Alternative Reality #1944: Caretan

Season 4

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    Quando due anni prima mi ero risvegliata, improvvisamente, in una stanza spoglia, umida e fredda con due letti a castello, mi ero chiesta che razza di sogno avessi fatto o peggio in che prigione fossi, ma era guardare fuori dalla finestra della piccola baracca di legno per rimanere interdetta di fronte alla distesa sterminata di baracche e tende che si sviluppavano su quel appezzamento di terra, ovunque fosse.
    Tutti ci ponemmo la stessa domanda: dove eravamo finiti?
    La risposta sarebbe arrivata molto presto, in due lunghi anni di addestramento e di guerra in cui malgrado ci trovammo coinvolti. Conoscevo quel periodo storico seppur l'avevo osservato da lontano e così i miei compagni che senza volersi troppo soffermare sulla follia del tutto mi avevano incitato ad usare i miei poteri ed andarcene da lì, ma ciò che mi trovai a constatare è che non li avessi. Altre conferme arrivarono nei giorni successivi scoprendo di non poter contare sulla mia resistenza e forza fisica e su nient'altro che mi definiva gioviana, il collegamento mentale tipico dei matrimoni del mio pianeta era cessato con Edward, così come qualsiasi altra cosa. Anche il mio nome era diverso in quanto venivo chiamata da tutti Frye, per scoprire solo poco tempo dopo che il mio nome per loro era Ethan, come mio padre. Anche Lara scoprì di essere chiamata Richard ed infatti così venivamo conosciute con la necessità di nascondere ogni giorno la nostra femminilità. Era la Seconda Guerra Mondiale e fino a prova contraria nessuna donna ne aveva mai fatto parte!
    Entrambe portavamo capelli corti, strette fasce per appiattire il seno e la fortuna di condividere la baracca solo con Jacob ed Edward, affinché il nostro segreto fosse sempre mantenuto.
    Ci eravamo fatti domande per molto tempo, tanto quanto erano stati i tentativi di volercene andare senza mai riuscirci forse perchè non ci provavamo per davvero.
    Alla fine la guerra arrivò con tutte le conseguenze del caso e per quanto paurosa fosse fu la prima vera occasione di muoverci e sperare con questo di incontrare qualcun'altro in quello che continuavo a credere fosse il giogo di qualcuno dei nostri nemici. Pensavo ad Eris, non credevo alla sua umanità, oppure a qualche strano e perverso gioco dei Templari... Chissà forse i Frutti dell'Eden non erano andati distrutti e con quelli era stata creata quella realtà in cui eravamo prigionieri... insomma le ipotesi erano tante, ma ero certa fosse una cosa del genere e l'avevo fatta presente ai miei compagni.

    Era già il 1944 e dopo due lunghi anni di isolamento ci chiedevamo dove fossero finiti i nostri compagni ed amici anche se la fortuna aveva quanto meno voluto che fossimo ben accetti nel reggimento cui facevamo parte, il 501°. Erano tutti bravi ragazzi a cui volente o meno ci eravamo legati riuscendo quanto meno in questo modo ad affrontare ciò che ci toccava con il supporto l'un l'altro.
    Dopo giorni di camminata e scontri a fuoco avevamo finalmetne raggiunto il nuovo checkpoint dove radunandoci completamente con gli altri pezzi della Compagnia Easy avremmo proseguito. Era strano come nonostante ci fossimo tutti addestrati a Camp Toccoa una volta divisi in reggimenti non avevamo avuto contatti con gli altri dunque scoprendo o sapendo chi fossero, forse qualcuno dei nostri? Speravamo.
    Ero seduta sul marciapiede lontana dagli altri miei compagni e strofinandomi le mani l'un l'altra cercavo di scaldarle, non era inverno, ma il sole stava scendendo ed eravamo in Francia. Su Giove ero abituata a minime di 163 gradi ed ora da semplice terrestre gelavo per una semplice escursione termica. Sbuffai.
    "Se solo potessi ti scalderei!"
    "Se solo potessi mi tufferei tra le tue braccia!"
    Risposi voltandomi verso Edward che si era seduto di fianco a me, gli sorrisi ed approfittando della lontananza degli altri poggiai una mano sul marciapiede sentendo la sua toccare la mia.
    "Odio questa situazione"
    "Dillo a me! Sopporto prendere ordini meno di tuo fratello, il che è tutto dire!" ironizzò prima di mordersi un labbro e fissarmi.
    "Se non avessimo la notte impazzirei... mi uccide non poterti toccare o baciare..."
    Mossi la mano sotto la sua solo per voltarla e far sì che si intrecciassero.
    "Lo hai detto abbiamo la notte... non tutte ma è meglio di niente... certo una sveltina o dei baci rubati non è come sognavo di godermi il matrimonio, ma... quanto meno siamo insieme..."
    Il tempo di quelle parole che prontamente staccammo le mani quando vedemmo un nostro compagno avvicinarsi ed avvisarci che il comandante aveva qualcosa da dirci. Stavamo camminando nel centro della piccola piazza del villaggio bombardato in cui ci trovavamo quando lanciando uno sguardo a Lara e Jacob poco distanti corrucciai le sopracciglia.
    "Croft mi preoccupa... come i suoi attacchi di panico..." sussurrai tra i denti, avevamo imparato a chiamarci per cognome onde evitare che mai nessuno potesse scoprire chi fossimo in realtà.
    "Non dire quella parola Frye... i ragazzi devono potersi fidare ed al contempo guardargli le spalle... E' meglio che nessuno sappia come sta, tanto meno Jake... è truce lo so, ma perdere la concentrazione ora... nel momento di merda che stiamo vivendo potrebbe essere mortale..."
    "Per questo dico! Forse morire qui ci farà solo risvegliare, ma se così non fosse? Continuo a pensare che tutto questo sia una fottuta trappola... è qualcuno all'esterno che ci ha fatto questo!"
    Bisbigliai sicura rivolta verso Edward prima che il nostro comandante si palesasse a tutti noi.
    "Tra un po' calerà il buio, dunque non voglio sentire rumori è vedere luci. Non si parla e non si fuma e soprattutto niente scherzi... chiaro Frye?"
    Chiese punzecchiando Jake a cui già tutti i nostri compagni fecero il verso ridacchiando, non c'era niente da fare anche in quella circostanza era il giullara della compagnia.
    "Dove andiamo Signore?" chiesi con la voce ferma che avevo imparato a tenere, bassa ed a tratti gutturale.
    "Caretan! Da lì i mezzi blindati di Omah e Utah proseguiranno uniti verso l'interno, ma se non prendiamo Caretan non possono muoversi. Tutta la Compagnia Easy è richiesta, compresa la 506° che ci ha appena raggiunto! Io ed il Capitano Auditore vi guideremo!"
    A quel nome ci illuminammo tutti. Il tempo di guardarci negli occhi che voltandoci Ezio, Altair Federico ed Arno spuntarono tra i nostri compagni d'armi. Anche loro sembrarono stupiti e non ce ne fregò nulla se ad occhi esterni sembravamo dei pazzi, ma ci salutammo come gli amici di vecchia data che eravamo tra strette di mano ed abbracci.
    I quattro fecerco fatica ad identificarmi, ma appena avvenne a fiume tre di loro mi chiesero subito di Aphrodite, Pandia o Persephone, ma scuotendo il capo feci intendere loro che non sapevo nulla.
    "Qui siamo Ethan Frye e Richard Croft, entrambi Sergenti..." spiegò Lara loro poco dopo, mentre tutti ci stavamo radunando per metterci in marcia.
    "Non oso immaginare quanto dura sia stata per voi..." mormorò Federico guardandoci effettivamente tra lo spaventato ed il dispiaciuto. I capelli corti, tagliati alla bene al meglio, i visi sporchi. Si stentava a riconoscerci.
    "Dura è non sapere dove sono gli altri... e se le mie consorelle stanno come me..." dissi pronunciando quelle parole in sussurro ed abbassando ulteriormente la voce aggiungendo "Senza poteri!"
    Lo dissi affranta facendo trapelare tutta la mia fatica ad abituarmi a quella condizione, mentre allungavo le maniche della divisa per scaldarmi un poco le mani.
    "Deve essere stata Eris... magari insieme ad Haytham ed al loro figlio malefico..."
    "Sono umani ora" cercò di dirmi Jake.
    "E tu ci credi? Questa è una prigione ne sono certa... sto ancora cercando di capire come uscirne, nel mentre temo che non possiamo far altro che seguire la corrente" e così ci trovammo a fare seguendo la fiumana dei nostri compagni e mettendoci in marcia.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 11/1/2020, 17:58
     
