Edward & Nike Origins

Earth Prime

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    :Edward:
    Londra, 1728
    La balaustra di legno scricchiolò sotto il mio peso. Mi ritrovai a penzolare ben oltre il torace nel vuoto, con il sangue che confluiva rapidamente al cervello e gonfiava le vene fino al punto di farle quasi scoppiare. Un sapore acido mi arrivò in gola. Guardai il pavimento diversi metri più in basso. Per un secondo, mi balenò nella mente la visione della mia testa aperta come un frutto troppo maturo, spiaccicata sul marmo bianco, il sangue che si allargava lentamente, scuro e denso come i giorni che si trascinavano da quando lei non era più con me.
    Eppure, mi ero appena svegliato dopo un sogno che facevo spesso, anche se questa volta era stato più reale di tutti i precedenti. Lei era con me e facevamo l'amore come non succedeva da tanto, troppo tempo. Era stato un sogno così vivido da lasciarmi quasi una sensazione fisica addosso. Forse stavo impazzendo. Sogghignai, un suono sgradevole prodotto dalla voce che la vita sregolata aveva arrochito e rovinato.
    Mi crogiolavo in uno stato pietoso, con l'angoscia appiccicata addosso come pece da calafataggio. In quell'esatto momento però, ridevo ed ero di buon umore, senza alcun motivo particolare che non il ricordo sognato di un desiderio.
    Con uno scatto di reni mi tirai su dal pericolo concreto di sbilanciarmi del tutto e precipitare di sotto. Avrei desiderato, in una piccola parte del mio cervello, strapparmi anche dall'altro abisso, quello dello spirito, in cui stavo sprofondando.
    Mi diedi troppo slancio. Non avevo completa padronanza del mio corpo. Il dopo sbornia era duro e durava a lungo, quando si era alcolizzati come me. Dovetti sorreggermi di nuovo alla ringhiera, per non cadere all'indietro. L'equilibrio era difficile da mantenere, e se non fossi stato certo di essere a Londra, avrei giurato di trovarmi sul ponte della Jackdaw in mezzo ad una tempesta infernale, con onde alte come palazzi.
    Mi ero alzato dal letto disturbato da qualcosa che non ricordavo, e a passi malfermi ero uscito dalla camera. In corridoio, avevo cercato di camminare senza sorreggermi al muro, con il risultato di inciampare nei miei stessi piedi e rischiare di volare al piano di sotto. Mi ero salvato in extremis solo grazie alla ringhiera.
    Udii la voce di Haytham, il suono delicato e sottile di un bambino che ride. Ero proprio davanti alla sua stanza, e forse ero lì che avevo l'intenzione di andare, prima di rovinare sulla balaustra. La memoria mi tradiva spesso, annegata nell'alcool che ingurgitavo proprio per cancellarla. Spesso, non ero in grado di capire se era giorno o notte, figuriamoci se possedevo la lucidità di stabilire altre cose più complicate come che giorno fosse o che lavori dovevo portare avanti.
    A passi pesanti, malsicuri e perciò più lenti, entrai nella stanza di mio figlio. Le tende erano tirate e mi accorsi così che era mattino presto. Accanto al piccolo letto in cui dormiva stava in piedi una figura. Lo stomaco minacciò di schizzarmi via. Mi strofinai con energia gli occhi, pensando a un'allucinazione. Ero stato vittima anche di quelle, non molto tempo prima, e avevo fatto impazzire di paura i pochi servi che avevano accettato di lavorare per me, nella dimora nella quale anonimi banditi avevano compiuto una spaventosa carneficina.
    Ma dopo aver ricontrollato mi resi conto che non si trattava di un sogno. Una figura femminile, con la veste verde inconfondibile, la stessa identica che indossava nel sogno, era china sopra Haytham, che si agitava per essere preso in braccio. Per l'eccitazione e l'incredulità di trovare Nike di nuovo qui, nella nostra casa, mi slanciai in avanti per abbracciarla, ma le gambe instabili mi tradirono. Inciampai nel tappeto e caddi in avanti. Sbattei la faccia contro un mobile e sentii il sangue inondarmi la bocca all'istante. Respirai e tossii, girandomi sulla schiena, senza la forza di tirarmi su. Niente aveva importanza, perché la felicità mi stava riempiendo il petto. Risi, mezzo soffocato.
