Jedi's School

Ossus

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    :Luke:
    Ossus era un pianeta situato nel sistema Adega nel settore Auril, nei Territori dell’Orlo Esterno. L'avevo scelto, non casualmente, in quanto alcuni reperti storici Jedi mi avevano portato a scoprire che quello fosse stato il sito del primo tempio dell’Ordine Jedi.
    Roccaforte dell’Ordine millenni, Ossus fu evacuato durante la Grande Guerra Sith, che lasciò il pianeta sterile e inabitato. Così lo avevo trovato prima che il tempo e la pazienza mi aveva permesso di risvegliare la Forza che lo permeava e lì avevo deciso di costruire quelle che speravo poteva diventare la nuova e la prima scuola Jedi della Galassia.
    Dopo Grogu, mio primo studente, non potevo dire di averne trovati tanti altri, ma la mia ricerca era costante, quanto lo era quella di ricreare l'Ordine cercando manufatti e reliquie che fungessero da guida e reperti da tutelare e preservare per riscoprirne la storia. Il mio viaggio tuttavia si era costellato di incontri interessanti fatto di nuovi amici ed alleati, ma anche Jedi. Cal su tutti che ad oggi potevo considerare probabilmente il mio più caro amico, il "partner in crime" con cui condividevo lo stesso scopo ed obbiettivo. Poi c'era Ahsoka attraverso la quale potevo riscoprire le mie radici e la storia della mia famiglia, di mio padre soprattutto, passando per Ezra che seppur non era mai stato né padawan né jedi si sentiva incompleto nel suo addestramento ed io ero stato più che felice di prenderlo sotto la mia ala, seppur eravamo praticamente coetanei. Si poteva dire che io, Cal e lui fossimo un po' le "teste" di quel nuovo Ordine che si riprometteva di essere dinamico, diverso e più aperto. All'appello poi vi era anche Jyn, arrivata a noi in modo roccambulesco attraverso un fidato alleato -il capitano Andor- su raccomandazione del Generale Syndulla. Lei aveva mostrato indubbiamente una grande affinità alla Forza, seppur ne era totalmente stupefatta. Si poteva dire che ad oggi lei e Jacen erano gli unici due studenti della Scuola, anche se paradossalmente il secondo nonostante la piccola età era molto più avanti rispetto alla giovane bloccata da traumi personali ed incertezze.
    La creazione della scuola e la sicurezza di averla su un pianeta considerato disabitato da tutti nella galassia, aveva permesso che lo stesso diventasse un luogo sicuro conosciuto da pochi, oltre che un buon punto di appoggio anche della nuova Ribellione guidata da mia sorella Leia. Moglie e madre che non se ne stava con le mani in mano e che spaventata dal ritorno di Thrawn pensava fosse necessario iniziare e prepararsi nell'ombra nel caso che la Repubblica non si fosse mai svegliata in tempo, scenario che lei credeva assai possibile.
    Anche per questo erano ripresi i contatti con Fulcrum, di cui solo lei conosceva l'identità e che non condivideva con nessuno. Per una sicurezza maggiore aveva dato anche a me la sua linea radio e su quella ricevevo i suoi messaggi e le sue informazioni. L'ultima che ci arrivò preoccupò a tal punto me e Leia, che mentre lei avrebbe cercato di occuparsene in modo diplomatico attraverso Amylin, chiedeva a me di fare qualcosa di più concreto da dietro le quinte.
    Per questo lei mi aveva assicurato che contattata Hera mi avrebbe mandato qualcuno, mentre io chiesi a Jyn di unirsi alla missione. Avevo capito il suo animo inquieto e d'azione, avevo compreso che il suo addestramento aveva bisogno di adrenalina per andare avanti, per aiutarla ad aprirsi. Non pensavo però che il motivo di uno dei suoi blocchi sarebbe stato colui che il Generale Syndulla mi avrebbe mandato.
    Avevo certamente compreso che i due avessero molta storia in comune, sapevo anche che tutto ciò che io e Leia avevamo fatto con la Ribellione, a partire dalla distruzione della Morte Nera era merito loro... mentre loro sapevano benissimo che noi eravamo stati gli eseguitori del loro sommo sacrificio, uno a cui sempre gli saremmo stati grati.
    “Lieta di vederLa Capitan Andor” dissi porgendogli la mano guantata di pelle nera e stringendo con vigore quella dell'uomo appena sceso dalla propria navicella accompagnato dal suo fedele K-2SO.
    "Il piacere è nostro Maestro Skywalker... e che bello vederti Jyn!" il droide compagno del capitano si fece avanti abbracciando la ragazza, mentre Bee faceva l'offeso ed il Capitano pareva a disagio.
    "Cassian andrà benissimo!"
    "Cassian sia allora! Prego seguitemi e vi illustrerò i motivi per cui siete qui!" dissi invitando entrambi a seguirci, ognuno accompagnato dal proprio droide. R2-D2 ci fece strada in una sala che Jyn conosceva bene su Ossus, una ampia e tonda con al centro un tavolo olografico. Ci incontravamo lì ogni volta che c'era una missione da fare che fosse legata alla Neo Ribellione o alle missioni interne relative all'Ordine.
    "Mi dicevi che Fulcrum si è fatto vivo!" disse immediatamente Jyn. Braccia conserte e sguardo attento, mentre io assentivo con fare serio. Le mani dietro la schiena ritta.
    "Credo che avrà sentito dell'esplosione di un centro minerario ex imperiale..." dissi guardando dritto negli occhi Cassian. Noi eravamo molto isolati da ogni tipo di informazioni, ma sapevo così non fosse per lui, membro attivo dell'aviazione repubblicano agli ordini del Generale Syndulla.
    "Certamente! La Repubblica nonostante la pericolosità del sito, lo ha tenuto attivo... l'esplosione ha causato moltissime vittime... ed i terroristi..." lasciò la frase in sospeso solo perché Jyn lo interruppe "Ennesimo attacco dei finti Ribelli?" mi trovai ad assentire con fare triste.
    "Questa volta però le vittime sono molte. Grazie a Fulcrum abbiamo la certezza che dietro questi attacchi di sia Thrawn. I suoi emissari compiono veri e propri attacchi terroristici..."
    "E firmandoli come Ribelli mette all'erta la Repubblica..."
    "Che così non si fiderà mai di loro!"
    "La Cancelleria Mon Motha crede fortemente che non debbano esistere forze esterne alla Repubblica, ma è anche vero che Leia riconosce i limiti della stessa ed anche noi!"
    "E' cieca! Non vogliono vedere la minaccia che ogni giorno cresce e si fortifica sui loro dubbi!"
    "Per questo la Ribellione è rinata e per questo Thrawn vuole indebolirla. Amylin si recherà sul posto per un incontro diplomatico e per calmare gli animi, mia sorella è certa che approfitteranno della situazione per un nuovo attentato. Dobbiamo stare sul posto ed impedirlo..."
    Vidi i due di fronte a me assentire, mentre io sentì R2-D2 bofonchiare al mio fianco. Gli sorrisi e posai una mano sul suo capo.
    "Amylin sa della nostra presenza ed ovviamente è d'accordo con mia sorella. Partiamo tra un'ora. Useremo la tua navicella Cassian..." e senza aggiungere altro mi congedai fermandomi sulla porta prima di andarmene. Non dovetti nemmeno voltarmi.
    "Ricordati su cosa stiamo lavorando Jyn..." e sorridendo tra me e me, me ne andai.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/5/2024, 20:40
     
