Tempio Jedi

TYTHON

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    Annarita
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    Sedere su quella roccia, al centro di vestigia tanto importanti quanto in rovina, mi permetteva di ricaricare le mie energie. La Forza, nonostante il passato, permeava ogni singolo granello di polvere. Qui, sotto una volta celeste illuminata da due lune gemelle, avevo la sensazione di poter vedere ciò che questo pianeta era stato: rigoglioso, ricco di habitat, flora e fauna diversificata. La Forza aveva dato vita a un clima temperato, adatto a qualsiasi tipo di vita… ed era stato proprio un fortissimo squilibrio nella Forza, centinaia di anni prima, a ridurlo nello stato in cui lo avevo trovato al mio arrivo. Dopo essere sopravvissuto all’Ordine 66, avevo cercato un posto sicuro dove rifugiarmi per curare le mie ferite, per riflettere sul da farsi, e non ci avevo messo molto a raggiungere con la mente prima e con il corpo poco dopo questa destinazione.
    Come previsto, l’avevo trovato totalmente disabitato, l’antico tempio era ormai un ricordo, solo qualche rudere sparso in un ambiente divenuto ormai perlopiù roccioso e desertico. Ma non lo era nella mia mente… non quando mi trovavo seduto su questa roccia.
    A ogni respiro, a ogni battito, mi ritrovavo al cospetto della storia. Me ne inebriavo, lasciavo che quelle immagini entrassero in ogni mia cellula, nutrendo e corroborando. Sapevo che era la Forza a creare quella magia di cui sapeva avevo tanto bisogno.
    Dopo la distruzione dell’Ordine Jedi, la sconfitta pesava come una macigno sul mio cuore, ma non il disonore. Avevamo lottato fino all’ultima goccia di sangue e solo il tradimento aveva avuto la meglio su di noi. Tremai senza accorgermene e l’incanto si ruppe.
    Aprii gli occhi e vidi la desolazione che mi circondava, ma le lune erano talmente fiere che riuscirono a valorizzare persino le poche pietre rimaste del sacro tempio.
    Lasciai che il mio sguardo vagasse tra le stelle, inspirando a fondo e rilasciando ancora più lentamente l’aria dai polmoni…
    “Puoi avvicinarti, Kayra…” la mia voce spezzò un silenzio surreale, con le sue solite note pacate.
    “Non volevo disturbarti, ma a un certo punto ho sentito una scossa di terremoto e sembrava che l’epicentro fosse… proprio qui.”
    Non me ne ero nemmeno accorto. Forse era questo che aveva disturbato la mia meditazione ed io che continuavo a dare la colpa al mio "non essere più come un tempo". Nonostante fossero passati molti anni dall’ultima battaglia, mi portavo ancora dietro strascichi fisici e non. Ero consapevole che gran parte di essi proveniva da stille di residua paura, che si erano depositate molto in profondità dentro di me. Eppure, vi facevo i conti ogni singolo istante della mia vita. Un Jedi non poteva avere paura, un Maestro doveva insegnare senza la minima macchia a intaccare quegli insegnamenti. Così non era stato per me… per questa ragione il nuovo ordine che desideravo vedere nascere sarebbe stato migliore di me.
    “Forse ho esagerato un po’” ridacchiai a Kayra, facendole segno di avvicinarsi. “Questa è una notte splendida, non trovi?”
    La ragazza mi affiancò e mi fissò per lunghi istanti prima di rivolgere lo sguardo al cielo. Sguardo che sapeva essere austero, dolce, ma anche molto indagatore. Ero certo che lei intuisse le mie debolezze, ma non le aveva mai giudicate, così come non aveva mai messo in discussione le conoscenze che le avevo trasmesso.
    L’avevo trovata grazie all’holocrom, sottratto prima che tutto il mio mondo andasse in pezzi. Ed era stato provvidenziale, perché grazie a esso ero riuscito a trovare una giovane molto sensibile alla Forza abbandonata a se stessa… le avevo mostrato la via e lei aveva deciso di percorrerla.
    Forse per la sua età, forse perché io stesso non mi sentivo ancora pronto per essere di nuovo un Maestro, non l’avevo mai considerata una padawàn nel verso senso della parola. Era una ragazza che aveva autonomamente deciso che i miei insegnamenti erano la risposta a molte delle sue domande… e anche il suo addestramento era stato molto atipico rispetto al codice.
