Present Day #2020: Warriors Garrison

Season 5

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    :Cerere:
    Quel "ci vediamo dopo" si era trasformato in circa 138 giorni, 4 anni e mezzo lunari e poco più di un giorno su Venere. In ogni caso sempre troppo per la sottoscritta.
    Certo il caos che era avvenuto dall'attacco di Perseo alla morte di Hades e le sue conseguenze, erano stati un motivo più che valido allo stallo in cui eravamo andanti incontro, ma ciò non toglieva che la necessità di "concludere" e mettere un punto a quella situazione con Haytham era assai fondamentale.
    Mi era appena giunta notizia dell'arresto di Horus, quando, ancora nella mia stanza sulla Luna mi ero appena congedata con una Iuventas su di giri che non voleva sentire ragioni al riguardo. Avevamo un'idea assai diversa sulle misure prese e se lei le trovava esagerate io le trovavo giuste. Senza contare che ancora ero frustrata con lei e Partenope per i corsi che avevano preso andando sulla Terra ad aiutare le Senior. Io le avevo coperte come poteva, ma mi adirava che lo avessero comunque fatto nonostante i divieti. O forse ciò che davvero mi infastidiva era che non si erano fidate di me abbastanza per confidarmelo. Certo mi sarei arrabbiata, ma sapevano che alla fine (come sempre) l'avrei coperte. Anche Vesta negli ultimi mesi si comportava in egual modo. Eludeva i miei tentativi di parlarle, non si confidava più. Anche mia sorella aveva smesso di condividere con me i suoi pensieri e le sue emozioni.
    Da quando ero diventata la peggior nemica della mie migliori amiche? Da quando non so fidavano più di me?
    Mi sentivo sola? Mi sentivo ferita? Certo, ma il mio brutto carattere e il mio apparente velo di gelo dava sempre l'impressione a chiunque che non provassi nulla.
    Che non stessi male, che non soffrissi. Ma così non era. Mi mancavano da morire, ma pareva che nonostante gli sforzi ciò che stesse accadendo era una lenta, ma inevitabile allontanamento che temevo avrebbe potuto per sempre rompere il nostro gruppo.
    Più volte ero stata tentata di cercare Pandia, di sperare almeno nel suo appoggio e conforto, nel chiederle di tornare a casa, ammetterle quanto mi mancava la sua guida e la sua amicizia, ma poi avevo sempre desistito, forse non trovando il coraggio.
    A fronte di ciò, rimasi più del solito nel bagno della mia stanza. L'ultima discussione con Iuventas mi aveva stancato a tal punto da essere certa che una doccia non sarebbe stata abbastanza. Così mi riempì la vasca, vi gettai dentro alcune delle mie essenze e fiori preferiti e dopo essermi raccolta i capelli mi immersi dentro, non prima di essermi assicurata che l'unica fonte di luce provenisse da alcune candele.
    Quell'atmosfera mi donava calma e serenità e l'abbraccio caldo dell'acqua mi faceva dimenticare, seppur per poco, ogni problema ed ansia.
    Rimasi a lungo lì ad occhi chiusi a rilassarmi o gentilmente e sensualmente ad accarezzarmi braccia e gambe, per lavarmi ed anche simbolicamente pulire via ogni preoccupazione e paura.
    Ad un certo punto però la sensazione di essere osservata divenne tale, che voltandomi sorrisi nel notare che non mi ero sbagliata. Haytham era sulla soglia della porta e mi osservava e nonostante la penombra, fui sicura di notare una scintilla di desiderio nel suo sguardo.
    "Ti chiederei da quanto sei lì, ma forse la vera osservazione sarebbe... non ti hanno mai detto che si bussa prima?" non ero veramente infastidita da tutto ciò. Anzi quasi mi lusingava che aveva preso l'ardire di entrare in camera mia nonostante non avesse ricevuto mia risposta e poi che fosse proseguito fino al bagno rimando poi immobile a guardarmi in attesa che io lo scoprissi.
     
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    :Haytham:
    Ero stanco, dannatamente stanco, sia nel morale che nel fisico. Non dormivo da giorni, non mangiavo un pasto decente da settimane, non staccavo la spina da mesi… erano forse diventati anni? Cosa diavolo stava succedendo nell’Impero? Riunioni, missioni, assedi, battaglie, strategie avevano costellato gli ultimi periodi frenetici, il tutto coronato da una tonnellata di scartoffie che ormai ero obbligato a redigere per il principe Helios, mio diretto superiore e contatto con gli attuali Imperatori. Scossi il capo nervoso, aumentando il passo pesante con cui solcavo uno dei corridoi del Quartier Generale. Lo conoscevo molto bene, ma erano mesi che non vi mettevo più piede. E questo fu il pensiero che fece aumentare a dismisura la mia irritazione: solo pochi minuti prima avevo deciso che quell’assurdo isolamento doveva terminare. Sia Cerere che io eravamo dei guerrieri, ligi alle regole, votati alla causa, capaci di ignorare cibo e bisogni di ogni genere affinché tutto filasse liscio nelle nostre mansioni. Quando credevamo che le cose stessero per delinearsi e farsi concrete, ecco nuove minacce e insidie pronte a mandare tutto all’aria. Glie lo avevamo permesso, eccome. Ci eravamo visti saltuariamente, un bacio fugace, una carezza pressoché rubata, lei su Venere io sulla Luna e un po’ dappertutto… i nostri nemici erano ancora in agguato, ma non ero più disposto a starle lontano. Il mio corpo – e forse anche il mio cuore – aveva bisogno di sentirla vicino, di respirarla, di ricordare a me stesso che non ero più una macchina da guerra infallibile come un tempo, avevo il mio maledetto punto debole e si chiamava “Cerere”. Adesso anelavo quel maledetto punto debole più del cibo, del sonno e del riposo. Per questa ragione avevo deciso di andare a trovarla direttamente nel suo alloggio, sapevo che era ancora sulla Luna dopo i recenti avvenimenti catastrofici che avevano portato all’arresto del Campione Alato del Generale dei Moon Knight, con l’accusa di Alto Tradimento. Dovevo ammettere di essere rimasto scioccato dalla notizia, ero certo che non fosse mai accaduta una cosa del genere nella storia dell’Impero, ma a quanto pareva c’era sempre una prima volta in tutto. Adesso dovevo davvero obbligarmi a spegnere il cervello, obliare i doveri, mettere a tacere ogni pensiero riguardante le minacce che ancora gravavano su di noi… dovevo avere un solo obiettivo da raggiungere.
