ᴊɪᴍᴀ ᴢᴏɴɢ's ʜᴏᴜsᴇ

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    Iscrivere a scuola Lin ad anno iniziato non era stato per nulla facile, sarà stato che ci trovavamo nella piccola città di Playmouth, capoluogo della Contea di Washington nel Nord Carolina che contava appena poco meno di 4.000 abitanti... Quasi lo stesso numero dei dipendenti della base di Shangri-La ove Lina era praticamente cresciuta. Di fatto non era stato per nulla facile inserirsi in quel contesto rurale e così intimo ove tutti potevano dire di conoscersi e supportarsi.
    Etnie e culture al di fuori di quella caucasica americana era praticamente inesistente, se non una ventina di afroamericani che vivevano al margine della piccola città, motivo in più per rendere il mio tentare di ambientarmi ancor più difficile.
    Tuttavia avevo sempre un sorriso per tutti, un consiglio ed un aiuto. Cercavo con la mia innata riservatezza e delicatezza di far brezza nei cuori duri di quelle persone che non facevano altro che guardare me e Lin con dubbio e sospetto.
    Ero stata anche costretta ad invitare mia figlia a non indossare i suoi soliti abiti, tradizionali e prettamente con pantaloni, per adeguarsi alla moda del luogo e soprattutto di mischiarsi con il resto dei suoi compagni, operazione che sapevo sarebbe stata per lei più simile ad un’epopea.
    La mia missione cardine era tuttavia comprovare se la famiglia Johnson era davvero una cellulare dormiente della Red Room e se così fosse stato occuparmene in prima persona, operazione per nulla semplice se si considerava l'altissima preparazione di ogni suo membro e la coercizione a cui erano sottoposti. Forse per questo un soggetto come Timochev era apparso tanto interessante allo S.H.I.E.L.D., come era possibile che un membro di tale organizzazione volesse tradire? La fedeltà di ogni membro era assoluta e totale, anche per via del lavaggio del cervello che i suoi membri subivano fin da bambini.
    Era un orrore che ogni Agente S.H.I.E.L.D. di alto livello, come me, conosceva, era necessario per comprendere il nemico ed evitare di farsi prendere da sentimentalismi inutili. Sfortunatamente un prigioniero Red Room era di fatto un nemico che andava ucciso, non esisteva possibilità che esso poteva redimersi e tanto meno collaborare. La proposta dunque di Timochev di ciò, in cambio di essere protetto, era un'occasione unica che, nonostante il pessimo soggetto che era, costringeva ogni agente a fare il possibile per tenerlo al sicuro e così era, ma proprio nell'attesa che lo stesso venisse trasferito in una località sicura che era stato rapito.
    I report che mi erano stati consegnati parlavano proprio dei Johnson in quanto la macchina del capofamiglia, era stata avvistata nei pressi del luogo ove il testimone era scomparso, mio compito a questo punto era comprovarlo.
    Ero stata tutto il giorno ad osservare la macchina parcheggiata nel vialetto pensando e ragionando a come avvicinarmi alla stessa, ma l'occasione venne così spontanea e naturale che ne approfittai senza problema.
    La consorte del caro Erick, Peggy, stava uscendo di casa con un gran carico di torte, muffin e cupcakes... era un'opera di equilibrismo durante la quale cercava anche di aprire la portiera della macchina senza far cadere tutto. Io che ero in giardino ad occuparmi delle mie rosa vidi la scena e con estrema naturalezza, mi tolsi i guanti di lavoro e raggiungendola l'aiutai.
    "Oh, sei gentilissima!" mi disse lei mentre le prendevo dalle mani alcuni dei dolci e lei apriva la portiera per iniziare a porre sul sedile posteriore tutti i pacchetti.
    "Non sapevo fossi una pasticcera" disse in modo molto gentile. Dovevo ammettere che i Johnson si erano dimostrati molto affabili con me, non si erano posti problemi sulla mia etnia ed anzi tentavano di far da ponte con il resto della città per aiutarci ad inserirci.
    "In realtà sono per i veterani..." mi rispose lei, posizionando le ultime scatole e guardandomi con piglio simpatico "C'è un'associazione in città ove presto volontariato. Non è molto rispetto a ciò che loro hanno fatto per noi, ma... nel nostro piccolo organizziamo eventi e raccogliamo soldi per aiutarli. Spediamo tutto a Charlotte, ove c'è l'associazione vera e propria e dove vengono aiutati a reinserirsi nella società... sai molti non hanno famiglia..."
    L'ascoltai davvero interessata e colpita da una causa tanto nobile.
    "Potresti venire un giorno, potrei presentarti alle altre! Oltre a questo ci occupiamo anche di molto altro, organizziamo tutte le feste che si svolgono in città e quando possiamo andiamo ad allietare le giornate ai pazienti dell'ospedale della città!"
    "Mi farebbe molto piacere, spero che questo possa anche essere un modo per mostrare che non mordo!" dissi con il mio solito tono cauto, mostrando però una grande ironia.
    "Ti va di aiutarmi a portare in macchina le ultime scatole? È davvero tanta roba ed ovviamente i miei figli non aiutano!"
    Sorrisi ben capendo il dilemma e seguendola feci come mi disse, in quanto mi chiese di aspettare in veranda ove lei mi portava le scatole da portare in macchina. Feci avanti ed indietro due volte, nulla di ancestrale, ma fu utile perché ogni qualvolta mi sporgevo nella macchina per posizionare le scatole di dolci in realtà cercavo con lo sguardo un indizio e mi giunse quando notai una piccolissima goccia di sangue sotto il tappetino.
    Poteva non essere nulla, ma ad avvalorare i miei sospetti notai un bottone di una giacca maschile sotto il sedile che velocemente presi facendolo scivolare nella manica della camicia prima che Peggy tornasse. Anzi quando lo fece mi trovò immobile di fianco l'auto attenderla per salutarla.
    Una volta a casa recuperai le foto che mi erano state mandate, le ultime che ritraevano Timochev prima della sua scomparsa ed il bottone combaciava con la giacca che indossava nelle stesse.
    Certo quello diceva tutto e nulla, ma sicuramente avvalorava alcuni sospetti. Non potevo però agire però senza pensare, soprattutto perché il mio modus operandi era molto distaccato, non ero solita lasciarmi andare all'impulsività e rischiare così di fare passi falsi ed infatti dopo aver messo via il bottone e le foto nel cassetto segreto della scrivania del mio studio, mi precipitai in cucina.
    Lin sarebbe tornata da lì a poco e ci tenevo che trovasse il pranzo pronto. Mangiare insieme era un rituale che ritenevo sacro e mai, dico mai, a tavola si parlava di questione che esulassero la nostra normalità e la nostra famiglia. Era una regola a cui tenevo fortemente, ma era proprio mentre ero intenta a condire l'insalata che sentì il campanello suonare. Ero molto stranita, ma percorsi il corridoi senza fretta. Fu solo quando aprì la porta e l'uomo dall'altra parte, con fare spavaldo, abbassò i suoi occhiali da sole, che sentì un leggero pizzicore sotto pelle, era decisamente fastidio.
    "Alan Cooper" esclamai quel nome con estrema lentezza, di chi ovviamente non solo sperava di trovarselo di fronte, ma non gli faceva nemmeno piacere "A cosa devo la tua visita?"
     
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