Present Day #2020: Abstergo

Season 5

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    Annarita
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    :Liam:
    L'Abstergo era diventato il mio regno. Mi muovevo per i corridoi sicuro come un gatto randagio che marca il proprio territorio e ne diventa il padrone assoluto. Ed io di randagi me ne intendevo.
    Ero diventato un fuggitivo molto prima che i Devianti proclamassero il loro Impero, solo che all'epoca fuggivo da genitori asfissianti e da un fratello maggiore maniaco del controllo. Intendiamoci, non ho mai avuto problemi con l’autorità e le regole, al contrario, amavo l'ordine e la giustizia ma… come si dice, “ogni eccesso è difetto” e così era a casa Winkler: “amavano” troppo, controllavano troppo, pretendevano troppo. E a un certo punto della mia vita mi sono reso conto che Liam stava bene solo con Liam. Mi ero creato un bozzolo in cui stare al sicuro, dove avevano accesso solo bestiole ferite e libri su libri. Tuttavia, col tempo anche questo bozzolo venne distrutto e tutto il mio mondo – per quanto angusto e fragile fosse – crollò. Mi ritrovai allora con una natura immonda da dover tenere a bada e uno stuolo di controllori dell'Impero alle calcagna: non potevano permettere che il fratello minore del Kaiser girasse indisturbato per le città arrecando disonore alla gloriosa stirpe.
    C’era però un minuscolo dettaglio che non era stato tenuto in considerazione: la volontà di Liam Winkler. Volontà che io stesso non potevo ignorare per ovvie ragioni di orgoglio…
    È lunga la storia che mi ha portato qui, in una prigione direttamente comandata da Devianti al soldo del mio “rispettato” fratellone, cavia di scienziati in cerca di oscuri segreti celati nel DNA di ibridi dal nome illustre… nomi di Assassini famosi che avevano fatto la storia del Credo e della ribellione contro l'ingiustizia. Ed io ero qui perché per celarmi al mondo avevo deciso di acquisire il cognome di un mio antenato: O'Brien. Com’è grottesco il destino non trovate? Non sono neppure un ibrido! Oddio, sto delirando, quest'attesa mi sta friggendo il cervello… Mi passai una mano tra i capelli, un po' per scacciare la stanchezza un po' per esorcizzare quei ricordi che mi opprimevano al pari di un macigno. Il fatto però restava: fra tutti i prigionieri dell'Abstergo ero certamente colui che avrebbe fatto più gola ai vertici attualmente al potere, ma non certo per i motivi che si potrebbero immaginare! Per questa ragione il nostro piano per fuggire da qui doveva funzionare e non poteva subire ritardi, ne andava della mia esistenza ma, soprattutto, ci avrebbero rimesso degli innocenti. Tali consideravo i ragazzi che si erano uniti a me in una crociata contro il potere assoluto e dispotico dei Devianti, li avevo accecati con discorsi esaltanti che conquistano i cuori nobili e – per quanto ognuno con i propri pregi e difetti – tutti loro meritavano la libertà, non solo dalle catene dell'Abstergo, ma dal giogo dell'oppressione deviante.
    I Devianti erano i nostri nemici, ma per poterli sconfiggere dovevamo venire fuori da questo incubo… anche se per fare ciò saremmo stati costretti ad allearci con gli Originali.
    Le avevo provate tutte con loro: le minacce, l'aggressione, le parole, il ricatto, ma gli effetti generati erano stati disastrosi. I mentori si erano arroccati nei loro principi e i più “scapestrati” si erano ribellati in maniera “pratica”. I lividi che ne avevo ricavato stavano guarendo giusto adesso… Tutto ciò, però, mi aveva fatto capire che dovevo rischiare il tutto e per tutto, ora o mai più. I Devianti erano diventati sospettosi riguardo a questa faida, cominciavano a temere eventuali piani di fuga, dunque non avevamo più molto tempo: gli Originali andavano sistemati in un modo o nell'altro.
    Finalmente, l'obiettivo che stavo aspettando da minuti interminabili comparve nella Sala Comune. Jacob Frye era in compagnia della sorella, la quale sembrava lo stesse rimproverando per qualcosa. Scena non proprio nuova tra i due. Jacob aveva un aspetto orribile, era da poco uscito dalla cella punitiva in cui era stato rinchiuso molto più tempo del sottoscritto e di Kenway, ma anche questa non era una novità.
    “Chiedo pietà! Pietà per un povero affamato che desidera solo riempirsi la pancia…” lo sentii esclamare mentre si sedeva a un tavolo e scartava un panino sintetico recuperato chissà dove. Evie lo guardò esasperata prima di mettersi nella traiettoria di una delle telecamere: era vietato mangiare fuori orario, ma Frye non era mai stato bravo a seguire le regole, per questa ragione tra gli Originali avevo scelto proprio lui per attuare il mio piano.
    Mi avvicinai al duo con passo pesante, cosi che Evie mi sentisse arrivare e nessuno mi percepisse come una minaccia. Lei si girò di scatto e non mancò di fissarmi con occhi diffidenti, ma non parlò. Al contrario Jacob mi salutò a modo suo.
    “Ehi, testa di cazzo, non ti sono bastate e sei in cerca di un secondo giro?” Stava davvero sorridendo mentre mi minacciava, mangiando a grossi bocconi? Sì, ne ero sempre più convinto, era l'uomo giusto.
    "Non sono qui per soddisfare il tuo masochismo, Frye, sono venuto per proporvi un accordo!" La mia voce era calma e inespressiva, ma la mia mente lavorava frenetica in cerca di ogni dettaglio utile a capire come procedere, passo dopo passo. Jacob era imprevedibile, ma con la sorella vicino non avrebbe fatto colpi di testa, non cosi facilmente. Almeno lo speravo.
    “Vorresti forse dirmi che i Grigi si sono resi conto delle cazzate colossali compiute e cedono le armi?” Aveva finito il suo panino e si puliva le mani sulla divisa candida, sembrava nuova di zecca, quella di prima era di certo finita a brandelli in qualche cestino. Stimavo che anche questa non sarebbe durata molto.
    "I Grigi non cedono proprio nulla, ma ho capito che non vi toglierete di mezzo molto presto… ergo se voi mi dimostrerete la vostra lealtà, io potrei mettervi a parte dei nostri piani…"
    Jacob stava per mettersi a ridere ma Evie lo precedette, costringendomi a concentrarmi su di lei.
    “Perché mai dovremmo voler dimostrare lealtà a un essere immondo come te?” Mi guardava con un disprezzo tale che i suoi occhi si infiammarono trasformandosi in tizzoni ardenti. E diavolo, non sapeva quanto avesse ragione a definirmi in quel mondo, ma non era questo il punto. Non era certo il momento di fare gli schizzinosi.
    ”Molto semplice, perché qui dentro non ci guadagniamo nessuno a farci la guerra se non i Devianti stessi. Quindi, se capisco di potermi fidare di voi, potremmo lavorare assieme per uscire da qui e fargliela pagare.” Non potevo concedere oltre, ma vidi Jacob tornare finalmente serio ed Evie avvicinarsi di un passo, minacciosa: avevo attirato la loro attenzione. Ottimo.
