma quanto ci metteva per farsi una doccia?!
    Dovevo parlarle il prima possibile, ecco perché decisi di avvicinarmi a lei, ancora nuda sotto l’acqua… ma chi volevo prendere in giro? Cinque minuti in più o in meno non avrebbero fatto la differenza per una conversazione, però ero pur sempre io e di certo non ero un santo immune al fascino femminile. Non che spiassi di continuo ragazze eh, precisiamo, non ero un pervertito del cazzo, ma con le donne per cui provavo un forte interesse facevo sempre cazzate… da quando Yulia rientrava fra queste?!
    Scacciai quel pensiero con forza, presi un asciugamano e mi avvicinai silenzioso come un gatto a lei, non riuscendo proprio ad ignorare la bellezza e la sensualità che la pervadeva da capo a piedi.
    Rapido le poggiai sulle spalle il telo per poi immobilizzarla e zittirla contro il muro della doccia.
    Biascicò il mio nome contro il palmo della mia mano. Non riuscii a fermare il sorriso che mi affiorò sulle labbra. Mi aveva riconosciuto.
    “Abbiamo lasciato qualcosa in sospeso, io e te, biondina!” dissi con tono ironico e quasi canzonatorio, come fa il lupo cattivo quando si rivolge a Cappuccetto Rosso, mentre la lasciavo libera dalla mia morsa, rimanendole però addosso. Sapevo che non avrebbe urlato, non voleva di certo che qualcuno ci vedesse così, fraintendendo sicuramente.
    "Che diavolo ti è saltato in mente? E che stai facendo lì dietro appiccicato come una sanguisuga?" sussurrò rabbiosa.
    In effetti non era il massimo parlare ai suoi capelli, quindi, tenendo fermo l’asciugamano davanti a lei per coprirla, la feci girare piano verso di me.
    Incontrai subito i suoi occhi azzurri, non glaciali come al solito, che, incorniciati dai capelli biondi e la pelle diafana, sembravano contenere il mare in tempesta. Quest’immagine combinata con quella del suo corpo flessuoso di poco fa poteva mandare ai pazzi chiunque, ovviamente me compreso.
    "Avevo una certa fretta di incontrarti. Mi hanno dimesso stamattina e beh, sai, non potevo aspettare. Non sei più venuta a trovarmi…" le dissi fingendo una faccia da cucciolo bastonato per poi avvicinarmi al suo viso, poi al collo, con il preciso intento di infastidirla, o meglio, sperare in altre reazioni da parte sua. Quasi mi persi del suo profumo delicato ma allo stesso tempo leggermente speziato.
    "Non mi è sembrato che gradissi le mie visite! Adesso potrei asciugarmi e rivestirmi? Sto congelando..."
    "Certo... anche se è proprio un peccato. Sei uno spettacolo niente male" le sorrisi quasi naso contro naso prima di allontanarmi per prendere un secondo asciugamano. "Vieni qui... Non voglio che ti prendi un malanno per colpa mia. Io ce l'ho una coscienza... Al contrario di qualcuno che conosco!" le dissi marcando l’ultima frase ed iniziai a tamponarle i capelli.
    O almeno ci provai, perché lei mi spinse via rovinandomi però addosso per via del pavimento scivoloso.
    Tentai di sostenerla come potevo per non farla finire a terra, però farlo senza poterla toccare era un po’ complicato. Ma la cosa più complicata era proprio non toccarla o guardarla, perché per colpa dello scivolone l’asciugamano che la copriva era caduto, lasciandola nuda contro di me.
    Anche se non avrei voluto vedere niente -so cosa state pensando, una morale ce l’ho anch’io eh!-, purtroppo, o per fortuna, non ero cieco.
    Era magnifica. Mi sembrava di avere davanti la Venere dipinta da Botticelli, con la sola differenza che era vera, viva, ed attualmente fra le mie braccia.
    "Eh no biondina. Allora è un vizio... Non sono mica fatto di pietra... e non aspiro neppure alla santità. Tutt'altro!" le dissi ridendo di gusto per la situazione bizzarra ed inverosimile. Dovevo ammettere che in secoli di vita non mi ero mai ritrovato in una situazione del genere.
