Alternative Reality #1944: Market Garden

Season 4

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    Era il 9 Luglio 1944 quando dopo 33 giorni di permanenza in Normandia la Compagnia venne rispedita nuovamente ad Aldbourne per riposarsi e rimettersi in forze.
    Quei giorni erano stati una manna dal cielo per tutti oltre al fatto che avevano fatto sì che numerose novità si fecero presenti.
    Ezio venne ufficialmente promosso Capitano, lo era diventato per forza maggiore durante gli ultimi giorni di combattimento ma senza un riconoscimento ufficiale. Federico venne promosso Sottotenente ed Arno Sergente Maggiore.
    Fu in quel periodo che alcune riserve vennero aggiunte alla compagnia per rimpolparne le fila e tra essi c'eravamo sia io che Bayek e Toth. Se non fosse stato così probabilmente nessuno di noi avrebbe mai potuto partecipare alla guerra in quanto riconosciuti tutti come nativi, seppur Bayek e Toth non lo fossero, ci era precluso.
    Ritrovarci con gli altri ci fece sentire meno soli, in quegli anni ci eravamo addestrati e per forza maggiore ci eravamo legati sia perchè emarginati da tutti gli altri, sia perchè non avevamo la minima idea di cosa stesse succedendo. I più spaesati erano Bayek e Toth che non conoscevano nulla di quel periodo storico e faticavano entrarne in prospettiva seppur il loro naturale portamento militaresco li aveva fatti facilmente far carriera ed adeguarsi alle rigidi regole.
    Quei giorni di riposo furono una mano santa per riunirci, fare il punto della situazione e rilassarci.
    In città avevamo occupato un locale, c'era chi giocava a freccette, chi fumava, chi beveva e chi parlava. Tutti cercavano di vivere al massimo quello sprazzo di liberà.
    Arno e Federico stavano sfidando a freccette Edward e Jacob mettendo in palio le cose più disparate, mentre ad un tavolino poco lontano Ezio, Altair e Toth confabulavano tra un bicchiere e l'altro.
    Era convinzione del Generale Lunare che tutto ciò fosse direttamente legato a ciò che era successo a Pandia. Probabilmente quello era solo l'attacco di qualcosa di più grande: quello che stavano vivendo.
    In base alle sue conoscenze aveva riconosciuto in ciò che Ophelia aveva fatto loro ad Ipno la mano di un Deviante. Arrivarono dunque alla conclusione che per qualche ragione i nemici della Trinity che credevano morti erano diventati tali e probabilmente stavano facendo la loro mossa per soggiogare, come sempre gli Eterni.
    Prima ne avevano distrutti i pianeti e l'Impero, poi c'era stata la corsa al Cristallo d'Argento, infine al Cristallo Nero ed ora quello. Era chiaro che ogni qualvolta che quei due schieramenti si scontravano ci andavano di mezzo tutti, anche chi secondo Ezio ed Altair non c'entravano. Toth non la pensava così. Che a loro piacesse o meno la Terra fa parte del gioco. E' anzi il pezzo più importante. Il non avere una Guerriera lo rende un pianeta vergine uno che l'Impero deve tenere sotto la sua ala per assicurarsi l'equilibrio, ma che se i Devianti conquistassero sarebbe solo la punta di un contagio più grande.
    Poco distante io, Bayek e Nike ad un tavolino avevano udito i contorni di quella conversazione quanto lo sguardo preoccupato della Guerriera non lasciava per un attimo quello del fratello che rideva e scherzava come se si trovasse in un pub di Londra.
    "Sei preoccupata per lui?" le chiese gentilmente Bayek.
    "Come non esserlo? Dopo la morte di Croft ha passato due giorni senza parlarne nè bere e mangiare e poi ha iniziato a comportarsi così! Come se nulla fosse!" esclamò lei bevendo l'ennesimo bicchiere di whisky prima di asciugarsi le labbra. Sarà stata umana, ma l'alcool lo reggeva ancora benissimo.
    "Forse dopo le tue supposizioni e i discorsi di Toth si sente più sereno. Se è vero che tutto ciò è come un sogno, non scoraggiarsi di fronte agli sgambetti del nemico è una saggia mossa" riconobbi.
    Certo non ero sicuro di come avrei potuto agire io al suo posto se a morire sarebbe stata Athena, che per inciso non sapevo dove fosse. Cloe poi? Era stata trascinata in quell'incubo? O era stata risparmiata? Il pensiero non mi faceva dormire.
    "Prego gli Dei ogni giorno che sia così. Certo le parole di Toth sono sagge ancor più perchè vengono da qualcuno che è molto vicino alla corona, ma non è una certezza. E poi credo finto o meno che sia Jacob non dovrebbe reagire così!"
    "Ognuno reagisce al dolore a suo modo, chi siamo noi per dire che lui lo fa nel modo giusto o sbagliato?"
    Osservai Bayek assentendo mentre osservando il fondo del mio bicchiere che ancora non avevo bevuto.
    "Farci titubare di noi stessi e mostrarci la perdita di chi più amiamo è il miglior modo per spezzare un uomo. Se i Devianti vogliono davvero conquistare la Terra non c'è miglior modo che spezzare la volontà dei suoi guardiani e delle sue guerriere. Pensateci! Io non ho visto qui Skye o Persephone, per dire. Perché loro non sono legate alla Terra come te e le tue compagne. Ci siamo noi, gli Assassini, coloro che hanno promesso di proteggerla... sarà casuale ma gli elementi in gioco mi sembrano precisi. Dobbiamo dunque resistere, per quanto difficile sia. Qui non sono in gioco i nostri corpi o le nostre vite, ma la nostra mente e la nostra speranza!"
