Present Day #2021: Berlin

Season 6

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    Cristina
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    Mandalore

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    :Altair:
    Era un accordo comune di tutti noi Mentori, ma non solo, anche membri originali della Confraternita, che chiunque dei nuovi arrivati doveva non solo meritarsi il suo posto all'interno della stessa, ma ovviamente anche il farne parte. Molte erano le prove a cui erano sottoposti, non solo fisiche, per testare la loro lealtà, la loro voglia di conoscenza e soprattutto, dote fondamentale, la pazienza. Certo io non ne avevo mai avuta molta, ed altri membri non spiccavano per le loro capacità di mantenere la calma, ma era opinione comune che avere il sangue freddo e la forza di accettare di arrivare per gradi ad ogni promozione o inclusione senza irruenza e con fare borioso era fondamentale.
    In quello Yulia era divenuta in poco tempo una delle adepte più promettenti. Quella mattina passai proprio all'infuori del suo emporio, mentre questa era impegnata come sempre a fare lo scarico e carico merci.
    "Tra 10 minuti a Villa Auditore..." la informai passandole accanto. Non mi ero perso in convenevoli, ma le avevo rivolto un posato e sincero sorriso. Ci volle poco prima che i suoi occhi si illuminassero, sapeva che un invito del genere, detto in quel modo ufficiale e da un Mentore come me voleva solo dire una cosa: assistere ad una riunione in preparazione di una missione.
    Quindi semplicemente assentì ed il tempo di allontanarmi di pochi passi che già velocemente si diede da fare per finire lo scarico delle merci e una volta portate all'interno dell'emporio affiggere il cartello "Torno Subito" che all'interno del borgo, più che mai, tutti sapevano assai bene cosa significasse la maggior parte delle volte.
    Alla riunione, oltre me, erano presenti altri Mentori, tra cui ovviamente Federico che alla visione dell'arrivo di Yulia rimane assai sorpreso, così come fecero altri adepti. Non era raro che ai giovani Assassini fosse permesso assistere, oltre a quelli navigati e di spessore, perchè anche se poi non avrebbero partecipato alle missioni, iniziavano ad essere partecipi delle scelte prese e delle informazioni ricevute.
    Molti iniziarono a bisbigliaree prima che Federico potesse intervenire, e con lui il suo carattere impetuoso che avrebbe rischiato di rovinare la reputazione che strenuamente Yulia si stava costruendo di chi stava facendo tutto da sola senza l'aiuto di nessuno, lo feci io.
    "Sono stato io ad invitarla!" dissi con tono severo, le braccia conserte al petto ed una mano sotto il mento. Lo sguardo rivolto contro chi stava osando dare per scontato sapere esattamente cosa stesse accadendo.
    "Parlocchiate ancora una volta come bambini dell'asilo tra voi e vi faccio ricominciare tutto il percorso da capo, intensi?" ed io sapevo molto bene cosa voleva dire essere così saccenti da pagarne le conseguenze.
    Yulia mi ringraziò silenziosamente, per poi prendere posto tra le sedie che, seguendo il perimetro della stanza, erano appoggiate al muro. Le stesse erano lì proprio per ospitare chi, come lei, stava eseguendo l'affiancamento come parte del proprio addestramento.
    Io ed altri Mentori ed Assassini Anziani eravamo invece intorno ad un grande tavolo rotondo, in piedi. Lo stesso fungeva da War Board in quanto poteva proiettare tridimensionalmente informazioni, documenti, mappe e qualsiasi cosa necessaria a fronte di missioni o decisioni da prendere.
    Non tutte le riunioni erano "aperte", ma quando capitava chi poteva assistervi doveva essere invitato, così come avevo fatto io con Yulia.
    "Quali sono le informazioni?" chiesi serio, al che Federico senza perdere tempo mosse la mano dal tablet, che teneva in braccio, al tavolo e sopra di esso comparvero le informazioni che lui da un dispositivo all'altro aveva trasferito.
    “Liam O'Brien” iniziò con tono greve “Per chi ancora non lo conoscesse è nato a Heidelberg, classe 1977. Se siete preparati avrete notato dal cognome che è un'avo del fantomatico e famoso assassino omonimo...” tra le classi che venivano tenute ce ne era anche una classificata come "Storia della Confraternita" per conoscerne l'evoluzione durante la storia della stessa ed i suoi personaggi di spicco, segreta era la nostra presenza nei racconti che venivano narrati come se a compierli erano stati nostri avi. Solo giunti ad un livello abbastanza alto da Assassino ed avendo raggiunto la giusta lealtà e fiducia da parte nostra venivano messi a conoscenza del Pozzo di Lazzaro.
    “All'interno dell'Abstergo era a capo di un gruppo denominato Assassini Grigi, ma non fatevi ingannare dalla denominazione. Il nome "Assassini" è stato solo un modo, per tale soggetto, per sottomettere e plagiare alcuni detenuti che, privi di qualsiasi conoscenza reale sulla Confraternita, lo hanno seguito. Molti di voi lo hanno fatto...” il suo sguardo e quello di molti altri presenti nella stanza si posò su Yulia, che fiera tenne il capo alto osservando il volto di Liam volteggiare sopra la War Board, quasi a sfidarne lo sguardo.
    “Dopo la caduta dell'Abstergo ci siamo preoccupati di scoprire se fosse ancora vivo e pare di sì. Si aggira nei sobborghi di Berlino o meglio dire nei suoi quartieri malfamati e sembra avere una missione personale ancora oscura a tutti noi...” a quella frase notai Yulia fare un movimento impercettibile. La mano si strinse sulla stoffa dei pantaloni, mentre l'altra portava all'indietro una ciocca di capelli biondi. Distolse lo sguardo per un attimo e deglutì il vuoto.
    “Alcuni miei uomini lo stanno tenendo d'occhio da vicino ed è di ieri la notizia che è sulle tracce di Kolam Fischer, assistente di laboratorio del Dottore e in servizio all'Abstergo al Livello 2...”
    Mi permisi di interrompere Federico solo per mettere in chiaro il motivo di quella riunione e come la questione O'Brien ci riguardasse da vicino.
    "Fischer lo stiamo seguendo dalla caduta dell'Abstergo perchè notizie d'intelligence ci confermano che non tutti i nostri confratelli sono riusciti a scappare e molti sono stati ripresi durante la fuga. I Devianti sembrerebbe che stiano continuando le loro sperimentazioni di cui, sapete molto bene, sono stato vittima. E' nostro compito che nessun nostro confratello venga usato in quel modo, ma ancor più che le sue abilità vengano sfruttate facendole divenire armi al servizio dei Devianti..."
    Yulia alzò la mano. Tutti la guardavano come se avesse osato rompere un rito sacro, ma io invece le sorrisi. Mi piaceva la sua intraprendenza. E così con le mani dietro la schiena le feci cenno con il capo di parlare.
    “Se Fischer fa parte del Progetto Omega, che è stato ripreso, catturarlo vorrebbe dire sapere dove sono tenuti i nostri confratelli e liberarli, dunque presumo che ciò che vi preoccupa sia che anche O'Brien lo stia seguendo e...”
    "Prego Orelov, prosegui ed argomenta..." la incitai. Tutti la guardavano increduli.
    “E' risaputo che non faccia prigionieri, lo conosco abbastanza bene per dire che pur non sapendo il suo scopo qualsiasi cosa stia perseguendo è una questione personale!”
    Assentì colpito e poi mi rivolsi a tutti gli altri.
    "Esattamente. Il Mentore Auditore ha degli uomini a Berlino sia per trovare Fischer che per controllare O'Brien, ora le due cose si sono incrociate e noi abbiamo meno tempo di quello che credevamo..."
    “Se O'Brien lo troverà prima di noi è molto probabile che lo uccida, mentre noi lo necessitiamo vivo!"
    Sintetizzò Federico agli adepti, prima che noi Mentori ed Assassini Anziani tornammo a discutere tra noi.
    “Vuoi che raggiunga i miei ragazzi e ce ne occupiamo?"
    "Preferisco che tu rimanga qui, partirò io e con me verranno..." guardai gli altri intorno al tavolo.
    "Frye, entrambi. Ed Edward. Preparatevi si parte per Berlino!"


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 2/5/2021, 11:47
     
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    Annarita
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    :Jacob:
    Eravamo di nuovo in azione. Attendevo questo momento da così tanto tempo che adesso che era giunto, ero indeciso se buttarmici a capofitto o sbronzarmi per la felicità. Lo sguardo di Altair era stato eloquente, dopo il briefing avremmo dovuto preparare l’attrezzatura e riposare – solo riposare – perché l’indomani all’alba saremmo partiti per quella che, fino a poco tempo prima, era stata la Capitale dell’Impero Deviante: Berlino. Perciò, sia io che Edward avevamo fatto i bravi, ci eravamo concessi solo una pinta di birra per festeggiare e poi ci eravamo imposti di dormire… Edward forse non lo avrà fatto come me, ma per un motivo diverso dal mio. Io ero impaziente, fremevo per poter finalmente calcare "la scena", avevo passeggiato avanti e indietro nella casetta di tutto rispetto che condividevo con Evie, avevo controllato e ricontrollato le armi fino a quando il trambusto era diventato insopportabile persino per la mia angelica sorellina. Mi ero messo giù e avevo atteso l’alba come un bimbo attende la mattina di Natale… oppure come un ubriaco attende il prossimo giro, ecco era di certo la metafora più azzeccata.
    Berlino. Eravamo in una zona piuttosto periferica della città, era grigia e buia nonostante fosse appena mezzogiorno, ma erano ancora perfettamente distinguibili tutti gli orpelli ricordanti la dittatura che aveva terrorizzato l’intero pianeta e che, anche se in scala minore, continuava a vessare i nostri fratelli, con i loro esperimenti disumani. Eravamo qui per impedirlo. Adesso che eravamo fuori dalle loro grinfie, potevamo lottare con unghie e denti per salvare i nostri confratelli e distruggere ciò che restava dei loro laboratori degli orrori. Ci trovavamo in quello che era considerato il “mercato nero dei mercati neri”, così l’aveva definito molto saggiamente Edward. Era un luogo a dir poco malfamato, che faceva concorrenza ai sobborghi di Londra dove con i miei Rooks avevamo cercato di riportare un po’ di giustizia. Ma questo era il presente ed era molto peggiore rispetto al mio passato.
    Il nostro obiettivo, Kolam Fischer – il bastardo che ancora seguiva e raccoglieva i segreti sul progetto Omega – era poco distante dal nostro gruppo, evidentemente conduceva i suoi loschi affari con maggiore libertà adesso che i Devianti avevano dovuto ritirare parte del loro esercito di pattuglia. Lo tenevamo d’occhio non troppo da vicino, ma stavamo eseguendo abilmente la nostra manovra di accerchiamento. Altaïr, Edward, Evie ed io ci eravamo sparpagliati tra la gente, protetti dal nostro fedele cappuccio, ma anche dalla volontà di ognuno di farsi gli affari propri, per ovvie ragioni. Io ed Eddy avevamo il compito di scandagliare ogni singolo volto, per capire se anche il bastardo di O’Brien fosse presente, ci aspettavamo una sua sortita questo non era in dubbio, ma come e quando erano molto fumosi al momento. Altaïr e Evie puntavano Fischer invece.
    Un’occhiata fugace di Edward mi indusse a spostare il mio sguardo su un uomo in particolare, era vestito di scuro, un ampio mantello celava parte del suo corpo, mentre il suo volto era seminascosto da un cappuccio. Inoltre, si muoveva con tattiche che conoscevamo fin troppo bene… perché erano le nostre!
    Liam O’Brien era tra noi. I suoi gesti non erano furtivi, ma per chi sapeva cosa cercare, non era difficile individuarlo: si trovava nel lato opposto della piazza grigia e triste rispetto alla nostra posizione, mentre Kolam Fischer era esattamente al centro. Evie era molto più vicina a O’Brien, mentre Altaïr al nostro obiettivo. Avvisai i miei fratelli con le auricolari.
    “Evie, O’Brien è a cento metri alla tua destra, non voltarti subito. Non ho ancora capito se lui si è accorto di noi…” Proprio in quel preciso istante, Liam alzò lo sguardo e incrociò il mio, quasi come se avessi sentito ogni mia singola parola. Subito dopo lo posò su Fischer, le sue intenzioni erano chiarissime: voleva arrivarci prima di noi. “Ci ha visti, ci ha visti, ci ha visti.” Informai tutti e Altaïr ci rispose che la nostra priorità era catturare il nostro bersaglio vivo, impedendo, di conseguenza a O’Brien di fargli del male. Bella fregatura. Ma le informazioni erano certamente più importanti di una qualche forma di vendetta personale che, speravo con tutto me stesso, sarebbe giunta presto. Avrei volentieri fatto a pezzi col mio tirapugni sia l’uno che l’altro.
    Fu allora che accadde l’imponderabile, quel dettaglio che sfugge e che subito dopo si trasforma in un ostacolo di proporzioni bibliche: Kolam Fischer si accorse della manovra a tenaglia che noi Assassini stavamo eseguendo, tanto quanto notò l’avvicinamento di Liam O’Brien. Non seppi bene definire l’espressione che gli vidi sul volto quando parve riconoscere O’Brien. Terrore non era la parola giusta, disperazione neppure. Panico, sì, ciò che avevo visto era il panico più totale che, anziché bloccarlo, lo fece agire nella maniera più sconsiderata possibile.
    Fischer gettò in aria le cianfrusaglie che aveva tra le mani, prese la pistola e iniziò a sparare in aria e tra la folla, ad altezza uomo, costringendo tutti a gettarsi al suolo. In piedi eravamo rimasti solo noi, i suoi inseguitori, perciò ci individuò tutti. Io partii senza pensarci su due volte, volevo placcare quel figlio di puttana, ma sembrava che O’Brien avesse avuto la mia stessa splendida idea.
    Tuttavia, ancora una volta, il bastardo di un Deviante ci sorprese. Prima di mettersi a correre a sua volta, applicò quelle che mi parvero delle cariche esplosive a diversi banchi di legno, su cui campeggiava ogni tipo di mercanzia: voleva far saltare in aria quel maledetto mercato!
    “Edward insegui Fischer, Jacob ed Evie mettiamo in sicurezza tutte queste persone, ora!” La voce di Altaïr arrivò forte e decisa nelle mie orecchie. Vidi scattare Eddy, come un felino pronto all’inseguimento della preda, ma Liam O’Brien non fu da meno, lui non aveva alcun interesse a salvare quella gente dal diventar cenere.
    Quando la prima carica esplose, il tempo si cristallizzò. Per un attimo infinito tutti ci trasformammo in statue di cera. Tutti tranne tre figure che, se possibile, avevano aumentato il loro moto. Poi le urla impattarono sui miei timpani, riportandomi alla realtà.
    “Becca Fischer e fai a pezzi O’Brien, Eddy, il mio furore è con te” mormorai nelle cuffie del mio compagno, escludendo tutti gli altri. Ci capivamo noi, c’erano tanti torti che andavano riparati e quella sarebbe potuta essere una ghiotta occasione per guadagnare qualche punto in tal senso.
    Non volevo solo giustizia, l’avremmo avuta prima o poi, volevo vendetta. Solo vendetta.
     