    Rapidissima si staccò da me, prese l’asciugamano e corse nello spogliatoio.


    Le lasciai tutto il tempo per sistemarsi ed io nel mentre facevo mente locale su quello che le dovevo dire, ma soprattutto su quello che era appena successo.
    Quando ormai era passato abbastanza tempo andai nello spogliatoio e mi appoggiai agli armadietti guardandola fissa negli occhi, incalzandola per iniziare la conversazione.
    "Va bene, adesso parliamo. Chi sarebbero queste fantomatiche 'ragazze' che devono venire a salvarvi?"
    Oh oh, domanda interessante. Una parte di me non sapeva esattamente cosa risponderle riguardo al salvataggio, però sapevo esattamente cosa dirle riguardo alle ragazze. Prima però dovevo togliermi un dubbio che mi attanagliava da troppi giorni, anche se ero abbastanza sicuro della risposta considerando il suo comportamento con il resto del suo gruppetto.
    "Hai spifferato tutto ai tuoi amichetti?"
    "Non arrivare a conclusioni affrettare, caro mio. La verità è che non ci ho capito proprio nulla. Quindi cosa avrei dovuto riportare, sentiamo... e poi non rispondere a una domanda con un'altra. Lo odio!"
    Dovevo ammetterlo: mi divertivo come un matto a stuzzicarla così, e con la mia prossima frase l’avrei fatto ancora di più.
    "Che cosa vuoi sapere? Chi sono queste ragazze... che te ne importa? Sei forse gelosa?" le dissi regalandole un sorriso malizioso.
    La vidi irrigidirsi. Avevo fatto centro.
    “Assolutamente no! Io gelosa? Ma fammi il piacere! Era semplice curiosità, per capire chi sarebbe venuto a salvarvi.” sembrava convincente… appunto, sembrava.
    Non riuscii a trattenere un ghigno divertito.
    “Sono le dolci metà di alcuni miei compagni che hanno un piano per tirarci fuori di qui, quindi puoi stare tranquilla, nessuna mi ha ancora accalappiato.” le dissi facendole l’occhiolino ed in risposta lei sbuffò.
    “Bene, abbiamo finito? Allora a mai più!” mi disse mentre tentò rapidamente di andarsene.
    Peccato che io glielo impedii, afferrandola per il polso e bloccandola tra la fila di armadietti e me.
    “No no biondina, non ci siamo capiti. Per tua sfortuna non sono più né mezzo morto, né ancorato ad un letto. Ora non mi puoi sfuggire.”
    “Cosa vuoi ancora?” mi chiese spazientita.
    “Cosa c’è al Livello 2?”
    “Ancora?! Tutte quei colpi devono averti reso sordo. Ti ho già detto che non lo so!”
    “Tu no, ma il tuo amichetto O’Brian lo sa, altrimenti non ci avrebbe mandato Ezio ed Altair.”
    “E quindi? Vuoi che lo scopra?” mi sfidò.
    “Bingo. Tu mi hai detto più volte che non sapevi assolutamente niente di quello che è effettivamente successo al fight club. Sei palesemente contraria a quel che è accaduto ed il senso di colpa ti sta attanagliando. Quindi perché non aiutarmi?”
    “Tradendo i miei compagni?” mi chiese indignata.
    “Non ti dico di tradirli… come ha fatto O’Brian” marcai particolarmente l’ultima parte della frase “Ti chiedo solo di aiutarmi. Io… devo sapere come stanno, cosa li stanno facendo, se sono ancora vivi… devo liberarli, non posso lasciarli laggiù. Non posso lasciare laggiù mio fratello sapendo che lui è finito in quel posto del cazzo solo perché mi ha difeso.” esclamai concitato mentre mi allontanavo da lei per sedermi sulla panchina di fronte agli armadietti a cui lei era ancora appoggiata.
    Le guardie che portano via mio padre e mio fratello davanti a me, i loro occhi sgranati, i visi paonazzi e le bocche spalancate alla ricerca ossigeno mentre erano appesi a quel maledetto cappio, la gente che inveiva contro di loro. Erano immagini ancora fin troppo nitide nella mia mente anche a distanza di secoli. All’epoca non riuscii a difendere nessuno come avrei voluto, questa volta non poteva ripetersi.
