Potevo percepire distintamente l’odore di sudore e di sangue del mio nemico. Lo scontro stava andando per le lunghe e nessuno dei due pareva volesse cedere. Io, di certo, non lo avrei fatto! Lui era alto e possente; io agile e rapida. Non glie l’avrei data vinta: spedirlo nell’aldilà era la mia missione e non mi sarei mai tirata indietro.
Combattevamo senza esclusione di colpi con affondi, schivate e parate. A un certo punto mi sentii ondeggiare, come se la terra sotto i miei piedi stesse tremando, cercai di porvi mente senza distrarmi dalla battaglia, e mi resi conto che non era la terra a vacillare, ma il mio corpo, totalmente fuori dalla mia volontà. Non potei che rimanere allibita e quella distrazione sì, che mi fu infausta. Il dolore alla mascella arrivò accecante e senza preavviso. Quel farabutto mi colpì con il suo enorme scudo e mi fece ruzzolare al suolo.
Percepii un sapore ferroso in bocca e sputai un grumo di sangue per evitare di ingoiarlo.
“Dannazione!” imprecai. Nella caduta, la mia spada era finita poco distante e lo scudo era bloccato sotto l’imponente piede del mio nemico. Questi, ormai trionfante, impugnò la sua spada a due mani e con un movimento dall’alto verso il basso, fece per infilzarmi, ma io rotolai, lesta, di lato, in direzione della mia arma. Quando feci per agguantarla, non ci riuscii, la mia mano perse di consistenza, il mio corpo vacillò ancora e poi sparì, sentii una forza incontrastata trascinarmi e risucchiarmi verso il buio, che venne sostituito, subito dopo, da una luce abbagliante e bianchissima.
All’improvviso, il suolo sotto ai miei piedi si fece di nuovo solido, mantenni a stento l’equilibrio barcollando, ma continuavo a essere immersa nella luce, non vedevo nulla attorno a me, fino a che una figura con una strana tuta nera e un casco dello stesso colore, mi si parò d’innanzi. Ebbi un sussulto quando questa si tolse il casco e mi guardò con occhi scuri intensissimi. Il fiato mi si mozzò in gola.
“Alexios… che ci fai qui? Dove siamo? Cos’ha la tua faccia…” chiesi attonita. Lui mi guardava con occhi lucidi, quasi liquidi e poi parlò.
“Kassandra… sorella!” Anche lui mi squadrò dalla testa ai piedi e notò i residui dello scontro che avevo ingaggiato. Avevo una ferita al braccio destro, un taglio di striscio alla coscia sinistra e un’ampia escoriazione sul viso. Sangue secco mi ricopriva a macchie sparse. Una nota stonata attraversò il suo sguardo, fino a che un’illuminazione lo pervase.
“Tu non sei mia sorella rediviva. Appartieni all’altra dimensione…” disse quasi tra sé.
“Ma di cosa diavolo stai parlando, Alexios?” risposi allucinata, ma più lo rimiravo e più “sentivo” che c’era qualcosa di sbagliato… Avevo lasciato mio fratello a casa da mia madre, dopo averlo sottratto al giogo della Setta di Cosmos. Dopodiché, le nostre strade si erano separate e avevo continuato a fare la mia vita di sempre. L’unica che conoscessi e che sentivo mia. Adesso, vederlo lì, così “diverso” mi stava destabilizzando. Era un ragazzo molto somigliante al mio fratellastro, nei lineamenti che le cicatrici non potevano alterare, ma percepivo una energia diversa provenire da lui… Non era mio fratello, almeno non il fratello che conoscevo!
“Avanti! Parla, che sta accadendo?!” chiesi a muso duro. Io ero fatta così, preferivo togliermi subito il dente malato e affrontare le conseguenze, qualsiasi esse fossero.
Lui parve riscuotersi dalla sua trance con una nuova luce nello sguardo.
“Kassandra, ti trovi in un posto molto lontano da casa, in un altro mondo. Ed è perfettamente speculare al tuo. Per questo io sono qui, davanti ai tuoi occhi e sono così ‘diverso’ pur avendo lo stesso volto di tuo fratello!” iniziò a dire, tentando di trovare le parole giuste.
