Present Day #2021: Idra

Season 6

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    Roberta
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    :Ares:
    Il pianeta Idra si stagliava d’innanzi al nostro sguardo. I wing avevano fatto il loro dovere e ci avevano condotti a destinazione. Il localizzatore montato in plancia, era direttamente connesso con la navicella madre sui cui avevamo lasciato il resto del gruppo. Da loro recuperavamo i dati in tempo reale per seguire le tracce magnetiche trovate su Prospero.
    Percepii nell'immediato l’atmosfera ostile di Idra. Era come se con una volontà propria volesse respingerci lontano, fuori dalle sue spire, ma noi avevamo una missione da compiere e non ci saremmo fatti dissuadere al primo ostacolo.
    “Toth, sembra ci sia un turbine di vento. Il mezzo è instabile. Dobbiamo trovare un modo per atterrare.” dissi a mio fratello che conduceva un a-wing gemello al mio.
    “Aziona il propulsore turbo e scendiamo in picchiata. Tentiamo di bucare questo maledetto tornado”
    Era evidente la preoccupazione che traspariva dalla sua voce, sebbene fosse distorta dall’interfono, ma allo stesso tempo non perdeva mai il controllo.
    L'ansia mi stava divorando, ma non battei ciglio. Pigiai tutti i dannati bottoni che servivano per attivare l'assetto turbo e stringendo forte la cloche, mi lanciai in discesa, rapida più del vento che ci contrastava.
    All'improvviso, i comandi non risposero alla mia volontà. Il mezzo fu avvolto da una strana nuvola nera che mi impediva la visuale sull’esterno.
    Mi sentii sballottata da una parte all'altra, senza la minima idea di dove stessi andando, l'unica certezza era la velocità mortale a cui viaggiavo.
    Tentai di contattare Toth, ma il comunicatore era muto, come se fossi immersa in una dimensione parallela lontana e isolata da tutto il resto.
    Tentai con ogni forza di restare attenta e vigile, prima o poi avremmo dovuto superare quello strato nebuloso e ostile che avvolgeva il pianeta e a quel punto sarei dovuta essere più che pronta ad eseguire l'atterraggio, per evitare di schiantarmi. Era quello che mi ripetevo per convincermi di non essermi persa nel nulla cosmico.
    Quando ormai iniziavo a temere il peggio, la foschia scura andò diradandosi, ma i comandi continuavano a ribellarsi. Non avevo alcun controllo.
    Vidi la terra arida, nera avvicinarsi sempre più e io non potevo impedire l'impatto rovinoso, ma non mi arresi. Continuai a manovrare, fino a che accadde il miracolo. A pochissime centinaia di metri dal suolo, il mezzo rispose al mio volere. Sollevai di scatto la cloche per evitare l'impatto frontale, ma era troppo tardi per riuscirci a pieno. Dunque, mi scontrai duramente con il terreno roccioso e la pancia del velivolo strisciò creando una cascata di scintille e stridii assordanti.
    Andai a sbattere con la tempia contro il finestrino laterale e insieme alle scintille vidi mille stelle cadenti. Tentai di non perdere il contatto con la realtà, e resistere finché non mi sarei fermata del tutto. Lì sarei dovuta essere rapida e scattante per uscire dal mezzo e limitare i danni.
    Dopo un tempo che mi parve infinito, il cammino terminò grazie alla presenza di una massa rocciosa che fece da ostacolo.
    Il colpo fu duro e il contraccolpo mi strattonò con forza sul sedile, dove ero ancorata con le cinture. Una si sganciò e mi proiettai in avanti senza controllo.
    Stordita, non feci a tempo a proteggermi con un braccio e con la fronte frantumai il vetro principale.
    Mi parve di perdere i sensi per pochi attimi, per poi recuperarli…
    Mi slacciai definitivamente la cintura laterale, anche quella danneggiata e mi apprestai ad uscire dal mezzo.
    La vista era appannata a causa del sangue copioso che sgorgava dalla ferita al capo, mi asciugai con l’avambraccio e ringraziai la mia innata testa dura. Se ci fosse stata Iuventas non mi sarei risparmiata una sua battutaccia.
    Ma cosa diavolo era successo? Mi guardai attorno e come temevo il velivolo era ormai in fiamme. Richiamai i miei poteri per placarle e darmi il tempo di liberarmi da quella trappola di ferro. Il caldo non mi impensieriva, e le fiamme neppure, ma non ci tenevo a procurarmi altre ferite.
    Già quella che sarebbe dovuta essere una missione esplorativa era iniziata con un atterraggio di fortuna, non avevo idea di come sarebbe proseguita.
    Toth. Dovevo trovarlo, e speravo ardentemente che a lui fosse toccata una sorte migliore della mia. Avevamo la pellaccia dura, noi marziani, ma questo non mi impediva di essere preoccupata.
    Pochi attimi dopo, mentre mi districavo in mezzo alla ferraglia ardente, udii mio fratello che mi chiamava a gran voce.
    “Sono qui! Sto uscendo! Non avvicinarti…” lo avvisai a gran voce. Se il fuoco non era un mio nemico, non potevo dire lo stesso per lui.
    Alla fine riuscii a liberarmi da quella maledetta morsa metallica e mi feci cadere al di fuori.
    Strisciai sul terreno aiutandomi con le braccia e a pochissima distanza vidi Toth che si avvicinò più veloce della luce, mi agguantò saldamente e mi trascinò via, lontano dal wing in fiamme. Solo quando mi assicurai di essere a distanza di sicurezza, mollai la presa mentale sul fuoco che ardeva i resti del velivolo. Se fossi stata in forze, avrei potuto estinguerlo una volta per tutte, ma ero troppo debole e lo lasciai fare. Tanto, non c'erano speranze di recuperare più nulla.
    Io restai a guardare la danza ipnotica dell'incendio che si propagava e divorava ciò che rimaneva del wing e poi esplodeva in mille pezzi ardenti. Toth si protesse gli occhi con un braccio e poi pose l’attenzione su di me.
    Dovevo essere in condizioni pietose. Ferita e sanguinante. Avrei dovuto ringraziare all’infinito la mia natura di Eterna. Un fragile essere umano sarebbe morto sul colpo.
    “Come stai?” mi disse tamponando la ferita con una manica della sua giacca.
    “È tutto ok. Ce la faccio.” dissi sicura di me e feci per alzarmi, ma un forte capogiro mi fece barcollare. ”Che cavolo…” imprecai ostinata.
    Toth mi aveva recuperata al volo e continuava a cingermi con le braccia.
    Una volta salda sulle mie gambe mi allontanai da lui, sempre decisa a fare da sola. “Sto bene, d'ac-cordo? È solo un graffio… Ma cosa diamine è successo? Tu tutto ok?” dissi prima indicando il di-sastro di fiamme davanti a noi e poi guardandolo diretto negli occhi.
    “Siamo incappati in una nebulosa elettromagnetica. L’atmosfera ne è piena. Io sono riuscito a uscirne prima, quindi sono stato in grado di atterrare in sicurezza poco lontano da qui. Poi, sono venuto a cercarti.”
    Un intimo sospiro di sollievo mi aiutò a metabolizzare l’accaduto.
    Non eravamo partiti con il piede giusto, ma questo non ci avrebbe fermati.
    “Spero almeno che il localizzatore portatile che ti ha dato Athena sia ancora funzionante. Altri-menti, siamo davvero fregati!” dissi con stizza.
    “Tranquilla, la missione non è in pericolo. Ho qui con me il localizzatore per seguire le tracce energetiche.” La sua voce era sicura come sempre e questo mi rincuorò. Era tutto sotto controllo.
    “Perfetto… allora mettiamoci in marcia. Non ho certo intenzione di passare qui più tempo del do-vuto” La mia proverbiale impazienza era in modalità turbo, come quello che avrebbe dovuto far-mi atterrare su quel maledetto pianeta.
    “Sicura di farcela? Hai un taglio anche sulla coscia” mi disse con sguardo preoccupato, ma sempre razionale.
    Io mi rimirai la ferita. Non era nulla di grave, dovevo essermi tagliata con qualche lamiera, ma il calore della stessa, aveva cauterizzato allo stesso tempo lo squarcio. Faceva male, ma non era un problema.
    “Ci puoi contare, fratello. Sarò la tua ombra. Andiamo.”
    Una volta in cammino, preferii concentrarmi a pensare a tutt'altro che non fosse il dolore. La fronte pulsava e mi dava fastidio, ma potevo gestirlo. Osservai Toth al mio fianco, sempre molto compìto, diligente e ripensai al fratello che avevo trovato al mio ritorno dalla Terra. Avevo passato oltre un anno sul pianeta blu e una volta a casa, avevo visto una persona completamente diversa. Era vero, ne aveva passate tante, era sempre al capezzale di Horus, durante la sua convalescenza, poi, si era isolato da tutti, quasi stesse combattendo una guerra contro se stesso. Iuventas mi aveva raccontato di tutte le sue stranezze durate mesi e mesi… e adesso… nel rivederlo pronto e scattante per questa missione, era tornato il vecchio Toth, quello che non si faceva sopraffare dalle emozioni e dalle battaglie interiori. Il conte di Marte che tutti conoscevamo. Anche il rapporto con il suo compagno alato era tornato lo stesso, forse addirittura più duro, semmai potesse essere, non vi era più traccia della febbrile preoccupazione che aveva provato per lei, che lo aveva bloccato per interi giorni e intere notti al suo fianco, rischiando addirittura la vita per salvarla con l'energia lunare. Pareva tutto accaduto in un tempo passato e lontano dal nostro presente.
    Mentre smanettava con il localizzatore, gli feci una domanda a bruciapelo. Non adoravo i giri di parole.
    “Sei tornato quello di un tempo... Quando ti ho rivisto dopo un anno di assenza da Marte, eri diverso… stai bene?” Feci quella domanda stupida, ma non sapevo bene come introdurre l’argomento. Allo stesso tempo, però, avevo bisogno di capire.
    Thot si girò di scatto verso di me, come se fosse stato punto da un insetto molesto. La sorpresa sul suo volto.
    “Sto benissimo... ora. E cosa intendi per diverso? Migliore o peggiore di adesso?” Era guardingo sebbene interessato alla mia risposta.
    “Non credo si possa parlare di un meglio o un peggio. Sei mio fratello e ti voglio bene, anche se non sono solita dirtelo, però eri differente nel tuo modo di agire, di parlare, addirittura anche di camminare. Iuventas ha potuto notare di più tutti questi dettagli. Ero assente, ma per quel poco che è durato, anche io me ne sono resa conto. Eri meno rigido, ma anche molto più ‘addolorato’ per gli eventi che hai vissuto. Mostravi di più le tue emozioni, ecco…”
    Thot strinse forte la mascella, tornando a fissare il localizzatore come se solo lì avrebbe potuto trovare tutte le sue risposte...
    “Ero davvero diverso, di certo non avete sognato nulla. Ma la verità è talmente assurda che non ci credereste come non riesco a crederci io... L'importante è che sia tornato tutto come prima, no?” Mi stava provocando, voleva mettermi alla prova. Ma la verità era che non ci avevo capito un bel nulla.
    “È quasi la stessa cosa che ci hai detto quando eravamo nel nostro posto segreto… Parli sempre di una verità assurda e che difficilmente può essere creduta, ma come pensi che possiamo sentirci, io e Iuventas, se nemmeno provi a spiegarci? Ci hai costrette a stare mute e ferme mentre ti vedevamo andare in pezzi e poi, da un giorno all'altro puff, è tutto passato! Ammetti che possa essere un tantinello strano per noi?” Cominciavo a perdere la pazienza. Odiavo quando si trincerava dietro un muro fatto di omertà e frasi senza senso.
    I lineamenti di Thot si indurirono, facendolo diventare una maschera di cera. “So bene che sia tu che Iuventas vi state solo preoccupando per me. Ma se ti dico che non ce n'è più bisogno non potrebbe bastarvi? Sono tornato, sono io e non me ne andrò più...” mi rispose a disagio e poi si massaggiò il petto con un movimento concentrico della mano.
    Non volevo farlo innervosire, ma le sue motivazioni proprio non mi erano sufficienti.
    “Stai bene? Hai dolore?” chiesi indicando il suo torace. C'era qualcosa di davvero strano in lui. Negò con la testa, tenendo lo sguardo lontano dal mio.
    “Parli come se fossi stato in vacanza in un posto orrendo e non volessi più tornarci, ma ti ricordo caro Toth, che sei sempre stato qui. O forse no?” Non avevo intenzione di mollare la presa, magari insistendo ne avrei ricavato qualcosa.
    “Mi hai visto qui, sono sempre stato qui, magari non sempre presente a me stesso come avrei voluto... ma ho vissuto ogni cosa, a modo mio...” Pareva che finalmente si fosse deciso a parlarmi, a confessare ciò che provava davvero, quando quel maledetto bip del localizzatore aumentò di intensità e di volume, quasi ci assordava.
    Vidi un'espressione sollevata fare capolino sul volto di Toth.
    “Siamo vicini alla meta. Il punto da cui provengono le tracce energetiche trovate su Prospero.”
    Sbuffai sonoramente. Il tempismo era stato perfetto. Si era salvato dal mio assalto, ma non per sempre.
    “E va bene… vediamo dove ci porta questo giocattolino, ma io e te finiremo questo discorso, mi hai capito bene?”
    Mi rispose con un vago cenno del capo ed era tornato a vestire i panni del conte integerrimo e dedito alla missione.
    Io non fui da meno…
    Accelerammo il passo e dopo poche centinaia di metri, un enorme albero nero pieno di rami secchi si profilò davanti a noi. Il localizzatore sembrava impazzito e mio fratello dovette spegnerlo per farlo tacere. Era chiaro che avevamo trovato ciò che cercavamo.
    Ci guardammo per un attimo attoniti e poi, con un tacito accordo, ci avvicinammo con molta cautela, andando in cerca delle tanto agognate risposte.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 14/3/2021, 19:35
     
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    Annarita
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    Le domande spinose di Ares mi avevano innervosito, non tanto perché non le considerassi legittime, al contrario, se fossi stato al suo posto mi sarei comportato allo stesso modo, anzi di sicuro ci sarei andato giù molto più pesante. Ciò che mi aveva disturbato era stata la netta sensazione che – in qualche modo – nelle parole di mia sorella ci fosse del rimpianto, come se aver visto una parte vulnerabile di colui che avevano considerato me fosse stato un pregio e non un dannato difetto. Non potevo giudicare le reazioni dell’altro Thot. Si era ritrovato catapultato in un altro mondo a vivere la vita di un altro se stesso, a dover fare i conti, nel frattempo, con la minaccia del nostro dio creatore e con dei sentimenti che non poteva gestire… perché, di fatto, quella non era la sua esistenza. Chiunque sarebbe crollato, non avrebbe solo vacillato. Non sapevo come avrei reagito al suo posto, ma non era più importante. Ciò che continuava a pungolarmi con spilli ardenti era la consapevolezza che quel Thot si era fatto apprezzare, al punto da non rimpiangere me. Sapevo bene di avere un caratteraccio, di essere intransigente e a volte duro, ma non mi ci ero mai soffermato su, non fino a quando era arrivato lui e tutti lo avevano accolto come parte della loro famiglia, alcuni accorgendosi della differenza ma accettandola di buon grado, altri senza neppure accorgersene. Horus, ad esempio, era stata accecata dal fatto che – finalmente – poteva godere della nuova complicità che era tornata a crearsi con il suo Campione, ma questa non era di certo una sua colpa…
    C’era anche da dire che poteva trattarsi solo di una mia paranoia, dovuta al fatto che nessuno poteva immaginare l’assurdità della situazione che si era venuta a creare. Le paranoie nascevano da uno stato di incertezza… ma io non avevo mai avuto incertezze.
    Per fortuna, il rumore del localizzatore si era fatto tanto assordante da sovrastare il fermento dei miei pensieri. E avevo fatto bene a tornare alla realtà, perché ciò che ci si parò innanzi a prima vista poteva sembrare un sogno. I nostri occhi si posarono su un albero maestoso, color dell’onice, con la maggior parte dei suoi rami del tutto secchi. Alcune storie che avevo ascoltato da bambino sembrarono tornare per suggerirmi teorie su teorie, tuttavia, erano talmente fantasiose che andavano oltre la mia proverbiale razionalità. Feci cenno ad Ares di muoversi cauta, anche se non sembrano esserci anomalie attorno alla corteccia scura. Quando fummo a pochi passi, mia sorella, sopraffatta dalla curiosità, esplose.
    “Lo capisco dal tuo sguardo. Tu sai cosa rappresenta questo grande albero? Il cicalino ci ha portati qui, dev’essere per forza importante… Thot non ti azzardare a tergiversare…”
    “Credo sia Yggdrasil. Non mi guardare così, tu mi hai chiesto cosa mi frulla nella testa. Lo so, è pazzesco, ma penso che si tratti proprio dell’antico Albero della Vita” risposi, del tutto sincero. La voce era bassa, meditabonda, ma non potevo mentire, dentro di me avevo questa certezza.
    “Si tratta di una leggenda, fratello, di una favola che ci raccontavano prima di andare a dormire e tu eri il primo a inventarci su storie assurde…”
    “Perché si credeva che fosse andato distrutto tantissimo tempo fa, molto prima che i nostri stessi genitori nascessero. Ma la descrizione è quella, anche se non sento vibrazioni particolari. Forse ha perso la sua energia… forse per questo non se n’è più fatto menzione ed è entrato nella fiaba…” Ragionavo ad alta voce, non riuscivo a spiegarmi il perché le tracce energetiche rilevate su Prospero ci avessero portato proprio qui, di fronte a questo albero leggendario.
    “Ma se è ‘morto’, perché siamo stati condotti qui?” Eccola che continuava a leggermi nella mente la mia cara sorellina. La guardai di sottecchi, alternava il suo sguardo tra la corteccia e il mio viso, come se pendesse dalle mie labbra per una risposta esaustiva. Risposta che non avevo.
    “Non ne ho idea. Preleviamo qualche campione di corteccia e contattiamo Athena. Proveremo intanto a inviare delle scansioni per cominciare a fornirle dati utili, poi ci faremo venire a prendere. Una volta sulla Luna, faremo rapporto al Senato e decideranno loro il da farsi, direi che la nostra missione si conclude qui.” Vedere Ares annuire senza protestare – per qualsiasi ragione plausibile che andasse contro il mio parere – mi fece quasi sorridere. Anche lei era cresciuta tanto in quell’anno di assenza, sua e mia. Si strofinava il mento, pensierosa, mentre mi osservava prendere gli strumenti per scorticare dei campioni. Mi avvicinai ulteriormente all’albero e fui preda di una fortissima vertigine che mi provocò la nausea. Barcollai e d’istinto mi appoggiai alla corteccia nera per reggermi, lo stesso accadde ad Ares, venuta in mio soccorso. Ci trovammo in ginocchio, una strana luce si espanse da un albero che doveva essere secco e ci avvolse per intero. D’istinto, allungai un braccio per afferrare Ares e portarla vicino a me. Qualunque cosa fosse accaduta avrei cercato di proteggerla. Lei, stranamente, non oppose resistenza, al contrario si strinse al mio torace, tremava, proprio come me. Il gelo sembrava caduto su di noi, assieme a quella luce biancastra che parve inondarci… fino a quando il bianco si trasformò in nero e noi ruzzolammo a capofitto in tutta quella oscurità.
    […]
    Già riuscire ad aprire gli occhi mi parve una specie di miracolo. Avevo annaspato in un mare di onice per un tempo indefinito con l’unica consolazione di avere Ares ancora tra le braccia. Provai a muovermi, ma non fu semplice, almeno all’inizio. Tuttavia, col passare del tempo, riuscii a spostare il capo e abbracciare con lo sguardo una porzione sempre più grande di visuale.
    La prima certezza fu che non eravamo più su Idra; la seconda fu che non c’era più traccia di Yggdrasil.
    Ares era ancora tramortita, ma non la esortai a riprendersi, volevo prima capire… o almeno provarci. Eravamo finiti in quello che sembrava un vicolo di una città. L’umidità era forte, tanto quanto l’odore di muffa e stantio. Il terreno era sudicio e nel guardare verso il basso mi resi conto che Ares non indossava più la sua divisa da Guerriera, né io quella da MoonKnight. Eramo rimasti con le vesti che usavamo indossare al di sotto di esse. Una sensazione di disagio mi colpì violenta, non appena gli occhi si posarono all’inizio del vicolo, che pareva sbucare in una strada ben più grande e illuminata. Qualcosa – o meglio qualcuno – mi suggerii di alzarmi e procedere verso quelle luci.
    “Dove diavolo siamo finiti?” La voce di Ares arrivò ovattata alla mia mente, mentre mi alzavo in piedi e l’aiutavo a fare altrettanto. Barcollammo insieme per qualche passo, appoggiandoci l’uno all’altra, ma fu solo per pochi momenti. Tornammo ben presto presenti a noi stessi, o quasi, almeno nel mio caso.
    L’altro dentro di me spingeva affinché mi muovessi, sembrava voler verificare qualcosa, ma il rischio di esporsi così tanto in un luogo sconosciuto – e di certo pericoloso – era altissimo. Non era facile tenerlo a bada, era forte, e allora capii che se per tutto questo tempo avevo avuto tanta libertà era stato solo ed esclusivamente per sua volontà. Era lui il padrone di questo corpo, del mio corpo. Le ripercussioni di questa conclusione erano molteplici e nessuna piacevole, ma non era il momento di rifletterci su.
    “Cerchiamo di capirlo, ma in sicurezza…” La mia non era solo una risposta alla domanda di Ares, forse più un monito a colui che stava guidando i miei passi.
    In poco tempo fummo all’imbocco del vicolo e tutta la mia – e la sua – attenzione fu calamitata da un enorme telone rosso fuoco appeso con dei chiodi su di un edificio al di là della strada. Non andammo oltre, ma non sembrava essercene bisogno. L’altro voleva vedere bene proprio quel manifesto, ma soprattutto il simbolo nero stampato al suo interno: una specie di croce con degli uncini.
    “Una svastica.”
    Il nome del simbolo arrivò come un sussurro alle mie orecchie, ma era stato l’altro Thot a suggerirmelo. Assieme a quel nome, però, arrivò anche una valanga di emozioni che faticai a discernere, ma non solo, le emozioni erano accompagnate da immagini… ricordi… bombe… corpi dilaniati… volti amici sprofondati nel fango…
    Un’altra vertigine questa volta rischiò di farmi crollare, ma non era colpa dell’Albero, no, non riuscivo a reggere il carico che l’altro aveva riversato nella mia mente. Ares mi sorresse stringendomi per la vita, i suoi occhi preoccupati restarono sullo sfondo di una sensazione orribile. Stavo avendo dei déjà-vu di una vita non mia…
    “Falla finita” ringhiai senza rendermene conto, mentre stringevo le tempie con entrambi i palmi aperti. Ares capì che non mi stavo rivolgendo a lei, non so bene come, ma continuò a sostenermi.
    “Thot, che hai? Stai bene?” Non lo sapevo, non potevo rispondere.
    Poi, tutto smise di vorticare, piano piano, i ricordi si ritirarono, così come le emozioni. Sembrava che l’altro Thot avesse ripreso le redini, perse per uno shock momentaneo, che non riuscivo a comprendere.
    Respirai a fondo, di nuovo cosciente dei miei movimenti e dei miei pensieri. Rassicurai Ares per come potei, abbracciandola a mia volta per le spalle. Poi, i nostri sguardi si posarono ancora sul telone. In basso, al di sotto del simbolo nero, vi era una scritta appena leggibile vista la distanza, ma grazie alle nostre doti riuscimmo a decifrarla: Berlino, 1947.
    Eravamo sulla Terra? Nel passato? Ancora una volta il suggerimento arrivò da dentro, l’altro Thot pareva conoscere molto bene quanto ci circondava.
    “Sì, siamo sulla Terra, a Berlino, nella Capitale dell’Impero un tempo nazista, adesso Deviante. Siamo tornati nel passato, siamo finiti in un incubo.”
     