    “Vacci piano Evie. E cosa dovremmo fare esattamente per guadagnarci questo inestimabile premio?” Jacob andò subito al sodo e non si scompose neppure quando la sorella lo fulminò letteralmente con lo sguardo. Era raro assistere a una scena del genere: il pazzo Frye che redarguiva la gemella e cercava la via del dialogo?
    ”Semplice. Dovete uccidere un Deviante, quello di guardia alla porta d'ingresso per essere precisi.” La sorpresa sui loro volti era comprensibile, ma non gli diedi il tempo di replicare. ”Non avete molto tempo, vi conviene darvi una mossa…” Il mio volto era fatto di cera e non tradiva alcun segno di autocompiacimento, questo doveva disorientarli, ma non impedì ad Evie di sputarmi addosso la sua risposta proprio mentre mi accingevo ad andare via. Al contrario del fratello, che mi fissava in silenzio con un sorrisetto inquietante.
    “Va’ all’inferno O’Brien!” E a quel punto sorrisi anche io, anche se con sarcasmo, prima di risponderle.
    ”Non te ne sei accorta, Assassina? Ci siamo già, tutti quanti!” E li lasciai soli a decidere se era più importante la vita di un Deviante o la nostra libertà.


    Edited by KillerCreed - 4/3/2020, 20:05
     
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    Roberta
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    :Evie:
    “No, ti prego, non di nuovo!” pensai esasperata, vedendo mio fratello Jacob uscire di soppiatto dalla mensa, guardandosi le spalle al pari di un ladro provetto, con un panino confezionato tra le mani. Lo rispose in tasca come se fosse il più prezioso dei bottini. Mi affiancai a lui: “Che diavolo stai combinando?” lo redarguii, mentre raggiungevamo la Sala Comune. Era appena venuto fuori da una delle “soste punitive” che ci riservavano qui all’Abstergo, se non rigavi dritto. E, ahimè, era più che ovvio constatare che il nome Jacob non facesse affatto rima con la frase “rigare dritto”. Era sempre immischiato in qualche guaio insieme ai suoi “seguaci”, in una rissa che metteva su per ribellione, o per provocare le guardie o semplicemente per scacciare la noia delle lunghe giornate rinchiusi in questo maledetto posto. Lui non cambiava mai. Fin da quando eravamo bambini siamo sempre stati molto diversi. Gemelli? Solo perché eravamo nati dalla stessa madre e lo stesso giorno. Anche di aspetto non ci somigliavamo molto, io gli occhi blu, lui scuri, io un tappeto di lentiggini sul volto – ah, quanto le odiavo! – e lui candido come la neve. Per non parlare del carattere: eravamo agli antipodi, il sole e la luna. Avevo sempre odiato il suo fare scanzonato e menefreghista. Pareva non volesse mai prendere nulla sul serio e questo mi faceva impazzire. Io avevo dato sempre il massimo per raggiungere i miei obiettivi, e per il fatto di essere una donna, diventare un’Assassina era stato doppiamente arduo: avevo dovuto lavorare il doppio, sudare il doppio e spaccarmi la schiena più di tutti gli altri, perché dovevo essere all’altezza, perché dovevo dimostrare ai miei compagni che con me al loro fianco non avrebbero mai avuto nulla da temere. Di me si potevano fidare, non avevo niente da invidiare agli altri Assassini di sesso maschile. Mio fratello… beh lui aveva il Credo nel sangue, proprio come me, c’era solo qualcosa che non quadrava nelle metodiche che utilizzava. Lavorare nell’ombra, passare inosservati per portare a termine le missioni con il minor marasma possibile per lui era pura utopia. Jake preferiva fare a botte e risolvere i problemi a muso duro. Ecco: lo stesso obiettivo con percorsi differenti.
    Nonostante tutto però, era mio fratello e non lo avrei mai abbandonato, ero sempre al suo fianco a bacchettarlo, però poi sempre coprirlo e tentare di risolvere i guai in cui si cacciava, la maggior parte delle volte, volontariamente e ben conscio delle conseguenze.
    Mai in questo luogo, tra le grinfie dei nostri nemici Devianti, non era affatto semplice perpetrare quanto mi ero ripromessa. Jacob non perdeva occasione per attaccare briga e io, molto spesso non potevo intervenire per evitargli le “punizioni esemplari” che gli riservavano… praticamente sempre!
    Giungemmo alla Sala Comune e lui, sedendosi pesantemente a un tavolo esclamò: “Chiedo pietà! Pietà per un povero affamato che desidera solo riempirsi la pancia…” Potevo comprendere tutto il suo malessere. Era davvero malconcio, molto più rispetto alle volte precedenti. Ogni volta che lo rinchiudevano, le torture a cui lo sottoponevano, totalmente a digiuno per giunta, erano a dir poco disumane. Ma cosa avevano di umano questi parassiti?
    “Lo so che hai fame” replicai, facendo un passo verso sinistra e posizionandomi esattamente tra lui e una telecamera posta alle mie spalle. Mangiare fuori dagli orari stabiliti era proibito e, in quel caso, dopo quanto aveva sopportato, non avrei lasciato che lo punissero di nuovo. “Ma questa volta, tu e Edward l’avete combinata davvero grossa. Cosa ti aspettavi che facessero? Che ti dessero un premio per Mr. Simpatia? Poi, non capisco perché quando che ti portano via, ti trattengono più di tutti gli altri. Che diamine hanno in quella loro mente malata?!” Ecco che lo rifacevo: stavo parlando a raffica. Mi succedeva sempre quando mi facevo prendere dalla collera, ma davvero c’era qualcosa che non mi quadrava e Jake non era intenzionato a parlarmene. Se ne stava lì a divorare il suo panino, con fare non curante, fino a che non lo vidi alzare lo sguardo e percepii distintamente una presenza incombere alle mie spalle, sebbene non fosse minacciosa. Mi voltai di scatto: Liam O’Brien era davanti a me, tronfio e sicuro di sé, come sempre. Alto, più di me, nonostante io non mi potessi considerare nella categoria “basse”. Spalle larghe e braccia conserte. Il suo fare autoritario e magnetico traspariva da ogni poro, ma neanche lui aveva un bell’aspetto. La rissa di qualche giorno prima non gli aveva risparmiato lividi e contusioni. Ghignai soddisfatta, anche se una piccolissima parte di me, non poté non notare i danni che il lavoretto ben fatto di Edward aveva arrecato al naso perfetto del capo dei Grigi. Forse gli sarebbe rimasta anche una cicatrice. “Ma a che diavolo stai pensando? Stai divagando, Evie!” mi ammonii mentalmente e tornai subito alla conversazione in atto.
    "I Grigi non cedono proprio nulla, ma ho capito che non vi toglierete di mezzo molto presto… ergo se voi mi dimostrerete la vostra lealtà, io potrei mettervi a parte dei nostri piani…"
    “Ma sentilo! pensai, mentre la collera iniziava a serpeggiare nelle mie vene. Dopo tutti gli agguati che ci avevano teso e i guai che ci avevano causato solo per il semplice fatto che esistiamo, aveva pure il coraggio di dettare legge e porre condizioni. Lo odiavo!
