Present Day #2020: Winkler's Mansion

Season 5

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    La missiva da parte della Principessa Selene era giunta in gran segreto ed a consegnarmela era stata niente poco di meno che un Compagno Alato di Koronis. Era risaputo che la loro capacità di tele trasportarsi non poteva essere tracciato e dunque in nessun modo gli "allarmi" Devianti avrebbero potuto rilevare un arrivo Eterno sulla Terra.
    Il maestoso e fiero corvo si era posato sul davanzale della mia camera da letto. Era mattina presto e mentre io ero intenta a prepararmi alla mia toletta, con ancora indosso la mia vestaglia, subito mi ero accorta della sua presenza.
    L'acqua della doccia nella stanza accanto mi fece comprendere che Oliver doveva ancora essere sotto il getto caldo e così sorridendo di sbieco allo specchio, osservai nello stesso il volatile che fiero mi attendeva. Alla zampa aveva legata una piccola pergamena che curiosa slegai per leggerla.
    Il Compagno Alato non si mosse ed anzi fissandomi, mi fece ben comprendere che non se ne sarebbe andato, non almeno finché non lo avessi letto la missiva ed avessi dato una risposta in merito. Mi venne spontaneo voltarmi verso la porta del bagno, non era da me mentire ad Oliver, ma conoscevo la sua impulsività dunque era meglio agire in fretta.
    Lessi veloce il messaggio riconoscendo il tratto elegante della Principessa Selene e rimanendo colpita dalla sua richiesta urgente di incontrarmi in gran segreto, lasciando a me la scelta del luogo.
    Senza pensarci troppo recuperai una penna e risposi dandole delle coordinate precise. Ero sicura che il Compagno Alato avrebbe potuto tele trasportarla lì senza che nessuno si accorgesse del suo arrivo sulla Terra. Confidavo nella sua parola e nella sua certezza che fosse sola.
    Feci appena in tempo a consegnare la piccola pergamena all'oscuro corvo, che quello era volato via nello stesso momento in cui mio marito fece la sua apparizione nella stanza. Gli sorrisi e come ero solita fare, ogni mattina, gli andai incontro e portandogli le braccia intorno al collo lo baciai.

    A colazione fissai l'orologio più di quanto avrei voluto. Oliver stava spiegando che la situazione all'Abstergo era divenuta abbastanza tesa soprattutto da quando la One Staff era sparita e gli studi del Dottore sulla stessa avevano avuto una battuta di arresto. Al contrario il Progetto Omega stava dando, finalmente, dei risultati soddisfacenti.
    Ero sicura che, come sempre, Moira avrebbe seguito il padre in virtù del suo addestramento sempre più attento e complesso verso le conoscenze che il suo ruolo le richiedeva d'avere, ma sorprendentemente quella mattina annunciò che sarebbe rimasta alla tenuta.
    "Mi devo preoccupare?" chiesi posata, mentre ignoravo l'inserviente che mi versò come ogni giorno del succo di melograno nel bicchiere che prontamente bevvi.
    “Assolutamente no madre, ho solo promesso a Connor che stamani avrei fatto visita con lui ai cadetti”
    La sua risposta per qualche strano motivo non convinse né me né Oliver, che ormai conoscevamo troppo bene Moira per sapere che non avrebbe mai rinunciato ad una giornata intensa e ricca di responsabilità per delle sciocchezze che era la prima a snobbare.
    “Quando il mese scorso vi ho chiesto di occuparvene, hai lasciato a Connor l'onere. Evita le prese in giro Moira, a questo tavolo non troverai nessuno che ci cade”
    Come sempre Oliver non mostrava né gentilezza né tatto, la sua era un'educazione dura, ma non mancante di amore. Quello era sempre presente.
    Un nodo alla gola mi prese, avevo un presentimento e quando la vidi passarsi una mano alla base del collo per poco non persi un colpo. Così anche Oliver.
    Entrambi da due giorni avevamo visto il marchio che le era venuto, uno che si era accompagnato con suoi fastidi proprio in quel punto che andavano dal grattarsi insiste mente al toccarsi.
    “Eh va bene la verità è che non mi sento bene ok? Ho bisogno di riposare!”
    Non mi stupì che ci aveva mentito, come suo padre odiava mostrarsi debole, ma quello aveva solo dato conferma ai miei dubbi. D'istinto mi sporsi per toccarle la fronte e scottava. Lanciai uno sguardo ad Oliver.
    Gli avevo spiegato cosa tutto ciò significasse ed insieme avevamo concordato che lei NON poteva sapere. Avremmo lasciato che quel momento passasse e tutto sarebbe tornato al suo posto.
    "Chiederò a Marlene di occuparsi di te..."
    “Ma non ce né bisogno è solo stanchezza!”
    “Tua madre ha ragione. Starai in casa fin tanto non ti rimetterai e non incontrerai nessuno!”
    “Ma...”
    "Niente "ma" Moira. Hai sentito tuo padre!"
    Ed era meglio così non potevamo rischiare che qualcuno notasse qualcosa e facesse domande.
    La discussione si chiuse abbastanza in fretta anche perchè Oliver dovette andare a svolgere le sue incombenze ed io dovevo fare lo stesso con le mie.
    Osservai nuovamente l'orologio nervosa e diedi indicazioni a Moira di non uscire di casa. Avrei messo guardie e conosceva anche ogni mia abilità dunque era meglio che non ci provasse. Dal canto mio dovevo assicurarmi che il mio incontro con Selene, in un lato assai nascosto del parco della grande mansione, avvenisse in sicurezza.