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    “Sì, siamo sulla Terra, a Berlino, nella Capitale dell’Impero un tempo nazista, adesso Deviante. Siamo tornati nel passato, siamo finiti in un incubo.”
    Quella frase appena mormorata, condita da uno sguardo indecifrabile, ma più che altro atterrito, mi diedero il senso della gravità del guaio in cui ci eravamo cacciati. Non ne comprendevo bene il motivo, ma mi bastava osservare l’atteggiamento di mio fratello per non dubitare delle sue strane parole.
    La scritta sul telone con la svastica era inequivocabile: eravamo finiti nel 1947, a pochissimi anni dell’avvento dell’Impero Deviante. La razza appartenente alla dea Nyx non era ancora forte e strutturata come lo sarebbe diventata in seguito. Raggiungendo vette di malvagità e spietatezza senza eguali fino ai tempi ben conosciuti da noi. Non per questo, però, avremmo dovuto sottovalutarli. Meritavano tutta la nostra attenzione e astuzia.
    Non avevamo la minima idea del motivo per cui Yggdrasil ci avesse trasportato in quel luogo, in quel tempo, ma la cosa ancora più assurda era l’azione dell’albero sacro. Doveva essere morto, dannazione! Eppure, ci aveva risucchiati e trascinati in un’epoca lontana. Avremmo dovuto scoprire il motivo di quel bizzarro viaggio e non avremmo raggiunto lo scopo, restandocene nascosti in quel vicolo.
    “Non so tu, ma restare qui non mi sembra una buona idea. Dobbiamo muoverci e cercare degli indizi su questo posto e, cosa ancora più importante, degli indizi che ci possano rivelare il motivo del nostro arrivo” dissi con fare pratico. Fremevo per togliermi dalla strada e mettermi in movimento. L’immobilità mi innervosiva e mi faceva sentire inutile.
    “Sono d’accordo con te… ma ho mille domande che mi vorticano in testa” mi rispose Toth, con espressione ancora confusa. Era strano vederlo tanto provato, o in dubbio. Lui era sempre pronto a scattare e a prendere decisioni in ogni momento, ma adesso, lo vedevo sull’orlo di un precipizio fatto di incertezze e di interrogativi. “Come diavolo siamo finiti qui? L’albero si è in qualche modo attivato, da lì provenivano le tracce energetiche rilevate su Prospero. Ma Yggdrasil non è altro che una leggenda, come avrebbe potuto essere ancora in grado di fare una cosa del genere? E poi… perché arrivare proprio in quest’epoca, in questo posto specifico…” interruppi il suo sproloquiare alzando una mano e ponendola di fronte al suo viso.
    “Frena, frena, fratello. Le tue domande sono le medesime che mi pongo anche io, a partire dall’attività improvvisa dell’albero e finendo con tutto il resto, ma non risolveremo nulla restando qui a porci interrogativi assurdi. Dobbiamo andare alla ricerca delle risposte. Forza!” affermai con decisione. Lo presi per mano e feci per allontanarmi dal vicolo, ma lui mi fermò.
    “Cosa pensi di fare? Andarcene a spasso per la città e chiedere informazioni ai passanti? Dobbiamo pensare a un piano, non possiamo essere precipitosi!” Eccolo che tornava alla carica il Conte di Marte e il Generale dei Moon Knight in versione stratega. L’espressione confusa aveva abbandonato il suo volto e adesso era più freddo che mai.
    Io lo osservai intensamente, con un cipiglio vistoso e marcarmi la fronte. Era il solito guastafeste e mi accinsi a "spiegargli" la mia strategia.
    “Come prima cosa dobbiamo procurarci dei cappotti, o daremo nell’occhio vestiti così?” ci indicai. Lui era messo decisamente meglio di me. Indossava una casacca di lino chiaro e un paio di pantaloni dello stesso morbido tessuto. Io, invece, portavo un semplice top sportivo, incrociato sulla schiena che mi copriva fino a sotto il seno e un paio di pantaloncini aderenti. In pratica, ero nuda, e sebbene non soffrissimo il freddo come gli esseri umani, avremmo attirato fin troppo l’attenzione così conciati. “Poi, non mi fermerò certo a importunare i passanti, ma faremo qualcosa del genere. Troveremo una taverna, un saloon, un locale di ritrovo insomma, o come diavolo li chiamano. Lì potremo acuire il nostro udito e cercare di cogliere più indizi possibili. Che te ne pare del mio piano?” chiesi soddisfatta e con un sorriso stampato sul volto. Toth mi guardò piuttosto scettico e non si risparmiò nel farmi presente la sua opinione.
    “In linea di massima potrebbe anche andare bene, ma ci sono troppe incognite lungo il percorso. Dove pensi di trovare degli abiti? E la taverna? Non conosciamo la città né le sue strade…”
    Mi spazientii e con uno strattone della mano che tenevo ancorata alla sua, lo trascinai dietro di me.
    “Ah… adesso basta sproloquiare. Dovremo affidarci al nostro intuito e… alla fortuna, fratello. So che non è nelle tue corde e odi lasciare i dettagli al caso, ma a meno che tu non abbia un’alternativa migliore, direi di procedere su questa via…” Mi fermai solo un nano secondo, per dargli la possibilità di proporre un piano "più dettagliato", ma di fronte al suo silenzio, non persi tempo e ci incamminai insieme a lui, come stabilito. Lo sentii sbuffare, ma non si lamentò oltre. Era cosciente che per questa volta avevo ragione. Aveva difficoltà ad ammetterlo a voce alta, ma non si era mai tirato indietro nel farlo con le azioni.
    Procedemmo mantenendoci sulle vie secondarie e decisamente meno frequentate. Fino a ora non avevamo incrociato nessuno e sperai che non accadesse fintanto non avessimo procurato qualcosa da metterci. Ci muovevamo felpati e silenziosi, anche se ero certa, la mente di Toth vorticava frenetica, tanto quanto la mia. Troppi quesiti e nessuna spiegazione.
    Poco tempo dopo, la dea Fortuna ci assistette e ci imbattemmo in un vicolo stretto tra due alti palazzoni grigi, tempestato di finestre piccole e opache. Le due strutture erano unite tra loro da fili rigidi sui quali erano appesi dei vestiti di ogni genere e di ogni taglia. La stessa scena si propagava fino ai piani più alti, senza però risparmiare quello più in basso, che faceva al caso nostro. Io afferrai un impermeabile chiaro, forse un po’ troppo grande per me, ma non esitai. Toth, invece si procurò un cappotto a tre quarti che lo avvolgeva in un elegante doppio petto. Anche io infilai il trench nero e ci avviammo, pronti ad attuare la seconda parte del piano.
    Osservai mio fratello con sguardo eloquente e lui mi anticipò…
    “Non parlare, ok? Se solo ti azzardi a dire ‘te l’avevo detto’, ti tolgo il saluto!” Un sorriso a trentadue denti si profilò sul mio volto, ma non dissi nulla, non volevo infierire. Per questa volta lo avrei accontentato.
    Finalmente avevamo potuto imboccare la via principale senza dare nell’occhio. Parecchi edifici costellavano la strada, e solo dopo circa un chilometro riuscimmo a scorgere un’insegna di legno che penzolava da due catenelle logore. "Ottos Taverne" vi era scritto. Eravamo giunti nel posto giusto. Almeno speravo ardentemente di aver avuto ragione per la seconda volta e di trovare finalmente qualche indizio utile.
    Entrammo nel locale di gran carriera e ci immergemmo in un ambiente fumoso e dall’odore intenso. Storsi il naso e mi imposi di resistere. Il lungo bancone sulla sinistra rispetto all’ingresso era occupato da parecchi sgabelli con altrettanti uomini seduti sopra. Umani dalle pance prominenti e dalle facce poco raccomandabili. Il barista era intento a spillare birra e a servire i propri clienti con un’espressione imbronciata. E ogni parola che usciva dalla sua bocca sdentata era un brontolio o un grugnito.
    Toth mi afferrò per mano e mi avvicinò a sé. Era chiaro che quel posto non gli piaceva e che voleva assicurarsi che non mi separassi da lui, neppure per un secondo. Non che io avessi bisogno di protezione, lo sapeva bene, ma dovevamo mantenere un basso profilo e impelagarci in una rissa da bar era assolutamente da escludere.
    “Vieni, andiamo a sederci a quel tavolo” mi disse con voce tesa e indicandomi un tavolino un po’ appartato, ma non troppo, avevamo bisogno di stare in mezzo a quella gente per poter captare i loro discorsi.
    Mentre camminavamo in quella direzione, la mia attenzione fu calamitata da una coppia di avventori che stonavano con il resto dei clienti. Due persone che indossavano un lungo mantello scuro e un cappuccio calato sul capo. Era fin troppo strano che non se lo fossero tolto al chiuso. Mi incuriosirono. Tirai la mano di Toth per farlo fermare e gli feci cambiare direzione. Ci saremmo seduti a fianco di quei tipi strani. Dovevo seguire il mio intuito e la strana coppia aveva attratto il mio interesse. Toth comprese al volo, con un semplice sguardo che lanciai ai due prima e al tavolo vicino a loro dopo.
    Ci accomodammo proprio alle loro spalle. Mio fratello seduto di schiena rispetto agli incappucciati e io li potevo osservare direttamente, ma sempre ben nascosta dalla mole di Toth.
    In pochi minuti arrivò una cameriera dai capelli biondi e dagli occhi di un blu slavato. Ci chiese con fare gentile cosa volessimo da bere. Mi trovai in difficoltà per un attimo. Cosa servivano in quel luogo? Era il caso di bere la loro brodaglia? Toth mi anticipò con naturalezza, ordinando una birra chiara per me e una scura per lui, indicandone i nomi. Non ero molto ferrata sull’argomento "bevande terrestri", ma mio fratello aveva parlato sicuro di sé, come se bevesse quella roba ogni giorno.
    Lo guardai stranita. Dal nostro arrivo nella nuova dimensione, Toth mi era sembrato agitato, come se conoscesse ciò che lo circondava e lo odiasse con tutto se stesso. Lo aveva addirittura definito "un incubo". Adesso ordinava addirittura delle bibite specifiche. Ma come diavolo faceva a conoscere tutte quelle cose? Ero confusa, ma non potevo distrarmi. Avrei voluto intavolare una conversazione in merito, però, non era il momento. Dovevo concentrarmi sui nostri vicini di tavolo e tentare di origliare la loro conversazione. I due tipi erano troppo strani per essere dei semplici avventori.
    Osservai Toth con sguardo quasi accusatorio.
    “Non appena avremo un po’ di tempo, dovrai spiegarmi un paio di cosette, fratellone e quando sarà, sappi che non mi sfuggirai tanto facilmente.” Un candido sorriso si estese sul mio viso, ma una velata minaccia si nascondeva dietro alla mia finta ilarità.
    Toth si sganciò dai miei occhi e mi esortò a dedicarmi alla "missione".
    “Certo, certo” pensai.
    Posi la mia attenzione sui due incappucciati. Dalla mole e dalle fattezze fisiche, sebbene mascherate dagli ampi mantelli, intuii che si trattava di un uomo e di una donna – una ragazza per essere esatti – parlavano a bassa voce, confabulando tra loro. Abbassai le palpebre e mi concentrai sulle loro voci. Lo stesso fece mio fratello. Potevamo acuire i nostri sensi, che erano ben più sviluppati di quelli degli esseri umani.
    “Dobbiamo trovare il modo di sviare l’attenzione dei Devianti. Non possiamo entrare in azione se ce li abbiamo col fiato sul collo” disse colei che avevo individuato come "la ragazza". Era nervosa e impaziente.
    “Non avere fretta, Élise. Dobbiamo essere cauti e non precipitosi. Potremo utilizzare il Progetto ‘Materia zero’. Per loro è molto importante e si allarmeranno in massa se qualcosa o qualcuno dovesse minacciarlo.” rispose l’uomo con voce pacata.
    “Esatto. Recuperare lo Yumi Bow è la nostra priorità, ma possiamo approfittare per distruggere uno dei laboratori che usano per il loro progetto. Sarebbe un colpo pesante per loro e ci aiuterebbe nel nostro scopo.” La ragazza era decisa ad agire il prima possibile.
    Ero del tutto stordita dalle informazioni che stavamo incamerando, ma allo stesso tempo, ero certa che si trattasse di qualcosa di enorme, vitale. E forse, ci avrebbe aiutato a comprendere il motivo della nostra presenza in quel posto.
    I Devianti stavano tramando qualcosa di oscuro e malvagio, come sempre, e anche se non ci trovavamo nel nostro tempo, come avremmo potuto lasciar correre? Inoltre, stavano anche parlando di un talismano ISU. Era più che evidente che le due figure avevano un piano preciso in mente. Toth mi guardava preoccupato, sapevo che la pensava come me. Gli feci segno di attendere un momento. La coppia continuava a discutere.
    “Così, Oliver Winkler sarà attirato dal trambusto e lo avremo proprio dove serve a noi…”
    “Ho individuato un laboratorio del progetto, non molto lontano da qui. Lì svolgono degli esperimenti…”
    “Mi sembra perfetto come obiettivo. Mettiamo su una strategia, attaccheremo stasera stessa, quando il personale di servizio sarà ridotto al minimo.” sentenziò l’uomo.
    “Questi Devianti si meriterebbero ben altro…” bofonchiò la ragazza.
    “Fare una strage non è il nostro scopo” L’altro l’aveva riportata all’ordine.
    Io mi trovavo molto più d’accordo con l’opinione della sconosciuta. I Devianti erano feccia e sebbene fossero agli albori del loro Impero, distruggendone il più possibile, avrebbero fatto un gran favore all’umanità e all’intera galassia. Sapevamo bene di cosa erano capaci, non meritavano alcuna compassione, né pietà.
    Mentre riflettevo su queste cose, la coppia si alzò e si apprestò ad uscire dal locale.
    Non avevamo tempo da perdere. Per me era chiaro quale sarebbe stato il prossimo passo: dovevamo seguirli. Feci segno a Toth per indicargli le mie intenzioni. Mormorai: “Hai sentito cosa hanno detto? Quei due non me la raccontano giusta. Non mi sembrano neppure di questa epoca, né tanto meno semplici tedeschi. Stanno architettando qualcosa di importante ai danni dei Devianti e di Oliver Winkler” dissi con una punta di esagitazione data dalla fretta.
    “Sicuramente, attaccare in quest’era il capo dei Devianti è molto più saggio che farlo nel futuro. Sono più vulnerabili e sprovveduti. Hanno parlato di un talismano e di un progetto chiamato ‘Materia zero’. Dobbiamo assolutamente saperne di più. Andiamogli dietro senza farci notare. Solo così sapremo qual è il loro scopo… e poi, voglio scoprire cosa stanno architettando i Devianti. Tutto questo deve per forza avere a che fare con noi.”
    Annuii, convinta di ogni singola parola che aveva pronunciato. Non c’era tempo da perdere.
    La coppia aveva pagato il conto ed era appena uscita dal locale. Le nostre consumazioni non erano neppure giunte al tavolo, la ressa era un delirio, e il ritardo del servizio era stato provvidenziale.
    Senza farci notare, e felpati come il passo dei felini, uscimmo nell’aria fredda di Berlino. Il cielo cominciava a tingersi di rosso e arancio. Il crepuscolo era alle porte e avrebbe portato con sé una nuova missione per me e mio fratello. Eravamo certi che seguendo quei due, avremmo trovato molte risposte alle nostre domande.
     