    Esclamai con voce calma e ponderata, notando che mai avevo parlato così tanto o avessi fatto un discorso così lungo, non era da me. Quasi arrossì per questo, mentre i miei compagni di tavolo assentivano colpiti ed ispirati.
    Quella era l'ultima notte di riposo, il giorno dopo saremmo ripartiti, destinazione: Olanda.
     
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    Da quando mi ero risvegliato in quel mondo folle ed a fuoco mi ero aggiornato su tutta la lunga storia che mi ero perso rimanendo sconcertato di quanto le cose avessero potuto peggiorare, ma soprattutto chiedendomi mille volte se tutto quello che noi Occulti avevamo sacrificato un tempo era servito a qualcosa?
    Ripensai a Khemu e capì il suo insistere che io seguisse Osiride, sapeva che rimanere lì con lui in pace mentre c'era ancora bisogno del mio apporto alla causa sarebbe stato ingiusti ed egoistico.
    Avevo sempre letto in Ares il dono che la vita, Khemu mi avesse voluto fare. La sua certezza a non volermi lasciar solo e permettere al mio cuore di battere ed ardere ancora per amore il sentimento che sempre aveva mosso ogni mia azione.
    Tante guerre e battaglie avevo affrontato come medjay ma ciò non tolse che quella mi colpì per la violenza con la quale veniva affrontata, oltre a qualsiasi cosa avessi mai visto.
    L'Operazione che fummo chiamati ad affrontare si chiamava Market Garden e prevedeva più divisioni aerotrasportate che in Normandia. Ci saremmo lanciati nell'Olanda occupata. L'obbiettivo degli alleati sarebbe stato conquistare la strada da Endihoven ed Arnhem per consentire una rapida avanzata della seconda armata britannica verso Arnhem.
    La nostra missione era liberare Endihoven, restare lì ed attendere i mezzi corazzati. Se l'operazione avrebbe funzionato i mezzi britannici avrebbero superato il Reno e sarebbero entrati in Germania.

    Il lancio avvenne a metà settembre, gi giorno. Tutto andò incredibilmente liscio, così tanto che ci chiedevamo costantemente cosa ci avrebbe aspettato dietro l'angolo, mai niente poteva essere tanto tranquillo.
    Avanzammo attraverso i campi e come se ci stessero aspettando ad Endihoven venimmo accolti da una folla oceanica di persone che seppur non parlava la nostra lingua ci parlava, ci inneggiava e ci strattonava per dispensare baci ed abbraccia.
    Ciò che mi sconvolse fu notare, in tutta quella festa, una figura che stonava. Numerose donne erano trascinate per i capelli e spogliate pubblicamente. La gente le urlava contro, lanciava loro contro qualsiasi cosa avessero a tiro, mentre alcuni uomini le radevano a zero per umiliarle maggiormente.
    Mi mossi in avanti per intervenire, ma il braccio di Arno mi fermò, così come Edward fece con Toth. Federico voltò il capo da un lato e Jacob strinse le nocche così tanto che gli divennero bianche. Anche Connor si trattenne, mentre Altair gli si parava davanti come a volerlo bloccare. Ezio serrò la mascella.
    "E' inumano!" sibilai.
    "Sono state con i tedeschi se lo meritano!" disse un uomo alle nostre spalle che si presentò come un membro della resistenza, colui che gestiva quella di Endihoven.
    Nike scosse il capo alzando gli occhi al cielo, mentre sentiva l'esigenza di agire ed intervenire a prescindere da tutto.
    "E' per queste cose che il vostro pianeta non ha mai meritato una Guerriera. Per queste cose i Devianti ci hanno fatto questo!" si sfogò fregandosene di chi potesse ascoltarla o meno. Si toccò le vesti come ad indicare la miseria che aveva colpito lei quanto loro.
    "QUESTO è tutto ciò che rende i Devianti tali e comportandovi così fate esattamente il loro gioco!" le dette manforte Toth.
    Il capo della resistenza ci guardò senza capire e poi fregandocene di qualsiasi strana regola dell'epoca che imponeva a quanto pare ignorare certe barbarie io, Connor, Toth e Nike intervenimmo costringendo di fatto Arno, Jacob ed Edward a fare lo stesso.
    Ezio ed Altair cercarono di mantenere le redini della situazione ed evitare che per questo la resistenza ci voltasse le spalle, ma anche loro faticarono a trattenersi quando a quello scempio si aggiunse il vedere che la resistenza usava dei bambini per raccogliere informazioni. Bambini che venivamo mandati in campi, allo scoperto, ignari di essere carne da macello.
    "I collaborazionisti li abbiamo uccisi, almeno i vostri compagni non possono evitare anche quello! Comunque bambini detto noi che i vostri mezzi stanno arrivando, sarò lieto comunque di mostrare voi la strada più corta per i ponti"
    Disse quello con indifferenza, mentre Ezio dava l'ordine di mettere delle sentinelle in quanto ci saremmo fermati in città per la notte.

    Durante la notte io, Nike, Connor e Toth ci demmo da fare per dare conforto alle donne umiliate ed aiutarle a fuggire. Alcune di loro erano state stuprate altre avevano fatto l'errore di innamorarsi del nemico ed altre ancora stringevano tra le braccia piccoli fagotti che solo per fortuna non erano morti per via della sassate.