    Nella parte ovest, lontano da casa, alla nascita di Moira Oliver aveva fatto costruire un grande labirinto. Fin da bambina, prendendolo per un gioco, era solita avventurarsi anche se ci mise molti anni per riuscire a raggiungere il centro. Ed il parco era disseminato di prove del genere, tutte volute da mio marito per usare il gioco come mezzo di addestramento di Moira fin da piccola.
    Un'altra ala del parco, la più buia per via del fitto degli alberi, ospitava molti percorsi tortuosi che come serpenti, si intrecciavano facendo smarrire facilmente la via a chi vi si avventurava. Era proprio nel cuore di tale parte di bosco che avevo dato appuntamento a Selene ed ansiona e curiosa l'attendevo.
    C'era un presentimento che da tempo aleggiava nel mio cuore, ma era come se gli echi degli eventi lontani sulla Luna fossero solo una percezione, la sensazione di qualcosa di brutto che speravo non mi avrebbe raggiunto.
     
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    Roberta
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    La luce sbiadita dell'alba filtrava dalle persiane accostate. Non le chiudevo mai del tutto. Volevo che il bagliore del nuovo mattino mi svegliasse in modo diretto.
    Le palpebre socchiuse faticavano a sollevarsi del tutto e feci uno sforzo assurdo per riprendere il controllo dei miei sensi. Scossi la testa, sbattei le ciglia e l’ambiente circostante finalmente prese la forma che doveva.
    Il mio enorme letto a baldacchino con i tendaggi leggeri color porpora, l'imponente scrivania con attrezzatura tecnologica completa e una libreria piena di volumi addossata alla parete. Un armadio custodiva i miei abiti da cerimonia, da gran gala e da cocktail - tutti gli eventi ai quali i miei genitori mi costringevano a partecipate -, un altro guardaroba conteneva il mio mondo: da un lato jeans, camicie e tute ben poco femminili, dall'altro tutte le tenute da combattimento, più fascianti e agevoli per l'allenamento con le armi e il corpo a corpo.
    Avrei potuto viverci lì dentro, ma i miei mi ripetevano sempre che ero una Winkler, e che la vita mondana faceva parte del nostro esistere, insieme a tutti quei noiosissimi party, pieni di gente impettita, con facce antiche e joi de vivre sotto i piedi.
    Scrocchiai il collo e un’ondata dolorosa mi percorse per intero. Una dolenzia subdola e silente che attaccava quando meno me lo aspettavo. Partiva dalla cervicale e mi avvolgeva ogni singola articolazione. Cosa diavolo mi stava succedendo?
    Non volevo e non potevo abbandonarmi al dubbio e rimanere a crogiolarmi ancora a letto. Mio padre mi attendeva per il mio allenamento mattutino.
    Mi sollevai di scatto e ignorai un forte capogiro. Strinsi i denti per non cedere alla nausea e mi diressi in bagno. Una bella doccia fredda mi avrebbe rinvigorito portandosi via quello strano malessere.
    Una volta vestita, raggiunsi la sala fitness e mi apprestai ad affrontare la ramanzina di papà: portavo cinque minuti di ritardo.
    Entrai di gran carriera e tentai di mascherare il fiatone per aver corso a perdifiato. Sentivo un'ansia quasi tangibile, che però si sgretolò non appena vidi, al posto che di solito occupava mio padre, Darrin. Lui era il suo personal trainer, o meglio, il suo avversario quando aveva bisogno di combattere. Per il resto, adorava allenarsi da solo. Esclusivamente in compagnia di se stesso era sicuro si poter raggiungere livelli altissimi ed era in grado di superare, ogni volta, i propri limiti.
    “Non c’è miglior giudice di te stessa!” mi ripeteva sempre. Così, quando non dovevo allenarmi in coppia, anch’io lo facevo da sola. Sia a corpo libero che con le armi.
    La presenza di Darrin mi sorprese non poco. Il mio unico partner era sempre stato mio padre. Non era da lui saltare le sessioni di addestramento e “delegare” la mia preparazione ad altri. Ci teneva troppo.
    Doveva essere successo qualcosa di grave.
    “Signorina Moira. Suo padre mi ha detto di accompagnar…”
    Non lo lasciai neppure finire di parlare.
    “Vai via!” lo esortai con voce ancora calma, ma dentro ero piena di collera. Perché diavolo mi aveva lasciata con questo idiota? Proprio non lo tolleravo.
    “Ma…”
    “Ho detto: fuori!” Adesso stavo quasi ringhiando.
    Lui non se lo fece ripetere ancora e si dileguò veloce come un ghepardo. Sapeva bene che non era il caso di insistere con me. Ero molto “incisiva” nelle mie richieste. Preferivo mille volte di più allenarmi da sola, piuttosto che sostituire il “mio partner”.
    Mi fasciai le mani nella speranza che questa pratica potesse calmare i miei nervi, ma più il tempo passava lento e più mi adiravo. Avrei voluto vedere mio padre oltrepassare la soglia d’entrata, ma quella porta si ostinava a rimanere chiusa e allora mi decisi a sbarrare l'uscio dall'interno. Ormai aveva perso la sua occasione, aveva ignorato il nostro rituale.
    Indossai i guantoni e iniziai a distruggere il sacco da box.
    Mi sentivo ferita ma… non riuscivo a odiarlo. Lui era il mio mito, il mio punto di riferimento. Mi aveva insegnato tutto quello che sapevo e con il contributo di mia madre, mi avevano resa la persona che ero oggi. Rappresentavano tutto per me.