    La scena dell’incubo di stanotte tornò prepotente a tormentarmi. Non l’avrei mai permesso. Avrebbero prima dovuto uccidermi per farmi desistere dal trovarli e salvarli.
    Guardai intensamente Yulia negli occhi e parlai in un modo che decisamente non mi apparteneva. Ogni difesa si stava pian piano sgretolando sotto al peso del dolore e dell’incertezza.
    “Yulia, per favore, non so che altro fare.”
     
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    Roberta
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    :Yulia:

    “Assolutamente no! Io gelosa? Ma fammi il piacere! Era semplice curiosità, per capire chi sarebbe venuto a salvarvi.” dissi con voce incerta. Non avevo idea di cosa inventarmi per mascherare le mie vere sensazioni. Mi era sembrata la risposta più finta e forzata che avessi mai architettato e sapevo con matematica certezza che Federico se n’era accorto. Continuava a rimirarmi con quel suo sorrisino strafottente e nello sguardo un lampo di malizia che mi fece rabbrividire. All’improvviso, le scene di poco prima mi balenarono in mente – me nuda con lui alle spalle, me nuda con lui davanti, me nuda con lui addosso, insomma c’era un’unica costante, la mia nudità e la sua dannata vicinanza! – e rischiai di perdere il filo del discorso, arrossendo in maniera del tutto inaspettata.
    “Sono le dolci metà di alcuni miei compagni che hanno un piano per tirarci fuori di qui, quindi puoi stare tranquilla, nessuna mi ha ancora accalappiato.” Perché diavolo credevo alle sue parole? Perché mai avrei dovuto sentirmi sollevata nell’udire una simile rivelazione? “Adesso basta! Il mio cervello sta per scoppiare. Questo tizio finirà per farmi impazzire! Ne sono certa!” Dovevo assolutamente allontanarmi da lui senza “ulteriori danni”. Era convinta di aver già perso buona parte della mia credibilità e dignità d’innanzi ai suoi occhi. Non faceva altro che deridermi e trattarmi come se fossi una scolaretta in piena cotta adolescenziale! Sì, perfetto. La fuga era sempre la scelta migliore in questi casi, io ero un esperta.
    “Bene, abbiamo finito? Allora a mai più!” Stavo per effettuare la mia uscita di scena ad effetto quando mi sentii afferrare per un polso, il suo corpo divenne la mia prigione e mi bloccò contro gli armadietti: la mia ritirata fallì miseramente. “Maledetto Auditore!” pensai esasperata. Non ne aveva ancora abbastanza? Quanto ancora voleva torturarmi?
    “No no biondina, non ci siamo capiti. Per tua sfortuna non sono più né mezzo morto, né ancorato ad un letto. Ora non mi puoi sfuggire.”
    “Cosa vuoi ancora?” gli chiesi ormai esasperata. Volevo andare via da lì. Avevo bisogno di riflettere su ciò che mi aveva detto di “quelle ragazze”, su quello che provavo. Sentivo in arrivo un attacco di panico e non era affatto consueto per me.
    “Cosa c’è al Livello 2?” La sua domanda mi arrivò come una pugnalata in pieno petto, lì a ricordarmi quanto ero stata ferita e messa da parte. “Ti odio, Federico… ti odio Liam!”
    “Ancora?! Tutti quei colpi devono averti reso sordo. Ti ho già detto che non lo so!” risposi con tono concitato ma rassegnato al tempo stesso. Quante volte avrei dovuto ripeterlo, affinché mi credesse? Cominciavo a perdere le speranze, quando all’improvviso, pensai ad un’altra possibilità. Gli Originali volevano qualcosa da me e Federico era lì “in rappresentanza” per chiedermela. Cominciai a tremare… non sapevo se per la rabbia o per la delusione.

    “Tu no, ma il tuo amichetto O’Brian lo sa, altrimenti non ci avrebbe mandato Ezio ed Altair.” Ecco che il quadro prendeva forma.
