Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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    :Moira:
    La cittadinanza festeggiava un'altra vittoria delle SS. Senza vittime civili e con danni materiali minimi sembrava che questo trionfo venisse nel momento ideale per la leadership mondiale facendo seguito a un nuovo report secondo cui i crimini erano scesi del 75% da quando quasi tutti gli Assassini erano spariti dalla circolazione.
    Nel campo finanziario il Duca McKay era presente per festeggiare i nuovi massimi raggiunti dalla borsa che avevano superato il record del mese precedente. Gli investitori esultavano per il calo della disoccupazione dovuto agli incentivi contenuti nel piano per il lavoro.
    Altri tre progetti erano pronti a partire compresa una fabbrica di tecnologia 4.0, destinata a creare 2000 posti di lavoro. Il Dottore Morgan aveva presenziato all'inaugurazione e promesso che sarebbe stato solo l'inizio di una lunga serie.
    Un nuovo accordo era stato firmato fra lo stato centrale di Berlino e i governanti degli altri paesi mondiali che dichiaravano di sottomettersi al governo centrale, inviata per la negoziazione era stata l'elegante e bellissima moglie del Duca McKay, la Duchessa Hybris accompagnata.
    Tuttavia a prescindere dei successi ottenuti sulla Terra quanto su Saturno il lavoro da fare era tanto e per questo motivo ogni mese veniva organizzata una riunione a cui miei genitori mi permettevano di assistere, affinché io assorbissi tutte le informazioni necessarie per, un giorno, governare e portare avanti ciò che avevano con tanta fatica costruito.
    Erano tutti riuniti intorno al lungo ed intarsiato tavolo di mogano scuro, mentre io sedevo alla destra di mio padre, a capotavola, e di fronte a mia madre. Quel giorno si sarebbe parlato delle nuove strategie di difesa nazionale e dell'imminente Giorno della Resa dei Conti quando circa 20 persone accusate di tradimento avrebbero affrontato il plotone di esecuzione.
    Ophelia: "Fluoruro, come sapete il fluoruro è presente in quasi tutte le acque del paese. Abbiamo alterato la composizione aggiungendo dosi quasi irrivelabili di sostanze che alterano la mente. Crediamo che questo nuovo cocktail, che verrà rilasciato a livello mondiale, porterà la docilità degli umani e la loro ricettività ai livelli che desideriamo. Dovrebbe almeno finché non sarà pronta la nuova formula della scie chimiche. Questo dovrebbe calmare eventuali ribellioni e guerriglie dei Non Devianti"
    Nyx: "Ottimo Dottoressa McKay. Ora l'Intelligence. Adrian. Hybris?"
    Adrian: "Continuiamo a monitorare le comunicazioni al confine nord della California… finora non sembra stiano violando il trattato, ma sappiamo tutti che la Repubblica Sovrana dei Devianti Negati che rifiutano il loro dono non è affidabile. Su Saturno fortunatamente la situazione è più stabile"
    Hybris: "Da quando alcuni di loro si sono risvegliati dopo il coma… bè sono sempre più strafottenti, sarebbero una minaccia da abbattere…"
    Nyx: "Sono pur sempre Devianti, seppur indisciplinati. Troveremo il modo di convincerli. Ottimo se è tutto..."
    Leopold: "Veramente c'è quello che è successo in Nevada. Combattenti della resistenza, simpatizzanti degli Assassini, sono scappati con un soggetto pericoloso, hanno provocato danni e sono sfuggiti all'arresto"
    Oliver: "Nonostante l'assenza di internet… le loro azioni hanno fatto il passaparola… E’ il tempo di agire, dopotutto si sa no? C’è sempre chi insorge perché la loro speranza viene nutrita..."
    Nyx: "Mio marito ha ragione se abbiamo dato la grazia con una mano, nel Giorno della Pace, ora forse dovremmo infliggere un castigo con l'altra. Nel Giorno della Resa dei Conti tutti vedranno qual è il destino dei traditori. Vediamo se così inizieranno a capire... Dottore Morgan ha il mio lascia passare, che il Progetto Abstergo abbia inizio!"
     
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    :Morrigan:
    Quando il mondo è sull'orlo del baratro ed ormai tutto ciò che si conosce è solo totalitarismo e segregazione, l'unica cosa che puoi fare è arrenderti o combattere. Ero lieta di dire che io rientravo nella seconda categoria anche se forse scegliendo la prima avrei indubbiamente avuto una vita più tranquilla e meno complicata.
    I miei genitori erano due importanti scienziati, tra i più rispettati e famosi della comunità scientifica per le loro scoperte innovative circa sieri, antidoti e vaccini. Ero stato dunque normale per me crescere tra provette e vetrini anche se il mio interesse era sempre stato più esoterico, pratica da loro non approvata. Avevo avuto la fortuna al liceo di incrociare la mia strada con chi mi aveva aiutato in questo percorso, amicizie che poi, inaspettatamente mi avrebbero salvato la vita.
    Io, Lin, Yelena ed Emir eravamo diventati, nonostante non potessimo essere più diversi, un gruppo compatto. Temuto e rispettato.
    Era stato con loro, considerato che i nostri genitori lavoravano insieme ed erano tutti membri rispettati della società, che avevamo scoperto cosa celavano. Le persone che avevano condannato, su cui avevano sperimentato e venduto per assicurarsi un posto all'interno della cerchia del governo. Uno nel quale uno vivevamo ai livelli più alti, seppur non eravamo Devianti, solo perchè i nostri genitori erano personalità per loro importanti per il carico di informazioni e capacità che possedevano.
    Era stato di fronte allo shock di assistere a tutto ciò che avevamo deciso che non ne volevamo fare parte, avevamo recuperato l'orgoglio per le nostre origini e ci eravamo liberati. Eravamo fuggiti di casa e da allora eravamo passati dall'avere tutto al non avere niente. Yulia, la sorella maggiore di Yelena, conosceva un luogo che divenne molto presto la nostra casa. Un'antica dimora dimenticata ed abbandonata dal tempo che ben presto divenne la nostra casa e poi la nostra base operativa. Lì Yulia già da mesi si vedeva di nascosto con un certo Liam, colui che nel tempo divenne la nostra guida, il nostro leader e Mentore. Lui che ci aiutò a coltivare la nostra vera essenza mostrandoci la via del Credo. Quello che lui considerava vero e non contaminato da tutto ciò che altri Assassini lo avevano fatto diventare.
    Era stato lui ad insegnarci che Assassini e i Templari erano due facce della stessa medaglia e che la vera essenza risiedeva nei nostri avi originali, quali Adamo ed Eva. Così avevamo assunto il titolo "grigi" per smarcarci ed avevamo combattuto strenuamente per assicurare a tutti gli umani come noi quella dignità che meritavano. Ma non lo facevamo come gli Assassini, nascosti come topi nell'ombra, a muovere i fili come sapienti chirurghi. Lo facevamo con il coraggio di metterci la faccia, di fomentare rivolte e combatter per la libertà.
    Alla fine però venimmo presi, uno per uno, e da più di un anno eravamo prigionieri dell'Abstergo. Ma non tutti gli Assassini avevano la stessa sorte.
    Chi non aveva discendenze note o importanti, veniva ucciso.
    Chi risultava interessante invece veniva imprigionato. A Livello 1 vivevamo tutto sommato bene, la maggior parte del tempo la passavamo fuori dalle nostre celle tra i corridoi della struttura e nel cortile per l'ora d'aria, ma non a tutti andava così bene. Chi compieva atti empi o si macchiava di omicidi tentati e non, veniva spostato a Livello 2 e da lì non tornavano più.
    Da quando eravamo lì più e più volte avevamo tentato di scoprire cosa si celasse al di sotto, ma non era facile, ciò non ci aveva fermato. Se dovevamo liberare i nostri fratelli, li avremmo liberati tutti, a qualsiasi livello si trovavano.
    Ciò che con Liam facevamo era stato un faticoso e lento lavoro di proselitismo. Avevamo bisogno di convertire Assassini alla causa grigia, al piano che stavamo mettendo insieme... tutto andava bene, fin quando non vennero catturati anche gli "originali", così li chiamavano. Assassini che con la loro popolarità attiravano seguaci solo per la loro fama e nulla più. Si sentivano i salvatori della patria, come se fossero stati investiti di chissà quale veste divina. Si ergevano sui loro piedistalli e giudicavano le nostre azioni, come se loro fossero perfetti, senza macchia.
    "Credo che potrei avvelenare i loro pasti con poco... in questa struttura non è così difficile trovare polveri tossiche..." esclamai quasi annoiatamene, mentre nel cortile ero seduta su uno dei tavoli, mentre sgranocchiavo una mela rossa. Era il mio simbolo distintivo, sarà che avevo sempre amato la favola di Biancaneve, ma molto dei Devianti che avevo ucciso erano morti così. Per un morso ad una mela.
    "Non abbiamo bisogno di attirare attenzioni su di noi!" esclamò Liam con la sua solita freddezza. Le braccia sulle ginocchia e lo sguardo attento nell'osservare gli "originali" poco lontani.
    "Sì sì lo so. Dobbiamo essere fantasmi, così che quando colpiremo non se lo aspetteranno, ma..."
    "Loro stanno mettendo a rischio tutto!" esclamò Emir seduto accanto a me. Lo sguardo corrucciato ed il pugno pronto per essere usato.
    "I ragazzi non hanno torto. Con il loro continuo andare in giro a fare domande, voler pasciare il gregge e salvare anime stanno attirando attenzioni di cui non abbiamo bisogno!" disse glacialmente Yulia. Le gambe accavallante ed una bellezza sempre impeccabile nonostante la divisa da detenuta.
    "Dobbiamo toglierceli di mezzo, ma non uccidendoli!" sottolineò Liam, vedendomi già con la schiena dritta. Tanto che sulle sue ultime sue tre parole misi il broncio dando un morso scocciato alla mela, mentre Emir ridacchiava di fronte a me.
    "Con la mia staffa avrei potuto farlo in un batter d'occhio!"
    "Vedrai che la recupereremo, vero Liam?"
    "Sarà la prima cosa che faremo quando questo posto diverrà nostro!" sentenziò lui con decisione nei confronti di Lin e Yelena, mentre anche il mio sguardo si concentrava sugli "originali" poco lontano da noi. Ci sarebbe stato da divertirsi.
     