    Ero certa che la sua assenza era giustificata da qualcosa di grave. Forse qualche rivolta all'Abstergo? I prigionieri non perdevano occasione di attaccare briga e creare problemi.
    Poi, un viso si affacciò nella mia mente: capelli chiari, occhi azzurri, sorriso strafottente. Quel sorriso…
    Jacob Frye era la mia condanna fin da quando era arrivato alla prigione.
    Lo avevo incontrato per la prima volta durante una sessione di addestramento in cui mio padre mi insegnava a “persuadere” i prigionieri.
    Non avevo mai visto nessuno più testardo e rissoso di lui. Non mi aspettavo che avrebbe parlato per rispondere alle nostre domande, ma almeno fosse stato zitto, no... lui dava fiato alla bocca solo per provocare, attaccare. Era un pazzo e questa cosa mi attraeva fin troppo.
    Era il suo atteggiamento riottoso che mi aveva spinta più di una volta a richiederlo come “cavia” per i miei addestramenti. Mio padre aveva accettato perché aveva capito di avere di fronte un soggetto molto “difficile” e che si sicuro mi avrebbe aiutata a migliorare. Io non la pensavo esattamente alla stessa maniera. Volevo solo rivederlo, perché le schermaglie che mettevamo su mi scatenavano quell’adrenalina che adoravo, che mi saliva dentro quando combattevo, però, era mista a qualcosa di diverso. Un’eccitazione strana che mi serpeggiava sottopelle e non sapevo spiegare.
    Avevo qualche difficoltà ad approcciarmi a lui, ma dopo che lo avevo incontrato un paio di volte, non ne avevo più potuto fare a meno. A volte, mi sentivo insicura e inadeguata. Non ero abituata a sentirmi tale, quindi volevo affrontarlo ancora di più per uccidere questa mia incertezza, per seppellire la mia indecisione. Sì, era questo che volevo.
    Intanto, mentre i pensieri fuggivano veloci, dal sacco ero passata alla sbarra e stavo facendo sollevamenti con le braccia. All’improvviso, un forte dolore mi avvinghiò le tempie e mi fece urlare. Persi la presa sul metallo levigato e caddi di peso sulla schiena, battendo la testa.
    Dovetti perdere i sensi, o forse ero solo stordita per il colpo ricevuto, perché mi sembrò di essere incastrata in una dimensione a metà tra sogno e realtà. Dove pochi istanti fa c’era il soffitto di intricate architravi in legno, adesso sopra di me, aleggiava un volto conosciuto: Frye. Sorrideva con fare canzonatorio, di nuovo, e scuoteva il capo come si faceva di fronte a una bambina dispettosa.
    “Piccola Winkler… che cosa hai combinato stavolta? Dovresti stare più attenta… l'allenamento è una cosa seria. Credevo lo sapessi!”
    La sua voce era intrisa di ironia, ma l’ilarità della sua bocca non raggiungeva gli occhi. Quelli sembravano bruciare mentre continuava a fissarmi dritto in faccia. Io, allo stesso tempo, non mi persi un solo dettaglio della sua. Piccolissime rughe d'espressione segnavano gli angoli degli occhi e la cicatrice che gli segnava il sopracciglio attirò la mia attenzione.
    Sognai, perché di sogno doveva trattarsi, che mi afferrava da sotto la nuca e mi sollevava con uno scatto verso l’alto. Stavo per sottrarmi al suo tocco per mettermi in posizione di difesa. Non potevo fidarmi di lui, del nemico, ma ciò che fece mi sorprese e mi destabilizzò non poco. Un bacio intenso, lungo, profondo. Lui aveva le palpebre abbassate per godersi quel momento… strano? Magico? Io le avevo apertissime per non perdermi nulla… non per la sorpresa?
    Mi sentivo confusa, ma il calore delle sue labbra pareva così reale, davvero reale. Alzai le mani, volevo sfiorargli il viso, seguire il profilo delle guance fino alla mascella volitiva. Ma quando lo raggiunsi, tutto scomparve. Lui si dissolse come fumo nel vento, il soffitto con gli architravi prese di nuovo forma, e io ero di nuovo stessa a terra, con gli occhi spalancati. Un respiro profondo, quasi un rantolo, mi raschiò la gola.
    Avevo ripreso conoscenza e il dolore alla testa e alla schiena era lancinante.
    Cosa diavolo era successo? Sono svenuta? Il colpo deve essere stato molto forte.
    Mi guardai attorno, ma era tutto immutato… forse non era passato molto tempo. Adocchiai l'orologio a parete.
    “Oh, cavolo! Sono in ritardo per la colazione.”
    Mi sollevai con un poderoso colpo di reni, ignorando la colonna vertebrale che scricchiolava e la debolezza che mi accompagnava ormai da un paio di giorni.
    […]
    Seduta al grande tavolo imbandito, seguivo con scarso interesse i discorsi dei miei genitori.
    Mio padre non aveva fatto cenno alla sua assenza di quella mattina in palestra, ma al contrario, aveva discusso ampiamente della situazione molto precaria e critica all'Abstergo. La One Staff era stata rubata e nessuno sapeva dove fosse finita. Avevano setacciato tutta la prigione e perquisito le celle e i prigionieri. Nessuna traccia del manufatto. Una ruga profonda di preoccupazione solcava la sua fronte e questa era la mia risposta. Non c'era null'altro da chiedere.