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    :Edward:
    La prima esplosione mi colse impreparato. Non avevo notato il momento esatto in cui quel gran bastardo aveva piazzato le bombe per ostacolarci. Avevo solo sentito nell'auricolare l'ordine preciso e perentorio di Altaïr: “Edward insegui Fischer, Jacob ed Evie mettiamo in sicurezza tutte queste persone, ora!”
    Il congegno saltò in aria in un'area a margine della piazza, relativamente lontana da dove mi trovavo io. Per questo non rallentai nemmeno di un briciolo la mia corsa dietro al nostro bersaglio, Fischer. Ironica e odiosa la circostanza che ci obbligava a difenderlo dalla minaccia di O'Brien invece di fargli scontare le sue azioni di qualche mese prima, al Livello 2. La sofferenza che avevamo patito era in molti di noi ancora parecchio vivida, per altri più che mai, e infatti ammiravo il nostro Mentore, che riusciva a mantenere la lucidità e l'imparzialità che richiedeva il Credo senza vacillare. Io personalmente, non ero mai stato così controllato e obiettivo; il rispetto dei nostri precetti in alcuni casi mi riusciva ancora difficile, anche se non impossibile.
    Non so come si sarebbe concluso l'inseguimento di quel maledetto. Lo avrei raggiunto prima di O'Brien? Mi sarei scontrato con lui, permettendo allo scienziato di svignarsela? Non lo seppi mai, perché una seconda esplosione, questa volta più vicina, sconvolse nuovamente la piazza. I miei compagni si stavano occupando di evacuare il maggior numero di civili innocenti, ma le vie di fuga erano poche e anguste, già bloccate da detriti, corpi, persone terrorizzate in fuga.
    Notai tutto questo in una frazione di secondo, prima di rifugiarmi, d'istinto, sotto un banco di frutta per non essere colpito da schegge impazzite e calcinacci. Il fumo per qualche secondo avvolse la zona, oscurando la vista dei miei bersagli. Imprecai impaziente e frustrato. Aguzzai la vista per individuare del movimento dove ipotizzavo potessero trovarsi sia il fuggitivo sia il mio avversario, ma non riuscivo a distinguere nulla. Poi, il mio sguardo si mise a fuoco sopra la mia testa, nella parte inferiore del banco che mi era servito da riparo. Lì, attaccato con un gancio calamitato, si trovava un nuova bomba.
    La osservai, pietrificato. Era una scatola di metallo senza giunture visibili, tutta di un pezzo. La studiai qualche secondo prima di prenderla in mano. Non ero un esperto di esplosivi, ma il mio lavoro di meccanico mi aveva portato a studiare la meccanica e la tecnologia. Avrei potuto fare qualcosa se fossi riuscito ad aprire il meccanismo, a trovare e disinnescare il detonatore in tempo.
    “Altaïr, abbiamo un terzo problema per le mani...” Il sibilo nelle orecchie causato dal boato di poco prima era fastidioso e sovrastava ogni altro suono. Non mi rendevo neanche conto di come avevo parlato, se sussurrando o urlando, ma non ci pensai al momento. Presi in mano con delicatezza la scatolina metallica, sganciandola dall'asse di legno a cui era ancorata, con ogni precauzione. L'unica cosa che notavo era una piccola spia rossa, che lampeggiava pigramente su un lato dell'ordigno.
    Attesi qualche secondo la risposta del Mentore. Mi aveva ordinato di buttarmi all'inseguimento, prima che iniziasse il finimondo che Fischer aveva causato, senza preoccuparsi degli innocenti che avrebbe potuto uccidere. Figlio di una madre indegna.
    Ero indeciso sul da farsi, situazione eccezionale per uno come me, che prima reagiva e poi pensava. Dovevo andare a cercare i miei compagni per lasciargli la patata bollente che avevo in mano e continuare l'inseguimento, sperando di riuscire a rintracciare i due, oppure occuparmi io direttamente di non fare esplodere una terza bomba?
    Fu il destino a decidere per me. La spia rossa cominciò a lampeggiare più velocemente, come se si trovasse prossima alla fine del conto alla rovescia. A quel punto, tentennare ulteriormente mi avrebbe solo assicurato di saltare in aria senza alcun dubbio.
    “Vaffanculo Fischer!” Tossii la mia benedizione a quel bastardo di un Deviante e mi mossi, uscendo fuori da sotto il bancone e dirigendomi senza esitare verso la via di fuga più vicina. Mi basai sulla mappa che avevamo memorizzato tutti quanti prima di partire per la missione. Tenevo la scatola metallica, così insignificante eppure così distruttiva, nella mano destra, facendo attenzione a proteggerla da eventuali urti. Come temevo, la folla impazzita si era ammassata nel tentativo di fuggire dall'inferno nella piazza. Mi feci avanti per qualche metro spintonando gente in preda al terrore, un occhio sempre sulla spia rossa e sulla sua velocità di lampeggiamento. Fortunatamente, quella non era ancora cambiata.
    Ero pazzo. Se fosse esplosa in quel momento, sarei stato proprio il colpevole della strage, e non potevo permetterlo. Alla ricerca di una soluzione, alzai gli occhi intorno, verso i palazzi e il varco tra questi, chiuso da una recinzione. Valutai velocemente l'altezza e gli appigli: la palizzata era molto alta e circondava un piccolo parco cittadino, con diverse uscite in zone... sgranai gli occhi e mi diressi fulmineo verso la zona verde. Scalare la recinzione con una mano sola volle dire prendere una bella rincorsa, spiccare un balzo facendo leva con i piedi nelle sbarre di ferro battuto e... prendersi un bel rischio. Tipo quello di perdere l'appiglio e farsi infilzare dalle estremità appuntite delle aste, o cadere malamente e fai scoppiare l'ordigno nell'urto.
    Mi lanciai dall'altra parte con uno slancio quasi disperato. Mi ero ricordato che il parco possedeva un laghetto nelle vicinanze dell'area giochi. Superai come un lampo le altalene e saltai una siepe bassa. A pochi passi davanti a me, notai il riflesso del sole nell'acqua. Appena in tempo. La spia aveva cominciato a lampeggiare in maniera furiosa. Non avrei fatto in tempo a raggiungere il laghetto, che ora che lo vedevo meglio era più che altro una pozzanghera gigante. Lanciai la bomba con tutta la forza che possedevo. Fece appena in tempo a sparire sotto la superficie che esplose. La sua energia distruttiva venne contenuta in maniera poco significativa dall'acqua. Fortunatamente il parco era deserto, forse chiuso ai passanti. C'ero solo io.
    L'onda d'urto mi investì con violenza. Mi sentii spingere in alto all'altezza del plesso solare e al contempo tirare indietro, come se qualcuno mi strattonasse per il cappuccio. Volai qualche metro senza riuscire a trovare un qualsiasi appiglio, poi sentii un colpo tremendo in mezzo alla schiena, e precipitai a terra rovinosamente.
    Ripresi i sensi qualche minuto dopo, riverso nell'erba, ai piedi dell'albero che aveva arrestato il mio volo. Mi rimisi in piedi a fatica, dolorante al fianco e bagnato fradicio. Il laghetto era molto meno esteso dato che l'acqua era schizzata via con l'esplosione, inondando per diversi metri tutto intorno.
    Feci ritorno alla piazza camminando e alternando la corsa quando il mio corpo me lo permetteva. Il caos che trovai era colossale: decine di corpi riversi o smembrati in mezzo alle rovine del mercato. Persone che urlavano e chiedevano aiuto, le sirene dei soccorsi che si udivano già in lontananza. Mi preoccupai prima di tutto di rintracciare i componenti della squadra, e li individuai nel lato ovest della piazza. Non stavano occupandosi dei feriti, ma erano concentrati su un piccolo pacchetto che Evie teneva in mano. Doveva essere qualcosa di molto importante, per averli distolti da tutto il resto. Soprattutto Altaïr aveva un'espressione preoccupata e questo non era mai sinonimo di buone notizie.
     