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    Annarita
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    :Liam:
    “Non ho molto tempo, Yulia, devo subito farmi la dose…” La mia voce aveva un’urgenza che sapeva di angoscia e rabbia. Avevo cercato di allontanare il più possibile il momento, cercando di arginare “i sintomi” con altri metodi palliativi, ma non potevo rimandare oltre. Il malessere che sentivo poteva essere assimilato a una normale influenza: brividi di freddo, pallore, dolore al petto, tremori diffusi. Ma io sapevo che non era nulla del genere… e quando poco prima, in mensa, mi era caduto un bicchiere dalle mani, attirando l’attenzione di detenuti e guardie, avevo capito che era giunta l’ora. Avevo costretto Yulia a seguirmi nella mia cella, un cubicolo di due metri per tre con una finestrella ricoperta di sbarre come unica fonte di luce. Luce che in quel momento abborrivo. Avevo bisogno di oscurità per nascondermi e questo era ciò che mi faceva infuriare di più.
    Mi rannicchiai nell’angolo più lontano dalla porta e alzai la manica della tuta, arrotolandola sul bicipite così da usarla come una specie di laccio emostatico. Nello stesso tempo, Yulia scardinava una piccola porzione di muro per procurarsi il necessario. Era il mio rifugio segreto e avevo fatto sanguinare le dita per renderlo utilizzabile allo scopo. Lì riponevo ciò che mi stava più a cuore, l’unica cosa che mi impediva di diventare come lui, come loro… L’unico problema era che era l’ultima razione in mio possesso, di qui a quattro mesi avrei dovuto procurarmene ancora oppure sarei morto.
    Strinsi il pugno più volte, tenendo il braccio basso per agevolare il gonfiarsi delle vene, poi lo porsi a Yulia. Mi ritrovai a serrare le palpebre per trattenere un conato di nausea. Quando riaprii gli occhi la vidi esitare.
    “Da adesso inizia il countdown, Liam… Se il nostro piano non dovesse funzionare, sarà la fine” mormorò piano, come se temesse che quelle parole potessero trasformarsi in mostri e divorarmi.
    “Lo so, lo so, ma non ho scelta. In queste condizioni rischierei di attirare ancora di più l’attenzione e se dovessi finire adesso in infermeria sai bene cosa uscirebbe nelle analisi. No, non possiamo permettercelo…” Ragionavo a voce alta, cercando anche io una scappatoia che però non esisteva. Oggi era stato un bicchiere, domani sarebbero potute comparire le convulsioni come avevo già sperimentato in passato prima che iniziassi “la cura”. Se il team medico avesse sospettato una qualsiasi malattia grave mi avrebbero sezionato come un topo da laboratorio e “tutto” sarebbe venuto alla luce. Era il mio destino, almeno adesso avremmo avuto una linea del non ritorno e ogni azione avrebbe avuto un senso diverso. Più grave, più importante, più essenziale. “Vai” la esortai, fissandola dritta nei suoi occhi color del ghiaccio. Dovevo essere forte per lei, per entrambi, per tutti i miei fratelli.
    Quando l’ago penetrò la pelle e arrivò in vena mi sentii rinascere, non certo perché i sintomi erano già scomparsi – per quelli ci sarebbe voluto qualche giorno – ma perché avevo di nuovo la mia umanità sotto controllo e per proteggerla sarei stato disposto a sacrificare la mia intera esistenza. Gettai il capo all’indietro e lasciai che il siero scorresse vigoroso e potente, annullando il male che vibrava dentro di me. Nel farlo distruggeva anche cellule “innocenti” ma a me non importava. Anche gli effetti collaterali facevano parte del gioco ed ero disposto a sopportali per tutta la mia vita pur di non cedere… Sentii le labbra di Yulia lasciarmi un lieve bacio sulla fronte madida e poi i suoi passi silenziosi uscire dalla cella. Rimasi solo, nascosto, ma solo per il tempo necessario a riprendermi. Poi sarei di nuovo tornato allo scoperto, sotto la luce del sole, a combattere per ciò in cui credevo con tutto me stesso.
    Avevo poco tempo a disposizione e non ne avrei sprecato nemmeno un istante.
    […]
    “Sarà la prima cosa che faremo quando questo posto diverrà nostro!”
    Non volevo vittime, non volevo il sangue di altri fratelli sulle mie mani. Gli Assassini “originali” non erano Devianti e quindi non erano miei nemici. Tuttavia, si erano trasformati in un ostacolo davvero enorme! Quando, circa un mese prima, avevano cominciato ad arrivare uno dopo l’altro non avevo immaginato che le conseguenze sarebbero state così disastrose. Una parte degli accoliti che avevamo racimolato con fatica in quell’anno era stata fagocitata dalla loro presenza in poche settimane. Li avevano attirati come magneti per il ruolo che ricoprivano, senza sforzarsi neppure poi tanto di “convincerli” che il loro Credo era quello da seguire. Era accaduto come per magia anche se per noi equivaleva più a una maledizione. Nonostante questo, però, non desideravo che nessuno si facesse male… almeno per ora. Era necessario che capissero che non dovevano intralciare i nostri piani, in un modo o in un altro.
    Li fissavo con insistenza, incrociando ora lo sguardo di Ezio Auditore, ora quello di Connor Kenway o quello di Arno Dorian. Dovevo dare un segnale forte, un ammonimento, dovevano capire che metterci il bastone tra le ruote avrebbe solamente creato danni a tutti, loro compresi. Poi mi alzai dal tavolaccio dove ero stato seduto fino a quel momento e gli voltai le spalle prima di iniziare a parlare.
    “Emir, hai con te il necessario?” chiesi con voce ferma e l’espressione impassibile. Dopo il suo cenno di assenso continuai. “Create confusione e attirate l’attenzione dei secondini. Non esponetevi in prima persona, piuttosto usate i detenuti più irascibili. Quando le guardie saranno ormai arrivate per sedare la rissa, Emir, agisci come concordato.” Lo scopo era togliere di mezzo uno dei loro mentori, con metodi di certo poco ortodossi ma per adesso non violenti. Dovevamo fiaccare il loro carisma e renderli “vulnerabili” agli occhi dei loro seguaci, solo dopo avremmo potuto finalmente raccogliere i frutti del nostro duro lavoro e… la mia vita non sarebbe stata appesa a un filo così sottile quanto lo era adesso!
     