    "Ho vissuto qui per millenni eppure sono stata cieca a tanto orrore, era la mia vita agiata a non farmene rendere conto. Sono stata superba nel credere che veramente io abbia dispensato giustizia su questo pianeta!" disse una Nike sconsolata, mentre osservava le donne allontanarsi nei campi verso la via sicura che avevamo aperto per loro.
    "Ora capisco perchè così tanti Devianti Negati sono nati sul vostro pianeta... pensavo fosse una leggenda o male lingue, ma... inizio a pensare che così non sia" aggiunse un Toth contrito.
    "Non permettete che gli errori di pochi non vi permetta di vedere anche tutto il resto. Il buono che c'è. Gli Assassini combattono per questo..." cercai di dire prima che Toth voltandosi verso di me livido in volto mi affrontò a muso duro.
    "Gli stessi che hanno tentato di fermarmi dal dare loro aiuto? Inizio a capire perchè i Titani abbiano scelto i Templari come Paladini e non voi!"
    Strinsi la mascella ma non dissi nulla. Rimasi fermo anche mentre Toth e Nike mi superavano e voltandomi verso Connor ci guardammo. Sconfitti. Sconsolati. Persi.
     
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    “Ti prego, portatelo con voi, se resta qui con me morirà!” La voce di una donna a cui stavo medicando una tremenda ferita alla testa mi fece trasalire. Cercavo di fermare un’emorragia che – ne ero certo – la stava devastando dall’interno. Stringeva al petto un bambino di pochissimi mesi che continuava a muoversi in cerca del seno di sua madre, in preda a un istinto primordiale. Non sapevo cosa rispondere. E la donna insisté, afferrandomi per la manica della giacca sgualcita con una forza insospettabile viste le sue condizioni precarie.
    “Non permetterete che muoia, vero?” Il dolore di una madre che forse non avrebbe visto l’alba mi si insinuò sotto pelle e la furia riprese a scorrere nelle vene. Avevo assistito a violenze di ogni tipo, a ingiustizie senza fine, a scene di miseria, stenti e soprusi sul mio pianeta di origine, ma mai, in tutta la mia lunga esistenza, avevo sperimentato un orrore simile.
    Da quando mi ero svegliato in questo nuovo incubo, dopo aver abbandonato quello di Pandia, avevo saggiato quanto l’essere umano potesse essere crudele. La guerra che stavamo combattendo era immonda, senza nessuna gloria, senza onore. I soldati morivano nel fango, pochi avevano il privilegio di un estremo saluto, di un conforto per il corpo e l’anima. Nessuno veniva ricordato se non tra i commilitoni che restavano, in attesa di affrontare la stessa sorte in un immediato futuro.
    Accarezzai il viso della donna, dopo aver bendato il suo capo, e lessi nei suoi occhi un’amara rassegnazione. La stessa che avevo visto negli occhi di quegli Assassini che non avevano alzato un solo dito per aiutare esseri indifesi come colei che avevo davanti. Forse ero io ad essere sbagliato, incapace di entrare in determinati meccanismi, forse non ero in grado di capire come funzionava questo folle mondo… ma non riuscivo a rassegnarmi di fronte alla violenza e ai soprusi umani. Non erano normali, non lo sarebbero mai stati. Ed ero certo che nel momento in cui mi sarei ritrovato addosso quella stessa amarezza allora non avrei più avuto alcun motivo per vivere. Perciò mi ero deciso a lottare, avevo imparato ad affrontare a muso duro una realtà che non capivo, avevo imparato a vivere in una società per me senza senso. Fin da Camp Taccoa avevo subìto discriminazioni e ingiustizie, come se la mia vita fosse stata misurata e trovata inferiore rispetto a quella di altri. Non era però stata la fatica fisica a farmi desistere dal mio proposito. Avevo lavato latrine fino ad avere conati vomito, pelato centinaia di patate fino ad avere la pelle delle mani abrasa, pulito rassettato scavato come se non ci fosse un domani, ma lo avevo fatto sempre a testa alta, senza vergognarmi mai della mia pelle di una tonalità diversa, tipica dei marziani, e forse di qualche etnia terrestre. Fino a quel momento non avevo mai dato peso a questa differenza. Nell’Impero non esisteva il razzismo o concetti simili, confrontarmi con tutto ciò mi aveva chiarito molto sul questo pianeta ricco di contraddizioni. Pianeta che continuava a non piacermi. In ogni caso, forse per questa mia attitudine fiera avevo cominciato a distinguermi dai miei pari e i veterani stessi – una volta iniziata la guerra – avevano cominciato a fissarmi con occhi diversi. Forse intuivano che non ero uno di loro… anche se in questo nuovo incubo, la Luna non era mia protettrice, non rigenerava le mie ferite e ogni mia abilità pareva assurdamente scomparsa. Avevo imparato a convivere anche con questo ennesimo scacco e mi resi conto che la situazione non era molto diversa da quella vissuta nella mente di Pandia. Ma ero sicuro che questa non era la mente della Principessa, mi ero risvegliato in una trama diversa, di certo ordita da menti molto fini che non poteva non riportare ai Deviati.
    Nike mi toccò una spalla, riscuotendomi dai miei foschi pensieri: dovevamo andare. La madre che avevo assistito non mollò la presa ma mi diede subito tra le braccia il suo bimbo. Lo presi goffamente, non sapendo cos’altro fare.