    Bussai alla porta incriminata, senza però ricevere risposta. Aggrottai la fronte, contrariato, doveva per forza essere dentro: le mie fonti non si sbagliavano mai. Bussai ancora più energicamente… ma nulla. Perciò feci qualcosa che – in tempi di pace – non avrei mai fatto, entrai senza alcun invito, affrancato dal fatto che la serratura non fosse bloccata.
    Appena dentro, fui colpito da un effluvio molto forte di fiori, mentre un fioco bagliore mi indicò la strada da seguire. Felpato come un felino arrivai nella stanza da bagno di Cerere, la trovai completamente immersa nell’acqua saponata, dalla quale risaliva un leggero vapore. Il suo bellissimo profilo poteva apparire rilassato, ma – anche se non sapevo bene come – riuscivo a vedere quanto fosse in lotta con qualche preoccupazione. La osservai a lungo, con una spalla appoggiata allo stipite dell’uscio, indeciso se palesarmi o attendere ancora un po’. Era una vera dea, meravigliosa nei tratti, eppure così forte e tenace nell’azione. Era la donna per me, lo avevo sempre saputo, anche se… dimostrarlo era tutta un’altra faccenda…
    “Ti chiederei da quanto sei lì, ma forse la vera osservazione sarebbe... non ti hanno mai detto che si bussa prima?”
    La sua voce sensuale ma anche ironica interruppe il viaggiare dei miei pensieri e fu un bene, perché mi ero ripromesso di tenerli spenti il più al lungo possibile. In questo momento dovevamo esserci solo noi due e al diavolo tutto il resto.
    “A mia discolpa potrei dire che ho bussato e che la porta era aperta, ma non sarebbe molto onesto. Sono certo che l’avrei forzata comunque per entrare…” risposi con la semplicità che mi contraddistingueva. Non c’erano veli morali tra di noi e… avevo appena deciso che non dovevano esserci neppure quelli fisici. Iniziai a spogliarmi, con calma e seraficità.
    “Hai finito di lavorare?” mi chiese Cerere, alzando un sopracciglio e senza perdersi neppure un mio gesto.
    “Non credo che finirò mai… tra me e te, se non ci obbligassimo a momenti come questi, saremmo capaci di vivere per il lavoro…” Via le armi, gli anfibi, la giacca. “Ero stanco di cercarti tra la miriade di persone che mi circonda ogni giorno, senza mai trovarti. Perciò, ho deciso di mettere fine alla tortura.” Via la camicia, la cintura, i pantaloni.
    “E spogliarti e raggiungermi in vasca quando lo hai deciso con precisione?” Era divertita, lusingata, e io adoravo leggere quelle emozioni nei suoi occhi, realizzando quanto mi erano mancate. Lei mi era mancata. Troppo.
    “Più o meno quando sono entrato e ho sentito l’odore dei fiori…” continuai, onesto. Con lei non mentivo, non mi schermivo, non mi asserragliavo dietro barricate e formalità. Mai. Era una piccola oasi in cui sapevo che essere me stesso non avrebbe portato a giudizi di qualsivoglia foggia. Non che passassi il mio tempo a preoccuparmi di ciò che gli altri pensavano di me, anzi tutto il contrario, ma sapere di essere libero da questo inutile fardello mi aveva reso audace… libero come non lo ero mai stato.
    “E cosa ti fa pensare che io ti voglia nudo e bagnato nella mia vasca? Non hai ricevuto nessun invito, Gran Maestro Kenway!” Non mi piaceva quando usava il mio titolo, neanche quando lo faceva infarcendo le sillabe di sarcasmo. Era l’unica a cui permettevo di chiamarmi per nome…
    “Non ho bisogno di inviti, non quando aspetto di poterti toccare da così tanto tempo…” La sovrastai con la mia mole, puntellandomi sui bordi della vasca di ceramica liscia e candida. Arrivai a pochi centimetri del suo viso, che divennero ben presto millimetri, e poi sparirono anche quelli. La baciai sulla fronte, sulla punta del naso, sulle ciglia umide. E poi proseguii sulle gote, fino ad arrivare alle labbra dischiuse. Il suo respiro era leggermente affannato e nei fui un po’ sorpreso. Era lei l’esperta nell’arte della seduzione, eppure adesso sembrava in balìa dei miei gesti… benché elementari al suo confronto. La sua lingua cercò la mia, mentre con le mani accarezzava il mio viso. L’acqua iniziò a percorrere, in rivoli tiepidi, le tempie, la mascella, il collo. Poi mi allontanai, ma non per molto. Con qualche movimento esperto di lei e qualcuno un po’ più impacciato da parte mia, riuscii a immergermi anche io nella vasca – che non era poi così grande e questo poteva tornare molto utile! –, osservammo la superficie alzarsi fino a trasbordare fuori, ridacchiammo per la tensione con cui avevamo sperato che non accadesse. Poco male, riuscivo comunque a tenerla tra le braccia, incastonata come un piccolo gioiello. L’avevo fatta appoggiare su di me, di schiena, anche se non avevo smesso di baciarla… e non solo sulle labbra. Il suo collo da cigno, la nuca perfetta, le spalle sensuali. Le dita la sfioravano al pari della mia lingua, sul ventre piatto, sui seni sodi, sui fianchi torniti. La accarezzai, piano, anche tra le pieghe più sensibili, ma non per molto, non ero sicuro di avere la delicatezza giusta per un qualcosa di tanto intimo. Non che fosse mai stata una mia prerogativa occuparmi di questi aspetti nelle mie relazioni passate: troppo fugaci, troppo superficiali, troppo… vuote. Lei, invece, era lei. Ero stato un pazzo a privarmi di tutto ciò… un pazzo senza alcuna giustificazione.