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    Finalmente giungemmo a Caretan, un villaggio spettrale dove la calma apparente era solo presagio di qualcosa di terribile.
    Quando il primo plotone avanzò, più velocemente che poté, una pioggia di proiettili iniziò a colpirli come bersagli di un tiro a segno. Io ed Ezio che eravamo appena partiti con il secondo ed il terzo plotone ci buttammo a terra imitati dagli altri, mentre alzando lo sguardo notai immediatamente i tedeschi spararci dalle finestre delle abitazioni.
    Se si fosse trattato di me o dei miei fratelli avrei potuto osare una corsa ed arrampicata fino ad una delle stesse e da dietro le linee nemiche eliminare il maggior numero di cecchini e lo avremmo fatto se ciò non avrebbe significato lasciare tutti gli altri completamente scoperti e senza una guida.
    "Guidali al sicuro io cerco di darvi un vantaggio!" esclamai con un sussurro all'orecchio di Ezio e poi allontanandomi con il fucile sulle spalle danzai tra i proiettili facendo leva su un muretto per saltarvi sopra, da lì saltare su due aste di ferro, un tramezzo di legno e da lì entrare in una delle finestre colpendo con i piedi il cecchino tedesco al suo interno che finì con la pistola che avevo alla vita, quanto mi mancava la lama celata?
    Senza aspettare oltre corsi nel corridoio e colpì gli altri, erano solo quattro in quell'edificio ma almeno in questo modo avrei dato spazio ai miei compagni di correre al riparo.
    Fu allora che da una finestra notai quello che mi pareva un viso familiare, il tempo di fermarmi che la figura sfuggevole di McKay scompariva alla mia vista. Ma non era morto? Pensai alle parole di Nike, ma durò un attimo visto che i miei compagni e l'azione richiedeva nuovamente il mio esserci.
    L'azione era concitata mentre c'erano uomini ovunque: dietro i muri delle case, in ogni anfratto e perfino per terra, mentre presto mi affiancò Jacob e Federico, l'obbiettivo era facile: prendere il magazzino.
    "Credo di aver visto McKay!" urlai loro mentre correvamo.
    "Non era morto?" chiese Jake.
    "Stai diventando petulante Frye!" lo beccò Federico.
    "E' la verità!"
    Mentre lo battibeccavano come marito e moglie riuscimmo ad arrivare al magazzino nello stesso momento in cui anche gli altri ci raggiunsero insieme ad altri uomini.
    "Dobbiamo liberare le case!" comandò Ezio senza troppi complimenti dividendoci in piccoli gruppetti ed assegnandocele, tutti corsero e si mossero. Tutti tranne Lara che immobile teneva il fucile basso e lo sguardo perso.
    "Croft!?" chiesi a mo di richiamo ed ammonizione, la vidi guardarmi come se si fosse svegliata all'improvviso ed assentendo si unì a me nella corsa verso una casa, anche se tentennò molto prima di sfondarne la porta ed entrare e quando successe la dovetti fermare prima che dall'impeto sparasse e così allungandomi misi una mano sulla sua canna abbassandola. Una famiglia composta da padre, madre e due bimbi si stavano stringendo tra loro terrorizzati, ma quasi lo pareva più Lara.
    "Non muovetevi, rimanete qui!" dissi loro il più dolcemente possibile, mentre strattonato Lara la invitai a seguirmi.
    "Croft ho bisogno che tu ci sia... mentalmente e fisicamente... ok? Ho visto McKay o credo fosse lui... dobbiamo trovarlo... dobbiamo capire perchè siamo qui..." le dissi mentre appoggiato alla parete di una casa lei assentiva assente infatti quando, sicuro che mi avesse capito, le indicai di seguirmi una volta iniziata la corsa sotto il fuoco nemico mi accorsi di essere solo, ma non potevo tornare indietro, non quando i feriti già erano molti e dovevano essere trasportati togliendo uomini alla missione principale.
    Durante la corsa però incrociai Jake in compagnia di Federico e gli feci presente il problema di Lara, dovevano recuperarla!
     
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    "Lo hai detto abbiamo la notte... non tutte ma è meglio di niente... certo una sveltina o dei baci rubati non è come sognavo di godermi il matrimonio, ma... quanto meno siamo insieme..." La guardai pensieroso, indagatore. Ormai era diventata un'abitudine per me, controllare in continuazione il suo stato d'animo.
    Due anni in quelle condizioni.

    Ricordavo benissimo il momento in cui ero arrivato in questo luogo perché, a differenza degli altri, io non stavo dormendo. Non mi ero risvegliato in un letto diverso, senza rendermi conto del cambiamento fatto. O no. Mentre gli altri riposavano, dopo la giornata in cui avevamo ricevuto la visita dell'Imperatrice e del suo seguito per controllare le condizioni della principessa, caduta in un sonno indotto come una Bella Addormentata qualsiasi, io ero rimasto sveglio.
    Pensavo ai fatti miei, beninteso. A quello che io e Nike dovevamo fare: la nostra separazione poteva essere imminente, di nuovo, e non per nostra volontà, ma per come si stavano mettendo le cose tra gli Assassini e l'Impero. Odiavo anche solo il pensiero di essere obbligato a rinunciare a lei, quindi stavo rimuginandoci in continuazione: forse la decisione giusta avrebbe dovuto essere radicale e coraggiosa, e niente di meglio che stancare i muscoli in un allenamento poteva schiarirmi il cervello.
    Il passaggio fu repentino, senza preavviso. Cominciò a girarmi la testa peggio che sul ponte di una nave in mezzo ad una tempesta, e mi piegai sulle ginocchia, premendo i pugni sugli occhi per far passare il fastidio. Avevo dato la colpa alla troppa foga con cui avevo pestato i manichini, ma riaprendoli, non vidi nulla. Tutto scuro. Imprecai in gallese, l'unico uso che facevo ormai della mia lingua d'origine. Poi tesi l'orecchio, perché mi parve di udire, nelle vicinanze, un gemito. Era Nike, l'avrei riconosciuta tra milioni di voci e dopo un milione di anni.
    Cercai a tentoni dove fosse, sbattei contro un mobile, capii che era un letto a castello, la trovai su quello superiore, che si agitava nel sonno. La scrollai e la chiamai. Il vociare aveva svegliato qualcun altro. Ci furono secondi di concitazione prima di trovare l'interruttore della luce.
    Io, Nike, Jake e Lara. Non mi importava cosa fosse successo, perché indossavamo tutti quanti boxer e canottiere bianche, perché i letti fossero in legno e dalla finestra microscopica della microscopica stanzetta che dividevamo si intravvedessero basse costruzioni che si estendevano per centinaia di metri.
    No. C'era qualcosa di molto più importante di cui mi stavo preoccupando. Era come se fossi diventato monco. Lei non era più tra i miei pensieri, non sentivo più il suo palpitare luminoso come fosse un secondo cuore nel mio petto. Immaginavo la perplessità che aveva il mio sguardo, ma in quello suo c'era molto di più di una semplice mancanza, c'era la paura.
    Era rimasta seduta sul letto. Le presi le mani: ”Stringimele...” Mi guardò come se le avessi chiesto di rivoltare il cielo. Io lo avrei fatto per lei, ma non era quello il punto. Come scoprimmo presto, l'energia che permeava il suo corpo, il suo essere, era scomparsa. Dei suoi poteri come gioviana non era rimasto nulla. Era debole e fragile come una qualsiasi donna terrestre.
    Lasciammo lei e Lara nella sicurezza di quell'alloggio per compiere una ricognizione in giro.
    Il giorno dopo, indossate le divise che portavano tutti gli altri, incominciammo la nostra nuova vita. Per me e per Jake fu semplice, affrontare addestramenti lunghi e selettivi, fisici e mentali. Stare al gioco durante i momenti di aggregazione, con gli altri ragazzi.
    Per loro, per Nike e Lara, no. Inizialmente furono prese di mira perché sembravano due ragazzini taciturni, timidi, deboli, quasi ottusi. Io e Jake diventammo una sorta di protettori, di angeli custodi, senza neanche doverne parlare.
    I nostri camerati erano diventati gentili e affabili, dopo che avevamo rotto con non poca soddisfazione qualche naso e qualche braccio, per far capire che dovevano lasciarci in pace. Avevamo fatto intendere che io ero il fratellastro dei due gemelli Frye, mentre Croft un loro cugino. Era stato utile, invece, far capire l'antifona al tenente che si occupava della mensa, per ottenere razioni di cibo extra per le ragazze. La sbobba che ci propinavano poteva bastare a noi, ma non certo a loro.