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    :Cassian:
    Dopo un primo attimo di smarrimento, dovuto alle parole criptiche con cui Luke Skywalker si era congedato, compresi che il “lavoro” a cui si riferiva che stava facendo con Jyn comprendeva anche il sottoscritto. E la cosa non mi piacque. Non amavo che la mia vita privata si mischiasse con quello che consideravo un impiego a tempo pieno, tanto meno mi piaceva il fatto che Luke fosse al corrente di miei fatti privati.
    Uno sguardo a Jyn mi diede conferma di aver avuto la giusta intuizione, ma non ero affatto ben disposto. Volevo solo eseguire questa missione e tornarmene alla mia base, lontano da lei. Non era previsto alcun incontro risolutore, anche perché la stessa Jyn dimostrava di non averne alcuna voglia…
    Mi puntellai al grande tavolo delle riunioni e mi misi a braccia conserte, segno evidente di chiusura. La fissai con ostinazione, in silenzio. Se c’era qualcuno che doveva parlare, non ero certo io. Ci avevo provato già, in passato. Ci eravamo ritrovati dopo che entrambi ci eravamo creduti morti per anni. Ma il clima non era stato per nulla quello che chiunque si sarebbe aspettato, io per primo avevo troppo da nascondere, di cui mi vergognavo. Nonostante questo, avevo tentato di aprirmi una volta, preso da non so quale lucido slancio, ma Jyn mi aveva letteralmente abbattuto. E dico, letteralmente. Mi aveva attaccato e avevamo combattuto. Ero andato nella palestra dove si stava allenando, non era passata neppure un’ora dal nostro primo nuovo incontro e lei si era rifugiata di fronte al sacco anziché cercarmi. Mi aveva evitato di proposito, perciò l’avevo cercata io, deciso a confessarle tutto quanto… in fondo, felice di rivederla. Ma niente, Jyn mi era saltata addosso, preferendo sfogarsi sul diretto interessato che su un sacco inerme.
    I nostri occhi si erano incatenati, forse amati, ma anche odiati, durante un duro scambio di colpi. Le sue ultime parole, prima di strapparsi i guanti d’allenamento e correre via da me, mi avevano lasciato una voragine al posto del cuore:
    “Mi hai abbandonata. Non mi hai cercata. Adesso, sparisci dalla mia vita!”
    E io l’avevo fatto. L’avevo ignorata, eseguendo i suoi “ordini”, ma non certo senza battere ciglio. Faceva male, tanto male. Forse più dell’astinenza da quelle schifose pillole che mi avevano tenuto lontano da lei, contro cui combattevo ogni santissimo giorno, ora, minuto. Ero sopravvissuto all’esplosione del pianeta per puro miracolo, solo per cadere subito dopo in un altro tunnel, ancora più oscuro e perverso della morte stessa. La morte era definitiva, la dipendenza no. Ti faceva respirare a volte, altre ti ammaliava, altre ancora ti colpiva duramente lasciandoti senza forze. Eppure, da quando l’avevo rivista, la tentazione aveva retrocesso d’un passo, come se l’averla ritrovata aveva liberato dentro di me una energia nascosta, ma che veniva fuori solo quando il tunnel diventava un abisso e mi permetteva di non fare il passo fatale.
    Jyn era la mia àncora, lo era sempre stata, fin da quel momento in cui le nostre labbra si era unite di fronte a una vera apocalisse, convinti che per noi non c’era più speranza… E invece, la speranza aveva vinto, ma adesso lei mi odiava… e io odiavo lei.
     