    Cerere era stranamente silenziosa, ma la sentivo rabbrividire sotto il mio tocco, come se – per una volta – avesse deciso di abbandonarsi. Sentirla così arrendevole mi destabilizzò, avevo la sensazione che le preoccupazioni la stessero derubando della sua innata forza… forza interiore.
    “Se vuoi parlarmi di ciò che ti tormenta… sono qui…” Che strane parole avevo pronunciato. Restai sorpreso io per primo, ma non me le rimangiai. Le sentivo davvero, così come sentivo che volevo portarla via dal suo personale limbo di inquietudine. La abbracciai forte, fondendo la nostra pelle, facendole sentire il mio desiderio, la mia presenza, la mia… promessa.
     
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    :Cerere:
    Dovevo ammette che quella sua intraprendenza mi stupì, quanto più che altro mi colpì il fatto che per la prima volta non fossi stata io a cercarlo, a sedurlo, a pretendere e desiderare che fosse mio. Mi ero così impuntata a ricevere da parte sua una risposta, da non rendermi conto che nei suoi silenzi, nei suoi gesti e nel suo sguardo c'erano già tutte quelle parole che tanto andavo cercando.
    Chiusi gli occhi, piegando il capo da un lato a percepire il calore delle sue labbra sulla mia pelle morbida, mentre mordendomi il labbro inferiore tornai ad aprire gli occhi e puntare lo sguardo sulle nostre mani.
    Le mie dita si intrecciarono alle sue, una mano tanto piccola e delicata d'apparire quella di una bambina piuttosto che quella di una pericola e letale Guerriera. La sua grande e ruvida, rispose al mio gesto, mentre il mondo ci guardava con sospetto e confusione. Paradossalmente non era ciò che mostravano, perchè ad un occhio terrestre ad esempio saremmo potuti apparire come padre e figlia, no. Non era quello, erano tutti i pensieri che chiunque si divertiva a cucire su di noi, tra voci di corridoio e chiacchiere alle spalle.
    Non me ne ero mai preoccupata, non era mai stata mia preoccupazione il pensiero altrui, ma era iniziato a divenirlo a fronte di quello che le mie amiche pensavano di me.
    Dunque non risposi al suo gentile invito, ma molto semplicemente mi sollevai e slacciando quell'abbraccio mi voltai. Mi sedetti di fronte a lui, le gambe sulle sue, i bacini vicini. Di nuovo uniti, ma questa volta faccia a faccia.
    Con le dita, "sporche" di schiuma iniziai a disegnare il suo profilo. Il capo da un lato e lo sguardo perso in ogni sua ruga. Le labbra carnose dischiuse come i petali di una rosa.
    "Lo sai che Ceres è l'asteroide più massiccio della fascia principale del sistema solare? La sua importanza è al pari di pianeti come Plutone o Haumea e nonostante la sua incredibile luminosità, ha i tramonti più belli che abbia mai visto, la stessa è in realtà così debole e renderlo invisibile ad occhio nudo..." quel mio raccontare, con voce lenta e bassa, appariva una favola che senza senso incantava come Sherazade aveva fatto con il Sultano nelle Mille e una Notte. Tuttavia c'era un messaggio dietro quelle parole e pensavo che Haytham cercasse di decifrarlo.
    "E' tanto importante quanto sconosciuto, solo perchè non si fede si da per scontato che non conti, che non ci sia un mondo intero di colori e sfumature a caratterizzarlo... Quando siamo diventate Guerriere nessuno ci considerava. Semi di pianeti considerati pezzi di roccia vaganti nel cosmo erano nati imprevisti e avevano scelto quattro ragazzine... c'erano già Guerriere ufficiali al punto che non si vedeva la necessità che altre ne fossero addestrate, ma... l'Imperatrice Selene all'epoca la pensava diversamente e così le Guerriere Senior..."
    Il mio dito dalla sua tempia era arrivata al suo zigomo e proseguendo sulla mascella pronunciata ora giocava con le sue labbra.
    "Per me e Vesta fu l'occasione di prendere la nostra strada e Iuventas e Partenope divennero compagne di viaggio inaspettate, tanto diverse da noi quanto vicine nel cuore. Pandia ci ha unito ed infine la linea sottile tra amicizia e sorellanza sfumò... Non è mai importato quanto diverse fossimo, noi cinque eravamo inseparabili..." a quella ultima frase alzai il mio sguardo nel suo "...fino ad oggi..."
    Non aggiunsi altro, scossi il capo. Non era da me iniziare dei piagnistei e tanto meno fare la parte della vittima e così rimasi in silenzio seppur i miei pensieri non lo fecero.
    "E non è per te lo sai? Hanno semplicemente smesso di fidarsi di me e lo fanno senza capire quanto mi feriscono. Sai perchè? Perchè sono incapace di mostrare loro quanto le ami..."
    Mi avvicinai sempre più a lui ed iniziai a sfiorargli le labbra con le mie in un gioco sensuale fatto di carezze e sfioramenti, mentre sotto il pelo dell'acqua i nostri corpi si cercavano e si chiamavano.
    "Eppure c'è un fondo di verità in tutto ciò... non so cosa il futuro ci riserva, ma di una cosa sono certa... io ci sarò... al tuo fianco... fedele al tuo cuore... tua... solo tua... amor mio... Haytham..."