    “Che Dio vi protegga…” disse piano, prima che un singulto anticipasse un fiume di lacrime. Nonostante tutto ciò che aveva passato credeva ancora nel suo Dio. Ecco perché gli esseri umani riuscivano a salvarsi dal Giudizio. In mezzo a sangue, follia, ingiustizie e orrore, nasceva sempre una scintilla di speranza. Annuii con un gesto deciso, stringendo il piccolo fagotto con mani incerte – non ero avvezzo a tenere neonati in braccio – ma ero certo che un posto sicuro per lui lo avrei trovato, eccome se lo avrei trovato, a costo di costringere un intero plotone di soldati a prendersi cura di lui. Perché…? Semplicemente perché quel fagotto rappresentava la scintilla che permetteva da secoli al genere umano di non soccombere. Rappresentava la speranza ed io avevo deciso che avrei portato alto questo vessillo, fino a quando non saremmo riusciti a combattere a viso aperto contro i nostri reali nemici che no, non erano i tedeschi.
    […]
    La pioggia ricopriva come un sudario ogni cosa. La visibilità era ridotta a zero e ci muovevamo come fantasmi, scivolando nel fango e rialzandoci ogni volta con sempre maggiore fatica. A noi riserve era stato dato il compito più gravoso di quei giorni terribili: recuperare i cadaveri dei nostri alleati. Ma erano tanti, davvero troppi. E noi molti meno di quando eravamo partiti dagli USA per raggiungere questa terra di morte.
    Respiravo a fatica, mentre aiutavo Connor a rimettersi in piedi dopo l’ennesimo inciampo: eravamo sfiniti. Stavamo trasportando due metà dello stesso uomo o così avevamo cercato di dare per scontato. Era troppo difficoltoso già capire se erano nostri compagni o tedeschi dalle divise sbrindellate, figurarsi individuare e ricomporre i corpi senza errori di sorta. Impossibile. Le barelle improvvisate sfuggivano alla presa, mentre l’ufficiale medico che ci accompagnava aveva il compito di recuperare le piastrine di riconoscimento e annotare le matricole riportate. Un’impresa altrettanto impossibile vista la valanga di pioggia che continuava a battere sui nostri corpi come fruste impietose. Ognuno di noi faceva la sua parte, ma eravamo allo stremo delle forze. Non esistevano turni e avvicendamenti per questa operazione, sperare dunque in un supporto dei veterani era impensabile. Vidi Siwa poco distante da noi, inginocchiato nella terra smossa, con una mano sul viso sfigurato di un soldato tedesco. Mormorava alcune parole incomprensibili per me – mi ero ritrovato a parlare l’inglese solo per volere dei “burattinai”, ma le altre lingue mi erano ancora sconosciute – e poi gli serrava le palpebre rimaste aperte a fissare il cielo plumbeo negli ultimi istanti di vita. A un certo punto, il sergente maggiore che ci dava gli ordini, si accorse della cosa e colpì con un calcio il corpo di Bayek. D’istinto, sia io che Connor mollammo la barella che stavamo trasportando, con buona pace del cadavere mutilato, e in un attimo fummo al fianco del nostro compagno. Del mio compagno. Era assurdo anche solo pensare una cosa del genere: era un terrestre, un Assassino, quanto di più distante ci fosse da me… oppure non era proprio così? Il fatto era che – volente o nolente – avevo imparato a rispettare Bayek e Connor come se fossero miei fratelli, avevo notato come il nostro pensiero fosse simile sul molti aspetti e non avrei certo permesso che subissero ingiustizie davanti ai miei occhi. Ero altresì certo che loro avrebbero fatto lo stesso per me. Bayek non aveva reagito, era stremato quanto noi, ma sapevamo che non era questo il motivo.
    “Siwa, ti è stato ordinato di caricare i corpi degli alleati, non di dare l’estrema unzione a destra e manca, a maggior ragione se tedeschi! Non sei mica un prete! E voi due, cos’avete da guardare? Continuate a lavorare se non volete ritrovarvi senza rancio!”
    “Se fossi al posto di uno di questi cadaveri non vorresti avere qualcuno che dica qualche parola per te? Sei un essere talmente abietto da non avere neppure rispetto per i morti? Che cosa te ne frega se hanno divise inglesi, americane o tedesche? Sono morti, cazzo! E quando si arriva a quella linea non esiste nessuna differenza, sai?” Mi ero avvicinato talmente tanto al brutto muso del sergente maggiore che a dividerci c’era solo un velo sottile di pioggia. Rischiavo una punizione per insubordinazione, ma in quel momento era l’ultimo dei miei pensieri.
    “Knight, complimenti, ti sei guadagnato due giorni senza rancio. Spero che il tuo atto di eroismo ti valga a qualcos’altro, perché di certo è stato sufficiente a farmi incazzare. Adesso tornate a lavoro, TUTTI!” Urlò quell’ultimo ordine sovrastando il frastuono della tempesta e stavo per lanciarmi su di lui per farlo a pezzi – ah quanto mi mancavano i miei adorati artigli d’acciaio! – quando due mani su entrambe le mie spalle mi fecero desistere. Bayek e Connor, con i loro sguardi arditi, mi chiedevano di non farlo e… io li ascoltai.
    Il bastardo se ne andò trionfante, mentre io masticavo imprecazioni nel dialetto marziano che non avevo mai dimenticato.
    “Sei un valoroso, Generale Thot, non dimenticherò il tuo gesto.” Bayek parlò con il suo solito tono mite che mi costrinse ad abbassare il capo in segno di assenso e rispetto. Quell’Assassino era diverso dagli altri, la sua purezza trascendeva l’orrore che stavamo vivendo… tanto che la decisione che presi di lì a poco mi parve la più naturale del mondo.