    “Perché mai dovremmo voler dimostrare lealtà a un essere immondo come te?” Il mio sguardo lanciava fiamme e avrei voluto incenerirlo sul serio, compreso il suo dannato naso “una tempo” perfetto.
    “Molto semplice, perché qui dentro non ci guadagniamo nessuno a farci la guerra se non i Devianti stessi. Quindi, se capisco di potermi fidare di voi, potremmo lavorare assieme per uscire da qui e fargliela pagare.” Parlava con sicurezza, come se avesse davvero un piano perfetto per fuggire. Avremmo dovuto credergli? Dopo tutte le angherie che ci aveva gentilmente concesso? Mi avvicinai con fare minaccioso. Non mi fidavo di lui. Una strana sensazione mi diceva che non c’era da aspettarsi nulla di buono. Ne abbi la conferma quando il leader dei Grigi rispose alla legittima domanda di mio fratello su quale fosse la loro richiesta:
    “Semplice. Dovete uccidere un Deviante, quello di guardia alla porta d'ingresso per essere precisi. Non avete molto tempo, vi conviene darvi una mossa…”
    Quella frase mi aveva gelato il sangue nelle vene e mi lasciò pietrificata in un primo momento. Perché mai avremmo dovuto uccidere a sangue freddo un uomo? Vero, forse non era proprio un essere umano, e faceva parte della schiera dei nemici, ma era una guardia che eseguiva gli ordini… che diritto avevamo noi di togliere la vita ad un altro individuo solo per dimostrare lealtà a colui che ci aveva solo creato problemi?
    […]
    “Non dirmi che vuoi davvero scendere a patti con quei pazzi scatenati?!” sbottai, sempre più esasperata dal suo atteggiamento così cocciuto.
    “Ma non capisci? Solo in questo modo possiamo tentare di capire cosa hanno in mente. È chiaro come la luce del sole che hanno un piano per fuggire da questa prigione e mi sembra inutile stare qui a farci la guerra senza risolvere un cazzo!” Aveva sostituito la sua solita espressione beffarda con una mortalmente seria, che di rado gli vedevo sfoggiare.
    “Ok, ho capito il tuo ragionamento e in teoria non fa una piega, ma ti hanno chiesto di uccidere una persona! Che diamine di dimostrazione di lealtà sarebbe?” sbottai allarmata dal fatto che lui prendesse anche solo in considerazione una simile possibilità.
    “È un Deviante, Evie. Un fottuto nemico! Ti ricordo che ci tengono prigionieri in questo buco. Il mondo non ne risentirà, credimi!” rispose impassibile.
    “Pensi che sia un piccolo prezzo da pagare? Allora parliamone con i Mentori. Bayek, Altair e gli altri avranno anche loro un’opinione, no? Discutiamone e vediamo cos’è più importante e soprattutto se c’è un altro modo per risolvere la questione. Possibilmente, senza spargimenti di sangue” dissi convinta.
    “Sei la solita visionaria…”
    Forse lo ero… ero un’Assassina e pensavo a come potevo risparmiare una vita. Ma il mio Credo non mi consentiva di uccidere a sangue freddo e per convenienza. Uccidevo i malvagi e in difesa dei più poveri e disagiati. Non sarei mai venuta a patti con i miei nemici. Ma come avrei dovuto considerare i Grigi? Nemici o alleati? Intanto Jacob continuava la sua arringa.
    “Non credo proprio che gli altri sarebbero d’accordo con questa cosa, già me li immagino blaterare più di te. Porterò i risultati e poi vedremo… io non voglio rinunciare a quelle dannate informazioni. Voglio sapere cosa stanno tramando, e soprattutto se c’è una possibilità per noi di andarcene finalmente da questa fogna patinata e scintillante”.
    “Anche io voglio uscire da qui. Ma non alle loro condizioni! Dobbiamo saperne di più su questa guardia, capire se ha scheletri nell’armadio o punti deboli. Noi non uccidiamo a occhi chiusi!” dissi di rimando.
    “Questo significa che stai dalla mia parte?” mi chiese Jacob, con il suo sorrisetto strafottente di nuovo stampato in volto.
    “Non posso fingere di non aver sentito nulla e permettere che ti lanci in questa follia da solo. Faremo ciò che dobbiamo, ma questa volta a modo mio! Intesi?”
    Non vedevo altra soluzione. Dovevamo fare di tutto per ricavare il massimo dei risultati con il minimo danno e non sarebbe stato affatto facile con una testa calda come mio fratello al mio fianco.
    All’improvviso, percepii distintamente una presenza incombente alle mie spalle, di nuovo. Questa volta non si trattava di O’Brien, ma di Bayek.
    “Evie, cosa succede? Non è raro vedervi discutere, ma è da fin troppo tempo che vi vedo confabulare qua giù!”
    Lo sguardo preoccupato del mio mentore mi trafisse al pari di una spada in mezzo al petto. Mentirgli sarebbe stato come sacrificare una parte di me stessa. Allo stesso tempo, però, dovevo proteggere Jacob e fare in modo che non venisse coinvolto nei loschi piani dei Grigi, e lo dovevo fare ad ogni costo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:28
     
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    Annarita
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    :Jacob:
    “Evie, cosa succede? Non è raro vedervi discutere, ma è da fin troppo tempo che vi vedo confabulare qua giù!”
    ”Cazzo! Ma perché è così complicato escogitare un piano per uccidere un merdoso Deviante?” Evie non avrebbe mai mentito a Bayek, così come lui avrebbe subito intuito la sua bugia. Al contrario, chi meglio di me poteva recitare e sviare questo spinoso discorso. Mi scambiai un’occhiata con mia sorella, della quale neppure l’attento Mentore avrebbe potuto accorgersi – c’erano cose che esistevano sono nel modo dei fratelli gemelli! –, per avvisarla che ci avrei pensato io. Vidi veleggiare il terrore nei suoi occhi, non era solita “affidarmi” faccende da risolvere, a maggior ragione se si trattavano di rapporti interpersonali e di fiducia.
    Sbottai interiormente: sorella di poca fede!
    “Che cosa vuoi che stia succedendo? Mi fa la solita ramanzina… ma questa volta con il rincaro dovuto al lungo tempo in cui siamo stati lontani! ‘Jake, non si mangia fuori orario’, vorrei vedere lei cosa farebbe se rimanesse a digiuno per settimane; ‘Jacob, c’è la telecamera’, ma vah, tutto questo posto ne è disseminato! ‘Jake, ti farai ammazzare se continui così!’, come se fosse possibile fare altro per combattere la noia in cui affogo qui dentro! Insomma, come vedi, nulla di nuovo. Adesso credo che andrò a riposare un po’, sono esausto e ancora affamato… ma, Evie, se vuoi puoi venire con me, così se continuassi con la tua strigliata sono certo che mi addormenterei in tempi da record!” Le feci l’occhiolino e indirizzai a Bayek un sorriso sconsolato. Lui, dal suo canto, mi fissò con un’intensità che mi mise i brividi. Di certo non aveva assistito all’incontro con O’Brien, altrimenti ci avrebbe fatto domande ben diverse, ma noi non gli avremmo concesso alcun beneficio del dubbio. Avevamo una missione da compiere!
    […]
    Evie era stata irremovibile: non avremmo ucciso a sangue freddo quell’individuo. Anche se il soggetto in questione era un Deviante che ci teneva prigionieri.