    A quel mio ultimo pensiero prima che io riuscì ad approfondire il bacio, lui lo fece stringendomi a lui e baciandomi con una passione che mi lasciò senza fiato, mentre io rispondevo allacciando le gambe alla sua vita e sentendo il calore aumentare ed avvolgere il mio corpo come fiamme impazzite.
    Le mie mani si persero tra i suoi capelli ormai bagnati, mentre una sua mano dalla base del mio collo scese lungo la mia colonna vertebrale in una lunga e profonda carezza.
    Mentre l'altra mano salì dalla mia spalla al mio collo e lì lo strinse con possesso e decisione, arrivando al volto ed una volta lontani abbastanza per guardarci in volto, con il pollice ne accarezzò le labbra che gonfie pulsavano per via dei suoi baci voraci.
    Mi guardava in un modo che non riuscivo assolutamente a spiegare, ma sembrava quasi che nel silenzio della stanza una musica suonasse. E le sue parole inudibili riempivano i silenzi parlando per noi.

    Pero sé que te amo y solo quiero devolver un poco de lo que me has dado, tú iluminaste mi corazón
    Que me da vida, eres tú. No hay nadie más, solo tú que pueda darme la inspiración solo escuchando tu voz



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 9/9/2020, 14:11
     
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    :Haytham:
    Per la prima volta, dopo centinaia di anni, rimpiangevo la mia capacità di ascoltare i pensieri altrui. Quelli di Cerere, nello specifico, avevano avuto il potere di distruggermi e risanarmi, di svuotarmi e riempirmi nello stesso istante. Mi amava, mi amava dal profondo, con tutto ciò che possedeva, anima, corpo e mente. Tanto quanto io amavo lei. Scoprirlo così, tramite parole non dette, fu un’esperienza travolgente che coinvolse carne e spirito. Volevo che fossimo un tutt’uno, volevo entrare dentro di lei, volevo farla mia anche nel fisico per poterla marchiare con tutto il mio essere. Perché mai e poi l’avrei lasciata andare…
    Non poteva sapere che io sapevo, non poteva capire quanto io la capissi, ma non sembrava essere così importante adesso… adesso che bramavamo la nostra pace dei sensi. Ma prima, prima dovevamo attraversare l’inferno, spegnere il fuoco che pareva essere divampato tra cellule e respiri. Le mie mani erano sempre più esigenti sulla sua pelle, mentre la mia lingua e i miei denti la assaggiavano con l’intenzione di divorarla. Mi mossi, piano, con arguzia, sotto di lei, permettendo ai nostri bacini di venire a contatto e riconoscersi. Cerere rabbrividì e io con lei. Era calda, anzi no, bollente, anche se l’acqua era quasi fredda ormai.
    Non avevamo mai fatto l’amore Cerere ed io.
    In tanti anni, i nostri corpi si erano accarezzati, stuzzicati, ammaliati, tentati, ma non si erano mai fusi in un unico essere.
    Quel momento, però, sembrava essere arrivato. Come lo sapevo? Non ne avevo la più pallida idea. Ma non avevo alcun dubbio sulla questione, i gemiti della mia piccola guerriera lo confermavano. Mi desiderava, le sue dita non smettevano di esplorarmi, né io ero in grado di staccarmi dalla sua bocca. Non c’era più spazio per le parole, non servivano più. Adesso erano i nostri gesti a parlare, a urlare, a chiedere, a supplicare, a donare, a completare. Ma… doveva essere perfetto. La nostra prima volta doveva essere indimenticabile!
    L’ho già detto, io e il romanticismo non siamo mai andati d’accordo, ma qui si andava ben oltre. Non si trattava “di farla stare bene”, si trattava di darsi senza riserve. E questo sì, per me era il vero dogma che si compiva. Potevo quasi sentire la sua mano entrare nel petto e accarezzare i contorni di un cuore avvizzito e vecchio; potevo quasi percepire il suo respiro rinvigorirlo e renderlo meno arido; potevo quasi sentire la sua anima sfiorare la mia e accenderla.
    A un certo punto la fissai, avevo bisogno del suo “sì” per poter andare avanti.
    “Cerere, ti fidi di me?” La mia domanda non era stata posta a caso, aveva un sottointeso enorme, carico di promesse ma anche di richieste. “Ti abbandoneresti a uno come me? Mi permetteresti di farti mia una volta per tutte? Mi lasceresti entrare tanto quanto tu sei entrata dentro di me?” Era questo che le stavo domandando. Tanto, tantissimo, ma era ciò che desideravo.
    Cerere, dal suo canto, mi baciò con passione, mordendomi il labbro inferiore e sussurrandomi a un orecchio: “Ti lascerò essere il padrone del mio cuore… e del mio corpo… per adesso!” Era da lei una risposta del genere e io sorrisi sghembo, complice, con una malizia di cui non mi credevo capace.
    L’aiutai a uscire dalla vasca e la seguii subito dopo. Il suo corpo nudo e flessuoso era uno spettacolo a cui non mi sarei mai abituato, una sorta di tempesta solare in grado di ferirti gli occhi ma solo dopo averti abbagliato con la sua bellezza. La asciugai con movimenti lenti, obbligandola a non toccarmi, un po’ per gioco, un po’ perché se lo avesse fatto il gioco sarebbe finito troppo presto, il desiderio che avevo di lei era difficile da contenere! Io, al contrario, mi tamponai alla bell’e meglio prima di guidarla verso la sua camera da letto: era troppo buia e io dovevo poterla vedere.
    Accesi un lume che sparse un bagliore soffuso nella stanza non troppo grande, meno spartana di quanto me l’aspettassi. Nel mentre, non avevo lasciato la mano di Cerere, che mi seguiva docile ma con uno sguardo capace di sciogliere qualunque ghiacciaio perenne. La feci sdraiare sul letto e guardare la sua schiena inarcarsi per mettersi comoda mandò in corto tutti i miei pensieri. Il desiderio vinse sulla cautela; la passione distrusse la dolcezza; volevo che fosse una prima volta perfetta, ma trattenere la voglia di lei era impossibile… addirittura doloroso.