“Anche io ho una sorella identica a te. O meglio, l’avevo e con questo rituale pensavo e speravo di poterla riportare alla vita e darle un’altra chance. Abbiamo condotto delle esistenze parallele e molto differenti, ma abbiamo lo stesso sangue che ci scorre nelle vene.”Mi sembrava tutto maledettamente senza senso. L’unico fratello che conoscevo era parte del “mio” mondo e della “mia” vita. Chi era costui? Di che diamine stava blaterando?! Ma la sua concitazione, il terrore che vedevo dipinto sul suo volto segnato, mi spingeva a non manifestare le mie rimostranze, le mie perplessità. Lui assorbì il mio silenzio come assenso e proseguì.
“Io, in questo mondo, ho avuto una figlia, che ha rischiato molto e per pericoli imminenti è stata portata nella tua dimensione e adesso non ho la minima idea di dove sia... ma dovete trovarla, dovete metterla al sicuro, perché il pericolo che l’ha rincorsa qui, forse la sta inseguendo anche nel tuo mondo. Ti prego, devi proteggerla!” La sua voce era così accorata che mi si formò un nodo nella gola. Avrei dovuto dire no, digli che era pazzo, mandarlo al diavolo e costringerlo a rimandarmi da dove ero venuta. Ma non lo feci.
“DOBBIAMO trovarla? DOBBIAMO metterla al sicuro? Io e quanti altri siamo coinvolti in questa follia?” Fu l’unica cosa che riuscii a domandare…
“Ci sono due amici qui con me che ti accompagneranno e potranno spiegarti ogni cosa, ma ti prego… fallo! Quella bambina potrebbe essere tua nipote e lei non ha nessuno al mondo. È giusto che abbia al suo fianco il suo stesso sangue” disse accorato, mentre si guardava indietro per controllare non so cosa, io riuscivo a vedere solo bianco.
“Perché non ci vai tu, allora?” chiesi di getto.
“Io non ho avuto il coraggio di amarla come e quando avrei dovuto. Ma adesso è troppo tardi, la mia fine è giunta e ho da fare un’ultima cosa prima di morire. Per questo chiedo a te di farlo in mia vece!” concluse con una tristezza infinita. Poi, dei rumori che poté udire soltanto lui lo distrassero e mi guardò con calore.
“Adesso dovete andare, è il momento! Grazie di tutto, sorella!”Non mi diede il tempo di dire la mia, non ebbi modo di assentire o negare. Non mi aveva dato nessuna scelta e così come la luce mi aveva trasportato in quello strano mondo, alla stessa maniera mi risucchiò e mi “risputò” nel giro di un battito di ciglia.
Avevo sperato di essere tornata nel mio spazio, nel mio tempo, mi sarebbe andato bene anche tornare al cospetto del mio nemico per dargli una bella lezione, almeno avrei potuto sfogare la collera che si era accumulata nel mio petto.
Invece, il luogo che mi trovai d’innanzi fu qualcosa di inaspettato, mastodontico e… strano. Ma prima che potessi concentrarmi su ciò che mi circondava, posi tutta la mia attenzione su
chi mi aveva accompagnato in quel pazzo viaggio.
Un uomo alto, moro e imponente, con accanto una ragazza dai capelli rossi intrecciati in due trecce “greche” che gli cadevano sulle spalle. Erano abbigliati in modo molto simile. Una tuta ricoperta di cinture e borchie all’apparenza indistruttibile. Un ampio mantello li ricopriva fino ai piedi…
“Chi diamine sono?” pensai sconcertata. Loro mi guardarono increduli e poi si osservarono tutt’intorno.
“Kassandra…” mi disse l’uomo. Io feci d’istinto un passo indietro e posi le mani in avanti in posizione di difesa.
“Chi siete?!” chiesi confusa.
“Quel tizio con la faccia di mio fratello mi ha trascinata nel vostro ‘mondo’, mi ha parlato di una missione e di una… nipote. Non ci ho capito niente e adesso non ci muoviamo da qui” dissi guardandomi intorno spaesata,
“se non prima mi spiegate cosa diavolo sta succedendo!” conclusi mortalmente seria.
“È meglio se ci spostiamo… questo luogo non è sicuro. Troveremo un posto tranquillo e poi ti spiegheremo tutto, ok?” mi disse ancora l’uomo, con la sua voce che pareva fatta di velluto.
“Io sono Shay Cormarc e lei è Élise de la Serre” si presentò e provò a porgermi una mano. Quel gesto aveva un duplice significato: il primo era quello classico, ma il più importante era il secondo, porre una tregua e dimostrare la loro buona fede.
Io non mi mossi di un centimetro.
“Non mi fido di voi!” affermai caustica.