    “E quindi? Vuoi che lo scopra?” lo incalzai con tono di sfida, guardandolo con due occhi che avrebbero potuto incenerirlo.
    “Bingo. Tu mi hai detto più volte che non sapevi assolutamente niente di quello che è effettivamente successo al fight club. Sei palesemente contraria a quel che è accaduto ed il senso di colpa ti sta attanagliando. Quindi perché non aiutarmi?” Stava usando i miei sentimenti, li stava manipolando per convincermi a fare quello che volevano. Il mio dannato senso di colpa raschiava ancora la mia coscienza e lui se n’era accorto. Non aveva perso tempo per rivoltarmelo contro.
    “Tradendo i miei compagni?” Ero livida di collera e mi sentii male, male nell’anima, perché sebbene mi sentissi ferita, sapevo che lui aveva ragione, sapevo che ero alleata di una persona che pensavo di conoscere, ma che invece, in un momento cruciale mi aveva mentito e usato… anche lui. Ma per chi mi avevano presa tutti? Per l’oggetto utile di turno da maneggiare a piacimento e all’occorrenza. Stavo per ribattere, lanciandogli contro tutto l’odio e il risentimento che avevo accumulato negli ultimi giorni quando lui proseguì.
    “Non ti dico di tradirli… come ha fatto O’Brian… Ti chiedo solo di aiutarmi. Io… devo sapere come stanno, cosa gli stanno facendo, se sono ancora vivi… devo liberarli, non posso lasciarli laggiù. Non posso lasciare laggiù mio fratello sapendo che lui è finito in quel posto del cazzo solo perché mi ha difeso.”
    Le sue parole mi lasciarono di stucco. Pensavo che mi avrebbe rinfacciato tutte le malefatte di Liam, la mia complicità e la loro pretesa di un qualche nostro intervento per far uscire Ezio e Altair dal livello 2. Non sarebbe stato inverosimile pensare di poterlo fare. Se Liam ce li aveva mandati, allora avrebbe potuto salvarli. Aveva senso… Invece ero lì davanti a lui, mentre si allontanava e si metteva seduto su una panca poco distante, creando un vuoto che mi parve gelido come una notte d’inverno… ero rimasta con la bocca semiaperta per lo stupore, quando arrivò il colpo di grazia.
    “Yulia, per favore, non so che altro fare.”
    Tutto il suo dolore, tutta la sua preoccupazione si riversò sul mio corpo al pari di una cascata gelida. Rabbrividii… Mi ero preparata a partire sul piede di guerra per difendere la mia dignità di “Grigia”, ma mi ero scontrata contro un muro di disperazione. Mi immedesimai nel suo essere fratello maggiore, nel suo essere parte di un gruppo, di una Confraternita e non potei che toccare con mano ogni sua singola emozione. Era come se fossi dentro di lui e percepissi tutti i suoi pensieri più strazianti.
    Aveva ceduto… il forte, burbero e ironico Federico Auditore aveva fatto cadere la maschera che propinava agli imbelli e si era sgretolata davanti ai suoi piedi, nel mentre, dopo avermi guardato, era tornato a tenersi la testa tra le mani. Mi sembrò di poterli contare uno ad uno i frammenti della sua “corazza” ed erano tutti lì per me, per farmi comprendere che ciò che rimiravo, era la sua vera essenza, la sua vera anima. Mi sentii sciogliere come un ghiacciolo vicino a vampe incandescenti.
    Mi avvicinai piano a lui, il mio passo era silenzioso, solo io potevo udire il battito furioso del mio cuore e l’orchestra di sfarfallii nel mio stomaco. Sfiorai con le dita la sua testa rasata e immaginai di immergerle tra i riccioli nerissimi che sapevo portasse normalmente, quando era libero, quando era fuori di qui.
