Haytham & Cerere Origins

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    Nascere venusiano era di per sè una responsabilità enorme. C'erano presupposti di bellezza, capacità nelle arti ed erotismo molto alti così che nascere donna voleva dire maggiormente avere tutti gli occhi addosso e soprattutto delle aspettative molto alte da parte degli altri. Io nello specifico mi ero sentita sempre costretta a dover soddisfare quelle dei miei genitori che riponevano in me tutte i loro sogni e desideri.
    Vesta era più piccoli di me di pochi anni ed il suo essere, in modo palese, marziana d'aspetto l'avevo sempre penalizzata. Nostro padre aveva ingoiato il rospo facendo come se il tradimento di nostra madre non fosse mai esistito, ma in egual misura facendo lo stesso con Vesta. Nostra madre non la trattava diversamente convinta che così facendo avrebbe cancellato il suo peccato. Io dunque mi ero sempre sentita in dovere di proteggerla, di prendermi cura di lei e soprattutto di non farle mai mancare il mio appoggio ed il mio amore. Attaccavo briga con chiunque osasse guardarla anche due volte o chi mi sembrava potesse parlare dietro.
    Odiavo l'aria che si respirava a casa e così quando io e Vesta fummo abbastanza grandi ce ne andammo cogliendo l'occasione della Contessa Aphrodite che cercava nuove ancelle per la sua corte. Entrammo come tali, ma la nostra lealtà e devozione ci fecero presto notare e così il mio pragmatismo e la creatività di Vesta furono le doti di cui la contessa non volle più fare a meno. Fu grazie a lei che con il tempo sviluppammo meglio le nostre capacità fin quando tutte le nostre azioni vennero ricompensate dagli Dei. Fu magico ed indescrivibile l'emozione quando ci scoprimmo Guerriere. Accogliemmo il Crystal Seed con commozione e prendemmo sotto la nostra ala protettrice gli asteroidi, abitati da piccoli villaggi, che ce li avevano donati.
    Da allora divennero protettorati di Venere e crebbero e prosperarono.
    Ciò che per tutto quel tempo non mi abbandonò mai fu il mio aspetto. Tutti i venusiani erano oggettivamente belli, perfetti ed incantevoli, ma ad esempio era riconosciuto da tutti che Aphrodite avesse qualcosa in più che la rendeva "perfetta". Quel non so che viveva anche in me così che la prima cosa che tutti vedevano era quello, il bello che mi contraddistingueva. Ed io amavo ricevere complimenti, amavo essere venerata, amavo essere invidiata... ero egocentrica ed il centro dell'attenzione lo bramavo, ma desideravo anche altro. Le stesse attenzioni per il mio acume, il mio senso pratico e le mie capacità.
    Avevo detto di no a molti pretendenti fin quando avevo ceduto ad Adone con il quale portavo avanti una relazione lunga e stabile. Severa e maestoso, ma allo stesso tempo bella e affabile, il mio unico desidero era con lui creare un legame stabile. Prosperare insieme e creare una famiglia con molti figli, magari che portassero i nomi dei fiori che tanto amavo e con i quali avevo un rapporto particolare.
    "Mi stai chiedendo tanto lo sai?"
    Adone non smetteva di lamentarsi da quando eravamo saliti sul mezzo che ci avrebbe portato sulla Luna. Da quando ero Guerriera non era raro che mi ci dovessi dirigere per questioni di forza maggiore, e così lui mi seguiva. Sempre. Fiero ed orgoglioso del mio ruolo. Andava in giro a farsi ammirare e sventolarmi come trofeo, sottolineando di coe la fiera Guerriera di Cerere fosse la sua fidanzata.
    “E' la prima missione che mi affidano in solitaria, vuoi davvero che rinunci?” chiesi irritata e severa come il mio solito.
    "Non sto dicendo questo, ma se vorremo creare una famiglia... insomma non puoi andartene di qua o di là..."
    Lo osservai scuotendo il capo mentre tutti i miei capelli rosa e perfettamente composti si muovevano in leggere onde.
    "Non credo che questo cambierà qualcosa! Sai che sarò una moglie devota, che dedicherà anima e corpo a te ed ai nostri figli, ma lo farò senza rinunciare a ciò per cui duramente ho lottato. So che questo sembra cozzare con i principi delle venusiane che abbandonano tutto una volta sposate, ma... per me questo è importante e vorrei che tu mi appoggiassi "
    Adone alzò le mani in segno di resa e guardandomi sbuffò sonoramente con il suo solito fare vanitoso.
    "Ok ok l'aria si sta facendo pesante e i discorsi fin troppo seri, vado sul ponte a sgranchirmi le gambe... ci ritroviamo quando attracchiamo..."
    Lo guardai allontanarsi annoiata prima di decidere di fare lo stesso. Ero appena uscita dallo scompartimento, con ancora il capo basso persa nei miei pensieri quando senza rendermene conto mi scontrai con qualcuno verso il quale porsi le mie scuse sbrigative. Tuttavia quando alzai il volto non potei non essere sorpresa. Da quanto sapevo quel mezzo era riservato agli spostamenti di servizio e dunque personaggi di alto rango non lo prendevano.
    Avvolto in un elegante mantello templare lo riconobbi immediatamente come il Grande Maestro Kenway. Lo ammiravo da sempre. Conoscevo tutte le sue gesta al punto che Vesta e le altre erano solite prendermi in giro.
    “Ehm ... Vi prego di scusarmi...” ripetei più convinta e piegandomi in un rispettoso inchino.
    "Sono io che Vi devo delle scuse ero perso nei miei pensieri e non Vi ho visto" mi disse con tono freddo e pacato che non nascondeva la sua galanteria.
    Il Templare mi sorrise in modo pacato e gentile, mentre io mi imbarazzai senza motivo. Il silenzio divenne palpabile, mentre la nave puntava dritta verso la Luna sempre più prossima alla sua destinazione.
    "Perdonate la mia sfrontatezza, ma cosa ci fate qui? Pensavo Voi vi spostate con la vostra navicella personale..."
    "Sapevo del vostro carattere pungente, ma devo anche constatare che siete sfrontata"
    "Cosa posso dire, non riesco a trattenere ciò che penso"
    Notai che il suo sguardo scuro fisso nel mio si spostò di poco quando, notando una figura alle mie spalle in lontananza, si trovò a farmi un cenno con il capello che indossava a mo di saluto prima di allontanarsi.
    Lo stavo ancora fissando quando lo vidi incrociarsi con Iuventas che osservando prima l'uomo e poi il mio sguardo sognante non perse occasione per schernirmi.
    "Hai proprio un debole per i perdenti…" mi prese in giro come il suo solito. Sapevo quanto poco tollerasse Adone e quanto si era messa, stupidamente, in mente che io "morissi" per il mio idolo Haytham Kenway, quando la mia era solo ammirazione.
    "Che ne dici di andare a scoccare le tue freccette d'amore lontano da me?" risposi infastidita con le braccia incrociate al petto ed un sopracciglio alzato.
    Iuventas alzò le mani in un finto segno di resa e poi ridendo scontrò il pugno contro quello di Vesta che, appena arrivata, mi aveva affiancato e dava manforte a quella screanzata per prendermi in giro.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/4/2020, 10:26
     