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    Annarita
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    Li avevamo persi, dannazione! Come diavolo avevano fatto a sparire dalla nostra vista così velocemente? Ares ed io avevamo seguito gli sconosciuti occhieggiati alla taverna per un paio d’ore, lungo vicoli e vie della grande città, stranamente silenziosa. Era ormai sera inoltrata, luci fioche illuminavano il selciato bagnato dall’umidità, mentre l’aria sferzava, minacciando neve. Una sensazione di malinconia mi accompagnava solerte, non riuscivo a scacciarla, come se fosse incastrata tra muscoli e ossa. Passo dopo passo, più ci addentravamo nel dedalo cittadino, più mi sentivo sopraffatto. Mi strinsi nel cappotto anche se non avevo freddo.
    “Ma non è possibile!” Ares era nevosa, aveva imprecato tra i denti anche se, con ogni probabilità, avrebbe voluto imprecare a voce ben più alta. “Ho guardato dappertutto, ma sembrano scomparsi nell’etere. Hanno girato l’angolo e sono svaniti… forse non sono umani, altrimenti non si spiegherebbero tante cose. Ad esempio: come sono finiti qui? Noi siamo stati catapultati da un dannato albero millenario… ma loro?” Mia sorella ragionava tra sé, senza rivolgersi a me direttamente, eppure decisi di rispondere.
    “E se fosse tutto un abbaglio? Ok, sembravano persone strane, di certo i loro discorsi non erano confortanti, ma potrebbero essere dei semplici dissidenti…” Non ne ero affatto convinto, ma a questo punto, ciò che desideravo sopra ogni cosa era strapparmi via quel manto viscoso da cui mi sentivo ricoperto.
    “Stai bene, Thot? Non è da te fare certe allusioni! Stavano parlando di una reliquia ISU. Un semplice dissidente non può sapere certe cose…” Colpito e affondato. Mi appoggiai di schiena contro uno dei tanti palazzoni grigi e anonimi. Respirai a fondo, nel tentativo di riprendere il controllo di me stesso, non volevo ammetterlo ma forse cominciavo a capire qual era la causa di tutto questo scombussolamento. Lo rigettai con forza, era mio questo dannato corpo, doveva essere solo mio… e invece…
    “Sto bene e hai ragione. Dobbiamo cercare di capire dove possiamo carpire informazioni migliori. Partiamo dal punto in cui abbiamo perso i due sconosciuti, non dovremmo essere molto distanti dal famoso laboratorio di cui parlavano.”
    “Sei pallido” insistette Ares e rischiai davvero di sbottare malamente. Avevo una gran voglia di sfogare la frustrazione che cresceva ogni istante di più dentro di me, ma ai suoi occhi non avrebbe avuto alcun senso. Nulla aveva davvero senso.
    “Dobbiamo muoverci adesso, prima che la traccia si raffreddi del tutto, piantoniamo i dintorni, magari possiamo anche dividerci e teniamo i sensi all’erta. Se il laboratorio è vicino, allora vedremo soldati o altro personale muoversi qui attorno.” Non so bene cosa l’avesse convinta a soprassedere, se il mio tono perentorio o il mio discorso più che sensato, molto da… me. Ma ringraziai gli dèi per quella saggia decisione.
    L’idea di dividerci sembrò portare i suoi frutti. Una volta solo, mi rannicchiai sulle ginocchia, rasente a un muro, e imposi alla nausea di scomparire. Mi passai le dita tra i capelli e premetti forte contro le tempie per schiarire le idee. Dovevo parlare con l’altro, dovevo dirgli di farla finita, ma non potevo se avevo Ares che mi puntava peggio di un mastino sospettoso.
    “Non lo faccio di proposito…” Eccola la sua voce, era potente, fin troppo, tanto quanto la sua presenza.
    “Hai deciso di lasciarmi il passo…” provai a dire.
    “Per ora” mi interruppe secco.
    “Per un minuto o per l’eternità, mi hai riportato indietro. Quindi non interferire!” L’istinto di parlare con le corde vocali e non solo con i pensieri era forte, ma mi trattenni.
    “Se non fosse stato per me, non avresti neppure saputo cosa ordinare senza un menu…” Mi aspettavo un tono irrisorio, ma non colsi quella sfumatura. Era serio, mortalmente serio.
    “Sei già stato qui? Ho visto alcuni tuoi ricordi, ma non in maniera distinta…” chiesi spontaneo. Era davvero assurdo: stavo cercando di fare conversazione?
    “Ero ben deciso a starmene per i fatti miei, ma a quanto pare non sono riuscito a fermarli… i ricordi intendo. Nella mia dimensione, ho vissuto un’esperienza assurda, che non ho potuto mai davvero raccontare a nessuno. Vi ci sono finito per una macchinazione dei Devianti, ma quando credevo che sarei tornato a casa… mi sono risvegliato qui, nel tuo corpo. Tuttavia, non ho dimenticato ciò che è accaduto, questi bastardi sono subdoli, crudeli, e adesso sono solo all’inizio del loro devastante Impero… dobbiamo colpirli, in qualsiasi modo possibile, ma dobbiamo farlo!” Avevo percepito l’oppressione al petto aumentare man mano che il suo discorso si faceva accorato.
    “È quello che ho intenzione di fare, però cerca di lasciarmi spazio. Non riesco nemmeno a ragionare quando non ti controlli…” Era così doloroso ammetterlo anche con lui. “Sei tu che comandi, quindi molla la presa.” Lui rimase in silenzio per attimi infiniti e rispose solo quando ormai stavo perdendo le speranze di ricevere un riscontro.
    “Ci proverò. Non so come funziona questa cosa, ma va da sé che se potrò essere utile interverrò senza chiedere il permesso.” Strinsi il labbro inferiore tra i denti per la frustrazione. Era tutto un vero ginepraio.
    “E va da sé che dovremo trovare una soluzione a questa cosa …” ribattei senza perdere un colpo. Non proposi nulla, non era il momento, ma era chiaro come il sole che non sarebbe stato facile.
    “La troveremo.” fu la risposta emblematica dell’altro. Cercai di interpretare il tono, ma era stato sfingeo. Quando voleva, eccome se riusciva a controllarsi.
    Scossi il capo e mi rimisi in piedi. Dovevo essere concentrato, oppure non ci sarebbe stato tempo e modo di trovare questa benedetta soluzione.
    […]
    Dopo un’ora circa di perlustrazione, Ares mi raggiunse furtiva. Era il terzo androne che tenevamo d’occhio a rotazione, durante la sua ronda aveva visto un plotone di soldati che accompagnava due uomini e una donna in abiti civili. Forse l’attesa era stata ripagata.
    La seguii silenzioso verso il nostro obiettivo. Il gruppo di persone penetrò attraverso un portone, che sembrava dare accesso a una piccola anticamera. Non eravamo vicinissimi, ma grazie ai nostri sensi non comuni, fu facile distinguere al suo interno una porta blindata e la combinazione alfanumerica che la apriva. Entrare, adesso, non sembrava più una chimera.
    “Ci siamo, dev’essere per forza il posto che cercavamo, altrimenti non ci sarebbe stata tutta questa sicurezza.”
    Ero d’accordo, perciò annuii con decisione. Avremmo fatto trascorrere altro tempo e poi avremmo fatto irruzione. Dovevamo raccogliere informazioni e solo dopo avremmo potuto decidere il da farsi.
    “Dobbiamo tenere presente un paio di cose. Primo, dentro potrebbero esserci già i due sconosciuti della taverna. Se si sono accorti di essere seguiti potrebbero considerarci dei nemici. Secondo, dentro, oltre a quei soldati, ci potrebbero essere altre guardie armate, tuttavia, usiamo i nostri poteri solo se estremamente necessario, non voglio creare incidenti. Ancora non c’è alcun trattato tra noi e i Devianti, ma è meglio non attirare troppo l’attenzione…” Ares sbuffò, già si immaginava lanciare palle di fuoco contro i nostri naturali nemici. “Terzo, stiamo uniti, non conosciamo il posto e non sappiamo cosa ci troveremo effettivamente di fronte. Informazioni. Sono l’unica cosa che ci interessa, d’accordo?”
    “Ricevuto…” Ares seguiva sempre le mie indicazioni, certo, a volte avrebbe preferito un approccio più passionale, ma tatticamente era conscia che bisognava usare i guanti bianchi. Erano ancora troppe le cose che ci sfuggivano, dovevamo sfruttare ogni occasione per scoprire il più possibile…
    E alla mia arringa avevo ricevuto un terzo assenso, silenzioso ma terribilmente presente.
    […]
    Informazioni. Parola chiave.
    Eravamo entrati senza difficoltà all’interno dell’edificio, dopo averlo piantonato fino a notte fonda. Poco dopo il nostro briefing, avevamo visto uscire il piccolo plotone di soldati, ma senza i civili. Ciò voleva dire che, all’interno, erano rimasti i presunti scienziati e la guardia standard del posto. La quale, scoprimmo, che non essere molto fornita. Pochi posti di sorveglianza, luci basse, corridoi infiniti e tante ombre da sfruttare per nascondersi. Con ogni probabilità, avevano considerato che l’anonimato fosse la miglior difesa… e come dargli torto.
    Durante l’ispezione, trovammo molte porte serrate con tastierini simili a quello dell’entrata. Lo scasso non era previsto, per questa ragione la possibilità di scovare notizie utili si abbassava drasticamente. Avevamo deciso che se proprio fossimo rimasti a mani vuote, avremmo usato il famoso approccio passionale, tanto caro ad Ares. Tuttavia, il destino sembrò sorriderci: una delle numerose porte ci condusse a un magazzino pieno di scatoloni e scaffali di metallo un po’ arrugginiti, sulle cui mensole campeggiavano faldoni su faldoni.
    “Davvero credi che qui dentro troveremo le nostre risposte?!” Ares era scettica, mentre si guardava attorno, dopo esserci chiusi l’uscio alle spalle.
    “Abbi fede sorella, abbi fede.” La sua smorfia dubbiosa mi fece sorridere e le diedi un buffetto sulla spalla, tanto per scuoterla un po’. Una buona sensazione mi pervadeva, libero, finalmente dal senso di malinconia che mi aveva accompagnato fino a prima dell’irruzione. L’altro era d’accordo con me.
    E anche la fede, oltre al destino, aveva deciso di premiarci. Trovammo una scatola con su scritto Streng Geheim – Top Secret a lettere scarlatte, per questo la aprimmo con più speranza delle altre. Al suo interno, trovammo diversi faldoni, quasi tutti siglati con “Progetto Materia Zero” e alcuni con “Progetto Manhattan”. Scoprimmo che durante alcuni esperimenti, i Devianti erano entrati in possesso di una materia instabile – appunto la Materia Zero – capace di fornire energia negativa in maniera illimitata. Il progetto però era stato dismesso perché vi era stato un gravissimo incidente, in cui erano stati coinvolti alcuni scienziati e addirittura la figlia del Capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti. Mettere a tacere tutto non era stato facile, perciò si era deciso di chiudere battenti e conservare la Materia Zero per tempi migliori.
    Ares ed io ci guardammo nello stesso istante, come se la medesima idea avesse colpito le nostre menti.
    “Non possiamo permettere che questa sostanza rimanga nelle loro mani…” Mia sorella aveva dato voce a quel pensiero comune. Il suo sguardo determinato era capace di scavare dentro di me e riempire quel solco di un orgoglio sconfinato.
    “Parole sante. Ho la sensazione che la tengano proprio qui, in questo edificio. Da quello che ho letto, nei sotterranei vi sono i laboratori in cui conservano i campioni dei loro esperimenti. Potremmo provare a scendere…” proposi a voce bassa, come se anche il mio fosse un pensiero venuto fuori a parole senza una precisa volontà.
    “Al massimo ci facciamo largo col fuoco, il tempo di far fuggire i civili e distruggiamo tutti i sotterranei per sicurezza. Chissà quale altra arma segreta nascondono là sotto.” Questa volta non fui in grado di riprenderla, scoraggiarla o anche solo escludere quella possibilità di intervento. L’avrei tenuta in conto molto più di quanto avrei fatto in passato. Era “l’altro” a incidere in tal senso? Oppure ero io che stavo cambiando?
    “Ottimo. Si va!”
    Ares mi fissò un pizzico disorientata.
    “Non bocci la mia idea? Non mi dai della guerrafondaia?” mi chiese con genuina curiosità.
    “Perché dovrei, in questo momento mi sento un guerrafondaio anche io” risposi, sincero.
    “Sia lodato l’Yggdrasill, il suo potere dev’essere davvero immenso…” mi prese in giro e io ne approfittai per darle un altro buffetto sulla spalla, molto meno scherzoso. Era il momento di tornare in azione, ma questa volta con molte più informazioni all’attivo. Avremmo reso un buon servizio all’intero Sistema, chissà che non fosse davvero questo il motivo per cui eravamo stata catapultati qui. Avevo la sensazione che presto lo avremmo scoperto!
     
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    A volte capitava che mestamente osservassi il calare delle tenebre dal punto più alto di quello che era diventato il nostro rifugio, nonché casa. Osservavo il tramonto colorare di un rosso accesso la capitale con le sue cupole e i campanili. Tutto era così diverso dal mondo da dove venivo, forse a tratti certamente più romantico, ma in egual misura quella grande bellezza era la stessa che mi feriva perchè mi ricordava ogni giorno che la casa che avevo lasciato mai più l'avrei rivista.
    Tanto avevo sempre desiderato lasciare il luogo ove per tutta la vita avevo vissuto, con il desiderio di viaggiare ed esplorare, che ora che mi ritrovavo completamente in un'altra Dimensione avrei voluto tornare indietro a gambe levate.
    Una lacrima mi corse sul viso, ma ero sempre abile ad asciugarla prontamente. Non avevo mai permesso di mostrarmi al mio Maestro triste o in sofferenza per il sacrificio che stavamo compiendo ed era giusto così. Conoscevo la sua sensibilità e non desideravo amplificare il suo dolore. Così mi isolavo su quel punto tanto alto ed in solitudine osservavo il volo di Ikaris e cercavo nel suo planare e farsi cullare dall'aria quella leggerezza che emanava.
    Presi un gran respiro, mi assicurai di essere in ordine, che gli occhi fossero asciutti e vispi e sfoderando il mio miglior sorriso li rivolsi all'orizzonte, prima di tornar dentro e come previsto trovare il mio Maestro e Kassandra parlocchiare tra loro rivolti verso un grande muro che avevamo adibito a War Board, nella Stanza della Guerra.
    Sopraggiunsi silenziosa ed immobile alle loro spalle intervenni solo quando accorti della mia presenza mi coinvolsero nella discussione.
    “Pronta al viaggio Elise?” mi chiese Shay, mentre io assentivo fiera ed entusiasta. Di rimando lui mi sorrise e poi si rivolse a Kassandra.
    “Lascio tutto nelle tue mani fin tanto non torniamo... cerca anche di contattare i Mandaloriani. Abbiamo un accordo e questo prevede anche aggiornamenti costanti!” osservò lui impettito, mentre la donna assentì tuttavia non nascondendo la sua confusione.
    “Spiegatemi ancora una volta cosa farete esattamente perchè ancora stento a capirlo...” ci chiese un ulteriore volta, ancora in difficoltà a comprendere molte cose. Kassandra era sveglia, intelligente e decisamente perspicace, ma diciamo che quei concetti ancora faticava a masticarli. A lei piacevano le cose semplici, chiare e soprattutto concise.
    "Useremo Yggdrasill per viaggiare nel tempo... più o meno!" sintetizzai guardando Shay che mi venne in soccorso.
    “Esiste anche nella nostra Dimensione ed è una sorta di albero sacro degli ISU, ancora oggi considerato tale dai loro discendenti. Da dove veniamo noi è in funzione... probabilmente non ai suoi massimi, ma abbastanza da far sì che da sempre è stato al centro di dispute e controllo. Molto sangue si è sparso per assicurarsi di dominare Idra, tant'è che quando c'è stato il rischio che l'Impero potesse riuscirci gli Jedi sono arrivati prima!”
    "C'è un tempio lì e degli Jedi a proteggerlo. Questo è così da secoli così che studiandolo ci è stato permesso conoscerne il funzionamento o parte di esse. Anche se di fatto mai nessuno lo ha usato!"
    “Bè dopotutto il compito degli Jedi è sempre e solo stato quello di proteggerlo. Qualche giorno fa io ed Elise abbiamo fatto una missione esplorativa su Idra e con nostro stupore abbiamo scoperto che anche qui è attivo seppur non sorvegliato!”
    Con le braccia conserte al petto facevo vagare lo sguardo da Shay e Kassandra che con gli occhi strizzati cercava di assimilare tutte quelle notizie.
    “E con esso viaggerete nel tempo? Non capisco mi avete detto che solo un Di'Allas possiede tale abilità...”
    "E così è... Yggdrasill è un poco più complesso..." ammisi mordendomi un labbro.
    “Ciò che esso fa è in realtà quello di far "viaggiare nel tempo" la coscienza di chi lo usa. Dobbiamo sperare che esistono discendenti delle nostre versioni specchio in questa dimensione che abbiamo almeno una minima percentuale del nostro stesso DNA...”
    "Così facendo potremo "svegliarci" nei loro corpi con le nostre coscienze..."
    “E se così non fosse? E il Talismano come lo porterete via con voi?”
    "Questo è un poco più complesso in effetti. Per la prima domanda, semplicemente il "viaggio" non funziona. Se non si attiva nessun collegamento attraverso il DNA... non accadrà nulla e saremmo oggettivamente fottuti!"
    “Per la seconda cosa... nasconderemmo il Talismano in un luogo che al nostro risveglio andremo a recuperare. Certo causerà non pochi problemi. Il suo proprietario in realtà non dimenticherà di averlo usato in tutti questi anni eppure allo stesso tempo ricorderà che dal 1947 gli è sparito... creerà probabilmente un corto circuito nella sua mente che potrebbe far scattare un campanello di allarme, ma... attualmente abbiamo poco tempo per agire con più calma...”
    Kassandra aveva un gran mal di testa, ma sperava vivamente che tutto ciò che noi sapessimo fosse vero ed avrebbe funzionato. Ci augurò buon viaggiò e meno di un'ora dopo eravamo già sui nostri V-Wing Devianti modificati in viaggio verso Idra.