    Ero un Sergente Maggiore, secondo i gradi dell'esercito statunitense. Prima di diventare pirata avevo navigato qualche mese con la Marina di Sua Maestà, quindi conoscevo bene le meccaniche in questione. Eravamo tutti e quattro dei sottufficiali, non avevamo molta speranza di fare carriera e, purtroppo, come soldati di bassa lega equivalevamo a carne da macello, nel momento in cui si sarebbe trattato di combattere.
    Sapevo bene che tutta la disciplina e il rigore che ci stavano inculcando sarebbe andato a farsi fottere quando ci fossimo trovati sul campo di battaglia, in mezzo alle deflagrazioni, alla confusione, alla morte, alla disperazione, alla bestialità più bassa del genere umano. Ero quasi felice di ciò che si prospettava: io ero nato per la battaglia, io mi muovevo come uno squalo nell'oceano, in mezzo agli scontri e al sangue. Era la mia natura più vera e istintuale che si esprimeva libera. Non temevo la morte, dato che questa era solo il prezzo da pagare per sentirmi vivo.

    Non mi preoccupavo della capacità di cavarsela di Jake, ma ero dubbioso sulle reazioni di Lara.
    E, soprattutto, temevo per Nike. Aveva perso la sua bellezza innaturale, quella che mi aveva stregato dal primo momento che la avevo vista. Sembrava più minuta, più fragile, più rassegnata. Non la vidi mai piangere, neanche durante i momenti più difficili, quando sembrava ad un passo dalla sconfitta. Eppure per me rimaneva bellissima, e i miei sentimenti aumentavano con il bisogno di proteggerla. Non la lasciavo mai sola, se non quando la sapevo isolata da tutti.
    Il suo comportamento era diventato scontroso, rude, caustico: era riuscita egregiamente a passare per un giovane smilzo e introverso davanti agli altri soldati, ma non ingannava me. Vedevo il suo sconcerto e la sua paura.
    Questo non era un mondo per donne, anche se abituate alla guerra e ai sacrifici come la mia amata. Qui non c'era dignità né logica, solo violenza gratuita mascherata con paroloni come libertà, privilegio, onore, gloria.
    Dopo il primo giorno in cui avevano tentato di nascondere i capelli lunghi dentro ai berretti, avevano entrambe deciso che non era possibile farlo a lungo. Li tagliai io stesso i capelli a Nike, quando vidi le sue mani tremare eccessivamente, le lame troppo vicine alle sue guance.
    ”Ce la faccio anche da sola!”
    ”Sì, ma voglio farlo io...” Tentai una delle mie battutacce: ”Vuoi mettere la fortuna che hai, di non doverti fare la barba tutti i giorni?” Ottenni un pallido sorriso, niente di più.

    A differenza di quanto poteva sembrare ragionevole, ero contrario a tentare la fuga dal campo di addestramento. Nike era convinta che dietro tutto questo ci fosse Eris e i Deviati, ed io ero d'accordo con lei. Quindi, se ci avevano messo in questo posto, tanto valeva stare al loro gioco. Il nostro obiettivo era solo quello di apprendere le regole di questo immenso casino e riuscire a volgerle a nostro favore. O, in caso contrario, ad infrangerle. Cosa che a me piaceva molto di più.

    ”Ehi, il capitano ci vuole tutti a rapporto... sbrighiamoci!” Mi alzai, sbuffando. Il momento di entrare in azione si stava avvicinando, forse era più prossimo di quanto immaginavamo. Ma alla verità, in due anni, non ci eravamo avvicinati di un briciolo. Avevamo solo ipotesi, e niente che ce le confermasse.


    Edited by Illiana - 11/1/2020, 17:33
     
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    Lo scontro Caretan fu una vera carneficina oltre che un caos oltre ogni limite, ciò che aveva avvantagiato tuttavia la Compagnia Easy era stata la presenza degli Assassini, grazie a loro fu molto più facile abbattere i cecchini tedeschi agli edifici. Le loro acrobazie li portavano a raggiungere le finestre in modo veloce ed inconsueto e facevano di tale stupore la loro arma, mentre noi conquistavamo gli edifici uno per uno.
    Avevo visto Altair correre in mezzo al fuoco e di corsa dire qualcosa ad un Jacob confuso quando facendo vagare il capo ne capì il motivo: Lara era accucciata per terra con la schiena contro la parete di un edificio. Era coperta dal fuoco nemico, per ora, ma se fosse rimasta lì, sarebbe morta.
    Non ci pensai due volte e dunque corsi sotto la poggia di fuoco uscendo allo scoperto mentre sentivo le urla dei miei compagni dirmi di tornare al riparo. Continua a correre stringendo il fucile al petto ben conscia della mia non più forza gioviana, ma lieta che anche in quella forma quanto meno fossi ancora atletica e soprattutto veloce nella corsa. Tuttavia Jacob mi aveva preceduto riuscendo ad arrivare da Lara prima di me, così che usai la posizione raggiunta per diventare utile nei confronti dei miei compagni rimasti scoperti perchè feriti.
    Fu allora che un'esplosione un po' troppo vicina mi sbalzò lontana. La testa girava, lo sguardo era offuscato e le orecchie fischiavano, ma immediatamente mi tastai cercando di capire se fossi tutta intera. Ero sporca e percepì il calore del sangue in mezzo alle gambe, immediatamente cercai di capire quanto grave fossi, per poi scoprire che si trattava di una semplice ferita di striscio sulla coscia. Fortunatamente era più apparenza che altro, ma fu quando feci per alzarmi che il calcio di uno stivale mi costrinse di nuovo con la schiena contro la parete.
    Alzai lo sguardo al cielo, accecata dalla luce e percependo la figura sopra di me come un'ombra, una di cui però riconobbi la divisa: un tedesco.
    "I miei ossequi Frau Nike" disse con voce dura e ferma, facendomi fremere. Un brivido mi percorse mentre corrucciavo le sopracciglia stupita che in quel luogo qualcuno mi conoscesse.
    "Non hai minima idea di chi io sia, ma io sono benissimo che sia tu. Ammetto che non avrei scommesso nemmeno uno scellino su voi Guerriere, ma... la mia adorata moglie non sbagliava, siete più difficili da spezzare di quanto appaia... Tuttavia il gioco per te è finito... La Torre mangia il pedone!" esclamò prima di puntarmi una pistola contro. Io non scostai lo sguardo, rimasi a guardarla fisso seppur terrorizzata e sentì il proiettile schizzarmi accanto alla guancia, ferirmela, quando il colpo mancò il centro della mia fronte solo perchè qualcuno aveva sparato di striscio alla mano del mio assalitore costringendolo a sbagliare il colpo: era Edward.
    Il mio assalitore scappò nel caos della ritirata tedesca, mentre Edward non pensò due volte a prendermi in braccio e portarmi via, per poi essere medicata poco dopo.

    Caretan era nostra.
    Fermi a riprendere fiato e per riorganizzarci, molti mie compagni erano sparsi per la città ed io e molti altri eravamo riuniti in uno degli edifici più grandi per essere medicati.
    Ammetto che mi terrorizzava l'idea che il medico da campo mi curasse, la ferita era nell'interno coscia e scoprire il mio vero sesso sarebbe stato semplice, motivo per cui chiese ad Edward occuparsene.
    Nascosti dietro ad un tendaggio improvvisato lo sentivo con una pinza tirarmi fuori il proiettile, mentre io stringevo con le mani il bordo del tavolo su cui ero e gettando il capo all'indietro piangevo mordendomi il labbro inferiore. Era un dolore indescrivibile.
    Dopo che Edward mi ebbe fasciato ed io ebbi indossato nuovamente i pantaloni si occupò anche della mia guancia contro le mie proteste.
    Fu di una delicatezza che non mi aspettai, mentre mi disinfettava e poi troppo vicini si perse nell'osservarmi, nel tenermi una mano sul viso che prese ad accarezzare con il pollice, io che arrossendo voltai il capo dall'altra parte.
    "Che hai?"
    "Non guardarmi!"
    "Che?"
    "Non guardarmi!" ripetei tornando a guardarlo di sottecchi.
    Fu allora che lui mi costrinse a voltarmi verso di lui, senza delicatezza. Si fece spazio tra le mie gambe e poi stringendo il mio mento con due dita lo tenne fermo costringendomi a fissarlo e senza che proferisse parola mi baciò. Con impeto. Con decisione. Con necessità. Con amore.
    Le mani si strinsero intorno alla mia vita sottile, mentre le mie mani si perdevano tra i suoi capelli biondi e corti mentre allacciavo le gambe intorno ai suoi fianchi.
    "Non dirmi mai più di non guardarti..."
    "Ma..." tentai di protestare.
    "Sei bellissima... lo sei sempre ai miei occhi..." mi disse percependo in quelle parole qualcosa che andava oltre al semplice complimento fisico. Sorrisi appena, mentre lui catturava di nuovo le mie labbra. Fermarsi e staccarsi sembrava impossibile, ma fu per fortuna il rumore di passi a permetterci di farlo.
    Tornammo ad ignorarci come se nulla fosse, ma fortunatamente accorgendoci di essere stati raggiunti da Federico ci rilassammo un poco .
    "Ehi piccioncini, perdonate il disturbo, ma... tra un po' dobbiamo rimetterci in cammino. Il battaglione vuole che prendiamo una posizione difensiva sull'altopiano ad est, con tutta la pianura allagata i tedeschi possono avvicinarsi solo da lì..."
    Sia io che Edward assentimmo a quella affermazione, ma prima che Federico se ne andasse gli chiesi di radunare tutti, gli Assassini si intendeva. Non avevo dimenticato quello strano scambio di parole sul campo di battaglia e volevo parlarne con tutti loro. Poteva essere una pista, il primo vero indizio dopo anni.
     