    ”Esegue solo degli ordini. Non può morire per questo!” La sua frase perentoria continuava a rigirarmi in testa, mentre attendevamo il momento buono per agire. Perché, ovviamente dovevamo complicarci sempre la vita per portare a termine un compito semplicissimo. Si era deciso – o meglio aveva deciso! – che avremmo fatto una ricerca nella scheda personale della guardia per scovare qualche punto debole, qualche scheletro nell’armadio che ci avrebbe dato un utile vantaggio.
    “Certo, come no! Se fosse un pedofilo lo troveremmo di certo scritto nel suo curriculum…” Era stata la mia sarcastica risposta, ma lo sguardo ammonitore che avevo ricevuto mi aveva fatto intendere che non era il caso di continuare a lamentarmi. Così avevo deciso che era comunque meglio di niente.
    Eravamo in fila per le docce, gli ultimi per l’esattezza e dovevamo agire prima che altri si mettessero in coda. Afferrai dalla tasca la mia preziosa fionda artigianale e, sfruttando un momentaneo punto cieco di una delle telecamere, feci saltare una serie di neon: quelli più utili a coprire la nostra fuga. Dopodiché tirai un calcio – non molto delicato – al sedere di un energumeno in mezzo al gruppo di prigionieri. Erano tutti disorientati per l’improvvisa mancanza di luce, quindi il mio gesto innocente diede il via a una scazzottata degna di questo nome. Rimpiansi il fatto di non poter partecipare, ma ero fiero di ciò che avevo causato. Sorrisi soddisfatto nell’oscurità, mentre Evie mi afferrava per un braccio e mi esortava a darmi una mossa: avevamo pochissimi minuti, tre al massimo cinque, prima che i “becchini” giungessero per riportare l’ordine.
    In appena un minuto arrivammo in biblioteca, un tempo record visto che avevamo dovuto sfruttare i famosi punti ciechi della videosorveglianza e distruggere altri neon per coprire le nostre azioni. Non avevo idea di come sarebbe stato spiegato questo “fenomeno”, ma al momento non me ne preoccupavo, di certo ci eravamo preparati per non traccia del nostro passaggio e – anche di questo andavo particolarmente fiero! – eravamo dannatamente bravi.
    Sfruttammo l’orario di pulizia del settore, in cui tutte le serrature elettroniche venivano sbloccate per agevolare il lavoro degli inservienti. Così, raggiungemmo la postazione pc più isolata, lontano da orecchie e occhi indiscreti. Con una manovra degna di un fantasma, Evie aveva direzionato diversamente le telecamere presenti (le stesse sarebbero tornate al loro posto, la speranza era che la rissa tenesse occupate un bel po’ di guardie e che la cosa sarebbe passata inosservata.).
    “E ora? Come pensi di entrare nel sistema super tecnologico dell’Impero Deviante?” Io non ero mai stato bravissimo con il linguaggio tecnologico, avevo sempre preferito pugni e armi come diversivi. Ma la secchiona di mia sorella cosa credete che facesse nel suo prezioso tempo libero? Leggeva e studiava. Che noia! Tuttavia, dovevo ammettere che in questo modo eravamo diventati… come dire… complementari: dove mancavo io compensava lei e viceversa. Anche se la seconda opzione si verificava molto di rado.
    ”Se la smettessi di blaterare forse potresti capirlo da te!” sibilò Evie con il suo tono tagliente, tipico di quando era concentrata al massimo.
    ”No, grazie, sorellina! Preferisco blaterare piuttosto che perdermi nelle tue diavolerie… Solo… datti una mossa, il tempo vola!” Ok, se avesse potuto mi avrebbe preso a sberle, ma sapeva che avevo ragione, perciò si limitò a sbuffare e a battere sulla tastiera con una velocità che reputavo davvero incredibile.
    I secondi si dilatarono trasformandosi in ore interminabili. Mi resi conto di stare sudando solo quando una goccia mi finì in un occhio bruciando da morire. Il respiro di Evie era pesante e la sua frustrazione era talmente pressante da farmi quasi impazzire. Era entrata nel sistema – solo il diavolo sapeva come! – ma la ricerca non stava portando i frutti sperati: gli stessi che io avevo detto che non avremmo trovato!!! Ma questo non lo avrei rimarcato in questo momento, ero strafottente ma tenevo alla mia vita… più o meno.
    “Tempo scaduto, Evie. Dobbiamo andare! La esortai quando i cinque minuti concessi come tempo massimo si esaurirono. Non potevamo rischiare oltre.
    “Dannazione! Qui non c’è niente di niente… Sembra una persona tranquilla, nemmeno una nota di richiamo o una qualsiasi macchia nella sua scheda di servizio!”
    “Ne discutiamo dopo, che ne dici? Adesso, filiamo!” La riscossi malamente dai suoi pensieri afferrandola per le spalle e costringendola a chiudere di fretta tutte le finestre che aveva aperto.
    Una volta cancellate tutte le nostre tracce ripercorremmo la strada a ritroso, raggiungendo il luogo della rissa come se volessimo semplicemente farci una doccia. I Devianti – tra i quali riconobbi anche il nostro target – avevano già sedato i rivoltosi con mezzi molto poco ortodossi… Il sangue che gocciolava dai loro manganelli ne era la prova sacrosanta.
    “Credi davvero che valga la pena rischiare il culo solo perché non vuoi uccidere uno schifoso Deviante a sangue freddo?” La mia domanda restò senza risposta e sapevo con assoluta certezza che in lei qualcosa aveva vacillato, ma ero altrettanto certo che le sue convinzioni non sarebbero crollate del tutto al primo soffio di vento. Speravo che il tempo a nostra disposizione non scadesse troppo in fretta… non avremmo avuto nuove occasioni per scoprire qualcosa di più sul piano dei Grigi. E io, al di là delle scelte di Evie, non avevo intenzione di fallire.
     
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    Respiravo a fatica, perle di sudore decoravano le tempie e crollavano giù lungo la guancia e verso il collo. Strinsi le palpebre con forza per scacciare la familiare sensazione di vertigine, ma mi ricordai che avrei solo peggiorato le cose solo quando un conato si affacciò alla bocca dello stomaco. Mi aggrappai al lavabo di ceramica della piccola cella che condividevo con Emir. Lui non c’era… per fortuna. Mostrarsi debole di fronte ai ragazzi era degradante, avrei preferito una coltellata nel cuore piuttosto che permettergli una visione del genere. Solo Yulia conosceva il mio vero segreto, solo lei aveva assistito a scene ben più raccapriccianti e la consideravo un’eroina per non essere fuggita via a gambe levate. In fondo, li incitavo a combattere contro l’Impero Deviante… come avrebbero reagito gli altri se avessero saputo che il loro leader era uno di loro? O quasi. Fino a quando il mio corpo me ne avrebbe data la possibilità, avrei cercato una cura, avrei provato a distruggere il male che mi scorreva nelle vene. In silenzio, nel buio della notte, da solo.
