The Great Escape

Series Finale Season 5

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    :Aphrodite:
    Forse il periodo orribile che mi aveva tolto quasi tutto, fin la voglia di lottare, era finito. Pochi giorni prima, l'abisso di angoscia che provavo da molti mesi era scomparso, dissipato senza lasciare traccia. E quasi in contemporanea, avevamo ricevuto la conferma dello smantellamento e rimozione del famigerato livello 2 nell'Abstergo.
    Il mio cuore aveva ripreso a battere di vita, in connessione nuovamente con il mio amato, quando ormai le mie speranze erano rimaste poche e fioche. Era stato sul punto di morire. Il nostro legame mi permetteva di capire questo e altro, vivevo come in simbiosi con lui. Per giorni, settimane avevo percepito il suo malessere, con il tremendo sospetto che ciò che sentivo mi restituiva, se non in minima parte, la sofferenza che viveva lui. E quest'idea mi faceva impazzire e smaniare più che subire direttamente lo stesso suo tormento.
    Poi, la sofferenza aveva raggiunto il suo apice, e da quel punto in avanti le sue forze erano diminuite inesorabilmente, come fosse in atto un'emorragia lenta ma letale. Poco alla volta, era stato privato di tutto. E la paura che ogni respiro, ogni secondo che arrivava, sarebbe stato l'ultimo per lui, mi atterriva ancora di più. Se lui fosse morto, sarei morta anche io, su questo non esisteva alcuna cura.
    Passavo le giornate ridotta ad uno spettro, neanche mi alzavo più dal letto. Non mangiavo, non dormivo. Fissavo il vuoto, quello che era dentro di me. Le mie compagne avevano accettato la mia assenza, erano consapevoli di quello che stavo passando.
    Ma poi, senza alcun segno che potesse avvenire, la coscienza di Altair aveva ripreso vigore, si era risvegliata. Mi ero beata per qualche minuto in quella ritrovata comunione, che ci era stata negata troppo a lungo. Avrei voluto poter celebrare in altra maniera il nostro ricongiungimento, ma nell'impossibilità di farlo mi ripromisi di impiegare ogni secondo da quel momento in avanti per fare in modo che questo avvenisse il prima possibile.
    Tornai dalle mie compagne, che mi accolsero con gioia e confermandomi che l'ultimo pezzo del piano, quello di riunire tutti gli Assassini nella stessa area era andato a buon fine. Non sapevo di preciso cosa avessero fatto i maledetti devianti sul mio adorato, Vesta ci aveva riferito di esperimenti aberranti, ma con buona probabilità l'ostacolo che impediva di essere in contatto con Altair era stato rimosso quando li avevano riportati al livello uno. E per ora bastava. Sapere che il mio cuore era di nuovo lontano dal pericolo più immediato.
    Ero rinata e tornata pure io alla vita. La mia bellezza ricominciò a brillare più intensa di prima, e anche l'umore e l'energia migliorarono nettamente. Con il cuore meno schiacciato dalla solitudine odiosa, tornai a prendermi cura delle mie compagne. Mentre Athena, Nike, Ares e Pandia si impegnavano a mettere a punto gli ultimissimi elementi per irrompere indisturbate nella struttura supersorvegliata, io mi dedicavo alla preparazione di dolci e manicaretti per tutte noi. Amavo cucinare e mi era mancato molto farlo, ma quando un cuore era sul punto di spezzarsi era risaputo che si sarebbe cucinato solo veleno.
    Amore significava anche questo.
    Infine e finalmente, tutto fu pronto per il grande momento. Grazie ai dispositivi che celavano la nostra essenza di Eterni avremmo potuto agire senza palesare la nostra presenza fino a che non sarebbe stato impossibile per le guardie contrastarci; con le batteria rubata Athena aveva assemblato alcune bombe di energia per distruggere le centraline di gestione nella struttura ed eliminare i sistemi di sicurezza. Grazie alle planimetrie e ai dati forniteci dalle sorelle che erano penetrate in precedenza dentro all'Abstergo, avevamo informazioni sufficienti per muoverci velocemente e senza esitazioni in quel dedalo di corridoi, sale, celle e barriere.
    Fremevo nell'attesa, così come le mie compagne, ma finalmente stavamo per concretizzare il nostro lavoro, dare un significato e un risultato al rischio che avevamo corso a scendere in territorio nemico, a violare la legge: salvare le persone che più amavamo. Una mattina, indossammo le nostre uniformi da battaglia e lasciammo definitivamente l'appartamento che era stato il nostro rifugio e centro operativo per più di un anno. Eravamo tutte determinate e con il cuore pieno di speranza, di amore, di aspettativa.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 26/12/2020, 11:52
     
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    Annarita
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    :Jacob:
    “Ventitré, ventidue, ventuno, venti, diciannove…”
    Contare. Mi concentravo sui numeri per tenere calmi i battiti, il respiro, i muscoli. Non dovevo muovermi con troppo anticipo, con la mia solita fregola, mandando all’aria il piano. Quante raccomandazioni mi aveva fatto Evie? Possibile che ancora non si fidasse di me, dopo tutti questi secoli trascorsi insieme? Beh, come darle torto, alla fine le avevo creato più grane che gioie… Non potevo definirmi il fratello ideale, figurarsi un gemello perfetto.
    “Diciotto, diciassette, sedici, quindici…”
    Mancava poco, pochissimo. Strinsi le mani al petto, stropicciai la divisa, cercando di immaginare la sensazione di quando l’avrei buttata in un dannato cassonetto, anzi, decisi che le avrei dato fuoco e avrei calpestato le ceneri residue. Strofinai gli occhi con dita ansiose, che passai subito dopo tra i capelli troppo corti anche se stavano ricrescendo. Evie mi aveva supplicato di tagliarli per mesi, prima che ci prendessero, prima che ci sbattessero in questo buco schifoso e ci rapassero a zero. Il karma, suppongo.
    Un rumore improvviso attirò la mia attenzione, solo qualche attimo dopo mi resi conto che si trattava del mio stomaco che brontolava. Non mi piaceva entrare in azione a stomaco vuoto, ma i continui periodi di isolamento e le reiterate punizioni mi avevano costretto a pasti molto scarni: tutto merito della stronzetta, la piccola kaiserina. Moira era il suo nome, ma nella mia testa non la chiamavo mai così, era troppo intimo, mi smuoveva qualcosa dentro e non era solo all’altezza del cavallo dei pantaloni. Insomma, c’era qualcosa che si muoveva e che era sempre stato immobile. Ovviamente, non mi ci ero soffermato troppo a lungo, non era da me riflettere per più di cinque minuti, rischiavo di perdermi nei meandri di considerazioni che avrebbero portato solo altri pensieri. E io non ci ero abituato, al contrario, preferivo l’azione, la leggerezza, l’improvvisazione, sì… ecco, ero un improvvisatore quando si trattava di sfera emozionale. Oddio, anche come Assassino non ero molto riflessivo e mi piaceva cambiare spesso le carte in tavola, a volte mi aveva consentito di spiazzare l’avversario e conquistare un’altra vittoria. In questa occasione, però, non c’era spazio per i miei colpi di testa, né per considerazioni esistenziali sulla mia aguzzina preferita, avevo un compito preciso, che in realtà ben si sposava col mio modo di fare e di essere, perciò avevo accettato con entusiasmo l’incarico, senza sorprendere nessuno. Cosa dovevo fare? Semplice, dovevo fare esplodere la mia cella, senza rimanerci secco, ovvio.
    “Quattordici, tredici, dodici, undici…”
    Zittii l’ennesimo brontolio dello stomaco e mi misi a sedere sulla branda. Ero solo, nessun compagno con cui chiacchierare e progettare qualche altra insubordinazione; per i Devianti doveva essere l’ennesima punizione, ma per me si era rivelata una manna dal cielo, perché avrei potuto agire indisturbato.
    Infilai le odiose pattine e iniziai a masticare una gomma rubata a una delle guardie nel pomeriggio, era stato facile come sottrarre le caramelle a un bambino. Poi tirai fuori il resto del materiale che mi serviva per il mio giocattolino, tutto recuperato da me e dai miei fratelli nei modi più impensabili. Aprii la boccetta del sapone e dentro vi trovai una batteria, con la cicca la feci aderire a una bomboletta spray – poteva un deodorante puzzare così tanto? – e chiusi il tutto in un quadrato di carta stagnola. Sigillai con cura il piccolo ordigno improvvisato e attesi…
    “Dieci, nove, otto, sette…”
    Mi alzai dalla branda e presi un respiro profondo. La distanza fino alla porta della cella era di un paio di metri, il rischio di rimanere coinvolto nella piccola ma potente deflagrazione era reale, ma ero talmente eccitato che non mi soffermai molto a riflettere sulle conseguenze… tanto per cambiare! Pensai a cosa avremmo potuto fare una volta usciti da questa fogna, a cosa avremmo trovato fuori, a dove saremmo andati visto che le nostre basi erano state tutte scoperte. Ma scossi il capo, stranamente nervoso, non erano cose che mi competevano, adesso avevo una missione e solo l’idea di tornare libero valeva il rischio che stavo per correre. Evie e co. avrebbero pensato a tutto il resto…
    “Sei, cinque, quattro, tre, due, uno…”
    Lanciai il piccolo ordigno contro la porta, la batteria fece reazione con il gas dello spray e generò un’esplosione di tutto rispetto che scardinò – come previsto – la serratura, facendo scattare tutti gli allarmi. Presto, il sistema automatico di sicurezza avrebbe aperto tutte le celle e quella sarebbe stata la nostra occasione di trovare una via di fuga grazie alla nostra “arma segreta”. I mentori, con il redivivo Altaïr, avevano deciso che era arrivato il momento di agire, non potevamo aspettare supinamente che le Guerriere venissero a salvarci. E io, assurdo ma vero, mi ero trovato d’accordo con i cervelloni.
    Uscii in fretta da sotto la branda, ignorando le piccole bruciature che avevo racimolato sulla divisa… un preludio a ciò che sarebbe accaduto tra – speravo – pochissimo tempo. Mi avviai nel corridoio, mentre la sirena rischiava di distruggere i miei timpani; fissavo le porte delle celle ancora chiuse: quanto diavolo ci voleva per far entrare in azione il security system? Nervoso, camminavo veloce, allo scoperto e senza esserne troppo sorpreso incrociai un piccolo gruppo di guardie. I tipi dalle facce non troppo sveglie mi intimarono l’alt, che io non osai neppure lontanamente rispettare. Gli fui addosso come una furia, consapevole che questa volta avrei potuto evitare ogni tipo di punizione! Ci diedi dentro, con calci, pugni, montanti, testate; il mio viso era sporco del sangue sprizzato da non so quanti nasi rotti e le mie nocche sanguinavano per la gran quantità di pugni sferrati, il mio fido tirapugni mi avrebbe fatto molto comodo adesso. Nessuno di loro aveva avuto ancora il tempo di tirar fuori una pistola, colpiti da un uragano di nome Jacob Frye.
    Non ero mai stato tanto felice di spezzare ossa come in quel momento. Le ossa dei Devianti emettevano un crack più soave degli altri quando cedevano, forse perché stavo lasciando libera la frustrazione di un anno di prigionia? Stavo inconsciamente vendicando le malefatte subite dai miei compagni? Forse, stavo solo dando sfogo alla mia natura… Ma anche questa volta, impedii il vagare di pensieri più profondi, non ne avevo bisogno, così spensi il cervello e misi al tappetto tutti e sei i bastardi, avrebbero “dormito” per un bel po’. Proprio in quell’istante, la sirena si spense e la radio agganciata alla cintura di una delle guardie iniziò a blaterare frasi concitate in tedesco.
    “Cazzo!” imprecai tra i denti. Il security system non sarebbe entrato in funzione, troppo pericoloso dopo le ultime sommosse, perciò avrebbero pattugliato tutta la prigione in cerca della fonte di tutto quello scompiglio, cioè… in cerca di ME. Avrei dovuto comunque escogitare un modo per liberare i miei compagni e provare una via di fuga, non poteva essere stato tutto inutile.
    Mentre riflettevo se fosse il caso di prendere una delle divise dalle guardie svenute, un blackout mi fece piombare nel buio più totale per un secondo lunghissimo, poi la sirena riprese a bombardare i miei timpani più forte che mai. Un altro boato sovrastò persino il rumore dell’allarme: le porte delle celle si erano aperte, tutte, in contemporanea.
    “Non ci posso credere…” mormorai appena, incredulo. Se non era stata opera dei Devianti, c’era solo un’altra possibilità da prendere in considerazione: le Sailor erano arrivate! E non avrebbero potuto scegliere momento migliore. “Appena le vedrò, le bacerò una per una! Se non diventerò spezzatino prima… Yahoo!!” urlai come un matto questa volta, consapevole che in un modo o nell’altro, quell’incubo stavo volgendo al termine.
     