    La mamma sembrava strana, continuava a guardare l’orologio con una certa insistenza e per una “dea” che è totalmente immune allo scorrere del tempo, mi sembrava fin troppo strano. La cosa mi incuriosì, ma mi distrassi subito dopo. Quel maledetto prurito alla base del collo non mi dava tregua e una forte emicrania stava tornando alla carica. L’incidente di quella mattina, durante l’allenamento, non era stato nulla di grave, ma continuavo a portarmi addosso dolore e stordimento, come quando si è influenzati. Non ero certa che quei sintomi fossero dovuti alla caduta, ma non avevo altri elementi per valutarli.
    Il corso dei miei pensieri fu interrotto da mia madre che mi chiedeva il perché non fossi entusiasta di seguire mio padre all’Abstergo. Adoravo stare al suo fianco e vederlo in azione, volevo assorbire tutto ciò che potevo per poter diventare forte e decisa come lui era. Ma quella mattina mi sentivo esausta, distrutta… e mentii. Non ero solita farlo, ma odiavo mostrare la mia debolezza, non volevo sembrare una ragazzina che si ammala per un non nulla.
    Dopo parecchie insistenze e rimproveri – i miei genitori non ci avevano messo molto a scoprire la mia menzogna – mi costrinsero a rimanere a casa e anche sotto sorveglianza. Avevano qualcosa di troppo strano nello sguardo. Ero certa che mi stessero mentendo, ma non avevo idea su cosa.
    Avevamo sempre messo in primo piano l’onestà tra noi, era una forma di rispetto, ma loro mi tacevano una verità importante, lo sentivo. Nulla a che vedere con piccole bugie bianche senza significato.
    […]
    Sapevo di essere sorvegliata a vista, ma io conoscevo a menadito ogni angolo della villa e la moltitudine di passaggi segreti che vi nascondeva. Una serie intricata di cunicoli, nascosti nelle pareti. Grazie a uno di essi, mi sottrassi alle “guardie” e mi diressi in giardino. Stare all’aperto mi avrebbe aiutata.
    Con la coda dell’occhio scorsi mia madre camminare verso il labirinto di siepi. Cosa ci andava a fare? Si guardava alle spalle furtiva, come a volersi assicurare di non essere seguita.
    Un’insana curiosità mi invase e la seguii senza pensarci due volte. Forse avrei scoperto il segreto che mi stavano celando.
    Fin da bambina avevo esplorato quel posto e ormai mi muovevo agevolmente. Quando raggiunsi il punto più lontano del bosco, la luce del mattino era stata risucchiata dall’oscurità della coltre di fitta vegetazione. Mi resi conto che la mamma avrebbe dovuto incontrare qualcuno. Sostava in piedi e si guardava intorno.
    Poi, una nuvola violacea si materializzò proprio di fronte a lei, e ne fuoriuscì una figura luminosa. Una donna eterea dai lunghi capelli biondi e dalla pelle lattea: la Principessa Selene? L’ex Imperatrice che aveva abdicato in favore dei genitori redivivi e che era tornata a proteggere il Sistema in veste di Guerriera della Luna? Lo stupore mi aveva fatto sgranare gli occhi.
    Un corvo dal piumaggio lucido come ossidiana si appollaiò su un ramo poco distante.
    Mi assicurai di essere ben nascosta dietro una siepe e mi apprestai ad ascoltare ciò che si stavano dicendo.
    “Ammetto che la tua richiesta mi è giunta in modo assai inaspettato, Principessa Lunare… Spero davvero sia una cosa urgente come dici, perché stiamo violando un patto che noi stesse abbiamo firmato"
    Cosa poteva mai volere una Guerriera “eterna” da mia madre? Selene era guardinga. Sperai che non avesse la capacità di percepire la mia presenza.
    “Ti ringrazio prima di tutto per aver accettato l'incontro. Sono consapevole dei problemi che potremmo avere entrambe se la cosa dovesse divenire pubblica, ma purtroppo sì, è grave e urgente come ti ho anticipato...”
    "Ti ascolto" Potevo scorgere l’ansia dipinta sul volto di mia madre. Presa dalla stessa tensione di saperne di più, mi sporsi in avanti e come una poppante alle prime armi non mi accorsi di un ramo che andò a spezzarsi proprio sotto il mio piede!
    “Maledizione!” imprecai tra le labbra e mi allontanai silenziosa, usando una siepe più fitta e fuori portata come nascondiglio. Se mi avessero scoperta, non avrei proprio saputo cosa inventarmi per giustificare la mia presenza e io ero una maga delle scuse colossali.
    Udii mia madre invitare Selene in un “posto più tranquillo”. Con la mia avventatezza le avevo messe in allarme, ma non avevo intenzione di mollare. Avevo capito subito dove si sarebbero dirette. Come anticipato, quel labirinto era il mio regno, costruito esclusivamente per i miei giochi e il mio addestramento.
    Mi avvicinai alla Casa delle Bambole dal retro. Era una costruzione a grandezza naturale, o meglio “a dimensione di bambino” e lì ci avevo trascorso gran parte delle mie giornate fino all’età di sette anni, poi avevo perso interesse verso quel tipo di balocchi e avevo iniziato a prediligere armi e giochi di abilità. Mio padre mi aveva insegnato un sacco di cose e quella casetta era diventata un nascondiglio perfetto per le cacce al tesoro che soleva organizzare, ricche di enigmi e di indovinelli da risolvere.
    Mi affacciai per un istante alla finestrella che dava nel salotto in miniatura, proprio lì le due donne si erano accomodate e stavano continuando a discutere.