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    Roberta
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    :Jyn:
    I pugni erano serrati con forza e il cuore batteva all'impazzata. La frase di Luke mi rimbombava in testa come un tamburo. Era vero, stavamo facendo un lavoro a 360° sul mio carattere, sulla mia persona, sulla Forza che scorreva inesorabile nelle mie vene, ma c’era qualcosa che bloccava il percorso. Ed era la mia rabbia. Una collera repressa che affiorava ogni volta che si nominava Cassian o quello che era accaduto sul pianeta distrutto dalla Morte Nera.
    Prima che lui apparisse di nuovo, i sentimenti che mi animavano e mi tormentavano erano tristezza, malinconia e un cocente senso di colpa, che mi logorava il petto e l’anima. Quando, invece, avevo scoperto che era sopravvissuto e che si era fatto vivo dopo un tempo che mi era parso interminabile, la rabbia aveva pervaso il forte senso di sollievo.
    Ero un disastro emotivo e questa girandola di emozioni non mi stava aiutando per niente con il mio percorso per diventare una Jedi.
    Luke ci aveva provato a farmi fare pace con me stessa e con le mie sensazioni contrastanti. Mi aveva spinta a fare chiarezza e a fare quelle domande che mi ronzavano in testa come un tarlo rosicchiante.
    Ma io mi ero rifiutata di affrontare una realtà che mi faceva troppo male e questo era il risultato: una costante guerra fredda che logorava i nervi e il cuore.
    Luke era stato chiaro, era una cosa che dovevo risolvere da sola e prima l’avessi fatto e prima mi sarei liberata di un fardello.
    Cassian era appoggiato alla scrivania con finto fare rilassato. Le spalle erano rigide e le braccia conserte erano un muro invalicabile.
    Aveva provato a parlarmi. Aveva provato a cercarmi, ma la parete inarrivabile l’avevo costruita io, fatta di mattoni di ira e repressione.
    Lo avevo fisicamente aggredito. Non ero stata in grado di tenere a freno il mio furore.
    Il mio cuore era scoppiato di felicità nel saperlo sano e salvo, vivo. Lo avevo guardato: Era in forma, anche se due profonde occhiaie bluastre gli circondavano gli occhi e gli zigomi erano un po’ più scarni del solito. Era dimagrito, ma stava bene. Subito dopo, l’angoscia della perdita e della colpa si erano materializzate e avevo sentito il bisogno di sfogarla su un sacco da boxe. Ero fuggita via senza riuscire a dire neppure una parola. Lui mi aveva seguita e io lo avevo attaccato, con i pugni e con le parole taglienti della sofferenza. Dopo di che, il gelo. Una cascata di chiodi ghiacciati che ci separava inesorabilmente.
    “Luke crede che dovremmo parlare, noi due…” il mio timbro era atono.
    “Parlare, mi sembra che ci abbiamo provato in passato… o meglio ci ho provato, con scarsi risultati.” La sua voce voleva essere altrettanto inespressiva, ma percepii un leggero sfondo di nervosismo.
    Potevo capire di cosa si trattava, perché era lo stesso che succedeva anche a me.
    “Hai ragione… forse quando ci siamo rivisti, sono stata un po’ troppo… impulsiva.” concessi con enorme sforzo, quando l’unica cosa che desideravo era fuggire da lì a gambe levate. “Ma questa guerra fredda tra noi, non ci porterà da nessuna parte” lo stavo dicendo ad alta voce, ci credevo davvero, ma i denti stridevano per la rabbia che volevo trattenere a tutti i costi.
    Cassian fece un respiro profondo, quasi esasperato.
    “Un poco impulsiva? Mi sei saltata addosso come un gatto selvatico, se avessi avuto gli artigli non sarei qui vivo adesso.” Il tono forse voleva essere ironico, ma invece ne uscì sconcertato. Come sempre quando si rivolgeva a me. “No, questa guerra fredda non ci porta da nessuna parte, ma adesso non saprei proprio da dove iniziare... Mi hai chiuso la porta in faccia, ora la vuoi riaprire, ma solo perché a dirtelo è stato Luke...”
    La sua ultima frase fu come uno schiaffo. Ebbene sì, la verità faceva male e lui me la stava spiattellando in faccia senza alcuna pietà. Se non fosse stato per Luke, non avrei mai deciso di parlargli per riaprire ferite che credevo impossibili da risanare.
    “Hai dannatamente ragione! Parlare con te era l'ultima cosa che avrei voluto fare ma, riflettendoci su, credo davvero che dirci quello che pensiamo una volta per tutte, possa essere d’aiuto!” Ero serissima e mi avvicinai di qualche passo a lui. Con voce bassa aggiunsi: “Ogni volta che ti guardo, ti rivedo sul quel pianeta maledetto, ferito, che mi implori di lasciarti andare…e mi imponi di lasciarti morire. Io come una pazza, alla fine, ti ho dato retta e ho vissuto il resto dei miei giorni logorata da un senso di colpa insopportabile, per non parlare del….” “dolore di averti perso” avrei voluto aggiungere, ma mi trattenni. Poi proseguii. “E poi, un bel giorno torni… sano e salvo. Non una parola prima, non uno schifoso messaggio per dirmi di essere sopravvissuto. Non credo per te sarebbe stato difficile scoprire dove fossi. Eppure…” Respiravo a fatica e continuavo ad avvicinarmi a lui come se fosse una calamita, o una luce che avrebbe bruciato le mie ali di falena. “È questo che non riesco a perdonarti! L’ho detto!”
    Cassian stringeva i denti talmente forte che quasi potei sentirli scricchiolare. Era teso e nervoso. Eravamo come due corde di violino sul punto di spezzarsi.
    “Non mi hai dato nemmeno il tempo di spiegare cosa mi fosse successo e perché… non ti ho cercata dopo essermi ripreso. Forse, su quel pianeta, è come se fossi morto sul serio.” Sbuffò cercando di buttare fuori l’aria che aveva trattenuto troppo a lungo. “Hai deciso che ti ho tradita e abbandonata, l’hai deciso TU senza chiedere niente a me, hai fatto tutto TU, Jyn!” Notai che gli tremavano le mani, forse per la frustrazione.
    “Io non ho deciso proprio niente. Ho solo provato a sopravvivere, prima senza di te, con la consapevolezza che fossi morto, che ti avessi abbandonato, e dopo che sei tornato, con la furia che mi monta nel petto, ogni volta che ti guardo!” Non mi ero resa conto di aver alzato la voce e che mi ero avvicinata ancora. Eravamo divisi solo da un soffio di vento. “Non ho avuto modo di decidere. Tutto mi è crollato addosso e sono stata travolta! Queste emozioni sono…” Non ebbi il tempo di terminare il mio sproloquio, perché lui mi interruppe: le sue mani sulle mie guance, le sue labbra sulle mie, il suo calore mi incendiò come una scintilla con la paglia.
    Improvvisamente, ebbi una voglia sfrenata di piangere. Volevo urlare e versare tutte le mie lacrime disperate, ma la sua bocca me lo stava impedendo, non in modo dolce, ma con un bacio selvaggio e sfrontato. Dopo un primo attimo di smarrimento e dopo essermi impedita di abbracciarlo con tutta la forza che avevo in corpo, lo allontanai malamente e interruppi il nostro contatto. Sentii il vuoto, un baratro che ci avrebbe potuto inghiottire. La mia mente era una landa desolata, non riuscivo a riflettere con lucidità e feci quello che più mi veniva meglio: attaccare invece di parlare, assalire invece di chiarire.
    Gli assestai un pugno proprio all’altezza della mandibola. Non credevo se lo aspettasse, ma forse un po’ sì. Non si difese e mi lasciò fare.
    “Non sono ancora pronta a non odiarti…”
    Con quella laconica frase lo lasciai lì, con espressione addolorata e me ne andai.
    Non sarebbe stato semplice lavorare fianco a fianco. Avevo di nuovo deluso Luke, ma cosa più importante, avevo di nuovo deluso me stessa. Avevo fallito e il suo sguardo rassegnato e il dolore lacerante che sentivo all’altezza del cuore, ne erano la prova lampante.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐎𝐫𝐚𝐱