    Con ogni probabilità, era questo di cui aveva bisogno la fenice del nuovo ordine Jedi per rinascere…
    “Sì, è una notte magica…” Kayra aveva risposto dopo diversi minuti, come se avesse voluto lasciare ai miei pensieri il tempo di vagare. Era straordinaria e, ormai, avrebbe potuto essere una Maestra a tutti gli effetti. Di certo, aveva qualità impressionanti, anche se il suo passato oscuro rimaneva un grande impedimento. Il non sapere non ti permette di affrontare, curare e progredire. Io stesso ci avevo messo decenni per accettare il dolore pur conoscendo ogni stanza segreta del mio passato.
    Ci sdraiammo entrambi sulla terra riarsa, la schiena punta da qualche sassolino dispettoso, ma ormai non ci badavamo più. Lo spettacolo era incommensurabile.
    “Pensi che il piccolo Grogu abbia scelto bene? Avresti potuto fare ancora molto per lui… E lui avrebbe potuto essere un ottimo elemento per il nuovo ordine.” La domanda di Kayra giunse sottovoce, delicata come sempre, ma raramente aveva tenuto dentro di sé dubbi o domande. Questo era un altro aspetto che apprezzavo molto di lei.
    “Non avrei potuto dargli ciò che il suo cuore bramava. Il legame con il Mandaloriano per lui è sempre stato prioritario, distoglierlo a forza non avrebbe fatto altro che rendere le cose più spiacevoli. La Forza sa sempre indirizzarti. Lui ha scelto di andare… mentre tu di restare. Dipende solo da ciò che cerchiamo…” Avevo parlato anche io a voce bassa, come se temessi di rompere nuovamente l’incanto delle stelle che danzavano e illuminavano il cielo.
    “Lo sai bene, io ho vissuto tra i mandaloriani e questo legame di cui parli non è normale con i trovatelli. Il Mandaloriano gli vuole bene davvero, forse come un padre, anche se ancora non se n’è reso conto… Quindi, forse, Grogu è più fortunato di quanto possa immaginare…” Rimasi in silenzio per un lungo istante, percependo la sua necessità di assimilare quella conclusione.
    “Lo sei anche tu, Kayra. Avresti potuto vivere tutta la vita senza incontrare la tua strada… la Forza vibra forte dentro di te e ti aiuterà a conoscere anche il tuo passato. Di questo ne sono certo.” Fu così che risposi a domande inespresse senza alcun tono paternalistico. Il mio non era un voler consolare, piuttosto era un esprimere ciò che ogni mia cellulare sentiva.
    Kayra si voltò a guardarmi, mentre io rimanevo con gli occhi sulla volta celeste, così lei tornò a fare lo stesso con un impercettibile sospiro.
    Le risposte non erano nelle mie iridi ma proprio tra quelle stelle che ogni notte ammiravamo e presto le avremmo raggiunte… anche questa era una certezza.
    […]
    L’alba era giunta prima del previsto, o meglio così mi era parso anche se non avevo chiuso occhio. Di solito non dormivo quasi per nulla, poiché la dimensione del sogno era là dove non ero completamente padrone di me stesso, era proprio lì che quelle stille di paura riaffioravano fiaccando il mio essere. Così, un momento che doveva essere di ristoro si era trasformato in un baratro di lotta. Ed io non avevo alcuna intenzione di permettere che accadesse… da qui, il dormire al massimo un paio d’ore in cui riuscivo a crollare in un sonno profondo, senza intromissioni.
    Dopo le mie consuete abluzioni e saluto alla natura, mi accinsi – come ogni mattina – a preparare la colazione abbandonandomi a gesti più volte ripetuti e che riuscivano a nutrire la mia anima. La solitudine mi era sempre piaciuta, ma da quando Kayra era con me, la compagnia era diventata molto più piacevole. Prendersi cura degli altri, in fondo, equivale a prendersi cura di se stessi.
    Kayra dormiva in una costruzione poco distante dalla mia, ma a un certo orario, bussava sull’uscio sempre aperto della mia modesta dimora e insieme consumavamo il pasto più importante della giornata. Spesso in silenzio, altre volte lei mi raccontava sprazzi di sogni nella speranza che interpretandoli avremmo potuto giungere a qualche dettaglio della sua infanzia…
    Quella mattina, però, la ragazza arrivò prima del solito e in mano stringeva un bigliettino di carta: un bollettino di alcune intercettazioni. Informazioni importanti, lo capii dal suo sguardo trepidante. Tuttavia… “Di qualsiasi cosa si tratti, fermati e respira. Finisco di preparare la colazione, mangiamo e ne parliamo”, le tradizioni non si dimenticano.