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    L’acqua era fredda, come sempre. La osservai gocciolare lungo gli zigomi scolpiti, circondare la mascella volitiva fino traballare in bilico sul mento coperto da un leggero strato di barba, prima di precipitare nel lavandino di marmo pregiato. Chiusi il rubinetto di oro bianco finemente lavorato e continuai a fissarmi sulla superficie riflettente. Le iridi color del ghiaccio non tradivano alcuna emozione, l’espressione del viso era imperturbabile, la linea della bocca dritta e severa. Il torace nudo era ricoperto da innumerevoli cicatrici, di alcune non ricordavo neppure l’origine. Erano trascorsi davvero molti anni dalla mia nascita e mai come in questo momento li sentivo tutti addosso. Fissai nuovamente i miei occhi, in cerca di qualcosa… qualsiasi cosa che tradisse un’emozione.
    Poi distolsi lo sguardo, era stupido e inutile cercare ciò che non esisteva.
    Mi asciugai con un telo di spugna che profumava oltre misura e il lusso che mi circondava iniziò a diventare soffocante. Lo gettai via con mal grazia e mi concentrai sulla camicia chiara perfettamente inamidata – uguale a molte altre – preparata con cura dalla donna di servizio che si occupava di me. Non conoscevo il suo nome, non l’avevo mai neppure vista, ma sapevo della sua esistenza, perché ogni mattina trovavo le asciugamani e i vestiti puliti pronti per essere usati… anche qui. Sì, perché questo altro non era che un bagno annesso al mio ufficio/sala studio. Qui vi passavo la maggior parte del mio tempo quando non ero fuori in missione, nonostante mi fosse stato assegnato un appartamento che avrebbe potuto fare invidia a una suite imperiale. Ma se già mal sopportavo lo sfarzo di questi ambienti, non osavo immaginare come mi sarei sentito tra sete, cristalli e stoviglie preziosi. Intendiamoci, ero grato agli Imperatori per questa posizione molto più che agiata, nonostante tutto non potevo impedirmi di rabbrividire di fronte a tutto ciò. Non era il mio mondo e non lo sarebbe mai stato.
    Avevo appena terminato di rinfrescarmi dopo l’ennesima notte passata “fuori casa”, la scusa del lavoro era la migliore per non dover giustificare questa mia reticenza agli occhi di estranei e in realtà non era solo una scusa. In quell’ultimo periodo ero sommerso da tante di quelle scartoffie e molta poca azione che cominciavo davvero a diventare insofferente e facilmente irritabile. Mi versai del caffè nero e bollente da una caraffa d’argento, ma iniziai a sorseggiarlo solo quando mi ritrovai seduto alla grande scrivania di mogano.
    Sospirai profondamente. Avevo un disperato bisogno di staccare, di uscire da queste quattro mura, di tornare operativo, altrimenti sarei per certo impazzito!
    Pochi minuti dopo, quasi come se le mie preghiere fossero state ascoltate, udii un frenetico bussare alla porta. Alzai di scatto il capo, mentre un brutto presentimento mi pervadeva.
    ”Avanti!” urlai per farmi sentire al di là del legno spesso.
    Un Thiago Marquez impettito, ma con un vistoso velo di sudore sulla fronte, fece il suo ingresso. Gli feci cenno di avvicinarsi e lui dopo un breve cenno di assenso obbedì. Col capo chino e con tono riverente iniziò a parlare.
    “Gran Maestro, non porto buone notizie! La missione organizzata circa una settimana fa, in un quadrante desertico del pianeta Venere, è andata in fumo. I miei uomini sono stati trucidati in un’imboscata, mentre la Guerriera che li affiancava come guida è stata fatta prigioniera per scopi ignoti.” Il mio iniziale entusiasmo per una prossima missione da compiere si smorzò nell’ascoltare le sue ultime parole.
    “Spiegati meglio, Marquez, non farmi fare domande inutili!” Lo vidi barcollare per un attimo, quasi come se le mie frasi – pronunciate con la mia solita voce glaciale – lo avessero schiaffeggiato.
    “Sì, Maestro. Abbiamo organizzato una spedizione per sgominare una banda di trafficanti di armi che rifornivano alcuni mercenari della peggiore risma. Una volta sul pianeta, siamo stati affidati alla Guerriera Cerere per guidarci in quella zona, in quanto risultava essere già dalle mappe molto insidiosa per la presenza di grotte e bunker naturali. Una volta arrivati là, però, è stata una carneficina. Non sappiamo come abbiano saputo del loro arrivo, ma grazie alla particolare morfologia del quadrante, per i miei uomini non c’è stato scampo. Mercenari e trafficanti li hanno portati in una trappola mortale. Poi, per motivi sconosciuti, ritengo per avere in cambio del denaro, hanno neutralizzato la Guerriera con un potente inibitore e l’hanno portata via. Il rapporto mi è stato fatto da un superstite che è morto poco dopo per le ferite riportate.” Ascoltai con molta attenzione, anche se non avevo dimostrato alcuna reazione sul mio volto fatto di cera, qualcosa nel mio stomaco si era mosso. Conoscevo Cerere e, stranamente, l’unica nota di rammarico in tutto quel racconto era nata dalla notizia della sua cattura. Avrei dovuto dispiacermi per gli uomini di Thiago, avrei dovuto compiangerli e magari organizzare una qualche commemorazione, ma non feci nulla di tutto questo. Fissai il mio sguardo in quello del Maestro Templare, il quale continuava a sudare freddo, potevo immaginare la sua voglia di rivalsa ma in questo momento sembrava semplicemente “tremare” in attesa della mia reazione che – con ogni probabilità – non fu quella che si aspettava.
    “Prepara un piccolo contingente scelto, non più di otto unità. Andrò immediatamente a conferire con gli Imperatori, dopodiché partiremo alla volta di Venere. Ho un piano per liberare la Guerriera e distruggere quegli esseri immondi”
    Thiago mi guardò interdetto per un attimo infinito, poi senza proferire alcun suono, diede un colpo di tacco in segno di saluto e si dileguò per eseguire i miei ordini.
    Avevano paura di me. Tutti o quasi. Ed io non facevo nulla per mitigare quella sensazione di disagio che li pervadeva ogni volta che erano al mio cospetto. Non perché gioissi nel vederli in difficoltà, al contrario, mi irritava quel comportamento ossequioso fino ai limiti della venerazione. A me interessavano solamente i risultati e quando questi non arrivavano mi innervosivo e quando ero nervoso potevo risultare alquanto indigesto per molti, tutto qui.
    Afferrai il mio mantello Templare prima di uscire dall’ufficio e procedere verso la Sala Imperiale con passo marziale. Adesso importava solamente la buona riuscita della missione riparativa. Ero certo che Selene aveva già ricevuto un sollecito da parte di Aphrodite per il recupero della Guerriera Cerere sana e salva nel più breve tempo possibile, avrei spiegato il mio piano ed ero altrettanto sicuro che avrebbero autorizzato l’uso di ogni mezzo per è portarlo a compimento.
    Un pensiero fugace volò verso Cerere, l’avevo incontrata proprio una settimana prima. Ricordai il nostro battibecco e un angolo della bocca si mosse verso l’alto senza neppure che me ne rendessi conto. Era un modo come un altro di salutarci nelle rare occasioni in cui le nostre strade si incrociavano, una sfumatura di colore su una lastra di ghiaccio perfettamente levigata.
    Mi abbandonai a un respiro profondo, questa volta però pregno di aspettativa. Conservai il pensiero della Guerriera in un angolo della mia mente, mentre pregustavo la libertà tanto desiderata. Il mio posto era tra la sabbia, nel fango, con le mie fedeli armi in pugno e non rinchiuso in quella dannata gabbia dorata. Era arrivato il momento di tornare in azione. Finalmente!
     
