The Fall of a God

Series Finale Season 5

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    Annarita
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    :Henry:
    Ero giunto nella cabina a me assegnata ormai da qualche minuto. Chiamare cabina quella che pareva a tutti gli effetti una camera da letto patronale faceva un po' impressione, ma non mi ero ma davvero concentrato su tali dettagli. A Jordan, e in parte anche a Claudia, piaceva ostentare un'apparenza che mirava soprattutto a confondere. Non che non fossero amanti del bello, dei piaceri che la vita poteva offrire, soprattutto dopo gli orrori che entrambi avevano patito… ma era anche diventata una delle loro numerose armi. Ero onorato di essere – col tempo – diventato una di esse.
    Aprii l'anta dell’armadio, prima di iniziare a sbottonare la giacca di pelle verde scuro, parte integrante della mia divisa giornaliera. La sfilai con un movimento fluido e la adagiai su una gruccia. Poi fu la volta del maglioncino nero che campeggiava sotto. La stanza non era fredda, ma ebbi un brivido violento, un brivido che sapevo ormai riconoscere. Con una mano ancora appoggiata all’anta dell’armadio mi voltai verso l'entrata della cabina. Non avevo motivo di chiudere a chiave, nessuno si era mai azzardato a disturbarmi qui, a un orario simile. Perciò, quando sulla soglia vidi la figura incerta di Claudia avrei dovuto essere sorpreso, ma non lo ero. Il suo sguardo – che immaginavo altero e fiero durante il tragitto per raggiungermi – adesso era spaesato. I suoi occhi erano fissi sulla mia pelle, una ragnatela di cicatrici – grandi e piccole – la ricopriva. Era chiara, perciò le imperfezioni spiccavano come marchi a fuoco che un tempo avevano fatto male altrettanto. Il mio passato era lontano, oscuro, talmente distante che faticavo persino io a ricordarlo e così avevo deciso che sarebbe stato per sempre.
    “Claudia…” pronunciai il suo nome senza particolari inflessioni, ma era chiaro il mio invito a dirmi di cosa avesse bisogno. Anche se, in realtà, chiedere non sarebbe dovuto servire. Sapevo già quale pensiero le era frullato in testa fino a qualche minuto prima, ma adesso… adesso la sua mente sembrava densa di fumo. Non capivo bene se si trattasse della vista di me a petto nudo, oppure se la ragione fossero le cicatrici in bella vista. Realizzai che forse era meglio mettermi qualcosa addosso… Appena feci un passo verso il letto, per afferrare la mia giacca da camera, lei parlò.
    “Aspetta... non farlo…” si avvicinò a passi lenti, come se stesse cercando il coraggio ma allo stesso tempo ne rifugisse. “Vo-voglio guardarti meglio, da vicino.” udire la sua voce appena tremolante bloccò ogni mio movimento. Restai fermo, le braccia lungo i fianchi, lo sguardo fisso sul suo viso. Quando fu a meno di un passo, allungò una mano e con le unghie laccate di rosso carminio sfiorò appena i segni che solcavano i pettorali e il collo. Potevo sentire il suo calore, i suoi pensieri confusi, stava muovendosi su un terreno piuttosto cedevole, e non a causa mia.
    “Forse è meglio che mi metta qualcosa addosso” mormorai, ma la sua mano posata improvvisamente aperta sul mio petto mi impedirono di muovermi, ancora. Allora la fissai, lasciando a lei la prossima mossa. Stava lottando in una controversia battaglia, ne ero consapevole, ma in questo non avevo le armi giuste per aiutarla nello scontro. Doveva cavarsela da sola.
    “Il tuo cuore batte forte… e io… io vorrei essere la causa di tutto questo trambusto.”
    “Lo sei.” Era una costatazione di fatto, non avevo motivo per negare qualcosa di tanto evidente. Benché non fossi in grado di declinare ogni sensazione, l'effetto che Claudia aveva su di me era ormai una certezza. La vidi deglutire, chiudere gli occhi e riaprirli.
    “Sei diverso dagli altri uomini. Non mi fai sentire uno sporco oggetto, non ho mai – fin dal primo momento che ci siamo conosciuti – desiderato di ucciderti…” Un angolo della mia bocca si sollevò verso l'alto, era sempre stato un onore per me, ma non lo feci presente, non volevo bloccare quella sua necessità di buttare tutto fuori. Lo faceva molto di rado. “Col tempo, ho imparato a conoscerti, a rispettarti, anche a… desiderarti…” Sapevo bene quanto quelle parole le stessero costando in termini di emozioni, i suoi pensieri erano un turbinio incessante. Così, decisi che dovevo porre fine a quel delirio mentale. Le presi il viso tra le mani, era così piccolo tra i miei palmi grandi e le dita lunghe. Con i pollici accarezzai appena le sue ciglia, prima di avvicinarmi alla sua bocca con la mia. Sfiorai con la lingua il contorno delle sue labbra, baciai piano la sua pelle morbida, lasciai che il mio respiro entrasse nel suo, ma senza violare. La passionalità era un qualcosa che non mi apparteneva, così come i sentimenti violenti, dentro di me era tutto equilibrio… ma quando Claudia schiuse la bocca per accogliere quello strano bacio, potei giurare di aver vacillato. Solo qualche istante, ma era accaduto. Non ero bravo a nascondermi dietro scuse inutili, ma la verità era piuttosto sconcertante.