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    Stavo combattendo una guerra senza onore, una guerra senza gloria. Stavo lottando in mezzo a un inferno di proiettili, fango, sangue e stanchezza. Stavo affrontando più di un nemico, un nemico che non indossava solo una divisa tedesca. Ero prigioniero di un gioco a cui non avevo scelto di partecipare. Ma avrei combattuto dieci guerre come questa; avrei attraversato dieci inferni di proiettili, fango, sangue e stanchezza; avrei affrontato dieci nemici diversi pur di riavere con me la mia Lara e cancellare quella Lara che non riconoscevo più.
    Da quando ci eravamo svegliati in una baracca umida e maleodorante, tutto il nostro mondo era stato capovolto. Eravamo stati costretti a recitare ruoli che non ci appartenevano, a vivere una storia che doveva essere ormai morta e sepolta, a trasformarci in meri pedoni sacrificabili a fronte di un conflitto di proporzioni mondiali. Ecco cos’eravamo diventati: numeri, unità, carne da macello in sostanza.
    In quei due anni trascorsi lontani da Nanda Parbat e addentro alla più assurda delle follie Lara era cambiata e forse ero cambiato anche io. Avevo assistito, inerme, al suo declino fisico e psicologico. Non avevo saputo cosa fare, tanto quanto non sapevo cosa fare in questo dannato momento. I combattimenti avevano solo aggravato una condizione che sospettavo già da diversi mesi… La mente di Lara stava cedendo!
    Il dover nascondere la sua femminilità l’aveva messa a dura prova. Era diventata sempre più taciturna, partecipava svogliatamente agli addestramenti procurandosi sempre punizioni e demeriti, appena poteva si nascondeva con la prima scusa disponibile. Una volta avevo trascorso un intero pomeriggio a cercarla sotto l’ordine diretto del nostro ufficiale in comando, salvo poi trovarla con la testa nascosta tra le braccia in un angolo dell’armeria.

    “Croft, dannazione! Ti ho cercata dappertutto!” le dissi con voce alterata dalla preoccupazione.
    “Lara! Mi chiamo Lara!!!” mi urlò contro, fissandomi con uno sguardo talmente carico di astio che il cuore mi si era fermato nel petto. Avevo bloccato i miei passi a poca distanza da lei e i suoi occhi avevano scavato un solco talmente profondo che esitai ad avvicinarmi.
    “Lo conosco bene il tuo nome… è il nome della donna che amo…” mormorai con voce incerta, incapace di capire come comportarmi in una situazione per me del tutto nuova.
    “Se mi ami davvero come dici, allora smettila di starmi addosso, smettila di chiamarmi Croft, smettila di soffocarmi…” Continuava a guardarmi con occhi che mi fecero paura molto più di un’orda di nemici assetati di sangue. Quel pomeriggio, Lara mi aveva insegnato cosa significasse avere paura di perdere qualcuno… e con quella paura convissi per giorni e poi mesi…


    Si era alla fine isolata persino dal nostro gruppo. Nike aveva provato a starle vicino, a farle sentire il suo supporto visto che si trovavano nella medesima situazione, ma anche lei aveva fallito. Nessuno di noi l’aveva però assecondata nelle sue assurde richieste “di lasciarla in pace”. Come potevi lasciare in pace una sorella, un’amica, una compagna? Era anche arrivata al punto di rifiutare qualsiasi tipo di contatto da parte mia, anche se eravamo al sicuro da sguardi indiscreti. E così… ero rimasto a guardare mentre innalzava muri, barricate e fili spinati attorno al suo cuore, mentre il mio sanguinava nel tentativo di raggiungerla.
    Avevo sperato che il tempo guarisse le sue ferite, che presto saremmo tornati a casa e tutto sarebbe tornato alla normalità, ma nulla era accaduto ed era arrivata la chiamata al fronte. Questo aveva peggiorato ulteriormente la situazione… ma non credevo saremmo mai davvero giunti a questo punto!
    Quando Altair mi urlò di raggiungere Lara il sangue mi si gelò nelle vene. Cosa stava accadendo? Una crisi di panico? Era in pericolo? La mia Lara aveva ceduto le armi?
    Non potevo e non volevo crederci. Nonostante le esplosioni troppo vicine mi facessero fischiare le orecchie continuai a correre come se avessi il diavolo alle calcagna. Corsi fino a quando non intravidi la minuta figura di Lara rannicchiata su stessa, il fucile abbandonato a terra, i palmi aperti sulle orecchie come a voler chiudere fuori un mondo fin troppo brutale. Non l’avrei abbandonata lì, non avrei permesso che le facessero del male, le avrei fatto scudo col mio stesso corpo se fosse stato necessario. Arrivai in volata, afferrandola di slancio e stringendola forte al petto.
    Lei non reagì per un lungo momento. Ebbi la sensazione di tenere tra le braccia un manichino senza vita e il terrore di essere arrivato troppo tardi quasi mi soffocò. Poi la sentì mormorare qualcosa contro la mia divisa da combattimento ormai sporca e lacera. Teneva le palpebre serrate, ma mi aveva riconosciuto ne ero certo. Stringeva tra le dita il tessuto grezzo in maniera talmente convulsa che le si erano sbiancate le nocche.
    “Lara, torna in te ti prego…” le sussurrai piano, in un orecchio, mentre le accarezzavo la schiena con movimenti pacati.
    “Non ci vedo, non ci vedo più, Jake!” La sua voce era striduta, irriconoscibile, la paura permeava ogni sillaba.
    Le presi il viso tra le mani e la costrinsi a guardarmi, passandole i pollici sulle palpebre.
    “Apri gli occhi, provaci, mi vedrai… sono il tuo Jake, non potrai non vedermi…” la rassicurai con voce ferma, anche se dentro di me tremavo in balìa di una tempesta sconosciuta. Vederla intrappolata in quel guscio così fragile mi stava distruggendo.
    Lei scosse forte il capo in segno di diniego, non voleva darmi ascolto, tentò addirittura di liberarsi dalla mia presa per tornare a nascondersi. Non glielo permisi.
    “Lara, fidati di me, lo hai sempre fatto… continua, per l’amor di dio, ho bisogno di te!” Le accarezzai il viso, le baciai le ciglia umide di pianto, la fronte aggrottata per il terrore, le labbra piegate in una linea di sconforto. Pian piano iniziò a rilassarsi, perciò non smisi di vezzeggiarla con la delicatezza con cui si accarezzano i petali di una rosa rara. Alla fine aprì gli occhi, mi guardò e… mi vide. La sentì buttare fuori un lungo sospiro trattenuto, mentre si accasciava tra le mie braccia, senza forze, sfinita.
    “Ti porto via da qui, ok? Siamo troppo scoperti, ma tu non abbandonarmi, resta con me…” Non mi rispose a parole, ma si rannicchiò contro di me, affidandosi completamente. La paura sembrava lontana adesso, ma non sapevo per quanto tempo sarebbe durato questo stato di grazia.
    La presi in spalla per potermi muovere più agevolmente e tenere al contempo l’arma in pugno. Corsi come un matto, constatando che le esplosioni erano cessate e che la città di Caretan era stata conquistata. Potevo vedere chiaramente la ritirata rocambolesca dei soldati tedeschi. Mi guardai intorno in cerca della faccia di Adrian McKay. Una strana inquietudine mi accompagnava da quando Altaïr aveva detto di averlo intravisto. Cosa diavolo ci faceva qui il capo della Trinity? Una Trinity che non esisteva più e lui… be’, lui stesso doveva essere morto con essa.
    Raggiunsi arrancando l’infermeria e sdraiai Lara sulla prima branda disponibile. Le urla dei feriti mi perforava i timpani, ma dovevo concentrarmi solo ed esclusivamente su di lei… Fermai il primo camice bianco che vidi e gli intimai di visitarla. Quello, non poco infastidito dal mio tono perentorio fece quanto gli avevo “gentilmente” chiesto. Con ogni probabilità aveva capito che non gli avrei dato molta alternativa se si fosse azzardato a rifiutarsi. Mi assicurai che non la spogliasse e che restasse nei “ranghi” consentiti…
    “Sembra sotto shock, ma non ha ferite gravi. Il battito e la pressione sono normali… non posso fare molto per questo soldato!” Mi rimbeccò il medico, con un sottointeso ben chiaro tra le righe: “ho feriti ben più gravi di cui occuparmi!”
    Lo lasciai andare solo perché avevo ricevuto la risposta che mi serviva: Lara stava fisicamente bene, il problema era nella sua testa. E… io… non sapevo proprio cosa fare. Mi accorsi solo quando le gambe cedettero di schianto del peso che continuavo a portare addosso: la mia attrezzatura e quella di Lara. L’adrenalina adesso però stava scemando… e io ero spossato. Crollai accanto alla barella dove Lara sembrava riposare serena, ma sapevo che era tutta apparenza. Doveva lottare contro i demoni della paura e cosa potevo fare per aiutarla?! Non lo sapevo, dannazione! Non ne avevo la più pallida idea.
    Le accarezzai il profilo con un dito, sperando che potesse trovare la serenità che meritava e pregando che quell’incubo finisse presto. Altrimenti sarebbe stato il mio cuore a scoppiare… non avrebbe retto a un’altra scena simile, questa era l’unica certezza che serbavo nel marasma di dubbi che affollava la mia mente. Avevo bisogno che Lara stesse bene, solo così sarei riuscito a sopravvivere a tutta questa follia.