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    Roberta
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    :Nike:
    Ormai, più di un anno e mezzo era passato dall'inizio di quest'incubo. Ero un'esperta nel gestire il tempo che passava inesorabile. Sul mio pianeta avveniva tutto più lentamente e avevo avuto esperienze “di attesa” che avrebbero potuto logorare la più tenace delle donne. Ma io ero la Guerriera di Giove, il Giudice Supremo.
    Quell'anno e mezzo però, era stato in grado di distruggere ogni mia certezza, ogni mia speranza. Non davo mostra dei miei sentimenti di fronte alle mie compagne. Dovevo essere forte per loro, per Pandia che preferiva stare per conto suo e si univa a noi il minimo indispensabile e per Aphrodite, che pareva essere caduta in uno stato molto pericoloso che alternava momenti di apatia a momenti di isterismo acuto. La Guerriera di Venere non era mai stata famosa per il suo “tenersi le cose dentro”, al contrario.. ci rendeva partecipi del suo dolore e io ero felice di questo. Perché sapevo, per esperienza personale, che seppellire la sofferenza e il senso di impotenza sotto strati di finta indifferenza non portava a nulla di buono.
    Doveva andare così… ognuna di noi aveva il suo modo di affrontare questa enorme prova che il destino ci aveva posto d’innanzi e io rispettavo tutte, indistintamente.
    Poi… qualcosa era cambiato. La missione di Vesta aveva avuto esito positivo e aveva riacceso la speranza di poter finalmente entrare in azione con il piano che avevamo curato fin nei minimi dettagli. Aphrodite era tornata da noi… aveva percepito la scintilla della coscienza di Altair come rinata e questo aveva riportato anche lei alla vita.
    Seduti al grande tavolo rotondo che ci vedeva sempre riunite, dopo aver consumato un ottimo pranzetto a cura della Guerriere venusiana, eravamo intente a organizzare gli ultimi dettagli prima della partenza.
    Non ci potevo credere… un'ansia palpabile mi permeava tra pelle e cuore e tentavo di mantenere il più possibile la concentrazione, in attesa dell’inizio di tutto, in attesa dell’incontro.
    “Edward… sto arrivando da te. Presto sarai tra le mie braccia e potrò stringerti tanto forte da non farti respirare. Anelo il tuo abbraccio, il calore, le tue labbra, il tuo corpo. Ti amo… ti amo così tanto.”
    Tornai alla realtà. Non potevo lasciarmi andare ai desideri sopiti per troppo tempo. Rivederlo era ormai quasi una certezza, ma dovevamo affrontare la parte più difficile: entrare nell'Abstergo, sbaragliare i nemici e portare in salvo i nostri amati.
    “Dobbiamo essere pronte, ragazze! È ovvio che il piano per entrare è solo la punta dell’iceberg. Ci troveremo a combattere contro un esercito ben equipaggiato. Non ci faranno uscire con tanta facilità.” dissi con decisione per scoraggiare qualsiasi entusiasmo superfluo che in un primo momento aveva coinvolto anche me. Mai sottovalutare l’avversario.
    “La cosa importante che dovremo tenere in considerazione è che, eccetto Ezio e Altair, di cui non conosciamo le reali condizioni fisiche, potremo far affidamento sugli altri Assassini. Non saremo sole a combattere contro i Devianti” Athena intervenne con il suo senso pratico e realistico.
    “Formeremo una bella squadra! Daremo filo da torcere a quei maledetti!” Ares aveva palesato ciò che pensava con la sua solita irruenza, ma io, pur non manifestandolo apertamente, ero della sua stessa opinione e credevo che anche tutte le altre lo fossero.
    “L’obiettivo primario è individuare Ezio e Altair e capire in che stato sono, così potremo decidere come proseguire… Se non saranno in grado di difendersi… dovremo occuparci anche di loro” La voce di Aphrodite aveva vacillato per un momento, ma la sua decisione era tangibile e ci avvolgeva come una coperta di coraggio liquido.
    Eravamo unite più che mai in uno scopo comune. Molte vite dipendevano da noi, ed erano le più preziose. Avevo sempre anteposto il benessere di Edward al mio, e lui aveva fatto lo stesso. Proprio per questo ci consideravamo un unico essere, un un'unica anima…
    Adesso era giunto il momento della rivalsa, della resa dei conti.
    […]
    Era notte fonda e potevamo sfruttare il favore dell’oscurità per infiltrarci nell’Abstergo. Avevamo usato l'entrata poco sorvegliata indicataci da Partenope e avevamo messo in funzione il dispositivo creato da Athena che ci avrebbe celato ai radar Devianti.
    L'effetto sorpresa era fondamentale per la riuscita della missione e in questo modo avremmo avuto maggiore possibilità di riuscita.
    Ci eravamo divise, ci saremmo spostate in piccoli gruppi in diversi punti strategici della struttura, posizionando delle bombe energetiche che, attivate nel medesimo istante, avrebbero mandato in tilt l'intero sistema elettrico e di conseguenza quello di sorveglianza. Con le telecamere fuori uso e il caos creato dallo shutdown, avremmo avuto il tempo di raggiungere il Livello 1, luogo in cui erano disposte le celle dei nostri Assassini, con relativa facilità.
    Il cuore mi batteva a mille. Raramente provavo tensione prima di una missione, ma questa non era un’incursione qualsiasi. Edward… la sua vita e quella degli altri, dipendeva da tutto questo.
    In compagnia di Athena, stavamo seguendo il percorso più breve indicato dalle planimetrie per raggiungere il primo piano sopraelevato. Avevamo predisposto le bombe energetiche e attendevamo l'ora X concordata con le nostre compagne, per farle esplodere.
    Cinque, quattro, tre, due… uno… black out. Il buio ci avvolse, alleato fidato. Fino a quel momento eravamo passate inosservate, il pian terreno era addetto agli uffici della Sorveglianza e veniva considerato “il più sicuro". Non essendoci prigionieri, non era sorvegliato dalle guardie Devianti.
    Accelerai il passo con nuova speranza nel cuore e Athena mi venne dietro. Era ovvio che anche le altre Guerriere avevano portato a termine la prima fase del piano. Il secondo passo era raggiungere il Livello 1 e individuare gli Assassini.
    Man mano che ci avvicinavamo al luogo prestabilito, pareva aumentare la frenesia e la confusione. Molte guardie si stavano radunando, ma stavano avendo parecchi problemi con i dispositivi magnetici per l’apertura delle porte che portavano all'ala dedicata alle celle dei detenuti.
    Iniziò uno scontro feroce in cui riuscimmo a mettere fuori combattimento molti nemici.
    Attaccai un uomo alle spalle afferrandolo per il collo. Lo feci addormentare come un bimbo, senza ninna nanna però… Athena aveva steso l’ultimo. Non avevamo bisogno di parlare. Possedevamo una sincronia innata, affinata in tanti anni di battaglie e scontri l'una al fianco dell'altra.
    La mia compagna afferrò il dito di una guardia e lo appoggiò sul sensore delle impronte digitali. La fortuna aiuta gli audaci e ci consentì di attraversare la porta che una volta oltrepassata, si bloccò alle nostre spalle.
    Quando fummo dentro, pareva di stare all'inferno. Del fumo denso permeava l'aria e ci impediva una visuale nitida. Ci affiancammo al muro e procedemmo lente verso la meta, fin troppo lentamente. Udii dei rumori attutiti al di là di un'altra porta chiusa con lo stesso sistema della precedente, solo che adesso non avevamo nessuna guardia da utilizzare per lo scopo. Il fumo era filtrato proprio da lì, da un spiraglio nella parte bassa del metallo.
    Athena senza perdere la sua proverbiale lucidità si mise a rovistare nell’ampio zaino che si era portata dietro. Conteneva una moltitudine spropositata di oggetti e dispositivi, oltre a vari tipi di armi. Era alla ricerca di un congegno che facesse al caso nostro per aprire la porta senza creare troppi danni, né attirare troppo l'attenzione.
    Il mio sguardo fu poi calamitato dai movimenti concitati e dalle urla provenienti al di là dell’uscio. In alto, sulla lastra di metallo, vi era una sorta di vetro rettangolare che consentiva di scrutare attraverso… e ciò che vidi mi lasciò priva di fiato.
    Stava infuriando una lotta senza esclusione di colpi. Le guardie erano sotto assedio. I detenuti, forse approfittando del blackout da noi generato, avevano riunito le forze per attaccare i loro aguzzini e porre fine alla loro prigionia. La scena era illuminata da fioche lucine rosse d'emergenza attaccate alle pareti.
    Potevo scorgere fumo e fiamme, che per fortuna avevano poche superfici sulle quali attecchire. I lati positivi di quelle particolari leghe di metallo: erano ignifughe.
    All'improvviso, la mia attenzione si spostò su un uomo, che nel centro dello scontro, non dava alcuna tregua, colpendo, massacrando, distruggendo ossa, volti e arti. Capelli cortissimi chiari, occhi scintillanti color dell'oceano. Il mio cuore si fermò e il respiro si ribellò alle leggi biologiche del corpo. Un rantolo mi pervase il petto e mi costrinsi a non crollare.
    Dove erano finiti i suoi lunghi capelli biondi? Le rughe d'espressione intorno agli occhi erano più marcate. Era dimagrito e il sangue che macchiava il suo volto e la sua divisa lo rendeva più rude, più crudele. Lo avevo visto combattere in svariate occasioni, ma la furia che scorgevo il quel frangente era ancestrale, ipnotizzante.
    Il mio Edward, il mio adorato Edward. Non riuscivo a pensare ad altro. Stava bene? Era ferito?
    Lo vedevo sempre più vicino alla porta dietro cui mi trovavo. Non mi aveva scorto, ma dopo aver scaraventato una guardia contro l’uscio di metallo, avvenne il miracolo. I nostri occhi si incrociarono, si incatenarono per non lasciarsi più. Appoggiai le dita tremanti sul vetro che ci separava e lui, giunto in pochissime falcate, fece altrettanto. Lo stupore colorava il suo sguardo e le labbra piene, ma ferite erano leggermente aperte in un sorriso muto, invisibile, che solo io potevo cogliere.
    Le mie pupille registrarono un movimento fulmineo alle spalle di Edward e il panico mi serrò un urlo nella gola.
    Una guardia si era avvicinata lesta e con una lama era sul punto di colpire il mio amato. Questa volta gridai con quanto fiato avevo, dubitai che potesse udirmi, ma la mia espressione doveva essere stata molto più eloquente. Edward scartò di lato il suo aggressore, ma era troppo tardi, non riuscì a evitarlo. Un coltello gli perforò il fianco destro e con il corpo andò a sbattere contro la porta maledettamente serrata.
    L'uomo non ebbe modo di finire il lavoro, perché era stato raggiunto alla testa da un oggetto volante, forse un manganello. Scorsi in lontananza un uomo dalla pelle ambrata, l’avevo riconosciuto nonostante il bagliore sanguigno delle luci di emergenza: era Connor.
    Non mi fermai ad analizzare gli eventi. Mi voltai verso Athena che era adesso circondata da tutte le altre. Non mi ero neppure resa conto del loro arrivo, ma la loro espressione inorridita mi suggerì che avevano assistito alla drammatica scena.
    La Guerriera di Mercurio tirò fuori una carica al fosforo che avrebbe consentito di scardinare l'uscio senza ferire ulteriormente Edward che si trovava dall'altro lato sanguinante.
    “Forza, dobbiamo fare in fretta. Edward ha bisogno di me… è ferito…” stavo affermando l'ovvio colta da un'ondata di disperazione, ma le mie compagne non me lo fecero notare. Aphrodite mi prese per mano e me la strinse.
    “Stiamo andando da lui… stiamo andando da tutti loro” mi disse con decisione.
    Poco dopo, ci trovammo dall'altro lato, avvolte da una densa nuvola di fumo. Non persi tempo e mi aggrappai al corpo di Edward appoggiato alla parte accanto alla porta. Le Guerriere erano andate avanti per tentare di comprendere la situazione. Era chiaro che gli Assassini erano in quella dannata mischia fatta di caos e violenza. Ma a me non importava. Presi il volto di Edward tra le mani e lo costrinsi a guardarmi.
    “Allora non sei un'allucinazione…” disse con il suo solito sorriso sghembo, sebbene potessi scorgere il dolore che stava provando.
    “Dimmi, ti sembro irreale?” gli domandai mentre continuavo a stringerlo con delicatezza.
    “Affatto! Sei vera e sei qui, accanto a me. Di nuovo!”
    Feci per controllargli la ferita, ma lui si scostò di colpo. "Sto bene, è solo un graffio. Nulla in confronto a quanto subiranno loro” concluse quasi ringhiando.
    “Dammi due minuti. Stai giù e non fare l'eroe. Pensa che se sarai in forma, potrai spaccare più teste!” dissi decisa. Dovevo parlare nella sua lingua e solo io sapevo quali erano i punti su cui potevo fare leva. La vendetta e la battaglia erano due splendidi esempi. Non era cambiato per niente e questo mi fece sospirare di sollievo. Un anno e mezzo di reclusione non avevano intaccato per nulla la sua furia e la sua tenacia. Almeno così pareva.
    Nel paio di minuti di tregua che mi concedette, mi dedicai a curare la sua ferita con un fascio di luce verde. Non era la prima volta e ne conosceva bene gli effetti. Mi lasciò fare senza brontolare troppo. Quando ebbi finito, sollevai lo sguardo e lo vidi fissarmi con insistenza.
    “Sei bellissima, come sempre” mi disse con una strana inflessione nella voce. Poi, parve riscuotersi, mi prese per mano e ci alzammo da terra.
    “Stai al mio fianco! Non ho intenzione di perderti di vista” affermò caustico.
    “Ci puoi contare, amore. Lo stesso vale per me" E insieme ci incamminammo per raggiungere gli altri, consapevoli che uno accanto all'altra eravamo una squadra infallibile.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 28/12/2020, 17:37
     