“Ma su una cosa hai ragione, è meglio levarci di torno. Qui è tutto troppo strano e questa gente che continua a fissarci, proprio non la sopporto!”“Non so perché, ma questa donna già mi piace!” parlò per la prima volta, la ragazza di nome Élise, con uno sguardo divertito.
[…]
Avevamo camminato a lungo, cercando di utilizzare strade poco frequentate, ma in quella città enorme sembrava tutto di dimensioni ciclopiche e le persone sembravano formiche, che seguivano laboriose il loro cammino. Tanti ci avevano osservati come se fossimo dei fenomeni da circo, accompagnando i loro sguardi con frasi del tipo: “Wow, avete dei costumi davvero fighi!” o “Hanno forse organizzato qualche cosplay?!” o ancora rivolti a me, “Quelle ferite sembrano quasi vere…”. Avevamo fatto di tutto per passare inosservati e poi ci eravamo rintanati in una casa che avevamo scoperto si chiamasse: “ricovero per senzatetto”. Ci diedero dei vestiti e mi fornirono il necessario per medicare le lacerazioni sul mio corpo. Era tutto bizzarro, tutto diverso in questo posto. Camminando per le strade ero rimasta estasiata e stordita da ciò che avevo visto. Era tutto grigio, fatto di alte costruzioni e aggeggi che camminavano su ruote per le strade, anch’esse grigie. Il verde, gli alberi, la vegetazione erano rari e pellegrini, e quando spuntavano erano recintati come se fossero prigionieri dello stesso ripetitivo grigio. Poi, quando meno te lo aspettavi spuntavano delle strutture monumentali e di un fascino straripante, che ricordavano tanto casa mia… Ma dove eravamo finiti e soprattutto in che tempo?
Quella sera stessa, accucciati vicini a delle semplici brandine, ci raccogliemmo a capannello con i miei due improbabili compagni di viaggio e sussurrando, senza farci udire dalle altre persone nella stanza, Shay mi raccontò tutto quanto… mi svelò la presenza di altri mondi nell’universo e che qui esisteva un pianeta che ricalcava specularmente la mia realtà. Loro appartenevano a quel sistema, ma che erano stati costretti a fuggire perché la loro dimensione stava collassando e sarebbe sparita presto. Mi raccontarono delle mire espansionistiche del loro nemico e delle trame che aveva ordito per “occupare” il mio mondo e sopperire così alla scomparsa del suo. Mi raccontarono di un Alfiere venuto in avanscoperta e con una missione ben precisa: compiere un rituale per mantenere aperto il passaggio tra i nostri due sistemi. Allora gli avevo chiesto cosa mai potessi fare io per loro, al loro fianco. E Shay mi aveva risposto che il mio compito era quello di trovare mia nipote e di assicurarle una famiglia. L’ultimo volere di “mio fratello” era stato che sua figlia non vivesse lontano dal suo sangue e che avrei dovuto proteggerla. Inoltre, avrei potuto dargli una mano con le mie abilità di guerriera, era anche nel mio interesse assicurare che questa dimensione non venisse invasa dai loro nemici.
Mi sentivo ancora molto confusa, ma adesso la loro verità, per quanto assurda potesse apparire, cominciava a prendere forma ed io cominciavo a comprendere il dolore, il male e le avversità che Shay, Élise e il “loro Alexios” – che iniziavo a sentire anche un po’ mio – avevano dovuto affrontare e una piccola spina nel cuore mi convinse a credergli, mi convinse che non avevo altra scelta, che
volevo fare un’altra scelta. In fondo, prima che succedesse tutto questo, io non ero niente e nessuno, il mio unico scopo era combattere e uccidere per sopravvivere. Avevo addirittura mandato via mio figlio Elpidio per fargli vivere un’esistenza degna di questo nome e non al seguito di una madre guerriera, di una madre assassina! Adesso avrei avuto l’occasione di riscattare quella colpa che mi portavo segretamente nell’anima e che quando veniva a galla, mi regalava stilettate di tacita sofferenza. Potevo fare qualcosa di buono, adesso, per qualcun altro che condivideva il mio stesso sangue, per mia… nipote!
[…]
Erano passati parecchi giorni dal nostro arrivo e avevamo scoperto di trovarci in una città chiamata Roma. A quella notizia ero rimasta di stucco, richiamando alla memoria le poche informazioni che avevo raccolto durante il mio peregrinare, sulla città che con la sua sete di espansione e di conquista si stava spingendo in tutta la penisola italica fino a raggiungere le colonie greche del mio tempo, più a sud. C’era solo una minuscola differenza, eravamo in quello stesso luogo almeno 2600 anni dopo.
