Present Day #2019: Venus

Season 3

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    :Altair:
    Mille volte, moltissimo tempo fa, mi ero interrogato sulla durata della Confraternita.
    Sarebbe sopravvissuta dopo di me? Quanto? In che modo?
    Il tempo era andato oltre ad ogni mia prospettiva e non solo era resistita ma era cresciuta nelle pieghe della storia, subendo metamorfosi, ma mai cambiando nella forma. Ed ora? Ora cosa che era rimasto di tutto ciò che avevamo fatto?
    Secoli spesi a lavorare nell'ombra per servire la luce e poi tutto era cessato, in un battito di ciglia.
    "Jacob alza la guardia... Markos meno parole e più azione..." esclamai quasi distratto mentre camminando intorno agli Assassini della mia gilda che combattevano con più furia del solito. Era frustrazione e sapevo che necessitavano sfogarla, io l'avrei convogliata in battaglia.
    "Yusuf lascio a te l'organizzazione della guerriglia, Kassandra dell'infiltrazione ed Evie del sabotaggio" dissi ai tre. Nike non aveva mai smesso, nonostante tutto, di portare avanti il suo ruolo d'Assassina ed il suo addestramento ed era sua scelta che quando agiva come tale la chiamassimo Evie Frye. Confidavo su di loro per la collaborazione con i guerrieri della luna, ma anche per preparare alcuni degli Assassini nuovi, nuove leve all'inizio del loro percorso, ma che a fronte di una guerra sarebbero stati chiamati in prima linea.
    "Credi sia saggio metterli in prima linea? Molti di loro non sono ancora pronti..." disse Malik al mio fianco, assorto come me nell'osservazione dell'addestramento dei nostri compagni.
    "Credo che molti di loro non ce la faranno, ma anche che non possiamo evitarlo... Non lo so Malik, mi chiedo se siamo giunti alla fine... se il momento che tanto mi sono chiesto se sarebbe mai giunto ora è qui. E' la fine della Confraternita?"
    Malik scosse il capo e poi mi posò una mano sulla spalla.
    "Credo che le cose possono ancora cambiare. La Confraternita ha sempre resistito a tutto, resisterà anche a questo. Torneremo nell'ombra. Torneremo sul nostro pianeta e porteremo avanti la causa, come sempre! Quindi smettila di essere pessimista e non passare le tue incertezze ai tuoi uomini..."
    Assentì profondamente. Aveva ragione. Non potevo cedere, non potevo permettermi di pensare che le cose sarebbero andate male, perchè così facendo sicuramente sarebbe stato così.
    Ci allenammo per almeno tre ore quel pomeriggio, anche se sulla Luna era complesso capire il tempo. Sembrava sempre buio, sempre notte ed il tempo non passare mai quando invece Selene e l'odioso marito avevano creato una sorta di bolla temporale, momentanea, in cui su tutti i Pianeti del Sistema Interno -compresa la Luna- il tempo scorreva come sulla Terra perchè non potevano rischiare squilibri che ci avrebbero portati ad evitare la salvezza del nostro pianeta.
    Tornai nella camera da letto che condivido con Aphrodite trovandola avvolta solo in un'elegante e sensuale vestaglia, mentre guardandomi sorrideva sorniona.
    Sorridendole mi avvicinai per posarle un bacio sulle labbra prima di farmi un bagno caldo, ma guardandomi intorno nella stanza mi sembrò chiaro che mancava qualcosa. In quei giorni molti Assassini partivano per altri pianeti perchè non tutti potevano essere accolti sulla Luna ed io avevo comunicato alla mia gilda che ci saremmo spostati su Venere come la gilda di Connor aveva fatto su Mercurio o quella di Bayek su Marte, ma nella stanza non vedevo nè bauli nè altri elementi che facevano presupporre un viaggio.
    "Domani mattina partiamo eppure non mi sembra di vedere ancora niente di pronto... è tutto a posto?" chiesi già ben sapendo che così non era. Perchè faceva tutte quelle resistenze? Conoscevo il suo passato, conoscevo il tipo di governo che la madre aveva creato, conoscevo i lati oscuri della sua vita prima che arrivasse sulla Terra, allora perchè quel suo atteggiamento?