    Alzai gli occhi sentendo che lei si avvicinava, udii anche il parlare tentennante di Haytham, che si trasformò all'improvviso in strilli acuti.
    La veste verde entrò nel mio campo visivo. Io continuavo a sorridere beato.
    “Edward, per l'amor del cielo! Sembri un demonio e stai imbrattando i vestiti e il tappeto di sangue...” Le urla spaventate di Haytham aumentarono di volume. “E spaventi anche Haytham! Dovresti vedere come ti sei ridotto!” Il tono era tagliente, oltre che turbato.
    Strizzai gli occhi per eliminare le lacrime di dolore che mi accecavano. La sua voce stonava con i miei ricordi. Era più bassa e rauca di quella della donna che amavo e continuavo ad amare senza speranza. Con uno sforzo, mi rigirai sulla pancia, puntando il braccio a terra e tirando su il busto. Sputai il sangue che continuava a colarmi dal naso, e mi sforzai di rimandare giù il conato di vomito che minacciava di soffocarmi.
    “Morirai, se continuerai a bere così!” No, il tono esasperato e sprezzante non apparteneva a Nike. Alla fine, uno sprazzo di lucidità arrivò a scacciare la mia folle fantasia. Non era lei ad essere tornata da Giove, fuggita in qualche maniera al controllo oppressivo dei Giudici.
    La donna che stava cercando di calmare Haytham, cullandolo e mormorandogli parole affettuose era Consuelo. D'altronde, se non ci fosse stata lei, lui non avrebbe avuto nessuno che lo accudiva. Non una madre. E non un padre.
    Mi passai una mano sul viso. La risata di sollievo di poco prima si trasformò in un ghigno amareggiato. “Sì, e andrò in paradiso, perché all'inferno ci sono già...” Biascicai caustico e irriverente.
    I passi rigidi e nervosi di Consuelo mi superarono senza degnarmi di risposta. Preferì portare via Haytham, nascondergli lo spettacolo pietoso che stavo dando.
    Dopo alcuni tentativi riuscii a mettermi seduto. Presi respiri profondi, ingoiando sangue e muco. Gli occhi erano fissi nel vuoto, persi nel rivivere la scena appena avvenuta. E la conclusione fu inequivocabile: facevo schifo. Stavo volontariamente uccidendomi con il bere, senza pensare ad altro che al mio dolore e alla perdita che aveva spezzato in mille pezzi la mia vita. Senza curarmi di altro che non fosse il vuoto che avevo nel petto. Senza preoccuparmi dei miei doveri e dei giuramenti che avevo fatto.
    Avevo promesso a Nike che avrei cresciuto io nostro figlio, che lo avrei protetto e fatto diventare una persona di cui lei avrebbe potuto andare fiera.
    Avevo fatto anche un giuramento ai miei Confratelli, un impegno solenne di rispettare e agire per il Credo che mi aveva reso migliore.
    Possedevo una casa e degli affari a cui pensare, per lasciare a mio figlio un patrimonio che lo avrebbe aiutato una volta adulto. Soprattutto, avevo il compito di rappresentare per mio figlio un esempio, un modello da seguire. Lo avrei introdotto al Credo ma, prima ancora, gli avrei dovuto insegnare il significato di essere una persona responsabile e affidabile.
    Proprio ciò che in quel momento non ero.
    Appoggiai la fronte sulle braccia puntellate sulle ginocchia. Chiusi gli occhi.
    Dovevo andare avanti. Nike non sarebbe mai più tornata, se non nei miei sogni. Ma Haytham aveva ancora bisogno di un padre.
    (...)
    Erano passati due mesi da quella mattina orrenda. Nelle settimane successive, con un enorme sforzo di volontà, ripresi le redini della mia vita. Regolai le mie abitudini, rinunciando a bere smodatamente e ritornando ad occuparmi della gestione della casa e dei miei affari. Ripresi a svolgere un ruolo attivo all'interno della Confraternita, e a far pesare la mia influenza. Il precedente Mentore, un incapace e pavido, si ritirò dalla carica dietro le mie pressioni; si era arreso al fatto che fosse un incompetente e rischiasse di mettere in pericolo il lavoro dei suoi confratelli. Presi il suo posto senza tanti complimenti.