    La lingua di Claudia accarezzò la mia, poi fu il turno delle labbra, mentre sentivo la sua pelle diventare sempre più calda sotto le dita. Con le braccia circondò il mio busto, facendosi talmente vicina da farmi sentire anche il calore del suo corpo, attraverso il tessuto sottile del vestito. Fu uno strano bacio, fatto di tocchi lievi e respiri ancora più leggeri, ma rappresentò qualcosa di grande e non solo per lei.
    Ancora intrecciati, la mia pelle di nuovo sotto le sue dita curiose e adesso più audaci, ci guardammo negli occhi. Io non invasi i suoi pensieri, lei lo capì.
    “Ero venuta solo per capire perché… perché mi hai zittita prima…”
    “Non per contrariarti, ma posso assicurarti che ci sono motivi molto validi…” risposi col mio solito tono tranquillo, intendendo chiaramente che non avrei approfondito l’argomento.
    “Non ho dubbi su questo. Se Jordan mi sta nascondendo qualcosa, che a te invece ha riferito, sono certa che anche lui avrà i suoi buoni motivi. Ma una cosa te la chiedo e tu dovrai giurare solennemente.” Annuii piano, non le avrei mai negato un altro giuramento di fedeltà. “Se a causa di questo segreto lui dovesse essere in pericolo o dovesse perdere di vista l’obiettivo, tu mi dirai tutto. La tua lealtà va oltre la singola persona…” Le ultime parole non erano uscie molto convinte, sapeva bene che non era proprio così, ma non la smentii. Ero certo che Jordan non si sarebbe mai fatto fuorviare da questioni “altre”, ma quella promessa avrebbe regalato sogni più tranquilli a Claudia e tanto bastava.
    “Lo giuro” mormorai, di nuovo vicino alle sue labbra. Lei colmò lo spazio che ci separava e suggellammo quel patto in un modo diverso, in attesa della partenza per una missione molto importante, che avrebbe cambiato le sorti di un intero sistema.


    :Helios:
    La Sala del Trono era enorme, i cristalli e gli ori che la adornavano facevano risplendere ogni superficie, anche se ferivano in maniera violenta i miei occhi. La troppa luce mi infastidiva, eppure ero io la luce. Per un tempo impossibile da definire avevo vissuto nell’oscurità, il mio esatto opposto; ne avevo respirato la viscosità, ne avevo subito l’impietosa potenza. Da quando ero tornato, vivevo con il terrore che quella oscurità fosse strisciata dentro di me, sostituendo sangue e respiri. Mi svegliavo in mezzo alla notte, preda di incubi terrificanti che mi vedevano di nuovo prigioniero di quel posto infernale. Immobile, occhi spalancati su un mondo di cui io non facevo più parte, spettatore forzato di eventi lontanissimi. E poi il freddo, arrivava come un monito e mi costringeva a rannicchiarmi tra le coperte, in cerca di calore, di pace, di requie. Le lanterne sempre accese nel mio appartamento, per mio ordine, avrebbero dovuto confrontarmi e invece ero arrivato a odiarle. Vivevo in bilico tra la normalità e l'assurdo, ma questa lotta era dentro di me. Fuori ero il Principe Helios, tornato dall’Oltretomba per volere divino, capriccioso e algido come solo un nobile di altissimo rango sa essere. E io lo ero sempre stato, di altissimo rango, capriccioso e algido. Per me era semplice interpretare un ruolo fin troppo noto, far credere a tutti che fossi sempre “il solito”. I domestici parlavano tra loro, li sentivo mentre lo dicevano: “Il principino Helios non è affatto cambiato, neppure l'altro mondo ci è riuscito!” Oh come si sbagliavano, di grosso anche, ma a me faceva comodo così. Meglio essere considerato il Principe rompiballe che ammettere di avere dentro il buio al posto della luce.
    Ciononostante, da quando mi ero trasformato da Principe in Principe erede al trono e, subito dopo, addirittura in Imperatore, la situazione era diventata insostenibile. Le critiche si erano fatte feroci, i rimbecchi continui, le voci di corridoio sempre più insinuanti. Tanto che mi era stato impossibile persino elaborare il dolore per la perdita di mio padre, tutte le responsabilità mi erano crollate addosso come una valanga infinita e io… cominciavo a convincermi che non avevo davvero la stoffa di Hyperion né la decisione di Selene per guidare questo Impero: tutte quelle voci avevano maledettamente ragione.