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 1/11/2019, 20:59
     
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    :Aphrodite:
    Cento colpi di spazzola tutte le sere per ravvivare la bellezza e la lucentezza dei capelli. Un gesto che era diventato un rito per le donne umane, che speravano di ricavare capelli setosi come i miei. Avevo sempre utilizzato il tempo davanti allo specchio per riflettere, o per sedurre i cuori degli uomini che mi potevano osservare mentre mi credevano intenta a prendermi cura di me stessa.
    Ma questa sera, le setole della spazzola sembravano quasi artigli in mezzo alle ciocche ondulate, e con un nervoso crescente li tiravo per sciogliere i nodi, rischiando di sciuparli.
    Mi morsi un labbro, arrendendomi e posando la spazzola sulla toletta. Poggiai il mento sulla mano, lo sguardo perso. Il ritorno di Eris aveva significato guerra: tanti morti, nuove distruzioni, infinito dolore per chi doveva combatterla. Ma non ero tanto abituata a pensare in termini generali, quello che alla fine mi preoccupava di ogni situazione erano le ripercussioni su di me, sul mio matrimonio.
    Una guerra significava morte, il pericolo di perdere Altair (rabbrividii come se una lama fredda mi avesse sfiorato la pelle), di perdere la completezza che avevo appena acquistato, che stavo difendendo con i denti per mantenere.
    Mi ero illusa che avrei potuto evitare di affrontare certe situazioni rifiutandomi di tornare su Venere, con la scusa di rimanere sulla Terra per coadiuvare mio marito nei suoi compiti all'interno della Confraternita, cercando di ricavarmi un posto in cui dimenticare un po' di cose.
    Non era stato così: Eris si era risvegliata e, con lei, anche i miei sensi di colpa. Non potevo negare all'infinito la mia responsabilità in quello che era stato il mio ruolo nella sua triste storia.
    Mi alzai dalla poltroncina, interrompendo il flusso dei pensieri, in cui in effetti non amavo neanche tanto rimanere. Camminai per la stanza che avevo arredato secondo i miei gusti. I miei piedi scalzi calpestavano spessi tappeti, sete preziose coprivano il divano con morbidi cuscini, il letto ampio aveva lenzuola di stoffa finissima, le tende trasparenti si muovevano alla brezza che entrava dalle finestre aperte, l'aria era profumata dalle mie essenze preferite, di rosa e vaniglia, e l'illuminazione era data da numerose candele sparse su mobili; odiavo la luce artificiale dei lampadine terrestri o dei globi lunari, perché scoprivano troppi particolari, affilavano gli angoli e rendevano la mia pelle di una tonalità quasi spenta.
    Udii i passi familiari di Altair, leggeri e al contempo sicuri. Mi affrettai a sistemarmi, facendo sì che mi trovasse in una posa seducente ma naturale, senza che apparisse studiata come invece era: mi accomodai con grazia sul divano, avendo cura di drappeggiare sapientemente il tessuto della mia veste da camera.
    Altair entrò nella nostra stanza. Il suo sguardo mi accarezzò come tutte le volte in cui ci ritrovavamo, ma poi mi accorsi con disappunto che qualcos'altro aveva distratto la sua attenzione. Sul suo viso ora c'era perplessità, guardandosi intorno. Tra di noi la questione aperta del ritorno su Venere era come un brutto neo su un viso perfetto. Ero sfuggita molte volte dall'affrontare la questione, con mezzi più o meno subdoli, ed ero intenzionata a farlo anche questa volta.
    ”Domani mattina partiamo eppure non mi sembra di vedere ancora niente di pronto... è tutto a posto?”
    Ignorai la sua domanda, mentre con passi sinuosi mi avvicinavo a lui. Gli presi le mani e gliele feci appoggiare ai miei fianchi, sorridendo angelica, incatenando il mio sguardo chiaro al suo scuro.
    “Devi essere stanco amore mio. Lascia che mi prenda cura di te...”
    Mormorai invitante. Cominciai a baciarlo, nel modo che sapevo ci avrebbe portati molto velocemente a risvegliare la passione nei nostri corpi, a lasciare ogni altro pensiero che non fosse che quello del piacere reciproco.
    Con disappunto, lui mi sfuggì. Notai con quanta fatica lo fece, ma conoscevo anche la sua determinazione quanto riteneva che qualcosa fosse importante.
    “No, Aphrodite, dobbiamo parlare... ero convinto che fossimo d'accordo sul fatto che avremo pensato di più al tuo popolo, ora che la guerra è imminente!”