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    Il mio viso perfetto, come quello di una bambola di porcellana era stato sfregiato da quei maledetti porci che mi avevano catturato. Il labbro era spaccato, alcuni lividi viola circondavano il mio occhio desto fino allo zigomo e la pelle del collo era lacerata per l'inibitore che indossavo a mo di collare.
    Li osservavo da dietro le sbarre in cagnesco. I polsi stretti in catene legate al muro e la consapevolezza di essere in gabbia.
    Paradossalmente però ciò che provavo non era paura, ma bensì rabbia. Ero furiosa per la trappola in cui eravamo caduti ed ancor più che mi avessero preso. Mi maledicevo e non smettevo di guardarmi intorno per capire come fuggire.
    Non ero certo preoccupata per i colpi subiti, avrei sopportato di peggio senza problemi. Potevo sentirmi morire, ma avrei sempre stretto i denti e di fronte al nemico non mi sarei mai spezzata, tanto meno mi sarei mostrata debole.
    Con il viso piegato da un lato in una posizione innaturalmente dolce, i miei occhi quasi spiritati non mentivano una certa inquietudine. Erano fissi a due anelli che un mercenario portava alla cinta. Erano taglienti e già li immaginavo sfiorare le gole di quei manigoldi quando li avrei uccisi. Li volevo. Lo avevo appena deciso.
    Ora però la mia attenzione era un'altra, come liberarmi? L'inibitore soprattutto. La vicinanza era la chiave. Più sarei stata vicina e sola con uno di quei mercenari e più le mie possibilità sarebbero state maggiori.
    Fu così che approfittando del fatto che uno di loro mi stava fissando che gli sorrisi sensuale prima di leccarmi le labbra con la punta della lingua. Lentamente, quel tanto che bastava per essere lasciava abbastanza per stimolarlo a prendermi e portarmi in un posto appartato.
    Lo vidi osservare i suoi compagni, intenti a bere e mangiare intorno al fuoco, mentre alzandosi mi veniva incontro. Dal canto mio anche io mi alzai e poggiando le mani sulle sbarre le strinsi.
    "Che ne dici se ti mostro cos'altro so fare con la bocca?" chiesi senza mezzi termini percependo, come ogni buona venusiana sapeva fare, gli ormoni dell'uomo divampare come un vulcano in eruzione.
    Era già con le mani sulla chiave della cella quando un rumore lo distolse dal suo compito. Imprecai tra me me, mentre allontanandosi sembrò essere richiamato per via di un nuovo prigioniero che avevano preso. Uno importante. Uno che avrei ammazzato con le mie stesse mani una volta uscita se non fosse che quando notai di chi si trattava alzai un sopracciglio stupita.
    Haytham Kenway era in ginocchio, di fronte al fuoco e mi guardava con sguardo complice. Ghignai. Prigioniero? Sì come no, si era fatto prendere volutamente.
    Scossi il capo e tornai a sedermi placida sul mio giaciglio, era chiaro che a questo punto dovevo mettere da parte il mio piano ed attendere fin quando il gran Templare non avrebbe avuto modo di indicarmi il suo.
    Sarei stata a sua completa disposizione, fremendo per mostrargli cosa ero in grado di fare.
     
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    Scorgere Cerere viva anche se un po’ acciaccata aveva risollevato il mio morale in un batter di ciglia. Far finta di essere messi ko non era divertente, né stimolante, al contrario mi provocava uno stato di indisponenza che avrebbe potuto mettere in serio pericolo la missione se… be’, se io non fossi stato io. Il mio piano non faceva una piega: lasciarsi catturare, verificare le condizioni della Guerriera, inviare il segnale attraverso un potente trasmettitore e attendere che ci localizzassero. L’unità di soccorso, questa volta armata di artiglieria pesante, sarebbe partita con un ordine preciso: fare tabula rasa di mercenari e trafficanti. Ovviamente dopo aver recuperato gli ostaggi.
    Pensare a me come ostaggio mi faceva ghignare… solo perché non ero capace di sorridere; tuttavia, una persona normale al mio posto si sarebbe sbellicato dalle risate. Ed era proprio ciò che stavo facendo quando i miei occhi si posarono in quelli chiari e sorpresi di Cerere.
    Non passò molto tempo prima di essere scaraventato nella stessa cella della ragazza. Il tutto si era svolto tra sbuffi, spintoni e imprecazioni che avrebbero fatto impallidire uno scaricatore di porto interplanetario. Ma dovevo pur mantenere la maschera del mercante sprovveduto appena derubato di tutti i suoi preziosi averi… E fu proprio mentre si spartivano il bottino appena requisito che ebbi modo di entrare in diretto contatto con la Guerriera, senza destare alcun sospetto.
    “Sono lieto che non ti abbiano procurato ferite gravi, ma la pagheranno lo stesso per questo affronto…” mormorai a denti stretti, fissando il capo della banda con sguardo assassino. Odiavo le imboscate, odiavo i combattimenti sleali e tutti coloro che ricorrevano a mezzucci di bassa portata per battere l’avversario. Semplice, la pena sarebbe stata la morte.
    Cerere era un effetto collaterale però che non avevo previsto. Sapevo bene che sul suo viso non avrei trovato paura o sentimenti a essa vicini, la stimavo anche per il suo essere tutta d’un pezzo, molto più di soldati che io stesso avevo addestrato.
    “Giusto qualche graffio, piuttosto pensi che usciremo da qui a breve? Perché io avevo già un piano che stavo giusto per mettere in atto prima della tua inattesa prigionia!”
    Volsi lo sguardo nella sua direzione e un angolo della bocca si piegò verso l’alto senza che me ne accorgessi. Era sempre così con lei!
    “Mi dispiace aver disfatto le tue uova nel paniere, ma adesso non ci resta che aspettare. Ho inviato un segnale a chi di dovere. Una volta arrivata la cavalleria ti leverò l’inibitore e potrai dare una lezione a questi vermi… Potevo leggere benissimo nei suoi occhi il desiderio di muoversi, combattere, vendicarsi per ciò che era stata costretta a subire. Fissai le ferite sul suo collo e sul suo viso, le porsi allora un fazzoletto di stoffa pregiata affinché pulisse via il sangue e la sporcizia. Lei fissò il quadrato bianco con espressione sorpresa e una punta di disagio stuzzicò la bocca del mio stomaco. Quante volte ero stato additato come “un antiquato terrestre” ogni volta che lo tiravo fuori…? Ciò nonostante, non ci avevo mai fatto un cruccio. Ero molto attaccato alle abitudini acquisite sul mio pianeta e nessuno era mai stato in grado di farmi cambiare idea… E allora cos’era questo mio improvviso – e assolutamente atipico – imbarazzo? Glielo lanciai in grembo e mi voltai nuovamente a guardare altrove. Anche una crepa nel pavimento di roccia levigata era più interessante della sua prossima reazione.
    “Ehi, cafoni, portate almeno un po’ d’acqua per la signora! Se intendete venderla che almeno si dia una ripulita sommaria, no?!” urlai in uno slang incomprensibile per la maggior parte dei venusiani, ma non per loro… era questa la lingua che parlavano tra loro. Il mio richiamo – nonostante le proteste e le minacce – era stato però ascoltato.
    Quando la guardia entrò con un bacile di metallo arrugginito pieno d’acqua, bastò un piccolo gioco di prestigio tra un piccolo sgambetto e una valanga di insulti ricevuti per sottrargli un pugnale dalla lama corta che teneva nella cintura dei pantaloni. Adesso contavamo un’arma all’attivo per qualsiasi evenienza. Era questo il mio lavoro: organizzare, prevedere, agire di conseguenza. L’errore non era contemplato nei miei calcoli…!
    Uno sguardo veloce verso Cerere mi confermò due cose. La prima era che si era accorta del mio trucchetto e ne era compiaciuta; la seconda era che con le mani legate non era affatto in grado di tamponarsi le ferite. Così, senza chiedere il permesso a nessuno, mi avvicinai e – anche se i miei polsi erano bloccati da manette d’acciaio – non fu difficile immergere il fazzoletto nel bacile, strizzarlo bene e ripulire i tagli sulla pelle della Guerriera. I miei gesti non erano particolarmente delicati, ero abituato a sparare, tagliare, distruggere non certo a curare, ma non per questo mi tirai indietro. Con gesti goffi ma costanti riuscii nel mio intento e solo al termine mi resi conto che Cerere si fissava con insistenza le sue mani, le cui dita erano intrecciate in maniera convulsa.
    “Immagino di non avere un futuro come curatore, ma adesso siamo sicuri che non si infetteranno!” esordii con tono burbero, consapevole di averle fatto un po’ male con la mia mancanza di premura. Cosa potevo farci se avevo mani grandi adatte solo a uccidere? Se le mie dita erano piene di calli causati dalle molteplici armi usate nel corso della mia lunga esistenza? Se non avevo alcuna difficoltà a premere sui nervi giusti del corpo umano per creare un corto circuito letale, mentre faticavo a a calibrare la pressione per curare una semplice ferita?
    Scontato, anche Cerere se ne sarebbe fatta una ragione adesso che ne aveva avuta prova diretta ed io potevo smettere di preoccuparmi di queste sciocchezze!