    “Connor, facciamo da scudo a Bayek mentre pronuncia qualche parola per i corpi che raccoglieremo… Lo stronzo potrà sbraitare quanto vuole, ma sono disposto a non mangiare per il resto della guerra che ci aspetta pur di permettergli di farlo. Sei con me?”
    Connor non si tirò indietro e così facemmo. E al diavolo gli umani insensibili e le angherie del sergente maggiore: l’estremo saluto a un’anima che va oltre valeva tutto questo.


    Edited by KillerCreed - 22/1/2020, 23:14
     
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    Dopo l'orrore che avevamo visto e ciò che ci era stato chiesto di fare continuammo la nostra marcia verso Nuenen. Alcuni erano seduti sui carrarmati ed altri ancora camminavano, tutti parevano quasi fare una scampagnata, ma avevo imparato che dietro a così tanti sorrisi e scherzi il più delle volte c'era semplicemente la necessità e la voglia di spezzare quella lunga paura e cercare nell'incubo uno sprazzo di normalità.
    L'inatteso accadde nel momento in cui un giovane soldato, in avanscoperta, venne ucciso da un colpo vagante che fece immediatamente urlare al nostro Capitano, Ezio Auditore: "Cecchini!" e così era.
    Vederli era impossible, ma i loro proiettili arrivavano come una pioggia inarresstabile. I compagni che caddero solo nel tentativo di correre ai ripari erano moltissimi quanto più quelli che cercavano di reagire per stimolare i propri uomini a reagire. Tra questi c'era Bayek che si trovo con un manipolo di giovane reclute così terrorizzate che faticavano quasi a fare anche un solo passo.
    Con la sua guida capirono come muoversi nella città mentre tutti cercavano di attraversarla ed al contempo uscirne vivi.
    Appena un soldato tedesco compariva di fronte a noi non ci pensavamo due volte a sparare contro loro mentre sia i loro carramarti che i nostri aggiravano la città preparando a colpire.
    Correre per Nuenen era una sfida, ma io avevo una grandissima velocità dalla mia, maggiore a chiunque altro oltre le mie abilità che mi permettevano di saltare muretti o superare ostacoli con grande facilità.
    Eravamo suddivisi in piccole unità ognuna comandata da qualcuno a prescindere dal grado. Era stato il nostro grado di Mentori ad avere la meglio e dunque ce ne stavamo occupando io, Bayek, Altair e Ezio.
    Ci stavamo muovendo come fantasmi, tipicamente d'Assassini ma non era facile con uomini che non erano addestrati per farlo.
    Intanto però un carramato tedesco che avevo avvistato colpì costringendoci alla fuga e durante essa presi una strada diversa dai miei compagni che lentamente mi portò lontano da loro. Il nostro carrarmato lo distrusse prima che potesse uccidermi, ma un altro ne avevo alle calcagne mentre strisciando per terra cercavo invano di non farmi vedere, di riuscire a scappare seppur questo significava abbandonare la mia unità.
    I colpi venivano da ogni singola finestra della città mentre i colpi di mortaio da ambe le parti stavano mietendo vittime.
    Eravamo caduti in un imboscata e i loro carrarmati ci avevano accerchiato talgiandoci ogni via di fuga, tutti trovavo riparo dove potevano molti nei fossi ma ogni copo di mortaio creava danni e morti, mentre correndo verso la fuga anche Bayek venne ferito alla gamba. Subito chi era con lui cercò di curarlo e portarlo via, ma era abbastanza saggio da sapere che pesava troppo affinché chiunque potesse riuscire a trasportarlo.
    Alla fine i miei compagni trovarono una via di fuga anche se questo significava lasciare alcuni di noi indietro...
    Io rimasi nascosto tutto il giorno nella speranza che i tedeschi non si accorgessero di me e poi durante la notte, approfittando di celarmi in essa, uscì e trovai rifugio in un fienile. Nello stesso credetti di essere solo almeno finché una ragazza giovanissima dal viso sporco e con indosso un fazzoletto che le nascondeva i capelli non mi puntò la canna del fucile alla tempia.
    Alzai le mani cercando di dire qualcosa, ma fu allora che dietro di lei un Bayek zoppicante fece la sua comparsa, mentre un'altra giovane dai capelli rossissimi lo sosteneva.
    Ragionai un po' su dove le avevo viste e fu quando quella che mi puntava il fucile contro lo capì.
    "Guerriere?" chiesi.
    "Sono loro ad avermi trovato e salvato" mi spiegò Bayek mentre Vesta lo adagiava su una palla di fieno e Cerere si metteva il fucile in spalla.
    "In carne ed ossa! Pensavo che non avrei mai messo piede su questo misero pianeta, ma a quanto pare i Devianti hanno deciso diveramente" disse quella schietta e spigolosa.
    "Durante l'attacco di oggi ne abbiamo visti due, credo che voi li conoscete come Leopold ed Ophelia. Li hanno seguiti e spiati. Così abbiamo scoperto i loro nomi!"
    "Da loro abbiamo udito e tutto questo è solo un "gioco" e noi siamo le pedine a quanto pare, ed inspiegabilmente, poste sulla scacchiera dal vostro stesso lato"
    "Quello di Selene!" dissi senza pensare e guardando Bayek.
    Cercavamo di dare un senso a ciò, mentre entrambi ci illuminavano all'idea di non essere soli. Se c'erano loro, allora avremmo trovato anche Ares ed Athena.
    "Qui però non abbiamo i nostri poteri... la bella notizia è che non ce li hanno nemmeno loro!"
    "Cosa!?" esclamammo all'unisono io e Bayek.
