Bayek & Ares Origins

Earth Prime

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    :Ares:
    "Non ti avrei mai fatta chiamare se non fosse stato imporante, ma lo è..." la voce di mia sorella era urgente, mentre rientrata a palazzo la guardavo scocciata.
    "Lo spero per te Iuventas! Ho molti affari di cui occuparmi e..."
    "Ho chiesto io a tua sorella di chiamarti!"
    "M-Madre? Cosa è successo? Mi devo preoccupare?" ma lei non mi disse nulla e mi esortò a seguirla. Ci stavamo dirigendo verso la parte degli ospiti del palazzo e fu proprio fuori ad una delle stanze che mi stupì di trovarci mio fratello, mio padre e... Aphrodite & Altair?
    "Qualcuno può dirmi cosa sta succedendo?" chiesi esasperata.
    "La Contessa Aphrodite è venuta a farci visita con suo marito..." e non mi mancò di notare in che modo disgustato ed infastidito mio padre lo avesse detto, ma proseguì "Hanno bisogno del nostro aiuto..."
    Stavo perdendo la pazienza. Odiavo le cose dette a metà e nessuno stava parlando chiaro per questo fui lieta che Aphrodite si facesse avanti e stringendomi le mani mi raccontò in modo sintetico, ma preciso cosa stava accadendo.
    "Si tratta di un Assassino. I Devianti hanno profanato la sua tomba e noi abbiamo salvato la sua mummia prima che la usassero per chissà quale esperimento. Abbiamo pensato di dargli una degna sepoltura, ma... avremmo corso il rischio che i Devianti lo avrebbero continuato a cercare e così..."
    "Avete usato il Pozzo di Lazzaro per riportarlo in vita!" conclusi. Lei, Athena e Nike passavano molto tempo sulla Terra, per forza maggiore, ma anche io mi consideravo un'amica degli Assassini e conoscevo quel loro segreto. Era stanto anche grazie a me che avevano compreso che per quanto le sue acque potessero donare salute e guarire le ferite, quando si trattava di morte la situazione diventava più delicata. Le acque potevano risvegliare il corpo, ma non l'anima. Solo noi marziani potevamo aiutare in quello essendo che i nostri sacerdoti erano gli unici a sapere leggere il Libro dei Morti.
    "Se fosse stato solo per questo non avrei mai accettato, tuttavia incredibilmente quest'essere" intervenne mio padre "per qualche strana ragione è stato scelto come Campione da un nostro Compagno Alato"
    "Com'è possibile? Non è Marziano..." osservai.
    "Ma è egizio!" disse con un tono di orgoglio mia madre. Erano dopotutto parenti suoi quelli che avevano tentanto di colonizzare la Terra per un periodo. Al che mio padre alzò gli occhi al cielo.
    "Ok... ok ed io in tutto questo cosa c'entro?"
    "Una volta sveglio sarà spaesato e Marte ricorda molto il suo mondo, ci chiedevamo se potete aiutarlo, per i primi tempi... sceglierà poi lui se tornare sulla Terra con gli Assassini o... rimanere qui..."