    Tuttavia, non avevo scelta. Avevo un ruolo da ricoprire, un regno da mandare avanti, grazie anche al supporto della mia fantastica sorella, ci avrei almeno provato. Selene, lei sì che aveva trovato un po' di pace dopo tutto il dolore che aveva patito, poteva godersi la sua famiglia e il suo ruolo di Guerriera, senza che il fardello delle responsabilità pesasse ancora su di lei. Adesso era il mio turno ed era l'unica ragione per la quale non avevo mandato tutto in malora. Sia lei che mio padre avevano sacrificato la loro esistenza – ognuno a modo loro – per creare questo Impero e io non avrei vanificato il loro sacrificio…
    Un rumore improvviso mi distolse dai miei pensieri. Avevo chiesto di rimanere solo, così da non dover giustificare il mio comportamento: nessuno era abituato a vedermi passeggiare, da solo, immerso nei pensieri. Il Principe Helios era un mondano, amava circondarsi di persone e di chiacchiere. Come potevo spiegare che tutto ciò adesso mi dava la nausea?
    Mi voltai, pronto a rimproverare un qualche incauto domestico, ma mi ritrovai di fronte una figura inquietante. Non sembrava minacciosa, ma per quanto potessi apparire superficiale, ero pur sempre un guerriero. Sapevo studiare le persone, capirne i punti deboli e le mosse in anticipo, fino a capire se si trattava di un nemico o meno. Cercai di farlo anche col nuovo venuto. Il fatto che nessuno lo avesse annunciato mi insospettii, ma non feci obiezioni; il tipo stava attraversando la Sala con passo lento, le mani ben in vista lungo i fianchi. Arrivato a pochi metri da me, fece una piccola riverenza e tornò in posizione eretta.
    “Come siete entrato? E soprattutto chi siete?” La mia voce era cauta, strizzai gli occhi per non perdermi neppure un cenno dell'uomo che avevo innanzi. Era alto, vestito di pelle verde scuro, il suo viso non tradiva alcun tipo di espressione. La sua voce era incolore… proprio come il suo volto.
    “Mi scuso per non essere stato annunciato. Non c'erano domestici sulla mia strada…” Non potevo crederci, ma visto che i topi tendevano a ballare quando il gatto non c'era… gli diedi il beneficio del dubbio. “Porto un messaggio importante da un interlocutore altrettanto importante. L'attuale capo del Nuovo Ordine Templare le intima di cedere le armi, di non tentare ritorsioni nei nostri riguardi. Piuttosto, dovrà lasciare il suo ruolo di Imperatore a favore di una Repubblica nascente, potrà rappresentare la Luna – che diverrà un semplice principato – nel nuovo Senato, il quale prenderà le decisioni da un certo momento in poi, per tutto il Sistema. Le è tutto chiaro?” Chiaro? Stava scherzando? Sì, doveva essere per forza uno scherzo.
    “Ci sono due possibilità, o siete pazzo… oppure siete pazzo, in realtà è solo una. Non so in nome di chi parlate, ma state pur certo che pagherete caro l'affronto che ci avete fatto. Ho già dato l'ordine di smantellare le vostre basi e vi ritenevo un affare più che archiviato!” Cercai di mantenere calma la voce, ma il riaffiorare di come quegli umani si erano ammutinati mi faceva ribollire il sangue nelle vene. L'ennesimo colpo per mia sorella, dopo la morte di nostro padre per mano di Etere.
    “Non potete archiviare un Ordine come il nostro, noi siamo il futuro, Principe Helios. Vi rifiutate dunque di cedere?” Il tono con cui aveva pronunciato quel “principe" mi aveva fatto rabbrividire.
    “Ovviamente no, signor nessuno. Capitolare di fronte a un monito simile sarebbe da folli, oltre che da idioti.” Ero indeciso se mettermi a ridere o a imprecare contro quel tizio. E poi, che modo era di portare avanti una trattativa? L’espressione del mio interlocutore non cambiò di una virgola, anche se mi era sembrato di vedere passare nel suo sguardo un'ombra di noia. Noia?! Me lo ero sicuramente immaginata.
    “Se si tratta della vostra risposta definitiva, direi che possiamo passare al piano originale…” Piano originale? Voleva forse assassinarmi? Con me fuori dai giochi, l’ennesimo vuoto di potere sarebbe stato un ottimo modo per colpirci. Richiamai i miei poteri, il calore famigliare invase le braccia e le mani, percepii i fotoni pervadermi pronti a reagire al mio segnale. Ma non ebbi il tempo. Il mio nemico restò immobile, eppure mi attaccò. Un potere mentale il suo… tale certezza però si perse assieme ad alcuni pensieri, alla volontà di dare un qualsiasi allarme, alla necessità di sprigionare la luce dal mio corpo per difendermi. Un attacco subdolo, un attacco che arrivò come uno stiletto nel fianco, rapido preciso indolore. Almeno all'inizio, poi la mente iniziò a bruciare, come se dentro ci fossero solo carboni ardenti, un cumulo di lapilli, un fiume di lava.
    Caddi in ginocchio, incapace persino di urlare. Vidi i miei incubi peggiori avanzare, assieme a un’oscurità incombente.
    Caddi riverso, i palmi sulle tempie e la certezza che non mi sarei più svegliato e, se lo avessi fatto, non sarei stato più lo stesso.
     
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