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 3/3/2024, 13:37
     
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    Annarita
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    :Cassian:
    Uno sparo rimbomba. Una singola detonazione con la capacità di distruggere tutto ciò che amo. Il cuore perde un battito e rischia di fermarsi del tutto. L’ondata di forza ci investe e non ci penso un attimo a fare da scudo alla persona che mi è entrata dentro, lasciando la sua impronta indelebile. Attutisco la caduta, benché sia rovinosa per tutti noi. La guardo, i suoi occhi sono sgranati, sanguina e insieme al suo corpo sanguina anche il mio cuore. Le dico di non lasciarmi, di restare con me, di non mollare, perché… ho bisogno di lei per continuare a vivere.
    I suoi occhi si chiudono, è stanca, ma vuole rassicurarmi con un leggero sorriso e una debole stretta sulla mano con cui la accarezzo. È quando si abbandona tra le mie braccia, ormai esanime, che la rabbia prende il sopravvento. Afferro il blaster per la seconda volta, punto il nemico e sono pronto a fare fuoco, ma Luke me lo impedisce, di nuovo. Si mette di fronte a me, dando le spalle alle donne che hanno causato tutto quel dolore. È pazzo, più di me. Ma mi fissa dritto in faccia, mi prende il volto tra le mani e mi costringe a guardarlo a mia volta. E una calma innaturale si diffonde nei miei muscoli tesi, solo il cuore resta a pompare furiosamente nel petto… quello non può essere manipolato, quello chiede vendetta. Quando mi lascia andare, il nemico è scomparso, si è dato alla fuga e io non perdo attimi preziosi a protestare, né a chiedere spiegazioni. Accolgo Jyn contro il mio petto, e le faccio una promessa che manterrò a tutti i costi. Le prometto che non la lascerò più andare, anche se lei vorrà odiarmi ancora, anche se non riuscirà mai a perdonarmi per averla abbandonata, le rimarrò accanto… Perché senza di lei io non respiro.