    :Bayek:
    Quando la mia morte era giunta me ne ero andato come avrei sempre voluto: combattendo. Ricordavo ancora che l'ultima cosa che vidi era il sole caldo della mia terra baciare la mia pelle scura e ferita, mentre chiudendo gli occhi attendevo il momento in cui mi sarei riunito con i miei cari.
    Esattamente come sapevo che sarebbe successo mi trovai ad affrontare la pesatura dell'anima senza credere o sperare di riuscire davvero a superare tale prova eppure una volta nella Sala delle due Maat ogni mia paura sembrò cessare. Lì Anubis prese il mio cuore e lo posò su un piatto, mentre sull'altro la piuma rappresentazione di verità e giustizia.
    Fu Thot a prendere nota dell'esito della pesatura e mentre io cercavo nei loro sguardi la risposta poco dopo le grandi porte alle loro spalle si aprirono ed Osiride sul suo trono mi invitò a seguirlo per poi accedere grazie a lui al Campo dei Giunchi.
    Ricordavo ancora che la prima cosa che vidi fu Khemu che mi corse incontro e lì vivemmo insieme per l'eternità tra campo solcati da ruscelli ove vivemmo arando, seminando e mietendo. Sempre attendemmo l'arrivo di Aya, ma mai accade e capì che non fu perchè era divenuta Immortale, ma perchè non aveva superato la pesatura del cuore. Questo mi pesò, non avrei voluto mai che la vendetta la consumasse al punto di perdere la sua umanità, ma dal giorno che aveva deciso di lasciarmi, di non combattere per la nostra famiglia che capì di averla persa.
    Si era trasformata in Amunet, la più grande Assassina conosciuta, colei che aveva fondato sulla mia idea un movimento di giustizia e lealtà, ma alla fine la violenza ed il sangue aveva avuto la meglio sulla sua anima.
    Nei campo Aaru era impossibile capire quanto tempo passasse e siccome avevo ormai dato per scontato della mia eternità lì, rimasi molto colpito quando un giorno il grande Osiride venne a cercarmi.
    Le sue parole mi colpirono più di ogni altra cosa perchè il suo cercarmi era dovuta ad una forza che riconobbe come figlia di una popolazione loro alleata che chiamava Prima Civilizzazione e mi disse che tale forza mi stava richiamando. In un primo momento mi sentì scosso e spaventato da ciò, ma fu Khemu con grandi stupore a darmi forza e fiducia. Mi disse che se il mondo aveva ancora bisogno di me, io non dovevo e non potevo rinunciare alla chiamata che lui sarebbe stato lì, sempre lì ad attendermi ed ora ne ero certo. Ora sapevo che così sarebbe stato. Osiride mi poggiò una mano sulla spalla e mi assicurò che mio figlio e i Campi Aaru sarebbero stati sempre lì ad aspettarmi.
    Non era stato facile, ma pensai che se il grande Dio stesso era venuto a cercarmi per chiedermi di rispondere a tale chiamata e mio figlio stesso mi invitava ad accoglierla, allora io non potevo tirarmi indietro. Fu strano, perchè era un tornare alla vita senza che io sapessi come ciò sarebbe potuto essere possibile. Mi aspettai di ritrovarmi nella tomba in cui ero stato sepolto a combattere contro le bende ed invece la sensazioni che ebbi fu di libertà e calore. Il luogo però non lo riconoscevo, era una stanza semibuia. L'unica grande finestra presente era in vetro colorato e creava un disegno di una specie di "A" che però non riconoscevo come effige. Cercai di mettermi a sedere, ma non fu facile perchè non sapevo quanto tempo avevo passato "morto" e dunque da quanto il mio corpo fosse "fermo". I muscoli erano indolenziti, ma la cosa che mi colpì più era rivedere la mia pelle sana. C'erano su di esso le mie solite cicatrici, ma nulla delle ferite che mi avevano ucciso. La pelle era tesa e perfino i muscoli erano ancora ben delineati e sviluppati. Ero solo e vestito solo di un qualcosa che mi copriva le gambe che mi incuriosì, non avevo mai visto indumenti di quel tipo e di quel materiale, mentre il dorso era nudo.
    Ancora steso mi guardai intorno cercando di far mente locale, ma sopratutto chiedendomi CHI mi avesse richiamato e PERCHE', certo delle loro buone intenzioni per via delle parole di Osiride, ma anche un po' ansioso... quanto tempo era passato? Che mondo avrei trovato oltre quella finestra?


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 12/4/2020, 10:26
     
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    No, no, e poi no! Ho un esercito da dirigere e un incarico da Guerriera da portare a termine.
    Era questo che avrei voluto dire, ma mi morsi la lingua pur di frenarmi.
    Nessuno dei due impegni era urgente, lo sapevo, ma non avevo voglia di sprecare tempo dietro ad un umano facendogli da guida turistica di Marte… ed ero abbastanza sicura che tutto questo mi si leggesse chiaramente in faccia, sicuramente Iuventas, Toth e Aphrodite l’avevano capito.
    Sospirai profondamente.
    “Va bene, me ne occuperò io.” dissi rassegnata. Vidi l’espressione di Aphrodite ed Altair rilassarsi leggermente.
    Come avrei mai potuto ignorare una richiesta d’aiuto da parte di Aphrodite?
    Inoltre tutta questa questione era decisamente delicata. C’erano i Devianti con i loro stramaledetti esperimenti di mezzo, quindi sapevo per certo che se quest’uomo fosse finito nelle loro grinfie gli Assassini avrebbero rischiato molto.
    E poi dovevo ammettere che ero incuriosita. Un nostro Compagno Alato l’aveva scelto come Campione, volevo capirne il motivo.
    Mio padre fece una smorfia contrariata, facendo un gesto secco per indicarci di seguirlo.
    Palesemente lui sperava rifiutassi… ed anche una parte di me lo sperava.

    (…)
    “Ma questo Assassino ha un nome?” chiesi ironica ad Altair mentre ci dirigevamo verso la stanza dove si trovava l’Assassino.
    “Si chiama Bayek di Siwa, ed è colui che ha creato la Confraternita.”
    “È il primo Assassino?” chiesi sconvolta, non mi aspettavo una rivelazione del genere.
    Altair annuì.
    “Fu lui a fondarla, se non sbaglio durante il regno dell’ultima Regina d’Egitto.”
    “Ah, quindi è originario dell’epoca tolemaica!” si intromise mia madre “quello fu un periodo di grande splendore per l’antico Egitto!”
    “Fu l’ultimo periodo di pseudo-splendore, prima che i Romani conquistassero tutto. Dopotutto i regnanti erano dei buoni a nulla, incapaci di portare avanti un Impero.” specificò mio padre.
    Si intuisce che fra le due famiglie non scorresse buon sangue, vero?
    “Non osare parlare male della mia famiglia, Crio.”
    “Euribia, non parlo male, è un dato di fatto! Erano dei boriosi, incompetenti, incapaci, montati ed inutili nobili quando erano qui su Marte. Sono andati sul pianeta proibito per riscattarsi e non sono durati nemmeno 4000 anni terrestri. Riassumendo, erano degli idioti!”
    “Crio! Taci o scoprirai chi sarà stasera l'idiota che dormirà sul divano!”
    “Smettetela!” esclamò Iuventas con le mani sui fianchi “Vi sembra il modo di comportarvi?”
    “Sembrate dei bambini.” dissi seria e lapidaria.
    “Concordo con loro.” continuò Toth, a braccia conserte e con uno sguardo che avrebbe potuto liquefare chiunque.
    Prima che chiunque potesse dire altro, un’aquila volò nella nostra direzione, per poi trasformarsi in una bellissima donna dalla carnagione scura.
    Mi feci avanti “Sei la Compagna Alata dell’Assassino, vero? Qual’è il tuo nome?”
    “Esatto. Il mio nome è Senu. Perdonate l’intromissione, ma volevo dirvi che Bayek si è svegliato.”
    Respirai profondamente. Il momento era giunto.
    “Fammi strada.”
    Senu annuii e ci incamminammo.
    “Aphrodite cara, ma questo Assassino com’è? È avvenente?”
    “Giusto madre, dicci tutto Aphrodite.”
    Eravamo lontane, ma riuscii lo stesso a sentire chiaramente mia madre e mia sorella.
    “Smettete di importunarla!” esclamai prima di voltare l’angolo.
    “Madre, Iuventas, per favore, ma vi sembra il caso?” Toth era rassegnato quanto me.