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    Roberta
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    :Yulia:
    Quando ne ero venuta a conoscenza, ero rimasta scioccata, destabilizzata. Mai avrei potuto immaginare una cosa simile. Ma non potevo abbandonarlo a se stesso, nonostante covasse dentro di sé tanta oscurità, tanto male, tanto dolore. Per me rimaneva sempre e comunque Liam, la nostra guida, il nostro leader, il mio più caro amico. Probabilmente, non mi avrebbe mai confessato il suo segreto, tanto aborriva quella parte di sé, ma solo io avrei potuto aiutarlo. Grazie ai contatti che i miei genitori avevano con la Mafia russa, anche io ero stata in grado di crearmi alcuni legami, contrari ad ogni mio principio, ma assurdamente indispensabili. Avevo accesso a un Mercato “sommerso”, dove avevo potuto procurare il siero che evitava a Liam immani sofferenze. Qui potevamo rifornirci da quando avevamo abbandonato le nostre famiglie e avevamo intrapreso la via del Credo, insieme al nostro Mentore.
    Da troppo tempo ero costretta ad assistere allo strazio che provava, conoscevo benissimo i sintomi della “sua malattia” ed erano giorni che tentava di mascherarli, più o meno abilmente, ma io che sapevo, ero certa che non sarebbe durato a lungo. Avevo provato a farlo ragionare, a fargli capire che era il momento della dose, ma lui, testardo come al solito, non mi aveva ascoltato. Capivo perfettamente le sue ragioni, ma a tutto c’era un limite. Quella volta, infatti, i limiti li aveva superati e di molto, aveva atteso fino all'inverosimile, perché la cura che utilizzava era ormai a breve scadenza, di lì a 4 mesi sarebbe stata completamente inutile, oltre che impossibile da recuperare. Eravamo prigionieri in quella fogna da parecchio, sotto una lente di ingrandimento enorme. Esposti ad esperimenti ed esami continui. Era stato un miracolo che non avessero ancora scoperto il "problemino" di Liam... lui che lo odiava con tutto se stesso eppure ci lottava con grande tenacia e dignità. Dunque, era necessario che non attirasse troppo l’attenzione dei dottori. Quei bastardi non aspettavano altro che un minimo segnale, per metterci sotto torchio e sezionarci come cavie da laboratorio.
    Non potevo che ammirarlo. Lo avevo incontrato nel momento più buio della mia vita. Poi mia sorella e gli altri tre mocciosi dei suoi amici si erano messi in testa di scappare, di ribellarsi alle malefatte e ai soprusi perpetrati dalle nostre famiglie. Io avevo già abbandonato la mia casa, avevo fatto di tutto per evitare che anche Yelena venisse a conoscenza delle nefandezze a cui partecipavano i nostri genitori. Ma la verità non poteva essere nascosta, non per sempre.
    Avevamo perso la via e Liam ci ha guidati con il suo carisma e la sua determinazione. Ci aveva dato un Credo al quale ci eravamo affidati con tutti noi stessi, per non affondare, per rendere le nostre vite degne di essere vissute. Come avrei potuto rimanere inerme di fronte alla sua sofferenza? Nonostante tutto era sempre stato lì per noi, senza mai esitare.
    Ci eravamo rintanati nella sua cella, che a me pareva asfissiante, a ripetere il rito canonico che ci aveva visto protagonisti fin troppo spesso negli ultimi tempi. I sintomi erano sempre più evidenti e dopo quell'unica e ultima dose non avrebbe avuto più via di scampo.
    Speravamo che di lì al prossimo episodio di crisi, avremmo già trovato una soluzione, dovevamo riuscirci. Il mio cuore tremava al pensiero di un possibile fallimento. Le conseguenze sarebbero state catastrofiche.
    “Da adesso inizia il countdown, Liam… Se il nostro piano non dovesse funzionare, sarà la fine” dissi con voce scossa.
    “Lo so, lo so, ma non ho scelta. In queste condizioni rischierei di attirare ancora di più l’attenzione e se dovessi finire adesso in infermeria sai bene cosa uscirebbe nelle analisi. No, non possiamo permettercelo…” diede voce ai miei più cupi timori, confermando le mie paure più profonde.
    Mi armai di siringa e iniettai il siero che avrebbe, di lì a pochi giorni, attenuato i sintomi del suo male.
    "Mi dispiace caro Liam... spero che presto ogni tua sofferenza cesserà. Non sopporto di vederti in questo stato... Non ogni volta" pensai mentre gli baciavo dolcemente la fronte. Adesso doveva rimanere solo con se stesso. Io mi sarei riunita al resto del gruppo. Dovevo farmi vedere dagli altri. In assenza di Liam era a me che facevano riferimento. Ero la più grande dopo di lui e loro erano solo dei ragazzini. Ragazzini testardi e dannatamente in gamba, ma pur sempre bisognosi di una guida. Indossai di nuovo la mia maschera di glaciale indifferenza. Solo Liam conosceva ogni aspetto del mio carattere e solo dinnanzi a lui potevo mostrare i dubbi che mi flagellavano o il terrore che a volte mi gelava le vene. Ma di fronte al mondo intero dovevo essere impenetrabile. Non ammettevo nessuna debolezza o cedimento… Per gli altri ero solo una donna algida e spietata. Mi stava bene così.
    Dopo aver vissuto per molto tempo in una casa abbandonata che io stessa avevo trovato -era una proprietà diroccata, ma ancora in piedi, appartenente ad alcuni parenti dei miei genitori - eravamo stati cacciati come prede e uno ad uno eravamo stati rinchiusi nell'Abstergo. Da quel momento in poi non avevamo avuto pace, ma avevamo escogitato un piano e solo seguendolo alla perfezione avremmo potuto portare a casa la pelle, uscire da quel buco schifoso e liberarci dalle grinfie del Devianti.
    […]
    "I ragazzi non hanno torto. Con il loro continuo andare in giro a fare domande, voler pasciare il gregge e salvare anime stanno attirando attenzioni di cui non abbiamo bisogno!" affermai glaciale. Eravamo tutti nel cortile, riuniti intorno a un tavolo per fare il punto della situazione. Liam ci aveva raggiunto e sembrava stesse molto meglio. Ci diede tutte le indicazioni di cui avevamo bisogno. Dovevamo agire per evitare che gli Assassini “originali” ostacolassero il nostro piano, non potevamo permettercelo.
    “Create confusione e attirate l’attenzione dei secondini. Non esponetevi in prima persona, piuttosto usate i detenuti più irascibili. Quando le guardie saranno ormai arrivate per sedare la rissa, Emir, agisci come concordato.”
    Non me lo feci ripetere due volte. Mi alzai dalla panca in legno, sollevando una gamba con immensa fluidità, quasi avessi attuato un passo di danza. Il mio passato di ballerina aveva temprato il corpo ed il mio portamento. Nessun movimento fuori posto, nessuno scatto inconsulto. Tutto era controllato e naturale. L’addestramento poi, aveva dato un tocco letale al mio essere. Un connubio perfetto.
    Iniziai ad avvicinarmi a un detenuto che sapevo essere un’attaccabrighe, lo avevo tenuto d’occhio, aveva causato ben altre bagarre in passato. Aveva qualche problemino con la gestione della rabbia. Mi avrebbe fatto comodo. Era seduto su uno sgabello ed era intento a farsi un bel solitario a carte. Un altro prigioniero stava in piedi, voltando le spalle al primo, aveva il capo chino, era intento a guardare qualcosa, ma non mi avvidi di cosa fosse; poco importava. Fui fulminea e felpata come un felino. Mi infilai tra i due, con un piede agganciai una delle aste di metallo che sorreggeva lo sgabello sul quale sedeva “Testa calda”, imprimendo non poca forza lo rivoltai, e il tipo cadde a gambe all’aria del tutto sconvolto dall’accaduto. Il prigioniero in piedi lì accanto, si voltò attratto dal trambusto. Io ormai mi ero volatilizzata, nessuno dei due mi aveva scorto e mi fermai poco lontana per godermi la scena. Un sorriso beffardo sul volto e uno sguardo di intesa verso i miei compagni, compiaciuti.
    “Testa calda” si guardò intorno in un primo momento spaesato e poi scorse lo sguardo ora divertito dell’uomo dietro di lui, non ci vide più per la collera, si alzò come una furia e si avventò contro il poveretto che non aveva neppure capito cosa fosse successo. Iniziarono a darsele di santa ragione; altri detenuti intervennero per separarli, ma furono coinvolti anche loro tra pugni, calci e violenti spintoni. Sperai, con quel piccolo espediente, di attirare l’attenzione delle guardie e di dare ad Emir l’occasione giusta per agire, secondo gli ordini di Liam.
     
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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Emir:
    La mia vita era fantastica, la migliore.
    Vivere al vertice della società, nella libertà assoluta, nel lusso più sfrenato era una goduria. Potevo fare qualsiasi cosa mi passasse per la testa.
    Ero completamente dedito al divertimento, qualsiasi cosa facessi era per inseguirlo, afferrarlo e inebriarmi del suo dolce sapore... un po' come facevo ogni sera quando creavo le feste più belle e mi ubriacavo con i migliori alcolici sul mercato. Sempre il meglio per Emir Tazim.

    "Finalmente cazzo! Ora sì che ci divertiamo!"
    Yulia aveva scatenato un putiferio incredibilmente sublime.
    Adoravo questi giochetti... adoravo giocare in generale... se poi avevo delle pedine da muovere a loro insaputa ero ancora più soddisfatto...
    Ero calcolatore, manipolatore, subdolo, irascibile, narcisista, anche se molti riassumevano il tutto con un semplice e banale stronzo... non che mi dispiacesse troppo, lo ero e ne andavo decisamente fiero.
    Dopotutto mi era rimasto poco a cui aggrapparmi e affidarmi dopo che tutto il mio fantastico mondo se n'era andato completamente a puttane, crollandomi bellamente addosso. Tutta colpa di quella testa di cazzo di mio padre. Aveva trascinato dritto nel cesso me e mia madre... come faceva sempre del resto. L'unica differenza era che questa volta l'aveva combinata più grossa del solito.
    In un attimo avevo scoperto che la mia famiglia apparteneva da secoli alla Confraternita degli Assassini, che mio padre era invischiato in cose strane facendo finire tutto nel casino più totale.
    Mia madre lo seguì, come al solito... quel pezzo di merda aveva completamente annullato il suo spirito a suon di urla e colpi.
    Io scappai.
    Persi tutto. Non mi rimase altro che me stesso, Morrigan e coloro che erano diventati la mia famiglia, i miei complici, il mio nuovo Credo.
    Gli Assassini erano contraddittori, codardi. A un certo punto, prima o poi, ci si deve esporre. Ecco perchè il Credo che Liam aveva creato mi piaceva. Agire nell'ombra? Sì, certo, io adoravo farlo, era decisamente nel mio stile, ma poi arrivava anche il momento di scoprire le carte, di mettersi, appunto, in gioco.

    Agimmo come veri e propri sovvertitori per anni prima che qualcuno riuscisse a prenderci. A rinchiuderci in quella fottutissima prigione in cui ormai stavamo quasi un anno ed in cui venivamo usati come cavie da laboratorio per quei pezzi di merda.
    Era da un anno che stavamo pianificando come impossessarci di quel dannato posto, che stavamo portando sotto il nostro Credo quanti più detenuti possibile.
    Dopo un anno finalmente riuscivamo a vedere la luce, la fine del tunnel... quando arrivarono quei coglioni degli "originali". Così lì dentro li chiamavamo tutti. Cavalieri senza macchia che stavano completamente mandando all'aria tutto il nostro duro lavoro!
    Ci stavano portando via seguaci solo con la loro presenza.
    Loro volevano aiutare, lo sapevo... ma che lo facessero non rompendo le palle a noi!
    Ecco perché creare quella baraonda. Per sbarazzarci di almeno uno di loro.
    E sarei stato io a farlo.