    Lui si sorprese di quel contatto e alzò lo sguardo verso di me, come se preso dai suoi pensieri non mi avesse sentito arrivare. Incastonai i miei occhi nei suoi e lo rapii. Continuai ad accarezzarlo e afferrai entrambe le sue mani che ancora aveva vicine al capo, le strinsi forte… non riuscivo a parlare, avevo la gola serrata, ma al tempo stesso non riuscivo a fermarmi. Mi sedetti a cavalcioni sulle sue cosce muscolose e portai le sue braccia dietro la mia schiena e poi lo abbracciai, lo tenni così tanto stretto che mi sembrò di perdere il respiro insieme a lui. Percepii la sua iniziale incertezza, mi sfiorò appena i fianchi, salendo tra le scapole e poi serrò un cerchio indissolubile e mi incatenò a sé. Io tuffai il viso nell’incavo del suo collo e inspirai il suo profumo tanto familiare. Mi inebriai del suo essere, volevo fondermi con la sua sofferenza, fargli capire che non era solo, che potevo comprendere ogni sua stilla di dolore. All’improvviso, mi allontanò quel poco per potermi guardare negli occhi, afferrò il mio viso tra le mani e mi baciò. Senza avvisare, senza chiedere, senza remore. Aveva rubato le mie labbra ed io glie le concessi con esasperata passione. Portai, a mia volta, le mani dietro la sua nuca e lo ancorai a me. Non poteva più fuggire, qualora ne avesse avuto l’intenzione. Avevamo atteso a lungo questo momento e avevamo indugiato fin troppo, schiavi di etichette e falsi moralismi. Non pensai a nulla se non a godermi il suo calore e il contatto infuocato che mi concedeva. Mi parve un’eternità rovente e quando quasi sentii il mio petto scoppiare per l’emozione, mi staccai da lui, conscia che di lì a breve avrei perso il senno e non sarei riuscita più a ritrovare la lucidità che necessitavo per dire quello che avevo in mente.
    Avevo il fiatone e mi beai del suo sguardo di lava liquida che mi inquinava i pensieri e mi tentò ancora una volta, ma resistetti.
    “Io… posso capire come ti senti… io… lo so! Vi aiuterò. TI aiuterò a sapere qualcosa su tuo fratello e il tuo compagno.” Però non era tutto, e lui lo doveva sapere. “Ma voglio che tu sappia… che non affronterò Liam solo per la vostra causa. Lo farò anche per me. Voglio capire… Devo capire…” Non ero in grado di articolare altre sillabe, ma dentro la mia testa c’era un uragano forza 9. Avrei parlato con Liam per comprendere una volta per tutte, perché aveva agito a quel modo, in solitudine e in silenzio. Quel bacio mi aveva convinta ancora di più ad andare fino in fondo. Io e Federico stavamo diventando qualcosa, ma non volevo ombre, non volevo dubbi e la prima che avrebbe dovuto fare chiarezza ero proprio io. Lui non disse niente.
    “Ho lasciato Federico Auditore senza parole? Ma questo è un miracolo!" dissi sorridendo per stemperare quella tensione sensuale che aleggiava tra di noi. Mi fissò con intensità, ancora in silenzio. Non fece altro. E poi mi abbracciò lasciandomi senza fiato. Io avevo capito il messaggio che mi aveva lanciato o almeno ci speravo: “Tu sei mia. Ricordalo bene!”
    “Non credere di essertela cavata tanto facilmente, Auditore… Dovremo riparlare di quelle famose ‘ragazze’, tu non me la racconti giusta!” Anche lui, ora, era mio!
    Non so a cosa ci avrebbe portato tutto questo sentire, ma non me ne preoccupai… mi trovai solo a sorridere accoccolata sulla sua spalla.
    […]
    Eravamo fuori in giardino per la consueta ora d’aria. Era l’unico luogo dove avrei potuto affrontare Liam, allontanandomi dagli altri del gruppo. Sapevo perfettamente che avevano intuito che c’era aria di tempesta tra me e lui ma non avevano ancora osato chiedere. Mi aspettava a breve un assalto incrociato che partiva da Yelena e finiva con Lin, ma lo avrei affrontato a tempo debito. Adesso avevo altro a cui pensare.
    Lo vidi al limitare ad est del parco, era di spalle che guardava la distesa di alberi al di là delle mura dell’Abstergo. Lo raggiunsi in silenzio e sostai al suo fianco.
    Sentivo che c’era qualcosa che non mi aveva confessato, dovevo capire cos’era e perché mi aveva tenuta fuori da tutta questa storia. Avrei finalmente saputo che cosa ero diventata io per lui.