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    Roberta
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    :Evie:
    Il cuore mi batteva forte nel petto. Il sangue scorreva frenetico nelle vene e l’adrenalina era ancora in circolo. L’azione era stata intensa e densa di eventi. Avevamo evacuato quanti più civili possibile, ma intorno a noi era tutto un caos di urla, feriti e sirene che impazzavano per le strade.
    Dopo aver accompagnato una donna al punto di ritrovo che avevamo organizzato per i soccorsi, mi mossi per raggiungere il resto del mio gruppo. Edward si era allontanato per inseguire Fischer, ma non aveva ancora fatto ritorno. Sperai con tutto il cuore che riportasse quel pazzo scatenato da noi. Solo un crudele bastardo poteva piazzare delle cariche esplosive in una piazza gremita di povera gente. Una rabbia incontrollata mi avvolse, ma mi contenni mordendomi un labbro. Non era il momento per la collera. Dovevo andare da Altaïr e fare il punto della situazione. Non appena mossi una gamba, questa cedette di schianto sotto il mio peso. Un dolore acuto mi avvinghiò e strinsi i denti, appoggiandomi con un ginocchio a terra. Mi controllai e vidi una scheggia di medie dimensioni conficcata nella coscia. Presa dalla foga e dall’ansia di mettere in sicurezza le persone in difficoltà, non mi ero accorta della ferita. Una delle esplosioni a catena doveva avermi raggiunta con la sua cascata di schegge e detriti. Lo squarcio non era profondo, ma sanguinava copiosamente. Gattonai fino a raggiungere un banco che vendeva distillati, ancora intatto per miracolo, e mi ci appoggiai con la schiena, dopo aver afferrato una delle bottiglie dal liquido trasparente. Respirai a fondo e repressi una smorfia di dolore quando estrassi il pezzo di legno dalla carne. Presi il foulard di seta con le mie iniziali ricamate. Solevo portarlo sempre con me, nascosto sotto la giacca di pelle finemente lavorata, era l'unico vezzo che mi ero concessa, memore delle mie consuetudini londinesi. E in quel momento mi parve più che provvidenziale. Lo inzuppai con il liquido alcolico e pulii a fondo la ferita, era probabile che altri residui di legno fossero rimasti all’interno. Fu come se milioni di spilli arroventati infilzassero la pelle lacerata. Disinfettai come meglio potei, versando l’alcool fino all’ultima goccia. Non avevo certezze che non mi sarei beccata una brutta infezione, ma non avevo neppure tanto tempo per preoccuparmene. I miei compagni mi attendevano. Fasciai la coscia con lo stesso foulard – sapevo che si sarebbe rovinato in maniera irreparabile, ma a mali estremi – e mi apprestai a far leva sulle braccia per sollevarmi. La mano destra, però, si appoggiò su un dislivello che non era dell’asfalto. Mi resi conto che avevo premuto su uno strano pacchettino avvolto da una carta verde. Lo afferrai per osservarlo meglio e subito mi resi conto di cosa si trattava: droga.
    Con ogni probabilità, Fischer se l’era perso per strada durante la fuga. Dimenticai il dolore e mi alzai di tutta fretta. Forse, avevamo una pista.
    Trovai Altaïr e Jacob nel lato ovest della piazza. Si erano appartati rispetto al caos che ancora regnava e si guardavano intorno. Mio fratello mi scorse mentre mi avvicinavo a loro. Lo vidi tirare un sospiro di sollievo per poi lanciare un’imprecazione soffocata, non appena notò la mia ferita.
    Lo anticipai per evitare allarmismi inutili, avevamo cose più importanti a cui pensare.
    “Tranquillo, sto bene. È solo un graffio. Ho delle novità" esclamai, ormai accanto a loro.
    Altaïr si tranquillizzò di fronte alla mia rassicurazione, al contrario di Jacob che scalpitava per avere maggiori dettagli. Il Mentore gli fece segno di contenersi e mi diede la parola.
    “Evie, dicci cosa hai scoperto?”
    Misi una mano sulla spalla di Jacob per trasmettergli tutta la tranquillità di cui disponevo. Non poteva andare in escandescenze ogni volta che mi ferivo, fosse anche solo una stupidaggine.
    “Mentre mi trovavo sul lato est della piazza ad aiutare alcuni civili, ho trovato questo…” lo dissi mostrando il pacchetto dal colore verde. “Questa è la droga che producono I Devianti, e Fisher in particolare. Ho avuto modo di vedere alcune foto al quartier generale.” spiegai, ma la confusione ancora regnava sui volti dei miei compagni. Poco prima che approfondissi l’argomento, Edward ci raggiunse con il fiato corto e un bel po’ di tagli sparsi. Era conciato piuttosto male.
    “Edward, ma cosa ti è capitato? Stai bene?” chiesi allarmata dalle sue condizioni.
    “Maledetto Fischer, mi è sfuggito, e non solo… quel pazzo bastardo aveva lasciato per strada una bomba inesplosa. Ho dovuto assicurarmi che deflagrasse lontano dai civili. Io sto bene, sono solo un po’ ammaccato. Come te vedo…” rispose indicando la mia di ferita.
    “È tutto ok… Non ti dannare per Fischer, abbiamo una pista per scovarlo. Stavo dicendo agli altri che ho trovato un panetto di droga che produce.”
    “Come potrebbe aiutarci un pacchetto di merce?” chiese Jacob, finalmente entrato in ragione.
    “Vedi questo simbolo sulla carta? Quando ho studiato i documenti relativi a Fisher e al suo traffico, ho notato che sulla merce che vendono e diffondono, imprimono questi segni grafici. Facendo alcune ricerche incrociate, ho capito che ognuno di questi corrisponde al deposito dal quale proviene. Insomma, dove viene imballata e da dove parte per raggiungere i vari spacciatori della zona.”
    Altaïr mi guardava interessato e silenzioso. Sapevo che il suo cervello stava lavorando frenetico per organizzare la strategia successiva.
    “È chiaro che questa droga rappresenta una traccia. Seguendola potremo arrivare agli scagnozzi di Fischer e così scovare anche lui.”
    “Li potremmo torchiare per bene per fargli sputare dove si trova il loro capo” Jacob già pregustava il momento.
    “Frena l’entusiasmo Jake, dobbiamo avere delle informazioni utili, questa è la nostra priorità. Non voglio colpi di testa. Hai capito bene?” Altaïr era irremovibile.
    Avevamo tutto l’interesse di intervenire nella maniera più “pacifica” possibile per evitare che gli informatori venissero meno al loro compito.
    Udii Edward borbottare. Era evidente che concordava più con la linea d’azione di Jacob che del Mentore, ma non c’era nulla su cui obiettare. La missione veniva prima di qualsiasi rivalsa personale. Potevo comprendere perfettamente la frustrazione e il senso di impotenza che provavano, perché erano i miei stessi sentimenti. Era dura affrontare “con gentilezza” persone crudeli, che causavano solo dolore e distruzione non solo contro civili ignari, ma anche contro i tuoi stessi fratelli. Dovevamo rimanere lucidi e porre la causa al di sopra di tutto. Avevamo un solo modo per ritenerci soddisfatti: fare giustizia!
    “Allora muoviamoci. Abbiamo modo di capire a quale deposito appartiene questo simbolo? Magari riusciamo ad arrivare prima che gli spacciatori sul luogo vengano a sapere del pandemonio che è appena avvenuto qui.” Edward era sempre il solito pragmatico, ed ero totalmente d’accordo con lui. Agire in fretta era fondamentale.
    Il Mentore mi porse un dispositivo mobile, che usavamo per collegarci con il database presente a Montereggioni. Aveva intuito il mio pensiero e anticipato la mia richiesta.
    “Scusatemi, faccio una ricerca veloce” dissi al gruppo e mi appartai per concentrarmi meglio. Li lasciai indietro a parlottare tra loro.
    Con movimenti rapidi mi collegai con il mio account personale ed entrai nell’archivio generale. Scorsi la lista dei simboli e in pochi istanti trovai il prescelto. Memorizzai l’indirizzo a cui ci saremmo dovuti dirigere e spensi l’apparecchio.
    Raggiunsi gli altri e diedi le informazioni che avevo scovato.
    “Ottimo lavoro, Evie. Tu e Jacob seguirete la pista della droga per tentare di rintracciare Fischer. Io e Edward vedremo di seguire una via alternativa per trovare i nostri compagni.” Altaïr era stato chiaro e per una volta, mio fratello non ebbe nulla da obiettare. Avevo notato Edward scalpitare, ma non si era opposto alla decisione del Mentore.
    “Bene. Mettiamoci in marcia.”
    [...]
    Circa un’ora più tardi, ci trovavamo a poca distanza dalla nostra meta. Non era stato semplice uscire dal trambusto della piazza, che pian piano si era riempita di mezzi di soccorso ed équipe di paramedici che andavano a destra e a manca, carichi di materiali di primo soccorso e spingendo barelle. I morti e i feriti dovevano essere innumerevoli e la confusione era stata un'arma a doppio taglio per noi. Da un lato ci aveva protetti dalla curiosità della gente, ma dall’altro aveva rallentato i nostri movimenti.
    Ci nascondemmo in una via secondaria che affacciava proprio sull’entrata del magazzino che stavamo cercando. Era chiuso con un cancello metallico senza sbarre. E su una lastra di acciaio che lo costituiva, campeggiava il simbolo che segnalava quel posto come il deposito della droga in nostro posesso.
    “Dobbiamo avvicinarci con cautela. Entrare ed evitare di uccidere gli uomini di Fischer. Dobbiamo prima recuperare più informazioni possibili, ok?” dissi ad alta voce per farmi sentire da Jacob. Lui mi rispose con un grugnito di disapprovazione per le buone maniere che pretendevo da lui, ma sapevo che avrebbe seguito i piani.
    “Io faccio il giro dietro l’isolato per controllare se ci sono altre uscite sul retro. Tu vai a bussare alla porta principale. Di sicuro non considereranno una minaccia una bella donzella come te!” Jacob aveva ragione. Sarebbe toccato a me l’ingresso frontale. Poi, pensai a occultare le armi più visibili e tolsi il cappuccio. Avrei dato meno nell’occhio.
    “Per una volta mi trovi d'accordo, fratello” dissi con un sorriso. “Ma non chiamarmi più bella donzella, capito?” conclusi assestandogli una gomitata allo stomaco. Non era nulla di che, ma Jacob approfittò per mettere su uno dei suoi teatrini.
    “Mettiamoci a lavoro, brontolone! Vai in posizione” lo ammonii bonariamente.
    Jacob si allontanò mentre si massaggiare l'addome e borbottava:
    “Vado, vado... sorella crudele.”
    Poco dopo, mi trovai di fronte all'ingresso. La facciata dell'edificio era grigia, come tutto il resto in quella dannata Berlino. L’entrata di metallo era nera e si divideva in due massicce porte.
    Mi guardai intorno e poi tentai di mettere su una faccia rassicurante. Non sarebbe stato difficile. Avevo sempre ispirato fiducia a pelle e questo mi aveva aiutato tanto nelle mie missioni. Riuscivo a confondere l’avversario, fargli abbassare la guardia per poi coglierlo di sorpresa.
    Bussai e si levò un rimbombo assordante. In pochi attimi, qualcuno, al di là, mi chiese chi fossi e cosa volessi. Era dubbioso. Era evidente che non ricevessero visite di cortesia. Sorrisi mentalmente e attesi prima di dare una risposta. Dall'altro lato sarebbe aumentata la curiosità.
    “Allora, chi diavolo è” parlava tedesco e anche in maniera strascicata.
    “Mi scusi... ho trovato una cosa, qui davanti alla porta, forse è vostro” dissi candidamente nella sua lingua.
    Immaginai che la mia voce femminile lo avesse rassicurato e udii aprire il chiavistello che serrava l'entrata.
    Creò uno spiraglio e con un occhio sbirciò all'esterno.
    “Salve. Ho trovato questo qui vicino, a terra. Ho visto che sopra c’è stampato lo stesso simbolo del portone metallico. È suo?” dissi con un'espressione da finta tonta. Come se non mi fossi affatto accorta di cosa si trattasse.
    Lo spacciatore, non poteva essere altri, da sospettoso divenne ironico. Non doveva considerarmi una minaccia, non più. Eh... non sapeva quanto si stesse sbagliando.
    “Ma guarda un po’... che ci fa una bella donzella come te, in giro per le strade a raccattare oggetti smarriti?” disse sguaiato e fece per avvicinarsi e prendere il pacchetto che avevo in mano.
    “Tre mosse sbagliate, amico. Uno. Non si apre mai agli sconosciuti.” e lo spinsi con due mani sul petto per farlo rientrare. Questi barcollò all'interno. “Due. Mai farsi ingannare dalle apparenze” Entrai dopo di lui. “Tre. Non chiamarmi bella donzella. Proprio non lo sopporto!” conclusi tra i denti, mentre lo facevo voltare e lo immobilizzavo con un mio braccio intorno al collo e uno suo dietro alla schiena. Mi guardai intorno in cerca di altri spacciatori suoi complici, ma l'ampio ambiente era vuoto.
    “Ma chi cazzo sei?” parlò con voce strozzata... da me.
    “Troppo tardi. Avresti dovuto chiedere prima. Non conosci le buone maniere, mi sa!” Lo colpii leggermente dietro le ginocchia e si accasciò al suolo. Dove doveva rimanere. Avevo ancora il pacchetto nella mano che poco prima gli aveva serrato la gola.
    In pochi secondi vidi sopraggiungere Jacob proprio di fronte a me. Doveva essere entrato da una delle finestre alte e strette.
    “Ti sei goduto la scena, invece di venire a dare una mano?” chiesi piccata. Era tronfio e soddisfatto.
    “Vedo che te la sei cavata egregiamente...” mi rimbeccò battendo simbolicamente le mani.
    Lo guardai esasperata. Era sempre il solito. Poi, continuò: “Ho fatto un giro. Pare non ci sia nessuno dei suoi compari spacciatori. Sara rimasto solo lui alla base.”
    Mi suonò molto strano che avessero lasciato un unico uomo a guardia di un deposito di merce. Era da scellerati e da incompetenti. Non ero affatto tranquilla.
    “C’è qualcosa che non mi quadra” dissi dubbiosa. “Muoviamoci con questo tipo e poi ce ne andiamo, e di corsa...” Non mi piaceva sentire quella scia di nervosismo che mi serpeggiava sotto pelle. Dovevamo fare in fretta.
    “Ma certo. Questa feccia non merita il nostro prezioso tempo. Posso avere l'onore di perquisirlo, mentre tu fai le domande?” Annuii e lasciai l’uomo alle sue “cure". Sapevo quanto odiava gli interrogatori, lui preferiva menar le mani. Motivo in più per chiudere subito quella storia. Più tempo restavamo e più si accresceva il rischio di imbatterci nel resto della banda.
    Lo spacciatore non aveva ancora spiccicato parola dall’arrivo di Jacob. Pareva allucinato, o forse era solo strafatto. Non potevo saperlo con certezza. Sperai solo che fosse abbastanza lucido da darmi le informazioni di cui avevo bisogno.
    “È inutile perdersi in chiacchiere. Mi devi dire una sola cosa... dove si trova in tuo capo? Oppure, in alternativa come lo contatti di solito? Abbiamo urgente bisogno di ‘parlare’ con lui” chiesi con gentilezza, sebbene il nervosismo che provavo si stava trasformando in vera tensione. E non mi sbagliavo.
    Ero a una certa distanza dall'uomo e da mio fratello, che stava testando le sue tasche, tenendolo in ginocchio. Con un movimento repentino, questi si lasciò cadere al suolo, si contorse per raggiungere lo stivale destro, afferrò un coltello a serramanico e tentò di affondarlo nell’addome di Jacob. Mi sembrava di star osservando la scena al rallentatore. Non feci in tempo a urlare, Jacob non si era fatto prendere alla sprovvista dalla rapidità improvvisa dell'avversario e lo scartò su un lato. Gli spezzò il braccio e lo disarmò. Lo spacciatore gridò di puro dolore, ma come se fosse preda di qualche sostanza eccitante, non demorse e afferrò l'arma con l'arto ancora sano.
    Senza accorgermene, mi ero avvicinata alla colluttazione per dare man forte e l'uomo, questa volta puntò me dritto al viso.
    Jacob agì con una forza ferina che non dava scampo. Artigliò lo spacciatore dal collo e mentre sferrava fendenti in aria, a vuoto, gli spezzò l'osso del collo. Il “crack” delle vertebre cervicali che cedevano, erano un chiaro segnale dell'inevitabile.
    Fissai Jacob con orrore. Il mio timore più grande, come quello di Altaïr, si era materializzato davanti ai miei occhi. Mio fratello aveva appena fatto fuori il nostro informatore.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2021, 18:48
     