    ”Sto scegliendo il mio sostituto! Lo sai quanto impegno ci sto mettendo! Perché dovremo partire e rischiare di rovinare un processo così delicato con la mia presenza?”
    ”Non resteremo sulla Luna. Qui non siamo utili né a loro, né agli Assassini. Siamo semplici ospiti, senza la possibilità di prendere decisioni, come invece potremmo fare su Venere. Sii sincera con me: da cosa stai scappando?”
    ”Io non scappo da niente, Altair!” Mi andai a sedere sul letto, incrociando le braccia al petto, mostrandomi offesa. Sentivo le guance bruciare per quella che volevo essere indignazione, ma che in cuor mio sapevo essere vergogna.
    ”Allora non ci sono ragioni per non partire domani stesso, non è vero?”
    Detestavo la sua logica, specie quando riusciva a mettermi nell'angolo con poche parole, ma dovevo rassegnarmi ad affrontare i miei fantasmi. Annuii lentamente, sconfitta.
     
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    :Cerere:
    C'era stata non poca maretta tra i coniugi di Venere quando alla mattina della partenza a stento li vidi rivolgersi la parola. Io e Vesta, da venusiane doc, seppur cresciute in luoghi diversi, ci eravamo proposte di aiutare la Duchessa nell'organizzazione dello spostamento sul pianeta e l'organizzazione degli Assassini almeno fin quando sarebbero stati ospiti dello stesso.
    La sua capitale Neith era un tripudio di profumi speziati e stoffe sgargianti, la temperatura media oltre i 400° rendeva i suoi abitanti sempre succinti in un abbigliamento seducente e provocatorio. Le donne dalla pelle inverosimilmente marmorea vestivano come odalische sensuali, mentre gli uomini dalla pelle abbronzata e i muscoli ben delineati si muovevano in semplice toghe che mettessero in risalto i loro fisici perfetti con un tono quasi saccente.
    Dal canto mio avevo imparato ad amare molto quel pianeta, molto più di quanto facesse Vesta, mentre come sempre mi distraevo nell'osservare le preziose stoffe che per le strade venivano vendute o mi lasciavo tentare dalle prelibatezze che mi veniva offerte.
    La cucina di Venere era speziata, afrodisiaca e piccante, insomma tutte caratteristiche che amavo!
    Il palazzo ducale sorgeva su una piccola sporgeva sopra elevata della città a picco sul mare e risaltava per i suoi tetti tondeggiati che dorati brillavano come super nove.
    Il tempo materiale di raggiungerlo ed iniziare a dare indicazioni agli Assassini, per accompagnarli nei loro alloggi, condivisi con l'esercito di Venere: le Mord Sith, che Altair mi chiese di fargli fare un giro della città, all'insaputa di Aphrodite. Personalmente tentennai poco felice di agire alle spalle della Duchessa, ma a fronte delle sue insistenze non potei fare altro che assecondarlo, mentre in cuor mio speravo che Vesta avrebbe avvisato Aphrodite e così mi avrebbe tolto dall'impaccio.
    "Spero che i tuoi Assassini non si facciano sedurre... le Mord Sith fanno quest'effetto..." esclamai per spezzare l'imbarazzo che si era creato. Altair era silenzioso e camminava con le mani dietro la schiena rapito da una realtà che, a mia insaputa, gli ricordava quella da cui lui proveniva più di quanto immaginassi.
    "Mi sono assicurato che Jacob venga tenuto d'occhio, seppur immagino che sarà Kassandra quella più tentata..." esclamò con un espressione quasi divertita ma che feci fatica a decifrare considerando il suo viso imperturbabile. Mai avevo visto una persona tanto seria e sopratutto così poco sedotta dal fascino delle genti di Venere. Qualsiasi non venusiano rimaneva sconcertato dal modo di vivere libertino dei suoi abitanti, oltre che del loro modo di fare che sembrava un continuo sedurre.
    "Ehm sì... preferiscono di gran lunga le donne..." dissi ridacchiando cercando di far brezza della sua imperturbabilità, ma sembrava impossibile. Aphrodite aveva lavorato tanto affinché le Mord Sith non fossero più pazze mistress dedite alla tortura, da cui traevano piacere, ma sempre più abili soldatesse che sceglievano quella via e non che gli veniva imposta rubando giovani bambine innocenti alle famiglie che, torturate per anni, divenivano tali. Oggi le Mord Sith erano donne venusiane che decidevano di arruolarsi, che si allenavano duramente e che usavano l'Agiel, una specie di manganello che portavano in vita, solo se necessario. L'Agiel creava un forte dolore quando appoggiato su un nemico ma lo stesso lo provava la Mord Sith che riusciva a sopportarlo grazie al duro addestramento. Tuttavia le stesse non smettevano di essere meno seduttive, un'arma che usavano sempre per avere la meglio su uomini e talvolta anche donne, seppur quest'ultime erano le loro preferite.