    Edited by KillerCreed - 13/1/2020, 00:30
     
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    Infilai con cura meticolosa i guanti di pelle nera, li tirai per farli aderire alle mie mani fino a che le cuciture non furono visibili.
    Fissavo da qualche minuto la strada che portava alla cittadina francese dove eravamo acquartierati dopo il ripiego dalle zone costiere, conquistate dall'esercito invasore.
    Questo vantaggio apparente dei Bianchi non mi preoccupava più di tanto, conoscevo la strategia che Nyx aveva pianificato all'inizio di partita, e tutto stava procedendo come un perfetto meccanismo oliato. Ero pieno di fiducia nelle nostre forze, nella capacità straordinaria della mia Dea di vincere la partita.
    Prima che il gioco avesse inizio, avevo insistito perché usassimo dei metodi per ottenere vantaggi non regolari, infrangendo le regole che governavano la sfida. Lei si era rifiutata fermamente, facendo sentire me debole ed inferiore davanti alla sua integrità e alla sua perfezione. Avevo accettato le sue decisioni in ogni minimo particolare, cercando di compiacerla in ogni modo, per essere di nuovo degno del suo amore.
    Tirai nuovamente il bordo del guanto, sentendo la pelle nera sfregare sulle mie nocche. Dalla strada cominciarono ad arrivare i primi sembianti di soldati. Burattini che svolgevano un ruolo fittizio su un palcoscenico limitato solo a dove si muovevano i pezzi della scacchiera. Noi Deviati conoscevamo la verità dietro a tutto questo: il mondo dove avevamo passato già molto tempo esisteva in nostra funzione. Il paese che sulle mappe era indicato come Caretan si era materializzato solo al nostro arrivo, e sarebbe scomparso quando l'ultimo dei giocatori lo avesse lasciato.
    Eccoli, dunque. Dalla finestra al secondo piano della casa posta perpendicolare al rettilineo avevo un punto di osservazione ottimale che mi permetteva di notare ogni mossa dei giocatori in arrivo. Non dovevo dare nessun ordine ai miei pedoni, perché si trovavano già posizionati alle finestre del primo piano per falciare quanti più soldati nemici potessero.
    Non erano quei soldati il mio bersaglio. Io e gli altri Deviati dovevamo concentrarci sui veri pezzi della scacchiera. Seguii con lo sguardo una delle Torri bianche superare con facilità il nostro fuoco di disturbo, e neutralizzare i cecchini. Risi a denti stretti. Quanta fatica sprecata: ignoranti come erano di quello che veramente stava accadendo, si illudevano di combattere una guerra che non esisteva...
    Mi girai a metà verso l'altra persona presente nella stanza: ”E' giunto finalmente il momento che i Neri facciano la loro prima mossa. Conosci gli ordini che devi eseguire. Vai, e non deludere la nostra Signora !”
    McKay si allontanò senza proferire parola. Non avevo mai concesso alcuna confidenza ai miei alleati. Non li stimavo, non li ritenevo meritevoli di partecipare al piano grandioso che aveva ideato Nyx. Non volevo nessuno intorno a lei, ero convinto che io sarei stato sufficiente come suo alleato, nonostante le mie debolezze.
    Ma lei non era d'accordo. Lei aveva un coraggio e una saggezza che la portavano ad essere forse troppo vulnerabile e troppo disponibile con chi le offriva il suo sostegno. Eppure, come sempre, avrei accettato questo e altro, da lei, nella speranza che il sogno che condividevamo si realizzasse.
    Scesi a pianterreno scivolando giù dalla parete del retro della casa, per evitare le scale e la possibilità di imbattermi nel giocatore avversario, che si stava facendo strada agevolmente in mezzo ai nostri soldati. Il mio obiettivo non era lui, anche se mi sarei misurato volentieri in uno scontro alla pari con chi, come me una volta, apparteneva alla Confraternita degli Assassini.
    Mi concentrai sulla mossa che la mia amata mi aveva ordinato di eseguire: sapevo con sicurezza dove si trovava l'altro giocatore, nient'altro che una pedina insignificante, perché Nyx lo aveva già previsto con facilità. L'Imperatrice poteva essere abile, ma non era intelligente come la mia Dea, e presto avrebbe cominciato ad accorgersene.
    Mi appostai, in attesa della deflagrazione che avrebbe colpito colei che presto sarebbe uscita dal gioco per mano mia. Urla e rumori di spari si sovrapponevano in una cacofonia che mi infastidiva, ma non mi distraeva. Quando lo spostamento d'aria fece crollare alcuni calcinacci nell'androne dove ero celato, mi mossi, sorprendendo la mia preda per terra, stordita, ferita e inconsapevole.
    Le puntai la pistola alla testa, senza il minimo moto di emozione. Non ne avevo. Sapevo la natura di quello che stavamo vivendo: era una farsa, che avrebbe però condotto ad un risultato reale. E anche in caso contrario, il rimorso era un turbamento che non mi era mai appartenuto, soprattutto quando si trattava di eliminare gli ostacoli che ostruivano la mia strada.
    L'attesa di quel momento era stata lunga, perché noi Deviati non avevamo potuto evitare di vivere il gioco fino in fondo, per non infrangere le regole della competizione. Per troppo tempo avevo mosso pedine inutili per mantenere vivo l'inganno di una strategia, mentre nell'ombra ne stavamo preparando una ben diversa. La frustrazione e il tedio di quel periodo trovarono sfogo nelle parole che le rivolsi, con disprezzo: ”Ammetto che non avrei scommesso nemmeno uno scellino su voi Guerriere, ma... la mia adorata moglie non sbagliava, siete più difficili da spezzare di quanto appaia... Tuttavia il gioco per te è finito...”
    Aumentai la pressione sul grilletto perfettamente oliato della mia Luger semiautomatica, ma qualcosa, una frazione di secondo prima che sparassi, deviò il mio colpo, che ferì solo di striscio la guerriera.
    Mi girai e, con profonda incredulità, vidi sopraggiungere di corsa un giocatore Bianco. Kenway era una semplice pedina, ma insieme con lui stavano sopraggiungendo anche Dorian e il giovane Auditore, gli Alfieri della Regina Bianca. Per un attimo, rimasi paralizzato dalla sorpresa.
    Non avrebbero dovuto essere lì, secondo i calcoli fatti da Nyx!
    Questo voleva solo dire una cosa: l'Imperatrice stava muovendo i suoi pezzi con più maestria e astuzia di quanto avevamo calcolato.
    Poco male...
    Piccoli imprevisti come questi non avrebbero potuto in alcun modo cambiare o indebolire il grande piano che avevamo progettato. Mi preoccupai solo di spostarmi velocemente in un punto sicuro, nell'attesa degli ordini successivi della mia amata.
    La rabbia per aver deluso Nyx e aver mancato ai miei doveri stava martellando sorda nel mio petto. Mi ero dovuto ritirare come un codardo, quando invece il mio istinto mi diceva che avrei potuto sopraffare qualsiasi contendente senza particolare sforzo, ma sapevo che così avrei peggiorato la situazione, ignorando i suoi ordini. Le parole che avevo pronunciato incautamente rappresentavano un aiuto gratuito ai Bianchi. Potevo solo chiedere perdono per il mio errore.
    Sferrai un pugno nel muro che mi stava di fronte, lasciando nell'intonaco un segno grosso quanto un'arancia che aveva scoperto i mattoni sottostanti. La polvere rimase sospesa nell'aria immota del mio rifugio. Fu il solo gesto di ribellione che mi concessi, prima di tornare ad essere il soldato glaciale, implacabile e in pieno possesso delle emozioni che ero orgoglioso di essere. Avevamo ancora molto da giocare, e troppo grande era la posta sul piatto per farsi fermare da simili piccolezze.
    Ora toccava a McKay, e non doveva fallire.
     