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    Il mio applauso cadenzato ma roboante ruppe il silenzio di morte che era calato nella stanza.
    Obiettivo raggiunto. I due Assassini, che avevo riconosciuto subito come i fratelli Frye, sussultarono all’improvviso rumore. Si voltarono verso la fonte, subito in posizione di difesa, ma prontissimi all’attacco.
    Io, dal mio canto, avrei solo voluto disintegrarli. Avevano appena ucciso il mio unico collegamento con la partita di droga di nuovissima generazione da poco arrivata in città. Andava così di moda negli ultimi tempi che, appena uscito dall’Abstergo, ne avevo subito sentito parlare: sui Devianti (e molto probabilmente anche sugli Eterni) aveva la capacità di inibire il gene mutato e, di conseguenza, dava loro gli effetti allucinogeni di una droga leggera. Ovviamente, non la cercavo per pura evasione, non avevo bisogno che la mia mente si ottenebrasse: il mio cammino doveva essere chiaro e ben visibile di fronte a me. La balzana idea che mi era venuta in testa, invece, era molto più ambiziosa. Visto che non ero un Deviante completo, il mio gene era latente e io lottavo strenuamente affinché restasse tale, e se questa droga dal nome sognante non fosse riuscita a realizzare il mio di sogno? Inibire del tutto il mio gene non ancora mutato. Dovevo saperne di più, dovevo mettere le mani sulla qualità migliore, dovevo seguire il percorso che mi avrebbe permesso di non soffrire più gli spasmi e il terrore di una trasformazione sempre imminente. Per questo motivo ero arrivato qui, seguendo una strada diversa dagli Assassini, ma la meta era stata la medesima… ora però… ora avrei dovuto ricominciare tutto daccapo!
    “Vedo che non siete in grado neppure di tenere in vita un povero diavolo per un semplice interrogatorio… I miei complimenti!” li schernii con voce glaciale, un sorriso sardonico sul volto e un ringhio basso nel petto. Avrei voluto farli fuori seduta stante, ma non sarebbe stato saggio attirarmi ulteriormente le loro antipatie… nell’Abstergo non avevo fatto molto per farmi apprezzare, diciamo pure così. Fissai la donna, Evie, e diversi ricordi mi raggiunsero. Piegai la testa su un lato, intrecciando le braccia al petto. “Signorina Frye, tuo fratello non riesce proprio a contenersi, ha appena fatto fuori uno degli uomini che avrebbe potuto darmi informazioni utili sulla partita di questa nuova droga che da poco tempo circola in città. Come pensi di rimediare? Non sei abituata a coprire tutti i suoi casini?” Volevo provocarla, sapevo come Jacob Frye avrebbe reagito, ma i meccanismi della sorella erano stranamente imprevedibili per me. Durante la missione che le avevo assegnato nella prigione, aveva addirittura rischiato la vita pur di non uccidere un bastardo deviante che – a sua detta – era innocente. Eppure, quello non avrebbe esitato a farla fuori seduta stante, altro che pietà!
    “Cosa diavolo ci fai qui, figlio di p…?” Jacob aveva già fatto uno scatto per venirmi addosso, ma Evie lo aveva bloccato con una mano sul petto, senza distogliere il suo sguardo dai miei occhi che, a loro volta, erano rimasti fissi nei suoi.
    “Vuoi uccidere anche me? Naaah, io credo che tua sorella sia molto più interessata ad ascoltarmi, chissà forse potrei avere notizie interessanti da condividere…” li sfidai ancora.
    “Certo, e magari in cambio chiederai un qualche altro omicidio?” Evie aveva parlato con voce bassa, era molto brava a nascondere il tumulto che la agitava, neanche lei aveva apprezzato le mie gesta durante la prigionia. Prevedibile, eppure…
    “Tuo fratello ha dimostrato di non avere problemi a procedere, o sbaglio?” Affondai nuovamente. Non mi ero mosso di un millimetro, anche lei era immobile, con una mano aperta sempre posata sul torace di Jacob che, al nostro contrario, pareva scalpitare come un cane rabbioso tenuto a catena.
    “Finiamola con questa commedia, O’Brien. Sei ancora qui, perciò se non hai intenzione di attaccarci, dicci cos’hai da mettere sul tavolo…” Strinsi le palpebre per osservarla meglio. Avrebbero potuto attaccarmi loro, oppure semplicemente andarsene, ma non pareva aver preso in considerazione tali possibilità. Interessante.
    “Bene, abbiamo un tavolo aperto…” Dei rumori improvvisi interruppero la nostra amabile conversazione e il fastidio tornò a fomentare il mio precario autocontrollo. Ogni minuto per me era tornato a essere prezioso. Senza l’aiuto di Yulia, procurare la sostanza che teneva a bada il mio gene deviante era diventato troppo complicato. I suoi contatti del mercato nero le erano fedeli e non ci avrebbero messo molto a riferirgli dei nostri incontri, avevo rischiato solo appena uscito dall’Abstergo per recuperare un paio di dosi. E ancora una volta, per me, si trattava di una dannata lotta contro il tempo, non potevo lasciare tracce alle mie spalle, ma non potevo neppure permettere al mostro di averla vinta.
    Voltai il capo di scatto verso la fonte del tramestio, convinto che lì il pericolo fosse maggiore rispetto a quello rappresentato al momento dagli Assassini. Proveniva dai piani superiori del piccolo edificio: con ogni probabilità, i compari del morto avevano avuto sentore che qualcosa non stava andando per il verso giusto e avevano utilizzato le scale antincendio per prenderci alla sprovvista. A persone normali, i loro passi sarebbero risultati felpati, ma per i nostri sensi era come udire un terremoto in lontananza. Sbuffai contrariato.
    “Gli altri spacciatori stanno arrivando. Uscire dalla porta è fuori discussione, avranno lasciato qualcuno a sorvegliarla, idem per le finestre…” iniziai a riflettere ad alta voce, non perché ci considerassi una squadra, ma col solo scopo di fargli presente ciò che avevo in mente. Ero certo che Evie non si sarebbe lasciata scappare l’occasione di carpire qualche informazione in più sulla droga o addirittura sui miei piani.
    “Allora dovremo affrontarli, che disdetta!” La voce ironica di Jacob Frye arrivò forte e chiara, tanto quanto il rumore di nocche scrocchiate per l’occasione, subito prima di infilare un tirapugni d’acciaio.
    “Jake, non sappiamo quanti sono, perciò vedi di non farti prendere la mano e, soprattutto, non toccare O’Brien, sa molte cose più di noi… Ah e cerca di lasciare almeno uno di quegli spacciatori in vita questa volta!” Evie aveva bisbigliato queste raccomandazioni al fratello, ma non avevo fatto fatica ad ascoltarle. Forse, cominciavo a comprenderla…
    “E sentiamo, dovrei anche stendere un tappeto rosso a quella feccia? E magari lavare i piedi a quel bastardo?!” Jacob mi fissava con risentimento, il suo riferimento era molto chiaro, ma io non intervenni, confidavo nella “ragionevole” sorella. Un mezzo sorriso colorò la mia bocca, alcune idee stavano iniziando ad affollarsi, ma le misi a tacere… almeno per il momento.
    L’irruzione dei compari dello spacciatore, che giaceva riverso sul pavimento sudicio, aprì le danze, dando il via a una lotta senza esclusioni di colpi. I tizi erano tanti, tutti armati di coltelli, mazze e catene, in pieno stile criminalità organizzata. Nessuna arma da fuoco per fortuna, un pensiero in meno. Uno di loro, alto e magro, mi venne in contro e lo afferrai per la gola alzandolo di qualche centimetro da terra. Il terrore nei suoi occhi mi confermò che non era un Deviante, era un debole essere umano. Lo scaraventai contro la parete, lo guardai ruzzolare e rimanere fermo lì. “Bravo bambino, stai giù e forse resterai vivo.” Non avevo nessuna intenzione di uccidere umani, se non fosse stato strettamente necessario, ovvio. Gettai l’occhio sui fratelli Frye, combattevano in sincronia, anche se il loro stile era esattamente l’opposto: ferino e distruttivo lui, elegante e letale lei.
    Ingaggiai battaglia con altri due, i loro colpi erano terribilmente lenti, avevo la sensazione di guardare una scena al rallentatore. Li stordii con pugni alle tempie e al plesso solare. Anche loro erano esseri umani. Semplici soldati, dai quali dubitavo che sarei riuscito a ricavare informazioni utili. Dovevo individuare il capo banda, doveva essere un deviante. Presi sott’occhio un tipo con la bandana, alto e largo come un armadio, con diversi tatuaggi sparsi tra il volto e il collo. Dalle dinamiche che avevo potuto studiare, parevano tutti fare riferimento a lui, con occhi e parole. Mi avvicinai a Evie, atterrando un uomo che aveva tentato di colpirla alle spalle. Lei si era già voltata per difendersi, ma incontrò solo… me. La sua lama celata era a pochi centimetri dalla mia gola. La fissai impassibile, non volevo sfidarla a compiere un gesto che forse avrebbe vendicato tutti i soprusi che avevo perpetrato sui suoi fratelli. Riconobbi nel suo sguardo la tentazione, ma avevo la certezza che non vi avrebbe dato seguito. Feci un passo verso di lei e fummo davvero vicini, il filo della lama sfiorava la mia pelle.
    “Il tizio con i tatuaggi è il capo, cerchiamo di tenerlo in vita, ok?” mi resi conto di aver sussurrato, ma lei annuì frenetica, tirando via la sua arma e voltandosi per avvisare il fratello. Fermai uno spacciatore che mi aveva caricato con un manganello, gli ripiegai il braccio su stesso e lo costrinsi a inginocchiarsi. Era a dir poco insulso.
    “Jake!!!” La voce di Evie attirò la mia attenzione, era allarmata, quasi angosciata. Mi voltai a cercare con lo sguardo suo fratello, ma non lo vidi da nessuna parte. Molti dei criminali erano fuggiti, la porta e le finestre prima sprangate, adesso erano spalancate. Pochissimi stavano tentando un rilancio nell’assalirci, ma con pochissima convinzione, la nostra superiorità era implacabile. Osservai la donna aumentare l’intensità dei suoi attacchi, come se attraverso quelli potesse sfogare la paura di scorgere da un momento all’altro il corpo riverso di Jacob. Ma lui non c’era, non era più nella stanza e dubitavo che se ne fosse andato di sua spontanea volontà. In un lampo, fui di nuovo accanto a lei. La presi per un braccio e parai un fendente che diede d’istinto, senza allentare la stretta. Doveva tornare in sé.
    “Non è qui. L’avranno rapito. Adesso mettiamo ko i superstiti e cerchiamo di prendere il capo della banda, solo lui può darci ciò che entrambi vogliamo, d’accordo?!”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 10/5/2021, 10:53
     
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    :Evie:
    Non credevo ai miei occhi, eppure Liam O'Brien era spuntato dal nulla con il suo volto da angelo e il suo cuore di diavolo. Come osava schernirci? Recriminare? Offendere? Comprendevo perfettamente la furia di Jacob poiché era la medesima che albergava nel mio petto, ma non potevamo permetterci altri passi falsi. Avevamo bisogno di informazioni su Fischer, assolutamente. E pareva che il “demone” dell'Abstergo avesse la stessa esigenza. Chissà che non sapesse qualcosa di vitale che ci potesse essere utile. Era l'unico motivo per il quale avevo soprassieduto alle sue battute decisorie e avevo bloccato sul nascere l’attacco meditato da Jacob.
    Adesso mi trovavo lì a distanza ravvicinata da un nemico giurato, la mia lama celata sfiorava la sua gola e il mio cuore batteva all’impazzata. Mi ero fermata appena in tempo, credendo di star attaccando uno degli spacciatori, ma avrei potuto spingere di pochi millimetri, affondare l’arma per poter finalmente fare giustizia, per reclamare una vendetta in onore di tutti i miei fratelli che avevano sofferto a causa sua. Nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Era gelido come il ghiaccio del suo sguardo e calcolatore. Amava manipolare gli altri a suo piacimento. Tutti ci avrebbero ricavato, se mi fossi sbarazzata di lui... Eppure...
    La calma placida di un lago animava il suo viso. Nessuna preoccupazione, era certo che non avrei colpito, che non avrei posto fine alla sua vita.
    Sarebbe stato così semplice, sarebbe bastato un nulla...
    Respiravo con affanno sia per la lotta, sia per la collera che creava l’indecisione. Non avrei mai voluto perdere quel duello di intenti, ma lui... aveva ragione. Mi doleva ammetterlo, ma no, non lo avrei ucciso, non in quel momento. Era un prezioso alleato, per quanto odiassi scontrarmi con una simile realtà.
    La ragione prese il sopravvento suo dubbio e la certezza di risparmiargli la vita cancellò il mio vacillare.
    Ebbe l'ardire di fare un passo verso di me e mi sentii sopraffare. Troppo vicino e troppo importante per morire. Maledetto!
    “Il tizio con i tatuaggi è il capo, cerchiamo di tenerlo in vita, ok?”
    Le sue parole mi riportarono alla realtà, placano la tempesta che imperversava dentro di me. Mi spostai, ritirai l'arma e misi più distanza possibile tra me e lui.
    Era pericoloso, lo sentivo, traspariva da ogni espressione, da ogni sillaba pronunciata.
    Dovevo avvisare Jacob. Volevamo il capo vivo per poterlo interrogare.
    Mi voltai rapida nella direzione opposta a Liam e ispezionai il magazzino con lo sguardo.
    Uno spacciatore mi fu addosso, ma lo misi fuori combattimento senza sforzo, nonostante assomigliasse a un armadio. Tutto muscoli e niente cervello. Lo stordii con una gomitata alla nuca e passai a un altro intrepido che vece la stessa fine: gambe all'aria.
    Dove diavolo si era cacciato Jake? Lo cercavo frenetica mentre mi districavo tra i vari nemici, ma di lui, nessuna traccia, sebbene la paura folle di vederlo inerme da qualche parte in quel dannato magazzino, mi assalisse a ogni ombra che scorgevo.
    In un minuscolo attimo di stallo, stavo per scattare in avanti per raggiungere le scale sul fondo del magazzino e cercare mio fratello, ma qualcuno mi afferrò per un braccio. Mi voltai per difendermi affondando la lama celata, ma un profumo intenso prima e un solido avambraccio che parava il mio attacco dopo, mi dissero che Liam era lì accanto a me.
    Mi divincolai dalla sua presa con uno strattone. Odiavo quando mi stava troppo vicino. “Incombeva” pericolosamente, non solo con il fisico, ma soprattutto con la sua mente perversa, e non glielo avrei consentito.
    Di nuovo, aveva ragione… mi aveva messa di fronte alla realtà. Jake non era lì. Era più che probabile che lo avessero tramortito e portato via, nella baraonda della battaglia.
    Con la coda dell’occhio vidi l'uomo identificato come il capo della banda, defilarsi silenzioso vicino all'uscita e lanciarci contro gli ultimi superstiti. Aveva intenzione di svignarsela. Errore madornale. Dovevamo seguirlo. Subito. Ero certa ci avrebbe portato da mio fratello.
    Eliminammo con facilità il ridicolo manipolo di uomini ormai malconci e vidi Liam fare uno scatto in avanti per raggiungere in pochissime falcate il capo banda che aveva appena varcato il cancello per fuggire.
    Lo bloccai per un braccio.
    “Aspetta. Non lo prendiamo adesso. Seguiamolo e vediamo dove ci porta. Sono certa che si recherà in qualche altro magazzino a cercare rinforzi e protezione. Chissà che lì non potremo trovare Jacob...” poi mi interruppe.
    “E le informazioni sulla partita di droga di Fischer.”
    Anuii. Era ovvio... l'unica a voler recuperare Jake ero io, adesso era la mia priorità, ma non avrei lasciato indietro la missione. E nello stesso tempo, avrei tenuto d'occhio O’Brien.
    [...]
    Seguimmo con passo felpato il tipo losco. Io dall'alto muovendomi lesta sui tetti e sui balconi degli edifici. Liam era rimasto giù e si mimetizzava in maniera magistrale. Li seguivo entrarmi con lo sguardo attento e ogni tanto, O’Brien alzava il capo per individuarmi e sapere che ero sempre lì “sopra di loro”. Io, con un cenno della testa, gli comunicavo tacitamente di proseguire. Eravamo sincroni nel muoverci, senza il bisogno di parlare, come se andassimo in missione insieme da una vita, e questa cosa mi terrorizzava. Nulla mi legava a quel pazzo scatenato. Portava solo dolore e disperazione. Dovetti fare dei respiri profondi, godendo dell'aria fredda del crepuscolo, per non farmi sopraffare da sentimenti negativi che avrebbero offuscato la mia lucidità.
    Il cielo si era vestito di viola e finalmente giungemmo al luogo che avevo sospettato fin dall'inizio. Ormai conoscevo i vari magazzini e depositi della zona e la strada che aveva intrapreso lo spacciatore portava a un altro di questi.
    Si fermò davanti a un cancello simile a quello che avevo “attraversato” io poche ore prima e diede una sorta di parola d'ordine.
    Liam ed io ci scambiammo un’occhiata d’intesa. Il tipo non sarebbe stato il solo a varcare quella soglia.
    Con un balzo atletico toccai terra e fui al fianco di O’Brien. Ci muovemmo rapidi e silenziosi come ombre e quando lo spacciatore entrò, noi gli fummo dietro, spingendolo dentro e seguendolo con la forza.
    Liam afferrò per il collo il capo banda e con un calcio stordì l’uomo che era venuto ad aprire. Il tutto mentre io chiudevo dietro di me il portone metallico in religioso silenzio. Non avevamo intenzione di attirare altre attenzioni moleste.
    Quando mi voltai verso l'interno del locale, rimasi di sasso.
    Oltre a noi e il tipo messo ko da Liam, vi erano altre tre o quattro persone riverse al suolo. Ignoravo se fossero vive o morte. Ma era evidente che qualcuno era arrivato prima di noi.
    L'unico che avrebbe potuto darci qualche informazione in merito era privo di conoscenza grazie a Liam.
    Lo guardai seccata, mentre ancora tratteneva nella sua morsa lo spacciatore.
    “Ma cosa diavolo è successo qui?” dissi più a me stessa che agli altri.
    Lanciai uno sguardo ai corpi che giacevano a terra e nessuno di loro era Jacob. Tirai un momentaneo sospiro di sollievo.
    Allora... avevamo un compito da portare a termine: interrogare questa feccia, dopo di che avrei messo a soqquadro l'intero deposito per trovare tracce di mio fratello.
    Liam, con uno movimento rapido, spinse a terra il capo banda e lo costrinse con la guancia sul pavimento ruvido e con un ginocchio spingeva sulla sua schiena.
    Non ero solita utilizzare metodi aggressivi durante gli interrogatori, ma in quel frangente non ebbi nulla da obiettare. Oltre alla missione, Jake era nei miei pensieri.
    “Allora, è arrivato il momento di fare quattro chiacchiere. Ho bisogno di qualche informazione” disse assicurandosi di avere la sua completa attenzione.
    “Fai le tue domande, O’Brien, ma poi io farò le mie. E cerchiamo di essere rapidi!” dissi con una certa urgenza nella voce.
    Lui mi guardò fisso negli occhi per un istante che parve infinito, mentre tratteneva a terra il malcapitato, senza nessuno sforzo.
    “Ma certo, signorina Frye” e mi elargì un sorrisino che non seppi decifrare. Non sapevo se fosse complice o perverso.
    In poche e concise domande, Liam riuscì ad ottenere le notizie di cui era in cerca. Acuii l'udito. Ogni dettaglio poteva essere vitale per sapere di più sui suoi scopi e sui suoi oscuri progetti.
    Il tutto, però, mi appariva privo di senso. Non riuscivo a comprendere il perché volesse tanto quella dannata droga. Luogo, ora della consegna. Ogni dettaglio utile per recuperla.
    Avevo avuto modo di osservarlo per quel poco tempo, e a una prima occhiata, non pareva un drogato in crisi di astinenza, ma altri suoi piccoli atteggiamenti, come una crescente ansia, il suo continuo badare al tempo che trascorreva inesorabile, mi avevano spinta a credere, che quella droga non fosse una semplice occasione di business per lui, ma c'era qualcos'altro sotto. Molto di più...
    Avrei dovuto prestare parecchia attenzione e memorizzai tutte le risposte dello spacciatore.
    Ora, però, toccava a me.
    Feci cenno a Liam di allontanarsi, lui lasciò la presa sull’uomo steso a terra e aprì le braccia con espressione ironica, come per “farmi accomodare”.
    Lo sostituii nella posizione sopra lo spacciatore e mentre lui non fiatava, colto da un terrore puro, mi avvicinai al suo orecchio.
    “Dimmi un po'... cosa mi sai dire di un certo Fischer? Ho davvero bisogno di ‘parlare’ con lui” e posi l'accento sul termine “parlare” che era l'ultima cosa che avrei voluto fare con quello schifoso topo di laboratorio.
    “Non so dove sia. Non so niente...” farfugliava frenetico. Era evidente che stesse mentendo. Stavo per tornare alla carica, quando un rumore dietro a un divisorio distante da noi, nell'immenso deposito, attirò la nostra attenzione.
    Liam mi guardò divertito.
    “Tu resta con lui... tienilo d'occhio. Vado a cercare i topi che si aggirano nell'ombra” E si allontanò...
    Avrei voluto seguirlo, ma non potevo lasciare incustodito lo spacciatore.
    Feci un altro tentativo per ottenere ciò che volevo. Gli chiesi di Jacob, che fine avesse fatto, ma non ne ricavai nulla.
    Persi la pazienza e con un colpo ben studiato lo tramortii, lasciandolo al suolo. Mi ero stancata di perdere tempo prezioso dietro ai suoi farfugliamenti.
    Mi sollevai e mi incamminai per raggiungere Liam.
    Durante il percorso, costellato di corpi esanimi, uno strano scintillio attirò la mia attenzione. Mi fermai a esaminare il dettaglio insolito e il respiro mi si mozzò nel petto, quando riconobbi il tirapugni placcato in argento di Jacob. Era ricoperto di sangue e giaceva in mezzo a copiosi schizzi di liquido vermiglio. Non potevo essere certa che quello sul pavimento fosse il sangue di Jake, ma un dubbio maledetto si insinuò sotto pelle e mi fece piombare nel panico. Afferrai l'oggetto prezioso per mio fratello e corsi da Liam.
    Dovevo capire cosa diavolo fosse successo il quel posto, e ancora più importante, scoprire cosa stava combinando O’Brien dietro al divisorio in carton gesso.
    Lo raggiunsi e lo trovai piegato su un corpo. Mi sentì arrivare e si voltò verso di me. In quel momento riconobbi l'uomo: Fischer.
    Liam mi guardò e scosse il capo per farmi capire che era morto.
    Avevo appena fallito la mia missione. Era lì, di fronte a me, senza vita.
    La collera mi invase e mi spinse a gettarmi su O’Brien. Lo spinsi lontano da Fischer e dopo essermi assicurata personalmente del suo decesso, parlai a denti stretti.
    “Cosa ti è saltato in testa? Perché lo hai ucciso?” Sentivo la mascella stridere. Avrei voluto urlare.
    Liam mi guardò serafico, senza un minimo di esitazione.
    “Non l'ho fatto fuori io. L'ho trovato già morto.”
    “E pensi che io ti creda? Era la mia missione e tu l'hai appena mandata all'aria. Pensavo che avessimo una tregua io e te!” Ma cosa mi aspettavo?
    “Ti ripeto che io non ho nulla a che vedere con questa faccenda. ”
    Era impassibile. Aveva il coraggio di non provare nulla. Per un attimo pensai che potesse dire la verità, ma troppe cose non tornavano. Il corpo era ancora caldo e Liam avrebbe potuto benissimo ottenere la conferma delle informazioni che aveva ricevuto dallo spacciatore e aver deciso di mettermi il bastone tra le ruote.
    Non avevo però altri elementi per accusarlo. E avevo ben poca voglia di impelagarmi in una discussione con lui.
    Restavo della mia idea e non avrei ceduto più di un passo.
    “Bene... hai avuto quello che volevi no? Almeno tu...
    Le nostre strade si dividono qui”
    dissi fredda, mentre stringevo il tirapugni di Jacob. Lui lo riconobbe e chiese:
    “Hai trovato una traccia?” La voce ancora di ghiaccio. Ma cosa pretendeva?
    “Che te ne importa? Non eravate certo buoni amici!” sentivo il veleno scorrere dentro di me. Lo detestavo.
    “Ti aiuterò a cercarlo. Così ti dimostrerò la mia buona fede. Non sono così crudele come credi”
    Più parlava osservandomi con quello sguardo trasparente e più mi metteva i brividi. Stava giocando con me?
    “Non mi fido di te!” dissi mascherando la mia esasperazione.
    “Non devi fidarti di me. Devi solo accettare il mio aiuto!” E mi sorrise...
     