    Ero persa nel corso dei miei pensieri tanto che mi accorsi che Altair non era più al mio fianco e fu solo guardandomi intorno che lo vidi essere rimasto indietro fermato da una donna che gli parlava in tono concitato. L'uomo la fissava confuso, mentre io correndo in suo soccorso gli sfiorai la mani.
    Il microtraduttore di Altair, che gli era stato impiantato sotto la pelle come a tutti gli Assassini, era ancora impostato solo sulla lingua lunare e dunque gli era incomprensibile capire quello che la donna di fronte a lui diceva. Motivo per cui lo settai anche per il venusiano.
    "Ehm... il Duca non era in grado di comprenderla, ma ora può..." spiegai facendo così gli onori ad Altair che in quanto marito di Aphrodite era a tutti gli effetti il Duca di Venere. La donna strabuzzò gli occhi tirando fuori un ghigno che non mi piacque per nulla.
    "Oh gli stavo solo chiedendo un informazione, ma ora che so che è il Duca... dica a sua moglie, a quella invidiosa, che nonostante tutto il male che mi ha fatto per la sua sciocca invidia, Eros alla fine ha scelto meglio. Lo so che si è sempre creduta più bella di me, ma il suo amante alla fine ha sposato me, non lei... Ascolti il mio consiglio, Duca, stia molto attento alle invidie di sua moglie, sia mai che le stesse un giorno possano metterlo in guai seri come è successo a me!"
    Altair alzò un sopracciglio genuflesso, mentre io mi maledivo per avergli cambiato il traduttore ed avergli permesso di sentire quelle cose. Io non conoscevo il passato di Aphrodite, ma iniziavo a capire il motivo per cui non volesse tornare a casa.
    "Forse è meglio che torniamo a palazzo, sua moglie lo starà cercando e poi anche lì ci sono tante cose da vedere e..."
    "No. Continuiamo a passeggiare Cerere... altrimenti posso continuare da solo"
    Il suo tono perentorio mozzò ogni mio tentativo di limitare i danni. Mi morsi un labbro e mi voltai verso il palazzo sperando che Vesta per una volta in vita sua se ne fregasse delle buone maniere ed avvisasse la Duchessa. Dopotutto un detto venusiano diceva "tra moglie e marito non mettere il dito", chissà se anche sulla Terra dicevano lo stesso!
     
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    Mia sorella aveva la brutta mania di definirmi "impicciona" quando invece il mio modo di fare era sempre e comunque mirato verso un unico scopo: preservare la pace e la serenità del focolare domestico. Non pensavo mai ad una mia eventuale e futura vita come sposa o come madre, non era forse mia felicità desiderare questo per me quanto questo per tutti coloro che mi circondavano e a cui ero dedita. Da sempre con mia sorella e le Guerriere ero colei che ascoltava le loro pene d'amore, che le consigliava e poteva vedere, come un immagine reale, i legame familiari di affetto ed amore che le legava. Selene e Pandia quando erano insieme era come se un nastro rosa di seta, ma al contempo inossidabile come l'acciaio le unisse. Selene ed Endymion erano cristallizzati in un unione più impenetrabile del diamante. Pandia ed Ezio vacillavano in un tumultuoso rosso passione fatto di lunghe spire di spine tanto pungenti quanto impossibile da dividere. Per quanto concerneva Aphrodite ed Altair avevo subito visto come la loro unione avesse tutti i colori dell'arcobaleno era un unione solida una che si tingeva del bianco dell'Uno, di quando tutti i colori vengono assorbiti, questo erano, un unico essere di cui se una parte fosse venuta meno l'altra non sarebbe sopravvissuta... Tuttavia vi erano delle interferenze e capivo fossero dovute a segreti celati nei meandri del passato...
    Ero sopita pensando a tutto ciò mentre il fastidioso e continuo punzecchiarmi della punta di un bastone di uno dei due uomini che avevo davanti mi fece sollevare gli occhi al cielo al limite della sopportazione.