    Mi svegliai di soprassalto, la fronte madida di sudore, il corpo tremante.
    Continuavo a rivivere quanto era accaduto due giorni prima, senza sosta, non appena per la stanchezza crollavo in un sonno agitato.
    Mi trovavo su una scomoda sedia di legno, al capezzale di Jyn. La mia Jyn.
    Non l’avevo lasciata neppure per un minuto, avevo fatto in tempo a darmi una ripulita, mentre il dottore la operava, ma poi non mi ero mosso più dal suo fianco.
    Temevo che, se fosse accaduto qualcosa, se l’avessi persa di vista solo un attimo, la disperazione mi avrebbe fatto cadere in tentazione e non ero abbastanza forte per respingerla. Perciò, l’unica cosa che ero riuscito a fare era stato rimanerle accanto, cambiarle la pezza bagnata sulla fronte febbricitante, asciugarle il sudore e accarezzarla durante i suoi deliri.
    Dalla finestra filtravano le prime luci dell’alba e per la prima volta mi parve di vedere Jyn respirare un po’ più regolarmente. Mi alzai a fatica, ogni articolazione scricchiolava come se fosse rimasta immobile per secoli e non per qualche ora. Mi accostai al suo letto e le accarezzai una tempia, sembrava meno bollente, le guance erano meno infiammate, pareva riposare più tranquilla.
    Sospirai, sperando che il peggio fosse passato.
    Mi sedetti sul bordo della brandina, attento a non darle disturbo, ma volevo starle più vicino. Infilai le braccia tra le gambe e strizzai gli occhi per allontanare l’ottundamento che quella valanga di ricordi mi aveva lasciato.
    Dei rumori fuori la porta mi allertarono e un leggero bussare anticipò l’entrata di Luke nella piccola stanza.
    Era sempre calmo e controllato, anche quando mi vide serrare la mascella nel riconoscerlo. Con passi misurati raggiunse la seggiola e si sedette. Lasciò trascorrere alcuni minuti prima di parlare, come se volesse darmi il tempo di abituarmi alla sua presenza, consapevole della mia riluttanza nell’orbitargli intorno.
    “Come sta?” mi chiese, com’era prevedibile.
    “Sembra che la febbre sia un po’ scesa questa mattina… sarà il dottore a dirci se è fuori pericolo o meno.” risposi atono, lo sguardo fisso sul pavimento, le braccia ancora strette fra le gambe che dondolavano nervose.
    “Si riprenderà. Jyn è un osso duro.” Già, un osso duro fatto di carne e sangue però. E avevo rischiato di perderla senza che fossi riuscito a dirle quanto mi dispiaceva… tutto quanto. Quando non risposi, Luke proseguì. “Ho parlato con Hera. Amylin sta bene. La sua ferita di striscio al braccio non è seria, grazie a Jyn.” Strinsi le labbra in una morsa ferrea, poi mi passai le dita tra i capelli e sospirai, nervoso. “Prima di andarcene da lì, ho trovato una scheda di memoria, deve essere caduta a una delle due donne. Cal è riuscito a decriptarla e vi ha trovato numeri, tanti numeri. Sembrano delle transazioni. Sta cercando di risalire a qualche nome, ma sembra che Thrawn si serva di mercenari per mettere in atto questi atti sovversivi e farli ricadere su… di noi.” Aveva parlato piano, come se un tono più alto avrebbe potuto infrangere il muro di contenimento che avevo eretto per non crollare.
    Avevo ascoltato tutti quegli aggiornamenti, ma il mio interesse era blando e lui parve capirlo, anzi, sicuramente lo aveva capito, perché dopo l’ennesima occhiata penetrante che sentii su di me, fui costretto a guardarlo.
    “Perché mi hai impedito di fare fuoco contro il nemico? Anche dopo che Jyn era stata ferita… hai permesso che fuggissero senza neppure provare a fermarle, a combattere. Perché?” Erano quelli i dubbi che vorticavano nella mia testa da giorni, avrei potuto vendicare Jyn, ma lui si era messo in mezzo. Fissai i suoi occhi chiari, limpidi come un lago di montagna.
    “Perché quel che ci sembra giusto, a volte non lo è…” La sua risposta enigmatica mi fece scattare in piedi, mi passai entrambe le mani tra i capelli e sul volto, esasperato.
    “Hai lasciato andare le persone che dovevamo fermare, era la nostra missione, ma a causa del tuo comportamento una delle due ha potuto sparare un colpo che avrebbe potuto essere fatale… e nonostante tutto, lo hai rifatto. Mi hai impedito di reagire! Non ha senso!” Sì, davo la colpa a lui se Jyn aveva dovuto proteggere Amylin col suo corpo, se ora era stesa sul quel dannato letto.
    Nonostante le mie chiare accuse, Luke non si scompose. Sapeva che non avevo fatto parola di questo con nessuno, non era compito mio fare rapporto sulla missione e avevo accettato la cosa di buon grado. In fondo, dentro di me, mi fidavo di lui anche se non riuscivo proprio a capire perché.
    “La risposta la conosci, Cassian. Quel che è accaduto, doveva accadere. E non mi riferisco al ferimento di Jyn, ma a tutta una serie di eventi che si sono innescati con questa missione. Inoltre, non dubito che avrà effetti anche sul tuo rapporto con lei. Starà bene e forse potrete risolvere i sospesi che ci sono tra di voi…” Strinsi i denti talmente forte che li potei sentire scricchiolare. Ero un tipo pratico, tutti questi discorsi vaghi e fatalisti non mi piacevano affatto. Glielo comunicai con un sonoro sbuffo, ma non replicai, con lui avevo ben poche chance di spuntarla.
    Luke se ne andò, dopo avermi dato una pacca sulla spalla, lasciandomi con un turbine di pensieri ancora più caotici di prima. Iniziai a vagare per la piccola stanza come un leone in gabbia. Strinsi forte i pugni e li affondai nelle tasche dei pantaloni cargo. Lì, avrebbero fatto sicuramente meno danni che fuori.
    Un sospiro infranse la mia “corsa” e mi voltai di scatto verso Jyn. Si guardava attorno con gli occhi velati, le palpebre semi abbassate, ma era sveglia. Mi avvicinai con un balzo e mi inginocchiai al lato della brandina. Le presi una mano, con attenzione, frenando la mia irruenza. La portai alle labbra e le baciai il dorso, una, due, tre volte. Non so quante volte avevo immaginato quel momento… quando si sarebbe risvegliata e avrebbe visto me, al suo fianco. Avevo immaginato anche che non si sarebbe mai più risvegliata, tormentandomi nel rimorso… ma non era accaduto. Forse Luke non aveva tutti i torti, perché dovevano accadere delle tragedie per renderci conto di quanto siamo stupidi e orgogliosi e testardi?
    “Ehi, come ti senti?” soffiai appena, e il mio cuore perse un battito quando lei si voltò a guardarmi, mi riconobbe e sorrise appena. Era stanchissima ma bellissima.
     
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    Roberta
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    :Jyn:
    Un'oscurità densa come la pece mi avvolge nel mio evidente stato di incoscienza. Il corpo non ha peso né consistenza. Serie di immagini e suoni si sovrappongono creando una cacofonia insopportabile. Se avessi le mani mi coprirei le orecchie, se avessi gli occhi, serrerei le palpebre. Non ce la faccio più.
    Continuo a vedere in sequenza la nostra nemica alzare il blaster contro Amilyn, fare fuoco e il raggio laser rosso giungere verso di noi con una lentezza inesorabile.
    Io mi sporgo, temo di non agire in tempo. E poi una sofferenza atroce mi attraversa e mi impedisce di pensare.
    Basta, basta… non voglio più rivivere quel momento.
    Una voce… Cassian che mi parla disperato, che mi supplica di non mollare, che mi sorregge con una tenerezza che di norma non gli appartiene… il mio cuore rallenta, ma non molla. Ogni singolo battito è ancorato alla voce inconsolabile di Cass… non posso deluderlo. Non posso andarmene. Devo resistere.
    Il buio continua ad essere buio, le immagini vorticose, insieme ai suoni, arretrano e piano piano spariscono.