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    Rivedere Athena era stato un colpo al cuore, ma il mio viso non nascondeva la mia proverbiale freddezza seppur solo lei sarebbe stata in grado di notarlo. Percepì la sua mano sul mio braccio ed immediatamente la strinsi godendo del suo calore, mentre lei l'alzava sul mio capo accarezzando la testa ormai rasata. Lontana dai lunghi capelli che lei era stata abituata a vedere, ma dipinta con simboli di guerra che indicavano lo stato della mia anima in tutto quel tempo. Un aquila in gabbia. Un aquila che anela al cielo.
    Probabilmente chiunque si sarebbe aspettato un "Ti Amo", ma non era necessario, non quando sapevo che Athena poteva leggermi nell'anima ed io potevo farlo con lei. Infatti sorridendo esclamò con decisione: “Seguiteci, le altre ci aspettano al punto d'incontro”
    “E gli altri?” chiese Jacob.
    “Se tutto è andato nel verso giusto saranno con Aphrodite ed Ares!” rispose Nike che nel mentre aiutò Edward a rimettersi in piedi. Lo stesso si stava tastando il costato, solo per giungere alla conclusione di essere forte e scattante abbastanza per spaccare altre ossa.
    "Bene dunque, fateci strada!" conclusi pacato stringendo forte la mano di Athena che sorridente assentì prima di voltarsi verso il caos di fronte a noi e così creare una fitta coltre di nebbia nella quale ci saremmo mossi senza problemi.
    Certo c'era chi tentava di fermarci, ma tutti combattemmo senza esclusione di colpi. L'obbiettivo? Le scale per salire ai piani superiori.
    Mentre Athena di fronte a me mi faceva strada tra quei banchi di nebbia io aprivo la strada, i miei compagni alle mie spalle si occupavano invece di tenere alla larga le guardie che avevamo alle calcagna.
    Immeritamente salendo le scale incontrammo una testa di cuoio che prontamente gettai contro le grate delle celle, mentre Athena lo immobilizzava alle stesse con del ghiaccio. Un altro stava per cogliergli alla sprovvista venendoci incontro pronto a colpirci con scudo antisommossa e manganello, ma mentre Nike lo elettrizzava in stile teaser umano, Jacob ed Edward lo presero e lo gettarono per le scale così che come una palla da bowling fece cadere tutti gli altri agenti che ci stavano seguendo.
    Nel mentre io mi arrampicai sulla ringhiera delle scale e saltando verso quella del corridoio superiore, lo superai mettendo ko altre guardie e così velocizzando la corsa verso il nostro obbiettivo: una porta di quel piano.
    “Dobbiamo muoverci stanno attivando l'isolamento, se non ci muoviamo rimarremo bloccati qui! urlò Athena.
    Corsero più veloci, ma superata la porta altre guardie li attendevano ed uno di questo rideva mentre la grata alle loro spalle si abbassava. Dovevano essere fulminei e così tra un colpo e l'altro scivolarono tutti sul pavimento sotto la grata che tocco terrà nel momento in cui Jacob passò. Ce l'avevano fatta per un pelo.
     
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    Avevo reagito d'istinto, appena l'avevo vista, sbaragliare tutti con la sua luce accecante facendo segno a me, Ezio, Federico ed Arno di seguirla, che avvicinandosi l'avevo presa per la vita e le avevo impresso il mio bacio sulle labbra calde. Labbra che sapevano di ambrosia e miele.
    Lei sostenne senza problema il suo potere, ricambiando quel bacio con una malizia pari a pochi, mentre Ares tossicchiava di fianco a noi.
    “Odio interrompere, ma dovremmo andare!”
    Ci fece notare, prima di fare un segno con la testa e imboccare insieme a lei un corridoio laterale lontano dal caos di fumo e botte.
    Lì trovammo una guardia da sola che facilmente Arno mise ko, mentre un calcio volante di Federico colpirono la testa di un altro ed i pugni pesanti di Ezio pensarono all'ultimo.
    Tutto sarebbe apparso semplice se non fosse stato per l'arrivo di altre guardie che immediatamente si gettarono su di noi senza pietà. Per un attimo fu come rivedere la violenza che al fight club erano costate la salute a Federico, ma questa volta eravamo in di più e c'erano anche le Sailor anche se proprio per questo uno dei Devianti prese il proprio spray al peperoncino e lo spruzzò negli occhi di Aprhodite che piegandosi in due per il dolore venne presa alla sprovvista e colpita allo stomaco.
    Nel pieno della lotta notai quello ed accecato da una furia cieca, non più figlia degli esperimenti aberranti dei Devianti, ma dalla mia stessa volontà, recuperai il pugnale artigianale che mi ero fatto appuntendo il manico di uno spazzolino e senza pietà alcuna lo infilai nel petto della guardia che stava colpendo Aphrodite, prima dargli un calcio e buttarlo a terra ben conscio che i miei compagni si sarebbero occupati di lui con calci ben assestati.
    "Ehi Aprhodite sono io... ci sei? Stai bene?" chiesi preoccupato piegandomi verso di lei che a terra si teneva lo stomaco dolorante, mentre gli occhi erano strizzati dal fastidio che il peperoncino le causavano.
    “Come hanno osato eh? Come hanno osato deturparmi! Oh no non mi guardare Altair..." urlava sconvolta non sapendo realmente cosa le avessero fatto e soprattutto inconscia che fosse provvisorio.
    Altair non ci pensò due volte e la prese in braccio stringendosela al petto, mentre anche l'ultima guardia cadeva a terra grazie ad Ares.
    “Su Principessa poso piagnistei sarai come nuova tra pochi minuti...”
    "Sì è provvisorio il gonfiore passerà e tutto tornerà normale..." cercai di tranquillizzarla, mentre sentivo le sue labbra premere sul collo.
    A corridoio libero Ares recuperò le chiavi da una delle guardie a terra ed aprì una porta precisa. Quella che li avrebbe portati a ricongiungersi con gli altri.
    Mentre camminavano la voce impastata di Aphrodite raggiunse le mie orecchie, mi chiedeva di metterla giù, mentre lentamente riapriva gli occhi. Erano ancora un po' arrossati e lucidi come se avesse pianto, ma stava bene.
    “Ti ho appena ritrovato e mi privano della vista del tuo meraviglioso viso... o questo viso... quanto l'ho sognato... quanto ho agognato di rivederlo..." mi mormorò accarezzandolo, mentre la sua mano si stringeva alla mia.
    "Io ho creduto di non farlo... di non farlo più per davvero..."
    “Lo so..."
    "Lo sai?"
    “L'ho sentito... NON osare mai più chiudermi fuori... MAI più Altair... a costo di morire non mi allontanare MAI più..."
    Avevo sperato, avevo sperato davvero che lei non avesse percepito quel mio fare, ma chi volevo prendere in giro? Era una venusiana e probabilmente la più gelosa ed ossessiva compulsiva che conoscessi, ma l'amavo follemente anche per questo. Assentì e la baciai di nuovo.
    Era strano non ero una persona dolce, né tanto meno affettuosa, ma nei secoli avevo capito la necessità di Aphrodite di sentire. Sentire fisicamente. Toccare. Pelle contro pelle. Ne era drogata, ne aveva bisogno e sinceramente da quando l'avevo scelta, anche io.
    "Anche nei momenti più bui c'eri... ci sei sempre stata..." e non le avrei raccontato altro, perchè era troppo imbarazzante, ma era così.
    Sorrisi e mi allontanai da lei solo un attimo perchè Ares voleva dirmi una cosa circa il piano, fu in quel mio piccolo momento di distrazione che Aphrodite aveva allungato il passo per affiancarsi ai fratelli Auditore ed ad Arno.
    “G-Grazie... per averlo salvato e..." e a quel punto guardò solo Ezio “... non esserti arreso con lui."


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 28/12/2020, 22:56
     
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    Il punto d'incontro era niente di meno che uno sgabuzzino, non uno qualsiasi sinceramente, ma uno abbastanza ampio nel quale ritrovarsi ed organizzarsi. Athena aveva con sè tutto il necessario, soprattutto le lame celate da distribuire ai diretti interessati e che prima dello spettacolo che avevamo messo in scena avevamo recuperato.
    Come d'accordo dovevamo trovarci lì ed io osservavo nervosa l'orologio ormai da 5 minuti scarsi. Erano in ritardo e la mia agitazione stava ora anche innervosendo le persone con me, tre ragazze soprattutto che non erano nei piani e non conoscevo, ma che Bayek ed Evie mi avevano assicurato essere con loro.
    "Alla buon'ora, perchè ci avete messo così tanto?" chiesi quando Ares entrò con la sua delegazione di recupero, ma oggettivamente non mi degnò di uno sguardo perchè era già saltata in braccio a Bayek e si stavamo baciando in maniera imbarazzante al mio fianco.
    Guardai poi Aphrodite preoccupata, ma lei alzò una mano come a volermi dire "lasciare stare, storia lunga" ed infine quando vidi Ezio il respiro mi si bloccò in gola.
    Volevo parlare, dire qualcosa, andargli incontro, ma ogni azione mi sembrava senza senso soprattutto se lui non aveva la minima idea di chi fossi.
    Stavo ancora ragionando su ciò quando vidi arrivare anche Athena e Nike con gli altri.
    "C-Ci siamo tutti... b-bene" cercai di dire convinta e cercando di allontanare da me il forte disagio che stavo provando, ma era difficile. Athena aveva già posato il grande zaino sul tavolo e stava distribuendo a tutti le loro amate armi.
    Ezio continuava a guardarmi ed io a guardare lui, una tensione che cresceva ad ogni sguardo, come il desiderio di baciarlo e stringerlo e toccarlo che mi stava facendo impazzire annullando del tutto il mio controllo e la mia lucidità.
    “Non riesco a credere che stiamo collaborando con gli Originali..." esclamò ad alta voce una delle tre ragazze che non conoscevamo.
    “Ecco appunto voi siete?" chiese Nike scettica osservandole dall'alto al basso.
    “Yulia e sua sorella Yelena Orelov e Lin Jun..." spiegò Federico raggiungendo istintivamente il fianco di Yulia, mentre passando dietro ad Ezio e me, ci guardò entrambi in un modo che non seppi decifrare.
    “E voi siete le fantomatiche Sailor..." esclamò Yulia con un certo rispetto, mentre io incrociando le braccia al petto cercavo disperatamente una stabilità che non avevo.
    "Spero solo che la prigione non abbia alterato la vostra capacità di giudizio..." era fuori luogo, lo sapevo. Soprattutto dopo quello che avevano passato, che Ezio aveva passato ed infatti tutti mi fulminarono con lo sguardo, ma era il mio tentativo vano e misero di reagire a quell'istinto che dentro mi spingeva verso Ezio con la consapevolezza di rimanerne irrimediabilmente ferita.
    “Forse..." fu proprio lui a rispondermi con somma sorpresa, mentre voltandosi verso di me poggiava una mano sul tavolo e mi fissava.
    “Ma forse non è negativo sai? Finora abbiamo sempre e solo visto il mondo o in bianco o in nero, ma qualcuno..." e così dicendo si voltò verso le tre ragazze indugiando su quella orientale “... ci ha mostrato che esiste anche il grigio. E questo, forse, ci rende assassini migliori..." quel discorso fu una forte motivazione per tutti, ma c'era qualcosa in più e non me ne accorsi fin quando, fissandoci in quel modo penetrante, mi disse qualcosa che teoricamente non avrei dovuto capire “Negarlo sarebbe come reprimere tali pensieri in una scatola. Ordinati. Schiacciati."
    I miei occhi si spalancarono, mentre il cuore perse un battito. Anche lui era in attesa, era impassibile, ma lo vedevo che dentro moriva nella speranza di una mia reazione e quella arrivò più forte di quanto avrei creduto.
    Risi quasi isterica tra le mani, tutti dovevano credermi pazza, ma in quel momento, in quella stanza angusta era come se ci fossimo solo noi.
    "E se ne escono... Bé non si sa mai come lo fanno... " osservai retorica ridendo.
    Era impossibile ricordare quell'incubo o il fatto che lui e Toth erano venuti a tentare di tirarmici fuori, al che non ci furono più barriere, lui prese uno slancio e sentì le sue mani allacciarsi alla mia vita, mentre io affondavo il mio capo nell'incavo del suo collo stringendogli forte le mani intorno allo stesso.
    Stavo per tornare alla realtà e lo avrei presto fatto se non fosse stato che una voce ci colse totalmente impreparati: quella di Oliver Winkler.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 28/12/2020, 22:45
     