    “Ehi… ciao. Possiamo parlare un attimo?” gli chiesi concisa, ma la mia voce tremò un poco. Seguii il suo sguardo e vi lessi una tristezza infinita. Stavo quasi per andare via, esortata dal suo silenzio, ma rispose subito dopo.
    “Parliamo pure… è arrivato il momento!”


    Edited by SydneyD - 28/5/2020, 22:32
     
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    Annarita
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    :Liam:
    I miei passi erano veloci, affannati, desiderosi di trovare un riparo ad occhi indiscreti. E sapevo che ce n’erano fin troppi. Cercavo di non correre, di non dare nell’occhio, di sembrare normale, ma non è facile perseguire questo scopo quando il tuo corpo va a fuoco, i tremori rischiano di spezzarti in due e la febbre ti lacera dall’interno.
    Il mio tempo stava per finire. Il mio tempo tiranno stava dandomi nuovi segnali.
    “Tic-toc, tic-toc, datti una mossa O’Brien, oppure farai la fine del topo...” Ecco cosa mi urlava nella testa, spingendomi ad andare ogni volta oltre i limiti, portandomi a ferire e a perdere le persone a me care. In fondo, cominciavo a credere che fosse questo il mio destino, fin dall’inizio. Fin da quando questa maledizione si era incarnata nelle mie cellule e aveva cominciato a cambiarle. Mentre io rimanevo lo stesso, non volevo mutare con esse. Era questo il gap incriminato, l’anello debole dell’intera catena, l’unica vera motivazione a tutte le mie follie. Perché una certezza ce l’avevo in mezzo a tanta confusione: io non volevo essere un Deviante, piuttosto avrei trovato il modo di darmi la morte. Con la stessa consapevolezza però, non volevo che tale morte arrivasse da loro.
    Mi infilai di soppiatto nei bagni comuni per soli uomini, l’unico rifugio utile per sfuggire al controllo testardo della mia inseguitrice di quei giorni: Evie Frye.
    Dagli eventi del Fight Club, gli Originali mi stavano alle calcagna. A dirla tutta, ero sorpreso di non aver già subito qualche rappresaglia, anche se la vendetta non era tra le loro prerogative, sapevo che tra le loro fila militavano teste calde capaci di tutto: la rissa di qualche settimana prima ne era la prova. Tuttavia, si erano limitati a uno stalkeraggio serrato, quasi h24. Si davano i turni per giorni interi, salvo mollare la presa nelle ore notturne quando tutti i prigionieri erano costretti a rimanere chiusi nelle proprie celle. Pensando a questa “fortuna”, non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Senza questa regola non avrei potuto attuare la seconda parte del mio piano.
    Trovai una cabina libera, tentando di ignorare gli sguardi curiosi di altri due prigionieri che si stavano lavando prima di uscire. Mi rannicchiai nel piccolo vano e respirai a fondo, le dita a massaggiare le tempie bollenti, le palpebre dolenti e le labbra secche. Dovevo solo attendere che passasse il peggio, per tornare presentabile. Mostrarmi debole avrebbe solo innescato un meccanismo terribile in cui non solo io ci sarei andato di mezzo… D’altro canto, dovevo preoccuparmi solo degli Originali ficcanaso, perché i Grigi, da tempo ormai, mi stavano alla larga. Ognuno, a loro modo, risentiva del gelo che si era creato fra me e Yulia. Yelena per ovvi rapporti con lei, Lin di conseguenza, Morrigan ed Emir avevano sempre rappresentato un nucleo a sé.
    Paradossalmente, l’assenza delle persone che mi stavano più a cuore, in questo momento, rappresentava la mia salvezza.
    Dovevo darmi una mossa, altrimenti la Frye si sarebbe insospettita se fossi rimasto qui troppo a lungo. Uscii dalla cabina e con sollievo constatai di essere solo. Mi avvicinai ai lavandini e feci scorrere l’acqua dal rubinetto per un tempo che mi parve infinito prima di riempire le mani a coppa e buttarmela sul viso, una, due, più volte. Lasciai che il liquido fresco lenisse la temperatura e alleviasse i tremori, poi mi guardai allo specchio e fui costretto a stringere le palpebre per il fastidio.