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    Annarita
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    Non riuscivo a crederci, non poteva essere vero. Avevo la sensazione di essere stato centrifugato, lo stomaco era sottosopra, la testa girava, le mani sudavano copiosamente mentre stringevo… una maledetta vanga! Stavo cercando di rimettere insieme i pezzi di quanto era successo nelle ore precedenti, ma la testa era annebbiata e quello che stava accadendo aveva dell’incredibile.
    “L’avevo intuito che eri strana, ma non credevo fino a questo punto…” sbuffai in direzione di colei che mi aveva prima salvato e poi di nuovo fatto prigioniero. Moira Winkler mi fissava con risentimento, le braccia strette strette al petto, le labbra atteggiate in una linea dura. “Avresti la buona grazia di spiegarmi perché diavolo mi stai facendo scavare questa fossa? Hai davvero intenzione di uccidermi dopo avermi salvato? Dopo avermi tirato via dalle grinfie di quei balordi?” Cercavo di provocarla, di farla parlare, ma avevo la sensazione di avere davanti una statua di cera… ma si sa, la cera è sensibile al calore e prima o poi si sarebbe sciolta.
    Mi ero risvegliato per l’ennesima volta in quel bosco, di cui non conoscevo l’ubicazione, dopo numerosi risvegli. Mi avevano narcotizzato e portato via durante la colluttazione avvenuta nel primo magazzino; avevo perso di vista Evie e quel bastardo di Liam; avevo riaperto gli occhi in un secondo deposito, più piccolo, ma decisamente più affollato. E proprio lì avevo intravisto il nostro obiettivo primario: Fischer… ma solo per pochi attimi. Avevo tentato di liberarmi, ma le fascette avevano segato i miei polsi tanto erano strette. Il dolore mi aveva tenuto lucido però… avevo contato i miei avversari, stavo escogitando un modo per farli fuori tutti quando avevano iniziato a interrogarmi. Volevano sapere a quale gruppo dissidente appartenessi, quale fosse il mio nome… e io gliel’avevo detto… solo il mio nome, ovvio. Dovevano conoscere colui che li avrebbe uccisi di lì a pochi minuti… avevo continuato a concentrarmi su quello mentre piovevano pugni e calci. Tutti i loro colpi avevano la capacità di farmi infuriare ulteriormente e l’idea di cedere si allontanava sempre di più.
    Interruppi i ricordi assieme alla mia volontà di continuare a scavare. Ero stanco, dannatamente stanco. Gettai la vanga ai miei piedi, la fossa era già un bel po’ profonda anche se assomigliava più a una trincea che non a una tomba. Poco male, le sarebbe dovuta andare bene così.
    “Adesso, vieni qui e mi spieghi cosa cazzo ti passa per la testa… poi, forse, se mi riterrò colpevole potrei ricominciare a scavare…” Ero all’opposizione, così mi sedetti, dando sollievo alla schiena e alle braccia. Le gambe tremavano leggermente per lo sforzo, o forse per la tensione accumulata, ma il mio viso era rivolto verso Moira, accompagnato da uno sguardo che non ammetteva altre soluzioni.
    “Ancora lo devo vedere questo miracolo... Jacob Frye che potrebbe ritenersi colpevole di qualcosa! Riderei se non fossi maledettamente incazzata!” Moira aveva uno sguardo di ghiaccio anche se un lieve tremore la avvolgeva per intero, percepivo un dissidio profondo che forse dipendeva dal semplice fatto che io ero un nemico… anzi, il nemico numero uno, fino a pochissimo tempo prima, di tutta la sua razza.
    “Diciamo che vedere un sorriso sulle tue labbra sarebbe il vero miracolo, ma di certo mi piaceresti ancor di più di adesso… E credo di sapere perché sei incazzata, ma non lo sei fino al punto da lasciarmi morire per mano dei tuoi amichetti… Ops, non più tanto amichetti visto come li hai strapazzati ben bene. Non sei venuta a salvarmi, kaiserina. Tu non sapevi che io ero lì…” L’avevo vista la sorpresa sul suo volto, mi aveva lasciato senza fiato. Era bella, ma non come una donna qualunque che abbaglia con la sua avvenenza; erano la sua forza e la sua caparbietà ad avermi intrappolato in un circolo vizioso, senza via di uscita.
    “Ho parecchi motivi per essere incazzata nera con te! E li conosci molto bene infatti... ma vorrei sorvolare sul perché non hai risposto ai miei messaggi cifrati in tutto questo tempo e andare al successivo problema: mi hai fatto fallire la missione! Che diavolo ci facevi in quel deposito, pesto e sanguinante? Hai mandato tutto all'aria, tutto!” La sua collera sembrava adesso sull’orlo di esplodere, i sentimenti contrastanti che provava parevano voler venir fuori assieme alle sillabe. L’unico modo per tenere tutto a freno era sbattere il piede sul terreno smosso, proprio sul bordo della fossa. Una manciata di terra raggiunse la mia spalla, ma non avevo la forza per spolverarla via. La sentivo vicina, ma allo stesso tempo, lontana anni luce…
    Era vero, nelle ultime settimane non ero riuscito a risponderle, ma non perché non volessi… Il suo codice non era più sicuro, ma non avevo trovato il modo di avvisarla. Avevo confidato che lo avrebbe capito e cambiato, ma le sue insicurezze su di noi, o meglio su di me, avevano offuscato la sua razionalità. Come darle torto? Non ero mai stato un asso nelle relazioni…
    “Non ho potuto rispondere, avrei reso nota la mia posizione. Venire direttamente a Berlino per cercarti mi sembrava piuttosto azzardato… Solo questo… Avrei dovuto immaginare che non avresti preso bene la cosa… ma una tomba?” Avevo volutamente scartato la sua domanda palese, volevo prima rispondere a quelle tra le righe, le stesse che avevano mandato in crisi un intero sistema di credenze. Sue e mie.
    “Giusto... avrei dovuto capire, immaginare che tu, Assassino e mio nemico giurato, 'non potessi' rispondere e non che ‘non volessi' farlo! Che stupida sono stata... mi sono preoccupata per nulla.” L’ironia sprizzava da tutti i pori e arrivava sottoforma di punteruoli a colpire una porzione del mio torace. Aveva ragione, ero stato superficiale, ma questo non mi sorprese. Affatto. Dopo qualche attimo, Moira mi sfidò, saltando nella buca e troneggiando su di me dalla sua posizione in piedi. La polvere aleggiava intorno a noi, ma nessuno ci fece caso. “Come posso fidarmi di te?”
    “Domanda da un milione di dollari… Io di te mi fido, a maggior ragione dopo ciò che hai fatto oggi. Ma capisco… so che non è facile il contrario. Se non fossi stata tu, avrei riso a crepapelle della tua domanda. Avrei detto: ‘non puoi fidarti di me, bambina’, a farlo non se ne ricava nulla di buono di solito. Ma si tratta di te… Come Assassino? Ti dico di farlo, la lealtà è uno dei capisaldi del nostro Credo, rispettiamo i nostri nemici se veniamo rispettati e io con te ho un debito d’onore. Come uomo…” Le avvolsi i polsi con le dita, erano sporche di sangue e terra, ma li strinsi ugualmente. “Ho paura a dirti di fidarti...”
    “Perché sei sempre così dannatamente contraddittorio? Insomma, ti chiedo delle risposte e non puoi darmele. Io ho bisogno di certezze, soprattutto in questo momento. La mia vita è un inferno e avere a che fare con te me la rende ancora più difficile. Abbiamo troppo da perdere io e te...” Nonostante le parole negative, non si era sottratta al mio tocco e allora avevo deciso di intrecciare le nostre mani. Avevo gli occhi piantati nei suoi, ma la gola era serrata. Era difficile per me esplorare questi aspetti tanto complicati, sui quali non mi ero mai soffermato in tutta la mia esistenza… D’altro canto, non volevo che lei credesse che stessi giocando, non lo stavo facendo! Era così giovane, disorientata, confusa. Avrei dovuto essere io quello responsabile… se non fossi stato Jacob Frye, il re degli irresponsabili. L’unica soluzione sensata era porre fine al suo dissidio, chiudere questo strano rapporto fatto solo di follia… eravamo nemici giurati… Sì, era ciò che avrei dovuto fare, se non fossi stato il famoso re degli irresponsabili. E a condire il tutto c’era il mio proverbiale egoismo.
    “Moira…” Il suo nome aveva un sapore dolce tra la lingua e le labbra, non lo avevo mai notato prima. “Ti ho promesso che ci avremmo provato, soprattutto a capire cosa ci lega, perché lo sai meglio di me… è tutto strano, ma soprattutto pericoloso. Beh, rinnovo la mia promessa, in realtà non l’ho mai dimenticata… solo che i passaggi in mezzo mi risultano a tratti complessi…” Cercavo di spiegarmi al meglio, anche se il risultato non mi sembrava granché e io cominciavo seriamente a innervosirmi.
    “Vuoi che sia sincera? Non mi aspetto che mi giuri amore eterno. Tutto il contrario. Io non so neppure cosa sia l'amore, non pretendo nulla. Solo capire, così come hai detto tu. Su questo ci troviamo del tutto d'accordo. Non ho idea di cosa ci sia tra me e te...”
    Era buffo vedere anche in lei la mia stessa incapacità a dare un nome a ciò che provavamo. Forse era anche questo a unirci. Poi, la vidi avvicinarsi, sfiorò con la punta del naso la mia guancia e sospirò contro il mio orecchio. “È un brivido che sale lungo la schiena e mi fa tremare, ma non è freddo, è bollente, è dolce... Pensavo si trattasse di un'attrazione fisica, ma tutti questi 'sintomi' non sarebbero dovuti passare stando lontana da te? Non si spiega, basta pensarti e questa 'malattia' torna alla carica e mi lascia senza fiato.” Percepivo il suo imbarazzo crescere per scardinare l’audacia che l’aveva portata a sussurrarmi quelle piccole – ma sconvolgenti – verità. Portai le sue braccia dietro la schiena e la spinsi a sedersi sulle mie gambe. La volevo vicina, forse anche dentro, ma Moira non era una droga… era una giovane donna, desiderarla in questo modo, o meglio, in tutti i modi possibili era giusto? Non le permisi di allontanarsi, così appoggiò il mento sulla mia spalla, il suo orecchio ora era a portata delle mie labbra… della mia voce…
    “Sai cosa dovrei dirti in questo momento? Che siamo incompatibili, che questo rapporto è malato, che dobbiamo chiuderlo prima che degeneri, prima che ci faccia ammazzare…” La percepii irrigidirsi tra le mie braccia nel tentativo di liberarsi dalla presa. Eppure, se lo avesse davvero voluto ci sarebbe riuscita, non avrei potuto nulla contro i suoi poteri. “Ma non lo farò. Manterrò la mia promessa, adesso e fino a quando brucerà in noi tutto questo…” Le baciai il lobo e la porzione di pelle delicata dietro l’orecchio, per suggellare quel giuramento. Era reciproco, me ne rendevo conto. “E adesso, vogliamo parlare di quello che è successo nel magazzino?”
     