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    Schierai i miei uomini a guardia del gruppo di prigionieri che erano stati rastrellati con veloce efficienza nei punti più frequentati del livello principale dell'istituto. Non fu un lavoro complicato individuare e catturare i soggetti più impreparati e non addestrati, che cercavano solo di nascondersi e non pensavano certo a costituire una minaccia. Erano agnelli miti, che la lunga prigionia aveva solo fiaccato ancora di più nell'animo.
    Questi soldati rappresentavano i migliori esemplari di uomini che le nostre caserme e accademie potevano produrre. Veloci, forti, concentrati, infallibili. Le SchutzStaffel costituivano la punta di diamante dell'esercito deviante; svolgevano con estrema affidabilità compiti delicati e rischiosi ma possedevano qualcosa che non mi serviva, anzi poteva essere addirittura pericolosa. Una coscienza. Un pensiero che non era completamente assoggettato ai miei ordini. La loro lealtà andava conquistata e mantenuta costantemente, per evitare rischi di tradimento o defezione. Troppo spreco di risorse per un risultato non sempre ineccepibile come mi sarebbe servito.
    Per questo avevo creato e seguito da vicino il progetto Omega. Il sogno di possedere soldati letali e non senzienti era un progetto non originale, nel corso della storia molti altri uomini di potere avevano avuto il mio stesso intento. Ma solo io, a capo della razza eletta, lo avevo ottenuto. Il contrattempo relativo alla fuga di notizie era stato molto grave, ma avrebbe solo ritardato la raccolta dei frutti di anni di studi e sperimentazioni, nulla di più. Può una misera diga fermare la potenza di una massa enorme di acqua, la volontà e la superiorità della nostra razza? No.
    L'ultimo periodo stava diventando sempre più convulso e complesso, difficile da decifrare e da gestire. Molte difficoltà erano sorte in maniera imprevista e concomitante, e nonostante mi consultassi giornalmente con i miei consiglieri e tentassi di individuare possibili soluzioni con Nyx, parlandone durante il poco tempo che rimaneva per noi, non trovavamo il bandolo della matassa.
    Inizialmente, era comparso del simbolo delle Guerriere Planetarie su Moira. Un evento che aveva dell'inspiegabile, dato che tale incarico era spettato, da quando se ne aveva memoria, solo ad esseri appartenenti alla razza degli Eterni. Nyx non era stata in grado di trovare alcuna spiegazione logica e fu per questo che decidemmo di tenere all'oscuro nostra figlia.
    Qualche settimana dopo, la mia Dea era stata inaspettatamente contattata dall'ex Imperatrice, che richiedeva il formarsi di un'alleanza contro un nemico misterioso che fino a quel momento si era dedicato esclusivamente ai nostri antagonisti. Non ero d'accordo con Nyx sul volerli aiutare, anche se mi spiegò che lo avremmo comunque fatto in futuro; io ero convinto che anche potendo sfruttare la loro temporanea debolezza avrebbe potuto avvantaggiare la nostra posizione.
    Discutemmo animatamente e quasi litigammo. Cercai di farle ascoltare le mie ragioni, non ero più il servo timoroso che aveva salvato donandogli una nuova vita. Ci amavamo, e avevamo una figlia. Con lei, Nyx aveva esaudito il grande desiderio di essere madre a tutti gli effetti. Ero il suo compagno fedele e instancabile, ero consapevole di questo e del ruolo che rivestivo ai vertici del mondo che avevamo creato insieme.
    Per quanto tutta la venerazione fosse rivolta doverosamente a lei, come avevo sempre desiderato fosse, io rappresentavo la sua controparte più reale, tangibile, terrena. Ero il capo supremo dei Devianti, la loro guida pragmatica.
    Ma sulla scena era ricomparso Etere, il suo odiato e ingombrante fratello. In passato, quando aveva incrociato la nostra strada e lo avevamo sconfitto, sapevo che non era morto, e questo lasciava spazio alla probabilità che tornasse per vendicarsi.
    Quella mattina era in programma una riunione con i Gerarchi del Reich per definire le fasi di allerta operativa per il nostro potente esercito. Se Nyx voleva schierarsi in battaglia al fianco degli Eterni, sarebbe stato necessario prepararci ad accogliere la guerra anche sul nostro pianeta. Anche davanti ai miei più stretti collaboratori non rivelavo i miei veri pensieri, una questione che faceva bruciare un'ira profonda nel mio petto, perché ritenevo questo comportamento come un inqualificabile tradimento che avrei fatto alla mia Signora.
    Ero diretto alla sala riunioni quando si attivò il segnale di violazione confini all'Abstergo. Non impiegai che un secondo per reagire, mi attendevo una simile eventualità: ogni opzione era stata pianificata dalla nostra intelligence. L'allarme scattato indicava un attacco dall'esterno, e ipotizzai che i detenuti stessero ricevendo aiuto da altri Assassini ancora in libertà.
    Ero piuttosto stupito dal metodo che utilizzarono, perché dimostrava una pianificazione e un'organizzazione che non pensavo avessero le risorse e le capacità di raggiungere. Non gli sarebbe comunque servita, non avrebbero mai potuto fuggire, indenni, dall'edificio.
    Ero certo, con una convinzione che derivava dall'esperienza che avevo affinato durante i miei anni da Assassino, che avrei scoperto chi esattamente tra loro, tra i numerosi individui che avevamo cacciato per anni, seguendo criteri di ruolo e di eredità, fossero i veri soggetti interessanti.
    Ordinai quindi alle guardie d'élite di portare gli elementi mediocri in sala mensa e di creare una sorta di sentiero obbligato per quelli più astuti ed esperti, che erano sicuramente sfuggiti alla retata appena conclusa. Una volta aver disposto tutto, mi trasferii lì con i miei poteri: qualche decina di soggetti erano radunati e tenuti sotto tiro dai componenti delle SS. Attesi con pazienza, mente udivo rari colpi di arma da fuoco, urla e passi veloci e concitati. Il gruppo che entrò nella sala dopo qualche minuto era formato da pochi individui, troppo pochi, ma tra questi riconobbi subito uno dei due esemplari che avevano superato con successo quasi tutte le fasi di innesto del Gene Deviante. Improvvisamente, lo sviluppo dell'agente nel suo organismo si era inspiegabilmente interrotto, e vedevo nell'Assassino una lucidità e un controllo che non avrebbe più dovuto possedere. Ma non tutto era perduto. I Devianti sarebbero sempre usciti vittoriosi, io avrei ottenuto quello che cercavo.
    Aggrottai la fronte. C'erano delle donne che spiccavano non solamente per il fatto che non indossavano l'uniforme bianca dei prigionieri, ma per il loro aspetto. Erano evidenze che non erano rilevabili per la maggior parte delle persone, ma non per un Deviante di alto livello quale ero io. Erano Eterni, e senza alcun dubbio, erano Guerriere.
    ”Siete prevedibili, lo sapete?”
    La mia voce, tinta di sarcasmo, riecheggiò tra il soffitto e i pannelli della sala. Il silenzio sembrava più pesante perché avevo fatto cessare l'allarme appena erano entrati loro. Si erano fermati interdetti davanti allo spettacolo dei prigionieri, ma subito non avevano notato la mia presenza, il fatto che li stessi aspettando. Feci alcuni passi per aggirare i prigionieri, mentre squadravo con occhi di fuoco i rivoltosi. I soldati e gli ostaggi erano immobili come statue di pietra. Anche i nuovi arrivati non si mossero, per quanto notassi le loro espressioni rabbiose. Ero calmo: l'intero gioco era nelle mie mani, lo avrei avuto fino alla fine.
    ”Siete qui per salvare i vostri compagni. Ma c'è altro che vi aspetta”
    Misi una mano sulla spalla del prigioniero più vicino, che alzò gli occhi verso di me, stupito e terrorizzato. Le sfide troppo facili non mi esaltavano né mi soddisfacevano, ma eravamo solo all'inizio.
    ”Vi appropriate del privilegio di decidere delle vite degli altri, quando questa facoltà spetta solo agli dei”
    Abbassai la voce, fissando la mia vittima, un soggetto molto giovane e fragile. Mentre parlavo, ero entrato nella sua testa, avevo trovato la paura segreta e distruttiva che avrei usato. Il suo terrore cieco lo aveva già trasformato nel mio burattino. Continuai a parlare, mentre mettevo nelle mani del ragazzino un coltello militare dalla lama seghettata e affilata.
    ”Come ci si sente quando lo stesso gioco viene rivolto verso di voi? Quando per colpa delle vostre azioni molti dei vostri compagni moriranno?”
    Il prigioniero portò la lama alla gola e senza alcuna indecisione la tagliò in profondità. Sbuffai seccato udendo gemiti di paura dietro di me ed esclamazione di rabbia da alcuni assassini davanti a me.
    ”Se uscirete vivi di qua, Assassini, dovrete portarvi via anche la consapevolezza di aver causato la morte di quelli che hanno deciso di ascoltarvi”
    Appena terminai la frase mi smaterializzai, spostandomi alla velocità del pensiero verso la mia vittima successiva. La avevo scelta e studiata in mezzo a loro in precedenza. Era un'Eterna, potente e piena di vigore, ma la sua irruenza avrebbe giocato a mio favore, a differenza della sua compagna, troppo fredda, razionale ed equilibrata, dove il mio potere avrebbe impiegato più tempo per agire. Con la Guerriera dall'armatura rossa e dall'essenza infuocata e instabile, invece, potevo attaccare velocemente e ritirarmi prima che chiunque riuscisse a reagire. Comparii di fronte a lei, entrai dentro alla sua mente forzandola con spietatezza e decisione. Vidi le sue pupille dilatarsi per la sorpresa, ma agii velocemente e distrussi le barriere e gli ostacoli mentali che trovai sul mio percorso. La mente di un Eterno era prodigiosa, impressionante, complessa ma non immune a paure e conflitti che avrei sfruttato. Bastavano solo pochi secondi, e avrei portato a termine il mio attacco presto ma...... Udii un urlo maschile, e venni urtato pesantemente. Lo sconcerto fu tale che la spinta violenta mi fece sbilanciare e cadere a terra, prima che potessi riprendere il controllo e tornare ad attaccare.
     