    Non perché il mio riflesso non fosse più quello a cui avevo abituato tutti coloro che mi conoscevano – i cerchi scuri sotto gli occhi, la pelle fin troppo pallida, le iridi chiare più simili al vetro che a un lago cristallino – ma a causa del secondo riflesso che vi scorsi.
    “Vedo che neppure i bagni degli uomini riescono a darmi un po’ di privacy, se intendi aiutarmi anche nei miei bisogni primari, basta avvisarmi…” La mia voce era resa tagliente dall’irritazione, un po’ camuffata dal mio solito sarcasmo.
    Evie Frye se ne stava appoggiata allo stipite della porta con la spalla, in posizione di totale rilassamento. Mi sfidava, forse, oppure semplicemente non gliene fregava nulla di essere beccata in luoghi proibiti.
    “Non sono interessata ai tuoi bisogni, non ti montare la testa. Eseguo solo degli ordini. E tu sai bene quanto io sia ligia al mio codice…”
    Il riferimento poco velato all’imboscata che avevo teso ai suoi compagni, insieme allo sdegno di cui erano intrise le sue parole mi fecero comprendere ben più di una cosa: dovevo agire con maggiore attenzione per portare a termine il mio piano, dovevo stare in campana e tenere gli occhi ben aperti se non volevo ritrovarmi a compiere qualche passo falso.
    Il suo sguardo indagatore frugava il mio viso in cerca di indizi e risposte in merito al mio stato. Di certo aveva notato che non ero in salute come ricordava durante i nostri ultimi “approcci”, ma i motivi potevano essere milioni ed io non avevo alcuna voglia di star lì a ciarlare ancora con il nemico. Avevo cose ben più importanti da fare.
    “Stai per caso perdendo colpi, O’Brien?” Piegò la testa di lato e non smise di fissarmi nello specchio. Fu allora che ruppi il contatto visivo e mi voltai di lato per asciugarmi con qualche salvietta di carta.
    “Vi piacerebbe, vi farebbe comodo, vi renderebbe tutto più facile, vero? Ma no, Frye, riferiscilo pure a chi di dovere. Porterò a termine quanto c’è da portare a termine, con o senza di voi a rompermi le palle.” Non le diedi tempo di replicare, non avevo voglia di esporre ancora una volta la mia debolezza al mondo, tantomeno a un’Assassina che continuavo a trovarmi tra i piedi. Sbuffai, prima di sbattermi la porta del bagno dietro le spalle.
    […]
    “Ehi… ciao. Possiamo parlare un attimo?”
    Aspettavo questo momento da tempo, non che l’avessi sollecitato in qualche modo, intendiamoci. Tuttavia, sentivo che sarebbe giunto quando i tempi sarebbero stati maturi e lei avrebbe riflettuto a lungo sul nostro rapporto.
    “Parliamo pure. È arrivato il momento!”
    Un po’ a fatica, mi sedetti su una panchina in direzione della distesa erbosa che circondava questa maledetta prigione. Un modo come un altro con cui l’Abstergo ci informava di averci rinchiusi, come miserabili insetti, in una campana di vetro. Stranamente, però, questo punto di osservazione mi aiutava a riflettere, forse perché mi distraeva dal mare di bianco in cui eravamo costretti a vivere giorno e notte.
    “Non stai bene…” constatò Yulia con voce preoccupata, anche se ancora tesa.
    “Sapevamo che sarebbe successo. Ma non siamo qui a parlare di questo, o sbaglio?” Parlavo con tono calmo, conciliante, non desideravo issare un muro impenetrabile. Ciò nonostante, continuavo a guardare verso l’orizzonte, l’unico punto fermo che avevo in questo istante.
    “No, hai ragione. La verità è che ho bisogno di capire…Perché? Perché l’hai fatto alle mie spalle, perché mi hai tenuta fuori dal tuo piano, perché non ti sei fidato di me?” Aveva parlato tutto in un fiato, come se avesse trattenuto ogni singola sillaba in una pentola a pressione per troppo tempo.