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 27/2/2020, 17:44
     
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    “Sono lieto che non ti abbiano procurato ferite gravi, ma la pagheranno lo stesso per questo affronto…” alla sua prima esclamazione, non potei fare a meno di inarcare le labbra in un leggero ghigno. Apprezzavo tanta galanteria, ma era chiaro che conoscesse poco del cosa volesse vivere su Venere.
    "Quando sei venusiana ci fai il callo fin da bambina!" esclamai notando il suo sguardo perso "Da sempre il pianeta è meta di mercenari dediti alla tratta delle persone... le venusiane sono merce prelibata, le migliori cortigiane che si possano volere in una casa di piacere... valiamo oro..." esclamai quasi come se la cosa mi facesse piacere ed era così. Ovviamente ero contro allo schiavismo ed all'obbligo di accostarsi con chi non ci andava o quando ci andava, ma non potevo negare che era bello sentirsi importante. Sapere di valere molto.
    "Comunque giusto qualche graffio, piuttosto pensi che usciremo da qui a breve? Perché io avevo già un piano che stavo giusto per mettere in atto prima della tua inattesa prigionia!”
    “Mi dispiace aver disfatto le tue uova nel paniere, ma adesso non ci resta che aspettare. Ho inviato un segnale a chi di dovere. Una volta arrivata la cavalleria ti leverò l’inibitore e potrai dare una lezione a questi vermi…” aggiunsi con fare snob, mentre non mi sfuggì il suo ghigno. Il massimo del sorriso che si concedeva, esattamente come me.
    "Oh puoi contarci, anche perchè c'è una cosa che voglio ad ogni costo!" risposi piegando il viso da un lato e fissando il mio sguardo cristallino su quei due meravigliosi anelli rotanti. Ero una bambina capricciosa quando mi ci mettevo e di una cosa ero certa: li volevo!
    Lui sembrò quasi stranirsi del mio atteggiamento, ma proseguì con la sua farsa prima stupendomi con il suo incredibile slang e successivamente addirittura nel comportarsi da vero gentleman con la sottoscritta seppur il suo atteggiamento goffo non poté che non divertirmi.
    "Ho sentito meraviglie sulla tua arte amatoria eppure tocchi una donna come un ragazzino alle prime armi..." lo pungolai avvicinando le mie labbra abbastanza vicine al suo orecchio da sussurrare così piano che la mia voce appariva impalpabile seppur calda ed avvolgente. Lo vidi irrigidirsi, mentre mordendomi il labbro inferiore mi sentivo soddisfatta della reazione ottenuta, seppur una forte esplosione non ci diede tempo di approfondire quell'interessantissima chiacchierata.
    Rimasi ad osservare il Gran Maestro Thiago Marquez fare il suo ingresso con i suoi uomini, accompagnato anche dal suo confratello Askook Wardrop e le sue micidiali armi pesanti. Fu uno spasso, mentre alzandomi con estrema eleganza e tranquillità attendevo unicamente che Haytham cogliesse l'occasione per liberarmi dall'inibitore.
    Fu come se una scarica di energia mi attraversasse, come se dopo un lungo periodo sott'acqua tornassi a respirare. Sorrisi guardandomi le mani quando un mercenario mi si avvicinò e prima che potesse anche solo rendersene conto io avevo già infilato la mani nel suo petto e gli avevo strappato il cuore. Lo guardai pulsare nelle mie mani e pensai che avrei potuto usarlo per costringerlo ad essere un burattino nelle mie mani ed uccidere così i suoi compagni, ma guardandolo dritto negli occhi strinse la mano così forte da polverizzarlo. L'uomo cadde come un sacco di patate, ma mentre ciò accadeva io avevo già recuperato dal suo corpo morto gli anelli taglienti che tanto bramavo.
    "Bellissimi non trovi?" chiesi con leggerezza ad Haytham come se fosse la situazione più normale che esistesse, non prima di lanciarmi nel pieno dello scontro e così fare sfoggiò anche di tutte le mie abilità fisiche. Mi muovevo quasi come un'atletica di ginnastica artistica, tra ruote, ponti all'indietro e movimenti per sfuggire da pericolosi fendenti. Quando lanciavo i cerchi sembravo quasi come se stessi eseguendo un esercizio di ritmica, peccato che quello che mi lasciai dietro furono vittime dalla giugulare tagliata.
    "Dobbiamo andarcene, ne arriveranno altri. Di solito si muovono su grandi navi, questo era solo il piccolo gruppo mandato per far perlustrazione!" esclamai concise e precisa ad Haytham quanto al resto dei Templari.
    “Ciò per cerchiamo è sulla loro nave!” esclamò Marquez guardando il suo capo. In attesa di una sua decisione.
    “Andiamo via di qui, aspettiamo che il resto dei mercenari scenda per cercare i loro compari ed entriamo in azione. Voi li terrete occupati ed io e Cerere saliremo sulla nave a recuperare ciò per cui siamo venuti!”
     