    Ripresi il posto anche alla guida della mia società commerciale. Dopo un breve periodo per ricostruire i contatti con i clienti, congedai Reginald Birch dalle sue mansioni. Nei mesi in cui mi ero estraniato da tutto si era comportato in maniera irreprensibile, dimostrandosi davvero degno della fiducia che gli avevo riconosciuto. Controllando i registri, avevo trovato tutti i conti in ordine, e non erano risultati operazioni o ammanchi sospetti di alcun tipo. Birch era una persona d'onore, ma d'istinto avevo preferito allontanarlo dalle mie attività. Forse si trattava di un semplice sospetto, e la decisione presa dipendeva unicamente dalla mia innata diffidenza, ma mi irritava il suo sguardo alle volte troppo indugiante, e le sue domande apparentemente casuali sul mio passato non mi erano piaciute.
    Non assunsi nessun altro per coadiuvarmi nella gestione degli affari. Me ne occupavo io, trascorrendo gran parte della giornata nell'ufficio al pianterreno della mia lussuosa residenza. Questa aveva ripreso quasi del tutto il lustro che vantava nel periodo in cui c'era Nike. La servitù non era più così numerosa, perché a dispetto delle mie abitudini passate e della ricchezza, io e mio figlio conducevamo una vita tranquilla, senza eccessi e, proprio per questo, senza pericoli che potessero minacciare la sua incolumità. Mi ero trasformato in un uomo di affari di successo, molto riservato e attento nelle frequentazioni. La doppia vita come Assassino era tenuta accuratamente nascosta.
    Quella mattina, poco prima dell'ora di pranzo, sentii bussare alla porta dell'ufficio. Diedi una voce per farmi sentire e Consuelo entrò, lo sguardo basso e schivo. Aggrottai la fronte incuriosito. Lei era molto dolce e gentile con Haytham, ma nel suo carattere la modestia non spiccava di certo.
    “Haytham non sta bene?” Provai ad indovinare il motivo della sua comparsa.
    “No, ci mancherebbe. L'ho affidato per qualche momento alla cuoca, che ha già terminato il suo lavoro in cucina, perché volevo parlare con te, da sola...”
    Annuii e la invitai a proseguire con un cenno. “Sentiamo allora, sono tutto orecchi!”
    Consuelo inspirò a lungo dal naso, come se si stesse preparando a buttarsi in un lago ghiacciato. “Ti sono stata vicina per tanti anni. Ho accettato di essere la tua amante, anche quando questo significava tradire mio marito. Ti ho seguito in capo al mondo, scegliendo di servirti con devozione e...” La interruppi per puntualizzare un fatto.
    “Lo hai chiesto tu, di venire in Inghilterra, se non sbaglio!”
    “L'ho fatto per un motivo.” Si morse un labbro, lo sguardo sempre fisso a terra. “Speravo... contro tutte le previsioni... che... dopo...” Si irrigidì imbarazzata. Non sapevo se sorridere del suo atteggiamento oppure se continuare a pazientare, lasciandole il tempo per farle sputare il rospo. Decisi per la seconda opzione. Il mio silenzio probabilmente la incoraggiò, perché finalmente alzò gli occhi su di me – occhi incantevoli e attraenti, ma troppo diversi dai suoi – accompagnando il gesto con un sorriso invitante.
    Più sicura e risoluta, proseguì. “Pensavo che mi avresti chiesto di sposarti!”
    Aprii la bocca, incerto. Avevo bisogno di tempo per pensare. Mi alzai e andai alla finestra, quella che dava sul giardino anteriore. Vagai con gli occhi sulle aiuole e sugli alberi curati, sulla strada spazzata e bianca.
    Avevo esaminato diverse volte questa possibilità, constatando la predilezione che Haytham mostrava per lei. Desideravo farlo crescere con una persona che lo avrebbe amato, dato che sua madre non poteva dargli l'amore che gli sarebbe spettato. Nike non poteva più far parte della nostra vita. Era egoista da parte mia privare mio figlio di qualcosa solo perché il mio cuore era rimasto devoto a lei.