    (…)
    Ci siamo.
    Entrai nella stanza e lo trovai seduto mentre si guardava attorno confuso, molto confuso.
    Si accorse immediatamente della mia presenza e appena incrociò il mio sguardo accadde qualcosa che mi lasciò non poco interdetta. Lo vidi balzare in piedi per poi inchinarsi davanti a me.
    Ora quella confusa ero io.
    "Bayek di Siwa, capisco la tua confusione, ma puoi stare tranquillo..."gli dissi facendo un passo verso di lui.
    "Sekhmet, mia Grande Dea, siete stata Voi con il vostro potere immenso della guarigione a portarmi indietro?" mi chiese con rispetto e la testa bassa.
    Sekhmet? Mi ha preso per quella svitata di mia cugina. Mi sa che ci vorrà più tempo del previsto… che seccatura.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 30/3/2020, 23:18
     
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    :Bayek:
    Tornare dai Campi dei Giunti aveva un sapore agrodolce, perchè se da un lato avevo risposto con onore alla chiamata di Osiride dall'altra parte avevo dovuto accettare di separarmi dal mio amato Khemu. Lui stesso orgoglioso e sempre allegro mi aveva incitato ad andare ed ora osservavo il cielo rossastro del luogo in cui ero ripensando al suo giovine sorriso ed alla sua voglia di vita.
    Era stato doloroso in vita, accettare la separazione da Aya, ma ancor più lo era stato accettarla nell'oltretomba. Il suo cambiare nome, identità e cancellare ciò che era le aveva impedito di riunirsi a noi. Non esisteva un Amunet nella mia vita o quella di Khemu e dunque se da tale era porta non c'era spazio per lei con noi. Avevo chiesto mille e più volte ad Osiride dove fosse, pregandolo nella mia umile dimora, ma mai avevo ricevuto risposta.
    E così osservando la mia bellissima Senu volare chiudevo gli occhi godendomi dal suo punto di vista la bellezza di quel luogo, così simile a casa.
    “Cosa sta facendo?”
    “Non lo so. Passa le sue giornate così. In totale solitudine...”
    Poco lontano da me Iuventas era comparsa dal nulla con il suo cagnolone, non animale che ad un primo approccio mi aveva terrorizzato per la sua mole, ma che poi si era mostrato solo un cucciolone troppo cresciuto. Scorrazzava giocoso da un lato all'altro, ma aveva anche facoltà degni di un Dio dal parlare nella mente ad apparire e scomparire qui e là. La piccola Dea non se ne divideva mai, ma anche i suoi fratelli più grandi lo vezzeggiavano tra i rimproveri della Dea Maggiore e le prediche del Dio Maggiore.
    Non conoscevo i loro nomi, o meglio mi erano stati datti e non trovavano riscontro negli Dei che veneravo, ma mi era stato detto che questi erano strettamente legati a loro.
    “Secondo me è triste... lo pensa anche Lockjaw! Dice che gli manca la sua famiglia e che si sente in debito con noi... La sua riverenza è tale da non saper come approcciarci... io e lui concordiamo anche sul fatto che tu stia facendo un pessimo lavoro!”
    “Ehi!”
    “E' la verità. Guardarlo! Sembra un cano bastonato, senza offesa Lock!” ironizzò la piccola Dea guardando poi il cagnolone che le accarezzò il viso con il grande muso.
    “I-Io non so che fare ok? Non sono un sacerdote, io non so consolare... non capisco perchè mamma e papà abbiano voluto che ci pensassi io!”
    Non capì di cosa le due donne stessero discutendo, ma percepivo le loro voci lontane. Aprì gli occhi e mentre Senu tornava sul mio braccio, io mi voltai. La piccola come scottata scomparve con il suo cagnolone e la maggiore mi guardò in imbarazzo.
    Io dal canto mio sorrisi ed avanzai verso di lei con passo lento, ma sicuro. Senu appollaiata sul mio braccio non lasciava mai il mio fianco.l
    "Credo di essere per Voi un peso mia Dea, Vi ho costretto qui mentre Voi siete una Guerriera... posso chiederVi l'onore di servirVi? Ho pensato che non ho altro modo di ripagarVi per ciò che per me avete fatto se non questo. DonarVi la mia vita. MetterVi al Vostro servizio..." dissi con onore e reverenza. Il capo chino ed un pugno sul cuore.
     