    "Non vi hanno mai detto di non svegliare il cane che dorme?" chiese una donna giungendo alle loro spalle ed osservandoli con le braccia conserte.
    "Kassandra è un drago. Un d-r-a-g-o perchè tu non pari sorpresa di vederlo?"
    "Non è il primo animale mitologico in cui mi imbatto Jake! Ecco perchè! Tu Malik per l'amor del cielo avresti dovuto toglierli quel maledetto ramo dalle mani già da un bel po'!" esclamò stizzita, mentre a grandi passi gli si avvicinò e lo fece lei stessa. La guardai ringraziandola prima di venir avvolta da un gran fumo denso e nero che al posto del grande drago dalle scaglie rossastre lasciò una semplice ragazza minuta: me.
    "Ti ringrazio Assassina. Sto nella mia forma di drago quando sono pensierosa e voglio riflettere e non amo essere disturbata!" esclami alzando via via il volume ed osservando i due uomini di fronte a me.
    Ero alquanto facile che cedessi all'ira e sopratutto che sopportassi a fatica gli altri, diciamo che sapevo essere alquanto aggressiva e scostante quando mi ci mettevo e per questo passai tra i due praticamente strattonandoli senza alcun riguardo.
    Camminai per un po' prima di decidere il da farsi. Dire o non dire alla Duchessa del tour che mia sorella stava dando al suo sposo? Se avessi dovuto seguire le direttive di mia sorella avrei dovuto ignorare la cosa, ma se seguivo invece avrei fatto l'esatto contrario.
    Un focolare domestico solido e forte non aveva alcun motivo di essere scosso da delle sciocchezze e così senza attendere ulteriore tempo camminai a passi decisi verso le stanze private di Aphrodite dove la trovai assorta su una chaise longue ignorare lo sproloquiare del ciambellano di corte che la invitava, non troppo gentilmente, a riprendere il suo ruolo da troppo tempo ignorato.
    Aphrodite sembrò illuminarsi appena mi vide forse come una scusa per liberarsi di quella presenza e così poter "fuggire" dai suoi doveri.
    "Finalmente è arrivato qualcuno! Non lo sopportavo più!" mi disse quando uscita dalla stanza mi prese a sottobraccio e velocemente ci allontanavamo.
    "Credevo che avesse detto al vostro consorte che era in cerca di una sua sostituta..." pronuncia senza riuscire a mordermi la lingua traendo le conclusioni da ciò che avevo involontariamente sentito.
    "L'ho detto è vero, ma... ecco... non è possibile... stavo prendendo tempo..."
    "Tempo per cosa? Insomma la verità prima o poi dovrà dirla per quanto riguarda questo e... qualsiasi altra cosa che ha spinto vostro marito a girare per Venere senza dirvi nulla..."
    "Che insolenza! Non lo sai che su Venere si dice "Tra moglie e marito..." aspetta, cosa hai detto? Altair sta girando per la città da solo?
    "Non da solo, con mia sorella!"
    "Da solo? Io devo andare!" senza aggiungere altro se ne andò di gran carriera lasciandomi sola nel corridoio, ammisi che la guardai allontanarsi, ma poi sinceramente feci spallucce e voltandomi ripresi a camminare. Io il mio dovere lo avevo fatto.
     
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    Scesi di corsa lo scalone di marmo bianco che portava all'entrata del palazzo ducale, un salone così ampio da poter contenere a sua volta un altro palazzo, dove gli unici suoni erano il gorgoglio melodioso delle numerose fontane ed il canto di uccelli variopinti, scelti apposta per il loro cinguettio musicale. Superai la sala con passo rapido, ma non così veloce da perdere grazia ed eleganza; le mie scarpette di seta si posavano graziosamente sopra il pavimento decorato con preziose tessere di mosaico.
    Il palazzo si trovava nel centro della capitale, quindi, una volta superate le sue mura alte e bianche, il frastuono e l'andirivieni concitato nelle strade mi rallentò non poco.
    Ma dove avrei potuto correre, se non sapevo dove si erano diretti Altair e Cerere? Piantai le unghie nei palmi delle mani, nervosa e irritata: avrei volentieri dato una bella scossa a quelle due sciocche! Portare Altair in giro per visitare il pianeta? Senza che nessun controllo o barriera venisse posta tra lui e... il popolo? Le mie angosce stavano diventando realtà, e ogni secondo che passava, sentivo che l'intero castello di carte che avevo eretto intorno a noi stava sfaldandosi.