    Tuttavia, questa crisi non troppo violenta, durata appena qualche minuto, era un campanello di allarme: il countdown si era fatto più rapido. Non mi restava molto tempo prima che il mostro reclamasse la luce, dovevamo uscire da questa maledetta prigione e recuperare dell’altro siero. Il tempo dei giochi era finito e per questa ragione avevo deciso di arrivare al dunque con gli Originali, ero stanco di aspettare, non potevo più farlo!
    Odiavo dipendere da ogni cosa tranne che dalla mia volontà e giurai a me stesso che questa storia sarebbe finita presto, molto presto.
    […]
    “Mi sembrava di essere stato chiaro. Non avete tutta la vita per portare a termine la missione. Uccidete quel pezzo di merda e facciamola finita!” La voce era venuta fuori rauca, complice il tono basso obbligato vista la sala mensa affollata. Jacob Frye non era nei paraggi, avrei preferito parlare con lui in realtà. Avevo capito che non era il gemello a creare difficoltà per il compimento dell’omicidio. Tuttavia, una resa dei conti con la sorella avrebbe forse portato maggiori frutti: aveva bisogno di un quadro d’insieme più chiaro ed io ero pronto a fornirglielo.
    Evie Frye mi fissò con i suoi occhi che parevano fatti di oro liquido. Il fastidio e il disprezzo ben impressi nell’espressione della bocca e della mascella. Con un’abile manovra l’avevo costretta in un angolo della mensa, ben nascosto a sguardi poco attenti e a telecamere invadenti.
    Con il tempo avevo imparato a conoscere tutti i punti ciechi della struttura, dovevi padroneggiarli a dovere se volevi escogitare un qualsiasi piano in sordina.
    Ovviamente, l’Assassina non aveva gradito quella piccola trappola, ma la cosa non mi sfiorava neppure. Dovevo arrivare al dunque e il tempo – l’avrete già capito – non era il mio migliore fan. Le ero praticamente addosso, più alto di lei torreggiavo con la mia mole ma non per questo vidi il timore ombreggiare il suo sguardo. Una temeraria, una visionaria, una dispensatrice di sogni e giustizia: ecco chi era Evie Frye. Ma non avevo bisogno di rettitudine e giustizia in questo dannato momento…
    “È pulito, O’Brien. Non uccidiamo innocenti a sangue freddo!” Le sue parole, benché meno convinte di quanto avessi immaginato, mi fecero infuriare.
    “Ancora con questa storia degli innocenti. Qui dentro nessuno lo è, né tu né io. Figuriamoci un Deviante che gode nel prenderci a colpi di manganello trattandoci come bestie da macello.” Parlai in un sibilo, un pugno serrato appoggiato alla parete accanto al suo volto. Mi aspettavo l’ennesima reazione, che però non arrivò. Forse qualcosa stava vacillando. Lo speravo. “Dovete portare a termine il lavoro entro domani, oppure l’accordo salta!” decretai con un tono che nulla aveva di conciliante. La minaccia era velata e stava facendo innervosire la mia interlocutrice. Prima che potesse reagire in qualsiasi modo mi scostai appena e le presi una mano. Evie fece per tirarla via, ma io la tenni con forza, prolungando la pressione oltre il necessario. Un attimo di troppo oltre il necessario. Poi le feci scivolare nel palmo una lama artigianale. L’arma con cui avrebbero dovuto compiere l’omicidio.
    “Che Dio ti perdoni…” Il suo sussurro mi lasciò attonito, come se mi fosse arrivato uno schiaffo in pieno viso. Cosa diavolo significava? E perché continuava a fissarmi con quelle lame affilate al posto degli occhi? La guardai di rimando, le braccia adesso abbandonate lungo i fianchi.
    “Dio non esiste, ciò per cui combatti non esiste. La vita è il nostro inferno e i Devianti sono i demoni da combattere. Prima lo capirete e prima usciremo da qui…” E prima io potrò tornare ad essere libero da questo martirio. Non lo dissi ad alta voce, ma qualcosa nella mia espressione doveva averle trasmesso qualcosa di troppo.
    Me ne andai il secondo successivo, non volevo indagare oltre, non volevo rivelare oltre. Liam O’Brien stava bene dove stava: nel suo cantuccio di nera solitudine.
     
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    Roberta
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    “Dovete portare a termine il lavoro entro domani, oppure l’accordo salta!” La sua voce affilata mi entrò dentro al pari di una lama d’acciaio temperato. Come diavolo dovevo dirglielo? Quante lingue avrei dovuto usare per fargli capire che non eravamo meri assassini mercenari? Di sicuro avevano mirato a Jake perché lui era il più folle e il più impulsivo, ma con me non attaccava, non avrei mai accettato le loro condizioni. Avevamo anche fatto delle ricerche per tentare di scoprire qualcosa di losco che avrebbe mantenuto limpida la mia coscienza, ma non avevamo trovato nulla. Era una semplice guardia con la sola colpa di essersi appena trasformato in Deviante. Aveva moglie e una figlia. Con quale coraggio avrei potuto portare via un padre e un marito alla sua famiglia?
    O’Brien, però, sembrava così cocciuto e determinato. Non voleva in alcun modo mollare la presa su questa faccenda. Incombeva su di me, torreggiando. Non lo avevo ancora steso, sottraendomi alla sua morsa di carne e ossa, solo perché non volevo attirare troppo l’attenzione su di noi, altrimenti avrei potuto mettere in allarme i Mentori o ancora peggio le guardie Devianti. O forse c’era dell’altro? Nonostante le sue parole fossero di ghiaccio e i miei pensieri letali nei suoi confronti, il caldo che sentivo sotto pelle era del tutto anormale. Era un fuoco che non sapevo bene spiegare, tossico per i miei pensieri e i miei propositi e soprattutto per il mio cuore che non aveva smesso un solo attimo di galoppare. “Lo poteva sentire anche lui? Che cosa ne avrebbe dedotto?” Sarebbe stata una catastrofe. Dovevo tirarmi fuori da quella condizione assurda che mi teneva imprigionata corpo e mente.
    Quando stavo per divincolarmi, lui mi prese una mano ed io sussultai d’istinto tentando di tirarla via, ma mi fu impossibile, una superficie fredda e affilata fece pressione sul mio palmo e ridussi l’attrito per evitare di tagliarmi. Un lampo di consapevolezza mi attraversò e la rassegnazione fece capolino tra petto e anima.
    “Che Dio ti perdoni…” dissi con un filo di voce. Senza più speranze di avere un dialogo con lui. Aveva in mente solo il suo obiettivo ed io, noi saremmo dovuti essere il suo braccio armato. Notai una strana espressione nei suoi occhi grigio-azzurri. Cos’era quello? Smarrimento? Stupore? Non ne avevo idea, ma la sua risposta non tardò ad arrivare.