    Mi appoggiai al muro con la schiena, ormai fuori dalla loro portata.
    “Non sono qui come una nemica, ma confido che potremo comprenderci meglio noi due che siamo donne e madri e abbiamo a cuore il nostro popolo come se fossero i nostri figli...”
    “Sfondi una porta aperta, dunque dimmi Principessa Lunare, cosa vuoi da me?” rispose mia madre.
    “Sapere innanzitutto cosa intendi fare. Ero venuta qui a proporti un'alleanza per il bene comune, ma prima dobbiamo affrontare una questione che riguarda soprattutto le Guerriere...” L’affermazione di Selene mi lasciò perplessa. Cosa aveva a che fare la “Signora dei Devianti” con le Guerriere?
    “Guerriere?” Non potevo vedere in volto mia madre, ma percepii un’intenzione beffarda. “Non vedo come l'argomento c’entri, a meno che, certo, tu non sia venuta per ovviare ai danni provocati dalle tue compagne. Non ho messi ufficiali per accusarle, ma se ciò accadrà hanno violato un accordo e ne pagheranno le conseguenze.”
    Sapevo che i miei genitori sospettavano un coinvolgimento delle compagne degli Assassini per aiutarli in qualche modo, ma non avevano prove certe. E questo, era un altro problema di cui si stavano occupando tutti.
    “Di quali danni stai parlando? No, io sto parlando di tua figlia. Glielo avete detto?” Il mio cuore saltò un battito. Ecco, lo sapevo!
    “Credo che non siano affari che ti competono” rispose l’altra stizzita. Era stata punta sul vivo. “Non è qualcosa che deve sapere, tanto meno a fronte di qualcosa che non funziona in questo modo...”
    Le loro parole erano enigmatiche, non ero certa di aver capito di cosa stessero blaterando. Al contrario, un fumo buio e denso mi avvolgeva e non riuscivo a pensare lucidamente.
    “Mi dispiace contraddirti, ma neppure tu puoi sindacare o modificare la nascita di qualcosa che non dipende da te... ha il diritto di scegliere lei!” Selene aveva parlato con durezza.
    Cosa avrei dovuto decidere io? Cosa c’entravo con il loro discorso? Brancolavo nel buio… o forse, un’idea, per quanto spaventosa e affascinante fosse, me l’ero fatta. Ma non ci volevo credere, non ci potevo credere.
    “Se sei venuta solo per questo...” Mia madre si era alzata dalla seggiola e stava per andarsene. Non udii la reazione della Principessa Lunare, semplicemente non avevo intenzione di ascoltare una parola di più.
    La nausea che mi aveva accompagnata per tutta la mattina, si stava per trasformare i conati minacciosi e corsi via. Mi allontanai il più in fretta che potei. Lontana da quella possibile nuova realtà, dalla donna in cui più credevo e che mi aveva tradita… da un sospetto, che se fosse stato vero, avrebbe potuto cambiare la mia vita per sempre.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/11/2020, 20:28
     
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    Nyx voleva chiudere il discorso, avevo visto la reticenza e la paura nei suoi occhi. Era strano pensare ad una Dea che temeva qualcosa o qualcuno, ma come avevo detto poco prima, quando si donava la vita si diventava estremamente forte e vulnerabile in maniera intersecata e inestricabile.
    Nyx poteva negare anche l'ovvio, ma io sapevo di aver intravisto qualcosa che era eccezionale anche per una Guerriera ormai esperta e potente come ero io. Ed ero convinta di avere il dovere di approfondire l'argomento, nonostante lei, come madre, potesse combattere come una belva feroce per proteggere il suo bene prezioso.
    Però avevo sopravvalutato l'autorità che possedevo ai suoi occhi, o sottovalutato la sua inquietudine.
    Quale che fosse la risposta, dovetti fare un passo indietro, forse anche più di uno. Se avevo in mente le mie priorità, sapevo bene che la mia attenzione doveva andare all'aiuto che lei poteva dare all'Impero e a me. Perciò mi alzai in piedi, l'espressione preoccupata e agitata.
    "No, aspetta! Non sono venuta qui per provocare altri problemi, ma per evitarli. E non solo a noi Eterni, ma probabilmente anche a voi... Da mesi siamo sotto attacco di un nemico misterioso, e neanche usando le mie visioni sono riuscita a scoprire un modo per indebolirlo ma..."
    Strinsi i denti per l'ansia, combattendo e vincendo un'ultima e persistente battaglia del dubbio sull'opportunità delle mie azioni. Estrassi il dischetto dalla custodia e lo porsi a Nyx, nonostante lei mi desse le spalle. "Forse tu sì..." Attesi.
    La sua reazione arrivò dopo secondi lunghissimi. Si girò lentamente, con lo sguardo diffidente e ancora pronto all'ostilità, ma quando lo posò sull'oggetto che avevo in mano, nelle sue iridi trasparenti si sovrappose la confusione .
    "Come lo hai avuto?" Trattenni un movimento di insofferenza, perché sapevo che avrei dovuto superare molti altri ostacoli che non la semplice incredulità.
    La sua domanda mi riportò alla visione orribile che avevo vissuto solo pochi giorni prima, per questo motivo risposi con un tono roco, in cui si sarebbero potuti cogliere agevolmente l'angoscia e la tristezza. "Ha importanza?"