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    Roberta
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    Le ultime frasi pronunciate da Jacob ebbero la capacità di accendere una miccia che non sapevo neppure di avere. Sembravo aver dimenticato tutta la questione del deposito, della droga, di Fischer, della mia missione, era tutto passato in secondo piano di fronte alla sua dichiarazione di intenti. Non si trattava di una dichiarazione d'amore, no e di questo lo ringraziai intimamente, non sarei stata in grado di affrontarla, ma lui voleva stare con me, voleva condividere questa strana cosa che ci legava, contro ogni logica, ogni buon senso, ogni nemico. Eh sì, non eravamo degli sprovveduti e sapevamo bene che la nostra relazione, se fosse venuta alla luce, avrebbe creato mille disastri, centinaia di terremoti e decine di uragani, tanto per dare l'idea.
    Ad occhi esterni eravamo senza ombra di dubbio due persone che mai e poi mai avrebbero dovuto avere a che fare e noi come reagivamo a tutto ciò? Infischiandocene. Non avevo voglia di pensare a una possibile reazione di mio padre o dello schieramento di Jacob. Adesso eravamo solo lui ed io e non mi sarei lasciata sfuggire l’occasione di stare al suo fianco, anche se per poco tempo, anche se di nascosto.
    “Mi dai solo un secondo? Poi parleremo del tuo deposito e di cosa diavolo ci facevi lì” dissi avanzando una richiesta apparentemente innocente. Lui mi guardò fisso negli occhi. Ero ancora seduta sulle sue gambe e mi fece un cenno del capo per accordare il tempo che gli avevo chiesto. Io non ci pensai due volte. Volevo approfittare, dovevo approfittare di ogni attimo a disposizione. Non sapevo quando sarebbe tornato. Gli cinsi il collo con le braccia e mi avvicinai al suo volto con studiata lentezza. Sfiorai con il mio naso il suo e la guancia e le labbra. Jacob era ancora rigido, forse non voleva interrompere la mia timida avanzata, forse non sapeva bene come reagire, ma non mi importava. Lui era mio, qui e ora.
    Con la lingua dischiusi le sue labbra e poi mi impadronii della sua bocca, continuando a stringerlo tra le mie braccia. Percepii come una cascata di stelle riversarsi nella mia testa, nel mio petto, nel mio basso ventre. Era tutto caldo, dolcemente accogliente e desiderai che quel momento non finisse mai. Lui mi avvolse nel suo abbraccio con delicatezza e sperai decidesse di assecondarmi. Voleva andarci piano con me, lo sentivo, non voleva spaventarmi, e sorrisi mentre lo baciavo, ma io adoravo la sua irruenza, faceva parte di lui, del suo modo di fare.
    Così, persi tutto il pudore che celavo nei miei gesti un po’ maldestri e gli parlai mormorando.
    “Non avere paura. Sono qui, non scappo.” Quella semplice frase avrebbe potuto avere mille spiegazioni, ma non ebbi la forza di andare oltre. Ero senza fiato, che pareva risucchiato dal suo essere ad ogni mio respiro. Avrei voluto dirgli mille cose, ma nulla più uscì dalle mie labbra, rapite dalle sue.
    La mia frase però, nonostante i dubbi, fu ben interpretata poiché Jake abbandonò ogni remora e mi strinse forte al suo petto con un braccio, con l'altra mano mi afferrò per la nuca per approfondire il contatto, come se fosse stato possibile andare più a fondo. Più vicini, più fusi, sempre più un’unica cosa. Mi morse un labbro che poi curò con la lingua.
    Stavo bene, mi sentivo bene e fui certa che nessuno ci avrebbe mai potuto togliere questi momenti di fuoco magico.
    Sembravamo avvolti da un vortice di incoscienza, come in un sogno, dove non sai dove finisce la realtà e inizia lo stato onirico. Era bello, dannatamente bello, ma all'improvviso, l'incanto si ruppe nel momento in cui Jacob si staccò da me con violenza. Ansimava vistosamente e mi guardava con una strana espressione sul volto. Non riuscii a decifrarla, ma le sue parole mi aiutarono.
    “Non va affatto bene, ragazzina. Ti stai avventurando su sentieri decisamente accidentati. Devi stare attenta a non perderti o potresti incontrare il lupo cattivo.” e mi sorrise, con quel suo sorriso sghembo che ni suscitava due reazioni, prenderlo a schiaffi o ricoprirlo di baci.
    “Potrei riscoprirmi un po' masochista, in fondo.” e ricambiai il suo sorriso. Voleva difendermi da se stesso, ma io non avevo bisogno di nessuna protezione, non volevo essere protetta.
    Mi sollevai dalle sue gambe e mi parve che le mie fossero di gelatina, il calore al basso ventre si era trasformato in un piacevole languore del tutto inspiegabile per me.
    Il distacco fu duro, ma mi contenni.
    “È meglio cercare di capire cosa diavolo è accaduto. Sono davvero molto curiosa, ma forse tu lo sarai anche più di me. Dimmi ciò che sai” e lo guardai incrociando le braccia al petto, conscia di dover tornare alla triste e cupa realtà.
    Jacob deglutì, passando velocemente le mani sul volto. Forse era difficile anche per lui concentrarsi dopo quello che avevamo vissuto. Dissimulò una smorfia di dolore. Le contusioni e le ferite sul viso erano ancora fresche.
    “Beh, la curiosità è reciproca... Seguivamo Fischer perché abbiamo scoperto che continua a condurre esperimenti sui miei fratelli. Ero con mia sorella, seguivamo una pista legata al traffico di una nuova droga arrivata in città... ma a un certo punto mi hanno narcotizzato e portato in quel magazzino dove mi hai trovato. Sembra che Fischer stia aiutando il Dottore così come faceva nell'Abstergo... ma credo di non starti dicendo nulla di nuovo, sbaglio?” Jake si strinse le tempie per calmare il loro forte pulsare.
    “Nulla di nuovo, a parte la tua disavventura. Conosco il ruolo di Fischer e non stava agendo secondo il protocollo della discrezione. La mia missione era metterlo a tacere e recuperare tutte le prove del suo operato, droga compresa.”
    Sembrava così naturale parlargli dei miei piani, dei miei intenti. Ero certa che non avrebbe mai usato queste informazioni contro di me. Mi aveva parlato di fiducia, di onestà, tutti tasselli fondamentali del suo Credo. Non mi avrebbe tradita. “Sono entrata dal retro senza farmi sentire e ho visto due tizi che confabulavano. Stavano progettando di usare la droga su qualcuno. Uno di questi era Fischer…”
    Jacob tentò di alzarsi, ma ci rinunciò dopo qualche tentativo andato a vuoto. Con lo scemare dell'adrenalina, anche le forze erano venute meno e percepii distintamente tutto il peso di quanto aveva vissuto cadergli sulle spalle.
    “Fischer voleva testare la droga su di me? Durante l'interrogatorio mi hanno fatto diverse domande, io gli ho detto solo il mio nome. Poi, se ne sono andati per qualche minuto, forse hanno verificato se ero tra i prigionieri dell'Abstergo. Hanno quindi capito che sono un Ibrido... ecco quali erano le intenzioni di quel bastardo.”
    Mi accostai di nuovo a lui, per sorreggerlo questa volta. Era stremato. Mi resi conto solo adesso quanto fosse provato. Mi adirai con i suoi aguzzini e ancora di più con me stessa. Accecata dalla mia folle idea di rivalsa lo avevo costretto a un ulteriore sforzo. Basta. Non dovevo divagare oltre.
    Jake mi aveva appena fornito i pezzi di eventi che mi mancavano per completare il puzzle. Io feci lo stesso, mentre lo sostenevo per un braccio, inutilmente, visto che era già seduto.
    “Ho sentito che al di là del divisorio dove mi trovavo, era in corso un pestaggio, ma non potevo immaginare che…” strinsi i denti per continuare senza farmi distrarre dai ricordi. “Dovevo prendere una decisione. Se dare inizio alla mia missione a partire da Fischer, che avevo sotto gli occhi, oppure capire cosa stava accadendo nell'altra stanza.” Feci una pausa per riprendere fiato. “Alla fine ho stordito i due che stavano preparando una fiala da iniettare e mi sono diretta verso il capannello di spacciatori. Si stavano accanendo contro qualcuno con una cascata di calci… solo dopo ho capito che si trattava di te.”
    Jacob mi fissò con un'intensità tale da fondere l'acciaio e con le braccia mi circondò per la vita, avvicinandomi a sé.
    “Non hai ucciso Fischer? Ma non sapevi che ero io il malcapitato, perché non hai continuato la tua missione? Avresti salvato chiunque si fosse trovato in quella situazione...” L'ultima frase non era affatto una domanda.
    Mi aveva sbattuto in faccia una verità alla quale non avevo pensato. Non avevo idea di cosa mi avesse spinto ad andare a controllare, ma lo avevo fatto. Cosa poteva significare? Ero confusa.
    “Non so cosa sia accaduto. Volevo solo avere tutto sotto controllo e capire se ci fossero degli ostacoli tra me e il mio obiettivo. Non ti sforzare di vedere il bene in me. Non credo riusciresti nel tuo intento” Sì, era la risposta più sensata. “Ero più che intenzionata a finire Fischer in un secondo momento. Quando mi sono avvicinata al gruppetto, ti ho scorto riverso al suolo, insanguinato e dolorante. E non ho più badato a nulla. Ho tolto di mezzo quegli esseri insulsi. Tu avevi perso conoscenza ed è stato lì il vero bivio. Con la tua sola presenza, hai mandato a rotoli la mia missione Jacob Frye.” lo fissai con un mezzo sorriso sulle labbra. Avrei dovuto essere in collera, sentimento che si era impadronito di me appena dopo averlo portato via da quel deposito. Giunta nel bosco, maledicendo la mia debolezza, lo avevo costretto a scavare la sua stessa tomba. Volevo vendicarmi… ma adesso, tutto il male era evaporato, lasciando dietro di sé un pizzico di pace interiore, effimera, fugace, ma reale. “Mi fai agire in modi assurdi e senza logica. È tutta colpa tua, sempre!”
    Jacob alzò il braccio con un po' di fatica, ma l'istinto era il suo primus movens. Voleva accarezzarmi e lo fece. Con un dito mi sfiorò la guancia e le labbra piegate all'insù. “E come chiameresti il fatto che hai salvato me, tuo acerrimo nemico? Ok, che sei un po' masochista lo abbiamo assodato, ma appena mi hai visto non ci hai pensato su due volte a mandare all'aria i tuoi scopi. Cosa dovrei vederci in questo? Va bene, poi mi hai fatto scavare questa maledetta fossa, ma mi sembra un dettaglio superato...” Odiavo quando ironizzava sulle mie azioni, ma il suo tocco era un anestetico per le mie rimostranze.
    “Cosa non ti è chiaro delle parole ‘assurdo’ e ‘illogico’? È dura ammetterlo ma non ho pensato alle conseguenze. Fai le tue deduzioni. Come si può chiedere il parere di una pazza? Perché non posso essere altro se desidero stare con te. Per la fossa… beh quella era una scaramuccia innocente” Mi allontanai di nuovo da lui e gli feci una linguaccia. Volevo punirlo in qualche modo.
    Jacob non mi permise di andare troppo distante e mi tenne stretta per un polso. Era seduto sul bordo della "sua" fossa, ma la cosa pareva non infastidirlo affatto, piuttosto era divertito. Avrei dovuto inventarmi qualcosa di più serio per impensierirlo almeno un po’. Era senza paura e questa cosa mi attraeva in modo letale. “Allora facciamo che a essere pazzi siamo in due. Ormai su questo non ci sono dubbi.” Mi fece un occhiolino impudente e poi imprecò tra i denti per il dolore al sopracciglio. “Ricapitoliamo. Fischer non è più importante per i tuoi, ma potrebbe esserlo ancora per noi. Con ogni probabilità, Evie avrà seguito le mie tracce, quando ci si mette è peggio di un segugio, e avrà raggiunto il magazzino... ciò che è successo dopo è un mistero, dovrò tornare per scoprirlo. Forse la tua missione non è del tutto compromessa...” Sentir parlare di sua sorella mi mise in allarme. Era chiaro che lo stesse cercando e che fosse giustamente preoccupata per le sorti del fratello. Lo stavo trattenendo al mio fianco… ma era la cosa giusta da fare? La parte più egoista di me prese il sopravvento. Lei aveva la fortuna di averlo vicino tutti i giorni, io ero costretta a elemosinare attimi fuggenti. Così, presi una decisione. “Evie, potrai aspettare ancora un po'. Il tuo fratellino è in buone mani!”.
    “Il fatto che voi Assassini riusciate a prendere Fischer per avere delle informazioni sui vostri non sarebbe positivo per noi Devianti. Ma se decideste di ucciderlo dopo, potremmo anche giungere a un compromesso, ovvio, tra me e te. Saremmo pari e ognuno avrebbe ciò che per cui è venuto.” dissi convinta. Dopo tutto quello che avevano passato nell'Abstergo per mano del Dottore, di mio padre e anche… mia, la mia coscienza reclamava un passo in loro favore.
    “Vieni con me, ti porto in un posto segreto…” dissi guardandolo enigmatica. Girai il polso che lui teneva e gli afferrai la mano. Avevo deciso che sarebbe stato mio ancora per un po’.
     