    Mi alzai di scatto, e sfruttando a mio vantaggio tutto quel caos mi avvicinai silenziosamente e cautamente al "grande" Ezio. Lui e suo fratello erano due bulli che pensavano che solo perchè si chiamavano Auditore, tutto gli era dovuto.
    Feci finta di cadergli addosso, come se qualcuno mi avesse colpito, e gli misi furtivo nella tasca dei pantaloni un arma improvvisata. Nient'altro che un coltellino rudimentale creato dal sottoscritto.
    In questo posto era vietato avere qualsivoglia tipo di arma, pena: l'isolamento.
    Mi finsi spaesato, poi mi allontanai di qualche passo ed attirai l'attenzione di una guardia.
    "Quel tizio è armato! Ha tentato di colpirmi!" gli dissi indicando un piccolo taglietto sul viso... in realtà non era altro che un fregio fatto apposta per la messinscena. Dopotutto dovevo fare le cose bene no? Anche se non era realistico poco importava, alla guardia non gliene fregò niente. Si concentrò subito su Ezio e lo perquisì.
    Nel mentre iniziò un conflitto acceso di sguardi fra me e lui, almeno fino a che non tutto andò secondo i miei piani.
    "Non hai niente addosso. Puoi andare."
    "Io fossi in lei perquisirei anche lui." disse indicandomi.
    "Io?! E che centro? Sei stato tu a colpirmi!"
    "Vieni ragazzo. Sta' fermo."
    "Guarda quanto vuoi."
    Un suono metallico risuonò dal pavimento.
    Guardai in basso e mi si gelò il sangue.
    Il coltellino era appena caduto dalla mia tasca.
    "Vieni con me."
    "Io non c'entro un cazzo! È stato lui! Me l'ha messo addosso lui!"
    Iniziai a urlare inferocito.
    "E mollami sacco di merda" sbraitai contro la guardia che mi stava letteralmente trascinando via.
    Vidi i miei compagni osservare la scena. Non erano contenti, per niente. Quello che mi faceva più incazzare era che non avrei potuto aiutarli. Potevo vedere la preoccupazione di Morrigan. Non l'avrei vista per un po', e il solo pensiero mi faceva girare i coglioni. Noi eravamo complici in qualsiasi cosa, uniti contro tutto e tutti.
    "Vaffanculo Audiore! Non finisce qui, hai capito!? Brutto figlio di puttana!"
    Gridai di tutto, anche dopo che era uscito dal mio campo visivo, prendendomi un bel colpo col manganello da una delle guardie che mi stavano portando via.
    Cazzo! Come aveva osato fregarmi così?!
    Mi aveva umiliato, fregato... sconfitto.
    Avevo perso... una battaglia, non la guerra.
    Emir Tazim si rialza sempre, e alla fine, vince.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 15/2/2020, 18:26
     
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    :Edward:
    Attesi che le guardie si allontanassero prima di avvicinarmi ad Ezio. Avevo capito subito che in questa prigione non si andava troppo per il sottile, quando c'era da mantenere l'ordine. Quegli stronzi ti stavano con il fiato sul collo ogni secondo, e se non erano le guardie a controllarti, c'erano le telecamere, o i falsi specchi alle pareti – tu vedevi il riflesso, ma dietro c'era sicuramente qualcuno che ti osservava, ti valutava, ti soppesava. In pratica, forse solo al cesso non arrivava la loro curiosità, ma non ne ero ancora sicuro.
    Ezio si era seduto nuovamente, dopo la colluttazione, e ostentava un'aria indifferente. Tutti mostravamo indifferenza, era la prima regola che imparavi per essere lasciato in pace, quando ti ritrovavi tuo malgrado in questa prigione.
    Che poi, di galere ne avevo viste di peggiori, nelle mie avventure. Qui dovevi solo fare il bravo e se lo eri, passavi la giornata in aree comuni, che sembravano un centro ricreativo con tavolini, sedie, librerie, piante e musica classica in sottofondo. No, non ero un architetto d'interni. Ero uno che voleva togliere il disturbo il prima possibile da qui dentro, senza però essere tra quelli che venivano portati via, al secondo piano, e non facevano più ritorno.
    Mi sedetti accanto a lui, dandogli una pacca sulla spalla. Mi rivolse uno sguardo in cui non c'era neanche un briciolo di soddisfazione per come erano andate le cose. Incredibile! Sapevo cosa era successo, non mi ero perso niente di tutta la scena: aveva avuto prontezza nel reagire, nell'accorgersi che il ragazzino lo voleva fregare e a ricambiargli il piacere di soggiornare per un po' in isolamento.
    Sorrisi malignamente: ”Per un po', non vedremo quella testa di cazzo in giro. Si può sapere cosa aveva in mente?”
    ”Non lo so, ma dobbiamo tenere gli occhi aperti. La nostra presenza qui ha come incrinato degli equilibri che esistevano già da prima”
    ”Non abbiamo fatto nulla di particolare! Non è colpa nostra se siamo famosi per quello che abbiamo compiuto, perché rappresentiamo l'unica speranza che i terrestri hanno di combattere i devianti”
    ”Sì ma proprio per questo motivo, per la nostra fama, abbiamo attirato attenzioni che non sono positive. Chi si è avvicinato a noi è perché è attratto dal nostro Credo, dalla speranza che in qualche modo potremo aiutarli ad uscire da qui. Siamo una specie di mito, le nostre gesta ci precedono, e questo è stato uno svantaggio”
    ”Ehi, io non rinnego il mio passato!”
    Per qualche secondo, sembrò smarrito. ”Neppure io!”
    ”Bene, e quindi? Aspettiamo che colpiscano di nuovo? Dovremo stare tranquilli e zitti e accettare che ci eliminino uno per uno, così da lasciarli di nuovo spadroneggiare, quei ragazzini che si atteggiano a grandi guerrieri?”
    ”No, loro non sono nostri nemici. Tutto questo è follia. Siamo prigionieri qui, in mano all'Abstergo. Per i loro scopi, quali che siano. Gli stiamo servendo, e farci la guerra tra di noi facilita il loro lavoro”
    ”Evadere è impossibile. Ho studiato per settimane tutta la struttura. Al di fuori dell'area in cui siamo confinati, non sappiamo cosa ci possa essere. Per quel che ne so, potremmo trovarci in un fottuto deserto”
    ”Eppure solo se siamo uniti potremo sperare di arrivare da qualche parte. Se condividessimo le informazioni, se evitassimo di guardarci in cagnesco, se facessimo squadra...”
    ”Stiamo perdendo già troppo tempo! Sappiamo bene cosa sia l'Abstergo, è solo la maschera dello scienziato pazzo dell'impero, e se noti, nessuno riesce a sfuggirne a lungo, neanche noi che siamo più addestrati di chiunque altro a muoverci nell'ombra, a far perdere le nostre tracce. Per mesi ho dormito con un occhio solo, rinunciando anche a stare insieme a Nike per la paura che prendessero anche lei”
    Abbassai la voce, perché mi ero accorto di averla alzata troppo. Ma se mi soffermavo su questi pensieri, mi bolliva il sangue nel cervello. Ezio si massaggiò le tempie.
    ”Dobbiamo usare una strategia, formare delle squadre ognuna con un compito diverso per spiare i movimenti dei nostri guardiani, sfruttare ogni minimo spiraglio per avere il quadro d'insieme”
    Lo squadrai con un mezzo sorriso, incredulo: ”Parli come un mentore! Ti sei messo in testa di fare carriera?”
    Ezio mi fissò senza parlare. Per un attimo parve sul punto di sfogarsi su qualcosa che gli stava a cuore. In effetti, avevo notato un certo cambiamento in lui, nelle ultime settimane. Era diventato più calmo, più silenzioso, più cupo. Prima mi faceva piacere passare del tempo con lui, si sapeva divertire, anche se i suoi modi erano troppo sofisticati per i miei gusti.
    ”Lascia stare...”
    Mi alzai dallo sgabello e mi allontanai. Le guardie avevano cominciato a tenerci d'occhio. Stavamo parlando da troppo tempo, e questo a loro non piaceva. Strinsi i denti, rabbioso. Mi sentivo come un cane alla catena. Le catene non mi avevano mai imprigionato troppo a lungo, nella mia vita, avevo sempre trovato il modo e la forza di liberarmene. Ma non in questo caso.
    Mi diressi verso lo spogliatoio della palestra. Quando sentivo alzarsi il livello del malumore, preferivo sfogarmi facendo esercizi fino a sfinirmi, piuttosto che rischiare di essere messo in isolamento, come quello stupido, per aver perso le staffe nel momento sbagliato.
    Lo spogliatoio era una stanza quadrata, con armadietti alle pareti e panche di legno chiaro. Senza una finestra. Nulla qui aveva finestre, la luce del sole era qualcosa che non vedevo da quando mi avevano catturato. Respirai a fondo, i pugni stretti.
    All'improvviso, si spense la luce, e sentii la porta chiudersi alle mie spalle.
     