    E poi, una piccola scia di luce accompagnò il mio ritorno. Il freddo sparì e i contorni dei miei piedi, di un letto di ospedale iniziarono a delinearsi.
    Il mio corpo ancora non rispondeva ai comandi del cervello. Un attimo di panico mi assalì.
    “Cosa mi è accaduto? Perché non riesco a muovermi?”
    Sentii un calore molto piacevole alla mano, il profumo speziato di Cassian mi raggiunse poco prima che i suoi occhi si disegnassero nei miei.
    Sorrisi, sperai non fosse solo nella mia mente, sperai che lui potesse vederlo.
    E sì, lo aveva notato… perché la sua espressione preoccupata si addolcì e provò a sorridere anche lui, ma non gli riuscì tanto bene.
    Provai a parlare, ma le corde vocali mi tradirono e ne venne fuori un suono gracchiante.
    Cass mi accarezzò la fronte, i capelli.
    “Ferma, non parlare. Non ti sforzare!” quasi non sembrava la sua voce, tanto era preoccupato.
    Io, come al solito, non gli diedi ascolto e ci riprovai.
    “Sto… bene. Stai… tranquillo” tentai di calmarlo prima che gli venisse un infarto. Avrei voluto accompagnare il tutto con una nota di ironia per alleggerire la tensione, ma non ne fui capace.
    “Certo, ti credo sulla parola…” Mi rispose lui con una nota di sarcasmo.
    Dovevo essere in pessime condizioni…
    “Vado a chiamare l’infermiera.” Non glielo lasciai fare! Lo trattenni per come potevo stringendo il suo polso. Lui mi osservò confuso…
    “Non… andare” la mia sembrava quasi una supplica. Allora lui comprese e si limitò a premere sul bottoncino rosso per chiamare chi di dovere. Il mio risveglio doveva essere un evento importante…
    Non mi interessava chi sarebbe arrivato… stuoli di medici e infermiere. Lui da qui non si sarebbe mosso.
    Dovevo parlare con lui, dovevo dirgli un sacco di cose.

    Dopo un paio di ore, finalmente il medico se ne andò. Mi aveva fatto un sacco di domande e mi aveva visitato. Mi sarei ripresa. Perfetto! Attesi con impazienza che Cass rientrasse. Avevo lasciato la sua mano durante la visita, solo con la condizione che sarebbe tornato subito dopo. E così fu.
    “Sei qui…” dissi con voce flebile e un sorriso. Da quanto non gli sorridevo? Forse prima di tutta quella tragedia non lo avevo mai fatto. Adesso e ne pentivo.
    “Ti ho promesso che sarei tornato. Come ti senti?”
    “Sto bene… e starò sempre meglio. Hai sentito… il dottore.”
    Speravo che quella rassicurazione bastasse…
    Parve rilassarsi un attimo.
    “Devo parlarti…” iniziai, ma lui mi interruppe.
    “Adesso devi solo riposare… ci sarà tempo per parlare.” Mi rispose con dolcezza.
    Alzai gli occhi al cielo.
    “No, non voglio aspettare. È quando credi di avere tempo e poi… rimandi, che capisci di non avercene più. Guarda cosa è successo. Sono stata una stupida…”
    “Va bene, parliamo. Ma non ti dare della stupida perché altrimenti dovremmo farlo in due.” Cassian tentò di alleggerire i toni per farmi sentire meglio. Poi mi scostò delle ciocche di capelli dal viso e le portò dietro l’orecchio. Era strano vederlo in quella veste, così premuroso. Mi sentivo più leggera. Forse perché non avevo più il peso della corazza che avevo eretto, forse perché mi ero liberata da tutta la rabbia che mi trascinavo dietro come una zavorra.
    Non avevo le forze per continuare a combattere, ma cosa più importante, avevo capito che non aveva più senso farlo.
    “Ok, allora siamo stati due stupidi… ti ho visto quando mi hanno colpita. Ho visto la disperazione nei tuoi occhi. Ho rischiato di non vederti più, dopo quel pugno, dopo tutte quelle accuse… scusami…”
    Cassian distolse lo sguardo, consapevole di avere negli occhi ancora lo stesso lacerante dolore.
    “Mi sono sentito morire anche io...” confessò in un sospiro. “Ma non scusarti. Siamo ancora qui.” Tornò a guardarmi con espressione contrita ma, adesso, più serena.
    Allungai una mano a cercare la sua. Avevo una domanda che mi tormentava e che, presa dalla collera, non gli avevo mai fatto apertamente.
    “Perché non mi hai cercata subito dopo, Cass? Forse… non vuoi parlare di questo, ma è un dubbio che mi tormenta e che non riesco a spiegarmi. Soprattutto dopo aver visto come hai reagito qualche giorno fa… insomma, sembrava ti importasse di me…” conclusi in un soffio, quasi timorosa di dar voce ai miei pensieri.
    Cassian strinse forte la mascella per la tensione, ma ricambiò con delicatezza la mia stretta. Sembrava che tra le mie dita, ancorate alle sue, potesse trovare la forza di rispondere. Prese un respiro profondo prima di parlare.
    “Quando ti ho costretta ad andartene ero certo che non sarei mai riuscito a sopravvivere. Non ricordo molto di quei momenti concitati, ero già ferito, ma poi sono stato sbalzato ancora da un’altra onda d’urto che mi ha fatto battere la testa e perdere i sensi. Quando mi sono risvegliato, ho scoperto di essere stato in coma per tre mesi… L’onda d’urto però mi aveva scaraventato vicino all’ultimo convoglio in partenza e uno dei passeggeri aveva rischiato tutto il carico umano pur di mettermi in salvo.” Ebbe bisogno di una pausa. Pronunciare quelle parole non doveva essere semplice. “Dopo tre mesi di coma, tante ferite erano ormai guarite, ma il mio corpo era comunque ridotto a un rottame. Le ossa distrutte non si erano ancora riassestate a dovere e la riabilitazione è stata lunga, dolorosa… molto dolorosa. Ho iniziato a cercarti, nonostante mi trovassi in un pianeta agricolo e senza particolari mezzi, ci ho provato. Il mio unico pensiero era quello di trovarti per sapere come stavi e dirti che ero ancora vivo. Il dolore, però, era forte, così ho iniziato a prendere degli antidolorifici per velocizzare la ripresa… ma ho perso il controllo, ne sono diventato dipendente…” Non aveva il coraggio di guardarmi, i suoi occhi erano fissi sulla punta degli anfibi, anche se con la mano non smetteva di disegnare piccoli cerchi sul mio polso. “Non riuscivo a contattarti, non riuscivo a rimettermi in sesto, e più prendevo pillole per stare meglio, più mi gettavano nel baratro della sofferenza. Ci sono stati momenti in cui ho desiderato essere morto su Scarif…”
    Quell’ultima frase acuì il mio senso di colpa. Aveva vissuto l’inferno in terra dopo essere scampato alla morte e io non avevo fatto altro che accusarlo, senza fermarmi ad ascoltare. Una volta, lui aveva provato a spiegarmi… ma io ero stata accecata dal mio egoismo. Lui non aveva insistito, al contrario, si era chiuso ancora di più in sé stesso.
    “Adesso capisco perché lo hai fatto, però hai sbagliato Cass e te lo ribadisco. Ma non per i motivi che ti ho vomitato addosso fino ad oggi. Non più. Se fossi venuto a cercarmi allora, non avresti dovuto affrontare tutto da solo. Avresti potuto avere una spalla a cui sorreggerti, proprio come abbiamo sempre fatto in battaglia!” gli strinsi più forte la mano e gli occhi diventarono lucidi. “Scusa se non ti ho dato modo di parlarmene prima. Ti ho chiuso fuori…”
    “Sono stato orgoglioso. Ho fatto vincere la vergogna, e anche adesso, dirtelo mi fa così male che sembra non sia passato nemmeno un giorno da allora. Invece, avrei dovuto darti più fiducia, ho sbagliato lo so. Adesso lo so e forse ho meritato di essere chiuso fuori…” Le sue parole erano piombo fuso sul mio cuore. Mi sembrava di percepire il suo stesso dolore. Mi portai il suo palmo sulla guancia e il calore mi trasmise la forza che volevo dare a lui.
    “Non meriti nulla di quello che ti è capitato. La vita, a volte, è tiranna e vuole solo togliere, ma dipende da noi consentirlo o meno.” Sembrava che fosse un’altra persona a parlare al posto mio. Sembrava che un’altra Jyn fosse emersa di fronte alla sua sincerità, ma sapevo che non era finita. Avevamo ancora un lungo cammino davanti a noi. Ero certa però, che percorrerlo insieme, l’una accanto all’altro, sarebbe stato meno gravoso che farlo da soli. Ognuno immerso nella propria catarsi personale.
    “Facciamo un patto: io abbasso lo scudo, apro la porta che ho sbarrato con prepotenza e tu mi prometti di entrare. Io sarò qui ad attenderti. Che ne pensi?”
    Un leggero sorriso che, di rado concedeva, si fece largo a rilassare la sua espressione perennemente corrucciata.
    Era la risposta che mi serviva.
    Non sapevo dove il nostro “accordo” ci avrebbe portato, né se mi avrebbe aiutato a definire questi strani sentimenti che in me erano nati e cresciuti, ma di una cosa ero certa: non avevo più intenzione di lasciarlo solo con il suo dolore.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐈𝐭𝐡𝐨𝐫