    La sovrastai con la mia mole, osservandola, accarezzandola, baciandola, mentre le tenevo con una sola mano i polsi sopra la testa e con un ginocchio la invitavo ad aprirsi a me. Mi mossi tra le sue cosce roventi, tra le pieghe della sua femminilità, sfiorandola con le dita e invadendola piano. Dovevo sapere se fosse pronta a ricevermi, perché io era dannatamente pronto a renderla mia per sempre.
    Cerere si inarcò ancora sotto il mio tocco, la vidi mordersi la bocca per trattenere un gemuto, prima di baciarmi perdendo il respiro. Era un vero “sì” il suo e io non attesi ulteriori conferme: entrai dentro di lei e mi persi.
    Un calore infinito ci avvolse, movimenti antichi caratterizzarono la nostra danza, alla ricerca di una vetta, di una cometa, di un sogno. Alla ricerca di noi e di ciò che siamo sempre stati. Alla ricerca di ciò che saremmo voluti essere per sempre. Un’unica, eterna, cosa.
    E li trovammo quella vetta, quella cometa, quel sogno. Ne facemmo un vessillo, tremando come anime innocenti, ritornando a un sentimento puro… così lontano da chi eravamo sempre stati: due guerrieri pronti a sacrificarsi per una causa. Adesso esistevamo solo noi, Cerere ed Haytham, un complesso intrico di braccia, gambe, battiti, respiri e promesse. Non sarebbe durato in eterno quel momento magico, lo sapevo bene, ma solo il fatto di averlo vissuto rappresentava il miracolo di cui entrambi avevamo estremo bisogno.
    Accarezzai il suo viso, mentre i nostri corpi ritrovavano la quiete, anche se i nostri cuori no… quelli continuavano a battere all’impazzata, consapevoli di ciò che era appena accaduto. E io, ancora rabbrividivo, anche se troppo in fondo all’anima per essere “visto” da Cerere, eppure, i suoi occhi volevano comunicarmi qualcosa. Mi impedii di entrare nei suoi pensieri, volevo “sentirla” dalla sua viva voce… Volevo sapere cosa provava ad avermi ancora dentro di lei, a respirare dalle mie labbra, a sospirare tra mie braccia. Era importante sapere tutto questo, perché io non avevo alcuna intenzione di lasciarla andare. Mai, mai più.
     
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    Non era un segreto che su Venere il sesso non fosse un tabù, anzi se possibile era una vera propria religione. Tuttavia mai nessun preparava una venusiana al momento in cui avrebbe fatto l'amore con il proprio imprinting. L'emozione che si provava era come amplificata. La donna, già super sensibile di suo, sviluppata una percezione maggior per cui -come se avesse avuto delle antenne- poteva percepire il proprio piacere e quello del partner. Era dunque una quantità di sensazioni così forti e devastanti che colpivano come il più devastante degli tsunami.
    Lui si stava letteralmente prendendo gioco di me, mi stava torturando nei peggiori dei modi ed io lo pregavo con lo sguardo di non smettere. Non era una sottomissione fine a prevalere, ma a fidarsi. A creare un legame indissolubile di lealtà e verità.
    Le sue mani, grandi, mi bloccavano i polsi, mentre i suoi movimenti decisi, ma delicati seguivano un ritmo ben preciso fino a non accompagnare entrambi ed immediatamente al piacere finale.
    Era un stuzzicare, provocare, negare e ricominciare. Percepivo il calore crescere e mentre lui doveva fare i conti solo con la propria di eccitazione, io dovevo farlo con quella di entrambi.
    Inarcai quindi la schiena in estasi e brillando quasi, leggermente, di una leggera luce come se il piacere si rispecchiasse sulla mia pelle via via sempre più diamantina, liscia e perfetta.
    Mi morsi il labbro inferiore ormai ad un soffio dal suo, mentre lo vedevo godere e non solo per gli ovvi motivi, ma per il suo vedersi sua. Completamente sua.
    Succube, ma libera.
    Sottomessa, ma dominatrice.
    Odalisca, ma regina.
    Maliziosa, ma innocente.
    Stavo perdendo una sorta di castità, per noi venusiane lo era, perchè quelle sensazioni non erano paragonabile a nessun'altra.
    Era impeto, turbamento e malizia senza più alcun freno o paura. Era emancipazione.
    "Ti appartengo, come le stelle al cielo. Sono tua, come il cuore lo è del corpo. Prendimi e non lasciarmi mai più..." sussurrai con voce caldo accanto al suo orecchio che accarezzai con il mio alito caldo.
    Fu lì che ogni inibizione cessò e finalmente quella tempesta perfetta che stavo aspettando si abbatté su di me devastandomi e deliziandomi.
    Le gambe si artigliarono ai suoi fianchi e le mani, libere finalmente, fecero lo stesso sulla sua schiena, mentre io accoglievo in me non solo lui, ma tutto il nostro amore.
    Lo guardai al mio fianco ancora scosso, la tempia imperlata di sudore ed il torace che si alzava ed abbassava ritmicamente, mentre io sedendomi a cavalcioni e priva di vergogna mi portai le mani sul collo facendole poi scivolare sui miei seni fino al suo dorso.
    "Sei perfetto..." sussurrai accarezzandolo provocante "... e non intendo solo per questo... ma per quello che adesso, vedo in te... ho sentito scorrere in me..."
    Mi morsi un labbro sporgendomi verso di lui, la sua bocca, il suo collo, il suo torace e scesi sempre di più.
    "Liberati da ogni vincolo, da ogni cosa che ti trattiene ed ardi..." lo provocai scendendo ancor più e vedendolo per un solo attivo corrucciare la fronte prima socchiudere gli occhi.