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    L'incontro con Edward, Jacob, Nike e Lara da una parte mi aveva allietato, certo perchè fossero nella nostra stessa situazione, ma almeno erano vivi e vegeti. Generalmente sembravano in forma, per quanto lo si potesse essere in quella condizione, ma osservando più attentamente non sfuggiva il malessere psicologico di Nike e Lara, soprattutto la seconda.
    Vederle mi aveva provocato una stretta al cuore ed il mio pensiero si era fatto ancora più pressante e preoccupato nei confronti di Aphrodite.
    Era a lei a cui stavo pensando mentre stringendo tra due dita la fede che avevo al collo, avevo lo sguardo perso oltre l'orizzonte. A farmi tornare alla realtà ci aveva pensato Arno che picchiettandomi sulla spalla mi indicò che era tempo di andare.

    Dopo esserci rimessi in cammino ci trovammo, dopo poco, attaccati da colpi di fucile così che fummo costretti a correre ai ripari per rispondere al fuoco e stare al sicuro. Ci rimanemmo tutto il giorno e tutta la notte, ognuno confinato nella propria trincea. La pioggia ci cadeva addosso senza fermarsi impregnando le nostre vesti e le nostra ossa.
    Con sguardo vigile a fare la guardia nella mia stessa buca era presente anche Lara che poco dopo venne raggiunta da una Nike molto preoccupata.
    Provavo un misto di ammirazione e preoccupazione nei loro confronti, soprattutto nei confronti della giovane Croft.
    “Come va Lara?”
    “S-Sto bene”
    “Jake mi ha detto quello che è successo oggi in infermeria”
    “Il Dottore l'ha definita... c-cecità i-isterica”
    Lara aveva le ginocchia ranicchiate al corpo mentre Nike bevve un sorso d'acqua dalla sua borraccia prima di porla alla compagna.
    “No grazie...”
    “All'addestramento dicevano che la disdratazione è il peggior nemico del soldato. Prendi...”
    “F-Forse il problema è questo noi non siamo soldati!”
    Esclamò Lara bevendo un po' d'acqua e consegnando nuovamente la borraccia a Nike. Dal canto mio assentì e non poté trattenermi dall'intromettermi.
    "In fondo è solo un gioco. Meschino. Perverso. Ma un gioco. Spostiamo la palla portandola avanti un metro alla volta... ora come ora non possiamo fare altrimenti"
    Vidi le iridi scure delle due donne fissarmi attonite, ma consce della verità delle mie parole. Ezio le interrupe prima che potessero parlare per avvisarmi che i tedeschi erano intenzionati a riconquistare Carentan. Noi eravamo in mezzo, ci saremmo mossi all'alba per impedirglielo.

    La notte non portò con sè un gran sonno ristoratore, solo turni di guardia per dar modo a tutti di concedersi un minimo di riposo a fronte del giorno successivo. Io ero nella stessa buca con Lara e Jake che con il suo modo di fare goffo, ma presente, cercava di esserci per la donna che amava. Voleva approfittare di quel breve momento di tranquillità, ed in cui non dovevano nascondersi, per farla riposare tenendola stretta tra le sue braccia.
    Fu guardandoli che pensai al freddo che sentivo e che non era dovuto alla pioggia o al freddo della notte, ma bensì alla mancaza della donna che amavo al mio fianco.
    Fu una notte inaspettatamente silenziosa, calma e serena che preannunciava una tragedia all'orizzonte.
     
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    Le bombe cadevano senza sosta, la polvere e i detriti incandescenti sporcavano e bruciavano la mia divisa, il fumo non dava tregua ai miei polmoni e l’arma rischiava di scivolarmi a ogni balzo a causa delle mani sudate. Il terrore serpeggiava sotto pelle, consapevole che – prima o poi – una di quelle esplosioni mi avrebbe colpito in pieno e… addio mondo! Eppure non morivo, saltavo, rotolavo, sparavo, urlavo ai miei compagni di non mollare. Credevano in me, anche sotto un fuoco nemico talmente intenso da far assomigliare il campo di battaglia al peggiore girone dell’inferno dantesco. Era impossibile sopravvivere ma noi stavamo sopravvivendo… almeno fino a quando, in seguito all’ennesima esplosione, non fui sbalzato via e persi la mia arma. Cercai di afferrare la baionetta, ben sapendo che era un gesto inutile, mentre un nemico mi si parava innanzi e mi puntava il suo fucile contro. Era davvero finita per me? Era proprio questo il capolinea? Avevo davvero pensato che tutti saremmo usciti indenni da questa inutile, maldestra, sanguinosa guerra? Eppure avevo visto compagni dilaniati dalle bombe e dalla malvagità umana.
    Chiusi gli occhi, pronto a ricevere il proiettile che avrebbe messo fine alla mia esistenza… quando un urlo di una voce familiare giunse alle mie orecchie e mi costrinse a ritornare alla realtà. Daniel – il mio migliore amico, il mio confidente, la mia àncora e il mio supporto in quel folle mondo – mi abbracciò trascinandomi via dalla traiettoria di morte pronta per il sottoscritto. La detonazione del colpo fu come un’altra bomba scoppiata in pieno petto… Il proiettile non aveva colpito la mia carne ma ebbe comunque il potere di distruggermi. Il nemico fu abbattuto da un altro compagno d’arme, mentre Daniel agonizzava tra le mie braccia… il sangue gli usciva dalla bocca, i suoi polmoni stavano collassando e lo sguardo era sempre più vitreo. Pochi istanti di orrore assoluto e il mio amico non c’era più. Il lamento che uscì dalla mia bocca mi fece paura, un lamento che si trasformò ben presto in un grido di dolore straziante…