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    Roberta
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    Vivere rinchiusa tra quelle quattro mura mi aveva reso insofferente. Erano mesi che non vedevamo la luce del sole e io di sole vivevo. La notte sognavo il tepore caldo che accarezzava la mia pelle e lo sciabordio di onde immaginarie che spandevano profumo di salsedine intorno a me. Poi… poi mi risvegliavo e ritrovavo intorno a me pareti grigie e tristi. Non potevo nemmeno bearmi della compagnia della mia Yelena. Avevamo affrontato un sacco di peripezie e pregiudizi per poter finalmente stare insieme e adesso che avevamo l’occasione di viverci a pieno, senza remore, eravamo prigionieri di folli maniaci del controllo. E ciò che più mi faceva ribollire il sangue nelle vene era che mia madre, la mia dolce mammina era l’Amministratrice Delegata di quella fogna. Una pazza, schiava volontaria dei Devianti. Sapeva bene che io, sua figlia, ero rinchiusa nell’Abstergo, ma non aveva alzato nemmeno un dito in mia difesa, neppure una visita o una parola di conforto. Non che me ne sarebbe fregato qualcosa! Non avevamo mai avuto un ottimo rapporto. Fin da bambina l’avevo subita e avevo subìto il suo atteggiamento autoritario, dovevo dare sempre il massimo, essere sempre al di sopra di ogni aspettativa e soprattutto… dovevo equiparare le capacità di mia sorella… Non riuscivo nemmeno a pensare a lei. Ogni volta un nodo allo stomaco mi costringeva ad una nausea pressante. Il senso di colpa attanagliava la mia mente ed il mio cuore. Lei era fantastica, la numero uno in tutto e ovviamente mia madre l’adorava, anche se alla fine… anche Amy aveva trovato la forza di ribellarsi alla loro follia. Non provavo nessun risentimento o invidia perché lei era l’unica ad amarmi davvero, l’unica che fosse stata dalla mia parte, nonostante una madre tiranna e un padre affettuoso ma succube dell’autorità della moglie. Quando mia sorella mi aveva lasciato, e per forza di cose il testimone della sua eredità, l’Asta di Uno, era passata a me, mia madre era diventata insopportabile. Aveva riversato su di me tutta la sua rabbia, la sua frustrazione. Io non me ne ero rimasta zitta a subire, e così la guerra era iniziata e durava tutt’ora. In un primo momento era stata solo una diatriba tra madre e figlia, ma da quando avevo scoperto a cosa si dedicava, a quanto si era venduta ai Devianti per brama di potere, era diventata una questione di etica e di giustizia. Ero fuggita, insieme ai miei amici, partner nella medesima sorte e grazie a Liam e Yulia avevamo trovato una strada da seguire, un Credo che ci desse motivi per vivere, un scopo: agire per sabotare e combattere le malefatte di mia madre e dei suoi loschi compari. Avrei potuto onorare la memoria di Amy, e far sì che la sua morte non fosse stata del tutto vana.
    Una rissa di proporzioni epocali si era svolta proprio di fronte a me, grazie a un giochetto d’astuzia di Yulia. Emir aveva purtroppo fallito nel suo intento di mandare in isolamento Auditore, ma io non avevo abbassato la guardia, avevo un ruolo da svolgere. Stavo puntando il mio obiettivo come un pantera fa con la sua preda. Edward Kenway era seduto proprio a fianco di Ezio e stavano parlottando, mentre le guardie tentavano di far rientrare gli ultimi riottosi. Lo avevo studiato molto negli ultimi giorni e conoscevo ormai lei sue abitudini. Lo osservavo mentre me ne stavo seduta su una panca con le gambe allungate e incrociate e la schiena appoggiata al tavolaccio in legno, intrecciavo le dita ai miei capelli corvini, abilmente acconciati in treccine sparse per tutta la testa. Adoravo adottare strane acconciature, sempre diverse e sempre super vistose. Faceva parte del mio look. Purtroppo in quella fogna non avevo nulla a disposizione per poter dare sfogo alla mia fantasia e questo mi faceva incazzare oltre ogni dire! Quelle treccine era il massimo al quale potevo ambire. Rimpiangevo i tempi in cui potevo decorare i miei capelli e il mio viso. Il trucco smokey e a volte mixato con colori caldi o pastello risaltava il taglio orientale dei miei occhi, i rossetti scuri, addirittura neri come la notte a volte, disegnavano la carnosità delle mie labbra, ma non c’era nulla di sensuale in me. Ero minuta e bassina e quella corazza fatta di colori tetri o sgargianti, di capelli stravaganti ed abiti dark erano la mia armatura contro i pregiudizi e le riserve della gente. Era iniziato tutto come un atto di ribellione verso mia madre, che mi avrebbe voluta sempre perfetta e “incontaminata”, e poi era diventato parte di me, la mia arma, il mio scudo contro il mondo.
    Decisi di non farmi prendere troppo dai ricordi altrimenti la mia missione ne avrebbe potuto risentire. Lin, occhio sull’obiettivo. Non perdere la concentrazione! Se solo avessi avuto la mia Asta, non avrei avuto nessun problema. Avrei invocato uno dei miei sortilegi e Kenway non avrebbe avuto scampo, avrei ridotto la sua mente in stato di schiavitù anche solo per vedere quel gigante starnazzare come una gallina! Che scena esilarante! Sorrisi dentro di me e un po’ mi rammaricai di non poter mettere in atto la mia fantasia.
    Avrei dovuto agire d’astuzia, non sarebbe stato semplice “interagire” con lui per potergli portare il “nostro messaggio”. Mi misi subito in allerta non appena lo vidi ultimare la sua conversazione con Auditore. Mi ero già procurata parte del materiale di cui avrei avuto bisogno e l’ultimo accessorio me lo stava consegnando Yelena in questo preciso istante.
    “Ecco, prendi. Sono cadute ad una guardia mentre divideva due detenuti. Sei la solita fortunata! E se non fossi riuscita a recuperarle?” mi disse Yelena porgendomi l’oggetto e guardandomi con occhi dolci come il miele. Mi si sciolse il cuore. Ah, quanto l’amavo. Era una sofferenza fisica per me non poterla sfiorare, baciare, accarezzare… ma non l’avrei mai messa in pericolo. Semmai quegli stronzi avessero anche solo notato un rapporto un po’ più stretto fra i detenuti, non si sarebbero fatti scrupoli ad usarlo contro di noi, dunque ci dovevamo limitare quando eravamo in pubblico. Solo quando riuscivo a ritagliare un po’ di tempo e trovavo un nascondiglio, seppure temporaneo e labile, potevamo essere noi stesse e allora tentavamo di recuperare il tempo perso. Anche se l’ansia, il timore di essere scoperte scorticava sempre le nostre anime, inquinando anche quei pochi momenti, ma non vi avrei mai rinunciato.
    “Non avevo dubbi che ce l’avresti fatta! Sei infallibile, lo so!” le dissi mentre mi alzavo dalla panca con uno scatto di reni e indugiavo un po’ più del dovuto sulla sua mano, dopo aver preso ciò che mi aveva procurato. Le dedicai un sorriso raggiante e mi avviai decisa verso un luogo in particolare: lo spogliatoio. Kenway sarebbe giunto a breve ed io lì lo avrei atteso.
    […]
    Ero acquattata dietro la fila di armadietti metallici che contenevano gli effetti personali di chi voleva rilassarsi e fare un po’ di attività fisica. E di tempo per “rilassarci” in quel dannato posto ne avevamo in abbondanza.
    Lo udii entrare e accendere le luci. Non aveva chiuso la porta, probabilmente non aveva nessun problema se qualcuno lo avesse scorto mezzo nudo. D’altronde si trattava di un’area dedicata solo agli uomini e semmai qualche donna avesse varcato la soglia, non credo che questo “inconveniente” gli avrebbe creato troppo in imbarazzo. Io… beh, io ero tutta un’altra storia…
    Lo stavo sbirciando mentre raggiungeva il suo armadietto e digitava un codice per poterlo aprire. Iniziò a spogliarsi levandosi la divisa da detenuto e scoprendo il suo corpo tutt’altro che imperfetto. Il momento era giunto: mi avvicinai con passo felpato all’uscio e lo chiusi con un tonfo sordo, spegnendo l’interruttore della luce. Adesso eravamo immersi nell’oscurità tranne che per delle piccole lucette direzionali infilate nel battiscopa e che correvano per tutto il perimetro della stanza. Non avrei potuto proseguire “da terra”, avrebbe scorto il mio movimento grazie a quel flebile bagliore. Allora, con un balzo felino mi arrampicai sul divisorio di cartongesso che divideva lo spogliatoio dalla zona docce vera e propria. Lo udii borbottare.
    “Ma che cazzo…!” Si trovava proprio addossato alla parete divisoria, si era coperto le spalle, non conoscendo chi o cosa avesse interrotto l’illuminazione.
    Seguendo un tragitto retto come un’equilibrista, raggiunsi il punto che mi consentiva di pormi al di sopra della mia preda. Senza pensarci due volte, mi lanciai sopra di lui con leggiadria e mi misi a cavalcioni intorno al suo collo. Lui, preso alla sprovvista, barcollò ma non cadde come avevo sperato. Il mio peso non era stato sufficiente per farlo crollare. Ma, fortunatamente, lo avevo previsto e mi preparai ad attuare il piano B. Edward mi afferrò per la vita, come quando un papà sta per far scendere dalle spalle la sua amata figlioletta, ma con molta meno dolcezza. Non gli potevo permettere di mettermi giù, altrimenti avrei perso il mio vantaggio e con la notevole differenza di statura, non avrei mai potuto avere la meglio. Tolsi dalla tasca una boccettina di olio di semi. L’avevo trafugata dalla mensa, poche ore prima. Ne versai il contenuto sul pavimento sotto di noi e per destabilizzare il mio nemico gli misi le dita dell’altra mano negli occhi. Lui cominciò a dimenarsi e ad imprecare. Non poté fare altro che assecondare il mio movimento e cademmo all’indietro. Era molto rischioso, non sarebbe stato indolore, ma non avevo altra scelta. Edward scivolò senza rimedio, non riuscendo a mantenere il tanto agognato equilibrio. Ruzzolammo scompostamente al suolo ed io, con un movimento fluido mi sganciai dal suo collo e afferrai rapida un paio di manette, l’oggetto che mi aveva procurato Yelena. Senza esitazione e sfruttando la sua momentanea cecità, lo agganciai per entrambi i polsi alle sbarre di ferro che sostenevano la panca dello spogliatoio. Erano ancorate al pavimento e non aveva via di scampo.
    Il buio non era un problema per me, conoscevo quella stanza a menadito e le lucette di direzione mi aiutavano a non perdere l’orientamento. Mi mossi veloce e accesi di nuovo le luci. Mi diressi di nuovo dal “mio prigioniero” e la scena che mi si parò dinnanzi mi fece dipingere un sorriso sornione sul viso: Kenway era legato come un salame alla panca ed era praticamente nudo, solo un paio di boxer a coprire il suo gioiellino. Nonostante preferissi il gentil sesso, il suo corpo atletico: le spalle larghe, gli addominali scolpiti potevano essere un chiaro esempio di rude possanza. Tanta perfezione era in sincronia con la mascella volitiva e gli zigomi alti. Era riuscito ad aprire il occhi, il peggio era passato. Quando mi scorse, il suo volto si trasformò in una maschera di rabbia.
    “Maledetta ragazzina! Ma cosa cazzo ti è saltato in mente? Hai superato ogni limite!” Era livido e io mi godetti ancora di più la sua collera. Era ovvio che non avrebbe mai accettato di essere stato messo ko da una ragazzetta alta trenta centimetri meno di lui e sottile come un giunco. Non gli era di consolazione che ci fossi riuscita grazie a metodi decisamente poco ortodossi e per nulla leali.
    “Non mi avresti mai permesso di parlare con te a tu per tu, non con quello che ho da dirti. Scusa se ti ho giocato questo brutto tiro, ma non avevo altra scelta” Finsi rammarico.
    “È così che agiscono i Grigi? Attaccano alle spalle come degli schifosi vigliacchi?” Adesso ci stava andando giù pesante ed io iniziavo a innervosirmi.
    “Senti, bel fusto! Non ti sentire offeso nel tuo ego, so benissimo che brucia, ma accetta la sconfitta e stammi a sentire. Ho un messaggio da darti da parte dei miei: fatela finita. Abbiamo un piano da portare avanti e voi, anche solo con la vostra presenza, rischiate di mandare tutto in malora. Mantenete un profilo più che basso, altrimenti ci costringerete sul serio a giocare sporco, e quello che avete visto fino ad ora, saranno solo bazzecole. Sappiamo perfettamente che fuori da questa fogna, ognuno di voi ha delle persone care, che sperano di riabbracciarvi. Ne conosciamo i nomi e abbiamo i mezzi e le intenzioni per spifferare tutto ai Devianti. Quindi occhio a ciò che fate. La vuoi riabbracciare o no la tua Nike?” Forse avrei fatto meglio a non pronunciare l’ultima frase, perché fu l’equivalente della cryptonite rossa per Superman. Era vero, la panca era serrata al suolo, ma non avevo previsto che con la sua forza, Edward avrebbe potuto spezzare la catenella che collegava i braccialetti delle manette. Lo fece in un battibaleno e mi fu addosso. Feci appena in tempo a rendermi conto di quanto accadeva che mi ritrovai bloccata con la schiena alla parete e il suo braccio sotto il mento.
    “Non osare parlare di lei, né tanto meno minacciarci. Ma che diavolo avete in testa? Non vogliamo fare del male a nessuno e vogliamo uscire da questa fogna tanto quanto voi!” Era furioso e respirava rantolando. Non faceva molta pressione sulla mia trachea, ma quanto bastava per immobilizzarmi. Ero consapevole che se anche solo uno dei suoi pugni mi avesse centrato, sarei finita all’altro mondo. Non voleva farmi del male.
    All’improvviso udii delle voci scalpitanti e dei passi pesanti fuori dalla porta. Non era chiusa a chiave. Non avrei mai potuto bloccare l’unica via di fuga. Edward si distrasse quel tanto da allentare la morsa sulla mia gola. Io ne approfittai al volo e sgusciai via, passando al di sotto del suo braccio.
    Non mi fidavo di lui, nonostante quanto avesse detto o fatto. Non mi fidavo di nessuno di loro. Feci un balzo sfruttando la panca come appoggio e salii di nuovo sul cornicione di cartongesso. L’uscio si spalancò e due detenuti entrarono, erano madidi di sudore. Avevano di certo bisogno di una bella doccia.
    Prima di varcare la soglia e andare via, mi voltai a guardare negli occhi Kenway. Si era spostato da dove era prima ed entrava perfettamente nel mio campo visivo. Era lì, alto e fiero, senza vergogna e mi rimirava con un sguardo di fuoco, ma velato da un evidente lampo di tristezza. Avevo forse esagerato nel nominare direttamente la sua bella che lo attendeva fuori?
    Non mi soffermai ad analizzare la sua espressione. Corsi via, conscia di aver portato a termine la mia missione, anche se non totalmente soddisfatta del reale risultato.
     