    Sbuffai spazientita, quando mi fermai, di fronte ad un mercato di stoffe e arazzi. La ricerca dei due visitatori per le vie trafficate non era approdata a nulla, ed il giorno stava quasi per terminare... il dubbio che fossero tornati a palazzo stava diventando concreto.
    Invece, ad un tratto una veste bianca e candida attirò la mia attenzione, in quel mare di vestiti coloratissimi che i venusiani amavano tanto indossare. Vicino all'uomo, una giovane con i capelli di un rosa delicato, ed insieme a loro... sgranai gli occhi per l'orrore quando la riconobbi.
    Mirra, la noiosa e lagnosa Mirra, si stava asciugando le lacrime, parlando con Altair, che le aveva messo una mano sulla spalla nel tentativo di consolarla.
    Mi avvicinai senza esitare un solo secondo, raggiungendo il gruppetto in modo da giungere alle spalle di Altair, nella speranza di intercettare lo sguardo di quella poveraccia per intimarle il silenzio, senza che il mio sposo lo scoprisse.
    Invano. Quella non alzò gli occhi fino a che non fu il mio amato ad accorgersi di me che, in una posa rigida, a braccia conserte, attendevo educatamente di ottenere la loro attenzione.
    Lo stupore nel suo sguardo, come se mi vedesse davvero, per la prima volta, mi fece bruciare gli occhi di lacrime imminenti, ma questo non rese meno tagliente in tono con cui mi rivolsi alla donna.
    “Mirra, per cortesia, abbi la gentilezza di non disturbare il mio sposo con le tue stupidaggini!”
    Sentendosi chiamata, alzò lo sguardo acquoso su di me.
    ”Tu! davvero la tua sfrontatezza è senza limite, così come il tuo appetito sessuale! Non ti basta avermi tolto il mio bellissimo figlio, ora devo anche zittirmi di fronte a te! Ma io non lo farò, perché tutti devono sapere quanto bruttezza si nasconde dietro il tuo aspetto!”
    ”Senti senti! Hai tiranneggiato Adone in ogni modo, ostacolando il suo desiderio, semplicemente perché eri gelosa! Eri sua madre, ma avresti voluto anche tu le sue carezze, e non certo per soddisfare il tuo amore materno!”
    ”Come osi insinuare una simile mostruosità! Il mio amore era onesto, non certo corrotto dalla libidine! Quella è roba tua! Il tuo animo è di pietra, perché neanche le mie preghiere ti impedirono di sedurlo. Ed è per colpa tua se Efesto lo uccise, il mio adorato figlio...”
    La voce si strozzò in un singhiozzo, ma quando riprese, si rivolse direttamente al mio amore, il cui sguardo si spostava sempre più perplesso da me a lei.
    ”Tu che dividi il talamo con lei, fai attenzione! Non si fermerà davanti a nulla, per soddisfare i suoi capricci, nulla! Non ha un cuore di madre, perché l'unico sentimento che ascolta è la lussuria, e non amerà mai i suoi figli come quelli degli altri!”
    Reagii senza pensare, esasperata da quella donna cocciuta e bugiarda, che non era capace di vedere la realtà: la spinsi via, lontano da Altair e me, come se le sue parole velenose creassero una nube tossica che poteva contagiarci. Lancia un'occhiataccia a Cerere, per redarguirla in varie maniere: se non ce l'avesse tolta da davanti nell'immediato, la sfuriata che le avrei impartito sarebbe stata anche maggiore.
    ”Verrai punita per le tue menzogne! Nessuno ascolterà una pazza che voleva impedire a suo figlio di vivere una vita d'amore... per me! Sei meschina nell'addossarmi la colpa di quello che è successo, perché non fui io ad avvisare Efesto della nostra relazione, ben consapevole di come avrebbe potuto reagire!”
    Cerere si allontanò con Mirra, che aveva ripreso a singhiozzare in maniera incontrollata. La seguii fino quasi al margine della piazza, con il timore che tornasse indietro per esibirsi ancora con i suoi lamenti.
    Dopo qualche secondo, alzai gli occhi, esitante, su Altair. Il suo silenzio era ciò che mi preoccupava maggiormente. Non provavo vergogna per il mio passato, ma non volevo che questo interferisse con il mio matrimonio. Avrei strappato gli occhi di tutte le Mirra di Venere, per impedire che ne venisse danneggiato.