    Elise
    Il "risveglio" a Berlino era stato traumatico e non solo perchè mi pareva di essere in un luogo ancor più estraneo di quanto già non mi sembrasse il presente, ma anche e soprattutto perchè come previsto né io né Shay eravamo nei nostri corpi. Non avevo la minima idea di che legame alla lontanissima potessi avere con quella ragazza di cui occupavo il corpo momentaneamente con la mia coscienza, ma ringraziai che vivesse a Berlino e tutto sommato anche in modo niente male. Mi ero risvegliata tra lenzuola di seta ed una camera da letto degna di una regina. Una cameriera era entrata poco dopo nella stanza e mi aveva avvisato che i miei genitori mi aspettavano per la colazione.
    Non fu facile trovarmi in quella posizione, io non li avevo mai avuti dei genitori e tanto meno ero cresciuta tra gli agi. Tuttavia ad essi avevo rinunciato, preferendo la semplicità della Forza, anche e soprattutto quando avevo seguito la via degli Jedi. Ma avevo fatto buon viso a cattivo gioco ed avevo fatto una colazione che per me equivaleva ai tre pasti principali della giornata tutti insieme. Poi mi ero vestita, con tanto di pelliccia ed ori, ed ero riuscita ad uscire di casa senza essere né fermata, né seguita, né accompagnata.
    Trovare Shay sarebbe stato ben più complicato, ma Yggdrasill doveva averci messo lo zampino perchè a pochi isolati di dove abitavo un elegantissimo uomo con fedora era seduto alla fermata del bus. Leggeva il quotidiano ed al mio passaggio il suo sguardo fu attirato su di me e viceversa. Ad occhi esterni dovevamo apparire come due amanti o due persone che avevano avuto un colpo di fulmine, in realtà ciò che entrambi avevamo percepito era la Forza.
    "Maestro?" chiesi titubante sottovoce avvicinandomi a lui.
    “Elise?”
    Assentì radiosa e quando lo feci immediatamente lui di rimando fece lo stesso. Lasciò il giornale sulla panchina ed alzandosi mi porse il braccio così che camminammo tra la folla con l'eleganza ed il lusso che i nostri prestavolti emanavano.
    “Siamo stati fortunati... chiunque sia il mio discendente ha collegamenti importanti... credo di essermi svegliato qui un po' prima di te ed ho avuto il tempo di capire come agire...”
    "Prima di me? Io mi sono svegliata tipo nemmeno un ora fa..."
    “Bè io sono qui da una settimana!”
    Sgranai gli occhi guardandolo. Come era possibile? Eravamo partiti insieme nemmeno 2 ore fa e... Era chiaro che il funzionamento di Yggdrasill era più complesso di quanto pensavamo.
    "Cosa hai scoperto?"
    “Che diversivo usare per adempiere alla nostra missione, ma dobbiamo cambiarci. Necessitiamo essere visti, sospettati... attirare l'attenzione su di noi. Porteremo gli occhi lì dove ci interessa siano fissi e quando ciò accadrà, sgaiottoleremo verso il nostro vero obbiettivo! Oltretutto non sarà difficile entrare dove dobbiamo, come ho detto il mio prestavolto è un uomo importante... ho recuperato i pass che ci faranno entrare lì dove ci interessa!”
    Assentì pronta a mettere in atto ciò che avevamo programmato e così il primo passo fu proprio cambiarci, volevamo che il nostro aspetto fosse sospetto. Successivamente ci dirigemmo verso una taverna che Shay sapeva essere frequentata da parecchi gerarchi, l'idea è che qualcuno sospettasse di noi. Successivamente uscimmo e quando percepimmo di essere seguiti e ci sentimmo fieri di ciò. Diretti verso il laboratorio, ove entrammo senza problemi, ci appartammo per notare poco dopo qualcuno intrufolarsi e chiaramente iniziare a cercare qua e là. Probabilmente noi.
    "Dici sono loro?" chiesi in un sussurro nell'ombre osservando l'uomo e la donna che dalla taverna avevano iniziato a tampinarci.
    “Sicuramente non ci hanno perso di vista nemmeno un attimo... Recuperiamo il campioncino ed assicuriamoci che adesso che ci muoviamo ci vedano... devono seguirci in trappola!”
    Assentì fiera e quando uscimmo dall'ombra volutamente feci rumore. Infatti quando uno dei due si affacciò dalla stanza in cui era, vide me ed il mio Maestro correre in fondo al corridoio.
    Il laboratorio era semi deserto, ma non c'era da tenere la guardia bassa. Ci guardammo intorno poco interessanti di ciò che lì davvero si faceva e quando identificai il campioncino con scritto Materia Zero sorrisi. Lo presi e fu allora però che le due persone che ci avevamo pedinato comparvero in contemporanea con degli agenti di guardia Devianti. Con i cappucci abbassati sul volto cercammo di mantenere sempre celata l'identità dei nostri prestavolti anche se presto i due che ci avevano seguiti li avrebbero scoperti...
    “E voi chi diavolo siete...?” la sua domanda però non era rivolta solo a noi, bensì anche ai nostri inseguitori che a quanto pare non erano Devianti! Poco importava, in quel momento che lo volessero o meno ci avevano aiutato ad attirare le attenzioni che volevamo.
    Fu in quel momento che iniziò il parapiglia generale dopo un primo momento di stallo. Una guardia fece per venirci incontro, ma mi bastò alzare una mano per scagliarlo all'indietro, nello stesso momento anche la ragazza mi attaccò e senza mezzi termini mi sbatté al muro bloccandomi contro esso premendo contro il mio petto. Era molto forte, ma io non mi feci scoraggiare e poggiandole una mano sul collo rovesciai la posizione schiacciando essa con la schiena al muro. Quella come una furia mi fu addosso con pugni che parai e lo stesso fece lei con un mio gancio destro, prima di usare quel mio stesso braccio, che mi aveva bloccato, per rovesciarmi con la schiena a terra.
    Il tempo di rialzarmi, che come Shay e il suo avversario, ci trovammo non solo a scontrarci tra noi, ma anche con i Devianti presenti che sempre più stavano sopraggiungendo.
    Recuperai due tubi di metallo da terra ed una volta in piedi con un colpo di reni li usai per disarmare prima un Deviante per poi colpirlo allo stomaco e poi fare con l'altro lo stesso colpendolo forte sulle braccia e poi sulla schiena.
    Avrei continuato contro gli stessi se non fosse stato che un calcio della mia avversaria per poco non mi colpiva in faccia costringendomi ad arretrare. La stessa mise ko altri due Devianti e poi si scagliò di nuovo addosso a me con due calci volanti che parai a mani nude ed uno rotante che mi costrinse a buttarmi a terra e rotolare via per schivarlo.
    “Dammi la fiala!” mi urlò contro e così mostrandogliela, la tenevo stretta in mano e nonostante il combattimento non mi si era ancora rotta.
    "Questa dici? Vieni a prenderla!" la provocai e se possibile questo la fece incazzare ancora di più.
    Recuperò un tubo di metallo ed iniziò ad attaccarmi, ma io schivai ogni colpo ed anzi stringendolo tra le mani lo usai per capovolgerla schiena a terra e quando feci per colpirla con forza, mi fermai ad un centimetro dal suo viso con esso.
    Lei mi guardava in cagnesco, ma avevo una missione ed un obbiettivo e non era lei e dunque buttando il tubo a terra mi allontani e ricongiungendomi con il mio Maestro, che era riuscito a sua volta mettere ko il suo avversario, agì di conseguenza. Avevamo bisogno di toglierci di mezzo i Devianti e quei due chiunque fossero e così senza pensarci troppo lanciai la fialetta. Sapevamo che la Materia Zero era instabile ed infatti quella creò un'esplosione che ci permise di fuggire...


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 4/4/2021, 13:51
     
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    Annarita
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    Risvegliarsi in un altro corpo non era stato particolarmente traumatico. Lo avevo sempre considerato un contenitore, un involucro utile a contenere tutto ciò che di più importante doveva esserci dentro a un essere senziente: mente, anima e Forza. Quest’ultima mi aveva permesso, negli anni, a superare la barriera della materia, a manipolarla a mio piacimento, a utilizzarla solo per scopi nobili. Per questa ragione, quando i miei occhi si erano aperti e avevo fissato il mondo da un’altezza un po’ diversa dalla mia avevo solo preso un gran respiro. Fortunatamente, ero seduto e non in piedi, altrimenti avrei barcollato; la poltrona era comoda, posta di fronte a un camino acceso e scoppiettante; le mie gambe erano accavallate e fasciate da un pantalone il cui tessuto pareva essere molto pregiato; le mani in grembo trattenevano un libro dalla copertina scura e i dettagli color oro…
    “Ti sei addormentato, papà!” Una vocina sottile mi aveva costretto ad abbandonare il fuoco e a spostare il mio sguardo sul suo possessore: un bimbetto di appena cinque o sei anni. Il suo pigiamino verde mi era parso fatto di nuvole e i suoi piedini erano scalzi, vicino ad alcuni giochi di legno sparsi sulla moquette spessa che ricopriva la sala. Mi ero subito fatto un’idea di cosa il mio prestavolto stesse facendo prima che io arrivassi: leggeva una storia a suo figlio. Avevo appoggiato il libro sul tavolino accanto alla poltrona e avevo tentato di inventare una scusa plausibile per la mia “mancanza”, quando il cucciolo di uomo si era arrampicato sulle mia gambe e si era accoccolato al mio petto. Ero rimasto immobile, le braccia un po’ allargate per la sorpresa, ma poi avevo ceduto, appoggiandole su quel corpicino fragile dentro cui pulsava un cuore molto forte. I ricordi del giorno lontanissimo, in cui avevo preso tra le braccia la piccola Élise per la prima volta, erano tornati prepotenti e mi avevano costretto a puntellarmi col mento sulla testolina riccioluta del piccolo. Il carico di emozioni era stato molto pesante, perciò mi ero appellato al mio equilibrio interiore per riportare i battiti e il respiro alla normalità. Ciò nonostante, non ci ero riuscito in breve tempo, perché una donna dalla chioma bionda fluente aveva fatto capolino nella stanza, attirando la mia attenzione con un bisbiglio.
    “Dovremmo portarlo a letto, si è fatto tardi…” La dolcezza con cui aveva pronunciato quelle poche parole mi convinse che fosse la madre… e la moglie del mio prestavolto, viste le fedi che spiccavano sui nostri anulari. Avevo annuito senza parlare a mia volta, non volevo tradirmi, non prima di essere riuscito a prendere confidenza con quel mondo. Anche se il mio tempo qui sarebbe stato breve, avrei camminato in punta di piedi in quella vita non mia fino al momento del ritorno.
    La prima notte era stata la più strana, avevo cercato in tutti i modi di estraniarmi mentre la donna mi abbracciava nel sonno, d’altro canto non volevo farle credere che qualcosa non andasse con il marito… allontanandola. Perciò, avevo approfittato di quei momenti per impegnarmi nelle elucubrazioni che avrebbero permesso a Élise e me di portare a termine la nostra missione.
    […]
    Ritrovare la mia padawàn era stata una epifania. Erano trascorsi ben sette giorni da quando mi ero risvegliato e scoprire che lei lo aveva fatto appena un’ora prima mi aveva impensierito. Il funzionamento di Yggdrasill era misterioso e molto potente, avremmo dovuto fare moltissima attenzione. Tuttavia, non era stato complicato riconoscere la Forza di Élise, nonostante la sua apparenza di giovane donna tutta imbellettata. L’avevo presa un po in giro, ma solo sottovoce, perché passeggiando per vie centrali di Berlino non potevamo tradire la nostra non appartenenza a quel mondo. In due brevi incontri l’avevo messa a parte di quanto avevo scoperto in quei giorni e del piano che avevo escogitato per infiltrarci nella magione del Führer.
    Dopo la prima parte della missione, conclusa in maniera egregia, ci eravamo divisi per tornare ognuno alle nostre ville: dovevamo prepararci per la serata ed eravamo già un po’ in ritardo.
    Nella dimora dei Winkler, quella sera, si sarebbe tenuto un ricevimento per celebrare la promozione dell’Obersturmbannführer Adrian Müller al grado di Standartenführer. Erano stati invitati i più importanti gerarchi militari, ma non solo, anche industriali di un certo rango, soprattutto inerenti alla produzione di armi e veicoli del settore e il mio prestavolto, beh, era proprio uno di questi. Anche la famiglia dove si era risvegliata Élise era stata invitata, dal momento che il padre era niente di meno che un Brigadeführer delle SS. Quindi, avevamo deciso di utilizzare questo "pass" per arrivare il più vicino possibile al nostro obiettivo: lo Yumi Bow.
    Giustificare il mio ritardo e le vesti con cui ero tornato a casa non era stato difficile come avevo immaginato, ma la donna che quell’uomo aveva sposato doveva avere grande fiducia in lui perché non aveva fatto molte domande, né quella sera né nei giorni precedenti, quando mi ero ritrovato a fare qualche gaffe dovuta alla mia totale inabilità alla vita di coppia. Spesso, infatti, ero stato costretto a rifugiarmi fuori casa… baci e carezze avevano messo a dura prova il mio equilibrio!
    Dopo aver messo a letto il bambino, lasciando le solite raccomandazioni alla balia, Adriana – così si chiamava – mi aveva accompagnato al ricevimento senza aprire più il discorso. Ancora qualche ora e sarebbe ritornata serena alla sua famiglia, questa era la mia sola consolazione.
    Al momento opportuno, e con un cenno convenuto, Élise ed io ci congedammo dai gruppi di discussione e dallo champagne che veniva servito a fiumi per fare il punto della situazione. Il Führer sembrava essere andato via prima del nostro arrivo per un affare urgente da sbrigare, mentre la moglie Nyx era impegnata a fare gli onori di casa. Era arrivata l’occasione giusta per agire.
    Ci allontanammo per dirigerci verso gli appartamenti e lo studio privato del nostro obiettivo. Da alcuni documenti studiati nel presente, conoscevamo bene la morfologia della magione, e quindi puntammo subito ai sotterranei, era lì il bunker segreto dove con molta probabilità Oliver Winkler custodiva lo Yumi Bow. E a quel bunker si accedeva dall’ufficio del Führer.
    Utilizzammo la Forza per renderci invisibili agli occhi delle poche guardie incontrate, ma anche per aprire tutte le serrature sulla nostra strada senza far scattare alcun tipo di allarme. Il sotterraneo avevo un leggero sentore di stantio che mi provocò uno strano conato di nausea… sapevo che era un campanello che mirava a mettermi in allerta. Tuttavia, procedemmo senza particolari intoppi, fino al bunker, a cui accedemmo con altrettanta facilità…
    Nessun problema all’orizzonte, eppure avevo lo stomaco contorto e il respiro accelerato.
    “Maestro, tutto bene?” Élise non aveva percepito nulla, ma io continuavo a guardarmi intorno ancora più guardingo. Un pericolo era in agguato.
    “Procedi, ormai ci siamo” la esortai, aspettando silenzioso che lei scovasse l’armadio dentro cui sapevamo avremmo trovato la reliquia, mentre mi concentravo per scandagliare lo spazio e l’etere intorno a noi. Un disequilibrio nella Forza mi fece scivolare di mano il bastone da passeggio del mio prestavolto, cadde in terra provocando un rumore che alle mie orecchie parve un boato assordante, il tempo sembrava rallentato ma non le mie percezioni che viaggiavano solerti tra le spire della Forza.
    “Ce l’ho!” La voce esultante della mia padawàn mi arrivò distorta, come se le frequenze di una emittente radio fossero state disturbate e poi interrotte. Stavo per voltarmi, per dirle che dovevamo sbrigarci a tornare, quando un secondo rumore rischiò di spaccare i timpani del mio prestavolto… anche se, ne ero consapevole, erano le mie percezioni a essere amplificate. Fu il rumore di un altro bastone, quello che una donna appena apparsa di fronte a noi aveva sbattuto ripetutamente sul pavimento levigato. Una, due, tre volte: era lei che aveva alterato l’etere e la Forza. L’avevo sentita arrivare, l’avevo sentita fendere l’aire con violenza, l’avevo sentita in tutta la sua oscurità… e subito mi resi conto che di fronte avevamo il nostro attuale nemico numero uno: l’Alfiere.
     
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    Roberta
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    :Ares:
    L’ambiente era diventato irrespirabile. Il fumo e le fiamme invadevano ogni anfratto di quel maledetto laboratorio. Cosa diavolo aveva fatto la mia nemica? Aveva lanciato la boccetta, aveva scatenato il caos. Doveva essere scattata una reazione a catena… quanto era potente questa materia zero affinché una singola ampolla creasse tanto scompiglio? No, nonostante avessi la mente leggermente annebbiata per le esalazioni tossiche, ero in grado di capire ciò che era accaduto intorno a noi.
    L’azione della donna era stata solo la scintilla e il resto era venuto fuori di conseguenza.
    Ragionare su simili dinamiche mi stava aiutando a schiarire le idee e orientarmi nella foschia scura.
    Il fuoco era mio amico e il fumo una sua banale appendice, erano sotto il mio comando. Avevo ormai recuperato le mie piene facoltà e mi imposi sull’elemento che comandavo. Dovevo trovare Toth, dovevamo andare via da quel posto. Era molto probabile che tutto il trambusto dovuto all’esplosione avrebbe richiamato una marea di Devianti decisamente in collera.
    Le fiamme si piegarono al mio volere e si fecero da parte, per poi spegnersi del tutto, liberandomi il passaggio. Aguzzai la vista per attraversare lo strato fumoso. Toth non doveva essere distante. Lo avevo visto combattere, ma non avevo assistito all’esito dello scontro. Ero troppo impegnata con la mia avversaria. Giovane, ma davvero molto abile. Emanava delle vibrazioni forti e trascinanti. Era stata in grado di mettermi in difficoltà per un solo momento, e non se l'era lasciato sfuggire, creando il diversivo che gli aveva consentito la fuga.
    Pensai a un suo gesto molto bizzarro, soprattutto nel pieno di uno scontro: si era fermata dal colpirmi direttamente. Mi aveva in pugno e avrebbe potuto farmi molto male, ma aveva deciso di non agire.
    Dopo pochi minuti, riuscii a scorgere Toth appoggiato a una parete che guardava nel vuoto. Per lui era impossibile distinguere i contorni degli oggetti e dell’ambiente. Non aveva la mia stessa affinità con il fumo. Avrei dovuto fargli da guida per tirarci via da lì.
    Una bella responsabilità visto che prendere l'uscita principale era fuori discussione e non conoscevo la planimetria del luogo.
    Mi avvicinai a mio fratello facendomi riconoscere.
    “Toth, sono io, sono qui. Stai bene?” dissi a voce non troppo alta. Non sapevo se dei nemici fossero in prossimità.
    Lo toccai su una spalla e lo vidi tirare un sospiro di sollievo.
    “Sto bene. Quei maledetti ci hanno lasciati nel caos più totale. È chiaro che ci hanno usati come diversivo.” Era a dir poco alterato e il ruolo e lo scopo poco chiari dei due sconosciuti mi lasciavano più che perplessa. Non avevamo ancora capito chi fossero e a cosa mirassero.
    “È molto probabile che siano venuti qui per depistarci. O depistare i Devianti. Ricordi che parlavano della reliquia ISU? Sono certa che quella è il loro obiettivo principale. Qui hanno creato solo una bella messinscena per assicurarsi un po' di scompiglio.” Non avevamo molti elementi per valutare gli eventi, avremmo dovuto muoverci seguendo l'intuito. Non sapevamo il come, né il perché fossimo arrivati in quel luogo e in quel tempo, ma non potevamo rimanere con le mani in mano di fronte a tutto ciò.
    “Dobbiamo trovare un modo per uscire da qui.” disse pragmatico, mentre la nube densa stava pian piano diradandosi. Non sapevo se fosse una cosa buona o meno. Essendo degli eterni, non rischiavamo il soffocamento. Eravamo in grado di sopravvivere su diversi pianeti con atmosfere e rarefazioni assai variegate, il fumo in sé non era un problema, così come le esalazioni tossiche della materia zero non erano particolarmente nocive, semmai un po' stordenti. Probabilmente, se fossimo stati degli esseri umani saremmo già stecchiti. La cosa che mi allarmava…
    “Questo fumo va in una direzione specifica. Siamo in un sotterraneo e non ci sono finestre a questo livello…” Interruppi lui, così come lui aveva con me per completare il suo pensiero.
    “Dubito che qualche Deviante si sia ripreso e abbia aperto le porte per arieggiare… ci deve essere un altro passaggio aperto”
    “O dei bocchettoni dell'aria molto potenti. Degli aspiratori” aggiunse mio fratello, guardandosi intorno.
    “Io continuo a sperare per il passaggio. Un'apertura che ci consentirà di andare via”
    Avevo sedato l'incendio prima di trovare Toth, ma avevo deciso di mantenere il fumo, sebbene meno denso di prima per usarlo come traccia da seguire. Sapevo ci avrebbe portato verso l'esterno. In più, lo avremmo potuto utilizzare come copertura nell’eventualità che i nemici fossero arrivati. Sarebbe stato il nostro scudo.
    All’improvviso udii molteplici passi giungere nella nostra direzione. Erano in tanti e Devianti per giunta.
    Toth ebbe la mia stessa percezione e afferrandomi per le spalle, mi trascinò verso il basso e ci nascondemmo in un anfratto, protetti dal muro e dal foschia.
    Prima di mettermi a riparo avevo intravisto una grata ad altezza d'uomo e della dimensione di un uomo che bucava la parete.
    Dopo pochissimi istanti, le sbarre vennero disintegrate e i residui sbalzati all'indietro. Dal varco che si era aperto, scorsi Oliver Winkler con al seguito un manipolo di suoi gerarchi che si muoveva a passo di carica verso il centro del laboratorio. Di certo era lì per capire cosa fosse successo. Una buona parte di materia zero era saltata in aria. Sarebbe stato un duro colpo per il Reich e il progetto stesso.
    Quando fui certa che erano abbastanza lontani mi avvicinai all’orecchio di Toth. Il fumo era ormai quasi del tutto scomparso, risucchiato dal tunnel creato da Oliver e i suoi.
    “Andiamo… quel passaggio deve per forza portare fuori. Oliver Winkler è appena passato da lì. Sarà pure arrivato da qualche parte no?” dissi parlando più a me stessa, rimuginando. “Ok, ma cerchiamo di essere prudenti. Non è detto che questo percorso non porti in qualche altro laboratorio sotterraneo e allora ci ritroveremo a fronteggiare un esercito di Devianti già messi in allerta da questa maledetta esplosione!”
    Il mio fratellino era in grado di contemplare anche l’eventualità più remota. Ma a conti fatti non avevamo altra scelta.
    Ci incamminiamo in silenzio attraversando l’apertura nella parete.
    Ci parve di camminare per un tempo infinito, quando oltre alle piccole luci elettriche attaccate ai muri sui lati, potemmo vedere un bagliore più intenso in fondo al passaggio.
    Ci affrettammo nella speranza di trovare l'uscita ma ci ritrovammo di fronte a un'altra lampada elettrica più grande che sovrastata quello che assomigliava a un portone. Nessuna grata. Era in legno massiccio, robusto.
    Guardai Toth e gli comunicai con gli occhi che avrei aperto. Lui era indeciso. Non avrebbe potuto ponderare e prevenire ciò che avremmo trovato là dietro.
    “Abbiamo altre possibilità?” chiesi per levare ogni dubbio.
    Mio fratello scosse il capo.
    “Restiamo all'erta e pronti a combattere.” Annuii convinta e poi feci pressione su un lato dell'enorme uscio. Non vi era maniglia, ma dai segni sul pavimento, avevo intuito ci fosse un meccanismo basculante.
    La scena che ci trovammo di fronte fu a dir poco inverosimile: i due sconosciuti, che ci avevano lasciati al nostro destino nel laboratorio, erano alla nostra destra, e la ragazza aveva tra le mani lo Yumi Bow. Dal lato opposto c'era chi non ci saremmo mai aspettati di vedere: Persephone.
    Ci guardò con occhi sgranati distogliendo l'attenzione dalla coppia di ladri.
    “Persephone! Cosa ci fai qui?” Non ci stavo capendo più nulla. Eravamo giunti nel mezzo di una disputa, ma non avevamo idea di quale fosse il fulcro, né tanto meno il motivo della presenza della mia compagna di Plutone.
    “Potrei farvi la stessa domanda” rispose piccata. Perché doveva essere sempre tanto ostile? Parlare con lei era un'impresa e in quella situazione tanto delicata la sua ritrosia non era di nessun aiuto.
    Toth stava tenendo d'occhio i due sconosciuti e la reliquia, ma io non ebbi tempo di replicare. Il soffitto sopra le nostre teste crollò e Toth si ritrovò sommerso da macerie e calcinacci. Io ero stata presa di striscio e mantenni la lucidità sugli eventi. Mi resi conto che Persephone ci appena aveva deliberatamente attaccati. Mi sembrava tutto assurdo.
    “Ma cosa diavolo ti sei messa in testa? Ti si è fritto il cervello?!” Le urlai con ardore.
    “Avete violato il sacro vincolo del Tempo! Così come questi due” tuonò rivolta anche alla coppia.
    I due sconosciuti stavano per scappare con la reliquia e vidi Persephone divenire livida di collera, scagliando un attacco potentissimo contro di loro. In due crearono una barriera protettiva sollevando le braccia, ma questa servì solo a deviare il colpo che andò a scagliarsi al nostro fianco. Un armadio andò in frantumi e schegge impazzite volarono per la stanza.
    Stava accadendo tutto in pochi secondi, ma mi parvero dilatati e infiniti.
    La mia mente lavorava frenetica senza poter trovare una soluzione. La reliquia stava per essere perduta, Persephone era intenzionata a dispensare punizioni esemplari e l'unica priorità che riuscivo a contemplare era salvare mio fratello, semi sepolto tra le macerie. Non avevo ancora compreso le sue condizioni, non avevo potuto togliere gli occhi di dosso dalle controparti sul piede di guerra. Ma quando iniziarono a scontrarsi tra di loro, mi avvicinai a mio fratello e lo liberai da sotto i calcinacci. Era stordito e pieno di graffi sul volto, sul collo e chissà anche su tutto il corpo.
    “Tieni d'occhio la reliquia… cerca di…” tentò di dirmi a mezza voce.
    “Non fare l'eroe scemo. Non ti lascio. Qui è tutto un casino. Rimettiti in sesto, piuttosto” ribattei convinta. “Non abbiamo idea di come tornare indietro. Dobbiamo essere pronti a difenderci. Persephone sembra molto ‘offesa’ e non abbiamo tempo di spiegarle la nostra disavventura. Non credo abbia intenzione di porci delle domande…” continuavo a parlare a raffica mentre gli toglievo le ultime pietre di dosso.
    Alla fine, mi voltai verso la coppia e la Guerriera di Plutone che ancora si fronteggiavano.
    Creai una sfera infuocata e la scagliai con tutta la mia energia contro la coppia di ladri, prendendoli di sorpresa e scardinando le loro difese.
    Non ce ne saremmo rimasti a guardare mentre un'importantissima reliquia ISU stava per essere trafugata.
    Persephone, però, mi colse totalmente impreparata e tornò ad accanirsi su di noi.
    Come potevo farle capire che stavamo dalla stessa parte?
     