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    Percepì la mole diFederico al mio fianco scagliarsi contro Winkler, mentre questo lo colpiva pesantemente facendolo cadere a terra. Iniziarono una lotta senza esclusione di colpi, memore di tutto l'odio e la frustrazione di Auditore circa ciò che era accaduto a lui, i suoi amici e soprattutto suo fratello, mentre intorno a me Connor, Ezio ed Arno combattevano con le SS che ci erano venute addosso ed Athena mi posò una mano sulla spalla quasi a comprendere che qualcosa in me non andava. Io scossi il capo, cercando di cacciare il dolore che alla testa che percepivo, ma presto quando mi voltai per vedere chi mi avesse toccato il viso di Amunet comparve di fronte ai miei occhi.
    Mi scostai incredula e furiosa.
    "Tu..." sibilai solo.
    "Ares sono io. Athena... stai bene?"
    Scossi il capo guardandomi intorno e l'unica cosa che vidi fu tutto ciò per cui avevo combattuto non esistere più. Una casa da cui tornare, un uomo d'amare... Insomma lei era tornata ed era divenuta nuovamente il centro del mondo di Bayek, lui l'aveva seguita, perchè lei lo aveva salvato NON io. Avevo fallito all'Abstergo, con le ragazze non li avevamo salvati... molti erano morti, ma gli Occulti ne erano stati in grado. E loro adesso erano tutti intorno a me ed io ero arrabbiata. Furiosa.
    "Era da tanto che speravo di farlo..." ovviamente quello non era ciò che Athena mi stava dicendo, ma... io non vedevo lei. Non sentivo lei.
    "Allora approfittane fin tanto puoi perchè mi assicurerò che tu perda tutto... di nuovo! Mi hai sentito? Tu non puoi ricomparire dal nulla e prendermi tutto!"
    "NON posso? Ma guardati, sei una schiavista come tutto il tuo popolo! Ci avete creato per essere vostri schiavi e noi ci siamo ribellati e continueremo a farlo! Siete i nemici!"
    "Nei sei proprio sicura?" le chiesi sarcastica, mentre i miei occhi si illuminavano del fuoco sacro di Marte e le mie mani si accendevano si sfere che iniziai a lanciarle contro una dopo l'altra.
    Athena arretrava parlandole con getti d'acqua affinché si spegnessero e non colpissero niente e nessuno, ma intanto alcuni SS mi venivano incontro ed io li atterravo con colpi sicuri, parando, abbassandomi e mettendo a punto con pugni che li mandavano a terra.
    Ebbi improvvisamente circa 10 persone addosso e mentre Athena intervenne per aiutarmi, io la vedevo a guidare l'azione e palesando il mio arco di fuoco le scoccai contro una freccia che evitò per un soffio, ma non riuscì a fermare prima che questa colpisse un pilone della mensa che iniziò ad avvampare. Avrebbe voluto spegnerlo, ma come gli altri Assassini era impegnata a combattere.
    Oliver si era dileguato e le SS continuavano a venirci addosso, andavano sconfitti, per prendere gli Assassini lì tenuti in ostaggio, e pestati, e scappare.
    L'ira mi cresceva a dismisura, mentre arrivando alle spalle di Athena riuscì a prenderla per il collo che iniziai a stringere sempre più stretto, scalciando senza problemi chi tentava di venirci addosso.
    Lei si dimenava ma la mia stretta era mortale, mentre il fuoco ormai era sempre più esteso e le temperature divenivano proibitive e l'aria rarefatta.
    Fu allora che Bayek si palesò di fronte a me, non era un allucinazione. Era davvero lui.
    "Lasciala!"
    "Cosa?" gli chiesi guardandolo quasi tradita.
    Notai che intorno a noi più nessuno mi veniva addosso, mi pareva di vedere gli Occulti ritirarsi, ma in realtà erano gli Assassini aiutare i prigionieri a fuggire.
    Bayek aveva detto a tutti di andare, anche a Connor che aveva esitato, ma dopo essersi scambiato uno sguardo con Athena ed averla vista assentire, aveva ubbidito.
    Ormai solo loro tre erano rimasti nella stanza, il fuoco sempre più alto, se non ne fossero usciti presto sarebbero morti. Athena era debole, troppo per usare i suoi poteri.
    "Guardarla! Guardala bene Ares! Non so chi tu veda... ma è Athena! A-t-h-e-n-a!"
    Lui disse un nome che non percepì. Poi però scandendolo lettera per lettera mi mosse qualcosa, mi fidavo di lui. Sapevo che la mia folle gelosia per un fantasma era solo un'ossessione che da tempo mi influenzava. La mia presa vacillò, come la mia mente e fu lì che Athena ne approfittò. Con le poche forze, ed il poco ossigeno rimasto nell'aria, mi bloccò le gambe in una morsa di ghiaccio. Lei si dette uno slancio in avanti e poi voltandosi di colpo verso di me mi tramortì facendomi perdere i sensi.
    Probabilmente una volta fuori mi sarei incazzata, ma questo aveva permesso a Bayek di prendermi in braccio e con Athena fuggire. Una volta ripreso i sensi avrei scoperto un bel livido sul volto, ma anche la consapevolezza che così facendo la mia migliore amica mi aveva salvato da me stessa e dall'uccidere due delle persone che amavo più al mondo.
    Una cosa era certa, la missione aveva avuto successo, ma i miei dubbi si erano trasformati nel mio punto debole ed io non potevo permettere che MAI più accadesse di nuovo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 23/1/2021, 13:54
     
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    :Oliver:
    Il livello principale della struttura era ridotto a un inferno di fumo e fiamme. Quando la Guerriera si era arresa all'incubo che le avevo instillato nella mente e i suoi compagni erano diventati solo delle ombre terrificanti che la minacciavano e da cui difendersi, avevo stabilito che la mia presenza lì non era più necessaria.
    Le guardie che avevo scelto per questa missione, addestrate e implacabili, avevano l'ordine di sterminare quanti più prigionieri riuscissero, prima di ritirarsi. O di soccombere nel compimento del loro dovere; quello non lo avevo precisato, ma non era una disposizione necessaria, dato la granitica obbedienza che pretendevo dai miei fidi.
    Ero molto contrariato e deluso. Quella parte del mio progetto stava finendo in un pugno di macerie e in una mole considerevole di dati raccolti, anche se incompleti e incoerenti. Ricominciare dal punto in cui ci eravamo interrotti sarebbe stato possibile, anche se oneroso.
    Volevo assistere agli ultimi istanti di vita delle mie fatiche, per questo motivo usai il Potere dell'Ombra per arrivare velocemente nella sala sorveglianza, che non era ancora stata invasa dal fumo e dall'aria rovente. Gli schermi funzionavano solo in parte, le telecamere erano state danneggiate dal fuoco e dai crolli che cominciavano a verificarsi. I pochi che ancora trasmettevano riportavano immagini di desolazione e di corpi immobili, con la divisa chiara o quella blu. Poco si muoveva, e quel poco era costituito dal gruppo dei prigionieri che avevo affrontato poco prima. Erano quindi riusciti a porre fine al combattimento e a dirigersi verso i varchi che avevano aperto quelle maledette Eterne. Ispirai l'aria con forza attraverso le labbra socchiuse e la mandibola serrata. Era un errore strategico, farli uscire vivi? Forse si erano impossessati di informazioni che avrebbero usato per combattere la nostra supremazia! Dovevo tornare e finire il lavoro con loro, anche se sarebbe stato più difficoltoso avere ragione delle loro difese. Ora non sarebbe stato più così agevole sorprenderli, ma non li temevo. La mia furia sarebbe stata una preziosa alleata, la scaltrezza e la risolutezza la lama che avrebbe trafitto e ucciso tutti loro.
    Mentre organizzavo mentalmente l'attacco, l'occhio venne attirato da un movimento brusco in un altro monitor, in una diversa area del piano. Era un prigioniero, con la divisa sporca di polvere, solitario. Si era diviso dal gruppo superstite? Non sembrava in buone condizioni di salute, e non erano solo gli strappi sui vestiti che lo denunciavano. Si appoggiava al muro, respirava con disagio. Un rumore, probabilmente, lo allarmò, facendogli voltare la testa verso l'obiettivo. Avevo captato quel movimento nel monitor, e mi ero ritrovato a fissare i tratti di un viso che mai avrei pensato di poter rivedere.
    Dimenticai, lasciandoli al loro destino, i fuggitivi. Questo particolare prigioniero aveva la priorità su tutto. Feci diversi spostamenti prima di trovare l'esatta posizione inquadrata. Le sale e gli ambienti comuni erano invivibili, con temperature insopportabili e il rombo rabbioso del fuoco che copriva ogni altro suono. Alla fine, raggiunsi il luogo. Il prigioniero era di nuovo girato verso la parete, come per estraniarsi dalla realtà. Le spalle erano incurvate verso la mandibola, le braccia appoggiate al muro su cui numerose crepe facevano supporre la prossimità del crollo.
    Rimasi immobile per qualche secondo, cercando di decifrare l'identità attraverso indizi come la postura, il modo di respirare, la curva della schiena. L'incredulità rischiava di sbaragliare il mio notevole autocontrollo, che non mi avrebbe più protetto dall'illusione che stava crescendo in me. Decisi che non potevo permettere alla speranza di manipolare le mie azioni. La speranza era nociva.
    Squadrai le spalle in un gesto automatico, sollevai il mento ed esclamai, perentorio: "Prigioniero, voltati! E' un ordine!"
    L'individuo non si mosse, ma notai chiaramente aumentare la tensione dei muscoli. Lentamente, molto lentamente, staccò una mano dal muro e si voltò verso di me, raddrizzando la schiena. Difficile descrivere quello che passò sul suo viso, deformato dalla sofferenza. Non era ferito: i suoi vestiti, pur laceri, non erano sporchi di sangue.
    "Il fürher in persona. Quale onore!" Il tono sarcastico che aveva usato era inciso a fuoco nella mia memoria; una parte di questa, per la precisione. In questo universo, molto spesso le discussioni con lui erano sfociate in scontri brutali, accuse e minacce. Quel tono era la sua arma preferita per attaccare e ferire. Ma il Liam che avevo perso, che tanto aveva significato per me, che era un vuoto nella mia anima che non avrei mai richiuso, non faceva parte di quei ricordi. Era nei miei. In quelli della persona che aveva lottato e salvato la propria donna, che aveva rivoluzionato l'intero universo per poterla salvare, ma non era riuscito a fare lo stesso per l'amato fratello.
    Tornai a concentrare la mia attenzione sull'uomo davanti a me. Dovevo capire cosa era successo a mia insaputa per motivare qui la sua presenza.
    "Da quando sei qui dentro? E perché non sono stato avvisato di questo? Credevo fossi morto molti anni fa..." La voce glaciale non tradiva la minima incertezza o emozione.
    "Mi dispiace rovinarti l'umore con questa sgradita sorpresa. Sono vivo e sono stato sotto il tuo naso per più di un anno, evidentemente sono stato bravo a mimetizzarmi..." Ancora il suo sarcasmo, ma con una punta di acido compiacimento. Analizzai le sue parole, il messaggio sottinteso. Si gloriava di avermi beffato, di averlo fatto per un tempo così lungo. Aveva subito tutti i disagi dei trattamenti e delle imposizioni a cui i prigionieri dovevano sottostare senza fiatare, cercando solo di nascondersi ai miei occhi. Custodiva una motivazione che non conoscevo, anche se la sua rabbia parlava e raccontava più di quanto avrebbe potuto fare lui con le parole ma... non mi importava.
    Non gli toglievo gli occhi di dosso, ancora incredulo di averlo ritrovato.
    Respirai a fondo. Il silenzio, anzi meglio, lo studio reciproco durava già da qualche minuto. Il ruggito delle fiamme, sempre più forte, mi obbligò a urlare: “Perché?” Una parola secca, che conteneva mille domande.
    Liam rise rabbioso: "Mi chiedi davvero perché? Mi avete catturato come un topo di fogna, ma non potevo darti la soddisfazione di usarmi come cavia per il tuo schifoso laboratorio..."
    A quelle frasi reagii d'istinto, mostrando per la prima volta le mie vere emozioni. Non stavo ribellandomi alle sue accuse: non tolleravo le menzogne, e volevo solo che capisse quanto la verità era diversa da quella che vedeva lui. "NON ti avrei mai usato come cavia, mai! Non saresti rimasto più di un'ora confinato qui, come uno dei tanti, se avessi saputo di te! Sei mio fratello!" Poi, un dubbio mi attraversò la mente. Aggrottai le sopracciglia minaccioso. "Non mi dire che tutto questo è opera tua!"
    Feci un passo verso di lui, quasi non me ne accorsi, ma registrai, con un dolore quasi fisico, quanto lui ne fece uno corrispondente all'indietro, addossandosi al muro pericolante.
    "Cosa intendi con tutto questo? Il casino al livello 2? La sparizione della Staffa? Il collasso della prigione? Mmm, per un buon 50% direi di sì... ma noto con piacere che hai altri nemici fuori di qui!" Quasi mancò che sorridesse, per la gioia maligna che provava nel rivendicare tali azioni.
    "Hai rubato tu la Staffa? Come sei riuscito ad infiltrarti nel livello di massima sicurezza dell'intera struttura?"
    "Non proprio. Mi sono servito di uno degli Assassini che avete confinato in quel livello maledetto... ma non credo che i dettagli abbiamo più importanza a questo punto. La realtà dei fatti è che hai ricevuto un colpo basso e non riesco a non rallegrarmi di questo..."
    Strinsi i pugni, affidandomi ancora una volta alla mia forza di volontà. La sfoggio del suo disprezzo, unito alla frustrazione per i danni che aveva causato, mi portò ad un soffio dal colpirlo. Lo avrei annientato per fargli sparire il ghigno soddisfatto ma una voce, quella della ragione, mi redarguì e mi fermò in tempo. Forse era lui stesso che tentava di provocarmi, per scatenare la mia furia omicida. La persona che conosceva lui si sarebbe già lasciata manipolare, ma non io, che ero stato temprato da una forgia ben più potente, nel mio passato. Eppure, non riuscii a controllarmi del tutto. Nel mio tono si distingueva nettamente l'ira che si era scatenata.
    "Sei pazzo! Accecato dalla tua follia! Quegli elementi erano gli unici ad aver superato dei test selettivi e complessi, ed ora dovremo ricominciare quasi da capo, ricreare i laboratori, trovare nuove cavie, addestrare nuovi scienziati! Pero non hai che scalfito la nostra potenza, e i risultati del tuo dannarti non saranno mai niente di più!" Ero incredulo per le conclusioni a cui ero giunto, e non nascosi, a quel punto, tutto il mio disprezzo. "E tutto questo... solo per vendicarti di me, perché ho ucciso quella... sgualdrina che non era minimamente degna della nostra considerazione..."
    Avevo colpito nella parte più suscettibile di Liam, lo sapevo perché lo conoscevo. La sua espressione si trasformò all'istante, diventando una maschera di rabbia repressa a fatica. "Sono felice di vederti finalmente alterato. Significa che al di là di ciò che dici, sono andato ben oltre una leggera tacca nella vostra presunta onnipotenza. Sarà molto difficile trovare altri innocenti utili a replicare i risultati ottenuti. I tuoi tirapiedi dovranno ricominciare daccapo sì e sarò lieto di continuare a mettervi il bastone tra le ruote... proprio perché voglio vederti in ginocchio. Lei era la sola cosa che mi rimaneva dopo aver perso... te... la mia famiglia... e tu me l'hai portata via. Non te lo perdonerò mai!"
    Rimasi immobile a studiarlo. Rinchiusi in un angolo lontano la mia rabbia. Lo avrei perso se avessi seguito il fuoco delle mie emozioni. Freddamente ragionai su quale era la cosa più importante per me, in quel momento.
    "Quello che è successo in passato..." Stranamente, quasi incespicai sull'ultima parola, quasi mi rifiutassi di riconoscere ciò che implicava. "...non ci riguarda più. Siamo fratelli, e nessuno doveva mettersi in mezzo. Ma sono disposto a dimenticare. L'ho già fatto. Devi tornare con me, e stare al mio fianco..." Avevo deciso di scoprire le carte. Non era una richiesta, solo una constatazione. Liam era mio fratello, ne avevo sofferto troppo l'assenza e tutto questo dolore doveva finire.
    "Ho trascorso decine di anni nell'ombra, nella solitudine e nel dolore di una perdita troppo grande, in un giorno solo hai distrutto tutto ciò che avevo... e tu... adesso... mi dici che 'non ci riguarda più'? Che TU sei disposto a dimenticare? E se IO non ne avessi alcuna intenzione?"
    Inclinai la testa, scrutandolo dal basso in alto. La sua rabbia stava crescendo, ma ammansirlo con bugie o scuse non era una soluzione opportuna. Non le meritava. Si meritava la verità, piuttosto.
    "E' stata una tua scelta quella di nasconderti e di farmi credere che fossi morto. E' stata una tua scelta rinnegare la tua natura, il grande vantaggio che avevi ricevuto per diritto di nascita. E' stata una tua scelta di tradirmi, e di pensare che avevi diritto a qualcosa che era mio. Io ho solo reagito di conseguenza. Ma questo ti dico: non voglio che il passato si metta tra noi, ora. Verrai con me e prenderai il posto che ti spetta, che io esigo per te!"
    Mi avvicinai ancora a lui e lo vidi accasciarsi al suolo. Negli occhi, lo stesso dolore e la medesima rabbia che c'era quando gli avevo detto addio, nella cella del carcere nazista, poco prima dell'esecuzione. Potevano passare anni, decenni, potevo distruggere e mutare universi, ma quelle immagini non mi avrebbero abbandonato mai. Avevo fatto altri passi avanti e, mi resi conto con stupore, la mia intenzione era quella di aiutarlo a rialzarsi, di soccorrerlo e dargli l'aiuto che non avevo potuto fornirgli in quell'ultimo, tremendo incontro, ma lui si tirò su di scatto, incurvando il corpo per mettersi sulla difensiva. Il suo odio, così esplicitamente esibito, non mi toccava. Ero certo che, quando avessi avuto modo di spiegargli, lui avrebbe cambiato le sue idee, i suoi sentimenti.
    "Non posso... non posso accettare di essere un mostro. Non posso diventare come te... Non voglio stare al tuo fianco. Sei tutto ciò che non voglio essere”
    Sorrisi con indulgenza, ammorbidendo allo stesso modo il mio tono. Non riusciva a vedere con chiarezza, a ragionare con lucidità, era solo questo il problema.
    "Hai sempre pensato di essere un'idealista, Liam, ma non lo sei. Sei pragmatico, risoluto, spietato come me. O meglio, IO sono come te. Tu eri il mio mentore... E' per questo che non voglio rinunciare nuovamente al nostro rapporto!"
    Liam scosse la testa in maniera frenetica. Era disorientato. Cosa lo stava confondendo così tanto? Non era un semplice rifiuto delle mie argomentazioni, era una lotta che avveniva anche in altri luoghi, in campi di battaglia che non mi riguardavano. Stava combattendo contro se stesso. E contro la sua natura, era chiaro. I geni gli si stavano rivoltando contro, e il suo tentativo testardo di tenerli a bada lo avrebbe condotto infine alla follia. Ma io potevo curarlo, con un solo tocco. Ero uno dei Devianti più potenti, sarebbe bastato la mia intenzione di risvegliarlo, toccandolo, per risolvere i suoi problemi.
    "Sei solo un folle che ha rinnegato tutto ciò in cui credeva, ti sei macchiato del sangue dei tuoi stessi fratelli di credo... solo per il potere, per averne di più, per servire quell'essere che mira solo a condizionarci tutti... Davvero vorresti al tuo fianco un fratello che ti odia così tanto?"
    "Combatti contro qualcosa che ti appartiene. Ti racconti solo delle bugie a cui ti aggrappi per non ammettere la verità. Al mio fianco, non saresti controllato da niente e nessuno. Potresti essere come desideri, fare ciò che vuoi. Noi non siamo sottoposti alle regole, se non quelle che stabiliamo noi. Da chi fuggi?" Allungai la mano, deciso a mettere in atto il risveglio. "Come puoi credere che le barriere che erigi rimarranno in piedi, quando solo un mio tocco ti aprirebbe finalmente gli occhi?"
     