     
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    Da sempre il mio silenzio era motivo di mistero e confusione per molti, se non per tutti. Da sempre non ero mai stata una persona espansiva che condivideva apertamente i propri pensieri o ed emozioni, ancor più in una situazione del genere.
    Toccare con mano Venere voleva dire penetrare nella vita di Aphrodite e vederne tutte le imperfezioni che da sempre mi celava. Avevo capito nella mia breve passeggiata quanto i venusiano dessero importante all'estetismo più di quanto avevo capito fino a quel momento.
    La loro vita era una ricerca costante della perfezione. Il realismo era totalmente abolito in quella società in quanto era visto come un totale fallimento nella ricerca della bellezza, facendo dei propri gusti e della sensibilità estetica di una persona il tutto. Nulla era lontanamente ed oggettivamente pragmatico su quel pianeta dallo stile di vita, all'arte, all'architettura, alla cultura ed etc...
    I venusiano vivevano nell'intento di trasformare la propria vita in un opera d'arte sostituendo alle leggi morali le leggi del bello ed andando continuamente alla ricerca di piaceri raffinati, effimeri, impossibili per una persona comune. Ecco dunque che i venusiani avevano orrore della vita comune, della volgarità borghese, di una società dominata dall'interesse materiale e dal profitto, e viveva isolata nella propria Torre d'Avorio, in una sdegnosa solitudine circondati solo da arte e bellezza...
    Insomma un modo di vivere molto lontano da chi come me cercava nella praticità e concretezza le uniche verità reali a cui affidarsi.
    La mia analisi profondo e silenziosa si protrasse a lungo fin quando giunti a palazzo, e da solo con Aphrodite, mi ci avvicinai prendendone il volto tra le mani. Si mordeva il labbro nervosa, immaginando quanto frustrante per lei doveva essere. Il giorno dopo si sarebbe trovata con un labbro spaccato e quella sarebbe stata una crepa nella sua perfezione, una che l'avrebbe fatta impazzire nel tentativo vano di coprirla al meglio e farla sparire il prima possibile.
    "Tu non mi hai conosciuta così... certo conoscevi la mia visione estetista ed il mio amore per il bello, ma... tu hai conosciuto una Guerriera valorosa e capace di tener testa ad ogni nemico a prescindere di quanto fragile all'apparenza apparisse... non hai conosciuto questo... qualcosa che, ai tuoi occhi conoscendoti, deve apparirti frivolo. Superficiale. Futile..."
    L'ascolta piegando il capo da un lato e lasciando che le mie iridi scure si illuminassero della sua naturale luce, mentre accarezzandole il viso con la nocca le sorrisi in quel modo sghembo e malizioso che solo lei conosceva.
    "Credo che per tutta la vita tu abbia indossato una maschera di grazia, una che tua madre ti ha imposto non facendoti mai sentire all'altezza e dandoti valore solo come trofeo da esibire. Bello, ma vuoto..." parlai lento e cadenziato, mentre ad ogni parola lei sembrava tremare, spaventandosi come mai l'avevo vista fare di fronte a nessuna difficoltà o battaglia.
    Le passai le mani lungo le braccia nel tentativo di scaldarla, di stringerla.
    "Ma anche io ne ho indossata una. Di borioso ed egoista che per la sua spocchia ha fatto uccidere molti dei suoi compagni macchiandosi le mani del loro sangue. La verità è Aphrodite è che la perfezione non esiste. Per quanto la si ostenti, ci saranno sempre delle crepe..." dissi passandole il pollice sul suo labbro spaccato.
    "Le cicatrici non vanno nascoste, ma valorizzate. Un tempo, il mio tempo, quando un oggetto si rompeva, la crepa veniva valorizzata riempiendo la spaccatura con dell'oro. Sai perchè? Perchè credevamo che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello... Questo ti rende bella ai miei occhi..."
    Conclusi sorridendole più apertamente e stringendo le mie mani sui suoi fianchi. Non sapevo come questo l'avrebbe fatta sentire, se invece di valorizzare la sua bellezza l'avrebbe invece sminuita, ma volevo che lo sapesse. Che comprendesse come, ora che conoscevo anche le sue "crepe", fosse completa e virtuosa. Fosse perfetta per me.
     
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    :Aphrodite:
    Ero irritata e confusa. Mi sentivo vulnerabile di fronte al destino, che ancora una volta infieriva e mi colpiva con crudeltà.