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    :Persephone:
    Il tempo per compiere il passo successivo era arrivato. Una nuova reliquia sarebbe finita nelle mie mani per aumentare il controllo su questa dimensione e portare a termine i miei piani. Con i Monoliti in mio potere, accuratamente nascosti da occhi indiscreti e cuori avidi, mi sentivo molto più sicura riguardo il mio successo.
    Il pianeta Plutone di questa dimensione, che avevo eletto a mio rifugio, era molto diverso dalla mia dimora originaria: qui, occultato nel sottosuolo, esisteva una regione idilliaca, con immensi prati fioriti e un'abbondanza di acqua, profumi, farfalle e suoni melodiosi. Le anime che vi soggiornavano erano felici. Lo aveva costruito Hades per la sua amata sposa, e ora lo sfruttavo io con l'appagamento che derivava dalla rivincita e dalla vendetta che mi ero presa su di lui... sul mio sgradito consorte.
    Lo avevo scelto per tanti motivi, appunto, ma il più importante era la necessità vitale di non far sospettare a nessuno che non fossi io la vera Guerriera e Signora degli Inferi, la patetica Persephone che intravvedevo spesso attraverso gli invalicabili spiragli degli specchi e delle superfici riflettenti. Avvertivo l'odio e la disapprovazione per le mie azioni che le stavano consumando l'anima. Il suo sguardo, con mia somma letizia, era colmo di una brama di vita che di riflesso riaccendeva in me la passione, il desiderio di portare a termine il lavoro per cui non risparmiavo energie. Volevo solo poter vivere la vita che desideravo, come la sognavo. Il mio cuore urlava in perpetuo struggimento.
    Avevo percorso una strada oscura e feroce non avendo altra scelta; il destino si era imposto su di me, ma una volta assaggiato il potere, questo era diventato un elisir stordente. Da quella sensazione inebriante, potente e coinvolgente era passato moltissimo tempo, e avevo sacrificato parti enormi della mia vita per continuare ad accrescerlo. Avevo sfruttato ogni possibilità a mio vantaggio senza farmi ostacolare da stupidi scrupoli o dilemmi morali, ed ero orgogliosa di quanto avevo ottenuto, anche se non ero sempre riuscita ad ottenere quello che desideravo. Una cosa mi mancava, ed era la possibilità di essere... felice.
    Inizialmente fu un'esigenza facile da mettere da parte, ma a poco a poco si fece sempre più importante, difficile da ignorare. Salvare il mondo nel quale ero nata, su cui avevo acquisito un controllo pressoché inattaccabile con la morte dell'Imperatore, non era sufficiente, non più. Ero ambiziosa, certo. Era per questo che miravo a realizzare con ogni mezzo la mia fortuna, compreso tutto ciò che in altri momenti della mia vita avevo solo sognato o sfiorato. Attendevo che il momento arrivasse, e come Domina del Tempo, solo io sapevo quanto questo aspetto fosse importante da rispettare.
    Il complesso disegno per il recupero delle reliquie era preciso e organizzato con la cura e l'astuzia che avevo imparato a sfruttare durante i miei anni da Alfiere, al fianco di figure oscure come e più di me. Ogni manufatto doveva essere recuperato in un momento ben preciso, ovvero quando gli ostacoli nell'ottenerlo erano scarsi. Il piano ambizioso doveva essere attuato senza destare sospetti tra le persone che ne avrebbero così rilevato la scomparsa solo in un secondo momento. Fino a che avessi potuto, la mia identità, ma soprattutto la mia presenza in questa dimensione, avrebbero dovuto rimanere segrete.
    Avevo stabilito di impossessarmi dello Yumi Bow, in mano al Deviante scelto dalla Dea Nyx come suo paladino, quando il loro potere sul pianeta che controllavano non era ancora saldo e completo. Sarei tornata indietro nel tempo, all'inizio del loro Impero: i controlli sul manufatto non sarebbero stati troppo stringenti. In quel modo, difficilmente mi avrebbero scoperta. In caso contrario li avrei messi in allarme, avrebbero cominciato a cercarmi, a mettermi i bastoni tra le ruote, a intaccare il mio operato e a precludermi la possibilità di vincere prima che altre parti del mio lavoro fossero perfezionate e impeccabili.
    Aprii il portale del Tempo tracciando nell'aria il simbolo necessario, e manovrai la dimensione astrale per condurmi esattamente nel luogo e nel momento prescelto. Viaggiai con la consueta facilità, varcando l'oscurità come avrei attraversato una stanza per raggiungere la finestra. Ero quasi giunta a destinazione. La luminosità stava diventando più intensa ma, con questa, anche una nuova percezione. Non sarei stata da sola. Strinsi le dita intorno al bastone, una reazione contrariata davanti alla certezza che chi avrei trovato non avrebbe dovuto, per nessuna ragione al mondo, essere lì.
    Riconoscevo la loro aura come loro sarebbero stati capaci di riconoscere la mia. Erano appartenenti ad un culto che ero certa fosse scomparso ormai per sempre, ma così non era. L'impronta energetica inconfondibile di due Jedi vibrava tangibile, e questo era un fatto preoccupante. Anche se di loro ne fossero rimasti un numero sparuto, di certo non avrebbero dovuto trovarsi in questa dimensione.
    L'ira e il disappunto mi riempirono la mente, ma non ero diventata l'Alfiere per un puro caso. Il tempo di fare il passo successivo e già il mio piano era variato, si era adattato alle condizioni avverse e impreviste. Non dovevo solo impossessarmi della reliquia, ma anche trovare il modo per proteggere la mia identità e le mie intenzioni.
    La luce che illuminava la stanza quasi mi accecò, ma strinsi gli occhi più che altro nel vedere quei due sconosciuti, in abiti eleganti, che stavano per mettere le mani sull'arco leggendario che doveva essere mio. Avevano già sollevato il coperchio della teca che lo custodiva senza che scattasse alcun allarme. Lo avevano disattivato: conoscevo di cosa erano capaci quelli che manipolavano la Forza bene quasi quanto me. Gli Yedi erano stati annientati nel mio mondo perché rappresentavano un elemento di disarmonia per il potere costituito. Ricordavo bene il ruolo essenziale avuto nel loro sterminio, quale sollievo provai in seguito. La loro esistenza aveva minacciato massicciamente le nostre azioni e ancora adesso, pensai costernata, dovevo preoccuparmi che due di loro non rovinassero la nuova ascesa della mia fazione. Come avessero fatto a raggiungere questa dimensione era un mistero che non potevo risolvere al momento, ma ancora più grave era il modo in cui erano riusciti a eludere il mio controllo e attraversare i portali per giungere nel passato di questo universo.
    Non riconoscevo i loro volti, sembravano solo degli esseri umani non diversi da tanti altri. Lo stupore sui loro visi era palese, anche se quello dell'uomo scomparve più velocemente, sostituito da un'espressione grave e risoluta.
    “E' una donna...?!” Disse la ragazza, ancora ferma con la mano a mezz'aria, a pochi centimetri dall'artefatto.
    “Non lo toccare!” Sibilai furiosa; feci alcuni passi in avanti verso la teca. A loro onore, dovevo ammettere che il mio incedere intimidatorio non li aveva fatti muovere di un centimetro. Ero furiosa, e pronta ad incenerirli al più piccolo accenno di resistenza. Nessuno, da molto tempo, aveva osato opporsi ai miei ordini, e la mia tolleranza era scarsa, se non inesistente. Guardai la ragazza dall'alto in basso: ero molto più alta di lei, ma nonostante quasi dovesse rovesciare la testa indietro per fissarmi, non mostrava la minima traccia di incertezza o timore. Le avrei fatto ingoiare la sua arroganza a breve!
    Venni distratta malauguratamente da una nuova informazione: un'energia molto diversa dalle nostre e appartenente, questa sì, al mondo che ora abitavo, si stava avvicinando dal corridoio alle mie spalle, sbarrato da un portone. Era, anzi erano, entità speciali, potenti, considerevoli. Questi esseri non erano umani, e anche loro... avevano viaggiato nel tempo. La mia furia aumentò ancora di più, mi distrasse, mi colse impreparata. Il piano perfetto che avevo architettato stava crollando miseramente, e la rabbia creava con l'incredulità un mix volubile e destabilizzante.
    Quando i due nuovi personaggi entrarono nella stanza, li attaccai prima a parole e poi con i fatti, seppellendoli sotto un ammasso di macerie. Non riuscii a controllarmi, riconoscendo la Guerriera di Marte... Ares! Proprio lei, quella che più di ogni altra avrei voluto vedere morta!!
    Dovevo riuscire a controllarmi: mentre mi scontravo con i due Eterni, gli Jedi erano riusciti ad impossessarsi della reliquia che era mia! Repressi un urlo di frustrazione. Se avessi voluto, li avrei potuti annientare tutti quanti, ma permaneva tuttavia il problema di dover rimanere ancora nell'ombra, di non far capire ai miei nemici quali fossero le mie reali intenzioni. Inoltre, troppo caos avrebbe attirato qui anche quel maledetto capo dei Devianti, e in quel caso avrei dovuto gestire un altro problema, perché se lui avesse visto me o questi altri, sarebbe stato messo sull'avviso troppo presto. La segretezza, il maggior vantaggio su cui potevo fare affidamento, doveva essere preservata. Il gioco che stavo conducendo era audace e geniale, ma anche estremamente delicato e facile ad essere compromesso. E contrattempi come questi lo stavano mettendo pericolosamente a rischio. Un meccanismo sopraffino che un misero granello di sabbia poteva inceppare.
    “Persephone, non siamo nemici, e dobbiamo impedire che la reliquia degli ISU venga rubata da questi ladri, non combattere tra di noi!”
    Trattenni il nuovo attacco che stavo scagliando verso di lei. Mi morsi la lingua per ricacciare indietro l'ostilità e l'impulso distruttivo che avrei voluto sfogare a mio piacimento, percependo il sapore del sangue nella bocca. Le sue parole, per quanto avessi odiato ogni singola sillaba pronunciata dalla sua voce insopportabile, avevano della logica. Non potevo attaccare una mia compagna, per quanto si trattasse solo di un rapporto che mantenevo per pura facciata. Avrei dovuto allearmi con loro e forse, se avessi mosso bene le mie pedine, sarei riuscita comunque nel mio piano: prendere uno dei manufatti sacri, salvare la mia copertura agli occhi di tutti e tenere all'oscuro dell'accaduto anche Nyx e la sua schiera di servitori.
    Feci una smorfia infastidita, mentre con un cenno fingevo di concordare con il ragionamento di Ares. Aveva tra le braccia il suo compagno, e non pareva in buone condizioni, ma sarebbe sopravvissuto; mi girai di nuovo verso i miei veri nemici con una freddezza nello sguardo che fingevo totalmente. Se avessi lasciato il mio furore libero di sfogarsi, avrei raso al suolo la villa in cui ci trovavamo, lasciando dietro di me una scia di cadaveri che si sarebbero trasformati in altri prigionieri nel mio Regno degli Inferi. Ma non potevo.
    Alzai il bastone sul quale la Garnet Sphere riluceva splendidamente, con il suo contenuto prezioso. Non avevo voglia di perdere ancora tempo in quello scenario che avrebbe dovuto vedermi facilmente vittoriosa. Li avrei colpiti per ucciderli, senza pensare nemmeno per un secondo di riservare loro un trattamento più clemente, anche solo per estorcergli delle informazioni. Avrei preferito rimandarli nella dimensione da cui provenivamo tutti, ma questo, purtroppo, non era in mio potere.
    ”Vi pentirete di aver violato le leggi dell'Universo! Io punirò il vostro affronto una volta per sempre!”
    Non erano stupidi come pensavo. Un secondo prima che la mia potenza li annientasse, li vidi accasciarsi senza vita a terra. Digrignai i denti, mentre mi avvicinavo prontamente ai corpi immoti. L'uomo era finito sulla ragazza e lo spostai di malo modo, cercando nelle mani di lei la reliquia che... era sparita! Sgranai gli occhi esterrefatta, mentre non riuscivo a trattenere un sibilo furioso come quello di un gatto impazzito. L'aura degli Jedi era svanita, i miei nemici erano riusciti a sfuggirmi per un nonnulla e in qualche modo, che neanche io riuscivo a capire, si erano portati via anche il mio prezioso oggetto!
    Sentii la voce di Ares come se provenisse dal fondo di un pozzo profondo.
    “Chi erano quelle persone? Le abbiamo seguite senza mai riuscire ad anticiparli o capire per tempo le loro intenzioni ed ora, sono scomparsi...”
    Mi alzai lentamente, gli occhi spalancati e fissi nel vuoto. Avevo voglia di vomitare, tanto la rabbia si stava agitando nel mio corpo. Tornai verso di loro. Sul viso della donna lo stupore faceva il pari con la delusione. Che comunque, non era nulla confronto alla mia. Mi guardava confusa e totalmente ignara del pericolo che ancora gravava sulla sua testa. Presi un respiro profondo, cercando di togliere ogni traccia di furia omicida dalla mia espressione.
    “Erano dei viaggiatori irregolari, come voi! Ho subito avvertito la violazione commessa e sono accorsa per rimettere a posto lo strappo che avete creato nella trama dell'universo! Come avete fatto a muovervi nel tempo senza la mia autorizzazione? ”
    La Guerriera alzò le spalle contrita. “Non lo sappiamo nemmeno noi. E' successo e basta...”
    Mi morsi un labbro per reprimere una reazione violenta. Avevo troppo su cui riflettere, e molto da recuperare, ora che uno dei manufatti fondamentali era finito chissà dove. La spedizione non era andata secondo le previsioni, e non solo non avevo preso lo Yumi Bow, ma avevo anche scoperto di non essere la sola, insieme con i miei alleati, ad aver trovato il modo per attraversare la barriera che divideva i mondi. E inoltre, dovevo anche risolvere l'enigma dei viaggi nel tempo senza il mio controllo. Ares non mi sarebbe stata di nessun aiuto, tanto meno il Generale. Lui sembrava prossimo allo svenimento e si aggrappava con cocciutaggine alla lucidità che gli stava sfuggendo via a causa delle ferite che gli avevo causato con il mio attacco.
    Mi immobilizzai, trattenendo il fiato: se volevo salvare qualcosa da questo gigantesco ostacolo dovevo farmi forza per rimanere nella parte che dovevo recitare almeno agli occhi dei due Eterni, anche se la loro vista mi irritava oltremodo.
    Sorrisi rigida e severa, costringendo i muscoli del viso a muoversi in un modo che non era abituale.
    “Ad ogni modo, non potete rimanere qui. Ogni secondo che passa, l'anomalia che si è creata comporterà per me un lavoro minuzioso e stancante per ripristinare l'equilibrio.”
    Non feci parola della reliquia, non dovevano sapere che ero intervenuta per quella e non per altro. Però dovevamo andare via da lì, prima che qualche Deviante, o addirittura il loro comandante, si insospettisse e piombasse alle nostre spalle. Battei il bastone con un gesto secco sul pavimento liscio e l'altra mano scattò verso i due.
    “Vi avviso, questo grave evento non dovrà avvenire mai più, o non sarò di nuovo così comprensiva. Il governo del Tempo è un compito sacro e complesso ed è sotto la mia responsabilità!”
    Li rimandai indietro senza altro che quell'ammonimento. Appena le loro figure vennero inghiottite dal passaggio che avevo aperto, sputai fuori aria dai polmoni in modo brusco. Respirai a fondo diverse altre volte, per riflettere sulla situazione. I miei occhi si posavano come di consueto sulla sfera in cima all'asta, quando avevo bisogno di recuperare il controllo. Ancora una volta, le morbide volute violacee che si agitavano dentro mi restituirono la volontà e la determinazione per proseguire nel mio dovere. Riuscirono quasi a regalarmi un pallido sorriso.
    Non tutto era perduto. Anzi, si era appena fatto più interessante. Avrei dovuto agire con più attenzione, ma si trattava solo di piccoli, insignificanti ostacoli che avrei spazzato via quando fosse arrivato il momento opportuno.