    "Mostrami quella libertà, quella che trattieni... quella che non osi afferrare... non dovrai trattenerti con me... mai... ti terrò con me e questo non finirà mai!"
    Conclusi prima di morire sul suo punto più sensibile, certa di averlo colto all'improvviso, di averlo stupito, ma al contempo desideroso che si fidasse completamente e totalmente di me, come io avevo fatto con e per lui.
    Fu un'onda devastante quella che mi colpì, ma lo amai. Non c'era nulla di più bello e pieno dell'amore se non unicamente riceverlo e condividerlo, ma anche darlo e poter percepire l'emozioni che facendolo si provocano.
    Ridacchiai, prima di stendermi al suo fianco. Il capo appoggiato al suo dorso che ancora in modo accelerato si alzava e si abbassava. Il cuore come una mandria di cavalli impazziti.
    "Abituati Haytham..." e pronunciai in modo rotondo e lento il suo nome così come lui amava che facessi "... questo vuol dire stare con una venusiana... stare con me..."
     
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    Vedere Cerere brillare sotto di me, trasformarsi in una piccola stella, modellarsi sotto il mio tocco maschile mi diede il colpo di grazia. Mi innamorai ancora più indissolubilmente di lei, se ciò potesse essere possibile. Credevo che mi sarebbe scoppiato il cuore, ma mi sbagliavo. Quando mi avvolse con parole, bocca e anima mi resi conto che mai e poi mai si sarebbe fermato questo vortice… avevo sentito quello stesso cuore gonfiarsi, arricchirsi, quasi come se avesse la capacità di espandersi all’infinito grazie a lei.
    Il respiro si fece frenetico, le sue frasi rimbalzarono nella mia testa sottoforma di immagini psichedeliche. Ero perso, totalmente perso e, per la prima volta, non tentai di ritrovarmi, di riprendere il controllo, non volevo farlo!
    Raggiungere il piacere con il suo sguardo fisso nel mio, mentre con le mani artigliavo le lenzuola per non stringere la sua pelle adamantina, fu dirompente. Ebbi la sensazione di cadere in un oblio avvolgente, prima di ritornare alla luce, ben ancorato al sentimento che ci legava.
    “Abituati Haytham... questo vuol dire stare con una venusiana... stare con me...” ridacchiai con lei, incapace di proferire parola. La abbracciai forte, una scusa per ritrovare la forza di assimilare tutto ciò che mi aveva sussurrato; per confessarle tutto ciò che ancora non le avevo detto; per raccogliere i pensieri, le energie, i pezzi di me stesso.
    Dopo minuti interminabili, in cui i nostri corpi sembravano fusi e complementari, parlai.
    “È vera solo l’ultima parte della tua constatazione… sono stato con altre venusiane, ma MAI e dico MAI mi sono sentito così. Sei tu che fai la differenza e la farai sempre.” La baciai tra i capelli, mentre lei baciava il mio petto nudo, adesso più quieto. “Con te sono libero, sono me stesso… mi do completamente senza aspettarmi nulla in cambio. Sai perché? Perché di te mi fido ciecamente. Ti affiderei la mia vita… Ma poi tu… tu mi ridai il doppio, mi riempi, mi fai sentire “grande” anche se sono stato sempre misero… Non ho mai capito cosa fosse il vero amore, Cerere, ma ora forse… forse comincio a capire…” Avevo pronunciato ogni sillaba con lentezza, tra un bacio e un sospiro, una carezza e una pausa. Avevo risposto alla sua richiesta, mi stavo mostrando per ciò che ero, anche se non conoscevo poesie d’amore e non le avrei mai decantate. Volevo che lei mi vedesse per ciò che diventavo quando era al mio fianco… un essere migliore… Le feci alzare il viso verso di me, avevo bisogno dei suoi occhi, di capire cosa le passasse per la testa perché no, non avrei letto i suoi pensieri, neppure adesso. Una lacrima solitaria rigava la sua guancia adesso arrossata dall’emozione. La baciai, asciugandola. Poi mordicchiai le sue labbra, passandoci subito dopo la lingua per assaporarle meglio.
    Accarezzai il suo profilo perfetto, soffermandomi sulla curva del collo.
    “Che ne dici di goderci un po’ di normalità? Doccia [muhauha XD cit. ruolante] e… colazione? Non sono sicuro di che ora siano, ma possiamo dedicarci a quello che fanno le coppie normali?” Avevo la sensazione che presto l’idillio sarebbe stato interrotto, che i doveri ci avrebbero richiamati all’ordine… ma adesso avevo bisogno di rompere gli schemi ed ero certo che anche per Cerere valeva la stessa non-regola. Il suo sguardo carico di aspettative me lo confermava.
    “Solo se la doccia la facciamo assieme e se la colazione la prepari tu!”
    Finsi di pensarci un attimo, arricciando le labbra e corrugando la fronte…
    “Sì, mi sembra un ottimo piano…!”
    […]
    Mi appoggiai con una mano a un pensile del piccolo angolo cottura dell’appartamento di Cerere. Mi massaggiai forte il centro del torace. Il dubbio che qualcosa non andasse con il mio cuore tornò prepotente ad assillarmi: batteva forte e pareva volesse esplodere. Erano davvero questi gli effetti collaterali della felicità? Scossi il capo, pensoso, mentre riprendevo in mano il pane bianco per imburrarlo. Cerere stava asciugando i capelli e io preparavo la pseudo cena-colazione. Avevo perso la cognizione del tempo… ecco un altro effetto collaterale, io sapevo SEMPRE che ore fossero!