    Mi ero opposta con ogni mezzo al ritorno su Venere, avevo raccontato bugie di ogni tipo, addirittura sul fatto che il ruolo di Duca fosse un semplice abito, da potersene disfare con disinvoltura per passarlo ad altri, mentre in verità sapevo benissimo che non era così, che sarei stata Duchessa di Venere fino a che uno dei miei figli non fosse succeduto in maniera legittima.
    Avevo rinunciato, con grande sacrificio, a tornare in questi amati luoghi, alla bellezza sopraffina che custodivano, per scongiurare il pericolo che prevedevo.
    Avevo fatto tutto questo per Altair. Per preservare l'amore che lui provava per me, per mantenere intatta l'idea della persona che lui aveva conosciuto, di cui si era innamorato.
    La mattina, la prima cosa che facevo era quella di truccarmi, nel timore che lui si accorgesse che i miei occhi non fossero da cerbiatta come amavo sentirmi dire.
    Tutto questo per sciocca vanità? Non era così semplice. Nonostante mia madre mi avesse sempre criticato aspramente al più piccolo particolare del mio aspetto meno che perfetto, avevo imparato che il mio portamento e la mia bellezza erano più che sufficienti per sedurre e ammaliare qualsiasi uomo o donna, per renderlo mio succube e vittima, per vincere ogni sua barriera e resistenza.
    La mia avvenenza era più letale della Catena che portavo alla vita in combattimento.
    Ma quando mi ero innamorata di Altair, la soddisfazione di certi dettagli era diventata secondaria. Io dovevo essere perfetta ai suoi occhi tanto quanto lui lo era ai miei. Era così semplice: perfezione fisica e morale.
    Era questo che mi spaventava, pensando al mio passato. A quanto, attraverso i suoi occhi e il suo giudizio, sarei parsa frivola, vanesia, capricciosa, insensibile.
    A quante delusioni gli avrei procurato.
    Invece, lui mi stava parlando di imperfezioni (l'unica parola che nella lingua venusiana aveva un suono sgradevole alle nostre orecchie educate con suoni piacevoli e morbidi), come se fossero cose irrilevanti, addirittura desiderabili.
    Aggrottai la fronte. Come poteva crederlo? Come si poteva voler valorizzare una crepa, invece di nasconderla a chiunque potesse notarla?
    Mi resi conto di aver rovinato le mie labbra mordendole a sangue quando lui me le sfiorò dolcemente. E, con stupore, presi con indifferenza la constatazione del danno estetico che mi ero inflitta.
    Non riuscivo a togliere gli occhi dal suo viso, talmente amato da sognarlo anche quando i nostri corpi riposavano fianco a fianco, allacciati da un bisogno continuo di toccarsi.
    Sfiorai la cicatrice che aveva sulle labbra. Per la prima volta, la vidi per quello che era. Uno sfregio, un'imperfezione su quella bocca perfetta.
    Gli presi la mano. Baciai il polso, il palmo, le dita. Baciai il moncherino dell'anulare.
    Una porta si spalancò nel mio cuore. Una comprensione improvvisa: forse si poteva amare anche esseri imperfetti, senza che la bellezza scomparisse dalle nostre vite. Che l'amore avrebbe provveduto alla bellezza necessaria.
    Altair sarebbe stato abbastanza forte, il suo amore abbastanza forte da ricevere altre delusioni da parte mia.
    Così, continuando ad affidarmi ai suoi occhi meravigliosi, feci un passo indietro. Lentamente, mi spogliai da tutti gli abiti che indossavo. Tolsi tutti gli orpelli, le sete, i gioielli che sceglievo sempre con la massima attenzione perché potessero valorizzarmi al meglio. Rimasi nuda.
    I nostri sguardi non sciolsero il momento più intimo che avevamo mai vissuto. Una condivisione che andava al di là del desiderio, del piacere e del suo appagamento, un momento che si affidava al sentimento più significativo di tutti: la fiducia.
    Altair seguì la mia mano quando la portai sul ventre, poco sotto l'ombelico. Con trepidazione, strofinai la pelle fino a portar via il belletto che nascondeva quell'unica imperfezione sul mio corpo, un piccolo neo, che avevo sempre nascosto a chiunque con accuratezza. Per mia madre quel segno era un'onta da nascondere con ogni mezzo, e mi condannava ad essere una pessima figlia, perché ero imperfetta.
    Il mio cuore batteva sordo nel petto, ma io sapevo che stava cantando di gioia.
     
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