    Edited by Illiana - 22/4/2021, 11:03
     
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    Tornare. Non pensavo che sarebbe stato così… liberatorio, consolatorio o doloroso? Non riuscivo a trovare i termini giusti che potessero esprimere, anche solo in minima parte, ciò che provai quando riaprii gli occhi su Idra. Realizzai subito che non ero stato fisicamente nel passato, perché le membra avvolte dai rami erano intonse. Esternamente non sembravo aver riportato alcuna ferita di sorta, contusione o frattura che fosse. Niente di niente. Eppure, il mio corpo del passato aveva subito un terribile crollo di macerie. Come in segno di commiato, i rami di Yggdrasill iniziarono a sciogliersi, svincolando uno a uno i miei arti e forse anche la mia anima. Quando fui del tutto libero, crollai, sulle ginocchia prima e sui palmi aperti dopo. Un’esplosione di dolore mi colpii senza preavviso, proveniva dalla testa, si riverberava al centro del petto per poi espandersi verso le estremità. La mia anima cercava di metabolizzare quanto era accaduto nel passato, lasciando strascichi decisamente poco piacevoli. Mi sentivo esausto, come se l’albero avesse prosciugato gran parte della mia energia creando la connessione con un altro mondo.
    Ares. Il pensiero improvviso di mia sorella scacciò spasmi e debolezza. Era ferita quando eravamo atterrati sul pianeta, se io accusavo il passaggio in questo modo, lei come avrebbe reagito?
    Il terrore di perderla mi diede la forza di rimettermi in piedi e voltarmi laddove l’Albero ci aveva presi, accogliendoci e poi dividendoci con i suoi rami magici. La trovai sveglia, vidi Yggdrasill liberarla e accorsi affinché non cadesse al suolo come me. La sostenni, preoccupato per il suo viso cinereo. Era calda, anzi caldissima, nonostante la temperatura corporea di noi marziani fosse naturalmente più alta del normale. Mi sedetti e me la portai in grembo.
    “Ehi, sorellina, come andiamo?” le chiesi con voce lieve, anche se al posto del cuore avevo un grumo di incertezze. Le scostai una ciocca di capelli dal viso e il suo sorriso beffardo, benché stanco e tirato, mi diede forza.
    “Secondo me, sto messa meglio di te. Hai una faccia orrenda, fratello!” cercò di ridere, ma un accesso di tosse la costrinse a fermarsi.
    “Ma vah, a mio parere, se potessi vederti allo specchio, non faresti tanto la gradassa…” ribattei solerte, mentre controllavo la ferita alla gamba. Non sembrava aver ripreso a sanguinare, d’altronde non avevamo idea di quanto tempo fosse passato qui, durante il nostro viaggio onirico.
    “Ci è successa una cosa allucinante, vero?” Il tono di Ares mi costrinse a fissarla negli occhi. Era flebile adesso, addirittura incerto. Era raro scorgere un sentimento simile in lei. Aggrottai la fronte e le tenni il viso con entrambe le mani.
    “I rami di Yggdrasill ci hanno portati in un passato preciso, non so perché, ma è successo. Yggdrasill, di contro, non è sotto il controllo della Guerriera Persephone, per questo quando ci ha visti per poco non ci inceneriva… Secondo la leggenda, l’Albero della Vita è la diretta espressione sul nostro piano del Galaxy Cauldron. Dobbiamo capire tante cose, sorella mia, perché credo che siamo di fronte a qualcosa di veramente gigantesco.” Avrei potuto dirle che andava tutto bene, che saremmo tornati a casa, che adesso era il momento di pensare a rimettersi in sesto, ma non era nel DNA marziano posticipare le deduzioni e le ulteriori domande. Ares e io lo sapevamo bene. E intanto, a dirla tutta, ne approfittammo per riprendere fiato… razionalizzare, nel mio caso, era l’unico modo per non impazzire a fronte di tutto ciò che avevamo vissuto.
    “Persephone... ma l’hai vista? Era furibonda. A un certo punto, ero certa che ci avrebbe uccisi. Ma diamine, capisco che abbiamo violato regole da te sola governate, ma siamo sempre stati alleati, avrebbe potuto prima domandare… c’è qualcosa che non mi quadra…” tossì ancora a causa della crescente animosità con cui aveva parlato.
    “Con lei potremo avere un confronto e chissà magari anche qualche risposta. Il vero mistero resta il perché Yggdrasill ci ha agguantati e portati proprio in quel passato. E se…” Un dubbio si fece strada nella mia testa, mentre con lo sguardo percorrevo la corteccia rugosa e spessa dell’albero. Il diametro del troco era enorme, faticavo a coprire con la vista la curva che avrebbe portato sul lato opposto… e se…
    “E se quegli sconosciuti fossero ancora qui, come noi? Potrebbero aver usato scientemente i rami dell’Albero per viaggiare, solo che noi non abbiamo avuto né tempo né occasione di incrociarli.” Gli occhi di Ares si illuminarono, diventando più grandi di quanto già non fossero.
    “C’è solo un modo per scoprirlo: andiamo a vedere…” Scossi il capo, le sue condizioni erano davvero pessime, tanto che quando tentò di mettersi in piedi, crollò di nuovo tra le mie braccia.
    “Ci vado io, tu resta qui e coprimi le spalle nel caso in cui dovessero circumnavigare il tronco per sfuggirmi. Sono spariti molto prima di noi, con ogni probabilità sono già andati via, ma non possiamo rischiare di lasciarceli sfuggire in caso contrario…”
    Ares annuì solo perché riconosceva la validità tattica del mio discorso, altrimenti non avrebbe accettato tanto facilmente di restare indietro.
    Sfoderai i miei artigli, lieto come non mai di riavere di nuovo la mia armatura addosso. Presi un respiro profondo per racimolare le forze e con passo lento ma studiato iniziai a percorrere la base del tronco, scorgendo qui e lì dei baluginii luminosi lampeggiare tra le crepe della corteccia. Yggdrasill era vivo. Il Galaxy Cauldron ci stava forse mandando un messaggio?
    Ritornai da Ares senza aver scoperto nulla di strano né sull’Albero, né nei prossimi dintorni. L’atmosfera era quieta, nemmeno un rametto mal posto, nulla che potesse lasciare intendere il passaggio di altre persone. D’altronde, non mi aspettavo di trovare chissà cosa.
    “Un buco nell’acqua?” Ares mi accolse con una nota di disappunto nella voce. Capivo la sua frustrazione, la capivo con tutto me stesso.
    “Ecco cosa facciamo ora: raccogliamo del materiale fotografico di Yggdrasill, ma senza più toccarlo. Torniamo al mio Wing e chiediamo che ci vengano a prendere. Poi, direzione Luna. Lì, faremo rapporto e vediamo se qualche saggio potrà dirci di più su questo albero creduto morto da tempi immemori. La nostra missione su Idra finisce qui.” Avevo parlato con tono sostenuto, la fronte corrugata e gli artigli ancora sfoderati. Stavo fissando una leggenda, eppure nessuna sensazione positiva riusciva a raggiungere il mio cuore. Piuttosto, un cattivo presagio aleggiava attorno a noi e alla nostra avventura.
    “Secondo te, perché quei tizi hanno preso lo Yumi Bow?” Qualche minuto più tardi, dopo aver immagazzinato lo shoot fotografico nella memoria della mia armatura da Moon Knight, Ares mi pose quella domanda spinosa.
    “Non ne ho idea. So solo che loro hanno utilizzato con più coscienza di noi Yggdrasill, hanno scelto l’epoca in cui arrivare – quando l’Impero Deviante era agli albori e quindi ancora debole – per rubare una reliquia molto importante. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza per cercare di comprendere chi sono e le loro motivazioni” le risposi mentre la afferravo per un braccio e le facevo segno di salire sulla mia schiena. Non sarebbe stata comodissima, ma saremmo stati più veloci nell’arrivare alla navicella. Come previsto, Ares mi fissò contrariata. “Niente storie, sorella. Prima arriviamo, prima chiamiamo i rinforzi e prima torniamo a casa.” Ancora una volta, il mio discorso non faceva una piega.
    “Lo sai che sei davvero odioso quando hai ragione?” sbuffò, mentre si arrampicava e si assicurava alla mia armatura. Le braccia erano strette attorno al collo e il suo viso a poca distanza dal mio.
    “Allora, vorresti dire che sono odioso per la maggior parte del tempo?” la rimbeccai, con una impercettibile nota amara nella voce. La potei udire solo io, perché bruciava come acido sotto pelle.
    “Più o meno, però sei il mio fratellone, quindi ti concedo di esserlo… e grazie per il passaggio, so che neanche tu sei in gran forma!” Il suo bacio sulla mia guancia arrivò inatteso e fu capace di cospargere miele sull’acido. Era raro che Ares si lasciasse andare a manifestazioni di affetto, in questo lei ed io eravamo dannatamente simili, Iuventas ce ne faceva addirittura una colpa mortale. Perciò, apprezzai quel gesto e lo custodii dentro di me come un gioiello prezioso… Tuttavia, non fui l’unico a gioirne, anche l’“altro” parve emozionato e allora ricordai che non ero solo, che forse non lo sarei più stato. Mi sforzai di scacciare quei pensieri, avevo bisogno della mia solitudine per riflettere su quanto avevo scoperto, al di là della missione…
    “Di niente, sorellina mia, di niente.”
     
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    Avevo fatto rapporto sulla Luna. L'avventura che avevano vissuto con Toth era stata a dir poco allucinante. Da missione di ricognizione per recuperare informazioni, si era trasformata in un perfetto caos. Non avevo voluto passare dall'infermeria per farmi curare. Avevo accettato solo un panno umido per ripulire il viso dal sangue. Le ferite alla testa e alla gamba non sanguinavano più, erano sotto controllo e avrebbero potuto attendere. Mi ero diretta immediatamente nel laboratorio in cui Athena e Partenope stavano già vagliando i dati che avevamo inviato. Dopo aver fatto il punto della situazione, avevamo compreso che sapevamo troppo poco su tutta quella faccenda. Yggdrasil, il viaggio in quel tempo, in quel luogo, la reliquia, gli sconosciuti, Persephone totalmente fuori controllo. Non avevamo idea di come spiegare simili eventi. Ci eravamo lasciate dandoci appuntamento per svolgere nuove ricerche. Ero stata chiara: avevo bisogno di assentarmi per un po'. Dovevo vedere qualcuno. Oltre alla testa in fiamme, il corpo trascurato che chiedeva pietà, non erano nulla in confronto al dolore al petto che bruciava per l'assenza dal mio adorato Bayek. E proprio da lui mi stavo dirigendo. Stavo tornando nella mia nuova casa, sulla Terra, al suo fianco. Mi sembrava fosse passata un’eternità dall’ultima volta che l'avevo visto e averlo di nuovo al mio fianco era diventata un’esigenza fondamentale, come l'aria che si respira per vivere.
    Avevo superato i controlli alle porte di Montereggioni e a passo spedito, mi stavo avvicinando alla casetta indipendente che condividevo con Bayek. Era tarda sera e mi aspettavo di ritrovarlo già a casa a meno di qualche emergenza o missione improvvisa. La situazione del borgo però mi sembrava fin troppo tranquilla, quindi esclusi quella possibilità. Non vedevo l'ora di riabbracciarlo e di bearmi del suo calore.
    Entrai senza fare rumore. Non avrei voluto svegliarlo se fosse stato addormentato.
    Le luci erano spente e camminai in punta di piedi verso la camera da letto.
    Una cascata di acqua gelida mi investì quando notai che il grande letto a baldacchino era intonso. Le coperte erano perfettamente stirate e i cuscini senza alcun segno. La delusione fu forte e una sensazione di angoscia mi avvolse da dentro fin a comprendere tutto il corpo.
    Mi mossi dapprima con difficoltà, come se fossi fatta di pietra e poi più agevolmente. Poco dopo mi misi a correre, ignorando il dolore lancinante alla gamba che non avevo curato e del sangue che furioso sbatteva sulle tempie.
    “No, non può essere di nuovo lì… vi prego santi numi, fate che non sia in quel posto maledetto!”
    Arrivai trafelata davanti al portone della villa Auditore e il portiere mi fece entrare di fronte al mio cenno frettoloso. All’interno vi era un custode notturno che intercettai in cima alla scala che portava nei sotterranei.
    “Hey, scusami… mi sai dire se è in corso una riunione?” Non entrai nel dettaglio. Sapevo che chiunque lavorasse nella magione, fosse a conoscenza dell’esistenza dei sotterranei e delle stanze utilizzate dagli Assassini per i loro briefing.
    “No signora. Non c'è più nessuno in quest'ala. Che io sappia non vi era programmata alcuna riunione. La posso aiutare in qualche modo?”
    A malapena lo feci finire di parlare e lo congedai con un cenno del capo.
    Mi lasciò andare. Io non ero certo soggetta a controlli o limiti in quel luogo. Ero Ares, principessa di Marte, donna del mentore Bayek de Siwa.
    Mi precipitai giù per le scale che portavano nel seminterrato. Pensai che se lo avessi trovato lì, questa volta sarei crollata. Non avrei retto all'ennesimo confronto che mi sentivo gravare sulle spalle. “Dannati fantasmi del passato!”
    Arrivai in pochi attimi all’ingresso del luogo che custodiva la sacra statua di Amunet, lo varcai con passo lieve, come se temessi di giungere a destinazione e fare la nefasta scoperta. Un passo dopo l'altro. Un respiro dopo l'altro. Un battito di cuore dopo l'altro.
    La grande statua di Aya si sbagliava davanti ai miei occhi terrorizzati. Non la degnai di troppa attenzione e scandagliai il luogo con lo sguardo. Lui non c'era… non era seduto al solito posto che prendeva di fronte alla moglie. Di Bayek non vi era traccia. Allora crollai di schianto al suolo con le ginocchia. La gamba pulsava pericolosamente, ma non me ne curai. Il dolore più forte era quello dentro al mio petto. Non sapevo se sentirmi sollevata per non averlo trovato, o se essere preoccupata per non averlo trovato neppure a casa… respirai a fondo per recuperare un barlume di lucidità. Mi ero fatta prendere dal panico e dall’ansia di un confronto nel quale mi credevo perdente in partenza e avevo perso il senno. Sì, Bayek era in grado di portarmi alla follia. L'immenso amore che gli portavo mi rendeva insicura e stupida.
    Dopo un tempo che mi parve infinito, mi sollevai da terra e decisi di tornare sui miei passi. Non avevo nulla da fare lì, tanto meno venerare la statua di una donna morta, che per me non avrebbe mai avuto nessun significato.
    Un altro luogo mi venne in mente. Era l'unico in cui avrei potuto incontrare Bayek, lontano dalla mie folli paranoie.
    Ormai arrancavo. La corsa, lo sforzo, la fatica avevano provato il mio corpo. Ma l'unica cosa che desideravo era abbracciare il mio Bayek.
    Entrai in punta di piedi nel tempio che lui stesso aveva costruito e che amministrava con grande solerzia. Era un uomo meraviglioso che aiutava gli altri a dare un po' di pace a se stessi e donarlo al mondo.
    Raggiunsi il retro che non era aperto al pubblico. Uno studiolo minuscolo che lui usava per svolgere le sue mansioni in solitudine.
    E fu lì che lo vidi… era appoggiato sulle braccia alla scrivania di legno massiccio che in confronto alla sua mole, appariva più piccola. Dormiva in mezzo ad alcuni fogli sparpagliati. Un lampo di tenerezza mi investì e mi dipinse un sorriso sul volto. Mi avvicinai a lui con cautela. Non volevo spaventarlo, ma avevo bisogno dei suoi occhi inchiodati ai miei, delle sue forti braccia attorno a me, del suo dolce profumo a inebriarmi. Ero egoista, ma come ben sapevo, lui era la mia aria e mi serviva per respirare.
    Appoggiai una mano lieve sulla sua spalla e la reazione fu repentina. Mi ritrovai con la schiena al muro e il suo avambraccio sotto al mento. I suoi occhi, in un primo momento annebbiati dal sonno, si fecero di ossidiana liquida non appena mi riconobbero e mi lasciò libera all'istante.
    “Mia dea. Perdonami. Mi hai colto di sorpresa.”
    Nella penombra della sala mi osservò da capo a piedi e lo vidi inorridire. “Ma cosa ti è successo? Ti senti bene?” La sua voce mi giunse all'udito al pari di una panacea. Avevo dimenticato le ferite e il dolore, ma lui le aveva notate anche fin troppo bene. Con dita leggere mi sfiorava la fronte, dove campeggiava il taglio ricoperto da sangue secco. Mi sfiorò la guancia leggermente escoriata e infine le labbra con un pollice. Il suo sguardo era tormentato, come se la mia sofferenza fosse dentro di lui.
    Io non riuscii a parlare subito. Dopo l'attacco di panico di poco prima, tutto ciò che volevo era sostare quanto più possibile tra le sue braccia, così allacciai le mie intorno al suo collo e infossai il volto tra la gola e la clavicola. Ero stanca, dannatamente esausta… ma la sua vicinanza mi dava tanta forza.
    “Non ti preoccupare. Sto bene. La missione su Prospero e successivamente, quella su Idra, si sono complicate un po'. Ti racconterò tutto…” stavo dicendo, mentre lui mi sollevò da terra e mi accolse vicino al suo petto.
    “Andiamo a casa adesso. Devi riposare e ti benderò le ferite. Non vorrei che si infettassero.” disse con tono dolce.
    “Non ce n’è bisogno. Davvero… mi basta stare qui così. Sono forte io…” risposi cocciuta, mentre lentamente stavo scivolando in un sonno profondo, causato dalla spossatezza dopo giorni assurdi e dalla certezza di essere in buone mani.
    “Lo so che sei un’Eterna, ma non sei immort…”
    Non riuscii a finire di ascoltare. Ero già nel mondo di Morfeo.
    […]
    Mi svegliai dopo un tempo che mi parve molto lungo, ma in realtà non avevo idea dei minuti o delle ore trascorse.
    Il profumo familiare di Bayek mi accolse e cullò il mio torpore.
    Notai che il dolore alla gamba era diminuito e che adesso era fasciata. La testa ancora pulsava, ma ero lucida e mi guardai intorno.
    Il mio adorato Bayek era al mio fianco che dormiva. Era quasi l'alba e a breve si sarebbe alzato per svolgere le sue mansioni. Mi maledii per aver dormito così tanto. Ero crollata piegata da una fatica che non era soltanto fisica, ma anche mentale. Non volevo disturbare il suo sonno, aveva passato la notte a prendersi cura di me e doveva approfittare di ogni attimo di riposo.
    Mi alzai con qualche sforzo, ma non mi feci irretire. Volevo preparare una colazione sostanziosa per lui. Non ero affatto una cuoca provetta, ma sapevo che il mio uomo avrebbe apprezzato la buona volontà.
    Quando stavo per allontanarmi, mi sentii afferrare per un polso.
    “Dove vai... dovresti riposare.” mi disse con una voce tanto dolce da farmi sciogliere.
    Mi voltai verso di lui e mi rimisi a sedere, nascondendo una smorfia di fastidio. La ferita alla gamba tirava, ma ormai era solo un butto ricordo. Guarivo in fretta.
    “Ho riposato tutta la notte. Invece tu sei stato sveglio per me… non avresti dovuto. Non ero tanto grave…” mi guardò con sguardo liquido.
    Quanto lo amavo? Era un sentimento intenso, viscerale, che mi faceva agire in modi sconsiderati. Ripensai al terrore della sera prima di trovarlo di fronte alla statua di Aya e mi sentii profondamente in colpa. Per ciò che avevo provato, per l’insicurezza che mi rendeva debole.
    “Ho fatto quello che dovevo e quello che volevo. Tu prima di tutto, lo sai…” Dopo queste parole mi sentii anche piena di vergogna. Di fronte ai suoi sentimenti, mi vedevo del tutto inadeguata. Lui notò il mio cambio repentino di umore e si avvicinò. Mi sfiorò una guancia.
    “Parlami Ares. Cosa ti turba?”
    Io mi ritrassi per non crollare. Asciugai una lacrima invisibile col dorso della mano e mi sollevai di scatto dal letto.
    “Sto bene! È meglio che vada di là.” volevo fuggire per nascondere la mia debolezza, e per era un’onta mostrarmi fragile.
    Non ebbi il tempo di coprire due falcate che mi sentii bloccare di nuovo, questa volta per le spalle. Avrei potuto scostarlo e proseguire sul mio cammino, lui non mi stava trattenendo con la forza, ma non lo feci.
    Avevo una grande rabbia dentro e tentai di domarla per non ferirlo. Non se lo meritava. Mi fece voltare nella sua direzione e alzai impercettibilmente il mento per guardarlo negli occhi. Erano limpidi come il suo animo, ma inquieti.
    “Non ti lascerò andare via, non finché non mi avrai detto cosa ti turba al punto da sottrarti al mio tocco.” Bayek era così… era capace di scardinare le montagne con la forza del suo grande cuore. Era di animo gentile, ma otteneva sempre quello che voleva. I nemici non avevano scampo sotto i suoi colpi mortali e neppure io…
    Agii di istinto. Gli presi il volto con entrambe le mani e lasciai fluire la mia collera.
    “Vuoi davvero conoscere i miei pensieri? Ripenso sempre all'immenso amore che hai portato alla tua sposa, che hai donato a tuo figlio. Ripenso al sentimento puro che ti lega a me e io… di fronte a tutto questo mi sento un nulla. Un essere piccolo piccolo pieno di dubbi e incertezze. Ti amo Bayek, lo faccio con tutto il mio cuore, ma mi sembra che non sia abbastanza. Io… non ti merito davvero!” quasi ansimavo per l’intensità delle emozioni che da troppo mi tenevo dentro e che pian piano mi stavano logorando.
    Lui, ancora prigioniero delle mie mani, sorrise. Il suo sorriso candido mi destabilizzò del tutto.
    “Eccola, la mia Ares, combattiva e prorompente. Che è in grado di distruggere nemici ed esseri immondi e poi, dubita della sua stessa capacità di amare.” afferrò le mie mani e le tenne tra le sue. “Ricordo quando mi sono svegliato in un altro mondo, simile al mio, ma non uguale. Ricordo la confusione e la tristezza…però ricordo anche la presenza di una dea meravigliosa, irruenta, scontrosa, che ha afferrato la mia mano e mi ha tirato fuori dal baratro della malinconia. Mi hai insegnato a vivere di nuovo, Ares. Non siamo in una gara a chi ama di più. Siamo solo io e te uniti da un legame speciale, unico.” la sua voce calda era melodia per le mie orecchie.
    “Ma tu, io ti vedo, non sei soddisfatto, sei alla ricerca costante di qualcosa e non so se vorrai trovarla nel tuo passato o nel tuo presente…” il riferimento ad Amunet era ben poco velato.
    Lui prese ad accarezzarmi il volto con un gesto ritmico fino al collo. Si prese un attimo per rispondere.
    “Come dicevo prima, questo non è il mio mondo e non è il mio tempo. Mi sono adattato il meglio che ho potuto, e sono stato anche un po' egoista usandoti come ancora, per non perdermi. Le mie incertezze non hanno nulla a che vedere con te… sono solo mie e riuscirò a dissiparle. Te lo prometto.”
    “Come posso aiutarti?” chiesi implorante. Non era la prima volta che lo domandavo, ma mi sentivo inutile. Fin troppo.
    “Lo stai facendo. Lo fai ogni volta che mi sorridi, che mi tocchi con le tue mani di fuoco, che mi baci con le tue labbra di rosa. Restando al mio fianco, sempre!”
    Lo afferrai di nuovo per il volto e lo baciai con forza, con disperazione. Il mio cuore era un po' più leggero adesso.
    Lui ricambiò il mio gesto con impeto. Gli saltai in braccio e lo strinsi in vita con le cosce.
    Poi, fummo avvolti in una nuvola di passione.
    “Adesso sì che riconosco la mia principessa di Marte.”
    Non ero ancora del tutto convinta di poter essere all'altezza dei suoi sentimenti. Lui era tutto, il mio tutto. Ancora vacillavo, ma le sue parole e il suo amore mi cullarono verso un prezioso momento di oasi, che io afferrai a piene mani e che avrei custodito per sempre in fondo alla mia anima.
     