    “Dio non esiste, ciò per cui combatti non esiste. La vita è il nostro inferno e i Devianti sono i demoni da combattere. Prima lo capirete e prima usciremo da qui…” Ciò che disse mi trasmise una grande tristezza, credo fosse proprio la sua sofferenza. C’era qualcosa di più profondo. Ero certa che tutta la sua motivazione, la sua determinazione a voler uscire da questa fogna, non fossero esclusivamente volte a ritrovare la libertà perduta. C’era qualcos’altro sotto, che lo aveva indotto a provare un odio tanto autentico, ad adottare tanta violenza. Noi eravamo Assassini, vero; e non eravamo certo dei santi, ma lui, in quanto leader dei Grigi aveva coniato e trasmesso al suo gruppo un Credo che non ammetteva pietà, che non si avvaleva di mezzi termini o mezze misure. Non si trattava però di semplice malvagità o pura crudeltà fine a se stessa. Il suo sguardo tempestoso, pochi attimi prima che andasse via, mi aveva comunicato solo un immenso dolore sepolto tra le pieghe della sua anima. Mi stavo forse illudendo? Ormai mi chiamavano “La visionaria”, non mi sarei stupita di prendere un abbaglio, ma non ci volevo credere. Ero certa che il mio istinto non stava affatto fallendo.
    […]
    Gli ingranaggi del mio cervello lavoravano frenetici in cerca di una soluzione. Era fuori discussione parlare con Jake dell’incontro avuto con Liam e ancora meno gli avrei confessato di avere un’arma artigianale nella tasca della tuta. Solo poche ore prima avevamo discusso ferocemente. Jacob non ci stava a perdere delle preziose informazioni, utili per la salvezza di tutti noi, solo per evitare di uccidere un Deviante, un nemico, “un demone dell’Inferno” per ricalcare le parole che aveva usato Liam per identificarli.
    Io ancora avevo dei forti dubbi. Non volevo macchiarmi di sangue le mani per assecondare un mio tornaconto e ancor peggio per dimostrare lealtà a coloro che più ci avevano vessato da quando eravamo giunti nella struttura.
    All’improvviso un piano aveva iniziato a profilarsi all’orizzonte della mia mente diabolica. Ne vagliai ogni dettaglio e ogni possibile alternativa per via di inconvenienti del momento. Dovevo entrare in azione il più in fretta possibile. Al massimo entro questa stessa sera. Jacob doveva restarne fuori, non avrei retto un ennesimo scontro con lui. Era difficile ragionarci quando era preso dalla collera e da pressioni contingenti.
    “Mi dispiace fratellino, questa volta farò tutto da sola, e ovviamente a modo mio!”
    […]
    Il momento del controllo cella mi era sembrato quello ideale per intraprendere un primo approccio con il mio obiettivo: la guardia designata. Sapevo che era lui che si occupava del mio settore e subito dopo di quello di Jake. Probabilmente, non era stato un caso che i Grigi avessero scelto proprio lui, uno tra coloro con cui eravamo più a contatto durante la giornata.
    Con un espediente banalissimo avevo fatto in modo che la mia compagna di cella si intrattenesse più del dovuto alle docce. Ero riuscita a trafugare dalla borsa da bagno di una delle guardie donna, un flaconcino di balsamo per capelli. La ragazza mi aveva abbracciata entusiasta. Bastava davvero poco per rendere felice una donna prigioniera e con nessun oggetto adibito alla propria cura personale, al di là del minimo indispensabile. Dunque ero sola e potevo agire indisturbata.
    La guardia giunse nella mia cella come da prassi e iniziò ad ispezionare il ristretto spazio in cui dormivamo in due. Non le diedi il tempo di notare l’assenza della mia compagna, che mi avvicinai a lui, lesta come un fulmine e misi la mia mano sulla sua, che era subito corsa ad afferrare il manganello assicurato alla cintura, proprio accanto alla pistola.
    “Non temere, non voglio farti del male” parlai a bassa voce. “Voglio solo aiutarti. So per certo che sei diventato un bersaglio qua dentro. Qualcuno ti vuole morto. Ti sto avvisando, perché sapendolo non ho nessuna intenzione di averti sulla coscienza. Vattene finché puoi!” Tentai di trasmettere in quelle poche parole tutta la pressante ansia che avevo in corpo. Speravo ardentemente che potesse bastare a convincerlo.
    Dopo che la guardia capì che non ero ostile, si rilassò continuando, però, a tenere la mano tra il manganello e la pistola, pronto a reagire.
    “Di che stai parlando, Assassina? Tu vorresti avvisarmi? E perché mai dovrei fidarmi di te e di ciò che dici?” Quella serie di domande mi era stata rivolta intrisa di una vena di sarcasmo che mi ferì più di quanto avrei voluto e dopo un solo attimo, la collera iniziò a farsi strada nel mio petto.
    “Ma che diamine hai nella testa, aria fritta? Ti sto facendo un favore, idiota!” replicai stizzita per la sua reazione.
    “Oh… ma davvero? Allora dovrei ringraziarvi, mia salvatrice!” continuò sulla stessa scia, deridendo il mio tentativo di salvargli la pellaccia. In quel particolare frangente, un lampo di esitazione mi attraversò. “Forse questo energumeno merita davvero la morte…” pensai esasperata. D’altro canto, avevo perfettamente previsto una simile replica da parte sua. Ero per lui un nemico. Chissà quali lavaggi del cervello avevo subìto e le notizie che aveva di noi Assassini non potevano essere affatto clementi.
    “Ti avverto per l’ultima volta, Deviante. La prossima non sarò così gentile! Vattene!” dissi a denti stretti. L’ira raschiava il mio petto, bramosa di venir fuori, ma io ero brava a contenere la parte di DNA che Jacob mi aveva gentilmente donato.
    “Voi Assassini siete solo la feccia che ha rovinato il mondo. Non mi fiderei mai di uno di voi!” concluse soddisfatto, senza neppure aver accennato a prendere in considerazione la minaccia che incombeva su di lui. Non sapevo se fosse davvero convinto di ciò che aveva detto, o se fosse solo terribilmente stupido.
    Scossi la testa rassegnata. Il tempo volava troppo rapido e non potevo rimanere lì a tentare all’infinito di far ragionare un cerebroleso con l’unica colpa di essere Deviante. Non era stato un buon acquisto per loro. Mi fece quasi pena.
    Ero pronta ad attuare il piano B. Era ovvio che ce l’avessi, visto il soggetto con cui avevo a che fare.
    Mi fiondai su di lui e lo presi alla sprovvista, lo addossai con forza alla parete e con un braccio sotto la gola lo immobilizzai per alcuni secondi. Non sarebbe durato a lungo, era più alto di me e forse anche più forte, ma non altrettanto abile. Il muro che accoglieva la sua schiena era il più lontano dall’angolazione delle riprese della telecamera di sorveglianza. Secondo i miei calcoli sarebbe riuscita a immortalare solo piccole porzioni dei nostri corpi, senza riuscire ad inquadrare neppure i nostri volti.
    Ancora stupito udì le mie parole sibilare nel suo orecchio.
    “Non mi lasci scelta, Deviante. Da quanto tempo non vedi la tua famiglia? Tua moglie, tua figlia di quattro anni… Non ti mancherebbero se passassi a miglior vita, proprio in questo istante?!” La mia voce era un sussurro condito di letale fatalità. Mi serviva solo un risultato, una reazione da parte sua, seppur minima. E poi io avrei fatto il resto…
    Convinto che lo avrei ammazzato come un cane e che sul serio non avrebbe visto più i suoi cari, si divincolò dalla mia morsa volutamente blanda e colto dal panico fece per prendere la pistola riposta nella fondina slacciata. Dettaglio che avevo già notato in precedenza. Sorrisi diabolica.