    Poi… mi svegliai! Di soprassalto e madido di sudore gelato, mi ritrovai in mezzo al letto: una branda poco più grande di quelle riservate ai soldati semplici. Hybris mi abbracciò d’istinto e potei sentire il suo cuore battere forsennatamente contro la spalla nuda. L’avevo spaventata e non era la prima volta, dannazione! Ci imponevamo, non soffrendo affatto in realtà, di passare la notte sotto le stesse coperte, anche se il nostro rifugio era circoscritto e ci costringeva a dormire quasi l’uno sull’altro. Per noi era un modo di respirarci a vicenda, al riparo delle brutture che imperversavano fuori dall’accampamento. La abbracciai forte e le accarezzai i capelli con dolcezza.
    “Perdonami. Forse dovremmo rinunciare a dividere la stessa branda, almeno per un po’…” mormorai piano, rilasciando un profondo sospiro. Lei si scostò, mi prese il viso tra le mani affusolate e mi costrinse a guardarla dritta negli occhi.
    “Non dire sciocchezze. Piuttosto… sempre lo stesso incubo?”
    Era stata dura confessare le immagini che – da quando eravamo arrivati al fronte – avevamo preso a tormentarmi. Ricordi di quando ero un giovane ufficiale dell’esercito americano, risalenti a una, anzi, cento vite fa. Era davvero pazzesco come la mente umana riuscisse a braccarti usando armi impensabili, traumi che pensavi ormai sepolti, persone che credevi di avere dimenticato nelle traversie di un’esistenza inumanamente lunga. Ma così era stato per me.
    Erano trascorsi due anni da quando il gioco era iniziato e tutte le pedine, noi compresi, eravamo stati posizionati sulla scacchiera. E come tutti gli altri ognuno di noi aveva svolto un ruolo, non per questo avevamo avuto sconti sul vivere una farsa facendo sì che essa diventasse il più reale possibile agli occhi dello schieramento avversario. Tuttavia, mai e poi mai avrei pensato di cadere vittima di una trappola del genere. Il mio subconscio si era trasformato in una sorta di coscienza, la quale mi rammentava che un tempo avevo combattuto dall’altro lato della barricata, avevo spronato quegli stessi compagni che ora vedevo cadere sotto le mie stesse mitragliatrici…
    “È tutta una messa in scena, Adrian. Dobbiamo semplicemente stare al gioco e seguire gli ordini. Non c’è nulla di reale!” Hybris mi parlò come se avesse letto ogni mio singolo pensiero e sì, se ci riflettevo con razionalità sapevo che era così, ma appena mi addormentavo e lasciavo le redini della ragione, ecco che tornavo nel mio limbo personale.
    Appoggiai la mia fronte umida a quella di lei, mi accarezzò le guance già un po’ ispide e baciò piano le mie labbra tremanti. Ero ancora scosso, ma Hybris riusciva sempre a calmarmi in un modo o nell’altro. Adesso era lei la mia àncora, il mio legame con la realtà, l’unica che impediva alla mia fragilità di emergere e causare danni irreparabili.
    “Lo so, amore mio, lo so…” risposi tra un bacio e un respiro, tra una carezza e un altro bacio. La mia àncora.
    “Adesso prova a riposare un po’, domani sarà una giornata campale, è il momento di fare la nostra mossa. Il Führer ha fallito per un caso fortuito ma tu non permetterai che accada lo stesso. La Grande Madre crede in te! Io credo in te!”
    La Grande Madre, colei che decideva le mosse e muoveva i pezzi sulla scacchiera. Nessuno di noi conosceva il disegno generale e lo scopo finale, ma tutti noi credevano in lei e ci fidavamo ciecamente del suo giudizio. Certamente tutti noi Deviati ne avremmo avuto un beneficio immenso. Per questo annuii alle parole di Hybris e la invitai ad accoccolarsi sul mio petto. La tenni stretta, baciandole piano i capelli profumati. L’avevo voluta con me, inventando per lei un ruolo amministrativo nel campo. Mi rimproverava sempre per averla messa “a fare i conti”, ma in fondo avrebbe accettato qualsiasi mansione pur di starmi accanto. Non avrei potuto sopportare di averla lontana neppure per un giorno, figurarsi per mesi o anni! E questa era l’unica consolazione in quella lotta all’ultimo sangue con il mio inconscio… ma ora dovevo dormire, raccogliere le forze e l’indomani dare il meglio. Non potevo deludere la Grande Madre e non lo avrei fatto.

    (…)

    La battaglia volta alla riconquista di Caretan si era fatta sempre più violenta, il caos regnava sovrano tra ordini urlati, colpi assordanti di mitragliatrici e mortai. Corpi straziati di nemici e alleati ricoprivano il terreno e il sangue scorreva a fiumi. Era il momento propizio per agire.
    Mi mossi come un fantasma tra i battaglioni che si davano filo da torcere, avanzai dietro le linee nemiche ignorando i lamenti dei moribondi e il fragore delle bombe. Avevo un unico scopo: individuare il pezzo da eliminare. Lo avevo studiato bene durante gli scontri precedenti, avevo analizzato ogni suo comportamento fino a capire i punti deboli da cui avrei potuto trarre vantaggio.
    Procedevo come se fossi in un film in modalità rallenti. Individuai il mio obiettivo e cominciai a seguirlo. Il panico avrebbe presto preso di nuovo il sopravvento sul mio avversario e in quel momento avrei affondato il colpo mortale. Non fui smentito. Durante uno sconto a fuoco, Lara Croft si isolò dal gruppo preda di una delle sue crisi di ansia. Un comandante serio non le avrebbe permesso di ritornare in battaglia, al contrario, l’avrebbe addirittura rimandata a casa. Ma non era questo l’importante, doveva soccombere e questa sua debolezza era il mio migliore vantaggio.
    Mi assicurai un punto di osservazione pulito, agguantai il mio Selbstlade-Gewehr e mi preparai a prendere la mira. La costruzione diroccata in cui mi ero appostato mi assicurava una certa copertura ma anche una discreta visibilità. Non volevo che si verificasse quanto ero accaduto al Führer, gli imprevisti non erano ammessi così come non sarebbero stati tollerati errori. Mi asciugai il sudore dalla fronte e respirai a fondo. Il bersaglio non era distante, ma… non era più solo. Il pedone sfuggito alla cattura solo qualche giorno prima adesso era accanto al mio obiettivo, ma non mi occultava la linea di tiro. Tuttavia, non potevo tergiversare oltre. Mirai con una palpebra abbassata, ma al momento opportuno, quando il dito fu sul grilletto e sparai i miei occhi erano entrambi spalancati. Avevo mirato al cuore, ma proprio nel momento in cui il proiettile mortale partì Lara Croft cadde in ginocchio e il colpo arrivò al collo, devastandolo.
    Rimasi immobile per diversi attimi, dovevo assicurarmi di aver portato a termine il compito. Una preoccupazione inutile visto il punto di impatto del proiettile e il sangue che aveva inondato il corpo della vittima e il volto della donna che le stava accanto. Non c’era più molto da verificare. La missione era stata compiuta e il pezzo era stato mangiato.
    La Grande Madre ne sarebbe stata contenta.


    Edited by KillerCreed - 16/1/2020, 09:02
     
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    :Nike:
    Tutto avvenne così in fretta nel caos della sparatoia che nemmeno me ne resi conto, fu il sangue caldo che mi schizzò il viso che mi costrinse a rendermi conto di ciò che era appena successo.
    Sgranai gli occhi e senza pensarci oltre mi abbassai meglio nella buca portando con me Lara e mettendo il fucile da parte li strinsi forte le mani sul collo stringendolo più forte che potevo o meglio per farle pressione e contenere, invanamente, l'emorragia.
    Bisbigliavo qualcosa di indecifrabile che per me era una preghiera, una supplica, stavo cercando con tutta me stessa di evocare il potere che sapevo di non avere, ma che desideravo sentire nuovamente scorrere tra le mie mani per poter così cicatrizzare la sua ferita. Sarebbe stata sempre grave, ma chissà che così non le avrei dato una possibilità in più.
    "Dai! Dai! Maledizione funziona! Funziona! Funziona!" continuai a ripetermi mentre speravo di sentire improvvisamente l'energia scorrermi dentro, ma non successe nulla.
    Gli occhi mi si riempirono di lacrime a fronte di tanta impotenza mentre gli spari sembravano lentamente diminuire, i tedeschi si stavano ritirando e Lara mi stava stringendo forte il braccio.
    "P-Perdonami"
    Mi mormorò mentre io la incitavo a non parlare e non affaticarsi.
    "P-Perdonami" ripetè.
    "E di cosa eh? Shhh non parlare, non ti sforzare!" dissi concitata mentre lei scuoteva il capo piangendo, affranta e delusa.
    "P-per essere s-sta debole... P-Perdonami... P-Perdonatemi tutti... P-Prenderti cura di J-Jake... a-amo quella t-testa cal..." ma su quell'ultima parola la sua voce andò a spegnersi così come il suo sguardo ed il suo lieve sorriso.
    Chiuse gli occhi ed improvvisamente mi parve quasi che finalmente fosse serena. Se non fosse stato per il sangue avrei detto che dormisse.
    Caddì all'indietro incapace di muovermi, le mani sporche di sangue ed un improvvisa calma innaturale intorno a noi.
    Tutto era cessato. Tutto era andato per il meglio.
    Udivo le voci concitate degli altri che gioivano per la vittoria, una voce in particolare mi raggiunse mentre chiamava il mio nom e quello di Lara.
    Mi ero alzata nel desiderio di fermare Jacob prima che ci vedesse, prima che vedesse Lara ma fu tutto inutile e seppur ero in piedi non riuscì ad impedirgli di gettarsi al suo fianco, mentre io con il braccio cercai di asciugarmi gli occhi mentre l viso si sporcava maggiormente di terra.
    Alzai gli occhi al cielo, oltre le fronde degli alberi, a cercare il sole. Chiusi gli occhi percependo l'aria intorno a me e pensai a chi si trovasse oltre alle nubi.
    "Spero per te che questo non sia vero... sia solo un tuo fottuto modo di spezzarci... perchè noi non molleremo mi hai capito? Non lo faremo e non so come o dove, ma ce la riprenderemo!" dissi a mezza voce, ma con la stessa più dura e decisa che mai.
     