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    Horus attese con impazienza e apprensione crescente il ritorno dei due Marziani dalla missione che avevano proseguito in autonomia. Avrebbe voluto dire ben altro a Thot, quando comunicò la sua decisione davanti a tutti, con sorpresa per tutti. Era inusuale cambiare arbitrariamente i piani di una missione. Anche se nuovi fatti avessero reso indispensabile un adattamento del piano iniziale, quantomeno esistevano delle linee guida da rispettare e lui le aveva ignorate volutamente.
    Horus aveva il dubbio che questo potesse essere collegato alla tensione che c'era tra loro due, alla rigida freddezza con cui il suo Campione la aveva trattata da quando era tornato. Dubbio che diventò certezza quando Deimos, il Compagno Alato di Ares, la informò del loro ritorno, e del fatto che si trovavano presso la Sede del Consiglio per fare rapporto sulla conclusione e il risultato dell'operazione.
    Dopo un veloce viaggio astrale raggiunse la Luna e le stanze che a Thot erano riservate. Lo individuò all'istante nel piccolo spazio erboso davanti alla sua camera. Planò pesantemente vicino a lui. Era arrabbiata per essere stata lasciata indietro. Non passò alla forma umana perché preferì comunicare telepaticamente con lui. "Dovevamo ritrovarci su Marte, come sempre! Cosa è cambiato?"
    Il Campione era seduto su una panca nel piccolo giardino esterno al suo alloggio lunare. Si rifugiava lì quando aveva bisogno di rigenerarsi, riflettere o entrambe le cose. Udì l'arrivo di Horus in lontananza, percepì la sua rabbia come se ce l'avesse sulla pelle, ma la cosa non lo turbò, in realtà, se lo aspettava. Troppe era le cose che avevano lasciato in sospeso.
    Le rispose solo quando planò a poca distanza da lui, sul trespolo sistemato proprio per lei nel giardinetto. "Dopo la missione siamo venuti qui a fare rapporto e vi sono rimasto per sfruttare meglio l'energia lunare, avevo bisogno di rigenerarmi." Alzò appena lo sguardo dagli artigli che stava lucidando.
    Horus lo scrutò con insistenza, l'occhio dorato che brillava, il becco abbassato, in un muto rimprovero. “Non lo metto in dubbio, ma anche se è successo ben poche volte che tu non avessi bisogno della mia presenza durante una missione, non era questo il nostro accordo. Oppure...” Anche se telepaticamente, Horus non riuscì a evitare che la preoccupazione per le condizioni del Campione, una volta tornato dalla prigionia che gli era stata imposta, trapelasse. Preferì quindi non terminare la frase.
    "Oppure cosa?" Il Campione la fissò con sguardo gelido, fermandosi per qualche attimo dal suo compito, che stava eseguendo con maniacale precisione. L’unico modo che aveva per incanalare le sensazioni negative che lo stavano attraversando in quell’istante.
    Un piccolo schiocco, il becco di Horus che si chiudeva seccamente. Era nervosa. Non avrebbe indietreggiato, ma neppure voleva cadere nella trappola che lui usava spesso, quella di accendere la miccia della rabbia per arrivare allo velocemente allo scontro aperto e avventato. Dopo qualche secondo, rispose con tono conciliante. “Desidero solo delle spiegazioni, per capire cosa è successo.”
    Il Campione si morse il labbro inferiore, talmente forte da sentire il sapore del sangue sulla lingua. "Volevo spazio e respiro. Da quando sono tornato mi sento soffocare. E la tua presenza non ha aiutato." Aveva cercato di far finta che tutto andasse per il meglio, che fosse possibile ritornare alla normalità, alla sua vita di prima, come se nulla fosse accaduto... beh, in quella missione, aveva avuto la prova dell'esatto contrario.
    Horus scosse il capo come per liberarsi della rabbia che lui le stava riversando addosso. Si sentiva ferita dalla sua ostilità, e percepiva una sottintesa, neanche troppo nascosta accusa nei suoi confronti. “Se vuoi tempo e modo per recuperare le tue energie, oltre che la serenità per riprendere i tuoi compiti e il ruolo che ti spetta, possiamo parlarne. Ma evitarmi è solo una perdita di tempo...”
    "Su questo siamo d'accordo. Rimandare ancora non tornerebbe utile a nessuno. Dunque, perché mi hai mentito sulle tue origini?" Il Campione non mosse un solo muscolo del viso, ma i suoi occhi fiammeggiarono, pronti a una battaglia che attendeva da tempo.
    “Ho mentito per un buon motivo, ed è stato tantissimo tempo fa. Ho mentito per poter accedere all'Accademia, perché ero certa che avrei potuto dimostrare il mio valore se ne avessi avuto la possibilità. Con te, invece, sono stata sincera e irreprensibile da quando siamo diventati compagni. Non ti ho mai raccontato bugie.” Horus fu grata del fatto che telepaticamente la sua voce non avrebbe potuto tremare o spezzarsi.
    Il Campione si mosse sul posto dove era seduto, stare immobile diventava sempre più difficile. "In realtà, non avendomi parlato di questo tuo sotterfugio, di fatto non lo sei stata. Hai mentito all'Accademia, ma hai continuato a mentire anche a me. Hai basato un giuramento di fedeltà su una enorme menzogna..." La comunicazione telepatica non gli bastava più, perciò sibilò quelle parole con le corde vocali, serrando forte un pezzo della sua armatura fino a sbiancare le nocche.
    Lei rimase paralizzata, quasi si fosse fatta di sale. Avvertiva ogni più piccolo movimento all'intorno, anche quello di piccoli animali da predare che stavano tranquillamente attraversando il giardino, ignari di lei. Cosa si aspettava, se non quello che stava succedendo? E il disprezzo di lui, quanto era prevedibile? Non si stupì quando la risposta partì senza che lo avesse veramente deciso, in fondo era stata nella sua mente da sempre.
    Da sempre.
    “All'epoca non ritenevo così grave il fatto di mentire su un aspetto irrilevante come il luogo in cui avevo visto la luce. Ero una figlia di Koronis, in ogni fibra del mio essere. Mia madre diventò un Compagno Alato a sua volta, prima di venir cacciata, quindi ogni altra cosa era secondaria rispetto al desiderio di onorare il mio pianeta e il Campione che avrei affiancato.” Mosse di scatto la testa, piccolo segno di nervosismo. “Ma comprendo la tua delusione. Dopo aver ricevuto l'addestramento, capii lo sbaglio, anche se era troppo tardi per rimediare, così se tu mi avessi chiesto notizie in proposito, probabilmente avrei confessato subito. Ora rimane a te la decisione sul da farsi. Se vorrai denunciarmi, accetterò la punizione, senza dartene alcuna colpa.”
    "Puoi trasformarti, per favore? Voglio poterti guardare nei tuoi occhi umani. È molto raro che te lo chieda, ma lo ritengo necessario adesso." Il Campione rifletteva alacremente, non aveva pensato alle conseguenze in realtà, così come non aveva pensato che avrebbe avuto quella resa incondizionata da parte di Horus. "Accetteresti dunque di perdere il tuo ruolo di Compagno Alato, dopo tutti i sacrifici fatti, se io decidessi di denunciarti?" Aveva bisogno di capire, aveva bisogno di ritrovare un dialogo che aveva perso molto prima che l’altro arrivasse a sconvolgere ogni cosa.
    Horus rimase immobile alla richiesta. Se avesse avuto le labbra, se le sarebbe morse ferocemente. Rimanere nella sua forma alata la avrebbe protetta, in qualche modo, le avrebbe evitato di dover nascondere i suoi sentimenti. Fu proprio per quello, alla fine, che decise di trasformarsi in donna. Era un suo dovere affrontare senza scappatoie quanto stava per accadere. Una volta passata alla forma umana, scese a terra con un balzo leggero. Guardò senza incertezza o ritardo il Campione, anche se in cuor suo tremava. Le sue parole non avevano inflessione, erano piatte e non contenevano emozioni. “Non lo sai già, Thot? Non mi conosci a sufficienza da sapere quanto le regole siano importanti per me? Ti ho confessato di aver mentito, e di aver vissuto nella contrizione per secoli. Forse...” Alzò la testa, verso il cielo notturno. “... forse, la mia anima sarebbe libera, una volta che non porterò più il peso dei miei segreti...”
    Il Campione la guardò come se fosse la prima volta, forse perché anche i suoi occhi erano così diversi da un anno prima... ma anche da dieci anni prima... "Credevo di conoscerti, ma poi, ho dimenticato. Forse, a un certo punto, ci siamo allontanati talmente tanto che ho cominciato a dare tutto per scontato..." Come poteva condannarla dopo quelle parole? "Non ti denuncerò. Andrei a distruggere un equilibrio che vibra da millenni tra Marziani e Koronosiani." Non voleva fare del male neppure a lei, ma questo non lo disse, non era importante in questo momento. Un sussulto al centro del petto gli ricordò di non essere solo e digrignò i denti per sopprimere quella sensazione di impotenza che strisciava e lo avvelenava dall'interno. L’altro non era molto d'accordo sulle sue parole, ma non aveva mai dubito di questo.
    Horus tentò di deglutire, senza riuscire a farlo. La sua bocca era arida, così come sentiva il suo cuore. Avrebbe quasi preferito che lui la accusasse pubblicamente, per una serie di motivi che era troppo turbata per analizzare. Pensò che l'altro Thot le aveva già anticipato quale sarebbe stata la decisione del Campione, e che lui conosceva davvero i suoi pensieri. Annuì con un cenno impercettibile. Respinse le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. “Non desidero essere causa di tensioni con nessuno. Perciò rimarrò al mio posto, e lo farò secondo i tuoi desideri, aspettando che l'avversione per il mio tradimento possa un giorno attenuarsi.”
    Il Campione distolse lo sguardo e guardò anche lui la volta celeste. Forse rimanere sarebbe stata una punizione peggiore che essere cacciata via, ma lui aveva il dovere di pensare al bene del suo popolo prima di ogni cosa. Poi tornò a fissarla. "Per tornare a fidarmi di te, devo capire cosa è successo. In tutti questi anni... perché siamo cambiati? La menzogna l'ho saputa solo poco tempo fa, ma prima... dell'arrivo dell'altro, già eravamo distanti: una perfetta macchina da guerra, ma grazie solo all'abitudine. Non c'era più complicità... Perché?" Un'altra puntura al petto. Si premette il pugno contro il torace, per zittirlo. Non volevo le risposte da lui ma da Horus.
    Horus fece una smorfia amara agli interrogativi del Campione. “Siete entrambi uguali sotto questo aspetto, tu e colui che ha preso il tuo posto per tanto tempo. Sia te sia lui mi obbligate a confessare... e io invece vorrei strapparmi ogni fibra che causa questo stato.” Incrociò le braccia davanti al seno come fossero una protezione invisibile. “Il vincolo solenne che ci doveva legare per aumentare la tua gloria si è trasformato, senza che lo volessi, in un coinvolgimento di natura proibita. Un sentimento che non voglio neanche pronunciare, tanto la vergogna e l'avversione che provo per me stessa. Sono stata incauta, ingenua e superficiale. Io ti ho allontanato per evitare la tentazione. È colpa mia se siamo diventati quasi due estranei ma... i mesi in cui tu sembravi meno distaccato e insensibile, ho capito che per noi c'era ancora la speranza di ricostruire qualcosa che fosse... autentico.”
    "Non paragonarmi a lui! Non potremmo essere più diversi... anche in questo aspetto. Me l'ha detto sai? Che in tutto questo tempo hai continuato a provare qualcosa di innaturale e dissacrante. Ma non gli ho creduto... Mi hai vissuto come una tentazione? Per questo hai trasformato ciò che eravamo allontanandomi?" Non riusciva a capacitarsi di una cosa simile. Le sue parole erano uscite fuori strette tra i denti. Ricordava bene quando, anche se solo per poco, aveva rischiato di ricambiare quel sentimento agli albori. Una comunione del tutto fuori luogo e senza speranza. Da lì, sì, da lì tutto aveva cominciato a cambiare. "L'unico modo per costruire qualcosa di autentico è smettere di provare ciò che provi. In maniera definitiva. Con l'altro eri diversa, ma perché lui lo era!" La puntura al petto si trasformò in un dolore costante che lo fece boccheggiare. Se non fosse stato seduto, sarebbe caduto in ginocchio. L'altro non voleva che il Campione la ferisse, si ribellava, ma lui si stava opponendo. Era la sua vita!
    Ad Horus quasi spuntò un sorriso amaro sul viso, davanti al ragionamento di Thot. Una volta, avrebbe trovato estremamente lineare e accettabile il fatto di passare sopra ad ogni tipo di emozione per affidarsi solo alla razionalità, all'onore e al dovere. Alla pretesa di comandare i moti dell'anima solo con la volontà granitica derivante dall'addestramento inflessibile che era stato impartito ai marziani e ai koronosiani fin dalla più tenera età. E non solo ragionevole, ma addirittura apprezzabile. Lei ammirava il suo Campione proprio per il suo animo puro e incorruttibile. Però adesso scoprì con molta sorpresa che invece, l'insensibilità spietata stonava in qualche modo con i suoi pensieri. Come se gli ultimi mesi la avessero cambiata. Strinse le labbra per nascondere la smorfia involontaria. “Non chiedo altro che di ricostruire nuovamente il nostro rapporto.”
    Il Campione la fissò severo, sentendo una gocciolina di sudore freddo scorrere giù lungo la tempia. Aveva notato un certo irrigidimento da parte di Horus che non era riuscito a decifrare, mentre il Thot dentro di lui pareva voler intervenire e stava trattenendosi dal farlo. Era qualcosa che non lo riguardava ed era bene che così restasse. "Voglio sentirtelo dire. Perché in caso continuassi su questa strada torneremmo di nuovo punto e a capo." Si alzò dalla panca e si mise proprio di fronte a lei, sapeva che la sua era una pressione che rasentava la tortura, tuttavia, scoperto il problema bisognava attivarsi per risolverlo. Lui rivoleva indietro un Compagno Alato al cento per cento, per far sì che l’equilibrio fosse ristabilito. Era persino disposto a soprassedere sulle sue bugie, il valore di Horus e il suo contrito pentimento avrebbero di certo aiutato, ma su quanto era emerso... sui sentimenti... no, questo era inammissibile.
    Horus alzò gli occhi su di lui. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, stringendo i pugni di nascosto. In fondo alla sua mente, una piccola voce si chiedeva il motivo della tristezza che la stava assalendo. Sorrise a quella e a tutto il resto, decidendo di ignorarlo come faceva sempre, rivolgendosi alla saldezza delle sue convinzioni e del suo ruolo. “Non voglio mentirti più. Mi stai chiedendo qualcosa che mi richiederà una forza immensa. Perché è molto tempo che la combatto senza riuscire a vincerla. Ma anelo troppo di tornare a essere degna del tuo rispetto, a potermi considerare un Compagno Alato senza macchia, quindi...” Il suo sguardo si perse nel vuoto, oltre la spalla del suo Campione. “... giuro che schiaccerò ogni sentimento impuro, dovessi morire nel tentativo di farlo.”