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    Ero seriamente sfinita. Se avessi affrontato un allenamento intensivo e subito dopo combattuto una cruenta battaglia ero convinta che ne sarei uscita più rilassata e tranquilla di quanto fossi ora.
    Fare da balia a Bayek di Siwa era una seccatura. Non che lui fosse di cattiva compagnia, però ero sempre più insofferente al suo continuo chiedere di quello, di questo, e via discorrendo. Povero disgraziato, era appena risorto, ne aveva tutte le ragioni… ma perché io!? Lo sanno tutti che sono istintiva e, soprattutto, impaziente. Il mio modo di fare, di prendere decisioni, di combattere urlavano a squarcia gola la più totale mancanza di pazienza.
    Sapevo benissimo che ero l’unica persona disponibile su Marte. Iuventas era una peste, molto probabilmente l’avrebbe traumatizzato; Thot era fin troppo impegnato, anche se sono sicura che sarebbe stato una scelta decisamente migliore di me; i miei genitori... non ne parliamo nemmeno.
    Giusto! Ero così spossata e nervosa anche grazie a mia sorella e a mia madre.
    Erano anni che quest’ultima insisteva perché mi sposassi, o comunque che trovassi qualcuno con cui stare, addirittura amare… Ecco perché, insieme a Iuventas, non si faceva mai scappare l’occasione per accasarmi con qualcuno.
    Ed ovviamente Bayek non faceva eccezione. Non facevano altro che dire “È proprio un bell’uomo! Vero Ares?” oppure “Sorellona, ma lui non è il tuo tipo?” o ancora “State bene insieme”, “Com’è simpatico!”, “Ma perché non ci fai un pensierino?”.
    Quelle appena elencate sono solo una piccolissima parte delle loro uscite geniali, e forse le meno imbarazzanti, perché ovviamente peggiorano, andando a toccare argomenti come il matrimonio, i figli, il fatto che non posso rimanere sola per sempre e bla bla bla… tutto rigorosamente davanti al diretto interessato. Se non mi sono seppellita per la vergogna in questi momenti non lo farò mai più.
    Per fortuna sia mio padre che Thot mi davano manforte.

    “Secondo me è triste... lo pensa anche Lockjaw! Dice che gli manca la sua famiglia e che si sente in debito con noi... La sua riverenza è tale da non saper come approcciarci... io e lui concordiamo anche sul fatto che tu stia facendo un pessimo lavoro!”
    “Ehi!”
    Una sola frase per mandare all’aria i miei pensieri e farmi infuriare più di quanto già non fossi.
    “E' la verità. Guardarlo! Sembra un cane bastonato, senza offesa Lock!”
    “I-Io non so che fare ok? Non sono un sacerdote, io non so consolare... non capisco perchè mamma e papà abbiano voluto che ci pensassi io!” le dissi frustrata, pronta a continuare la mia arringa dove elencavo tutte le ragioni per cui ero una pessima scelta per questo compito, quando la vidi sobbalzare e sparire con Lockjaw.
    Mi voltai e capii il motivo di tanta fretta.
    "Credo di essere per Voi un peso mia Dea, Vi ho costretto qui mentre Voi siete una Guerriera... posso chiederVi l'onore di servirVi? Ho pensato che non ho altro modo di ripagarVi per ciò che per me avete fatto se non questo. DonarVi la mia vita. Mettermi al Vostro servizio…" mi disse con il rispetto e l’onore che ormai avevo capito far parte di lui.
    L'imbarazzo tornò ad arrossarmi le guance.
    Ecco un’altra cosa che mi faceva impazzire. Non ero una Dea, glielo avevo detto non so più quante volte, ma lui continuava imperterrito. Non era colpa sua, capivo perfettamente il suo punto di vista. Era disorientato, figlio di una terra e di una cultura che all’apparenza erano terribilmente simili a quelle in cui si era risvegliato. In più, ero imparentata con quelli che per lui erano divinità, esseri sacri e invicibili… peccato fossero solo degli invidiosi e boriosi.
    “Bayek, non so più come dirtelo, chiamami semplicemente Ares. Non sono una Dea, sono solo una donna… a capo di un esercito, ma pur sempre una donna. Non ho niente di divino.” gli dissi sorridendo “Comunque, mi dispiace di averti dato quest’impressione...” impressione decisamente vera, ma mi dispiaceva terribilmente vederlo così rammaricato. Gli feci un gesto per invitarlo a camminare con me. Senu si liberò in aria, maestosa e magnifica, mentre Bayek mi si affiancò.
    “Ascolta, non c’è alcun bisogno che tu mi ripaghi di niente, soprattutto con la tua vita. Hai avuto il dono e la fortuna di viverne un’altra, perché mai dovresti sprecarla con me?”
     