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    “Come puoi credere che le barriere che erigi rimarranno in piedi, quando solo un mio tocco ti aprirebbe finalmente gli occhi?”
    Mi sentii morire, soffocare, bruciare. Il mostro dentro di me ruggii talmente forte da farmi credere che stesse per spezzare le mie costole, il mio torace, il mio cuore. Un urlo disperato uscii dalle mie labbra, che subito dopo serrai in una morsa feroce, con i denti e la mascella. L’angoscia mi prese, si diffuse e mi fece tremare violentemente, le mie cellule riconoscevano quelle che stavano di fronte a me… ma la mia mente no. Feci un passo indietro, convulso, poi un altro, malfermo, e crollai. Mi trascinai via, indietro, più lontano che potevo, pregando dentro di me che non si avvicinasse oltre, che avesse pietà di me. Il mio corpo lo bramava, come l’assetato brama una goccia di pioggia, ma la mia mente lo rifuggiva, come se fosse il veleno più terribile esistente al mondo.
    Avevo finalmente la possibilità di scappare, di trovare la mia droga, di rimettere in riga il mostro… ma tutto questo no, non lo avevo previsto!
    “Non osare toccarmi con quelle mani sudice... Non osare!” ringhiai allora, con il poco fiato che riuscii a stanare da dentro il mio petto. Lo volevo lontano da me, era il mio incubo peggiore e tale sarebbe rimasto, per sempre. Doveva saperlo anche lui. “Troverò il modo di estirpare da me questo male, riuscirò a distruggere tutto il tuo mondo come tu hai fatto col mio. Adesso... adesso, ti credi intoccabile, ma anche tu hai i tuoi punti deboli, io li scoverò tutti e li userò per farti rimpiangere il giorno in cui mi hai distrutto... Ti conviene uccidermi qui e ora, se non vuoi che tutto questo accada, perché non smetterò mai di provarci...” Era la mia minaccia, certo, forse non era efficace come l’avevo sempre immaginata. Chiunque ci avesse visti dall’esterno avrebbe fatto i conti con una scena pietosa: il grande Oliver Winkler che sovrastava un prigioniero in condizioni spaventose. Eppure, mi permettevo di minacciarlo, ero pronto a morire pur di non averlo così vicino. La sua risposta, però, riesce a immobilizzarmi ancor di più…
    “Apri gli occhi!” mi urlò di rimando. “Vuoi essere uno stupido? Vuoi deludermi ancora? E per cosa? Per lasciare intatta l'idea di essere nel giusto, di aver subito solo del male da chi ti era accanto?” Lo vidi avvicinarsi ancora e una pressione alle tempie mi fece venire il voltastomaco. Poi si fermò, conscio che avrebbe peggiorato solo la situazione di già precaria. “Te li farò aprire io se continui così, anche a costo di farti del male! Ma non ti ucciderò, perché non è questo che voglio. Sei mio fratello, e non tollero la tua resistenza.”
    Era un fottuto megalomane, convinto che tutto il mondo dovesse essere ai suoi ordini, al suo servizio, sotto il suo controllo e questo era sempre ciò che avevo odiato di lui: la sua dannata autorità! Un boato improvviso parve preannunciare le mie feroci parole, la struttura era quasi al collasso, mentre le fiamme e il fumo si facevano sempre più insopportabili. Io, da sdraiato, le subivo meno… ma Oliver non sembrava neppure accorgersene, nonostante fosse in piedi. L’ineluttabilità di quanto stava accadendo mi travolse…
    “Sei tu che devi aprire gli occhi, Oliver Winkler. Io non sono più tuo fratello, sono un tuo nemico e dovrai considerami tale...” Tossii con violenza, premendo il pugno contro le labbra, poi mi guardai intorno, dovevo trovare una via di fuga, altrimenti tutti i miei sforzi, tutti ciò che avevo sacrificato – affetti e non solo – sarebbero andati perduti. Lui si accorse della mia occhiata non proprio furtiva, non volevo nascondere le mie intenzioni…
    “Non andartene. Non capisci ancora. Non ti voglio come nemico. Ho…” respirò in uno strano singulto, che mi costrinse a concentrarmi di nuovo sul suo volto. “... Bisogno di riprendere le cose che avevamo. Il nostro rapporto. La fiducia e gli obiettivi che ci accumunavano. Ho cercato di salvarti, ma non ci sono riuscito, non ero ancora abbastanza forte. Ma ora lo sono, e possiamo ricostruire tutto. Ora che so che sei vivo, ti troverò ovunque penserai di nasconderti!” Ero allibito, non riuscivo a credere alle sue parole, ma soprattutto non riuscivo a metabolizzare il suo tono di voce: sembrava sinceramente angosciato. Mi insospettii, era subdolo, poteva essere l’ennesima strategia per cercare di portarmi dalla sua parte… forse… Eppure, mi sentivo strano, in passato non aveva mai finto alcun tipo di sentimento. Diceva di tenere a me, ma dimostrava il suo presunto affetto solo ed esclusivamente con la sua mania di controllarmi… per proteggermi, a suo dire. Adesso, invece, sembrava diverso… non sembrava davvero l’Oliver che avevo conosciuto….
    “Cosa ti è successo in tutti questi anni? Forse... e dico forse, se mi avessi guardato con questi occhi tanto tempo fa, quando il mio cuore non era così... nero... pieno di odio... Se fossi stato allora il fratello che sembri voler essere oggi, forse... forse... avrei potuto accettare la tua mano tesa.” Ed ero spaventosamente sincero, lo avrei considerato sul serio. Mi morsi un labbro per respingere il nodo che mi attanagliava la gola, mentre percepivo il sudore rigarmi il viso e la schiena. Il calore stava diventando davvero insopportabile e anche gli scricchiolii delle pareti iniziavano a essere sempre più inquietanti. C’era poco tempo…
    “Non è troppo tardi... Lascia stare la tua guerra insensata. Vieni con me, abbraccia il tuo destino. Ti darò qualunque cosa tu voglia!”
    Chiusi gli occhi, feci in modo che la melodia della sua voce, realmente preoccupata, entrasse dentro di me. Lasciai che mi accarezzasse, che lenisse tutto il dolore patito, tutto l’odio provato. Tentai di cancellare quel dolore, quell’odio, quella rabbia. Cercai di capire cosa avrebbe potuto fare per riallacciare un rapporto ormai irrimediabilmente incrinato e mi resi conto di quanto il mio tentativo fosse una ingenua illusione. Non poteva, non avrebbe mai potuto riportare indietro il tempo.
    “Per quanto tu sia potente, non puoi rendermi la mia anima...” mormorai con voce strozzata da un’emozione che sentii bruciare, come il fuoco che permeava ormai l’intera struttura. Quelli che sembravano rombi di tuono preannunciarono l’inevitabile: il tetto e le pareti del corridoio dove ci trovavamo vennero giù, ridotti in brandelli e cenere. Forse era la degna fine che meritavamo entrambi, forse sarebbe stata la morte a unire due fratelli tanto diversi in apparenza, ma poi non così tanto nella sostanza… Questi furono i miei ultimi pensieri, prima che il buio mi rapisse, e con esso arrivò anche il silenzio, l’assenza di dolore, quella pace che bramavo da quando ero venuto al mondo. Mi ci abbandonai con tutta l’intenzione di restarci, senza sapere che il destino aveva ben altro in serbo per me…
    […]
    Mi risvegliai, a malincuore. Sì, perché con la coscienza tornò a farsi vivo il mostro, riprese a spingere, graffiare, muoversi come un ladro in cerca di una via di fuga. Sbattei le palpebre, cercando di riportare indietro anche gli ultimi ricordi… Le fiamme, il fumo, il crollo, la morte così vicina. Eppure ero vivo… mi ritrovai a fissare un cielo stellato, che riuscivo a intravedere appena tra le fronde di alberi carichi di ghiaccio. Anche il terreno sotto di me era gelido, rabbrividii per tanti motivi, ma in parte era per il sollievo, la mia pelle si era surriscaldata e per adesso quel refrigerio era una specie di manna divina. Sapevo che sarebbe durato poco, che presto sarebbe tornato il dolore, la fatica, il freddo. La mia divisa da prigioniero era distrutta, non avevo più le scarpe, non sapevo neppure come ero arrivato qui… in un posto che reputavo lontano dalla prigione visto il silenzio assoluto in cui mi trovavo, tolti i rumori della natura, che mi sembrava di aver dimenticato, ma che in questo momento rappresentavano l’armonia delle ottave. Cercai di muovermi, ma riuscii solo a mettermi su un lato e raccogliermi in posizione fetale, nel tentativo di far tacere il mostro… che per qualche istante si acquietò e provai la stessa pace di quando pensavo che sarei morto. No, non era poi così normale, ma nulla che mi riguardava lo era. Flash del crollo mi colpirono ancora, ricordi confusi, sovrapposti, sfuggenti. Un viso dalla pelle chiara, mani fredde che mi davano sollievo in mezzo all’inferno. Un mal di testa lancinante spazzò via tutto, tutto tranne la consapevolezza che anche questa volta me l’ero cavata, che la mia missione era sempre lì, dietro l’angolo, così come la certezza che non avrei permesso a una sensazione non confermata di cancellare i sacrifici fatti fino a quel momento.
    Oliver Winkler l’avrebbe pagata, in questa vita o in un’altra, avrei avuto la mia vendetta.
     