    Edited by KillerCreed - 22/2/2023, 14:46
     
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    Roberta
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    :Kayra:
    “Boati assordanti rimbombano nelle orecchie, urla strazianti mi rimbombano nel cuore, ma io non smetto di correre. Lo farò fino a che avrò fiato in corpo. Le mie piccole dita sono intrecciate a quelle di un'altra bambina.
    Mi volto a guardarla. È identica a me, sta piangendo e sulle sue guance vedo i solchi delle lacrime nella polvere che le ricopre. Mentre corriamo insieme, inciampo, cado. Lei viene giù con me. Vorrei urlare: “alzati, dobbiamo andare. Non abbiamo tempo”, ma dalla mia bocca non escono parole, solo rantoli sconnessi, come se le corde vocali fossero indipendenti dalla mia volontà.
    Si è fatta male a un ginocchio e continua a gridare di dolore.
    La mia testa e i miei occhi sono pieni, colmi, saturi della sofferenza che mi circonda, ma la sua mi dilania il petto fin nel profondo.
    La prendo per mano e la strattono. La esorto a proseguire e lei si fa convincere. Si alza, raccoglie le forze e iniziamo a correre di nuovo, la morsa che ci unisce è stretta e salda. Poi, l’onda d’urto di un’esplosione troppo vicina ci sbalza via con violenza. Le nostre dita vengono strappate e ci separiamo. Atterro di schiena con enorme dolore su delle rocce aguzze. Piango e prego di non essermi ferita gravemente. Trovo un nascondiglio perfetto. Con grande fatica mi barrico tra calcinacci e una parete diroccata.
    Mi volto verso la battaglia in corso, alla ricerca della bambina che era al mio fianco. Non posso perderla… sento che è tutto ciò che mi resta.
    La vedo, stesa al suolo, ma sta riprendendo conoscenza. Scatto per andarla a prendere, ma un dolore acuto mi toglie il fiato e percepisco, adesso, il sangue caldo che mi cola dalle spalle per tutto il dorso.
    Prima di ritrovare il coraggio di muovermi ancora, scorgo una scena raccapricciate: stanno prendendo quella bimba. Lei si dimena, piange, grida per la paura. Non vuole seguirli. E io… resto paralizzata a guardare mentre se la portano via. Non riesco a muovere un solo muscolo, sembra che persino il mio cuore si sia fermato, non batte più, me lo hanno strappato dal petto? Non lo so… la scena si sfoca attraverso il muro liquido salato che ho negli occhi.
    Kar… Kar…”


    Mi svegliai di soprassalto, sollevandomi dal cuscino, madido di sudore.
    Chiusi gli occhi, regolai il respiro e tentai di riprendere il controllo. Tolsi il cuscino e mi appoggiai direttamente sul giaciglio. Guardavo il soffitto e riportai il mio corpo alla normalità.
    Lo stesso incubo mi perseguitava da sempre. Immagini angoscianti e di dolore si accavallavano in flash nella mia testa, torturando il mio sonno.
    Da ragazzina mi rifiutavo addirittura di dormire per evitare di sognare, finché non crollavo, distrutta dalla stanchezza.
    Solo dopo aver incontrato Shay ero riuscita a dominare le mie emozioni, grazie a suoi insegnamenti e ai suoi consigli, avevo fatto pace con le mie reazioni spropositate.
    Avevo imparato a conoscermi… e anche se l’incubo non era scomparso, avevo imparato a non farmi più prendere dal panico, in preda alle lacrime.
    Al mio risveglio mi concentravo e ritornavo in me, proprio come avevo fatto in quel momento.
    Ripensai al cielo stellato della notte precedente, ai pianeti, le costellazioni e le nebulose che avevo ammirato insieme a colui che consideravo il mio Maestro. La mia guida. Non avrei mai saputo ringraziarlo in modo adeguato per quanto aveva fatto per me.
    Lui minimizzava, lui non si riteneva tanto importante. Mi diceva sempre che tutto ciò che ero e che facevo era parte di me e lui mi aveva solo aiutato a tirarlo fuori.