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    :Bayek:
    “Ascolta, non c’è alcun bisogno che tu mi ripaghi di niente, soprattutto con la tua vita. Hai avuto il dono e la fortuna di viverne un’altra, perché mai dovresti sprecarla con me?” alla sua domanda alzai un poco il mio viso. Osai guardarla negli occhi ed accorgermi solo in quel momento che la sua bellezza risplendeva nel fuoco che emanava. Era come se la sua anima stessa fosse una fiamma che viva risplendeva il suo aspetto esteriore quanto la tenacia che in essa custodiva.
    Sorrisi dunque. Un sorriso spontaneo e genuino di chi si stava rendendo conto di trovarsi di fronte a qualcuno che effettivamente non attuava come se fosse un Dio, ma semplicemente come un essere umano.
    "Perchè stare al tuo fianco non sarebbe uno spreco di tempo, quanto più il più intrigante degli enigmi. Come una sfinge che attrae sè qualsiasi uomo, attratto dalla sua apparente perfezione, quanto dalla sua celata complessità..." risposi di getto vedendola però arrossire vistosamente. Ciò che non potevo sapere è che Ares nella sua lunga vita era sempre e solo stata approcciata in due modi dal sesso opposto: o essere trattata loro pari, svilendone però la sua femminilità e dunque riservandole un trattamento tutto tranne che galante, o essere trattata con maschilismo, desiderando dunque da lei un atteggiamento sottomesso e servile che non le apparteneva.
    Scosse il capo cercando con i capelli di nascondere la sua condizione, che io non comprendevo sicuro che fosse promessa a qualcuno. Come avrebbe potuto essere altrimenti, mentre velocemente mi propose di raggiungere la caserma dei Medjay. Assentì onorato e fu così che la nostra passeggiata ci portò lì in uno dei due palazzi più grandi ed importanti dopo il Palazzo dei Conti (l'altro era il tempio).
    La fortificazione si presentava esattamente come io le ricordavo: mura esterne rettangolari (in quel caso alte anche più di 10 metri) con lesene che le articolavano in una teoria di aggetti e rientranze nelle quali erano ricavate le porte a due battenti, e cittadelle; tutto era costruito in mattoni che in quel caso però dubitavo fossero fatti di fango coperti da calcare bianco. Ed infine un fossato circondava le mura.
    Quando entrammo mi guardai intorno estasiato riconoscendo geroglifici ed una lingua e dei costumi che variavano poco dal luogo che io chiamavo casa. Mi avevano detto che ero addirittura su un altro pianeta, nel futuro eppure in quel luogo tutti mi era familiare. Perfino le divise dei Medjay. I soldati salutavano con rispetto Ares quando passava, il loro Generale, e lei apparve così diversa dalla donna che poco prima era arrossita di fronte ai miei occhi.
    "E' difficile credere che se ora scendessi sulla Terra non troverei più questo in Egitto..."
    “Purtroppo è così. I miei zii crearono un Impero importante, ma non è durato alla prova del tempo... gli eletti umani che avevano scelto come loro rappresentanti vennero accecati dal potere e la loro unione con i Templari li portò lentamente a distruggere ciò che avevano creato. Il periodo tolemaico, quello da cui tu derivi, viene considerato l'ultimo periodo doro dell'Antico Egitto prima del suo declino. La mia famiglia se ne andò e lentamente in Egitto si dimenticarono dei loro Dei e delle loro tradizioni. Oggi faticheresti a riconoscere quella che un tempo chiamavi casa...” mi raccontò solerte. L'ascoltai con una nota di malinconia, ripensando a come da una parte non vedevo l'ora di riunirmi agli Assassini, coloro che si erano evoluti dall'idea originale che io ed Aya avevamo avuto degli Occulti, ma dall'altra ero spaventato dal Nuovo Mondo che avrei dovuto affrontare. Mi sarebbe piaciuto? Mi sarei abituato?
    "Immagino che la mia presenza qui sia stata voluta per non traumatizzarmi..."
    “E' inutile che ti racconti il contrario. E' andata esattamente così... Ti insegnerò tutto ciò che c'è da sapere su quel puntino blu, ma intanto siamo qui no? Immagino che dovremo pensare anche al tuo addestramento, a rimetterti in pista!”
    "E contro chi dovrei combattere tu?" lei assentì e senza aggiungere altro, giunti nel quadrato di terra che fungeva da palestra in uno dei tanti chiostri si preparò mentre io feci lo stesso sfilandomi la maglia di lino che indossavo rimanendo a dorso nudo. La mia pelle scura e rossastra differiva molto poco con i marziani come il mio look. Tant'è che nessuno lì si stupì di vedermi dando per scontato che fossi una nuova recluta.
    Non feci in tempo a chiedere ad Ares cosa avesse in tempo che mi attaccò con una serie di pugni che agilmente dovetti schivare e parare, mentre le bloccavo le braccia con le mani.
    "Vedo che non chiedi per favore..." ironizzai.
    “Se lo facessi non sarei una marziana!" mi rispose lei a tono.
    Lei si liberò dalla mia presa e riprese ad attaccarmi con pugni e calci che mi costrinsero ad un'attenzione assai alta per non cedere. Era veloce. Precisa. Ed io non ero proprio in formissima. Mi venne addosso nuovamente, ma io riuscì a prenderle un braccio e girarglielo dietro la schiena così da bloccarla viso a terra.
    Via via i soldati presenti erano sempre più curiosi, nessuno riusciva a battere il loro comandante. Così fecero capannello intorno al "ring".
    "Possiamo fare una pausa"
    “Non ci penso minimamente e poi mi sto solo scaldando!"
    Ridacchiai a fronte della sua testardaggine e liberandola non le diedi il tempo di reagire che me l'ero già messa su una spalla come un sacco di patate e seppur lei si liberò dalla mia presa con una mossa che pareva più una danza che un combattimento, io riuscì a colpirla e farla cadere a terra.
    Lei si sollevò sui gomiti guardandomi e nemmeno il tempo di gongolare che alzando una mano mi colpì con del fuoco che non mi bruciò, perchè lei lo controllò affinché non lo facesse, ma mi fece volare all'indietro, oltre il ring, sotto il colonnato schiena al muro.
    Ares dal canto suo si rialzò in piedi e pulendosi dalla terra mi venne in contro.
    “Mai abbassare la guardia, i nemici che ti troverai ad affrontare saranno ben peggiori di quelli che ricordi ed avranno molto probablmente armi che non oserai nemmeno immaginare!" arrivatami vicina mi porse la mano e la presi per rimettermi in piedi, ma anche questa volta la colsi di sopresa e rovesciai le posizioni.
    Lei schiena al muro ed io di fronte a lei e bloccarla con il mio corpo.
    "Devo dunque presumere che tu ti prenderai la briga di dimostrarmi ciò?" la voce era bassa. Roca. I nostri visi vicini.
    “L'ho già fatto o sbaglio?"
    La guardai negli occhi sorridendo. Quanto era attraente la sua strafottenza?
     