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    Tenere Lara tra le braccia era l’unica cosa che mi faceva stare tranquillo. Per la prima volta mi ritrovai a ringraziare questa fossa maleodorante chiamata trincea perché mi permetteva di tenerla stretta senza attirare attenzioni sgradite da altri commilitoni. Eravamo di guardia con Altaïr, ma di fatto era il solo a presidiare la nostra postazione. Un cenno di intesa mi aveva fatto capire che, grazie a lui, avrei potuto godere di quel momento più unico che raro.
    Lara dormiva apparentemente serena, mentre accarezzavo i suoi capelli corti e arruffati. La sua guancia era appoggiata sul mio grembo e i miei occhi non smettevano di imprimere nella memoria ogni lineamento, ogni respiro, ogni dettaglio. Era la mia Lara, l’unica donna a cui avevo permesso di scardinare la serratura del mio cuore e l’unica a cui avrei permesso di sostare lì, al sicuro, fra le sue pieghe. Certo, ammetterlo ad alta voce non era nel mio stile, non le avevo mai fatto una vera e propria dichiarazione d’amore… non ero bravo con le parole, se non si trattava di insultare o schernire qualcuno! Solo in quel caso riuscivo ad essere davvero un poeta. Ma stavo tergiversando, sarà stata la strana quieta di una notte senza stelle a rendere i pensieri particolarmente loquaci? Non ne avevo idea e non ero interessato a scoprirlo.
    Il silenzio era però un toccasana e mi lasciai cullare dai respiri leggeri di Lara, fino a quando anche le mie palpebre cominciarono a farsi pesanti e di colpo – senza che me ne accorgessi – caddi in un sonno profondo. Il primo vero sonno dopo settimane di agonizzante veglia.
    […]
    “Ti ho detto di muovere il culo, prendere quel dannato fucile e sparare, cazzo!” Presi dal colletto un soldato semplice che continuava a nascondersi dietro il sottoscritto nella speranza che gli facessi da scudo! Davvero pazzesco! “Sparare ai tedeschi, è sottointeso vero?!” gli ringhiai contro, un attimo prima di scaraventarlo in avanti e dandogli un bel calcio nel di dietro. Eravamo accerchiati, sotto un fuoco nemico talmente intenso da sembrare un muro, i compagni che cercavano di avanzare sembrano avere le zavorre ai piedi tanto erano lenti. Dovevamo spesso ripararci per evitare di fare la fine di un maledetto hamburger. Edward era al mio fianco e quando lo sentii sbuffare mi resi conto che il bastardo si era dato alla fuga.
    “Quel figlio di puttana!” imprecai tra i denti. “Ehi cognatino, dobbiamo ricongiungerci con la nostra unità, siamo troppo isolati! Lo facciamo alla nostra maniera?” chiesi con speranza nella voce, ero stufo di schivare proiettili così all’aperto, quando gli edifici attorno a noi, benché diroccati, avrebbero potuto fare da ottimo supporto!
    “Se la smetti di chiamarmi in quel modo irritante forse potrei darti retta…” Anche lui, ne ero certo, voleva togliersi da quell’impaccio ma non potevamo dividerci o chi fosse rimasto sul campo avrebbe avuto la peggio senza copertura.
    “Va bene, Eddy, la smetto… Andiamo!” Con un sorrisetto beffardo mi misi il fucile a tracolla e con un balzo mi lanciai verso la prima costruzione, in alto, sempre più su, fino al tetto. Vidi Edward fare lo stesso a una velocità che reputavo scandalosa! E da lì partimmo a razzo, attenti a non mettere il piede in fallo, a non cadere in qualche cratere e di non attirare l’attenzione di qualche nemico troppo solerte.
    Eravamo quasi arrivati a destinazione quando una voce strozzata ma familiare mi gelò il sangue nelle vene. Fu strano, quasi paradossale, perché il caos regnava sovrano poco sotto di noi. Le bombe continuavano a esplodere, le mitragliatrici a crivellare, gli uomini a urlare… ma fu come se il vento, reso incandescente dagli esplosivi, avesse deciso di portarmi un messaggio. Un messaggio altrettanto nefasto. Edward per poco non mi si schiantò contro: non si era reso conto che mi ero fermato di colpo.
    “Hai sentito?” gli chiesi a bassa voce, come se temessi di scoprire la sua risposta.
    “Cosa dovrei udire di preciso in questo immenso casino?” mi rimbeccò esasperato e col fiato corto.
    Non gli risposi, ma decisi di scendere subito a terra e di capire cosa diavolo mi stava succedendo? Stavo perdendo il senno? Quella voce era di Lara ne ero certo, ma come diavolo avevo fatto a sentirla? Doveva essere molto più avanti nello schieramento non nelle retrovie! Quando piantai gli anfibi nella terra sconvolta mi guardai intorno e il boato di vittoria degli altri compagni mi distrasse, ma solo per un attimo. Erano riusciti a respingere i tedeschi, ma non me ne fregava un cazzo! Cominciai a camminare, a cercare, a chiamare il nome di Lara – usando il suo cognome ovviamente e sapevo che mi avrebbe riempito di parolacce per questo! – e osservare bene quanto mi circondava. I soldati erano tutti più avanti, perciò non feci fatica a individuare la sagoma accovacciata di Evie, di spalle, immobile. Il fucile era a terra e fissava un punto preciso davanti a sé. Iniziai a chiamare anche lei… Che fosse ferita?
    Arrivai correndo, Edward alle calcagna, ma mi bloccai ancora una volta all’improvviso nel notare cosa stava guardando Evie con tanta insistenza… o meglio chi.
    Per un attimo vidi tutto nero e temetti di perdere i sensi, ma non accadde. Mia sorella si voltò verso di me e tentò di occultarmi la scena, il corpo, ma il sangue sul suo viso mi fece scattare qualcosa dentro… anzi, udii proprio qualcosa rompersi come se un dannato bulldozer avesse fatto irruzione nella mia gabbia toracica. Senza riguardi, senza chiedere permesso, senza sapere se fosse il benvenuto. E come può essere benvenuto un bulldozer che porta con sé un oceano di dolore?
    Mi lanciai oltre Evie e afferrai di istinto quel corpo così familiare. Non badai alla carne del collo squarciata, né alle palpebre serrate, né al lieve e inquietante sorriso che adornava le sue labbra. “Lara, amore mio, Lara svegliati.” Se la chiamavo col suo nome forse sarebbe tornata da me, avrebbe aperto gli occhi e mi avrebbe schernito, dicendomi che era stato tutto uno scherzo perché mi ostinavo a chiamarla Croft, Croft, Croft. Sì, sicuramente sarebbe andata così. Voleva punirmi, voleva farmi avere talmente tanta paura che mi sarei tolto il vizio! Le accarezzai le guance, i capelli, la bocca, scuotendola. “Smettila, adesso, smettila… apri gli occhi, ti chiamerò per sempre Lara, anche se dovranno prenderti per un travestito!” risi, risi forte, e poi piansi. I singhiozzi squassarono le corde vocali senza che me ne rendessi conto. Le lacrime inondarono il mio volto e quello di Lara, che non si decideva a svegliarsi. Lo scherzo era durato fin troppo, adesso basta! Dannazione, basta, fermati, esci da qui! Volevo ordinare al bulldozer di lasciarmi in pace o non sarebbe rimasto niente delle mie ossa, del mio cuore, della mia anima. Edward cercò di farmi allontanare, ma lo strattonai via. Continuavano a parlarmi anche se non riuscivo a udire un solo suono tranne il caos dentro di me. Non mi accorsi che tutti gli Assassini erano attorno a noi, non mi accorsi di Edward che ora stringeva tra le braccia Evie; di Arno che imprecava al cielo; di Federico che si asciugava gli occhi; di Ezio e Altaïr che stringevano i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi insanguinati. Non mi accorsi di tutto questo, potevo accettare un solo compromesso: se Lara non fosse tornata da me allora tutto il mondo sarebbe potuto finire. E io con lui.
     
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