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 25/3/2024, 20:12
     
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    Spesso mi rendevo conto di quanto poco sapessi, di quanto la Forza fosse ancora un gran mistero. La indagavano in lungo ed in largo, attraverso libri, storie ed artefatti, ma forse molto poco mi soffermavo a percepirla.
    Non era raro che mi rifugiassi nel bosco per meditare e non era nemmeno raro che a volte Cal o Ezra o anche tutti e due, mi seguissero, per allenamenti privati ben più attenti e specifici. Quel giorno nel dettaglio mi ero allontanato con Cal ed era quasi il tramonto quando stavamo tornando alla scuola ed io... io ero più silenzioso del solito.
    ”Maestro, mi sembri turbato. Lo sei da quando siamo tornati dalla missione su Orax. Ti va di parlarne?” il suo tono era sommesso, come a sottolineare una offerta di ascolto del tutto libera e disinteressata.
    "Cal sei più grande di me, con maggior esperienza... non capirò mai come puoi considerarmi Maestro... forse è più giusto dire che tu lo sia..."
    Da quando il nostro terzetto si era incontrato e creato, unito da interessi comuni e lo stesso scopo, era stato naturale designarmi come leader e guida. A detta loro avevo una saggezza antica, insita in me, ero figlio del Prescelto, anzi forse come tanti credevano il vero Prescelto ero stato io. Colui che in un solo colpo aveva riconquistato l'amore del padre e messo fine all'Impero. Tuttavia la mia modestia, mi impediva di vedermi così come tutti mi percepivano. Forse a volte era anche solo la pressione, di deludere così alte aspettative.
    "Tu ed Ezra avete avuto un addestramento ben più completo del mio. Tu stesso hai avuto modo di vedere come la vecchia scuolaJjedi fosse... avete vissuto con degli Jedi. Con loro avete potuto confrontarvi su credenze, usi e costumi... Questo mi manca ed adesso mi sento perso. Confuso. Da quel poco che da Ben e Yoda ho appreso è che... che l'amore è precluso. Guarda mio padre, l'amore per mia madre è ciò che l'ha fatto perdere... eppure vedo te e Merrin... ascolto Ezra su Kenan ed Hera e... tutto è l'opposto di ciò che mi è stato raccontato... insegnato... Sono confuso..."
    Notai come il mio caro amico mi ascoltava in silenzio, mentre un sorriso sempre più aperto si disegnava sul suo viso.
    "Per me la tua Forza è un faro, per questo ti considero un maestro, Luke." mi rispose senza esitare e poi proseguì dicendomi "Sai, proprio perché ho vissuto gli Jedi quando ancora contavano qualcosa, posso dirti quanto, in fondo, avessero qualcosa che non andava. Se sono caduti, può darsi che dovevano anche loro imparare qualcosa. In questo caso, noi dobbiamo imparare qualcosa in più. Forse il primo insegnamento riguarda l'Amore."
    Nei suoi occhi notai un velo, fatto di chissà quanti pensieri e dubbi, tuttavia non smise di guardarmi, con quel fare fraterno che solo lui sapeva avere.
    "Ci hanno sempre insegnato che l'Amore è debolezza, poiché ti toglie lucidità e rischia di farti cadere nelle passioni. Vero. Ma non ci è stata raccontata tutta la storia, però. Da quando conosco Merrin mi sento invincibile, lucido, razionale ma allo stesso tempo... aperto a tutto ciò che posso ricevere da lei. Questo alimenta la Forza in me... non la inquina..."
    Dopo quelle sagge parole Cal si fece silenzioso, camminammo fino quasi al campo, mentre io ancora sentivo rimbombarmi in testa quelle parole. Cercavo di farle mile, di assimilarle e comprenderle. Mi trovai ad assentire silenziosamente e poi fermandosi di colpo, mi voltai a guardare il mio caro amico, posandogli una mano sulla spalla.
    "Credo dunque che dovrò scoprilo allora... non mi hanno mai spaventato le prove de la Forza... non incomincerò ora... non di fronte a qualcosa di tanto forte e bello, seppur per me sconosciuto"