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    :Oliver:
    I rapporti che giungevano da ogni centro operativo mondiale erano posati sulla scrivania, in una posizione millimetricamente misurata. Avrei voluto strapparli e gettarli nelle fiamme dell'imponente caminetto che scaldava l'ambiente, per l'ira che mi aveva invaso ancora di più dopo averli scorsi con pratica efficienza: non erano assolutamente positivi. Li ricevevo giornalmente, e avevo l'impressione di dover far fronte alle lamentele di bambini sperduti invece che ottenere resoconti quanto più possibile oggettivi dei maggiori esperti nei loro campi di competenza. Esperti che dovevano sputare sangue ed energie su un solo, chiaro obiettivo: recuperare il terreno e il tempo perso con la distruzione della sede centrale dell'Abstergo.
    Non avevo dormito giorni interi per coordinare ogni singola attività, per verificare che tutto procedesse secondo i miei ordini, per scegliere le strutture in cui avrei nuovamente ricollocato i laboratori e gli impianti di ricerca. Quanto accaduto mi aveva insegnato che erano stati commessi numerosi errori, tra cui quello nel ritenere che le cavie avrebbero creato meno problemi se trattate con riguardo. Quelle che eravamo riusciti a catturare ora venivano tenute sotto stretto controllo, senza alcuna libertà, e i test erano cominciati immediatamente, senza dedicare tempo inutile nella selezione delle cavie. Le perdite rappresentavano quasi la totalità dei soggetti, e questo non faceva altro che aumentare la frustrazione e la rabbia con cui seguivo i tentativi. Eravamo ad un passo dal successo con due di loro, ma il rischio che il progetto venisse rivelato troppo presto al mondo, quando ancora i risultati erano incerti e i processi non sicuri e affidabili, aveva portato alla catastrofe finale.
    Le ferite che avevo riportato nel crollo dell'edificio, mentre affrontavo mio fratello, non erano ancora guarite. Nascondevo le fasciature indossando con irreprensibilità la consueta divisa nera. Potevo ricorrere alle cure dei medici e recuperare la forma fisica nel giro di poche ore, ma non volevo. Sopportavo il dolore perché costituisse un memento per la missione che più di ogni altra dovevo realizzare: ritrovare Liam. Il dolore e l'ossessione erano diventate l'unica pulsione che mi muoveva.
    Avevo allontanato da me ogni assistente e collaboratore. Desideravo solo poter ragionare, studiare, decidere in assoluta solitudine; per motivi di sicurezza e di efficacia non mi muovevo che raramente dalla mia abitazione, situata in un immenso parco appena fuori dal cuore caotico di Berlino. Mantenevo i collegamenti e predisponevo le attività tramite riunioni e incontri virtuali.
    Ma il fatto che fossi nella mia casa non voleva dire che riuscissi a vivere in maniera più tangibile gli affetti familiari. Passavo giorni interi nel mio studio, al lavoro. Nyx non varcava quasi mai la soglia di legno scuro, e per quanto mi mancasse e fossi prossimo ad una crisi di astinenza per il bisogno che avevo di lei, la evitavo, consapevole di aver fallito ai suoi occhi. Moira, invece... sentivo che era lei ad essersi allontanata, quasi avesse imboccato una strada diversa da quella che avevamo deciso per nostra figlia. Non mi rammaricavo di averle nascosto la comparsa del segno delle Guerriere, ma in qualche modo era come se lo avesse intuito. Avrei recuperato la distanza tra di noi una volta che l'emergenza fosse passata, non potevo pensare ad una soluzione migliore con le risorse che avevo a disposizione.
    Dovevo ricominciare tutto dall'inizio, senza perdere il controllo su quello che ancora era rimasto in piedi. La tensione mi toglieva l'appetito, ma non la voglia di perseverare a ogni costo.
    L'interfono sulla scrivania si accese. Erano gli uomini di guardia al cancello di entrata: si era presentato un visitatore non registrato che insisteva per incontrarmi. Jordan Mahkent.
    La sorpresa mi bloccò per un secondo, poi autorizzai il passaggio e l'accesso al mio ufficio. Quel nome era presente ripetutamente nei rapporti che ricevevo dalle aree esterne al cuore centrare dell'Impero, quello che una volta veniva chiamata Germania. Mi risultava che fosse molto attivo a sud, nell'area mediterranea. La sua attività aveva cominciato a trovarsi sotto la nostra lente ispettiva solo da qualche mese. Si segnalavano importanti operazioni finanziarie, ingenti somme raccolte da questa figura a titolo di investimenti, soldi provenienti soprattutto da specifiche famiglie influenti che occupavano i massimi ruoli amministrativi del nostro Sistema. Eppure, neanche a severe indagini erano mai risultate altro che attività economiche più che cristalline. Mahkent era sulla lista dei soggetti più sorvegliati dall'Intelligence, senza peraltro aver mai fatto nulla di sospetto. Si limitava a investire e aumentare notevolmente la ricchezza sua e di coloro che lo sovvenzionavano.
    Il bussare discreto mi distolse dalle mie riflessioni. L'uomo che entrò su mio invito aveva un'aria molto distinta, elegante, quasi snob. Il suo sguardo era acuto e calcolatore, e il sorriso di circostanza si fermò subito dove era appena comparso. Mi ero aspettato di trovarmi davanti ad un astuto uomo d'affari; in realtà nel contegno e nell'espressione del viso individuavo una freddezza crudele che comprendevo senza esitazioni. Era come guardarsi in uno specchio.
    Notai il rapido sguardo con cui esaminò la stanza – il mio studio, arredato con mobili in legno scuro e poltrone di pelle rossa, con una libreria posta al piano superiore a cui si accedeva tramite una scala.
    "Signor Mahkent... di solito non concedo udienza a chiunque si presenti, ma ho voluto fare un'eccezione in questo caso. E' qualche tempo che seguo con interesse i suoi passi..."
    Misi subito in chiaro il contesto. Non amavo i sotterfugi, e non era secondario l'aspetto strategico di tenere sulla corda i possibili avversari: che sapesse che era sorvegliato, che le sue mosse non erano segrete o nascoste.
    "Le sue parole mi onorano. Essere qui è per me già un grande traguardo, ma spero che continuerà a concedermi il suo tempo e la sua attenzione, devo parlarle di una questione piuttosto... urgente" Gli feci cenno di accomodarsi sulle poltrone vicino alla vetrata che dava sul giardino – impeccabile, come pretendevo.
    "Sono stato informato che si occupa di finanza e investimenti immobiliari. La sua fortuna è quasi comparsa all'improvviso, e queste vicende catturano immancabilmente la nostra attenzione. Ma chiunque, nell'Impero, deve essere consapevole che certe movimenti richiedono autorizzazioni. E' questo che è venuto a perorare?"
    Sorrisi lievemente senza alcuna empatia, e il mio visitatore appoggiò con cura estrema il cappotto che si era tolto appena entrato. Poi si sedette con la stessa attenzione e misura, accavallando le gambe. Il sorriso enigmatico che gli era spuntato sul volto mi diede una strana sensazione allo stomaco. Un allarme piccolo ma non ignorabile si allertò in un angolo della mia mente.
    "In realtà, sono venuto per farle una proposta. Scoprirà che sono una persona molto audace, ma non un tipo che gioca a carte coperte. Metterò tutto sul tavolo e spetterà a lei la decisione finale..." Incrociò le dita in grembo e attese la mia replica.
    Lo studiai come si studia un insetto sopra a un vetrino, senza ottenere però risultati soddisfacenti. Aveva anche assicurato di agire in maniera limpida, ma il mio istinto mi imponeva la massima cautela. “La ascolto!” Articolai categorico, alzando il mento con fare seccato.
    "Non sono qui in veste di imprenditore o filantropo, sono qui in rappresentanza di un Grande Ordine, che da secoli si è estinto su questo pianeta, ma che sono certo che lei ha già sentito nominare. Parlo dell'Ordine Templare, Mr. Winkler..." Non usò il mio titolo di Führer di proposito, e lo ricevetti come un insulto. Entrambi sapevamo che si trattava di questo. "Sono venuto per avvisarla che i Templari stanno per tornare, qui, sulla Terra e che la nostra intenzione sarà quella di gestire il potere e l'ordine... di fatto, soppiantando l'Impero Deviante”
    All'insulto si erano aggiunte le minacce. Il mio sdegno era al limite di guardia; non si trattava di semplici provocazioni o atteggiamenti irrispettosi. Mano a mano che parlava, la mia espressione si era incupita, quasi a volerlo mettere sull'avviso, ma inutilmente.
    "E lei è quindi in veste di loro rappresentante? Conosco i miei avversari, signor Mahkent, e so che i Templari erano agli ordini degli Imperatori Lunari. Ora che siete rimasti senza padrone, credete di poter attaccare noi, per motivi che mi sfuggono, se vi lascio il beneficio della ragionevolezza” Strinsi a pugno le mani, entrambe poggiate sugli ampi braccioli della poltrona, come un segnale in bella vista che stava superando un confine che non gli avrei permesso di varcare senza conseguenze. "Continui su questa strada e ben presto chiamerà la sua audacia con un altro nome!"
    Mahkent scosse piano la testa. "I Templari al servizio degli Imperatori Lunari sono sempre stati uno specchietto per le allodole. Dietro... ci sono sempre stato io, c'è sempre stato il grande progetto di riportarli allo splendore di un tempo. Abbiamo creato sezioni d'élite e basi militari in tutto il sistema. Siamo pronti a vincere ogni tipo di guerra, Mr. Winkler, ma non sono venuto qui per un casus belli. Presto darò l'ordine e per l'allora spero che avremo raggiunto un accordo, che di certo terrà conto delle sue esigenze”
    Tamburellai le dita della mano destra sulla superficie liscia. I tendini dolevano per la forza con cui le avevo strette fino a poco prima, ma quello stesso dolore mi permetteva di rimanere radicato al momento e di non cadere in reazioni avventate. Per il resto, il mio corpo, perfettamente seduto sulla poltrona, la schiena aderente allo schienale senza essere stravaccato, era immobile. "Lei non è qui per un accordo, signor Mahkent, non mi insulti. Le sue minacce non hanno presa, e mi sottovaluta, se pensa di ridurmi all'inazione con mere parole. I Devianti, io e la dea Nyx non temiamo la vostra potenza militare, per quanto pensiate di essere pericolosi" Feci una piccola pausa per riflettere e per rendere le parole successive più incisive. "Cosa vi porta a credere di poter uscire vivo da qui? E cosa succederà al vostro progetto se verrà privato della guida?"
    "Ho lasciato ordini ben precisi, la prego di non sottovalutarmi a sua volta. Se sono venuto qui, come dicevo prima, è per giocare a carte scoperte. Le dirò dunque i termini dell'accordo che potrebbe vederci se non alleati, quanto meno non nemici. Starà a lei la scelta finale. Voi ci lascerete il comando e la gestione del pianeta Terra..." Alzò la mano per fermare una mia eventuale replica, e la mia ostilità si dispiegò in tutta la sua potenza. "In cambio di un'alleanza militare. Una volta tornati su Saturno - il vostro vero pianeta di origine - sarete lì sovrani e potrete appoggiarvi alle nostre numerose basi militari sparse nelle vicinanze. Secondo, vi daremo un seggio di rappresentanza nel nuovo sistema repubblicano che a breve vedrà la sua nascita: avrete una voce potente a livelli che fino a ora non avete mai neppure immaginato. Terzo, potrete continuare ad abitare la Terra, purché riconosciate la nostra egemonia e rispettiate le nostre regole, ma fino a quando lo vorrete qui avrete luoghi di riferimento e persone di spicco nei ranghi di potere”
    Quasi risi con scherno a quella proposta insensata e umiliante. "Non si aspetterà seriamente che ceda il passo a lei, accontentandomi delle sue promesse?" Portai avanti bruscamente le spalle, per aumentare e sottolineare il tono di minaccia con cui sottintendevo cose molto peggiori. "La Terra è nostra, così come Saturno. Tra noi e gli Eterni vigeva un tacito patto di non belligeranza, e lo sa perché? Perché per quanto loro apparentemente fossero più forti e avessero eserciti, il vostro e quelli di altri pianeti, più consistenti e poderosi, noi possediamo risorse più temibili" Sorrisi in maniera sinistra, quasi ad anticipare la battaglia. "Volete davvero sfidarci? Questo pianeta non è per voi, e pregate che il mio obiettivo immediato non diventi quello di cancellare anche la traccia più insignificante di quello che vi ho permesso di creare finora!"
     