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    "Quindi tutto sta procedendo bene?”
    “Tranquilla. Sto cercando di spiegargli il più possibile sulla Terra e gli Assassini, anche se forse è meglio che della Confraternita gliene parli tuo marito. Per quanto riguarda la forma fisica, l’allenamento a cui lo sto sottoponendo sta dando i suoi frutti. Fra i miei Medjay è diventato una sorta di mito. È l’unico che riesce a tenermi testa.” dissi ridacchiando.
    “Ma davvero?” mi chiese Aphrodite con un tono di semplice sorpresa… o almeno all’apparenza. La conoscevo molto bene e sapevo perfettamente cosa stesse intendendo realmente la mia venusiana preferita.
    “Non ti ci mettere anche tu, ti prego. Ci sono già mia madre e Iuventas che stanno mettendo a dura prova la mia già poca pazienza con questo argomento.”
    “Ma loro non sono venusiane mia cara. Per noi l’amore è la nostra stessa essenza, viviamo per esso, come per voi marziani lo è la guerra. E poi con quel rossore sulle guance a chi la vuoi dare a bere?”
    Avrei tanto voluto risponderle dicendole che non era così, che era per colpa del caldo, del fatto che fossi stanca, ma tanto sarebbe stato solo fiato sprecato. Quindi rimasi semplicemente in silenzio con le braccia incrociate ad osservare Bayek ed Altair che conversavano tranquilli, il primo che tempestava di domande il secondo. Era un piacere per gli occhi vederlo così interessato e spensierato, per niente malinconico come nei primi giorni. Si stava riappropriando giorno dopo giorno della sua vita ed ero davvero contenta… però, perché c’è sempre un però, una parte di me, quella che si stava sempre più affezionando a lui, non riusciva a godersi a pieno questa contentezza.
    Ero consapevole che presto o tardi sarebbe tornato sulla Terra, perché sapevo che avrebbe voluto ricongiungersi con la Confraternita e gli altri Assassini. Lui era parte di loro come viceversa.
    Era inevitabile. Ed era inevitabile che, per colpa di quella parte di me che si stava legando a lui, avrei sofferto.