    “Esatto, era proprio quello che volevo, imbecille!” Ancora addossata a lui, per non essere ripresa dalla telecamera, con una mossa fulminea sfilai l’arma dalla sua mano, torcendogli il polso quel tanto da fargli perdere la presa e da non lasciare traccia di alcuna lesione. Gelida come il ghiaccio, e rapida come un pistolero dell’antico Far West, mirai l’arma contro il mio fianco sinistro e sparai. L’impatto a bruciapelo fu devastante per i miei sensi. Il dolore deflagrò con la stessa potenza di una granata.
    Resistetti con tutte le mie forze. Dovevo rimanere lucida. Avevo subìto ferite da arma da fuoco in altre occasioni, ma ogni volta potevo percepire sensazioni nuove, mai esplorate. In questo caso percepii in maniera distinta le fiamme, che stavano dilagando nel mio ventre, rischiando di arrivare al petto…
    La guardia afferrò la pistola, del tutto interdetta, boccheggiava inorridito e stupito insieme. “Piccolo idiota arrogante, sei caduto in trappola” pensai, sogghignando dentro di me. Quando i suoi compari sarebbero giunti, attirati dallo sparo, avrebbero scorto questa scena: lui armato e io ferita al suolo. L’abuso di potere era un motivo più che valido per essere trasferito. Loro potevano sedare risse o rivoltosi servendosi di manganelli e taser. L’uso della pistola era proibito se non strettamente necessario e il fatto che io fossi disarmata – avevo nascosto l’arma di Liam in un posto sicuro – provava ancor di più la sua colpevolezza. La mia versione sarebbe stata molto precisa e soprattutto ricca di particolari. Non avrebbe avuto scampo.
    Ormai accasciata al suolo, tamponavo come meglio potevo la ferita che sanguinava più di quanto avessi sperato. Erano passati solo pochi attimi dal momento dello sparo, e attendevo che da un momento all’altro spuntassero i colleghi dell’idiota a cui avevo voluto testardamente salvare la vita. Per un attimo mi chiesi ancora: Perché? Poi, vidi un volto, che proprio non mi aspettavo di scorgere: Liam era giunto e senza che me ne accorgessi aveva circondato con un braccio le mie spalle e appoggiato il mio capo al suo petto. Con la mano libera premeva con le mie direttamente sulla ferita.
    “Che cazzo hai combinato?!” mi ammonì ringhiando in un sussurro, in modo che la guardia, ancora pietrificata dal terrore, non potesse udirlo. “Non era questo il piano!” Come aveva capito ciò che avevo fatto? Mi stava seguendo? Era ovvio… voleva vedere quando mi sarei decisa ad agire… “Eccoti servito, O’Brien” pensai soddisfatta.
    Io lo guardai con occhi sereni, sebbene offuscati dalla debolezza che la perdita di sangue stava causando. Il calore del corpo di Liam in qualche modo mi confortava contro tutto il gelo che le mie membra provavano. Ma dove erano finiti i secondini? Erano passati secondi oppure ore? Avevo perso la cognizione del tempo.
    Sempre sussurrando risposi: “Per me la missione è compiuta, ho tolto di mezzo il vostro obiettivo senza dover uccidere a sangue freddo un povero diavolo. Dopo questa bravata sarà trasferito di sicuro. Quell’idiota mi fa solo pena…” dissi interrotta da un colpo di tosse.
    Lo udii imprecare, ma questa volta non distinsi bene le parole.
    Poi, un enorme fracasso e un sacco di gente ci circondò. Finalmente erano arrivati, così almeno potevano curarmi questa ferita che non faceva altro che sanguinare. Il proiettile era uscito, così come avevo voluto che succedesse, ma fidarsi dei tempi e delle capacità di reazione di quei bestioni era un’incognita impossibile da prevedere. Il fuoco aumentò e un gemito di sofferenza uscì involontario dalle mie labbra. Non volevo lamentarmi di fronte a Liam. Io non ero debole! Strinsi le labbra per contenere il dolore. Subito dopo O’ Brien imprecò urlando: “Volete darvi una mossa?! Cazzo!”
    Poi il buio mi avvolse e un solo pensiero attraversò le tenebre: il volto di Jacob. Avevo agito alle sue spalle, e… con un simile epilogo. Si sarebbe incazzato da morire e per una volta si sarebbe messo nei miei panni. “Non me la perdonerà mai…” pensai, ormai verso l’oblio dell’incoscienza.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 10:29
     
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    Annarita
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    :Jacob:
    Ero a dir poco furioso, mi tremavano le mani, il cuore galoppava nel petto come un cavallo imbizzarrito e – come se tutto ciò non fosse già sufficiente – una forte nausea disturbava la bocca del mio stomaco miseramente vuoto. Questo l’ultimo regalo della deviante più stronza che avessi mai conosciuto: aveva dato ordine di fornire al sottoscritto la metà del cibo rispetto agli altri prigionieri! Come se quello che mangiavo prima fosse un pasto da re… non era sufficiente per ritemprare le forze, non era sufficiente per restare lucido: i morsi della fame mi avrebbero portato alla pazzia e, con ogni probabilità, era proprio questo il suo scopo. Le mancavo già!
    Ma stavo divagando ed era normale quando una notizia sotto forma di deflagrazione distruggeva il sottile equilibrio in cui vivevo negli ultimi giorni tra l’ultimatum di O’Brien, una fame tremenda da tenere a bada e le continue liti con Evie… ed ecco che si arrivava alla notizia bomba.
    I miei passi erano pesanti, la fronte imperlata di sudore, le dita strette adesso in pugni serrati pronti a scattare nel caso qualcuno – guardia o meno – avesse osato sbarrarmi la strada. A quel punto, le telecamere non erano più un problema. Dovevo raggiungere l’infermeria e lo avrei fatto a passo di carro armato lanciato al massimo contro il nemico.
    Solo dieci minuti prima, Liam mi si era presentato con il suo solito pallore da brividi, gli occhi simili ad acciaio fuso e la tuta quasi interamente ricoperta di sangue: Evie “era stata ferita” dalla guardia che ci aveva ordinato di eliminare. Fare due più due quando c’era di mezzo “La visionaria” non era stato difficile, ma il racconto del Grigio mi chiarì ogni cosa e da qui l’esplosione della mia furia cieca mista a una preoccupazione bruciante che temevo avrebbe corroso le vene e le arterie dall’interno. Avevo scansato malamente O’Brien, mandandolo senza mezzi termini al diavolo, ma solo ora nel ricordare l’episodio mi resi conto che non aveva reagito in alcun modo, avevo avuto la sensazione di spostare un fantoccio di pezza senza alcuna consistenza se non quella fatta di cenci malmessi.
    “Arghhhh che situazione del cazzo! Ma adesso sì che mi sentirà quella testona che non è altro, quella traditrice di gemelli! Volevi salvare la situazione, la guardia, il mondo? Ecco il maledetto risultato… un fratello talmente incazzato che ti farà pentire di essere venuta al mondo!”