    Nessuno mai aveva avuto questa cura nei midi riguardi. Ero cresciuta sola… dovevo la mia vita ai mandaloriani, mi avevano salvata da morte certa, ma i trovatelli dovevano imparare in fretta a cavarsela da soli, soprattutto dal punto di vista emotivo.
    Gli anni successivi al mio esilio erano stati un disastro. Per quanto tentassi di aiutare le persone in difficoltà, finivo sempre per combinare qualche grosso guaio. Sempre. E venivo ripresa, allontanata, scacciata.
    Solo dopo, ho scoperto che non ero in grado di incanalare la Forza che albergava in me. Era troppa, era dirompente e mi aveva portato solo difficoltà.
    Shay era stato l’unico a darmi fiducia, a comprendere le mie potenzialità, prendersi la responsabilità di “aiutarmi” a gestirle e farle fruttare per il Bene.
    Ancora non ero brava quanto lui, avevo tanto da apprendere, ma fino ad ora, avevo visto degli enormi miglioramenti. Ero decisa ad andare fino in fondo. Non mi importava quanto tempo ci avrei messo.
    Un’altra cosa su cui dovevo lavorare era l’incubo. Mai era stato nitido come questa notte. Avrei dovuto parlane con Shay.
    Vedevo queste due bambine identiche correre nel tentativo di salvarsi. Una, ero certa fossi io, ma l’altra? Aveva il mio viso, anche se percepivo il suo cuore diverso, come se fosse davvero un’altra persona e non un alter ego creato dal mio subconscio. Ma non capivo. Anche quando urlavo alla fine, prima del risveglio, sembrava dicessi un nome, ma non riuscivo a ricordare cosa, chi…
    Sbuffai infastidita e poi respirai a fondo. Non dovevo abbandonarmi all’esasperazione.
    Era ancora presto, lo capivo dall’inclinazione della luce che filtrava dalla finestrella.
    Improvvisamente, udii l’allarme di una vecchia apparecchiatura che avevo trovato tra i resti di una stanza sotterranea del tempio. Era antiquata, ma ancora funzionante. Rilevava delle curvature nei campi elettromagnetici dei pianeti e dello spazio circostante.
    Mi sollevai dal letto e mi avvicinai al marchingegno.
    Smanettai un po’. Ormai avevo preso dimestichezza nel gestirlo. Misi per iscritto tutte le informazioni che mi dava, senza omettere alcun dettaglio. Alla fine, vennero fuori delle coordinate. Le variazioni elettromagnetiche giungevano da un pianeta del sistema Abregado.
    Sollevai un sopracciglio, dubbiosa.
    Subito dopo mi recai rapidamente nella struttura poco distante dalla mia, nella quale Shay viveva, dove consumavano i nostri pasti e dove ci consultavamo sulle nostre teorie e missioni.
    Quando mi vide sulla soglia, ansimante per la corsa, mi costrinse a darmi una calmata e a fare colazione.
    Sembrava che quella sedia avesse dei chiodi, ero agitata e davvero ansiosa di raccontargli quanto avevo scoperto. Lui, invece, ostentava una calma e una quiete che gli invidiavo, se fossi, stata in grado di provare invidia per il mio maestro.
    “Ok, adesso possiamo parlare?” chiesi frettolosa. Sapevo che avrei dovuto contenere la mia impazienza, ma tra il dire e il fare…
    Un sorriso sornione gli comparì sul volto, ma non disse nulla.
    Credevo che se fossimo stati agli albori dei tempi, in cui gli Jedi erano nel pieno del loro fulgore, mi avrebbe ripresa duramente, ma non lo fece.
    O forse era solo divertito e io mi stavo facendo un sacco di inutili giri mentali.
    Attese ancora un po’. Ero certa volesse tenermi sulle spine e saggiare ancora le mie capacità.
    Io, dal mio canto, sembravo un vulcano pronto a esplodere. Poi, chiusi gli occhi e decisi di prendere un respiro lungo e profondo o il cuore mi sarebbe uscito dal petto.
    Il battito tornò pressoché regolare e sollevai le palpebre. Tornata alla mia realtà, trovai Shay a osservarmi, ancora il suo sorriso canzonatorio sul volto, ma stavolta era anche soddisfatto.
    Mi aveva costretto, semplicemente rimanendo in silenzio, a fare ciò che lui si aspettava da me. Me ne resi conto e gli sorrisi di rimando.