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    :Haytham:
    Vedere Cerere combattere era stato eccitante, quasi ipnotico. Sapevo che fosse una Guerriera, tanto quanto sapevo che gli addestramenti del Generale Thot non erano per femminucce (con tutto il rispetto per le damigelle). Tuttavia, osservare il movimento sinuoso e letale del suo corpo mi aveva ricordato tutto questo e non nella maniera più indolore. Quella piccola distrazione mi era costata una ferita di stiletto nel fianco; ferita che avevo prontamente celato. Non avevo alcuna intenzione di mostrare la mia temporanea debolezza, né tantomeno le conseguenze della stessa. Nonostante ciò, conoscevo bene quanto potevano essere insidiose armi del genere, sottili e penetranti riuscivano a dare la morte in pochi attimi. Fortunatamente, quando ero stato colpito, il bastardo stava già esalando l’ultimo respiro, così anziché colpire la spina dorsale aveva deviato verso il fianco sinistro. Solo il tempo mi avrebbe permesso di valutare i reali danni agli organi interni.
    Ci eravamo accampati sotto un manto di stelle tanto luminose da sembrare fari nella notte, l’aria era calda e soffocante, perciò preferimmo non accendere alcun fuoco. Thiago e i suoi uomini si nutrirono con le razioni confezionate portate in abbondanza, mentre per Cerere fu preparato un pasto più sostanzioso che nulla aveva di sintetico. Una volta eliminato l’inibitore aveva dimostrato di non essere affatto debilitata, le percosse avevano provocato più la sua rabbia che il suo avvilimento. In pochi minuti di osservazione avevo capito più cose di lei che in tutto il tempo trascorso da quando l’avevo conosciuta e dovevo ammettere che non mi era indifferente. Sbuffai irritato, non mi ero mai abbandonato a elucubrazioni del genere, non mi importava molto di chi mi stava attorno. Tentavo di convincermi che fosse solo un interesse di tipo “accademico”, ma appunto si trattava di un flebile tentativo, neanche troppo riuscito in realtà…
    Fissai il cielo, presi un respiro profondo e mi apprestai a dare un’occhiata alla ferita.
    Mi ero isolato dal gruppo e nessuno sarebbe venuto a disturbarmi. Era un qualcosa che facevo spesso e che non avrebbe destato sospetti… o così almeno avevo creduto fino a quando la figura snella di Cerere non apparve nel mio campo visivo.
    “Dovresti approfittare di ogni minuto disponibile per riposare, non sappiamo quando la nave dei trafficanti arriverà…” Mentre parlavo, mi adoperavo a richiudere la casacca aperta prima per constatare i danni. Il dolore era intenso ma sopportabile anche se la macchia scura sulla giacca non deponeva a favore. Tuttavia, potevo far affidamento sull’oscurità per celarla ad occhi indiscreti.
    “E cosa ti dà la certezza che stare in tua compagnia non sia un ottimo modo per riposarsi?” La Guerriera mi fissava dritta negli occhi adesso, con la sfumatura violetta delle iridi che brillava nella notte come le stelle che ci stavano guardando. In quella strana atmosfera, le sue sembianze umane trascendevano, lasciando trasparire le fattezze aliene. La fissai di rimando, con sguardo piuttosto scocciato a causa del suo carico di sfida.
    “Mi riesce difficile crederlo, visto che nessuno mai è arrivato a ritenermi riposante, anzi… semmai sono stato sempre tacciato del contrario.” Cerere guardava con insistenza la mia casacca e il dubbio che la sua vista particolarmente sviluppata potesse scorgere il colore rosso scuro sulla mia giubba mi colse all’improvviso. “Ti hanno mai detto che fissare la gente è da maleducati?!” La rimbrottai, chiudendo le braccia sul ventre e nascondendo ogni cosa al suo sguardo indagatore.
    “E a te hanno mai detto che le ferite non curate bene possono portare alla morte?” Le mani sui fianchi, un broncio che non poteva in nessun modo essere abbinato all’assassina che avevo visto in azione solo poche ore prima, due iridi color ametista talmente scintillanti da bucare l’oscurità. Mi stava davvero rimproverando?
    “Cerere, sono il Gran Maestro dell’intero Ordine Templare, non devo dare conto a nessuno di come gestisco il mio corpo e il mio operato, tantomeno a una Guerriera impertinente come te…” E io la stavo davvero rimbeccando?
    “A me non di certo, ma all’intero Impero Lunare sì… se tu dovessi morire non credo che faresti un favore agli Imperatori!” Il suo tono era cambiato o me l’ero solo immaginato? Forse mi stavo immaginando tutta questa conversazione assurda. E perché ora si sedeva di fronte a me? La guardai truce, non mi piaceva quando mi si diceva cosa fare, non mi piaceva quando qualcuno si avvicinava così tanto a me e invadeva il mio spazio vitale, non sperimentavo una cosa del genere da centinaia di anni e ora ricordavo il perché me ne ero privato: era stato essenziale per la sopravvivenza, nessun legame, nessun rapporto che non fosse strettamente fisico o “di lavoro”. Ecco come avevo fatto ad arrivare fin qui, con la mia reputazione e il mio prestigio.
    “So riconoscere una ferita mortale, Guerriera, non devi preoccuparti che l’Impero possa perdere un elemento tanto importante come il sottoscritto! Non nego che molti potrebbero gioire di questo evento, ma non è nei miei piani lasciare che accada!" Una smorfia di fastidio comparve sul mio viso quando mi resi conto che le mani che tenevo sul ventre si era impregnate di sangue. Dovevo assolutamente dare un’occhiata ma ero quasi certo che Cerere non avrebbe accettato di andar via neppure se l’avessi minacciata. Così presi a fare quanto dovevo, ignorandola.
    Sbottonai la casacca e tastai la fasciatura approssimativa che avevo fatto ore prima in un momento di tranquillità. Il sangue usciva copioso ma la ferita doveva essere pulita perché non percepivo altro che un po’ di debolezza. Il dolore era contenuto – e sopportabile per me – quindi non prevedevo danni agli organi interni. Adesso però dovevo necessariamente pulire la ferita e fasciarla a dovere per evitare infezioni: il “campeggio” non era il posto ideale per una cosa del genere, ma mi sarei adattato, come sempre.
    “Posso aiutarti io se vuoi…” Cerere aveva parlato piano, quasi in un sussurro, e ogni traccia di sfida era sparita dalla sua voce. Adesso, avrei pagato un milione di dollari terrestri per scoprire cosa diavolo le passava per la testa! Solo dopo mi resi conto che non doveva certo interessarmene… Ero debole e questo mi stava annebbiando il giudizio; in realtà non ci credevo nemmeno io, ma in qualche modo dovevo superare questo attimo di follia temporanea.
    “D’accordo…” Cosa? Avevo acconsentito a una cosa del genere? Io che non avevo accettato l’aiuto di nessuno, mai, da quando ero nato?! Dovevo essere davvero impazzito, che lo stiletto fosse avvelenato? Non ne avevo idea, ma continuai a non tirarmi indietro… decisi così di lasciare ai posteri l’ardua sentenza, io non avevo la forza di ragionarci su oltre.
     
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    :Cerere:
    Mi trovai a ghignare, mentre soddisfatta per la mia piccola vittoria allungavo le mie mani sulla sua camicia per assicurarmi di finire di slacciarla, senza fretta. Con una lentezza calcolata. Attenta ed a tratti sensuale.
    "Noi venusiani abbiamo sempre una brutta nomea... il nostro amore per l'amore tende a farci passare per superficiali o peggior come miseri consumatori di piacere..." esclamai con un filo di voce, mentre aprendogli la camicia osservai il suo dorso nudo e scolpito, nonostante l'età, valutando l'entità del danno.
    "Ciò che nessuno comprende è come funzioni l'amore per un venusiano... vaghiamo come randagi in cerca d'amore, ce ne cibiamo, lo godiamo e lo percepiamo, ma è solo quando avviene l'imprinting che questo si realizza appieno..." conclusi allungando una mano e con la sola punta delle dita accarezzare la sua pelle chiara ed accaldata per le temperature del pianeta (o forse no?)
    "C'è chi muore senza mai averlo, quando avviene ogni venusiano si sente vuoto come se non avesse vissuto appieno la vita. Non si può sapere quando ciò accadrà. Non c'è un'età. Semplicemente avviene quando si incontra la persona giusta..." aggiunsi appoggiando una mano al di sopra della sua ferita ed alzando per la prima volta gli occhi incatenandoli ai suoi. Come una sirena ammaliatrice.
    "Basta uno sguardo affinché esso scatti anche se non sempre una venusiano lo capisce immediatamente. A volte passa del tempo prima che l'imprinting si presenti e capita che possa essere troppo tardi, che quella persona incontrata per caso sia ormai lontana. E' un vuoto incolmabile che molti cercano di colmare viaggiando per tutto l'universo pur di ritrovare la propria metà..." ridacchiai. Come se percepissi i suoi pensieri, come se compresi quanto sciocco tutto ciò doveva sembrargli. Mentre allungando una mano disegnai i lineamenti duri del suo viso, l'altra ancora sulla sua ferita.
    "Per questo su Venere ci sono molti matrimoni infelici..." la mia voce si incrinò per un attimo. Nostra madre ne era l'esempio. Quel marziano era stato il suo imprinting, ma per non seguirlo, per decidere di continuare con l'uomo che si era sposata senza che con lui avesse un imprinting, aveva vissuto una vita misera. Infelice. Riversando tutta la sua frustrazione sulle sue figlie "... ma anche unioni indissolubili..." aggiunsi ripensando invece ad Aphrodite che tanto aveva sofferto.
    Altair era stato il suo imprinting, ma quando ciò era avvenuto lui non poteva ricambiarla. Spesso capitava. Dopotutto l'imprinting lo avevamo noi venusiani e se la controparte non lo era non provavano lo stesso. Essere rifiutati era normale, anche se questo causava in un venusiano con l'imprinting una sentenza di morte. Aphrodite aveva avuto più e più uomini per colmare quel rifiuto, quell'amore impossibile eppure alla fine quando pensava che tutto fosse perduto ed il vuoto dentro di lei troppo grande, si erano ritrovati e mai più lasciati. Avevano un legame invidiabile per ogni venusiano. Si adoravano. Si amavano. Era un tutt'uno... il giorno che lui sarebbe mancato sicuramente sarebbe successo lo stessi a lei, ma per un venusiano non era una cosa triste. Anzi. Era l'apoteosi dell'amore. Un cuore solo che batteva insieme e si spegneva insieme.
    “Non avevo bisogno di una favoletta per essere distratto dalla ferita...” mi schernì lui, seppur notai che per quanto non lo desse a vedere, era rimasto colpito dalle mie parole.
    "Ferita? Quale ferita?" lo schernì di rimando alzando la mano dalla ferita, che ormai era sparita. Era un'altra delle mie facoltà. Potevo guarire le ferite, di chiunque tranne le mie.
    Lui strabuzzò gli occhi non riuscendo a contenere la sorpresa, mentre io -volutamente- mentre facevo scivolare via la mano dal suo costato sfiorai il suo basso ventre sentendolo rabbrividire, mentre la mano raggiungeva un mio ciuffo solo per metterlo dietro l'orecchio.
     