    Nyx sospirò rumorosamente, con la chiara intenzione di farmi pesare la sua attenzione. Ma avendo chiaro il motivo che mi aveva spinta fin lì, sopportai la sua arroganza senza battere ciglio. Prese il dischetto e tornò, per fortuna, a sedersi sulla piccola, deliziosa poltrona in stoffa quadrettata. "Cosa ci troverò dentro?"
    "Informazioni per creare un'arma che ci permetterà di distruggere il nemico. Abbiamo provato a interpretarle, ma senza successo" Decisi che sarei stata sincera con lei il più possibile. Era scontato che avremmo tentato prima noi, con le nostre sole risorse, di violare e dischiudere alla nostra comprensione le informazioni vitali che avevamo recuperato, ed era inutile nasconderglielo.
    Nyx fissava con intensità il dischetto tra le sue mani, poi parlò lentamente, sottovoce, quasi più a se stessa che a me. "Mi ero illusa che la minaccia non sarebbe sopraggiunta fin qui, ma la tua presenza inganna ogni mia vana speranza... Dovevo aspettarmelo... le cose non vanno come mai come si spera..."
    "Parli di una minaccia conosciuta... quindi comprendi il nostro allarme e il tentativo che sto facendo di fidarmi di te!" Ero stupita e agitata, ma mi sembrava anche di provare sollievo. Forse si era convinta ad aiutarci!
    Invece, Nyx sollevò solo lo sguardo, gli occhi duri. "Chiamalo un presentimento" Tamburellò per qualche secondo il dispositivo sulle nocche dell'altra mano, per terminare l'istante in cui si era chiaramente sbilanciata troppo. "Non mancherò di darti la mia risposta, ma capirai che devo pensarci prima..."
    Aggrottai la fronte, delusa delle sue parole. Non ero venuta lì solo per chiedere aiuto, ma anche per proporle il nostro. Doveva capire che il pericolo che stavamo affrontando da soli, noi Eterni, presto o tardi sarebbe arrivato a minacciare anche la loro sicurezza sulla Terra.
    "Quanto tempo vorresti pensarci? Non ne abbiamo più molto! Il pericolo e la morte..." No Selene, NON nominare Endymion! "... si stanno avvicinando!"
    Ma l'incontro con Nyx era terminato. Forse, la sua stessa pazienza era giunta al termine. Ricordavo ancora con precisione la Dea condiscendente e assennata, autoritaria ma in qualche modo compassionevole, che mi aveva sfidato a quel gioco crudele al termine del quale la mia vita era cambiata radicalmente.
    La persona che avevo davanti non sembrava avere più molto a che vedere con quell'altra, e forse tutto questo era logico. Forse questa Dea non era la stessa che aveva sovvertito interi universi per i suoi scopi.
    Quello che era successo non aveva ancora una spiegazione logica, e forse non l'avrebbe avuta mai, ma dato che ormai questo sarebbe stato il mondo in cui avrei dovuto vivere, non era opportuno continuare a preoccuparsi di ciò su cui non avevo alcun potere. Dovevo solo fare il possibile per cambiare quello che potevo gestire.
    Feci un cenno a Phobos che aprisse il portale interdimensionale, e tornai pensierosa e angosciata sulla Luna.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 4/12/2020, 23:11
     
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    Stentavo io stessa riconoscermi e riconoscere il mio comportamento nell'ultimo periodo. La verità è che molto semplicemente ciò che in quei pochi giorni si era concretizzato, dall'arrivo di Selene, mi aveva gelato il sangue nelle vene.
    Era come se ella si fosse fatta portatrice di sciagura o meglio di verità che speravo rimanessero assopite. Una paura strisciante che dal profondo della mia anima saliva e non mi lasciava scampo.
    Il voler prendermi due giorni per darle una risposta era in realtà solo il tempo necessario che mi era servito per parlare con Oliver ed impedire che scatenasse una guerra interplanetaria, ma soprattutto per metterlo al corrente della grave minaccia che su di noi gravava. Unica possibilità? Cessare le ostilità con Eterni ed allearci in quella battaglia che metteva in gioco la loro quanto la nostra stessa sopravvivenza.
    Lui era già non poco impegnato sotto l'aspetto Ibridi, ma capì la gravità di ciò che gli stavo parlando ed accettò la mia proposta su come agire. Insieme stilammo un accordo che firmammo, aspettando che gli Imperatori Lunari facessero lo stesso, per congelare momentamente gli Accordi di Saturno e mettere da parte le ostilità.
    Tutto l'esercito venne messe in allerta, le difese potenziate ed io lavorai giorno e notte ai dati compressi nel dischetto olografico.
    Ero rimasta sconcertata a scoprire che lo stesso conteneva non solo cose scritte ed archiviate da me, l'alfabeto usato era unico nel suo genere perchè da me creato e solo da me compreso. Ma se possibile, cosa ancora più sconcertante, era la realizzazione fatta e finita di un progetto che nella mia mente, allo stato attuale, era ancora solo in fase embrionale.
    Diedi appuntamento a Selene nei tempi prestabiliti ed nello stesso punto della volta precedente e non mi stupì di trovarla lì puntuale ed attenta.
    "Ho avuto modo di analizzare ciò che mi hai dato" esclamai senza troppi convenevoli nel momento in cui la vidi comparire.
    Lei indossava una pesante ed elegante mantella di pelo, mentre i primi fiocchi di neve avevano iniziato a scendere.
    Lei sembrò sollevata dalla mia risposta e non lo nascose, anzi mi concesse un sorriso gentile per quanto di circostanza.