    Perché no, perché non potrei risposarmi, quando non sarebbe comunque un tradimento per nessuno?
    Lo sguardo cadde sulla panchina sotto la quercia, il posto preferito da Nike per far dormire e passare del tempo con Haytham neonato. Il cuore si strinse in maniera dolorosa. Non potevo e non volevo sostituirla con nessuna, decisi.
    Scossi la testa, girandomi a guardarla. “Consuelo, sotto il mio tetto avrai sempre un posto dove vivere, e potrai scegliere se continuare a stare insieme ad Haytham, ma io non mi risposerò. Mai.”
    “Neanche dopo quello che c'è stato tra di noi?” Esclamò.
    Sollevai le sopracciglia stupito. “Dopo cosa? Siamo stati amanti prima che ci fosse Alice, ma non ti ho mai promesso nulla.”
    Consuelo sfoderò un'aria fastidiosa di compiacimento. “Non sto parlando di quel periodo, ma di quello che è successo qualche settimana fa.” Avanzò di un passo. “Credevo che la notte che abbiamo fatto l'amore tu volessi finalmente lasciarti il passato alle spalle. Da quel giorno sei tornato in te, ho rivisto l'uomo risoluto e incrollabile che affrontava la vita invece di subirla. Pensavo di averti salvato dal perderti per sempre...” Poco alla volta, il tono era diventato più insistente.
    Il mio viso era impassibile ma dentro di me si stava sollevando una rabbia intensa. Consuelo stava provando a intrappolarmi nel modo femminile per eccellenza: il ricatto sentimentale. Ripensai a quel sogno così reale, che forse non era un sogno. Chi lo poteva dire con certezza? Non certo io, che non avevo nessun contatto con la realtà, in quei mesi.
    Tuttavia lei aveva un'ultima carta da giocare, quella più devastante. Si portò la mano al ventre e scandì: “Sono incinta di due mesi, Edward. E il bambino è tuo!”
    Mi avventai su di lei. La persi per un braccio e la scrollai trattenendo però la forza, per non farle male. “Stai mentendo! Non credere di poterti prendere gioco di me!” Ringhiai.
    Lei alzò il mento, ostinata. “Sto dicendo la verità, e dovrai aspettare solo poche settimane, prima di vedere il risultato! Ma, a quel punto, lo vedranno anche tutti gli altri, e non avrai più la possibilità di rifiutarmi!”
    Strinsi la presa. “L'hai escogitata per bene, la trappola! Peccato che io non sia sordo e cieco, e abbia sentito gli altri domestici chiacchierare su di te e sullo spasimante segreto che hai da un anno a questa parte!”
    Lei sembrò spiazzata, ma non perse la forza di insistere. “No, non è vero! Sono menzogne. Quell'uomo non è il responsabile del mio stato!”
    “Ti conosco bene, purtroppo per te. Ho visto come sei capace di falsare e cambiare i fatti a tuo piacimento. Vuoi diventare una donna ricca e rispettata mentendo e ingannandomi, e mi ritieni tanto stupido da cascare nella tua rete.” Abbassai la voce minaccioso. “Ti sarai anche infilata nel mio letto quando ero troppo ubriaco da scambiarti per Alice, e ammetto che sei stata furba a usare i suoi abiti per farmelo credere, ma non ti sposerò solo per questo.” La lasciai andare bruscamente. “Il bambino non è mio!” Feci un passo indietro, lo sguardo duro e minaccioso. “Lascia questa casa all'istante. Non hai il permesso di rivedere più Haytham. Sparisci!” Urlai l'ultima parola.
    Consuelo ebbe la saggezza di riconoscere la sconfitta e scappò dalla stanza senza fiatare. Non mi sfuggì il lampo di sfida nei suoi occhi, questo sì, molto consono al suo carattere ambizioso e vendicativo, ma in futuro avrei respinto qualsiasi tentativo di inganno da parte della sua piccola anima profittatrice senza alcun rimorso.


    Edited by Illiana - 14/5/2021, 21:43
     
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