    Sotto l’acqua ci eravamo accarezzati, dati piacere, insaponati a vicenda, per poi sciacquare via il sapone e l’eccitazione. Ciò nonostante, il languore che ci accompagnava da ore era rimasto lì, ben radicato al centro dell’anima. Pensavo a questo mentre tagliavo a pezzetti delle fragole e li disponevo sul pane tostato e cosparso di burro. Ero un po’ impacciato, era la prima volta che preparavo da mangiare per qualcun altro. A dirla tutta, erano secoli che non preparavo del cibo vero neppure per me… togliendo il caffè dall’equazione ovviamente. Il piccolo frigo di Cerere era ben rifornito di materie prime piuttosto sofisticate e – di questo non avrei dovuto sorprendermi! – afrodisiache. Il come abbinarle però era una specie di enigma che stavo cercando di decifrare, quando due braccia sottili avvolsero i miei fianchi. Era tornata.
    Mi voltai verso di lei senza sciogliere l’abbraccio, lasciando che la nostra pelle si sfiorasse e creasse elettricità nell’aria. Cerere indossava una vestaglia che sembrava fatta di veli, lunga fino al ginocchio… e nient’altro sotto. I capelli erano ancora un po’ umidi, glieli toccai appena…
    “Ti avevo avvisata di metterti qualcosa addosso per un motivo…” la rimbrottai fingendomi serio.
    “Ho fatto esattamente ciò che mi hai chiesto! Ho messo ‘qualcosa’ addosso… e poi non mi sembra il caso di fare il pretenzioso, anche tu non ha seguito il tuo consiglio!” Feci una smorfia per esprimere il mio disappunto. Io ero ancora in boxer, vero, ma non era la stessa cosa.
    “La verità è che tu sei molto più provocante di me… non che con quel velo il quadro cambi granché in effetti…” La stuzzicai con le parole e avvicinandola ulteriormente al mio corpo teso. “Ma adesso, dovremmo concentrarci sulla colazione! Grazie alle mie fantastiche abilità culinarie, ho preparato del caffè e del pane tostato con le fragole e scaglie di cioccolato… c’è anche del succo d’arancia, ma mi fermo qui…” confessai con sguardo amaro. Speravo che fosse abbastanza, che recepisse il mio sforzo come un dono, anche se non avevo pensato alle candele! Dannazione, le candele! Ci stavano le candele in una cena-colazione? Dubbi su dubbi mi sommersero come un’alluvione e solo le dita delicate di Cerere mi fecero tornare alla realtà. Distese la ruga di preoccupazione che doveva essersi formata sulla mia fronte… Ero un vero disastro.
    “Ok, la verità è che per la prima volta mi ritrovo a organizzare tutto questo per una donna… anzi no, per un’altra persona in generale. Per te vorrei essere perfetto, ma so che non accadrà mai…” sbuffai, spazientito, in attesa di una sua reazione.
     
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    :Cerere:
    Non era raro per una venusiana venir vezzeggiata, coccolata, assistere al desidero completo e totale di un uomo che per la propria compagna si sottometteva con piacere e gioia anche a compiti romantici e gentili come quello che lui stava compiendo di preparare qualcosa di buono da mangiare, per deliziare il mio palato come aveva già ampiamente deliziato la mia pelle.
    Assaggiai quell'accostamento, semplice per il suo mondo, ma incredibilmente originale per me e sorrisi a fronte di quella dolcezza delicata che mi avvolse. Ridacchiai al suo osservarmi assorta, quasi stessi pregustando il piatto di un grande chef, capendo che era quella semplicità intima a dare la vera felicità.
    "E' bello vederti ridere così di gusto... lontana da ogni preoccupazione ad offuscare il tuo viso..." mi disse, mentre io mi trovai a corrucciare le labbra in modo infantile prima di dire "... ed io potrei dire lo stesso di te... così rilassato, a tratti impacciato..." lo presi in giro prima di tornare alla mia fetta di pane e tornare lentamente pensierosa, nel modo in cui lui mi aveva trovato quando mi aveva raggiunto nella vasca. Non mi ero incupita, ma avevo compreso che se volevamo creare qualcosa di forte, dovevo andar oltre ed aprirmi con lui anche su altre questioni.
    "Hai ragione, abbiamo sempre così tanti pensieri che è difficile essere spensierati, soprattutto quando non tutti sono legati al lavoro..." lo vidi guardarmi curioso, ma non osare chiedermi oltre.
    "Non è un segreto che l'unica famiglia che io abbia, oltre i miei doveri, sia Vesta... siamo così diverse che spesso ci si dimentica che siamo legate e... forse a volte lo facciamo anche noi... e pensare che un tempo non eravamo così..."
    "Da dove vengo io non è così raro essere molto diversi dal resto della propria famiglia, ma comprendo che su Venere le cose siano diverse..."
    "Molto!" assentì prendendo la mia fetta di pane e raggiungendolo. Volevo sedermi sulle sue gambe, godermi quella merenda e parlarli un po' di me, come non ero decisamente solita fare. Io non ero tipa da aneddoti e non amavo condividere aspetti della mia vita e tanto meno memorie.
    "Vesta ha sempre subito le peggiori vessazioni perchè venusiana. Se fosse stata marziana, la sua bellezza sarebbe stata riconosciuta senza problemi... allora per ovviare da giovani eravamo divenute l'incubo ed il desiderio del quartiere... non venivamo da una famiglia ricca e dunque vivevamo nel cuore del bazaar. Quando passavamo le reazioni erano solitamente due: o ci morivano dietro o ci urlavano dietro. Perfide non lasciavamo scampo a nessuno! Eravamo oggettivamente tremende!" ironizzai divertita, mentre nella mente rivivevo quei ricordi che ora mi apparivano lontanissimi. C'era una nota di nostalgia nel mio tono.
    "È bello ascoltarti parlare dei tuoi rapporti, del tuo passato, della tua vita... Forse potrei farlo anche io?"
    Alla sua domanda gli cinsi le mani intorno al collo, ammettevo che non me lo aspettavo, ma al contempo non vedevo l'ora di scardinare la cassaforte dei segreti del grande Haytham Kenway.