    (…)
    “Si può sapere che hai in questo periodo? Sei strana!” mi rimproverò Deimos appoggiata a un albero alla mia destra.
    “Niente, che dovrei avere?”
    “Ares, a me non mi freghi, e lo sai. Sei nel giardino sul retro del palazzo a scoccare frecce di fuoco contro il laghetto da almeno un’ora. Fai sempre così quando sei turbata, e io ti conosco ormai da molti -troppi- anni. In più, c’è il piccolissimo particolare che, essendo io la tua Compagna Alata e tu la mia Campionessa, le nostre menti e le nostre anime sono collegate a vita. Ergo, quando ti girano o, come in questo caso, stai soffrendo, io lo sento immediatamente. Quindi ti ripropongo la domanda: cos’hai?”
    Cazzo, lei non posso fregarla!
    “Eh no mia cara.” disse ghignando.
    Voltai lo sguardo verso di lei decisamente infastidita.
    “La smetti? Sei inquietante!”
    “Aspetto ancora una risposta.”
    Tornai a guardare lo specchio d’acqua di fronte a me.
    Il giardino di casa mia era uno dei pochi posti in cui riuscivo a ritrovare me stessa quando mi perdevo in balia di sentimenti e pensieri -ovviamente anche la caserma rientrava fra questi.
    Era strano per una persona come me trovare la pace in un luogo che la trasmetteva effettivamente solo guardandolo.
    Il giardino era rigoglioso, con palme che svettavano un po’ ovunque, cespugli e fiori a decorare il prato e tutt’intorno al laghetto -non così piccolo come possa sembrare dal nome-, statue, panchine, fontane ed un obelisco ornavano il posto rendendolo ancora più bello e conferendogli un’atmosfera quasi magica.
    Da piccola adoravo giocare qui con Thot e Iuventas.
    Incoccai un’altra freccia di fuoco e la scagliai contro l’acqua. Al solo contatto la freccia si dissolse in una piccola nube di fumo, creando delle increspature quasi ipnotiche nel lago.
    Ogni volta che ero vicina a Bayek la mia impassibilità evaporava come quei dardi di fuoco con l’acqua.
    Ormai era da un mese che queste sensazioni si erano via via intensificate, da quel primo allenamento che tuttora non riuscivo a togliermi dalla testa. Anche nei sogni mi torturava, ripetendosi quasi ogni notte, spesso con esiti diversi dalla realtà.
    Il suo sguardo, la sua determinazione, il suo sorriso, l’elettricità infuocata che era nell'aria, lo scontrarsi dei nostri corpi.
    Tutto di quel combattimento, anche i movimenti e le espressioni più impercepibili avevano mosso qualcosa in me. Qualcosa che mai avevo provato e che, per questo, temevo.
    “È l’Assassino...”
    La sua espressione cambiò, diventando incredibilmente seria e curiosa al contempo, quasi preoccupata.
    “Bayek di Siwa? Che ti ha fatto? Non ti ho mai vista così per colpa di un uomo e poi lui è così calmo.”
    “Non mi ha fatto assolutamente niente, tranquilla. Mi sono espressa male. Diciamo che non è propriamente lui, ma io.”
    “Ah prima ti sei espressa male? Cosa dovrei capire con questa frase sconclusionata?”
    “Deimos, lo sai che sono più brava con i fatti che con le parole. I sentimenti non fanno per me.”
    La sentii scostarsi dalla palma e avvicinarsi a me.
    “Di che tipo di sentimenti stiamo parlando?” mi chiese vicino all'orecchio. In tutta risposta scoccai male la freccia, scagliandola contro una fontana.
    “MA SEI PAZZA!? Chissà cosa o chi potevo colpire!” le sbraitai contro mentre con un gesto dissolvevo la freccia che per fortuna non aveva fatto danni.
    “Non ci credo!”
    “E infatti non c’è niente da credere.” ringhiai.
    “Tu, che intorno al cuore hai un doppio strato di pietra...”
    “Smettila.”
    “… ti sei...”
    “Un’altra parola e ti trasformo in un corvo impagliato!”
    “Innamorata!?”
    “Shhhhh ho detto zitta corvaccia da strapazzo!” esclamai avventandomi su di lei, che però prontamente si ritrasformò in corvo, continuando però a infierire direttamente nella mia testa.
    “Ares, tutto bene?”
    Mi pietrificai.
    No. No, no, no, NO! Dimmi che non ha sentito nulla, che è appena arrivato e ha visto solo il mio capitombolo a terra.
    Mi alzai e voltai lentamente verso Bayek che mi guardava decisamente preoccupato.
    “Sì tutto bene, tranquillo! Solo un piccolo battibecco con Deimos.” dissi tentando un sorriso che di naturale non aveva niente. Guardai verso l’alto vedendo Deimos volare via.
    Buona fortuna!
    Crepa cornacchia!
    “Da quanto è che sei qui?”
    Solo dopo la sua risposta mi accorsi che avevo trattenuto il respiro fino a quel momento.
    “Da un po’ ormai. Stavo passeggiando per questo magnifico giardino quando ho sentito delle voci concitate, fra cui la tua, quindi sono subito accorso per vedere se stavi bene.”
    “Ah capisco.”
    Stavo sudando freddo.
    Ti prego, fai che non abbia sentito la parte sui miei sentimenti!
     