Avevamo iniziato a prendere dimestichezza con il territorio e con le persone, il loro modo di parlare e di muoversi, fino a fare nostri questi piccoli dettagli, utili per i nostri scopi.
Shay era stato chiaro, la prima mossa da fare era cercare qualche traccia che ci avrebbe condotti sulle orme della Confraternita degli Assassini di questa dimensione. Era certo che ce ne fosse una speculare alla sua e secondo lui poteva essere un ottimo punto di partenza per iniziare poi le nostre ricerche e portare avanti la nostra missione comune.
“Come pensi di poter individuare i segni del passaggio di questi Assassini?” chiesi scettica a Shay. Stavamo passeggiando per le vie di Roma e passavamo al vaglio del nostro occhio attento tutti gli edifici e le strutture che ci parevano di epoca “romana antica”, in cerca di qualcosa di celato, di invisibile per i comuni esseri umani.
“Si vede che non lo conosci…” rispose Élise.
“Chiamalo sesto senso se vuoi, ma la verità è che riesce a percepire la Forza che ogni cosa emana e attraverso di essa è in grado di ‘riconoscere’ ciò che gli appartiene, ciò che ci appartiene e qualsiasi cosa gli Assassini di questo tempo abbiano toccato è anche un po’ nostro” disse risoluta.
Ormai avevo imparato a interpretare le perle di saggezza che quella strana ragazza mi regalava. Era sveglia e curiosa. Riusciva a mettermi di buon umore, anche se proprio non mi riusciva di dimostrarlo. Preferivo mostrarmi dura e intransigente, ma Élise aveva capito che era tutta una messinscena, che in realtà mi aveva conquistata! In ogni caso, avevo una dignità da difendere e quindi si faceva bastare i miei grugniti come risposte di assenso e le mie occhiate truci per dire “no”.
Shay, invece, era diverso. Era un uomo giovane in apparenza, ma aveva nello sguardo un che di antico, qualcosa, nel suo passato, doveva averlo fatto invecchiare nell’anima, troppa sofferenza forse, il troppo dolore aveva eroso il suo cuore pur dimostrando una facciata di placida esistenza. Élise lo chiamava “il musone”, ma lei sapeva che c’era molto di più, così come lo intuivo io pur non conoscendolo quasi per nulla. Era lui a emanare una grande Forza, non sapevo a cosa si riferisse nel dettaglio la rossa, ma qualsiasi cosa fosse, io la percepivo distintamente e lui ne era pervaso fino al midollo.
All’improvviso, Shay si fermò e il suo sguardo si fece più acuto, non per vedere però, per “sentire”.
“Aspettate. Sento qualcosa!” disse convinto. Si avvicinò a una struttura antichissima e mastodontica. Doveva risalire ai tempi dell’Antica Roma e aveva una forma circolare, non era perfettamente intatta, ma continuava a diffondere intorno un’aura di maestoso splendore. Sapevamo si chiamasse Colosseo e nei tempi che furono era un’arena che i Romani utilizzavano per diletto, mettendo su spettacoli con gladiatori e fiere feroci.
Shay individuò un cancello chiuso con un lucchetto. Senza farsi notare, fece scattare la serratura con la forza della mente e in perfetto silenzio, ci fece segno di seguirlo ed entrammo.
“Dove stiamo andando? Hai percepito un covo degli Assassini da queste parti?” tentai di intuire con quel poco che avevo imparato su di lui e che Élise continuava a ribadire.
“Esatto, ci deve essere un passaggio segreto da qualche parte” disse ancora, perso quasi nei suoi pensieri. Era davvero concentrato.
Dopo aver ispezionato una marea di cunicoli simili a un labirinto, seguendo il suo “fiuto”, si fermò di colpo.
“È qui” affermò infine. Lo vidi toccare la parete, tastarne ogni anfratto fino a che un mattoncino non cedette sotto la sua mano e udimmo un meccanismo scattare e cigolare, anche se non troppo. Quando la porta di pietra si aprì, tutti restammo a bocca aperta, sbalorditi da ciò che stavamo osservando e un’esclamazione quasi involontaria uscì dalle mie labbra incredule.
“Per tutti gli dèi! Che posto è mai questo?!”