    "Oh se confidarmi dava tali risultati lo avrei fatto prima!" dissi sarcastica come al mio solito, prima di farmi seria. In effetti c'era un tarlo che non smetteva di tormentarmi "Ammetto che... sono curiosa... curiosa di sapere se qualcuna, prima di me, ti abbia mai fatto battere il cuore..."
    "Il mio cuore ha già battuto per un"altra donna, sì, al punto da avere un figlio... All'epoca credevo che non avrei più provato nulla del genere, ma non sapevo che avrei incontrato te. Tutto il resto adesso sembra cosi sbiadito..." lo vidi rispondermi con sguardo amaro, mentre dentro di me provavo una strana sensazione. Si poteva essere gelosi di qualcosa ormai passato? La prima parte mi fece quell'effetto, ma la seconda mi destabilizzò completamente. Mi ero preparata a molte cose, ma non quello. Sentirsi effettivamente piccola era qualcosa che non mi piaceva, ma... considerando che per gli standard venusiani ero ancora lontana dall'età in cui si diventava madri, era inevitabile.
    Lui aveva notato la mia confusione e subito aggiunse "Ecco il motivo per cui non ho mai parlato del mio passato, non facendolo potevo fingere che non fosse mai esistito tra noi... e non solo..."
    "E posso chiederti... c-che fine ha fatto? lo chiesi con un tono più instabile di quanto avrei creduto. Si sapeva ben poco di lui, se non che fosse terrestre e che la sua lunga vita fosse stato un dono dell'Imperatrice, senza una ben chiaro motivo, e che da quando serviva l'Impero non aveva mai avuto rapporti tali da fargli creare un legame stabile o una famiglia. Quindi se tutto era riferito alla sua "prima vita", degli stessi più nessuno era rimasto ad oggi.
    "Puoi chiedermi tutto quello che vuoi, Cerere..." sospirò prima di aggiungere "Lei è morta... lui no... e credo tu lo conosca molto bene. Connor Kenway, l'Assassino compagno della Guerriera di Mercurio, è mio figlio"
    Fu in quel momento che sentì una forta agitazione pervadermi dalla bocca della stomaco. Respiravo a fatica e tutto intorno a me girava vorticosamente. Tutti i pensieri e i dubbi divennero chiari. Mi ero sempre chiesta il motivo per cui Partenope, ad esempio non mi aveva mai appoggiata. Comprendevo i motivi di Vesta e Iuventas, ma non era da lei non darmi il suo appoggio. Il suo conforto, il tentare per lo meno di capire i miei sentimenti, ma ora tutto mi era chiaro.
    Non volevo, ma fui costretta ad alzarmi, dovevo tornare a respirare ed assorbire quella informazione. Non era facile pensare che l'uomo che amavi aveva un figlio ed oltretutto un padre per una tua amica. Che questo oltretutto fosse teoricamente anche più grande di me.
    Tuttavia sentivo, e di questo ero certa, che niente mi avrebbe fatto provare sentimenti diversi per lui seppur quando tornai a guardarlo mi sembrò un bimbo sperduto. Di chi aveva assaporato la gioia per un minuto ed ora ne piangeva già la perdita. E così mettendogli le mani sul volto lo guardai intensamente, avevo bisogno che se lo sentisse dire. Ed io avevo bisogno di dirlo.
    "Non sarà questo a farmi scappare da te. Ti amo Haytham Kenway e voglio essere il tuo rifugio, come tu sei il mio... con tutto il tuo passato... con tutti i tuoi segreti... anche se troppo grandi e complessi da gestire"
    In quel momento sembrò che tornasse a respirare, come dopo una lunga apnea, mentre le sue braccia mi portarono di nuovo vicino a lui. Seduta sulle sue gambe. Mi stringeva come se temesse di perdermi.
    "La mia vita prima di arrivare qui è sfumata, ho deciso di dimenticarla perché non potevo conciliare tutto senza impazzire. Mi sono imposto di dimenticare..." scosse il capo in maniera ossessiva, come a voler scacciare i ricordi che come fantasmi lo stavano assediano e poi tornò a guardarmi. Disperato. "Connor mi ha ucciso, tanti, tantissimi anni fa. L'allora Imperatrice Selene mi ha ritenuto una perdita troppo grande, così con il potere della Luna mi ha tratto in salvo, portandomi qui"
    Un profondo dubbio. Una paura ancestrale si fece largo in me.
    "Quindi anche il marito di Nike è..."
    "Mio padre...sì"
    Lo vidi ammettermelo come se stesse subendo la peggiori delle torture, mentre io aprivo la bocca sconcertata.
    "Avrei detto altro figlio, ma... ok... Ehm... Devo chiedertelo... come questo insomma avrà a che fare con noi? Io non ho paura, non intendo nonostante lo sconvolgimento tirarmi indietro o amarti di meno, anzi... ma... io come mi incastro in questo complesso quadro familiare?"
    Era una domanda sciocca? Probabilmente, ma era come se i pensieri vorticassero impazziti ed io necessitavo metterli in ordine. Odiavo non sentirmi sicura. Odiavo avere dubbi ed incertezze.
    "Non c'è nessun quadro famigliare, Cerere, non c'è mai stato... La famiglia Kenway non è mai esistita e non esisterà mai... Ho ripudiato mio padre e mio figlio ha ripudiato me... è la maledizione dei Kenway"
    Fu allora che senti i lacci invisibili che mi trattenevano e mi stringevano sciogliersi e scivolare via. Era stato dannato,era vero, ma potevamo dare un epilogo diverso a quella storia.
    Lo strinsi e lo baciai con fugace passione, con una dolcezza degna di una Dea. Di una compagna. Di un'amante. E sulle sue stesse labbra gli sussurrai "Allora da oggi sarò io la tua famiglia... costruiremo insieme, il nostro albero..." una promessa, una che si sigillò tra baci profondi e carezze intime di chi, nudo nell'anima, si era legato indissolubile nella verità di segreti persi nelle pieghe del tempo.
     
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