    “Ottimo! Non hai più riserve sulla nostra collaborazione”
    Percepivo una certa urgenza nella sua voce, ma anche un pizzico di irritazione probabilmente dovuto al tenerla sulle spine.
    "Mi spiace averti fatto attendere, ma avevo bisogno di chiarire dei punti e prendere delle precauzioni. Ciò che ho trovato nel dischetto olografico mi ha sconvolto. Posso chiederti come fai ad essere in possesso di qualcosa da me creato, quando tale creazione è ancora solo un progetto nella mia mente?"
    La mia voce era carezzevole e sinceramente curiosa, mentre muovendo qualche passo verso di lei, il mio mantello di velluto nero strusciava sul terriccio ricoperto di neve.
    Vidi con la coda dell'occhio il Compagno Alato balzare sull'attenti, mentre io cauta e cordiale mi rivolgevo alla mia interlocutrice.
    "Anche io ho delle curiosità Nyx. Ad esempio, per CHI stai sviluppando quest'arma? Che nemico devi affrontare con questa?"
    Alla sua risposta, che altro non fu che un'altra domanda, sorrisi bonaria. Touché. Ognuna aveva i suoi segreti ed ognuna se li sarebbe tenuti per sé.
    "Ciò che conta è che a quanto pare abbiamo un nemico in comune, dunque bando alle ciance Principessa. Siamo o non siamo alleate?" tagliai corti, porgendole la mano.
    Ero una persona d'onore, ciò che dicevo e sugellavo con una stretta di mano era una promessa onorevole. Per me la parola data era tutto.
    Selene mi fissò respirando profondamente e poi porgendomi la sua stessa mano, le stringemmo sugellando quell'alleanza.
    "Nyx, so che sei una persona d'onore. Ci siamo scontrate per il solo fatto di essere nate su fronti opposti, ma so che posso fidarmi di te. Siamo alleate..."
    Se da un lato le sue parole avrebbero potuto apparire normali e giuste, dall'altro mi misero in allarme. Aveva pronunciato quelle parole come se già avessimo avuto a che fare, come se già una volta ci fossimo trovato in una situazione simile. La cosa strana era che teoricamente lei non doveva avere ricordo di ciò ed invece... Lo stupore mi fece ritirare la mano come se mi fossi scottata.
    "Perché ho come l'impressione che tu mi parli come se non fosse la prima volta?" gli incontri diplomatici non contavano ed ero certa che anche lei lo sapesse.
    "Forse perchè è già avvenuto?"
    Lo disse come se nemmeno lei volesse sbilanciarsi, ci stavamo forse studiando a vicenda a fronte di una questione che straniva entrambe?
    "Solo che sembri molto meno sicura della scorsa volta, meno padrona della partita..."
    Perché avevo l'impressione che non avesse usato quella parola a caso? Mi portai una mano sul mento facendomi pensierosa.
    "Possibile che... No, non può essere possibile, ma... non può essere un caso... Che sai forse un'assicurazione? Ma per cosa? Forse per qualcosa che verrà? E se questo fosse solo l'inizio?
    Avevo espresso quei pensieri ad alta voce più tra me e me che a Selene, ma lei pareva molto attenta a non volersi perdere nemmeno un particolare. Io ero già pronta a cambiare argomento ed informarla che io e mio marito ci eravamo impegnati a stilare un trattato che volevo firmassero anche gli Imperatori Lunari prima di iniziare la nostra collaborazione, ma prima che io potessi dire qualcosa o che lei potesse pormi domande circa ciò che mi aveva sentito dire, entrambe fummo messe in allarme.
    Nemmeno il tempo di metterci sul chi va là che Selene alzò le mani a creare una barriera che impedì ad un dardo di colpirmi. Non notammo altri attacchi, seppur fummo pronte in caso a difenderci, perchè chiunque fosse l'attentatore era in fuga e lo percepivamo dal rumore di fogliame.
    Immediatamente mi toccai il pendente della collana che indossavo e con quello mi misi in contatto con le guardie delle casa affinché fermassero l'aggressore, mentre avvicinandomi a Selene la ringraziai con lo sguardo. Mi aveva salvato la vita ed io NON lo avrei dimenticato. MAI.
    Fu però il dardo ad attirare la mia attenzione. Se sia io che Selene dubitavamo che un oggetto avrebbe mai potuto davvero uccidermi, capì che era possibile quando ne vidi la punta rilucente.
    Era risaputo che il sangue di un Deviante era velenoso per un Eterno e viceversa, ma per me certo non contava. Poteva avvelenarsi, ma non uccidermi, a meno che il sangue non fosse di una persona in particolare...
     
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    Ritornai nel piccolo parco cittadino in cui il mio Signore mi aveva trovata la prima volta, quando si era manifestato in tutta la sua gloria sconfinata. Sapevo che sarebbe arrivato a breve, e anche se così non fosse stato, era l'unico modo in cui sarei riuscita a incontrarlo, dato che non conoscevo altro modo.
    Ero irrequieta e furente. L'angoscia per il fallimento era una mano quasi materiale che premeva sulla gola, rendendo l'atto di immettere aria nei polmoni uno sforzo faticoso e doloroso.
    Un solo pensiero mi ossessionava, martellando la mia mente in maniera sgradevole: lo avevo deluso. Non ero stata capace di eseguire il suo volere, nonostante mi avesse aiutato e preparato al mio compito con ogni attenzione e cura.