    "Sono mortali quanto noi. Non so come questo gioco funzioni, ma se assomglia anche solo lontanamento al Deathstrike..." esclamò Cerere guardando la sorella ed abbassando il capo. Inutile dire che i loro volti cupi non promettevano nulla di bene a fronte di qualcosa che, ovviamente, nè io nè Bayek conoscevamo.
    "Come funziona?" chiesi. Qualsiasi informazione avrebbe aiutato nel stablire una strategia.
    "Sì gioca in campo neutro e tutti i giocatori sono alla pari. Non vince chi alla fine del gioco ha più pedine ancora sulla scacchiera, ma ha un complesso calcolo di punti che si basano su molti fattori: pedine giocate, difficoltà affrontate, strategie attuate... il problema è che se così è..."
    "Ne usciremo solo se arriviamo alla fine dello scenario, ma non conoscendo in quale siamo è difficile capirlo!"
    Le due venusiane si guardavano perplesse e perdute ed anche Bayek poteva esserlo in parte, ma non io.
    "La fine della guerra! Potrebbe essere la caduta di Berlino, la presa del Nido dell'Aquila..." a quella frase mi fermai e guardando Bayek capì che entrambi eravamo giunti alla stessa conclusione.
    "Non può essere così semplice!"
    "Ma ha senso! E' simbolico!"
    "Dobbiamo trovare il modo di riunirci agli altri Connor! Devono saperlo!"
    "Si può sapere di cosa diavolo parlate?" sbottò Cerere con le braccia conserte e lo sguardo affilato.
    "L'Aquila. E' il simbolo per antonomasia degli Assassini. Non è un caso che la maggior parte dei giocatori lo siano o no?"
     
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    Sapete cosa sono gli Elfi? Beh, io no, lo ignoravo, così come ignoravo tante altre cose importanti per poter sopravvivere in un ambiente ostile, nel mezzo del nulla, dove mi ero ritrovata inaspettatamente e non per mia scelta, manco questa fosse una novità.
    L'unica nota positiva era che anche a mia sorella Cerere era capitato lo stesso destino, quando tutto il nostro mondo confortevole, idilliaco e sacro era scomparso, trasformandosi in una realtà crudele, desolata e squallida.
    Ma forse non era neanche questo il peggio, cioè la necessità di costruire un riparo dal sole ardente che ci feriva gli occhi, o dai venti gelidi che attraversavano le stoffe impalpabili ed inadeguate che indossavamo, o dagli animali selvatici e pericolosi che ci consideravano delle prede facili.
    La cosa peggiore era trovarsi totalmente indifese da tutto questo e dalle nostre paure, private nello stesso momento del passaggio anche delle capacità più preziose, quelle che costituivano la nostra essenza come individui. E per me fu un'enorme sconfitta dover accendere un fuoco con le sole mani per non morire di freddo quando la legna era zuppa di pioggia, oppure improvvisare un'esca per procurarci del cibo e non morire di fame, quando invece sarebbe stato tutto più semplice grazie al controllo che esercitavo sulla fiamma e sugli animali.
    Noi eravamo abituate agli agi, alla bellezza, e la vita orribile che conducemmo per diverse settimane fu un'esperienza indicibile.
    Pensavamo di essere sole, quando un giorno, spingendoci un po' più lontano rispetto alla zona in cui, per sicurezza, ci eravamo rifugiate, notammo del fumo in lontananza. Si trattava di un piccolo gruppo di costruzioni povere e brutte, ma lì, negli orti vicini, trovammo per la prima volta dopo lungo tempo qualcosa che si potesse davvero chiamare cibo. Rubammo delle verdure e persino delle uova, mentre i contadini non ci vedevano. E così continuammo a fare per qualche notte.
    Non avevamo progetti, non avevamo idee, il nostro stato d'animo era così cupo e sbigottito che ci limitavamo a sopravvivere, giorno dopo giorno, provando con scarso successo ad ignorare i crampi della fame e del freddo. Fino a che all'ennesima incursione per sgraffignare qualcosa di commestibile non trovammo un cesto di frutta, posato in bella vista vicino al bosco dove ci nascondevamo. Nel prenderlo, notammo una figura piccola, nascosta dietro una catasta di legna, che ci osservava. Sobbalzammo tutti e tre, quando i nostri occhi si incontrarono. Prima che Cerere e io decidessimo il da farsi, il bambino si avvicinò e ci domandò, timido ma incuriosito: ”Siete gli Elfi del bosco?”
    Il colore dei suoi capelli era di un brutto castano chiaro, insulso rispetto al rosso vibrante dei miei e al rosa luminoso di quelli di Cerere. Forse da questo particolare nasceva il malinteso ma poco importava, dato che da quel giorno trovammo sempre una piccola scorta di cibo nel solito posto. La nostra esistenza in questo triste posto migliorò, e noi cominciammo a preoccuparci di altre cose che non la sola sopravvivenza.
    Era più una semplice intuizione che non prove certe, ma sentivamo che sotto l'apparenza della realtà in cui vivevamo esisteva un'energia che la sosteneva, che la creava. Un'energia con un'impronta diversa e opposta dalla nostra, che non riuscivamo ad individuare con precisione per il semplice motivo che non la conoscevamo direttamente ma solo per aver udito storie sulla malvagità e le azioni orribili compiute dai Devianti.
    Ci avvicinammo agli abitanti di quel paesino, chiamato Nuenen, che si mostrarono amichevoli nei nostri confronti. Ci diedero un luogo in cui dormire dentro un fienile, puzzolente e scomodo, ma caldo e riparato.