    Ci eravamo così tanto inseguiti e ricercati, fino al punto che in quel momento, sotto quella forte e fredda pioggia, non avevo né forza né desiderio di muovermi.
    Immobile, come sospeso in un momento che non era né realtà né ricordo, compresi molto bene che dopo settimane di visioni che mi avevano legato a Mara Jade mostrandosi sprazzi di una vita che ancora dovevamo vivere, che adesso forse il Mondo dei Mondi ci aveva chiamato a sé.
    Distanti, ma vicini, lì non c'era il concetto di spazio né di tempo, tuttavia la pioggia continuava a cadere ed io fissavo Mara Jade di fronte a meno con la sua spada laser, ben salda tra le mani.
    Lo sguardo di una guerriera che ha chiaro il suo compito e si chiede come mai non lo porta a termine con la facilità che ci si aspetterebbe.
    “Dovresti uccidermi”
    “E' ciò che voglio fare!”
    “Eppure non muovi un passo nella mia direzione... guardami... sono disarmato...”
    La pioggia battente quasi ci impediva di tenere gli occhi aperti, mentre le nostre voci rimbombavano in quel vuoto, mentre la sua espressione disperata mi guardava frustrata da cotanta impotenza.
    “E' colpa tua se vengo meno al mio giuramento!”
    “Al tuo voto?”
    “A ciò che mi ha da sempre reso perfetta. Una perfetta macchina da guerra. Una perfetta guerriera. Una perfetta detentrice de la Forza. Nulla, niente, assolutamente non esiste cosa o persona che mi fa vacillare e poi... poi appari tu. La mia missione di una vita intera ed osi farmi questo?”
    Urlavamo, come a voler sovrastare la distanza che ci separava, il rumore della pioggia o forse il battere incessante dei nostri cuori.
    “Il fatto che qualcuno non sia perfetto, non lo rende meno degno di ricevere amore...”
    “Taci! Non sai di cosa parli!”
    “L'Imperatore ti ha convinto del contrario... come convinse mio padre... Ho immediatamente sentito la sua impronta in te, come la sentì in lui! Lui vi ha convinto che dovevate essere privi di difetti per meritare rispetto, onore... favori... ma aveva torto!”
    Lei improvvisamente si era fatta più vicina, la mascella più contratta e la spada pronta per un fendente che avrebbe potuto essermi mortale. Ma io ero immobile, le braccia lasciate lunghe i fianchi. Il mio sguardo cristallino nel suo di rubino.
    “Se hai bisogno di ulteriori dimostrazioni... guardami! Io sono stanco di dissimulare e non riesco a continuare a comportarmi così, a fare finta di non amarti... perché ti amo, amo tutto di te. Non ti conosco è vero, ma credi che questo a la Forza importi? Perché sì, il nostro Amore è iscritto in essa... come sono certo lo fosse quello di mio padre... e mia madre..."
    Per la prima volta sentì forte la loro presenza in me, come in anni non ero mai riuscito a sentire. Non sapevo nulla di loro eppure ora mi sembrava di conoscere ogni cosa. Quasi avrei detto di sentire le loro mani, sulle mie spalle. Gli occhi erano rigidi, ma la postura rigida, mentre il fendente arrivava ma non mi oltrepassava. La spada ai Mara Jade si fermò ad un centimetro dal mio viso, ferendolo appena.
    “Ti amo, anche gli aspetti che tu ritieni più oscuri e condannabili... ogni cicatrice, ogni difetto, ogni imperfezione... e se ti consideri troppo compromessa, troppo provato per essere felice... bè... io ti dico che non è così. A volte credo che forse queste parole Ben avrebbe dovuto rivolgere a mio padre o qualcuno, forse... e dico forse, le cose sarebbero andate diversamente, ma ora... ora io le rivolgo a te. Tu puoi scegliere la tua via. Ti hanno sempre convinto del contrario, ma non è così! Puoi scegliere di amarmi, quanto io amo te... Non dovrebbe dipendere da nessun altro, anzi non deve dipendere da nessun altro... può dipendere solo da te!"

    In quel momento non seppi cosa succedette, seppi solo di sentirmi più leggero, più consapevole. La sua spada ebbe un sussulto e per un secondo soltanto apparve con riflessi più rosati che rossi. Poi tutto scomparve, io mi svegliai e mi sentì frastornato. Mi tirai a sedere nel letto ed istintivamente mi toccai la mascella, sussultando appena quando la scoprì lievemente bruciata. Una ferita superficiale, ma presente, chiaro segno che quell'incontro c'era stato... era stato reale... presente.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐌𝐲𝐫𝐤𝐫



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/5/2024, 20:42
     
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