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    Annarita
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    Dovevo ammetterlo, Moira non finiva mai di stupirmi. Nello stesso istante in cui credevo di averla inquadrata, ecco che arrivava con qualche novità che scardinava tutte le mie certezze.
    Quando mi aveva detto che mi avrebbe portato in un luogo segreto avevo subito pensato a un bunker, una specie di tunnel sotterraneo in cui si nascondeva quando voleva stare sola, assieme alle sue armi e al suo forte caratterino… o caratteraccio, dipendeva dai punti di vista. Invece, il luogo in questione, si era rivelato essere una casetta in legno incastonata in una quercia maestosa, che pareva avere centinaia di anni. Non era molto grande, una stanza appena ma fornita di ogni comodità: i cuscini erano ovunque e le pareti erano tappezzate di scaffali ricolmi di libri e oggetti di ogni foggia – armi comprese. Era riuscita a infilarci persino un sacco da boxe in un angolo. Ecco perché mi aveva stupito, ero stato davvero superficiale nel giudicarla, ma ancora una volta non me ne stupii. Moira, anche se molto più giovane di me, mi stava insegnando aspetti inediti della vita. E no, non lo credevo davvero possibile. Ovviamente, non avevo potuto non prenderla in giro, in fondo era il mio modo strano di mostrarle la mia ammirazione…
    “Hai capito la kaiserina? In fondo anche lei ama il comfort e i posticini accoglienti. Ed io che ti credevo una tosta fuori ogni misura!”
    “Io sono sempre tosta fuori ogni misura. Non ti illudere del contrario. Però questo posto è come se fosse una bolla che mi consente di essere qualcun altro. Qui, sola con me stessa.” Moira non pareva affatto stanca per lo sforzo di avermi trascinato per chilometri nel bosco e poi su per la stretta scaletta che portava al suo rifugio. Questi erano i momenti in cui riflettevo su quanto lei fosse potente, avrei potuto darle filo da torcere in un confronto fisico, ma ero assolutamente certo che non avrei avuto alcuna possibilità di vittoria. Eppure, non la temevo, come avrei potuto?
    “Perché vuoi essere qualcun altro? Ok, adesso sei incasinata, lo capisco… ma qui vieni da tempo, si vede che lo hai riempito di te e non sono cose che si fanno in due giorni…” A volte, mi stupivo della mia perspicacia, strano che mi impegnassi tanto a esserlo con colei che avrei dovuto reputare mia nemica. Ma volevo conoscerla. Punto. Non c’era molto altro su cui riflettere.
    Attendevo la sua risposta, mentre mi accompagnava verso un divanetto basso e morbido, in cui sprofondai ricordando all’improvviso ogni singolo colpo subito. Boccheggiai per il dolore.
    “Qui sono la ragazza 'normale'. Quella che non è cresciuta solo tra palestre e armi. Che non è cresciuta combattendo, e allenandosi per affrontare un qualsiasi nemico del futuro. Qui sono solo Moira... non la kaiserina” Anche le sue mani erano diverse da come le avevo sempre immaginate. Fu delicata nell’aiutarmi a sedermi più comodo, quasi accarezzò il mio volto mentre valutava le ferite. E io rabbrividii. Poi si allontanò per prendere una cassetta di primo soccorso. Quando tornò, continuò a parlare. “L'ho voluta fortemente quando avevo quindici anni e l’ho fatta costruire all'insaputa della mia famiglia. È il mio rifugio. Il sacco da boxe dimostra che vengo qui anche per sfogarmi quando qualcosa non va.” Non ero sicuro di ciò che avrei dovuto dire. Forse avrei dovuto consolarla, il suo sorriso mesto faceva male in un modo che non riuscivo a capire. Qui, in questo posto fuori dal suo mondo, poteva permettersi di essere fragile… ecco qual era la realtà dei fatti.
    Tirò fuori dalla cassetta disinfettante, ago e filo…
    “Disinfetta e basta, oppure dovrò anche trovare una scusa plausibile sul perché i miei aguzzini mi abbiano rapito, pestato a sangue e poi anche ricucito…” ridacchiai ironico, prima di tornare inaspettatamente serio. “Chi è la vera Moira, quindi? Quella cresciuta tra allenamenti e armi, oppure quella cresciuta tra cuscini e natura?”
    “Se non ti ricucio, resteranno delle brutte cicatrici e si andranno ad aggiungere alla tua collezione. Non va bene... diventeresti troppo attraente” disse ritrovando un po’ della sua speciale ilarità. “In effetti, però, non potresti spiegarlo senza dare nell'occhio. Quindi anche bende e cerotti sono aboliti. Vediamo di ripulirti dal sangue e disinfettare almeno.” Era chiaro che stesse tergiversando per non rispondere alla mia domanda, ma io la fissai ostinato, in attesa. “Io... suppongo di essere entrambe... da un po' di tempo a questa parte ho bisogno dei miei spazi. In un primo momento, questo luogo rappresentava la fuga dalla disciplina ferrea di mio padre, un permesso a terra diciamo... ogni tanto ne avevo bisogno. Ma nell'ultimo periodo è diventata quasi la mia seconda casa.”
    La sua educazione spartana si vide subito dal modo in cui iniziò a pulire le mie ferite. La mano era precisa ma non delicata e capii che non era sua intenzione. Fu strano, perché da quel semplice dettaglio mi parve di scorgere il suo intero mondo. E non mi piacque per niente.
    “Ti hanno cresciuta come una guerriera, ma non è detto che si debba esserlo ventiquattr’ore su ventiquattro. Anzi, è necessario scaricare in qualche modo tutta la tensione che si accumula…” Le avevo afferrato il polso, tolto il batuffolo di cotone e baciato il palmo della mano aperta. “Ma magari la scarichiamo sul sacco da boxe eh, non sulla mia povera faccia.” La guardai implorante, ma con l’intento principale di farla ridere, o almeno sorridere.
    “Beh... mi pare che tu ne abbia trovate parecchie valvole di sfogo oltre a combattere. So delle tue serate di bagordi. Ti godi la vita eh?” Era di nuovo ironica e questa volta rise di gusto. “E comunque non ho la mano tanto pesante. Sei tu quello esagerato. Sei un Assassino o una femminuccia? Vi facevo più coraggiosi” continuò sulla scia. Nonostante tutto, sembrò apprezzare il mio dolce bacio. “Se vuoi la smetto con questa terribile tortura!” Adoravo sentirla ridere, tanto quanto odiavo il suo sguardo tormentato e la leggera ruga che si formava tra le sopracciglia. Alla sua età non ce ne dovevano essere di nessun tipo.
    “Non giudicare, signorinella. Visto che un Assassino del mio calibro non sopporta le tue medicazioni, forse il problema non è lui… ci hai pensato?” Stuzzicarla era il mio modo per farla felice, non sapevo se stavo davvero regalandole qualcosa di bello ma speravo fosse comunque diverso dal casino che era la sua vita. “E poi, cosa avresti da ridire sui miei bagordi? Di certo non ho problemi a scaricare lo stress. Dovresti provare, una volta o due. Chissà, forse un giorno ti servirò io stesso da bere nel mio pub a Monteriggioni.” Non era una frase detta per caso la mia, oppure una indelicatezza mal calcolata. Affatto. Era un messaggio forte e chiaro. Di sicuro, una speranza reale… più di quanto avessi mai potuto immaginare.
    “Parli di un'utopia... qualcosa che non accadrà mai...” mi rispose, di nuovo con quell’ombra che detestavo sul volto. Poi, fece una smorfia con la bocca. “Ti immagini la mia figura 'deviante' beatamente seduta al bancone del tuo bar? Nahhh. Non riuscirei neppure a varcarne l'uscio. Non pacificamente almeno. I tuoi amichetti sarebbero ben contenti di farmi la pelle!”
    “Non sono un tipo famoso per credere nelle utopie, ho sempre vissuto alla giornata, prendendo ciò che di buono mi passava sotto al naso: che fosse una birra, una rissa, una donna disponibile…” Le feci l’occhiolino per indispettirla. “Ho avuto sempre solo un punto fermo nella mia vita: Evie, mia sorella. Da quando sono nato, ho avuto la certezza che sarà sempre al mio fianco, nel bene e nel male. Ma se penso a te, mi trovo stranamente propenso a fidarmi addirittura di quella utopia. Non perché sono un folle, ma perché sento che c’è qualcosa in te… e in me… di diverso… da tutto ciò che mi è passato sotto al naso in tutti questi anni. E credimi, sono davvero tanti.” Ma quanto facevo schifo con i discorsi? Ero proprio negato a esprimere ciò che percepivo, forse perché non avevo mai avuto il bisogno di farlo? Questa era la riprova che il mio ragionamento non faceva una piega. Mi potevo ritenere soddisfatto!


    Edited by KillerCreed - 26/4/2021, 00:44
     
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    Lo avevo portato nel mio rifugio, nel mio luogo sicuro. E non ne capivo neppure il motivo. Sapevo solo una cosa, che quando ero accanto a lui, mi pervadeva una sensazione dolce, appagante, di pace… che strana parola “pace”. Non ne potevo comprendere realmente il significato, perché quando vivi in una famiglia dedita alla guerra, alla mania del controllo, puoi solo crescere circondata da armi, lotte di potere e battaglie. La pace, soprattutto quella del cuore era un concetto estraneo, ma che riuscivo a scorgere dietro un velo sottile, solo quando Jake era con me.
    Com’era possibile che la vicinanza di un avversario, potesse suscitare un simile sentimento? Ero totalmente pazza e mi beavo della mia follia.
    Poi, le sue parole tanto accorate, mi avevano stretto il cuore. Parlava di sogni, di utopie realizzabili. Ma come avrei potuto credergli? Eppure… desideravo farlo con tutta me stessa. Evie… sua sorella, la sua gemella… ebbi quasi un sussulto a sentirla nominare. Mi sentivo in difetto nei suoi confronti. Le avevo “rapito” il fratello.
    “È bello sentirti parlare in questo modo. Non so se sarà possibile realizzare quanto hai detto, ma allo stesso tempo non voglio escludere l’opportunità. La vita ci riserva così tante sorprese che sarebbe impossibile pensare di poterle prevedere tutte!” lo potevo dire con cognizione di causa. Gli eventi che avevano costellato l'ultimo periodo mi avevano portato a credere che non si finisce mai di imparare e soprattutto di conoscere una persona, anche se si tratta della tua stessa famiglia.
    “Evie… raccontami di lei. Non ho idea di cosa significhi avere una sorella o un fratello…”
    “Evie? Beh, lei è una gran rompiballe, la regina dei sermoni, dei rimproveri e dei principi morali. Ecco, così è quando si lascia andare al suo lato iperprotettivo nei miei confronti. Vorrebbe che io fossi più inquadrato, prudente, rispettoso, ma le ho sempre detto che lei lo è per entrambi...” Jacob ridacchiò. Doveva essere una vera spina nel fianco con il suo atteggiamento strafottente e canzonatorio. Ma un'espressione incoscia di tenerezza gli si dipinse sul volto. “Nostra madre è morta dandoci alla luce, o meglio, dopo aver fatto nascere il sottoscritto. Ci ha cresciuti nostra nonna, poi, a una certa età, nostro padre ha iniziato l'addestramento per diventare Assassini: anche noi eravamo dei bambini all'epoca. Evie ed io siamo sempre stati all'opposto, lei la mente e io il corpo, lei la ragione e io l'istinto, lei i principi e io il caos... ma insieme siamo una coppia di Assassini formidabili, oltre che di fratelli inseparabili. Certo, non sempre abbiamo seguito gli stessi scopi o missioni... anzi... ma nulla ci ha mai allontanati e, credimi, ne ho combinate talmente tante che non capisco bene come ancora non mi abbia ripudiato!”
    In poche parole aveva descritto l’amore incondizionato di una sorella. Non riuscivo a vedere la pedanteria e l'essere oppressivo che Jacob aveva ironicamente descritto.
    “Deve amarti davvero tanto, per sopportare le tue bravate.” risposi con un sorriso, ma con un'espressione mesta. Un'improvvisa tristezza mi aveva avvolta.
    “Sono cresciuta da sola, con mio padre e l'uomo che qualche volta mi addestrava al suo posto. Sempre tutto inquadrato, sempre perfetto e ordinato. Mia madre, Nyx è stata presente e amorevole, ma per forza di cose, anche il suo affetto era subordinato alla mia preparazione fisica e mentale. Mio padre era ed è molto intransigente. Senza fratelli, né sorelle. Sono l'unica discendente della casata Winkler. Quale altro futuro potrebbe aspettami?” volevo buttare fuori tutto, i miei pensieri, le mie perplessità, le mie remore. Con lui potevo parlare davvero… era l'unico. Sorrisi al pensiero di chi fosse in realtà. “E non ho mai avuto dubbi, sai? Mi sentivo felice, a volte un po' sotto pressione, ma comunque soddisfatta… fino a quando ti ho incontrato all’Abstergo e anche dopo…”
    Jacob mi guardò di sottecchi, cambiando un po' posizione. In quel modo poteva sopportare meglio il dolore alle membra. Più tempo passava e più la sofferenza per i lividi e le contusioni sarebbe aumentata. Ciò, però, non gli impedì di ribattere a suo modo.
    “Quindi, mi stai dicendo che quando mi hai conosciuto hai iniziato a essere insofferente? Ti ho instillato il seme della ribellione? Ho instillato il dubbio nella principessa Winkler? Ma quale onore mi stai attribuendo...” Il tono era faceto, come al solito e io gli diedi un pugno sulla spalla. Non troppo forte da fargli male, ma neppure una carezza. Ciò che aveva detto, però, mi aveva colpita.
    “Non ti dare dei meriti che non hai, Frye. Diciamo solo che da quando ti ho incontrato, ho iniziato un cammino di follia e questo non è affatto positivo. No, no, ci porterà solo una montagna di guai.” dissi per sviare il discorso dalla matrice principale. Aveva dannatamente ragione. Mentre eravamo nell’Abstergo, avevamo instaurato un rapporto fuori dal comune, e tutto questo, inevitabilmente mi aveva portata a pensare in maniera più ampia, meno schematica. Non avevo altro modo per definire la cosa. E poi, quando ci eravamo incontrati nel bosco poco distante da Montereggioni, quando mi aveva parlato del Livello 2 e degli esperimenti che facevano lì sotto, mi sono messa in allerta, vagliando, scandagliando ogni mossa di mio padre e dei suoi gerarchi.
    Avevo sempre pensato alla missione Deviante come necessaria. Eravamo superiori e tutti gli altri non avevano motivo di essere nostri rivali, semplicemente dovevano mettersi da parte. Io stessa mi ero resa partecipe di punizioni e torture, per estorcere informazioni, per ottenere risultati. Ma torturare farmacologicamente per modificarne la personalità, sottomettere fisicamente e psicologicamente fino a portare alla morte… era davvero necessario? Tutto mi era parso troppo estremo, ero consapevole che mio padre aveva varcato un limite molto importante. Il punto del non ritorno. Aveva smesso di considerare i suoi prigionieri come nemici e soprattutto come esseri umani e li aveva trattati al pari di cavie da laboratorio. Nulla di più. L’obiettivo al di sopra di tutto.
    Scossi il capo per scacciare quei brutti pensieri, ma rimasero attaccati alla mia mente, perfidi. Avevo passato notti insonni per elaborare e comprendere.
    Mi alzai e portai con me anche Jacob, stringendo la sua mano.
    “Vieni, riposa un po’ qui con me. Dopo ti lascerò andare, promesso… e farò in modo che tua sorella ti trovi sano e salvo.”
    Ci sdraiammo su una francesina stracolma di cuscini che ne aumentavano la morbidezza. Lui gemette per il dolore mentre si sistemava più comodo e io mi sdraiai accanto a lui, perfettamente fusa alla sua spalla e al suo braccio. Come se fossimo uno la continuazione dell’altra. Appoggiai la guancia sulla giacca ruvida e poi diedi voce al pensiero che più mi aveva perseguitato in quell’ultimo periodo.
    “Jacob, ripenso sempre al Livello 2, a ciò che è successo in quel posto. Da quando me ne hai parlato ci ho perso il sonno. Come ho fatto a non accorgermi di nulla?” In un primo momento era rimasto rigido, forse non stava bene? Subito dopo, però, il suo respiro si fece più regolare e parve rilassarsi. Quando mi avvicinai ancora a lui, per far evaporare anche la più piccola distanza, si ridestò dal suo torpore e rispose alla mia domanda, anche se era piuttosto retorica. Io però, anelavo sapere cosa lui pensasse, lui che sembrava avesse sempre una visione più chiara della mia su molti aspetti del mondo e della mia stessa vita.
    “Come fai ad accorgerti di un Assassino che si confonde nella folla? O di un camaleonte che prende gli stessi colori del suo habitat? Non puoi, l'occhio è abituato a vedere solo ciò che conosce, che distingue, se dai per scontato che qualcosa non quadra allora la cerchi, ma se ti fidi ciecamente, come fai a dubitare? Ma la realtà è spesso diversa da come la conosciamo e non è sempre un male sai... Forse era solo arrivato il momento che tu aprissi gli occhi ed è stato un caso che siano state le mia dita a sfiorare le tue palpebre...” Jacob aveva parlato con voce sonnacchiosa, gli occhi semichiusi, cullato dal mio respiro sulla guancia, e da quella stessa posizione ribattei:
    “Le tue risposte mi fanno pensare a un uomo saggio, di quelli con centinaia di anni sulle spalle e mille esperienze vissute. Quanti anni hai, Jacob?” dissi tra il serio e l’ironico. Anche io mi stavo godendo la sua vicinanza e il suo profumo. “E comunque, gli Assassini nella folla li puoi riconoscere dai loro particolari cappucci calcati in testa” e sorrisi, sempre attaccata al suo mento.
    “Ti stupiresti se sapessi la mia età. Io saggio? Nahhh solo che ogni tanto viene fuori la parte di me meno idiota... e questo è il risultato.” Ridacchiò ancora, ma sembrava immerso in pensieri profondi, forse scomodi. Mi stava nascondendo qualcosa? Qualche segreto del suo passato? Non ne avevo idea… non avrei indagato oltre, sebbene la curiosità mi stava divorando. Avrei aspettato che lui stesso mi avesse ritenuto degna di fiducia, al punto da raccontarmi di più sulla sua vita. “Coma fai a riconoscerci se mezzo mondo porta dei cappucci? Li abbiamo scelti apposta, per mimetizzarci al meglio... Non sono così particolari…” Alzò il braccio e mi strinse a sé, ancora più vicina, eliminando ogni ostacolo. “Dobbiamo pensare, piuttosto, a cosa inventarci per giustificare la mia assenza. Il tuo coinvolgimento non verrà fuori...”
    “Io, ad esempio, vi riconoscerei. Non sono eccezionale?!” risposi a tono ridendo.
    Poi, tornai seria. Aveva tirato fuori un argomento molto importante e che avevo tentato di rimandare il più possibile. Avrei voluto che il tempo si fermasse e che non mi costringesse a lasciarlo andare. Ancora un pochino… solo un altro po'.
    “In effetti dovrai inventarti una bella storia per evitare di fare il mio nome. Saresti davvero disposto a mentire a tua sorella? Alla tua Confraternita?” chiesi dubbiosa.
    “Non sono mai stato un santo, Moira, ma mentire per una buona causa non mi costa molto, soprattutto se lo faccio per una persona di cui mi fido. Credo che ci sarà la resa dei conti prima o poi, con Evie e gli altri, ma avverrà al momento opportuno... Per ora vivo giorno dopo giorno e vediamo cosa ne verrà fuori che ne dici...?”
    Avevo un nodo in gola che non riuscivo a districare. Quanta fiducia mi stava dando? Aveva accettato di andare contro il suo sangue e il suo Credo per proteggermi. Era chiaro che si trattava di tempo prima che tutta la faccenda venisse scoperta, ma vederlo tanto deciso mi alleggerì il cuore.
    “Mi dispiace metterti in una situazione tanto spinosa, davvero… spero che un giorno potrai chiarire tutto con Evie e che lei riuscirà a comprenderti.” Non pensavo tanto agli Assassini, quanto alla sua gemella, carne della sua carne. L'unica che mi auguravo con tutto il mio cuore che non l'avrebbe mai abbandonato, nonostante tutto, nonostante… me.
    “Non preoccuparti di nulla, ok? Ci penseremo quando arriverà il momento. Anche perché se non sbaglio, ti trovi nella mia stessa identica situazione con i tuoi genitori e l'intera tua razza.”
    Aveva centrato il bersaglio, come ormai faceva sempre, anche senza volerlo.
    Ero stata tradita dalla mia famiglia, lui però, non lo sapeva. Non conosceva i dettagli di un rapporto basato ormai sul sospetto e sulla rabbia. Avrei dovuto mettere insieme tanti pezzi per venire a capo di quella situazione così complicata. Non ci volevo pensare…
    Mi strinsi forte a lui e mi accoccolai al suo petto.
    “Non mi importa…” dissi in un soffio, nel dubbio che mi avesse sentito o meno. Nulla al di fuori di noi, in quel momento, aveva importanza.
    “Dormi un po', riprendi le forze. Perché dopo, la tua carceriera sarà costretta a ridarti la libertà.”
     