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    Osservare gli Assassini Grigi era come osservarsi in uno specchio e pensare che se solo l'avessi incontrati moltissimi anni orsono forse mi sarei unito a loro. Era questo che più mi faceva credere e pensare, nonostante alcuni miei compagni la pensassero diversamente, che non fossero irrecuperabili.
    Molto semplicemente avevano subito delle delusioni, il Credo e la Confraternita dovevano essere venuti meno con loro e questo aveva fatto perdere loro la strada. Convinto di questo avevo deciso di avvicinarmi a loro o per lo meno ad uno di loro, a chi mi sembrava più "malleabile".
    Yelena se ne stava seduta per conto suo, aveva appena salutato la compagna da cui non si divideva mai, Lin mi pare si chiamasse, ed ora con un libro in mano e la treccia bionda su una spalla si era messa a leggere.
    Mi sedetti di fronte a lei con fare casuale, lasciando che fosse lei ad accorgersi della mia presenza.
    "Mi spiace, non mi interessa" esclamò quella senza nemmeno abbassare il libro, mentre io sorridendo appena tra me e me, voltai il capo verso il resto dei detenuti. Le mani incrociate sopra il tavolo di legno.
    "Sono stato deluso anche io... Usato e perfino emarginato... se ripenso ai miei inizii come Assassino credo che non avessi molte ragoni per andare avanti..." raccontai come se non lo stessi facendo a lei, ma semplicemente parlassi tra me e me.
    Solo allora decise, quanto meno, di abbassare il libro e mettendolo da parte si mise nella mia stessa posizione. Copiandomi. Sfidandomi con lo sguardo.
    "Fammi indovinare hai pensato: "guardarla. Sembra la più docile e malleabile del gruppo, proviamo a raccontarle la mia struggente storia e vediamo se riesco a convertila". Ho indovinato?" mi chiese beffarda eppure senza tradire il suo atteggiamento sempre posato.
    "Ho pensato solamente che fossi quella più disposta ad ascoltare. Reagire di fronte ad una delusione è normale. Logico. Dovuto. Ma non è creandovi le vostre leggi e regole che portate avanti il Credo, non quando trasformare i vostri stessi confratelli in nemici!" risposi altrettantamente fermo e deciso.
    Sembrò quasi essere stata colpita sul viso. Raddrizzò la schiena e si guardò intorno. Non capivo se perchè era infastidita dalle mie parole o perchè l'avevo colta in fallo.
    "Credi che è quello che stiamo facendo? Voi ci avete messo contro gli altri prigionieri. Guardarli..." mi disse indicando con il capo le persone che ci circondavano "La maggior parte sono persone che non hanno la minima idea di perchè sono qui, che non conoscono il loro retaggio e che a ben vedere lo odiano perchè lo vedono come la causa di tutti i loro mali. Credi davvero che quello che voi state facendo li aiuti? Credete che dire loro che sono degli eroi, che sopravviveranno e che avranno i mezzi per cambiare le cose serva davvero? Li state illudendo. Li state rendendo carne da macello. Non usciremo tutti vivi da qui e lo sapete. Noi siamo solo realisti, noi stiamo cercando di dare una direzione loro senza però vendergli favole o leggende... VOI siete immortali, VOI siete gli eletti che hanno "l'acqua magica" per guarire o mantenervi giovani, ma la maggior parte di noi no. Ha solo una chance. Un'occasione e non permetteremo che voi la mandiate al diavolo!"
    Mantenni la posizione e lo sguardo fisso su di lei, seppur dovevo ammettere che le sue parole mi avevano colpito. Avevo bisogno di spiegare. Avevo bisogno di far comprendere loro la nostra vera visione che non era minimamente quella distorta che lei e i suoi compagni avevano.
    Fu così che in un gesto fulmineo gli strinsi il polso con le mano per impedirle di andarsene. Non ero sciocco, sapevo che se lo avessi fatto per troppo tempo le guardie sarebbero intervenute, ma dovevo rischiare.
    "E' questo ciò che davvero pensate? Che la nostra lunga vita sia un gioco? Sia un divertimento? Sia un dono?" le chiesi con la mascella serrata. Pensava davvero che avere così tante responsabilità sulle spalle e vivere a lungo per prendersene cura fosse ciò che volevamo? No. L'avevamo scelto per permettere a lei e a tutti gli altri assassini di non doverlo fare.
    Ma lei mi toccò la mano con l'altra sua libera, non sapevo cosa mi aveva fatto, ma improvvisamente mi sentì così debole da cedere con il viso sul tavolo di legno. Ero debole. Confuso. La vista era appannata e la testa mi girava.
    "Per gentile concessione di Morrigan, ma non temere il veleno non è mortale... ti terrà in questo stato per circa un'ora... è un messaggio... continuate a metterci i bastoni tra le ruote e la prossima volta non saremo così gentili..." mi bisbigliò all'orecchio prima che con un sorriso recuperasse il proprio libro e si allontanasse...
    La sua figura mi appariva sempre più sfuocata, sempre più lontana ed io capì che sarebbe stato più difficile del previsto, che forse alcuni di noi avevano ragione. Non c'era salvezza per loro.
     