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    :Haytham:
    “Ferita? Quale ferita?”
    Ok, dovevo ammetterlo, ero sorpreso. In fondo, con la sua favoletta mi aveva davvero distratto al punto da non percepire neppure il dolore svanire. Fissai la pelle sporca di sangue, adesso perfettamente intatta, mentre con le dita Cerere sfiorava un punto non poco sensibile del mio corpo. Che stava facendo? Giocava col fuoco? Forse non si rendeva conto di avere a che fare con un possibile incendio…
    La fissai di rimando, lo sguardo glaciale a dispetto delle fiamme che sentivo dentro, benché non fossi riuscito a trattenere un brivido traditore. Ma ero un uomo con tutti gli ingranaggi al posto giusto.
    “Così, vorresti farmi credere che per un venusiano esiste un solo unico grande amore?” Il sarcasmo nella mia voce era pungente, avevo avuto modo di consumare rapporti con delle venusiane e nessuna di loro mi era parsa molto propensa a una storia duratura. Semmai mi fossi accorto di una eventualità del genere avrei di certo reciso ogni frequentazione sul nascere, ma non era mai accaduto. Forse questo “imprinting” avveniva solo tra venusiani? Ciò non era possibile, la Guerriera Aphrodite era legata a un essere umano, ibrido per giunta.
    Lei non rispose, mi osservava con un sorrisino strafottente, ma non si era allontanata di un solo millimetro anche se non c’era più necessità del suo “aiuto”. Voleva provocarmi?
    “Forse stai cercando di dirmi che tu hai avuto questo… imprinting… con me?!” No, non poteva essere! Non la conoscevo neppure! Non scoppiai a ridere solo per una questione di orgoglio: poche persone potevano vantare di avere assistito a una scena del genere e Cerere non sarebbe stata tra queste. Lei, ancora una volta, non mi smentì anche se il sorrisino si era irrimediabilmente spento. Era davvero così? Distolsi lo sguardo e feci perno sulle braccia per alzarmi e andare via, non avevo alcuna intenzione di continuare una conversazione a senso unico, ancor meno se si trattava di parlare di assurde leggende.
    Cerere, però, non era dello stesso avviso. Continuò a stare immobile, impedendomi di fatto ogni movimento! Ma cosa diavolo aveva in mente?
    “Spostati! Non lo vedi che potrei essere tuo padre?” Adesso ero scioccato, amareggiato, sbalordito. Di sicuro avevo capito male, di sicuro avevo travisato quelle sue strane attenzioni mascherate con ironica seduzione. Se scavavo dentro di me, però, la sensazione di disagio straripava come un fiume in piena fa con i suoi argini troppo fragili.
    Un leggero tremore della terra mi fece perdere l’equilibrio. In un attimo mi ritrovai su Cerere, con un mano sotto il suo capo per evitare che il contraccolpo la ferisse. Non mi preoccupai del sisma, non erano rari in questa parte del Pianeta, al contrario erano diventati dei compagni fedeli per gli abitanti autoctoni. Ciò che mi destabilizzava maggiormente era la situazione che si era venuta a creare. Cerere aveva appoggiato i suoi palmi al lato del mio volto. Io contrassi la mascella con talmente tanta forza da sentirla scricchiolare.
    Ero prigioniero: una mano a reggere il mio peso, l’altra bloccata sotto la testa di Cerere, gli occhi incatenati a quelli violetti di lei.
    “Non fare sciocchezze, ragazzina…” Dovevo farla desistere, dovevo toglierle dalla mente quell’idea balzana, dovevo farle capire che stava per compiere l’errore più grande della sua vita. E non conoscevo nessun’altra arma intangibile diversa dal bieco cinismo. Di solito funzionava bene… di solito. La vidi avvicinarsi pericolosamente, quando cominciai a percepire il soffio leggero del suo respiro: sapeva di ambrosia, Thiago era arrivato ben rifornito! Una venusiana ebbra di ambrosia? Un mix letale.
    Mi venne nuovamente da ridere – due volte nell’arco di pochi minuti, una specie di miracolo! –, allora non ero io in quanto Haytham ad affascinarla… ero io in quanto uomo. Che idiota! Sì, ero un perfetto idiota! Non riuscivo a capire perché qualcosa aveva iniziato a bruciare nel petto al posto del disagio. Perché diavolo ero arrabbiato?! Sollievo, ecco cosa dovevo provare, esultante sollievo…
    Le sue labbra erano a pochi millimetri e l’idea di approfittarne passò fugace come un lampo, prima di sparire dietro la consapevolezza che era giunto il momento di smetterla con queste baggianate. Ciò nonostante, non ebbi tempo di dichiarare chiuso l’incidente perché un sisma di proporzioni ben più gravi ci colpì. Ogni cosa attorno a noi cominciò a tremare, le rocce calcaree iniziarono a sbriciolarsi e detriti più o meno grandi a investirci. Non potevamo restare accanto ai costoni, dovevamo spostarci verso un’area aperta!
    Le urla degli uomini di Thiago mi giunsero ovattate, quando all’improvviso un’ombra scura ci ricoprì. Un’ombra che precorreva un macigno… Non avevo il tempo di fare altro se non abbracciare Cerere e ricoprirla per intero con la mia mole.
    Un istinto stupido, con ogni probabilità non sarebbe servito a nulla, ma io lo seguì ciecamente. Non doveva morire, lei non doveva morire.


    Edited by KillerCreed - 6/3/2020, 01:12
     
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    :Cerere:
    Il mio "giocare" con lui era più che altro una prova di forza per mostrargli di che pasta ero fatta. Io non fuggivo, io non mi arrendevo, io non mi spaventavo di fronte a quella freddezza che era la mia e la prova mi arrivò nel momento in cui lui si mise in gioco pur di salvarmi. Perchè farlo dopotutto? La prima volta in un certo senso era stato costretto dalla missione, ma ora? Avrebbe potuto fare tutto ciò che c'era da fare senza di me. E poi era stato davvero avventato il suo gesto, dopotutto lui era un semplice umano e così facendo aveva appena scritto la sua sentenza di morte.
    Stretta nel suo abbraccio dunque ghignai soddisfatta e poi come se il tempo si fosse fermato, nessun masso gravò su di noi, nessun pesante macigno lo schiacciò o lo uccise. Haytham alzò gli occhi confuso, scostandosi appena da me, solo per notare che lo stesso gravitava su di noi. Immobile.
    Lo avevo bloccato ed addirittura prendendolo per mano e facendolo scostare da di sotto dello stesso con un semplice sguardo feci tornare il tempo a scorrere normalmente mentre quello cadeva a terra frantumandosi in mille pezzi.
    Volli approfittare del momento di empasse per non dare scelta e possibilità al Templare che, dopo averlo preso per il bavero, me lo costrinsi addosso. Ero piccolina e dunque dovetti mettermi sulle punte dei piedi per baciarlo e non lo feci nè in modo impacciato o frettoloso. O no. Lo feci prima giocare con le sue labbra, accarezzandogli contro le mie, e poi insinuandomi appena con la punta della lingua fino a scivolare nella sua bocca e dar vita ad un bacio che di casto o fanciullesco non aveva niente.
    Quando mi allontanai da lui eravamo ancora accaldati ed eccitati al punto che cedere a quelle emozioni sarebbe stato facile se non fosse che facendo prima un passo e poi due indietro lo guardai alquanto compiaciuta.
    "Secondo me vi fate fin troppi film mentali Gran Maestro, sono una ragazza felicemente fidanzata io..." lo presi in giro. Era chiaro che ci aveva visto quanto era vero ciò che avevo detto, togliendo decisamente la parte del "felicemente".
    Haytham fece per ribattere quando l'arrivo di Thiago ci costrinse a interrompere la nostra chiacchierata. Eravamo ben distanti, come se avessi percepito quell'interruzione e dunque nessuna scena compromettente si era presentata di fronte agli occhi del Templare.
    "State bene? Questa parte del pianeta è soggetta a terremoti e spesso la caduta di sassi causa pericoli..."
    "Conosco la zona Marquez, ma vi ringrazio per la preoccupazione. Io ed il Gran Maestro ci siamo spostati appena in tempo!" dissi indicando con il capo i frantumi del masso che poco prima ci aveva, per causa maggiore, avvicinati.
    Tuttavia parlai con una freddezza e normalità che mostrò la mia capacità innata a mentire, a manipolare di fatto ogni situazione per farla apparire come desideravo.
    "Stavo dicendo al Gran Maestro proprio adesso che dovremmo riposare, l'alba sarà tra due ore e dobbiamo essere riposati per domani mattina..."
    "Ma certo Milady, farò io stesso la guardia per garantire a voi ed al Gran Maestro il giusto riposo!"
    "Onorata..." bisbigliai suadente posandogli una mano sulla spalla e facendolo per sorpassarlo non mancai di lanciare uno sguardo malizioso verso Haytham che solo lui riuscì a captare.
     