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    Resistere. Dovevo solo resistere. Strinsi i denti fino a sentire la mascella scricchiolare e i pugni fino a sbiancare le nocche. La nausea era forte, ma l’unico segnale della mia sofferenza erano minuscole gocce di sudore freddo che imperlavano le tempie, segnale che poteva avere decine di altre spiegazioni. Ero stanco e avevo bisogno di privacy per superare l’ennesima crisi che mi annunciava che il tempo era agli sgoccioli. L’unica mia altra chance era quella di provare la Stardust, per questo ero rimasto a Berlino, per questo avevo seguito Fischer, per questo avevo deciso di stare alle calcagna dell’Assassina Frye. Ero certo che, seguendo le tracce per ritrovare suo fratello, avremmo avuto modo di avere ulteriori informazioni.
    Fischer. Lui non era stato di molto aiuto, purtroppo. Attingeva alle risorse criminali per recuperare la sostanza proibita e usarla negli esperimenti del Dottore, ma non la commerciava, né aveva idea di dove fosse prodotta. Bella fregatura. A quanto pareva, avevano avuto un Ibrido sottomano per vederne gli effetti, ma qualcosa – secondo me qualcuno – aveva interrotto bruscamente l’allegro ritrovo. Dovevo saperne di più, perché avevo la netta sensazione che ci fosse movimento sommerso tra le stesse linee dei Devianti. Con ogni probabilità, il mio fratellone stava cercando di riprendersi dal duro colpo subito con la chiusura dell’Abstergo, ma non avrebbe tentennato per molto tempo.
    “Sei in astinenza?” La voce di Evie mi strappò ai miei pensieri, facendomi ripiombare nella realtà in cui forti crampi scuotevano il mio ventre e conati minacciavano di farmi rigettare il frugale pasto del giorno prima. Credeva che fossi un drogato? Beh, in effetti, all’esterno potevo tranquillamente passare per uno di quelli che avrebbero ucciso anche la propria madre per una dose e non mi stupii affatto di quella impressione. Sentivo di essere capace di tutto in quell’istante. Volevo solo tenere a bada il mostro.
    “A te cosa importa?” Alzai il mento, senza smentire le sue parole. In fondo, mi faceva comodo che non scoprisse la verità. Il pensiero che Yulia non avesse raccontato alla Confraternita il mio segreto tornava spesso a stuzzicarmi. Era chiaro che nessuno di loro sapeva della mia vera natura. Perché lo aveva fatto? Perché non mi aveva denunciato?
    “Non mi servi a niente in queste condizioni…” mi rispose lei a denti stretti. Ma era chiaro che mentiva, desiderava disprezzarmi con tutto il suo cuore e forse lo avrebbe fatto se il suo animo altruista sopra ogni logica glielo avesse permesso. Anzi, probabilmente, mi avrebbe anche odiato. Ma non ne era capace, era più forte di lei.
    “Sì, certo. Intanto, siamo arrivati qui dopo pestaggi vari, grazie anche al mio aiuto…” ci tenni a ricordarle. Ero appoggiato con la schiena al muro scrostato dell’ennesimo covo di criminali incalliti. Di Jacob nessuna traccia, ma cominciavo a pensare che non fosse più nelle loro mani, forse era davvero riuscito a fuggire? E allora perché non era tornato alla loro base temporanea? Evie era in continuo contatto con il loro mentore e non aveva ricevuto alcuna notizia confortante. D’altro canto, eravamo riusciti a scoprire che una grossa partita di Stardust sarebbe stata consegnata nei prossimi giorni e sarebbe stata distribuita anche nei bassifondi di Berlino… ottima notizia, per quanto mi riguardava.
    “Essere crudeli non mi sembra una cosa per cui andare fieri, ma cosa dovrei aspettarmi da te? Sei un essere subdolo, che sa solo fare del male alle persone dopo averle abbindolate per bene…” Eccola che tornava a giudicarmi.
    “Sai, le tue conclusioni non sono poi così sbagliate. Sono crudele, subdolo, manipolatore… ma tu sei una persona intelligente e sai che non si nasce così, ma lo si diventa…” La fissai dritta negli occhi, rimettendomi dritto e asciugando con la manica del giacchetto di pelle la fronte adesso madida. Il respiro era affannoso ma non intendevo mollare la presa.
    “Noi non siamo il nostro passato, ma ciò che scegliamo di essere!” Era davvero convinta di ciò che aveva detto, mi sfidava con l’espressione e lo sguardo. Io, dal mio canto, scoppiai in una risata. Breve, tagliente, amara.
    “Sei così ingenua, Evie Frye. Nessuno di noi può scappare dal proprio passato e, volente o nolente, ci rende ciò che siamo. Prima lo capirai e prima vivrai meglio…” Non sapevo perché la stavo mettendo in guardia. Forse perché la sua ingenuità mi ricordava la mia quando ero molto più giovane? All’epoca confidavo nei valori del Credo, nella giustizia, nella fratellanza, nell’onore, nella difesa dei più deboli. E dove mi aveva portato? A perdere la mia famiglia, il mio amore, la speranza. A soffrire in solitudine per una natura che avevo fin da subito imparato a odiare con ogni fibra del mio essere.
    Evie tentò di decifrare il mio avvertimento. Era disinteressato, anzi, forse controproducente per i miei piani, e questo la disorientava. Eppure, era venuto fuori d’istinto.
    Poi, un rumore di passi improvviso interruppe la sua risposta e dentro di me fui grato che non fosse venuta fuori. Ci eravamo addentrati in un discorso fin troppo complesso…
    “Jacob!” la sentì dire, prima ancora di mettere a fuoco la figura ondeggiante del fratello di Evie. Si appoggiava ai muri per non crollare e, di certo, stava tornando a uno dei punti di ritrovo concordati; ci eravamo vicini anche noi, lo avevo intuito dall’ultima conversazione che lei aveva avuto con il suo mentore. Evie corse in contro al fratello e lo sostenne per come la differenza di statura le permetteva. Avrei potuto aiutarla, ma di certo, Jacob non avrebbe gradito, così approfittai per studiare meglio la situazione.
    “Che ti è successo? Dove sei stato? Ti ho cercato dappertutto!” Lei era un fiume in piena e il suo tono di voce esprimeva tutta la preoccupazione mista a sollievo che stava provando.
    “Evie, calmati! Ora ti racconto… ma fammi respirare!” lo stringeva talmente forte che davvero rischiava di soffocarlo. Quel rapporto fraterno mi provocò una malinconia inattesa che non osai approfondire. Poi, lo aiutò a sedersi su una panca di cemento lì vicino. Il vicolo era molto secondario, oltre che cieco, perciò era difficile che arrivassero dei nemici a sorpresa. “Mentre mi stavano pestando, un gruppo di uomini è entrato nel magazzino, forse una banda rivale, non so… insomma hanno cominciato a darsela di santa ragione… nel caos, sono riuscito a liberarmi e a scappare.”
    “E chi avrebbe disinfettato le tue ferite?” intervenni caustico, forse più di quanto avrei voluto. Jacob Frye mentiva e la cosa mi infastidiva parecchio.
    “E lui perché è ancora tra i piedi?” Mi aveva appena degnato di uno sguardo accigliato, prima di rivolgersi direttamente alla sorella.
    “Mi ha aiutato a cercarti…” Evie rispose in automatico, mentre controllava le sue ferite con aria assente. “Allora? Come se riuscito a ripulirti? Hai trovato aiuto?” Il suo tono era molto diverso dal mio: curioso al posto di accusatorio. Anche a lei qualcosa non tornava.
    “Mi sono introdotto in un seminterrato per sfuggire a una pattuglia, lì ho trovato una cassetta del pronto soccorso. Poi, però, sono svenuto… per questo torno solo ora…”
    “Ma che storiella convincente…” Trattenermi dal dispensare sarcasmo non era stata una opzione. Tanta fortuna non mi convinceva affatto. Qualcuno aveva aiutato Jacob Frye e se stava mentendo persino a sua sorella non era stato certo un loro alleato. La mia mente lavorava frenetica per cercare di capire cosa nascondeva, ma scartai subito l’opzione che avesse mentito a causa della mia presenza, era la stessa storia che avrebbe raccontato a tutti quanti…
    “Nessuno ha chiesto la tua opinione, O’Brien.” Evie mi fissò infastidita, ma leggevo nei suoi occhi che nutriva i miei stessi dubbi. Perciò, alzai le braccia in segno di resa e decisi di andarmene, non c’era più nulla in quel posto che sarebbe potuto tornare a mio vantaggio. Non proferii alcuna parola, avevo detto quanto avevo da dire, girai i tacchi e mi incamminai verso l’uscita del vicolo.
    Adesso, non mi restava che attendere l’arrivo della droga e capire se quella sarebbe potuta essere la mia salvezza o la mia definitiva rovina. Intanto, avevo bisogno di rilassare le membra per prepararmi all’ennesima battaglia col mio corpo. Nell’angolo più buio del mio rifugio avrei vinto, da solo contro me stesso e… contro tutti. Di nuovo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 10/5/2021, 10:53
     
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