    Dovevo solo scagliare il dardo che mi aveva fornito, per eliminare il male immondo dall'universo, per cancellare quello e le oscenità che aveva partorito. Il mio compito era importante e le mie intenzioni pure, ma mai avrei pensato che proprio Selene, la nostra leader massima, si sarebbe messa tra la giustizia e il suo compimento. Meritava anche lei di morire, quando la sua mente era così offuscata e influenzata dalla madre dell'abominio da complottare insieme a lei, da cospirare di nascosto dai suoi simili?
    Un lampo di luce mi fece alzare gli occhi. Da quanto tempo ero seduta immobile come una statua? Forse ore, o forse pochi minuti. Le mani erano ghiacciate e irrigidite, stranamente: il mio fuoco interiore bruciava intenso e confortante, ma ultimamente aveva come perso vigore, e spesso brividi di freddo per me insoliti mi immobilizzavano per qualche secondo, quasi fermando anche i miei battiti.
    La voce vellutata ma lievemente desolata del mio Padrone mi riempì il cuore di un'estasi magnifica, nonostante la mia condizione deplorevole e le notizie ancor meno fauste che gli portavo.
    "Mio signore! Mi duole comunicarvi che..."
    Lui alzò la mano affusolata e perfetta con lentezza, come afflitto da una stanchezza immensa.
    "So che lei respira ancora, purtroppo. Hai fallito miseramente, mia fidata. Non pensavo fosse un compito tanto difficile..."
    La sua delusione aleggiò tra di noi come un vento velenoso. Non volevo giustificarmi, ma solo chiarire la dinamica di quanto era successo
    "Ho seguito le vostre indicazioni, e tutto sarebbe andato per il meglio se Sel... la Guerriera della Luna non si fosse accorta, un attimo prima che fosse troppo tardi, dell'aggressione, proteggendo la nostra nemica con i suoi poteri!"
    Si avvicinò a me. La sua essenza mi avvolse come un profumo intenso, lasciandomi stordita e inebriata, e facendo nascere un desiderio sconfinato di essere degna della sua attenzione e apprezzamento.
    "Forse c'è ancora tanto della vecchia te, più di quanto tu mi abbia fatto credere... non mi servono servi più che leali..."
    La sua mano mi strinse la spalla. La paura e l'orrore alle sue parole mi fecero vacillare e spalancai gli occhi, inorridita.
    "Non ho fallito di proposito! Vi prego, credetemi! Sono disposta a tentare nuovamente, anche se dovessi rischiare la mia stessa vita!"
    Lui annuì compiaciuto. "Bene. Ti darò una nuova possibilità. Ecco ciò che dovrai fare..."
    (...)
    Il Palazzo Imperiale era tranquillo, silenzioso e ordinato. Non pareva si trovasse in stato d'allerta, ma la disciplina dei soldati nel mantenere il controllo su tutto ciò che avveniva, e il fatto che con la paura che serpeggiava tra gli Eterni ogni forma di piacere e di svago era stata abolita, rendeva l'atmosfera sospesa e sonnolenta ma solo in apparenza.
    Raggiunsi l'ala riservata agli appartamenti privati degli abitanti senza essere ostacolata da controlli o da altri contrattempi. Il mio viso era molto conosciuto tra il personale e le guardie, e risaputa era la mia posizione molto vicina e confidenziale con i precedenti Imperatori, attualmente Principi Lunari Edymion e Selene.
    Ringraziai la circostanza provvidenziale che il mio litigio con Cerere fosse ancora mantenuto riservato dalle mie compagne, o avrei avuto qualche difficoltà in più (che comunque avrei risolto con ogni mezzo) per avvicinarmi agli alloggi destinati ai membri più importanti della famiglia imperiale.
    Le mani tremavano impercettibilmente, più per la frenesia di portare a termine il mio compito e riabilitarmi agli occhi del mio Signore che per la preoccupazione di essere scoperta e punita.
    Osservavo le persone che incrociavo senza dare nell'occhio, ma era forte in me la soddisfazione al pensiero che, grazie alle mie azioni, tutti loro ne avrebbero beneficiato in futuro, che anche chi non avrebbe inizialmente capito il mio ruolo e frainteso la mia lealtà poi, a ragion veduta, mi avrebbe ringraziato.
    Entrai nelle stanze private con passo sicuro. Chissà dove era Selene... Mi diressi verso la sala giochi riservata alle piccole della famiglia. Ecate e Artemide, adorabili nei loro vestitini coordinati, stavano giocando con la loro balia. Prima che questa potesse reagire, la stordii con un lieve colpo alla tempia; non intendevo ucciderla, ma non avrebbe dovuto rallentarmi od opporsi a me.
    Sorrisi alle gemelle in maniera rassicurante. Avevamo passato molto tempo a giocare assieme e sfruttai la loro fiducia per farmi seguire senza alcuna esitazione, senza che facessero capricci o urlassero, attirando l'attenzione delle guardie. Erano bambine molto diverse tra loro come carattere, ma entrambe già abbastanza curiose da farsi convincere a lasciare le loro stanze familiari per affrontare insieme ad un'amica un'avventura entusiasmante. Non mi sentii in colpa per la bugia che stavo raccontando né per doverle portare via dai loro genitori. Quello che avrei ottenuto sarebbe stato molto più importante.
    Portai a termine l'ordine che avevo ricevuto, e mi sentii molto fiera, per una volta tanto. Anche questo apprezzamento per me stessa era un dono che avevo ricevuto dal mio Padrone, insieme ad altri privilegi che mi aveva promesso e io avevo scoperto di desiderare più di ogni altra eventualità avessi mai considerato.
     
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