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    :Haytham:
    Ero furioso. E mi capitava molto raramente. Questo era il risultato di una vicinanza non prevista, di un bacio assolutamente inatteso, di una presenza oltremodo fastidiosa e insistente.
    Cerere aveva rubato qualcosa che non gli apparteneva, ma non era questo a farmi incazzare sul serio, piuttosto la possibilità che io stesso le avevo dato per perpetrare il furto.
    Non che un bacio per me ricoprisse chissà quale valore, era un mero scambio di labbra e respiri. Ma non tolleravo quando si invadevano i miei spazi… Ok, era durato appena qualche attimo e la mia lingua aveva toccato la sua, dannata curiosità, perché mi giocava sempre questi brutti scherzi?
    Ciò nonostante, non le avrei permesso di continuare a giocare con me. Forse ero diventato la sua nuova sfida? Il rapporto con quella larva di Adone doveva averla stancata e – con ogni probabilità – ogni tanto andava alla ricerca di uno svago. Ma Haytham Kenway non era mai stato il trastullo di nessuno, men che meno di una ragazzina impertinente…
    Perciò, poche ore dopo, scelsi l’arma della gelida indifferenza per tenerla lontana. Di solito, assieme al mio cinico sarcasmo, si rivelava sempre efficace.
    Eravamo in attesa dell’ora X. Osservavamo ben nascosti il cargo spaziale dei trafficanti, dopo aver messo appunto un piano infallibile per prenderlo e sgominare quella maledetta banda che aveva causato solo ed esclusivamente danni. Primo fra tutti, portare Cerere nel mio raggio d’azione… forse era meglio che la nostra conoscenza restasse superficiale, occasionale, del tutto effimera. E invece, adesso mi ritrovavo a pensare a lei più del dovuto, con l’aggravante del fatto che ciò alimentava una fiamma di fastidio che credevo si fosse spenta da tempo. Quel fastidio derivava dal fatto che ero stato preso in considerazione come un gioco, una sfida: l’uomo maturo sedotto dalla seducente venusiana. Come se davvero fosse possibile che io perdessi la testa così facilmente! Era questo che mi irritava e mi rese difficile tenere intatta la mia patina di indifferenza quando la diretta interessata si accostò al sottoscritto con la scusa di “vedere meglio”.
    Speravo che non facesse alcun accenno a quanto era accaduto in presenza di Thiago e i suoi oppure l’avrei fulminata… e ancora una volta mi stupì con il suo comportamento “per niente da ragazzina”. Osservava determinata il nostro obiettivo, nello sguardo quella scintilla guerriera che mi aveva incuriosito fin dall’inizio, un leggero sorriso le incurvava le labbra… un sorriso che preannunciava morte e non delizie per intenderci.
    Mi ritrovai a fissare quel profilo delicato eppure così tenace mentre un pensiero fugace attraversava la mi mente e mi fece talmente paura da far accelerare il battito del cuore: eravamo più simili di quanto immaginassi.
    Cerere, sentendosi osservata, si voltò verso di me e i suoi occhi si caricarono subito della sarcastica malizia che avevo imparato a conoscere… prima che dicesse qualsiasi cosa, la anticipai.
    “Sei pronta a sterminare un bel po’ di bastardi? Non aspettano che te e i tuoi “nuovi” cerchi…” Un angolo della mia bocca si piegò verso l’alto, in attesa di una risposta che mi aspettavo come se la conoscessi da sempre.
    “Sono nata pronta, Gran Maestro!” mi strizzò l’occhio e si abbandonò a una leggera risatina. Scossi il capo, con un ghigno che non voleva lasciare la mia bocca. Cerere era un vero personaggio, questo era certo. Avere a che fare con lei metteva sulla tavola da gioco carte coperte e scoperte… le prime più numerose delle seconde: in fondo, non avevo idea di quale mossa avrebbe fatto e questo – forse – era l’unico motivo che mi impediva di decretare la fine di ogni frequentazione. Nel mentre mi rendevo conto che la mia maschera di indifferenza si era di nuovo crepata, lasciando una ferita aperta dalla quale si sarebbero potuti infiltrare germi dannosi per la mia corazza… ”Devo solo stare in guardia… Non lasciare che si insinui, che occupi più spazio del dovuto per far sì che il mio mondo resti intatto!” mi dissi per riprendere il controllo di quella che percepivo come una prossima catastrofe.
     
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    :Cerere:
    Quando mi ero coricata per la notte avevo dovuto cercare di calmare il cuore che, impazzito, batteva forte come non lo avevo mai sentito. Avevo mantenuto la mia solita sfacciataggine e freddezza con Haytham come con tutti, ma una volta sola, nascosta nel mio sacco a pelo mi ero lasciata andare alla confusione ed allo spavento.
    Respiravo affannosamente come se faticassi a respirare, il senso di nausea e era fortissimo e i crampi al ventre così forti da farmi raggomitolare su me stessa. Era stato il mio resistere all'imprinting a provocarmi tanto dolore ed adesso ne ero scossa. Da venusiana ero onorata, ma al contempo spaventata.
    Pensai a Vesta ed un sorriso sincero mi nacque sulle labbra. Probabilmente avremmo dovuto nascere in corpi inversi, lei per anni aveva inseguito il sogno di vivere ed avere tutto ciò che un venusiano aveva e secondo me, nonostante le sue fisime, lo possedeva già. Lei sarebbe morta dalla felicità a fronte dell'impriting, mentre io mi forse avrei preferito non averlo.
    Non amare nessuno o quanto meno amarlo oltre l'aspetto fisico era qualcosa che non avevo messo in conto nella mia vita. Adone mi andava bene per quello. Tutti credevano che io non vedessi quanto stupido ed egoista fosse, ma lo avevo scelto per quello. Era un ottimo amatore, insieme eravamo esteticamente perfetti e tutto sommato passavamo del tempo piacevole insieme, ma non dovevo preoccuparmi per lui. Se mi fosse o gli fosse successo qualcosa ognuno dei due sarebbe andato avanti per la sua strada quanto, ogni volta che ero in missione, non avevo la mente distratta da niente. Ed ora?
    Con quella paura ed ansia mi addormentai, decisa a spegnere il cervello quanto le emozioni.

    La mattina dopo ero la Cerere di sempre. Dura. Fredda. Calcolatrice.
    Tutto era pronto per essere messo in atto. Thiago e i suoi uomini si sarebbe occupato di attirare l'attenzione ed io ed il Gran Maestro saremmo saliti sulla navicella ed avremmo recuperato ciò per cui eravamo venuti.
    Non potei non essere civettuola con lui, mentre aspettando nascosti aspettammo il momento opportuno per sgattaiolare via. Ci bastò guardarci per agire in perfetta sincronia quando sulla navicella ci guardammo intorno. Non era enorme, ma dovevamo andare a colpo sicuro per non perdere tempo.
    “Questi manigoldi non hanno nè classe nè cervello, avranno accumulato tutte le loro "ricchezze" nel posto che credono più banalmente sicuro...”
    Mi disse quasi annoiato, quando guardandolo esclamammo entrambi all'unisono: "il ponte di comando!"
    Ci dirigemmo così in tale direzione incontrando solo due poveri scemi che mettemmo ko con fare annoiato, lui uccidendolo con la spada ed io lanciando un mio cerchio, che ripresi in mano nel momento in cui passandogli accanto quello si accasciava a terra tenendosi la gola.
    La nostra entrata fu trionfale, mentre quegli idioti ci guardavano confusi. Il loro capo urlò qualcosa ai suoi compari che ci attaccarono, mentre io andai dritta da lui. Era anche il più grosso ed il più capace e mai avrei lasciato tutto il divertimento al Gran Maestro.
    Quello alzò un braccio prendendomi per il collo per fermarmi prima che lo attaccassi, mentre con i pugni lo picchiai decisa sul braccio per fargli mollare la presa. Colpendolo sul gomito allentai la sua presa, così che con un volteggio lo calciai all'indietro sul fianco, per poi voltarmi per affrontarlo faccia a faccia. Fece per colpirmi, ma schivandolo fu io a mollargli un pugno sulla schiena ed uno dritto in volto, prima che quello prendendomi per i capelli mi tirò il capo all'indietro allontanandomi da lui. Nel frattempo non persi tempo e con la mia mano gli strappai il cuore stringendolo, ma non distruggendolo.
    "Lasciami!" gli ordinai e quello come un automa lo fece.
    "Ed dammi quello che cerco..." gli ordinai nuovamente e mentre quello andava in cerca di ciò per cui eravamo venuti, io mi sedetti su una delle poltrone di pilotaggio.
    Accavallai le gambe, il cuore in mano ed un sorriso beffardo mentre guardavo Haytham combattere contro i suoi avversari. Non aveva bisogno che l'aiutavo, presto da solo se ne sarebbe liberato, dunque perchè non rimanere lì a godermi la scena?
     