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    :Jordan:
    Essere minacciato non era affatto tra le mie preoccupazioni in generale, ma la sicurezza con cui l'aveva fatto il mio interlocutore mi indispettii. Piegai la testa di lato, percepii il mio potere pervadermi, lo faceva sempre quando cedevo alla tentazione della rabbia: arrivava e ne spegneva ogni traccia. Sapevo che i miei occhi, già di un azzurro chiaro, erano diventati ancora più trasparenti, fino a brillare come il ghiaccio esposto ai raggi solari.
    "Mr. Winkler, le sue minacce non mi toccano, per un semplicissimo motivo: il mio potere va molto oltre ciò che lei crede di sapere e conoscere. La holding di cui sono proprietario è solo una facciata, quanto c'è dietro può distruggervi in appena qualche attimo. Potrei rispedire la sua bellissima moglie nel posto da cui viene, non credo che ciò possa farle molto piacere. Potrei far crollare il suo mondo perfetto, rivelando la sua identità di Assassino, non sono convinto che i vostri sudditi sarebbero felici di sapere che un tempo voi eravate parte della fazione che adesso demonizzate. Figurarsi, se sapessero che la figlia del Führer è diventata una Guerriera… provi a immaginare che ritorsioni ne riceverebbe il vostro esecutivo. O ancora, potrei plasmare una nuova realtà in cui voi... semplicemente... non siete mai esistiti... Riesce a capire, adesso, fin dove arriva il mio potere? Io non voglio che una di queste cose accada, vi sto offrendo persino dei vantaggi quando potrei cancellarvi e nessuno lo verrebbe mai a sapere. Io mi considero molto ragionevole, al contrario di lei..." Avevo parlato tutto d'un fiato, ma con un tono di voce calmo, a dire di molti inquietante. Sapevo essere affabile ed enigmatico, ma questo era il momento per far emergere le mie intenzioni in tutto il loro vigore.
    Oliver Winkler si alzò in piedi, di scatto, e mi fissò con sguardo fremente. Non mi aspettavo reazione diversa in realtà, ma ci sapevo fare con le fiere e lui faceva parte della categoria di quelle addomesticate, per questo non mi aggredì sul momento, ma parlò con la mascella contratta.
    “Con chi credete di parlare? Osate minacciare me e la mia sposa e rimanere vivo? Vi potrei imprigionare in un ammasso di paure morbose e paralizzanti, in questo stesso istante, senza che riusciate a muovere un solo dito!” Fece una smorfia, come se il pensiero che lo aveva colpito non gli piacesse affatto. E fui certo di ciò quando udii il resto della sua arringa. “E lo farei... se non sapessi che avete già un piano pronto per questa evenienza. Non comprometterò tutto per mio piacere personale. Come vedete, Mahkent, vi state sbagliando sul mio conto.” Non potevo dirgli che avevo previsto ogni singola mossa, ogni singola reazione. Sapevo che il Führer era una persona decisa ma intelligente, altrimenti non sarebbe arrivato dov'era e non avrebbe mantenuto tutto quel potere per così tanto tempo. Rimasi in silenzio, godendo di quella pausa tesa e pensierosa che fece prima di continuare. “No, non saremo mai alleati. Non riconoscerò della fiducia in chi mi ha puntato un coltello alla gola. Però...” Vidi la sua pupilla restringersi, mentre il suo tono si faceva insinuante. “... vuole il mio appoggio, e non penso che per lei sia indifferente cosa deciderò di fare. Stringerò la mano che mi porgete, ma esigo di sapere, prima di tutto, a chi la sto stringendo. Chi siete, davvero?” L'ultima domanda fu scandita seccamente e io ebbi la certezza assoluta di avere di fronte un individuo scaltro, che sapeva portare avanti una trattativa, tenendo presente le sue esigenze. Un pizzico di strana ammirazione nacque dentro di me, molto di rado avevo avuto la possibilità di “scontrarmi" con un valido avversario. D'altro canto, la conversazione stava di certo prendendo la piega sperata.
    "Ecco che si comincia a ragionare, finalmente. Nessuno di noi vuole distruggere l'altro, perché in qualche modo potrà tornargli utile, ne conviene? Chi sono io? Un esule, sì, un esule che viene da un altro mondo ormai in via di estinzione, che ha scoperto quanto questo di mondo sia in pericolo, che vuole - con i suoi Templari - evitare che il primo sovrascriva il secondo. Adesso, lei sa come funzionano certe cose, ha già avuto modo di mettere mano in questioni che vanno al di là della normale logica. Insieme, potremmo aiutarci a vicenda, separati di sicuro sopravvivremmo, ma a chi piace davvero sopravvivere se ha la possibilità di vivere alla grande." Accavallai la gamba nel senso opposto, gettando fuori tutta l'aria che avevo inconsapevolmente trattenuto. Le mani sempre strette in grembo e lo sguardo di ghiaccio fisso su Winkler, il quale alzò un sopracciglio nell’udire la mia risposta. Avevo detto fin troppo…
    “Un altro mondo che minaccia questo? Non è possibile! Andiamo... non è un gioco da bambini manipolare queste particolari energie. Voi nascondete molto più di quello che rivelate e non fate finta di essere risentito davanti a quest'accusa…” Il sorriso enigmatico tornò sul mio volto, era chiaro che non avrei potuto rivelare le informazioni più importanti, ma il fatto che lui avesse intuito la loro esistenza mi stupì ancora una volta, piacevolmente. Lo vidi strofinarsi il mento con due dita, percorse l'ufficio con lo sguardo, fino a posarsi sulla balconata superiore dove era stata ricavata una imponente libreria. Solo dopo tornò a fissare il sottoscritto e se fossi stato qualcun altro, sarei rabbrividito. “Chiariamo i termini del patto: io non lascerò il dominio sulla Terra per un misero posto in una Repubblica che non si sa quanto vivrà, o per un aiuto bellico da parte vostra. Potrei piuttosto concedervi io alcune prerogative, in modo che possiate avere un'influenza - contenuta - su ogni pianeta del sistema..."
    Mi aspettavo una controproposta, consapevole che Winkler fosse un osso duro. Tuttavia, la mano migliore la stringevo io tra le mani, non potevo cedere.
    "Conosce i Monoliti? Vedo dalla sua espressione che sì, non sto parlando di nulla di nuovo. Sono in mio possesso. Con essi ho plasmato questo mondo a mio piacimento e continuerò a farlo fino a quando capirò che avrò creato l'habitat ideale per vivere: senza minacce esterne, né interne. Mr. Winkler, spero che capirà chi, a questo tavolo, ha il vero potere di imporre i termini per un patto. Decida lei se è più conveniente accettare la mia offerta, per vivere una vita agiata e con ancora una parte del suo potere intatto, oppure... soccombere." I miei occhi brillarono di nuovo, sentivo il familiare gelo pervadermi, questa volta preannunciava un climax di emozioni che faceva tra loro a gara per avere la meglio: la resa dei conti era arrivata.
    Oliver Winkler mi rispose con voce bassa e dura. “E così... devo accettare di non avere nessuna libertà, di prendere le sue concessioni e magari anche ringraziare...” Portò le mani dietro la schiena, un vezzo che mirava a nascondere la furia celata sotto la pelle, i muscoli, le ossa. La tratteneva a fatica, ma io non avevo alcuna intenzione di vederla esplodere, perciò giocai la mia ultima carta. Quella decisamente vincente.
    “Oppure potrebbe accettare la mia ennesima offerta, che prevede un fratello ritrovato. Mr. Liam O’Brien, come sta? So che l’ha incontrato di recente dopo molto tempo.” Con una certa soddisfazione notai, dallo sguardo del mio interlocutore, che la mia proposta aveva sortito un discreto effetto stordente. Avevo raggiunto il vero punto debole di quell'essere in apparenza invincibile. La famiglia. Non vorticava sempre attorno a essa ogni emozione, bella o brutta che fosse? Per la famiglia si distruggevano o creavano imperi, si scopriva di poter valicare confini che si credevano invalicabili, si diventava virtuosi o spregevoli pur di proteggerla. Ed eccone la vivida dimostrazione.
    Non mi rispose subito, potevo quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello ingegnoso muoversi frenetici per capire la migliore risposta da darmi. Ci muovevamo sull'orlo sottile di un abisso infinito.
    “Cosa sa di mio fratello? Ha usato i Monoliti per ottenere queste informazioni, deduco. Dove si trova ora? Non so neanche per certo se è ancora vivo..." Si sedette di nuovo, con una lentezza esasperante. Appoggiò i gomiti sui braccioli della poltrona e unì le mani davanti alla bocca. Il suo sguardo era perso, forse in ricordi lontani, di sicuro facenti parte di un'altra vita… che però gli era rimasta attaccata addosso come un maledetto sudario. Ne sapevo decisamente qualcosa e per una frazione di attimo lo compatii. Poi, tornai a concentrarmi sulla sua domanda finale. “Quale è la sua proposta, di preciso?"
    “È ancora vivo, ma l'odio che ha per lei e la sua famiglia è davvero smisurato. Potremmo semplicemente provare a rimettere le cose al loro posto. Con il tempo e i miei mezzi, potrei darle le informazioni che brama..." Mi mossi cauto, non volevo dare vane speranze, ma dovevo assolutamente affondare la lama adesso che la carne era scoperta.
    “Lei sta facendo delle promesse molto pericolose, Mahkent, perché io mi aspetterò che vengano rispettate. E se così non fosse, la verrò a cercare per distruggerla, fosse anche l'ultima cosa che farò. Questo le è chiaro?” Scossi il capo, come a considerare quelle parole superflue. “Qual è la mia parte?” mi chiese infine, di nuovo pragmatico ma con una nota di speranza mista a trepidazione nella voce di solito impassibile. Tuttavia, era bene mettere in chiaro i dettagli del prossimo futuro.
    "Io prometto solo ciò che so di poter mantenere. Col tempo, avrà modo di constatarlo direttamente. Dunque, sono molto lieto di sentire che siamo giunti a un accordo. Ricapitolando: le assicuro la sovranità su Saturno, l'appoggio militare delle basi templari, una certa influenza sulla Terra tramite i suoi gerarchi che decideranno di restare, un seggio nel Senato che presto nascerà e la possibilità di rivedere suo fratello vivo e vegeto, col quale poi deciderà lei il da farsi..."
    Limpido, conciso, senza ombre. Era così che amavo fare affari, anche se davanti avevo un soggetto del tutto fuori da ogni canone. Lo vidi assentire con un gesto secco, i suoi occhi sprigionavano lampi nervosi e cupi. Si alzò di nuovo e mi si avvicinò con una mano tesa.
    “Non c'è altro da dire. Manterrò l'accordo finché mi converrà, quindi non mi giri mai la schiena, Mahkent!”
    Mi misi in piedi a mia volta. Un momento tanto importante e parole tanto esplicite meritavano un atteggiamento di tutto rispetto. Afferrai la sua mano con decisione, ma non mancai di replicare prima di lasciare la stretta.
    “Rispetterò i termini del patto, non è mia consuetudine venir meno alla parola data. D'altro canto, la mia schiena è ben protetta, spero che non debba mai scoprire quanto a sue spese.”
    Mi ripresi la mano e afferrai il cappotto. Gli diedi qualche colpetto per scrollarlo da granelli di polvere invisibili, un modo come un altro per stemperare l’alta tensione vissuta. “Avrà mie notizie, Mr. Winkler. Auguro a lei e alla sua famiglia una splendida giornata” conclusi, infilando la giacca e uscendo dall’ufficio del Führer con l'ennesima vittoria nella tasca. Il piano procedeva senza intoppi e presto lo avrei visto realizzato davanti ai miei occhi.
     
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