    Arrivare all’infermeria non era stato complicato, avevo steso una o due guardie senza che avessero la possibilità neppure di dire “a” o di tirar fuori il manganello. Dovevo scoprire il più possibile, prima che la punizione arrivasse puntuale a rovinare i miei piani. Solo in prossimità dell’entrata mi feci più cauto e solo quando feci capolino col capo oltre la soglia mi resi conto della calma piatta che vi regnava. Eppure, doveva esserci una paziente grave che doveva essere curata d’urgenza! Il dubbio che avrebbero potuto lasciarla morire senza fare nulla mi colpì come una mazzata in piena schiena. Perciò, decisi di trovarla e capire cosa diavolo stavano facendo per lei.
    Il mio ingresso non fu notato subito, alcune infermiere erano occupate nei cubicoli delimitati da divisori di cartongesso, in cui venivano ricoverati i prigionieri con i problemi più disparati. Diciamo che ero un assiduo frequentatore del “locale” e riuscì a muovermi senza problemi verso la sala in cui venivano curati i feriti più gravi, che fungeva da pseudo pronto soccorso. Ci arrivai dopo pochissimi minuti, pronto a menar le mani pur di avere le informazioni che bramavo… Qui incrociai una infermiera, deviante, non mi sarei fatto scrupoli ad atterrare anche lei con un pugno ben assestato al setto nasale. Fortunatamente, la tipa non sembrò voler fare resistenza. Con gli occhi che esprimevano terrore allo stato liquido, rispose ad ogni mia domanda e un primo strato di ansia evaporò dal cuore: Evie era in sala operatoria, ma non era in pericolo di vita. Rischiai di svenire sul posto per il sollievo e forse anche per l’improvvisa mancanza di forze… La deviante sembrava voler approfittare della mia distrazione per dileguarsi e chiamare rinforzi, ma il mio mancamento sembrò farla desistere. E io non opposi resistenza quando mi agganciò da un gomito – piccola com’era non avrebbe potuto aiutarmi neppure se lo avesse voluto, ma le lasciai credere tutto il contrario – e mi portò in uno dei cubicoli liberi per controllare i miei segni vitali. Anche se non previsto e anche un po’ recitato, mi sembrava un ottimo modo per “restare nei paraggi” in attesa di poter fare una lavata di capo epocale alla mia “cara” sorellina… la rabbia era sempre lì, un pizzico più ovattata, ma in attesa di esplodere di nuovo al momento opportuno. Non era lei che faceva le cazzate, non era lei che si prendeva le ramanzine, non era lei quella irresponsabile… ERO IO, dannazione!
    […]
    Le ore erano trascorse lente, troppo lente. Avevo consumato due o tre sacche di soluzione fisiologica e la mia “malnutrizione” aveva richiamato l’attenzione del medico di turno. Ma riuscite a immaginare un ragazzone di 186 centimetri, nel pieno della sua prestanza fisica, a vivere con un pasto che sfamerebbe appena un uccellino? Sai che scienziati! Ok, in questo preciso istante, il sarcasmo era l’unico modo che avevo per restare calmo. La punizione per l’aggressione alle guardie era stata con ogni probabilità rimandata, in fondo cosa si poteva ottenere da una cella punitiva se il prigioniero non era perfettamente in grado di rompere i cogl… ehm, di reagire agli stimoli? Improvvisamente, il volto di Moira mi si parò sotto le palpebre chiuse, le pupille ristrette a due semi di girasole nell’esatto istante in cui l’avevo baciata. L’avevo sorpresa, eccome, ma non era solo quello… il mio istinto mi diceva che quello era stato il primo vero bacio per la kaiserina. E questo da un lato mi aveva fatto gioire: rubare qualcosa di così prezioso (per una ragazzina s’intende!) era la giusta punizione alle torture che mi infliggeva con tanto ardore; dall’altro lato però, una punta di disagio faceva capolino a rovinare la mia sadica soddisfazione. Un disagio a cui non ero sicuro di quale nome dare… Le mie riflessioni vennero interrotte dallo spegnersi delle luci. Era arrivato il momento del riposo, mentre i colleghi si stavano di certo lasciando le consegne per la notte.
    In un lampo fui coi piedi per terra, strappai la flebo dal braccio e mi incamminai verso le degenze vere e proprie: ero certo che Evie riposava proprio in una di queste. Da alcune conversazioni origliate qui e lì, avevo saputo che l’operazione era andata bene e che si era già risvegliata dall’anestesia. Benissimo, se anche stesse ancora dormendo l’avrei risvegliata io con molto piacere.
    Il locale era silenzioso, i miei passi ovattati per la mancanza delle scarpe (se così potevano essere chiamate una specie di babbucce con la suola un po’ più rigida!), nella testa ben chiara la mappa del posto. Iniziai a esplorare la prima degenza, fortuna volle che fosse proprio quella che ospitava Evie. Mi infilai dentro giusto un secondo prima che alcune infermiere spuntassero nel corridoio.
    Rallentai improvvisamente. Il cuore pulsava proprio in gola. Avevo ripreso a tremare… ma non per la furia e né per la mancanza di forze: era la paura a farmi questo dannato effetto. Evie era bianca come un lenzuolo, le labbra trasparenti, il suo corpo quasi invisibile tra le lenzuola eppure non si poteva dire di piccola statura. Era atletica, scattante, veloce. Le sue mani erano capaci di mettere fuori combattimento avversari ben più grossi di lei con una facilità che mi aveva sempre lasciato strabiliato. Era più capace e abile di molti Assassini uomini che avevo conosciuto e io stesso non ero certo che sarei riuscito a batterla senza giocare sporco. Ma ora? Assomigliava a un batuffolo di cotone, troppo minuta per quel letto, troppo fragile ai miei occhi, per questo tremavo… la rabbia relegata a un cantuccio ormai dimenticato. Non che non avrei voluto strangolarla in questo momento, ma non mi sembrava proprio il caso di infierire proprio adesso che…
    “Dannazione Evie, dovevi per forza farmi venire un infarto per attirare la mia attenzione? Sai che non si dicono le bugie? Che non si mente al proprio gemello? Almeno… è strano, soprattutto se sei tu a farlo. Hai compiuto un’azione stupida, avventata, completamente inutile… degna del sottoscritto! Non ti vergogni nemmeno un po’?!” La voce era un semplice sussurro, ma le parole erano uscite fuori come un fiume in piena, guidate dall’apprensione e dalla consapevolezza che avrei potuto non pronunciale mai più.
    Fu solo quando Evie alzò le palpebre – anche se un po’ a fatica – e mi rivolse uno dei suoi sorrisi bonari, non troppo sorpresa di vedermi, che gli argini si ruppero sul serio e rischiai di soffocare.
    “Ti odio Evie, ti odio con tutto me stesso…” mormorai, mentre mi inginocchiavo al lato del letto e prendevo la sua mano nella mia. Appoggiai la fronte sul suo dorso e sfogai tutta la tensione e il terrore delle ultime ore. Calde lacrime bagnarono il mio viso e la sua pelle… “Meglio mi dissi, ”era gelata. Sto facendo una buona azione. Piango solo per questo. Sì, è così.”
    Sentii le sue dita tra i capelli e accettai quella carezza come un segno di scuse… a tempo debito gliele avrei fatte sputare anche con la forza! Ma ora… ora ero solo grato di quel tocco anche se troppo debole. Lo benedissi e lo feci entrare dentro di me. Per adesso me lo sarei fatto bastare.
     
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