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    Annarita
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    :Arno:
    Ognuno di noi aveva reagito in maniera diversa alla reclusione forzata.
    C’era chi cercava di mantenere un equilibrio come Ezio, Altaïr, Connor e Bayek. Il primo continuava a conservare il piglio da mentore che in passato mi aveva convinto a non lasciarmi totalmente andare nell’oblio. Sapevo che anche in lui albergavano talmente tanti dubbi da riempirci un baule intero, ma nonostante ciò non si lasciava intimorire, manteneva la testa alta e il Credo saldo. Il secondo e il terzo si contraddistinguevano per la loro malinconica saggezza: erano convinti che c’era ancora speranza in quel buco di prigione, che non tutto era perduto; anche se ero certo che la permanenza in infermeria avrebbe di certo inciso sull’opinione di Altaïr. Il quarto… riusciva a mantenere la sua attitudine serafica e conciliante persino quando veniva preso a manganellate da un secondino della peggiore specie perché a sua detta lo stava “fissando troppo”. Mi dibattevo tra l’invidia verso la sua compostezza e la voglia di prenderlo per le spalle e scuoterlo malamente per farlo reagire! Con ogni probabilità le sue origini e i suoi studi lo aiutavano non poco ad affrontare questo delirio. I quattro mentori erano seguiti a ruota da Federico Auditore, che riponeva la sua più totale fiducia nel fratello.
    Poi, c’era chi, come Jacob Frye, aveva deciso che non si sarebbe – testuali parole – “lasciato infinocchiare da quattro mura imbiancate, qualche telecamera e un manipolo di guardie che giocavano al Grande Fratello”. Peccato che “le quattro mura imbiancate” in realtà erano una fortezza inespugnabile, “qualche telecamera” un complesso sistema di videosorveglianza e il “manipolo di guardie” un vero esercito armato e addestrato a dovere! Ma a lui non importava, viveva come se fosse ancora nel suo quartiere di Londra, circondato da fedelissimi che lo seguivano e gli ubbidivano come un’ombra. A nulla erano valsi gli ammonimenti e i rimproveri di sua sorella Evie, la quale dopo qualche settimana aveva ceduto le armi.
    Edward Kenway, in un primo momento, aveva deciso per la neutralità – per lui era di fondamentale importanza restare fuori dai radar, era l’unico modo per poter capire quanto ci circondava ed escogitare un buon piano di fuga! – ma da quando aveva subito l’attacco da parte dei Grigi si comportava come un’animale in gabbia. La minaccia alla sua metà lo aveva fatto andare in corto circuito e solo una buona dose di pazienza di Ezio era riuscita a farlo calmare.
    E poi… e poi c’ero io. Non sapevo definirmi. Vivevo in uno stato pressoché catatonico. Partecipavo alle riunioni solo con il corpo, non ero mai stato un chiacchierone… non da quando la mia intera esistenza era crollata centinaia di anni prima, ma questa prigione si era presa anche le poche parole rimaste, la voglia di mangiare, ogni briciola di riposo… tutto ciò che mi era rimasto.
    Passai una mano tra i capelli adesso corti. Erano cresciuti da quando, al nostro ingresso, ci avevano rasati quasi a zero. Le dita tremavano ma non sapevo per quale ragione. Era la mia mente che stava cedendo assieme alla mia forza di volontà? Dov’era finita la mia voglia di combattere? L’avevo cercata dappertutto, avevo scavato dentro di me sfruttando al massimo ogni minuto delle infinite notti passate a fissare il soffitto perfettamente bianco. Ciò nonostante non avevo trovato nulla… il vuoto più totale, e questo mi terrorizzava più di ogni altra cosa.
    E con la stessa apatia nello sguardo, ascoltavo l’ennesima riunione improvvisata attorno al tavolo della mensa. I mentori presenti avevano appena ricevuto una “visita ufficiale”. A quanto pare Liam O’Brien, il leader dei Grigi, li aveva convocati di persona minacciandoli non troppo velatamente anche con le parole. Come se il tentativo di Emir, gli attacchi di Lin e Yelena, fossero stati solo degli scherzi di poca portata. Adesso era il grande capo a parlare!
    “Non possiamo cedere alle minacce, non stiamo facendo nulla di male!” Ezio era molto irritato e le nocche bianche ne erano la prova più evidente, perché la sua voce si manteneva sempre pacata.
    “Non ci ha dato neppure modo di spiegare il nostro punto di vista!” ribatté Connor, sconsolato.
    “Non è possibile spiegarsi con chi ha le orecchie sigillate e questo O’Brien è talmente preso dal suo Credo e dalla sua missione da non vedere e sentire nulla al di fuori di esso.” Bayek era stato categorico nonostante la sua espressione mite.
    L’assenza di Altaïr pesava quanto un macigno, tutti e tre presero a fissare il suo solito posto, adesso vuoto. Sbuffai spazientito e i loro sguardi si posarono sul sottoscritto, in attesa di capire il perché della mia reazione. In realtà neppure io sapevo cosa mi aveva animato in quel momento, ma mi sentivo preda di un senso di insofferenza che mi faceva paura. Molta paura.
    “Dobbiamo solo pensare a uscire da qui! Trovare un modo per lasciarci dietro questo inferno… I Grigi, i neri o i bianchi… che facciano ciò che gli pare!” Ok, il mio non era stato esattamente un parere illuminato, ma davvero non ero in grado di entrare in queste diatribe: avevo come la sensazione di star vivendo tutto ciò come se fosse un film. Sulla pelle percepivo solo il mio dolore… e questo no, non era affatto un bene. Respirai a fondo e cercai di calmarmi prima di scusarmi con gli altri, ma qualcosa interruppe le mie intenzioni. O meglio, qualcuno.
    La scena a cui assistemmo un attimo dopo mi ferì più di quanto osassi ammettere. Forse il mio cuore non si era intorpidito del tutto.
    Liam aveva avvicinato un giovane Assassino, poteva avere appena diciott’anni, lo strinse in un punto cieco delle telecamere e lo rese il bersaglio perfetto per una gragnola di pugni davvero violenti, tanto che il suo viso si trasformò ben presto in una maschera di sangue.
    Connor si era alzato per intervenire, ma Ezio e Bayek quasi in contemporanea lo bloccarono dalle braccia. L’espressione dei mentori era chiara come acqua di fonte: non potevano creare un precedente, non potevano cedere alla minaccia, oppure avrebbero perso ogni credibilità. Chiunque con un po’ di sale in zucca l’avrebbe capito… ma io dubitavo che questo gesto avrebbe riscosso molte simpatie. Al contrario, ero quasi certo che i Grigi sarebbero riusciti a metterci in cattiva luce. Ma, sant’iddio, perché non provavo nulla a riguardo? Perché non percepivo il sangue ribollire nelle vene? Perché non bramavo quel senso giustizia che mi aveva animato fin dalla mia più giovane età?
    Il pestaggio fu breve ma devastante, il leader dei Grigi non poteva rischiare che le telecamere lo inquadrassero e i punti ciechi non erano eterni. Una volta terminato il “lavoro” si voltò nella nostra direzione: non c’era piacere o soddisfazione nei suoi occhi chiari. Vi era solo un terribile monito: “non mettetevi sulla nostra strada oppure soccomberete”. E non faticavo a credere che avrebbero avuto la meglio usando degli innocenti come mezzi plastici per la loro vittoria.
    Il mio volto rimase impassibile, ma un sussulto interiore mi scosse nel vedere Bayek avvicinarsi al ragazzo tramortito e sanguinante. Gli sussurrò alcune parole a uno orecchio, mentre gli accarezzava il capo rasato e l’altro iniziò a piangere a lacrime rotte. Lo abbracciò come se fosse un pargolo da consolare e… forse… la realtà non era poi così diversa.
    Non c’era salvezza da posti come questo. Non c’era redenzione. Solo infinita sofferenza.
     