    Attesi qualche attimo prima di rispondere, volevo che il cuore – che batteva forte nel mio petto – riprendesse a un ritmo normale. Non doveva comprendere il mio turbamento.
    “Non ho mai perso la fiducia in te, non me ne hai mai dato motivo. Al contrario, io te ne ho dati mille per dubitare di me. Nei tuoi panni mi sarei comportato alla stessa maniera” esordii, schiarendomi subito dopo la voce: era diventata troppo roca. “Non posso coinvolgere te e i ragazzi in tutto questo. Ho deciso che se qualcuno deve procedere a passo spedito verso l’inferno, quel qualcuno devo essere io.” Con un cenno della mano le impedii di interrompermi. “Fammi finire, solo così potrai trarre le tue conclusioni. I piccoli non sanno del mio problema, ma tu sì. Conosci molto bene le conseguenze a cui vado incontro se non usciamo da qui prima che il tempo scada. Per questa ragione devo agire oltre le regole, oltre la morale, oltre quello che ci lega. Se ti avessi messa a parte del mio piano al Fight Club me lo avresti impedito, oppure ti saresti macchiata con me di un’azione non degna del nostro codice. Credo in ciò che vi ho insegnato, ma per me è arrivato il momento di scavalcarlo. Ciò non significa che debba toccare anche a voi la stessa sorte.” Presi fiato e lei approfittò per inserirsi, anche se parlò con una voce talmente sottile che feci fatica a udirla.
    “Non hai alcun diritto di decidere per tutti noi.” Non era una vera protesta, lo sentivo, in fondo comprendeva le mie ragioni anche se non le condivideva. Lei era una persona buona, pura più di quanto immaginava.
    “Per permettervi di decidere, dovrei raccontare ogni cosa. Come pensi che la prenderebbero i ragazzi? E tu? Riusciresti davvero ad andare fino in fondo per restare al mio fianco? Significherebbe sporcare la propria dignità di Grigio e di essere umano. Non sono domande per le quali voglio una risposta. Le conosco alla perfezione. Per questa ragione ho agito così… e continuerò a farlo. La sentii voltarsi di scatto nella mia direzione, io però, seguitai a guardare in avanti.
    “Non è ancora finita, vero? Fin dove dovrai spingerti ancora?” mi chiese con voce tremante.
    “Fin oltre la soglia di questa dannata prigione… E farò tutto il necessario per arrivarci. Senza di te, senza di voi.” Il mio cuore prese a tempestare la gabbia toracica, percepii una breccia farsi largo sulla sua superficie. Non immaginavo che il dolore della perdita sarebbe stato così lacerante. Per questo mi alzai, sfiorandola appena con il mio sguardo contrito. Solo per pochissimo tempo, qualche attimo in più e sarebbe stato ancora più difficile.
    “Non puoi mollarci così, ci devi un po’ di rispetto dopo quanto ti abbiamo dato…” Un groppo in gola le impediva di parlare chiaramente, mentre alcune lacrime affollavano gli angoli dei suoi occhi chiari ma si rifiutavano di scorrere via. Era chiaro che parlava al plurale ma si riferiva soprattutto a se stessa. Fu come ricevere una coltellata in pieno petto, ma non arretrai.
    “Se mollarvi corrisponde a salvarvi la vita, allora lo farò eccome. Anzi, direi che è addirittura un mio dovere” rincarai la dose, con tono volutamente duro. Tuttavia, prima di avviarmi verso il cortile e chiudere del tutto la questione, avevo un’ultima cosa da dirle. “Sono vivi. Auditore e Ibn-La'Ahad sono ancora vivi. Saranno sottoposti a prove molto difficili, ma potrebbero farcela. Riferisci anche tu a chi di dovere.” Non poteva immaginare che solo qualche ora prima avevo inviato un altro messaggio agli Originali attraverso Evie Frye. Questo però aveva una duplice valenza: una specie di regalo di addio e un monito: doveva sapere che le sue mosse non mi erano sconosciute. Non avrei smesso di interessarmi al loro destino, solo che non sarei stato io a determinarlo. Non più.
     
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