    Edited by Illiana - 5/5/2021, 12:28
     
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    Il Campione non era certo se fosse soddisfatto o meno di quella risposta, ma si rese conto che era l'unica che poteva pretendere in un momento simile. Ciò nonostante, ancor prima che potesse aprir bocca per rispondere, un dolore sordo gli sconvolse la testa, il petto, il cuore. Ebbe come la sensazione che un ordigno fosse esploso dentro di lui, disseminando chiodi e detriti. Un urlo fu trattenuto tra i denti, ma non poté fare a meno di poggiarsi su un ginocchio. Artigliò l’erba rada del giardino e vi si aggrappò come se fosse l’unica cosa stabile dentro e fuori di lui. Quello che stava provando non era il suo sgomento... no, e il terrore che lui potesse metterlo da parte ancora tornò forte e caparbio.
    Horus vide Toth quasi accasciarsi a terra, l'espressione del suo viso così contorta e sofferente da renderlo irriconoscibile. Si precipitò su di lui per cercare di sostenerlo, circondandogli le spalle con le braccia. Ignorò il tonfo che fece il suo cuore, concentrandosi come d'abitudine sulle esigenze di lui. Un sospetto orrendo la sconvolse ancora di più: “Cosa ti succede? Non hai ancora recuperato dalle ferite della missione, devi riposarti, ora!” Non nominò il vero timore, ovvero che fosse l'altro Toth a condizionarlo.
    Fu un istinto balordo, ma non riuscì a reprimerlo: il Campione si riscosse dal tocco di Horus, quasi come se fosse stato morso da un serpente. Non ne capiva il motivo, cominciava a non distinguere le sue reazioni da quelle della persona che viveva dentro di lui. Il sudore scendeva copioso dalla fronte, lungo il collo e la spina dorsale. “Lui... lui... non riesce a controllarsi...” biascicò, mordendosi di nuovo il labbro e aggrappandosi alla panca lì vicino. Non poteva rivelarle che avrebbe potuto prendere il suo posto in ogni momento, che non aveva alcun potere di replica, che non sarebbe riuscito a impedirglielo...
    “Lui... l'altra presenza dentro di te... è ancora in grado di importi la sua volontà, di farti stare male?” Tirò indietro le mani che si erano strette a lui, in un modo troppo appassionato. Toth si era scrollato dal suo tentativo di aiutarlo come se ne fosse disgustato. Lei si augurò che, nella concitazione del momento, il suo atteggiamento fosse passato inosservato. Avrebbe dovuto controllarsi meglio e di più, ma ora non voleva distrarsi da un problema che poteva rappresentare un grave ostacolo. Aveva dato per certo che il suo Campione, una volta tornato, avesse risolto del tutto la minaccia di poter essere di nuovo sostituito dall'altro uomo, ma così non sembrava affatto!
    “Lo sta facendo... anche se non vorrebbe...” confessò a denti stretti. Si sedette sulla panca, infilò le mani tra le gambe e si rannicchiò in cerca di protezione da quel dolore. Respirò a fondo, tentando di connettersi con l’altro e capire cosa fosse meglio fare. [COLOR=red]“Lui ti ama...”
    “No, non è così... mi ha raccontato di aver conosciuto una persona identica a me, nell'universo dal quale proviene, e di averla amata senza avere avuto modo di dimostrarglielo. Sta solo vedendo lei, in me, e nulla di più.” Fece un piccolo sorriso di compassione per l'altro Thot, considerando l'argomento risolto. Poi rivolse lo sguardo al Campione, corrugando la fronte, e tirò fuori dalla manica un piccolo fazzoletto. “Ma tu non stai bene, e io sono preoccupata per la tua salute!”
    Il Campione sentì il fazzoletto tamponare la sua pelle madida, ma anziché provare sollievo, le fitte diventarono sempre più forti, al punto che gli occhi iniziarono a lacrimare e il corpo a tremare. E poi non riuscì a non perdersi, si sentì affogare e prese ad annaspare per restare a galla... Il terrore si impadronì di lui, quando la consapevolezza che l'altro era riaffiorato divenne reale.
    Thot non era riuscito a reprimere le sue emozioni, a tenere le redini di una volontà che pareva essere divenuta bersaglio di soli colpi inferti a tradimento. Perché nessuno capiva? Perché i suoi sentimenti dovevano essere calpestati a quel modo? Ci aveva provato... a starsene da parte... Ma la disperazione era stata più forte, le parole di Horus lo avevano dilaniato e aveva bramato quel tocco per sé, per la sua carne, per il suo cuore. Circondò la mano di lei con la propria, vi si appoggiò per riprendersi ciò di cui aveva bisogno, respirò a fondo e poi fece qualcosa per cui sarebbe stato condannato a vita: baciò il palmo caldo di Horus, attraverso il fazzoletto prima e direttamente sulla pelle dopo. Una, due, tre volte. E gli parve di ritornare a respirare... Solo allora la guardò negli occhi.
    Horus non si soffermò troppo sul suo gesto premuroso: la aveva appena respinta in malo modo, poteva farlo anche in questo caso. Ma decise di non pensare troppo e di agire d'impulso, certa che così facendo avrebbe messo da parte le sue emozioni per lasciare spazio al senso del dovere, ai riflessi addestrati in anni e anni di lavoro per essere un supporto sicuro e affidabile per lui. Non pensò al suo cuore neppure quando Toth le prese la mano e gliela baciò. Si trattava di un ringraziamento, probabilmente il primo passo per ritornare appieno ai ruoli che avrebbero sempre dovuto interpretare. Sospirò felice, abbandonando per un secondo le paure che la tormentavano da un tempo infinito. Poi, lui alzò la testa, e Horus si sentì mancare, come se le ossa si fossero trasformate in alghe flosce. Non riuscì neppure a sfilare la mano dalla presa, né a reagire alla carezza che le sfiorò la guancia. Toth si era trasformato in una persona diversa, un gemello di sé stesso, che si distingueva dal suo Campione solo per le emozioni che trasparivano dagli occhi. Vi leggeva tristezza, supplica, tenerezza, strazio e ardore.
    Era disprezzo ciò che Thot vide nello sguardo di Horus? Si era accorta del cambiamento e quel leggero sorriso che lo aveva spedito in paradiso si era spento, affossato in una espressione sgomenta. Non era il suo Campione ad averle stretto la mano, che vi si era appoggiato come se ne avesse bisogno fisico... e questo l'aveva delusa. “Non dare per scontato ciò che provo. Il mio amore non è un gioco, né un riflesso. È reale, tanto quello che tu provi per il tuo Campione, non calpestarlo così...” Il respiro era affannoso e non sapeva bene che cosa sarebbe accaduto. Percepiva chiaramente un altro tipo di disprezzo adesso, proveniva dal suo alter ego... ed era indirizzato verso il suo Compagno Alato oltre che verso il suo invasore. Nulla stava andando secondo i piani...
    “Come hai fatto ad essere di nuovo qui?” Soffiò lei, racimolando il respiro per pronunciare quelle poche parole. La testa rischiava di aprirsi per lo sconvolgimento e il trauma che stava provando. Il fatto che la mano fosse ancora nella stretta dell'intruso non era un segno che deponeva sulla sua buona fede e sulla sua determinazione nel mantenere l'accordo appena raggiunto con il Campione, ma la forza era stata risucchiata in un buco nero di angoscia. Lottò per non scivolare a terra, un’ulteriore prova della sua inadeguatezza nel mantenere la disciplina e l'impassibilità che ci si sarebbe aspettate da un buon soldato.
    Thot, dal suo canto, non la lasciò andare, un po' per egoismo, un po' perché non ne aveva la forza. Non sapeva cosa risponderle, non aveva programmato nulla, ma adesso temeva il ritorno del Campione, come l'avrebbe trattata? L’avrebbe punita per questa sua debolezza momentanea? Doveva lasciarla andare e fare in modo che lei mantenesse quella insulsa promessa di prigionia e sofferenza autoimposta? Ci aveva già provato a convincerla che non era la strada secondo lui migliore, ma lo spirito di sacrificio di Horus rasentava l'autolesionismo. Sarebbe stato perdente.
    “Sono stato richiamato... dalle tue conclusioni su ciò che provo... Non so bene come funziona tutto questo, ho tentato di non emergere, ma tu... lui... siete delle macchine senza sentimenti... e volevo mettere in chiaro almeno i miei...” Thot sospirò, non aveva più ossigeno e il Campione scavava per scalzarlo e poter inveire contro entrambi. Si trovava tra l'incudine e il martello... ma forse doveva lasciare che tutto ciò accadesse e lasciarsi andare all'oblio. Ma se lo meritava davvero?
    “Quindi sei tu che hai il controllo della transizione? Anche se trascinato dai tuoi sentimenti, puoi aver ragione della forza del legittimo possessore di questo corpo?” Horus abbassò lo sguardo e girò la testa intorno, quasi si aspettasse che il mondo si fosse invertito nel frattempo. “Le nostre vite dipendono dalle tue decisioni, o peggio, dall'impeto dei tuoi sentimenti? Credi di poterci giudicare e di influire sulle nostre azioni, senza alcun riguardo per il nostro volere...” Si passò la lingua sulle labbra secche, avvertendo un sapore salato. Alla fine, come ulteriore umiliazione, non aveva trattenuto le lacrime. “Ho scelto la mia strada conoscendo quello che avrei affrontato, non ho bisogno di pietà, ma neanche di essere accusata senza motivo. Se solo sapessi cosa causeranno le tue parole...”
    Thot la lasciò andare. Udire quelle sillabe laceranti, vedere la sua sofferenza condensata in lacrime amare e tenerle la mano contemporaneamente non era possibile, lo stava uccidendo. Si appoggiò allo schienale della panca e fissò il cielo, neppure la forza della luna riusciva a dargli sollievo. Il suo dolore non era solo fisico... abbassò le palpebre e le strinse forte. “Mi sono risvegliato qui, non per mia volontà. Quante volte devo ripeterlo?” mormorò senza energia, la voce un filo sottile. “Ho tentato di avere cura del tuo volere, dei tuoi sentimenti per lui... ci ho provato... adesso dammi una tregua...” Avrebbe dovuto trovare la forza per continuare a combattere, ma adesso non ne aveva neppure un briciolo.
    “Cosa vuoi che faccia?” A quel punto, non trovava altra via d'uscita. Nessuno ragionamento, nessuna minaccia, neanche la paura o la considerazione che diceva avere per lei potevano nulla per convincerlo a desistere. La vittoria che Horus aveva ottenuto scacciandolo, restituendo la libertà al suo Campione, si era vanificata solo perché non lo aveva rispettato a sufficienza, nei suoi giudizi. E quindi, come aveva appena riconosciuto, sia lei sia il legittimo erede di Marte non sarebbero mai stati liberi di proseguire la loro vita. Era un tiranno. Gentile, accorato, attento, coraggioso, magnanimo, giudizioso, ma pur sempre il carceriere delle loro anime. “Ho cercato di non pensare più a te, di agire secondo i miei valori, ma tu... continui a rimanere qui, a spiarci, a sparigliare le nostre intenzioni...”
    “Se potessi uccidermi, senza farti soffrire - perché con me verrebbe anche il tuo Campione - lo farei in questo preciso istante” sibilò, conficcandosi le unghie nelle ginocchia, trapassando il lino e incidendo la carne. Si trovavano a un punto morto, da un lato avrebbe voluto mollare tutto, Horus compresa. Non era sua la responsabilità di quanto stava accadendo! Dall'altra, il suo amore per lei lo costringeva a doverla sapere felice. Eppure, anche se lui avesse capito come farsi da parte, con il Campione NON sarebbe stata felice! Nonostante tutto ciò, lui era considerato l'intruso, il nemico, il terzo incomodo. Questa cosa riusciva a farlo impazzire dalla rabbia, ringraziò che il potere lunare non avesse effetto sulle ferite dell'anima... almeno non avrebbe avuto la forza di reagire e di commettere l'irreparabile.
    Il Campione, dentro di lui, si era fatto improvvisamente silenzioso: temeva che Thot potesse mettere in pratica il suo desiderio di porre fine alle loro vite e a quel punto, nessuno avrebbe vinto.
    Le dolevano le ginocchia, immobile come si trovava già da un po', chinata accanto a lui. Non riusciva però a muoversi, a raccogliere la volontà per attivare i muscoli, i tendini. Era davvero uno sforzo superiore a quello che poteva sopportare, perché non si trattava solo di quello, ma di spostare anche il greve peso della situazione, del dilemma orribile che li stava coinvolgendo tutti e tre. Il suo Campione non sarebbe mai tornato davvero alla sua vita, sempre in cattività per colpa di una decisione fatale e imperscrutabile e lei, nonostante avesse fatto tutto per cercare una redenzione, si sentiva ogni giorno di più lontana da un traguardo dove la sua esistenza sarebbe stata irreprensibile. Erano i sentimenti che la condannavano. Quelli di sua madre, che aveva pagato a caro prezzo la sua idea di integrità, quelli suoi, che avevano ignorato i precetti sacri, quelli dell'intruso, che combatteva anche quando sarebbe stato meglio arrendersi.
    “La morte sarebbe davvero l'unico rimedio, ma non...” Esalò un lungo respiro, tra le parole sussurrate quasi solo a se stessa. “Niente di meno della Fidah, o la morte da sola non avrebbe nessun significato...” Rimase a guardare il vuoto, ai suoi piedi, sconvolta.
    Fidah. Quella parola aveva avuto il potere di generare una valanga di emozioni contrastanti. Thot era confuso, dal tono e dalla espressione di Horus non sembrava nulla di buono, anzi, tutto il contrario. Il Campione invece era ammutolito, mentre tentava di nascondere al suo invasore i ricordi e i pensieri che minacciavano di venire a galla. Ma fu Thot a indagare, scavare, costringerlo a venire allo scoperto perché a lui i sotterfugi non piacevano affatto. Tuttavia, rischiò di pentirsi amaramente di questo atto di forza. Le unghie che erano conficcate nelle ginocchia andarono più a fondo e trattenne a stento un ringhio all’interno della gabbia toracica.
    Fidah. Somma Redenzione. Un suicidio rituale che i Compagni Alati compivano quando – per qualsiasi ragione – venivano meno al loro giuramento di fedeltà. Era un modo per espiare i propri sbagli, lavando via col sangue l’onta di aver offeso o tradito il proprio Campione.
    Nessuno osava fiatare, ma Thot non aveva alcuna intenzione di starsene zitto, non quando una simile ipotesi era uscita dalle labbra della donna che amava. Cosa voleva dire? Ciò nonostante, non lo avrebbe domandato a lei… ma al bastardo che seguitava a trincerarsi dietro il muro del silenzio.
    “Ora, tu mi spieghi a che cosa allude Horus. Perché ha parlato di questo rituale? Perché dovrebbe interessarle in questo istante? Non è della sua morte che si stava parlando, ma della mia.” Thot ringhiava nella sua testa, ma aveva quasi la sensazione di avere pronunciato ogni singola sillaba tanto fu intensa. E poi, attese, anche se non per molto, il Campione non poteva tirarsi indietro da quel confronto, lo avrebbe costretto anche con le maniere forti se fosse stato necessario.
    “Horus pensa che tu ti sia incaponito a causa sua, che tu voglia restare a ogni costo… o che non ne possa fare a meno… a causa dei sentimenti che provi per lei…”
    “E allora? Non è una sua responsabilità, cosa c’entra la Fidah?”
    “Se la conosco bene, crede che levando l’ostacolo si risolverebbe il problema. Venendo meno lei, tu mi lasceresti alla mia vita…” Il suo cuore si frantumò in mille pezzi, mentre portava le ginocchia al petto e vi appoggiava la testa sopra. Doveva in qualche modo tenerli insieme quei dannati cocci… doveva…
    “Che terribile sciocchezza… Se solo avessi voce in capitolo e tu non fossi il coglione che sei allora farei in modo di scomparire nel nulla, ci proverei almeno… Ma tu non sei in grado di renderla felice, solo che non se ne rende conto. Pensa che essere un Compagno Alato sia la massima aspirazione… ma non lo è anche amare? Condividere la vita con una persona che ti ricambia? Davvero è convinta che io potrei lasciarle fare una cosa simile…?” Il Campione rimase silenzioso per qualche istante e questo lo insospettì un po’.
    “Amare il proprio Campione è proibito, è un sentimento impuro, che non può e non deve essere vissuto. D’altronde, un Compagno Alato non deve avere altre ambizioni se non quelle di contribuire alla gloria del proprio Campione.” Aveva parlato con tono strano, quasi meccanico.
    “Cosa cazzo vorresti dire? Che per quel sentimento farebbe bene a togliersi di mezzo? Vedi, ho ragione a definirti coglione, anzi pure stronzo. Avete vissuto centinaia di anni insieme e questo è tutto ciò che hai da dire di fronte a una tragedia annunciata? Mi fai schifo.” Thot lo aggredì, sperando di fargli male nel profondo, doveva ferirlo per capire se poteva esserci un minimo di sensibilità in un cuore che pareva fatto di cenere. Amava le sue sorelle, aveva percepito quell’amore fin dentro le ossa. Amava essere un marziano e un MoonKnight. Amava servire la sua Patria e proteggere il suo popolo. Perché non capiva ciò che Horus provava per lui, anzi addirittura lo condannava oltre ad aver represso una scintilla che poteva diventare fiamma ardente.
    “Non possiamo cambiare tradizioni millenarie. Quelle ci hanno retto e portati fin qui su un tappeto di onorevoli vittorie… Ma tu non puoi capire!” Eccolo che veniva fuori dal suo guscio, era l’orgoglio uno dei suoi punti deboli.
    “Sono fiero di non capire una barbarie simile. Sai, sono stato un mercenario per anni, ero convinto di aver trasformato il mio cuore in pietra, che il sangue versato avrebbe per sempre imbrattato la mia anima. Eppure, mi sbagliavo. Ho servito l’Impero Lunare con devozione, votandomi senza remore a ogni sacrificio necessario… ma mai… mai avrei permesso a un’altra persona di togliersi la vita per una colpa che non è una colpa. Mai.” Thot avrebbe voluto prenderlo a cazzotti in questo preciso istante, ma la sensazione che non avrebbero potuto raggiungere una visione comune iniziò a farsi strada come un uragano dentro di lui.
    “Ciò che tu non consideri una colpa, per noi lo è. Non puoi capire il nostro mondo, per questa ragione Horus non ti amerà mai. Lei è talmente devota alle tradizioni a cui ha giurato fedeltà che preferirebbe morire piuttosto che continuare a vivere nell’onta di un amore non permesso…” Un magone improvviso chiuse la gola di Thot e questa volta fu ben lieto di non dover rispondere con le corde vocali a quella terribile verità. Il Campione aveva ragione su tutta la linea, ma questo non avrebbe aggiustato le cose, anzi, le avrebbe solo peggiorate.
    “Allora perché hai accettato la sua promessa di smettere di amarti?” chiese in un flebile pensiero, timoroso di conoscere la risposta.
    “Perché volevo darle una chance... ma il suo sorriso in risposta alla tua carezza, convinta che fosse la mia; il suo tocco premuroso quando mi hai piegato in due dal dolore; adesso che so vedo tutto sotto un’altra prospettiva. Non sono convinto che riuscirà a mantenerla quella promessa…”
    “E quindi? Meglio che muoia così tu potrai trovarti un altro uccellino da ingabbiare e rendere schiavo?” Thot sibilò tra i denti, senza rendersi conto di aver detto quelle cose terribili a fior di labbra. Il suo era stato un mormorio sommesso, ma richiamò l’attenzione di Horus. Si maledisse mentalmente e cercò di stare calmo. “Non lo permetterò mai. Sappilo. Semmai dovesse accadere una cosa simile, tu finiresti lo stesso nell’oblio, perché ne sarai stato il primo responsabile…”
    “Dovresti chiederlo a lei. In fondo, la scelta è la sua.”
    “Dovrei sopprimerti in questo preciso istante.”
    “Il suo odio ti ucciderebbe…” La frustrazione rischiava di spezzare Thot. Non vedeva via di uscita da quel pantano in cui si era infilato. Si strofinò il viso e cercò di respirare più profondamente, rischiava l’apnea.
    “Stai parlando con lui?” La voce fragile di Horus lo costrinse a voltarsi verso di lei. Incrociò il suo sguardo di ossidiana liquida, il suo dolore lo avrebbe ucciso prima del suo odio o della sua morte. Thot annuì piano, mentire non aveva senso. “E cosa ti sta dicendo…?”
    “Mi ha spiegato cos’è la Fidah…”
    Horus annuì decisa. ”La soluzione migliore, quella più onorevole” Man mano che parlava acquistava più sicurezza. ”La cerimonia avverrà davanti a dei testimoni scelti che avranno il compito di certificare che la Redenzione si è compiuta rispettando le regole millenarie, e in questo modo il Campione sarà libero...” scoccò un'occhiata intensa a Toth “... di poter partecipare alla competizione per legarsi ad un nuovo Compagno Alato.”
    Thot sbatté le palpebre per schiarire la mente. Aveva la sensazione di aver ricevuto una serie di pugni in viso, nello stomaco, sull'anima. “Saresti davvero disposta a farti abbattere con un colpo al cuore dal tuo Campione? La persona con cui hai vissuto per centinaia di anni, che avrebbe dovuto proteggerti come se fossi un tesoro prezioso e non un mero animale da compagnia? Come potrei permettere una cosa simile?” Come aveva fatto a vivere in un mondo simile per così tanto tempo? Così lontano da ciò che era e da ciò in cui credeva? Thot non riusciva a capacitarsi che una tale crudeltà potesse essere data addirittura per scontata. Aveva la nausea.
    L'espressione di Horus esprimeva appieno contrarietà, le labbra chiuse e schiacciate tra loro. Si alzò in piedi, guardando Thot dall'alto, e il tono con cui rispose non lasciava spazio ad altre repliche. “Sì, sono disposta a farlo e no, tu non dovrai ostacolarmi più!”
    Thot avrebbe voluto alzarsi e urlarle contro, prenderla per le braccia e scuoterla fino a quando non avesse ritrovato la ragione, ma un flash di un possibile futuro gli fece capire che a nulla sarebbe servito. Una mentalità così radicata e forte non ne sarebbe stata neppure scalfita. Al contrario, avrebbe creato un mostro peggiore di quello, l’avrebbe costretta a scelte ancora più definitive. E lui non voleva nulla di tutto ciò. Dal saperla felice, la priorità si era spostata sul saperla viva in qualche angolino dell’universo e per far sì che ciò accadesse avrebbe dovuto fare, ancora una volta, un passo indietro… Conosceva le intenzioni del Campione, l’avrebbe tenuta sotto stretta osservazione e l’avrebbe punita al primo passo falso… ma a Thot non restava che confidare in Horus e nella sua capacità di reprimere sentimenti nati su un ideale che poco aveva a che fare con la realtà. Non c’era spazio per scelte alternative, non c’era spazio per vivere il suo amore e la sua vita che, a detta di tutti, era nulla più che un errore del destino…
    “Ti amo, Horus, ti amo con ogni fibra del mio essere. Per questo ti lascio andare… Tenterò con tutte le mie forze di non venire più a galla, ma tu promettimi che farai di tutto per restare in vita. Smettere di amare è difficilissimo, chi ama davvero lo sa, ma tu provaci… per la tua incolumità e per non rendere i nostri sacrifici vani…” Thot aveva parlato guardandola negli occhi, alzando il volto su di lei con sguardo fiero. Si stava affidando al Fato… senza sapere che quest’ultimo aveva ben altri piani per lui.
     
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