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    :Edward:
    Mi ero scorticato per bene i polsi e le mani per liberarmi dei bracciali delle manette che quella fottuta pazza mi aveva messo, imprecando con rabbia ogni secondo. Il fatto che mi avesse preso alla sprovvista dimostrava quanto fosse in gamba e preparata, e contrariamente a quanto credeva, essere messo fuori combattimento in maniera così veloce da un essere minuto come lei non mi aveva riempito di umiliazione, ma di ammirazione verso di lei. Cazzo, se sapeva sfruttare i suoi punti di forza! Avrei dovuto ricordarmelo per la prossima volta.
    Se fosse stato solo questo, se si fosse trattato di un'ennesima provocazione da quel gruppo di bastardi, sarei forse stato disposto a continuare con la mia linea, con la ricerca di una via d'uscita da questo schifo, appoggiando le vedute dei nostri mentori, che predicavano la prudenza e il necessario tentativo di trovare una mediazione.
    Ma era stata l'ultima parte del discorso di quella stronzetta ciò che mi aveva fatto propendere per una linea di azione ben diversa. ”Sappiamo perfettamente che fuori da questa fogna, ognuno di voi ha delle persone care, che sperano di riabbracciarvi. Ne conosciamo i nomi e abbiamo i mezzi e le intenzioni per spifferare tutto ai Devianti. Quindi occhio a ciò che fate. La vuoi riabbracciare o no la tua Nike?”
    Le ero saltato addosso, non sapevo neanche io dove avevo trovato la forza di spezzare la catena delle manette. Le avevo ringhiato ad un palmo dalla faccia che doveva badare a quello che le usciva dalla bocca, ma poi era riuscita a sfuggirmi, perché erano arrivati altri prigionieri come noi che non dovevano vedere la scena.
    Perché non le avevo spezzato il collo? Perché era una ragazzina, santo dio. Micidiale quanto si vuole, minacciosa come non avrebbe dovuto essere, ma era una ragazzina. E io, pur con tutto la rabbia che era riuscita a tirarmi fuori, non l'avrei mai toccata.
    Inoltre, non era neanche lei a capo di tutto. Farle del male, metterla fuori dal gioco, non sarebbe servito a nulla. Ezio aveva spedito in isolamento uno di loro, ma non avevano abbassato di un centimetro la cresta.
    Parlare con loro serviva come parlare ad un muro. Le notizie che appresi quando, finalmente libero, recuperai i vestiti e uscii dallo spogliatoio confermarono le mie convinzioni. Altair era finito in infermeria per motivi ancora non chiariti, ma c'era chi giurava di averlo visto parlare con una delle biondine del gruppo, e davanti a Bayek, Ezio e Connor il loro leader aveva pestato a sangue un ragazzo che non aveva altra colpa di essere passato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
    Era abbastanza, no?
    Avevo preso una decisione, e alla malora le conseguenze, quali potevano essere per noi.
    Quei maledetti avevano messo sul piatto di gioco qualcosa che non ero disposto a giocarmi: la sicurezza di chi amavo. L'unica consolazione in questa prigionia era che Nike era al sicuro, che non doveva subire questo. Mi mancava, avrei voluto che fosse con me, ma non qui, come se fossimo degli animali in un allevamento.
    E invece cosa era venuto fuori? Che questi Grigi conoscevano dei nostri rapporti, e minacciavano di usare le informazioni contro di noi, passandole all'Abstergo. Mi chiesi se davvero fossero prigionieri, se non fosse tutto un doppio gioco dei devianti.
    Volevo scoprirlo? No, non ero il tipo per queste sottigliezze. Alla violenza fisica avevo sempre preferito rispondere con le stesse contromisure. Ma non da solo.
    Avevo in mente un piano, e un complice perfetto che non aspettava altro che una scusa per agire; lo sapevo perché ci conoscevamo come le nostre tasche. Già me lo immaginavo ghignare pregustando il piacere di spaccare qualche osso e di far schizzare un po' di sangue, anche se fossero stati i suoi.
    ”Allora siamo d'accordo, i mentori non dovranno sapere niente, e ti aspetto all'inizio dell'ora d'aria dal cortile principale” Ora d'aria... sbuffai incazzato... aria di plastica, niente qui era vero, neanche le piante!
    ”Fai conto che sia già lì, bro!” Jacob Frye mi promise che nel frattempo avrebbe raccolto anche i suoi, e si allontanò molto elettrizzato.
    Rimuginai per il tempo rimanente, provando a trovare una giustificazione per evitare quello che mi ero messo in testa, ma non ne trovavo. Se né Altair, né gli altri erano riusciti a trovare uno spiraglio per poter ragionare con questi ragazzi, se il nostro comportamento più che corretto e bendisposto non era bastato a fargli capire che non volevamo essere noi i padroni dell'intera gattabuia, allora non esistevano alternative diverse da quella di fargli entrare un po' di sale in zucca per la via più diretta.
    E così facemmo, io e Jacob, con i suoi soci. Entrammo in azione quando i componenti principali dei Grigi si erano riuniti, come al solito, in un angolo appartato della zona dove ci erano state messe a disposizione tavoli e sedie, su gentile concessione dell'Abstergo.
    Ci dirigemmo verso di loro a passo di carica. Una guardia provò ad ostacolarci, così gli assestai un colpo di taglio della mano sulla trachea, senza neanche rallentare.
    Io ero alla testa della delegazione diplomatica, con Jacob alla mia destra, dato che sentivo di avere con loro un conto aperto per aver pensato di potermi intimidire con dei ricatti. Non mi importava altro.
    Eravamo a pochi passi dal gruppetto quando una delle ragazze si accorse di noi e delle nostre intenzioni amichevoli. Toccò il braccio al loro capo, Liam O'Brien, per avvertirlo, ma appena quello si girò verso di me gli centrai la faccia con un pugno. Non sentii neanche che i suoi denti mi aprivano ferite sulle nocche. Il sangue gli uscì copiosamente dal naso.
    ”Come ci si sente ad essere preso per un pungiball,eh?”
    Mi mossi velocemente, prima che si riprendesse dallo shock e che le altre potessero avvicinarsi, anche se a quel punto Jacob era già entrato in azione a sua volta. Lo presi per la camicia della divisa, lo tirai su dalla sedia e lo colpii di nuovo nello stesso punto, quasi sadicamente, ma avevo anche io un messaggio per lui, e volevo che fosse memorabile:
    ”Non ti azzardare mai più a minacciarci, testa di cazzo!”


    Edited by Illiana - 20/2/2020, 20:55
     
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    :Jacob:
    Molti credono che le parole “rissa” e “organizzazione” messe vicine siano un ossimoro. Evidentemente non hanno mai conosciuto tipi come me, che della rissa hanno fatto una vera e propria arte, interiorizzandola come se fosse un mantra fondamentale per la vita. Certo, non dimenticavo mai il mio Credo, quello per cui avevo buttato sangue e sudore, lo stesso che avevo impresso in maniera più o meno visibile nel folto intrico di tatuaggi che ricopriva la parte superiore del mio torace e delle mie braccia. Ero un Assassino, lo ero da tempi immemori, e continuavo a portare alto quell’onore ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. E proprio per questa ragione non avevo potuto tirarmi indietro al richiamo di Edward. Dovevamo difendere l’onore degli Assassini e questo prevedeva l’intervento di un esperto in campo di… risse appunto!
    Da quando ero stato rinchiuso in questo buco schifoso – ok, non era proprio un buco visto che la nostra prigione pareva vantare centinaia di metri quadrati all’attivo! – avevo tentato di non perdere me stesso e l’unico modo per riuscire in questa impresa era restare me stesso. Oh diavolo, che gioco di parole assurdo, ma il concetto resta. Solo Jacob poteva impedire a Jacob di finire nel limbo… com’era accaduto ad Arno. Avevo visto uno dei miei migliori compagni di bevute perdersi in rivoli imprevisti fatti di isolamento, immobilità e apatia. Non che bevesse, si divertisse, si lasciasse andare più come un tempo… Mi aveva raccontato cosa lo aveva “fatto crescere” ed ero convinto che ormai fosse tutto passato, invece? Queste mura di cemento lo stavano facendo crollare di nuovo e questa volta non avevo idea di cosa lo avrebbe aiutato a risalire la china: noi fratelli non ci eravamo ancora riusciti. Avevo quindi deciso di non coinvolgere anche lui nel piano bellicoso organizzato con Edward e i miei fidati compagni… dovevamo essere veloci, diretti ma soprattutto efficaci!
    I Rooks – così avevo soprannominato gli scagnozzi che mi stavano alle calcagna: giovani Assassini, abili pestatori dal carattere giusto un po’ irascibile! – avevano circondato i Grigi, tenendoli occupati mentre Edward si dirigeva a passo pesante verso il loro leader: Liam O’Brien, la mente di tutte le minacce che avevamo subito negli ultimi giorni; una serie infinita e oltremodo oltraggiosa, ma noi non eravamo abituati a subire senza replicare. Il pugno di Ed spaccò il setto nasale di Liam e quello fu il segnale per l’apertura delle danze… se tale poteva definirsi la bolgia infernale che scoppiò da quel preciso istante in poi.
    Provate a immaginare due schieramenti composti da guerrieri pesantemente addestrati, armati però solo di mani e piedi, mettiamoci poi anche gomiti, ginocchi e teste dure quanto il granito… il risultato? Nasi infranti, articolazioni dislocate, lussazioni varie, occhi gonfi come angurie… ma sì dai non ci stavamo andando giù poi così pesante.
    Io avevo ingaggiato un combattimento con una piccoletta che di piccolo aveva solo la statura. Lin credevo si chiamasse ed Edward aveva già “saggiato” le sue abilità da pseudo-ninja. Dal mio canto, però, non amavo il combattimento sottile, questo immagino sia per voi ormai un concetto più che assodato. Perciò, cogliendola del tutto di sorpresa l’avevo caricata col mio peso e scaraventata come un birillo verso una serie di tavoli e sedie. Lei, con lo stupore nello sguardo, si era rimessa in piedi quasi subito anche se barcollante. Ero certo che, un po’ tutti in questo dannato posto si sentissero a disagio di fronte a quel frugoletto alto appena un metro e sessanta, temendo di farle del male… ma io non avevo di questi problemi o riguardi: Edward mi aveva messo ben in guardia. E poi, diciamocela tutta, non avevo proprio la nomea di gentiluomo.
    “Ti consiglio di darci dentro ragazzina, perché io non ci andrò giù molto leggero!” La sfidai con sguardo bellicoso anche se la mia voce tradiva una nota di divertimento non proprio imprevista.
    Ma cosa diavolo potevo farci se amavo menar le mani? E se facendo questo potevo dare anche un messaggio preciso ai Grigi non mi sarei affatto tirato indietro.
    Gli Assassini “veri” non si minacciano, non si toccano, non si intimoriscono.
    Gli Assassini “veri” fanno sentire la propria voce con le buone e, in caso di bisogno, passano alle cattive. In questo secondo caso, mi pare ovvio quale sarà il mio posto: assoluta prima fila!
     
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