    Lui insisteva nel dire che non si sentiva un maestro, ma lo era eccome. Anche senza parlare, ma con dei semplici gesti era in grado di insegnarmi un sacco di cose.
    “Ora, possiamo discutere di ciò che hai scoperto.”
    Scossi il capo tra il divertito e il rassegnato.
    “Ok, la consolle ha rilevato dei bizzarri squilibri provenire dal sistema Abregado. Ma non ho idea di cosa si tratti. Sono delle anomalie del campo elettromagnetico. Potrebbe significare qualsiasi cosa.”
    “Dobbiamo andare a controllare.” rispose in modo lapidario, ma io non ero pienamente d’accordo.
    “Ne sei proprio sicuro? Potrebbe essere anche un errore della macchina. E poi… ho una strana sensazione. Sento che non è affatto buona.”
    “Fino ad ora, la macchina non si è mai sbagliata. Poi, se con le tue sensazioni negative vorresti dissuadermi ad andare, sai bene che non ci riuscirai. Sarebbe un motivo in più per recarmi sul posto.”
    “Non avevo dubbi, ma permettimi di dissentire. Siamo alla ricerca di altri Jedi. Questa è la nostra priorità. Abbiamo bisogno di più Cavalieri per affrontare qualsiasi minaccia, soprattutto se non sappiamo neppure con cosa o con chi abbiamo a che fare.”
    “Hai ragione. Non è mia intenzione imbarcarmi in una missione suicida.” e mi sorrise di nuovo a quel modo… come quando era intenzionato a ottenere i suoi risultati.
    “Però? So che seguirà un ‘per򒅔 Ero rassegnata.
    “Però ci andrò lo stesso…”
    Non lo feci continuare.
    “Lo sapevo. Ma se sei consapevole dei rischi, perché vuoi farlo? E se ti succedesse qualcosa?” Eccola la mia paura più grande…
    “Ci andrò solo in ricognizione. Manterrò un profilo basso e non mi farò notare. Devo capire cosa sta accadendo laggiù. Non mi accadrà nulla, tranquilla.” e pose una mano calda sulla mia, mentre erano poggiate sul tavolo che ci divideva, fisicamente e nelle opinioni.
    “Vengo con te. Non ti lascerò da solo in questa follia.” dissi risoluta.
    “No, non ce ne sarà bisogno. Voglio che tu rimanga qui a tenere d’occhio quel marchingegno. Non si sa mai. Noi ci terremo in contatto.”
    “Ma perché? Sarei più utile al tuo fianco, a guardarti le spalle.” Misi il broncio e incrociai le braccia, dopo essermi sottratta alla sua stretta.
    Ero molto contrariata e glielo avrei dimostrato. Indipendentemente dal risultato finale, che già conoscevo.
    “Sarebbe uno spostamento inutile. Non accadrà nulla e cercherò solo delle informazioni. Nient’altro. Credimi, sarà noiosissimo.” e non aggiunse altro.
    Io, però, avevo imparato a conoscerlo. Lui non mi portava con sé per proteggermi. Per quanto fossi brava e abile nel combattimento, mostrava ancora questo atteggiamento protettivo che, se da un lato mi faceva piacere e mi faceva sentire al sicuro, dall’altro mi creava un senso di frustrazione, che proprio non sopportavo.
    “Vuoi proteggermi, per l’ennesima volta. Più il pericolo è sconosciuto e più mi allontani. Quando comincerai a considerarci una squadra? Non sono più qualcuno che devi preservare a ogni costo.”
    Lui mi guardò fisso negli occhi. Non era intenzionato a rispondere, lo avevo capito. Ma si limitò a guardami per un lungo momento. Poi, prima di andarsene, si avvicinò alle mie spalle e mi accarezzò il capo con una tenerezza infinita.
    “Ti tengo d’occhio Shay…” lo avvisai.
    E andò a prepararsi per affrontare il “suo” lungo viaggio.
    Rimasi sola con i miei pensieri e l’ansia di una brutta sensazione continuava ad aleggiare nella mia testa e nel mio cuore.
    Lo avrei lasciato andare, perché non avevo nessun diritto di fermarlo, ma non senza un enorme rammarico.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐒𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐈𝐧𝐝𝐮𝐬𝐭𝐫𝐢𝐚𝐥𝐞



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 13/2/2022, 18:42
     
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