    L'atmosfera tranquilla era però rovinata da voci sempre più insistenti di una guerra che si stava avvicinando, e che alla fine si concretizzò in uno scontro tra due eserciti, dei quali non sapevamo nulla.
    I combattimenti cominciarono una mattina presto e continuarono fino a notte tarda. Le persone che ci avevano accolto si rifugiarono nelle loro case, e noi facemmo lo stesso, in quella struttura in legno che sembrava voler venire giù ad ogni deflagrazione.
    Che cosa dovevamo fare? Eravamo guerriere, ma come potevamo combattere senza i nostri poteri, senza avere né sapere usare le armi dei terrestri, senza, soprattutto, sapere da che parte era giusto stare? Avevamo scelto per noi, io e mia sorella, e avremmo combattuto per la nostra vita. Era già sufficiente questo, dato la nostra situazione grama.
    Nascoste in mezzo al fieno, udimmo le grida dei soldati che attaccavano, i colpi dei proiettili e delle bombe, le grida dei soldati che venivano feriti e morivano. Eravamo terrorizzate. Cosa ci sarebbe successo se ci scoprivano? Non sarebbero bastati i vestiti che i nostri benefattori ci avevano procurato per stare più al caldo, o i fazzoletti da mettere in testa per coprire i colori inconsueti dei nostri capelli.
    E poi, sentimmo entrare qualcuno nel fienile. Cercava di non fare rumore, ma il nostro udito finissimo individuò subito il suo respiro affaticato e irregolare, e il rumore del suo equipaggiamento metallico. Tentava di nascondersi perché ferito, per evitare di essere ucciso.
    Stringemmo le nostre armi improvvisate, dei forconi per i lavori agricoli. Pregai se ne andasse e ci lasciasse in pace, ma così non fu: intravvedevamo attraverso la luce dei fari degli automezzi e delle esplosioni la sua sagoma gigantesca, accucciata, il fucile che aveva in mano. Se si fosse accorto della nostra presenza, saremmo state perdute: non potevamo scontrarci ad armi pari con lui, non con la forza irrisoria che avevamo come semplici ragazzine.
    Ma quello che ci era rimasto era l'addestramento e l'indole da Guerriere. Uscimmo dal nostro nascondiglio, muovendoci come le ombre della sera. Con un cenno, feci capire a Cerere il mio piano: lo avrei ucciso soffocandolo, e poi lo avrei nascosto nel fieno, nel caso i suoi compagni fossero venuti a cercarlo.
    Con una mossa veloce, gli passai il braccio intorno al collo, cercando di sbilanciarlo perché opponesse meno resistenza. Invece, successe che mi ritrovai per terra, prima ancora di capire come, mentre la lama del suo coltello mi sfiorava la gola. Nella colluttazione fulminea il fazzoletto mi era scivolato via, e i capelli mi erano ricaduti sul viso.
    Fu Cerere a evitare che mi uccidesse, perché riuscì non so come a riconoscere, nell'uomo ripugnante, violento e spietato, uno dei capi degli umani, uno dei compagni delle Guerriere dell'Imperatrice.
    ”Fermati, Bayek di Siwa!”
     
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    Ero distrutto, fisicamente e moralmente. Mi ero rannicchiato un po’ accanto a un piccolo falò dopo che tutti, tranne chi aveva turni di guardia da espletare, erano andati a riposare. Ma io non potevo, non sarei mai riuscito a farlo con il peso che mi opprimeva il petto.
    I piedi erano ricoperti di piaghe che facevano un male assurdo, a nulla erano serviti bendaggi e medicamenti: continuandoci a camminare su il problema non si sarebbe risolto così facilmente. Non c’era muscolo che non urlasse per la pena e mi pareva già un letto di piume quel giaciglio spartano in cui mi ero rintanato. Senza contare i crampi allo stomaco per la fame…
    “Che tu sia maledetto!” imprecai a denti stretti, ripensando all’assurda punizione del sergente maggiore Baker. Un movimento improvviso mi fece sussultare, qualcuno mi aveva toccato con la punta della scarpa… Arno Dorian. Solo qualche ora prima eravamo stati i protagonisti di “un acceso scambio di vedute”…

    ”Dobbiamo andare a cercarli, dannazione!” urlai, irritato e preoccupato nella stessa misura. Odiavo l’immobilità in cui eravamo crollati e volevo fare di tutto per cambiare le cose. Ma il solito, maledetto, sergente maggiore Baker – a capo di noi riserve – faceva resistenza. Erano presenti anche il sergente maggiore Kenway e Dorian che portavano ordini precisi dagli Alti Ufficiali: andare adesso dietro le linee nemiche per una missione di recupero rappresentava un possibile suicidio. Ma non era un suicidio certo per chi vi era rimasto intrappolato?
    “Knight, stai esagerando, ancora!” mi redarguì Baker e per poco non gli saltai al collo. Solo le parole di Dorian evitarono il mio assalto.
    “Potremmo creare una squadra con un numero esiguo di unità, muoverci in sordina, recuperare i nostri e tornare al campo base…” Aveva parlato fissando Baker con sguardo impassibile, ma io lo guardai di rimando, sorpreso come non mai. Dopo averlo visto a capo chino di fronte all’umiliazione delle donne nella piazza della Resistenza, non mi sarei aspettato da lui nessun supporto. Forse, però, trattandosi di suoi compagni Assassini era diverso? Perciò me ne rimasi zitto, almeno per pochi momenti, ero proprio curioso di conoscere la risposta del “guastafeste” Baker.