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    :Haytham:
    I miei movimenti erano fluidi, sicuri, letali. Ad ogni affondo mietevo il mio raccolto di sangue e vittime. Erano in tre contro il sottoscritto e, nonostante il loro presunto addestramento da mercenari, non sarebbero riusciti a battermi neppure nei loro giorni migliori: e non stavamo vivendo uno di quei giorni. Uno lo atterrai con un colpo di taglio alla gola, gli avevo distrutto la trachea e senza cure adeguate – che nessuno di noi aveva intenzione di fornirgli – sarebbe morto soffocato. Un altro lo infilzai con il suo stesso stiletto, un po’ per dovere, ma di più per vendetta. Anche se non era stato lui a pugnalarmi, lo avevo comunque punito per l’affronto, con l’unica differenza che il mio fendente fu molto più efficace: gli trafisse il cuore. L’ultimo, vista la fine dei suoi compari, tentò di darsi alla fuga ma lo colpì in mezzo alle scapole con la mia fedele .357 Magnum. Adoravo la sensazione che la sua pesantezza generava, ma adoravo di più i suoi effetti devastanti. Era un’arma terrestre a cui non avevo saputo rinunciare… ecco che continuava a darmi soddisfazione.
    Quando mi guardai attorno per evidenziare la presenza di altri nemici, mi accorsi di un altro individuo ancora in piedi… ma capii subito che non si trattava di una minaccia. Stava rovistando in mezzo a scartoffie varie, mentre il sangue sgorgava copioso dal suo petto vacante. Cerere.
    “Degna immagine di un film dell’orrore di serie b…” mormorai, guardando la venusiana, sarcastico. Era comodamente seduta, le gambe intrecciate e il cuore del povero tizio ben stretto in un palmo. Mi spazzolai i vestiti ormai sudici prima di puntellarmi a un mobile vicino a braccia conserte, in attesa che “lo zombi” compisse il suo lavoro. Gli occhi di Cerere erano fissi nei miei e io non distolsi lo sguardo, in una specie di lotta silenziosa combattuta senza armi visibili. Almeno fino a quando il tipo non portò alcune carte alla sua padrona: i piani di sbarco di armamenti illegali per i prossimi mesi. Questa banda di trafficanti avrebbe avuto vita molto molto breve… tanto breve quanto quella dello zombi, il quale si accasciò al suolo come un fantoccio non appena Cerere distrusse il suo cuore tra le dita affusolate.
    “Avrebbe anche potuto non sporcarle così tanto… speriamo siano leggibili!” mi lamentai afferrando quanto lei mi porgeva. Nonostante le mie rimostranze però un leggero ghigno – ancora lui, perfido traditore – aleggiava sulle mie labbra.
    ”Non fare troppo lo schizzinoso, Gran Maestro! Ci siamo risparmiati la ricerca no?” mi apostrofò la Guerriera, rivolgendomi un altro dei suoi sorrisini che definire maliziosi era un eufemismo.
    Sbuffai, ma non replicai. Era arrivato il momento di tornare a casa, finalmente.
    […]
    Il viaggio di ritorno era stato tranquillo, la stanchezza per i mille imprevisti gravava su ognuno di noi, ma nessuno se ne lamentava. Cerere ci aveva accompagnato al nostro quartier generale sulla Luna, anche lei avrebbe dovuto partecipare al rapporto finale. Rapporto che durò troppo per tutti, desiderosi di farci una bella doccia e dismettere abiti che portavano addosso giorni di lotta, polvere e strani eventi, primo fra tutti un bacio a cui mi ero ripromesso di non pensare più.
    Finito il briefing, congedai Thiago con i miei soliti modi poco loquaci… si sarebbe occupato lui di stilare il verbale che avremmo sottoposto agli Imperatori. Mere formalità a cui però tenevo non poco. Altro aspetto per il quale venivo spesso criticato, ma io non credevo che la burocrazia fosse davvero il male di ogni governo, non quando era pulita, celere ed efficiente.
    Ed ecco che avevo ripreso a divagare. Unico modo attualmente disponibile per rifuggire al fatto che ero rimasto solo nella stanza con Cerere. Mi alzai senza una parola e le feci strada nel mio studio/appartamento.
    “Puoi darti una rinfrescata prima di partire, se lo desideri.” le dissi con voce inflessibile, nel mentre mi avvicinavo all’angolo bar per versarmi un dito di whiskey. Era proprio il momento giusto. Ma non feci in tempo a portare il bicchiere alle labbra che una lesta mano di Cerere me lo sottrasse e bevve al mio posto… “Prego, fai pure come se fossi a casa tua…” le dissi graffiante, servendomi di nuovo e guardandola di sottecchi attento a nuovi scherzi.
    “Grazie! La tua gentilezza mi commuove!” Poi posò il bicchiere sul ripiano e iniziò a spogliarsi… Voltai di scatto il capo verso la parete. In realtà non sapevo perché avevo reagito in maniera tanto ingenua, non era la prima volta che vedevo una donna nuda e neppure una venusiana nel fiore della sua bellezza. Ma Cerere non volevo vederla, era proprio questo il punto.
    “E adesso… che intenzioni avresti? Sai, giusto per essere preparato!” La mia voce avrebbe voluto essere ironica, ma era più tesa del previsto.
    “Non mi hai forse invitata tu a darmi una rinfrescata?” mi apostrofò con fare innocente, facendo volare la parte superiore della sua tenuta di combattimento esattamente ai miei piedi. Io non mi girai, piuttosto appoggiai entrambi i palmi sul mobile bar, abbandonandomici con tutto il peso. È ciò che accadde dopo che mi stupì maggiormente: dalla mia gola una risata fiorì come un regalo inatteso. Era rauca, bassa, vibrante forse perché non ridevo da tempi immemori, forse perché anch'essa temeva di venir fuori. Cerere aveva compiuto una specie di miracolo anche se forse non se ne rendeva conto.
    Solo quando udì l’acqua scorrere nella doccia mi azzardai a voltare lo sguardo prima sui vestiti abbandonati sul pavimento lucido e poi verso il corridoio che portava alla toilette.
    Scossi il capo, quella ragazza rappresentava un portale spalancato sul mio inferno personale, ma mi resi conto proprio in quell'attimo che non l’avrei richiuso… non sapevo a quali conseguenze avrebbe portato questa mia decisione, ma mi sarei preparato ad affrontarle.
    Quando iniziò a canticchiare una melodia nella sua lingua madre e con una voce incantevole compresi anche che era giunto il momento di uscire da lì. Era meglio lottare contro una tentazione ad armi pari, per ora lei era certamente in vantaggio e io non ero solito lasciare il vantaggio al nemico.
    Arrivai a metà corridoio e portai una mano alla bocca: solo allora mi resi conto che stavo ancora sorridendo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 16/3/2020, 19:41
     
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