    “Gli ordini sono questi! Nessuno può andare in campo nemico, nessuno! Quale di queste parole non vi è abbastanza chiara?” Maledetto!
    “Ho fatto richiesta diretta ai nostri superiori affinché autorizzino una piccola squadra. Se sarà approvata, puoi star certo che tu non ne farai parte. Non vorrei dovermi difendere da un cacasotto oltre che dai tedeschi!” Sgranai ancora di più gli occhi. Arno Dorian si stava rivelando molto diverso da come lo avevo immaginato fino ad allora. Il suo viso restò come di cera, ma i suoi occhi ardevano come tizzoni. Forse avremmo avuto la meglio! Anche Kenway era d’accordo… il “mio” sergente maggiore avrebbe dovuto autorizzarmi a partecipare, altrimenti l’avrei fatto a pezzi.
    Baker divenne rosso come un pomodoro maturo, avvalorando di fatto la sua fama di uomo pavido. Per questa ragione lo avevano messo a capo delle riserve ed era diventato l’addetto al recupero dei cadaveri: non si fidavano di lui in battaglia! Ma proprio a me doveva capitare questo caso umano?
    “Di certo non ho intenzione di offrirmi volontariamente come carne da macello! Semmai vi faranno partire, buona fortuna!” A quel punto girò i tacchi e se ne andò. Stavo per rivolgere qualche parola ad Arno, ma anche lui si era voltato e con passo marziale si era presto allontanato. Edward mi rivolse un sorriso sghembo e, dopo avermi strizzato un occhio, lo seguì. Che persone strane erano questi Assassini…


    “Tieni, mangia…” Arno guardava il fuoco, mentre si sedeva poco distante da me e mi passava un po’ di formaggio fresco assieme a del pane che pareva appena sfornato rispetto ai nostri standard. Tra gli uomini e le donne della Resistenza avevamo trovato un po’ di cibo diverso dal solito disgustoso rancio in scatola e questo aveva fatto felice un po’ tutti. Perciò non badai alla consistenza legnosa del pane, mi misi seduto e iniziai a divorare il dono inatteso.
    “Il vino e la birra se li sono scolati tutti, perciò…” La voce di Dorian era sommessa, anche un po’ impersonale, tentava di rimanere distaccato ma non gli riusciva tanto semplice. Lo fissai di sottecchi, masticando e finendo in grandi bocconi il panino improvvisato. Temevo che qualcuno ancora sveglio facesse la spia e… lì, sì che sarebbero stati dolori.
    “Va bene così…!” lo rassicurai con un gesto non curante della mano, ma non smisi di fissarlo. Avevo la sensazione che avesse qualcosa da dirmi, potevo quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello muoversi frenetici in cerca delle parole giuste.
    Decisi però di lasciargli il suo tempo. Avevo intuito che non fosse un gran parlatore e in questo eravamo più simili di quanto potessi immaginare. Dopo minuti interminabili, in cui io mi sistemai più comodo nel mio giaccone e lui stette immobile come un gargoyle della famosa cattedrale della sua città natale… parlò:
    “Domani tenterò di convincere Ezio, anche se so che non è lui l’ostacolo per la missione” disse tutto d’un fiato, come se quelle parole gli avessero graffiato la gola nel venire fuori. “Quel dannato Baker continua a metterci i bastoni tra le ruote, ma questo non ci dovrà fermare… non ci fermerà…”
    Non dissi nulla. Lo lasciai parlare come se stesse confessando un turpe segreto. Forse cominciavo a capire. Forse cercava solo di riscattarsi per non aver mosso un dito di fronte alla miseria umana.
    “Comunque tieniti pronto, anche senza l’autorizzazione ufficiale, qualcosa faremo e tu ne farai parte. Connor e Bayek torneranno a casa.” A quel punto i suoi occhi inchiodarono i miei e rividi gli stessi tizzoni ardenti che mi avevano colpito nel pomeriggio.
    “Non è facile agire di fronte all’orrore, neppure se ci hai sguazzato per decenni!” mormorai piano, lo dicevo sia a lui che a me stesso. Cercavo di consolarlo? Probabile! Ma soprattutto volevo dirgli che “capivo”, strano ma vero! Li avevo giudicati, ma prima di diventare un Moon Knight, prima di tornare a vita nuova, nella mia vita di vile mercenario… quante volte mi ero girato dall’altra parte? Quante volte avevo fatto finta di non udire le grida di aiuto di gente disperata?
    “Non sono così, non lo sono mai stato. È questo che mi fa incazzare. Ho visto gli orrori della Rivoluzione più sanguinosa della Storia, vi ho preso parte al fianco dei più deboli, e non può – e non DEVE – finire così!” Era tornato a fissare il fuoco, ma fu solo per qualche attimo ancora, perché poco dopo si alzò e andò via di nuovo.
    Non avevo idea del perché avesse voluto confidarmi tutto questo. Si era sentito giudicato? Si era vergognato dei suoi gesti? Aveva bisogno di assoluzione? Forse tutte queste cose insieme.
    Sospirai, riflettendo su quanto questa guerra stesse minacciando ogni nostra certezza. Ti guardi dentro e credi di sapere come sei fatto, poi ti guardi attraverso gli occhi di un estraneo e sei costretto a ritrattare ogni cosa. È destabilizzante, e questo era di certo il compito dei nostri veri nemici: portarci fuori dalla retta via. Ciò nonostante non sapevano con chi avevano a che fare, ma speravo che lo avrebbero scoperto presto. Molto presto.
     
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