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    :Bayek:
    Guardai Ares non potendo fare a meno di sorridere lievemente. Non ridevo di lei, ma di una timidezza che non comprendevo. Come poteva una donna forte, coraggiosa ed elegante come lei chiudersi a riccio di fronte ad un semplice uomo come me? Mi avvicinai e le portai una ciocca di capelli in modo del tutto naturale dietro lo orecchie, indugiando nei suoi bellissimi occhi con i miei. E con la mia mano sulla sua pelle perennemente bollente, come una fiamma perennemente viva.
    “C-Che... Che cosa hai..." la vedevo tentare di mantenere la calma. Di parlare in modo fermo e deciso, ma fallire miseramente al contatto con me. Allo specchiare il suo sguardo del mio.
    "Abbastanza..." mormorai unicamente osando addirittura di sfiorare le sue labbra con un mio pollice.
    "Abbastanza... da poterti dire che ormai popoli i miei sogni più di quanto sarebbe opportuno e... la mia devozione non essi non è proprio come quella del servo che dovrei essere..." la voce roca e calda erano un tutt'uno con i miei movimenti. Il corpo che si avvicinava al suo, il pollice che scivolava lungo il suo mento ed il mio respiro così vicino da sentirlo mischiarsi con il suo.
    In quel momento di silenzio e vicinanza non ci furono parole o frasi, soli i nostri sguardi che concatenati si accarezzavano quasi a desiderare qualcosa in più. I corpi vibravano alla stessa frequenza mentre si chiamavano desiderosi di unirsi. Le labbra dischiuse di parole non dette bramavano l'una dell'altra desiderano di perdersi in baci proibiti.
    La mia mano libera si mosse come se vivesse di vita propria e con le mie dita sfiorai quelle di Ares fin quando le nostre mani si cercarono e si intrecciarono alla perfezione l'un l'altra. Ci stringemmo e tenendole così rimasi a guardarla con la mia mano ormai sul mio collo prima che anch'essa scivolasse lungo la spalla ed il braccio e si intrecciasse con l'altra sua libera.
    "La mia partenza è sempre più prossima, ma credo che lascerò qui il mio cuore..." le confessai lasciandomi andare in quei sorrisi seducenti che tanto naturali mi venivano e già tante marziane aveva incantato.
    La sentì stringermi maggiormente le mani, fare un passo ulteriore verso di me, proprio mentre io invece mi scostavo. Pochi passi indietro e le mie mani lentamente che si staccarono dalle sue. Avevo già osato molto, troppo. Un bacio rubato o un'avance ulteriore sarebbe stata una mancanza di rispetto nei suoi confronti per chi era e cosa rappresentava. Io non ero nulla e già mi ero spinto fin troppo oltre.
    Darle le spalle ed allontanarmi fu una delle cose più difficili da fare. Io che credevo che dopo Aya mai avrei provato nuovamente emozioni e sentimenti del genere, ora mi trovavo in preda ai sentimenti peggio del ragazzino che ero stato un tempo.
    Quella notte in camera mia, steso sul letto, feci fatica a prendere sonno. Indossavo solo i pantaloni di lino ed il dorso era nudo per via delle lenzuola che mi arrivavano a metà vita. Con le braccia dietro la testa osservavo il soffitto ed immaginavo il mio reinserimento nella Confraternita. L'obbiettivo era concentrarmi su quello, su tutto ciò che Altair mi aveva detto, ma inevitabilmente i miei pensieri viaggiavano verso altri lidi.
    Ai capelli neri di Ares mossi dal vento, al calore della sua pelle, al muoversi involontario delle sue labbra... Scossi il capo. Non dovevo e non potevo.
    Quasi imbarazzato mi voltai verso Senu che invece piegando il capo mi guardò con quel suo solito sguardo dolce. Quasi materno. Ululò qualcosa e poi volò via, non feci in tempo a chiedermi il motivo di ciò che qualcuno bussò alla mia porta.
     
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    :Ares:
    Da quando il mio cuore batteva così all’impazzata? Da quanto mi martellava in petto? Da quanto era che non stavo respirando?
    "Abbastanza... da poterti dire che ormai popoli i miei sogni più di quanto sarebbe opportuno e... la mia devozione non è proprio come quella del servo che dovrei essere…"
    Così mi aveva detto con voce calma e roca, che a me parve tremendamente sensuale, ed in quel momento sembrava quasi che avessi il cuore al posto del cervello da quanto mi sentivo pulsare le tempie.
    Le sue mani calde che mi sfioravano prima il viso, poi il collo, le spalle, le braccia, per poi scendere fino a congiungersi con le mie, lasciando una scia infuocata al suo passaggio.
    Eravamo a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altra.
    Avevo avuto un discreto numero di amanti nella mia vita, ma mai avevo provato quello che stavo provando in quel momento con Bayek. I sentimenti che sentivo per lui, anche se acerbi, riuscivano a travolgermi e a destabilizzarmi come il mare in tempesta, come un incendio che divampa e non riesce più a spegnersi… ed io non volevo che si spegnesse, volevo che diventasse un fuoco perpetuo e dirompente. Non volevo più nascondere quel che provavo per lui -non che fin’ora l’avessi fatto benissimo...
    "La mia partenza è sempre più prossima, ma credo che lascerò qui il mio cuore…” mi disse con un sorriso che se fossi stata di ghiaccio mi avrebbe sciolto all’istante.
    Tanto tu, ormai, hai già il mio.
    Ecco che aveva centrato il punto debole di tutta questa situazione, il timore con cui ormai da giorni convivevo.
    A breve se ne sarebbe andato.
    L’avrei più rivisto? Tutto questo avrebbe potuto prendere una forma più concreta? Oppure sarebbe rimasto nient’altro che una piccola missione nella mia lunga esistenza, ricordi relegati nella mia mente ed emozioni confinate nel mio cuore?
    No, non l’avrei sopportato.
    Dovevo fare qualcosa, Bayek non poteva essere solo una piacevole parentesi, non volevo.
    Strinsi di più le sue mani e mi feci più vicina, ma lui invece si scostò, allontanandosi inesorabilmente da me.
    Dovevo ammetterlo, ero confusa e quasi ferita dal suo comportamento, come del resto lo sembrava lui stesso.
    Lo stava facendo con riluttanza, tutto in lui gridava che non volesse andarsene, i suoi movimenti, la sua voce, il sguardo che indugiò su di me per secondi interminabili. Per quei pochi istanti sembrava quasi che non esistesse nient’altro all’infuori di noi due.
    Se ne andò a capo chino e passo svelto, come se avesse paura di cedere all’istinto e al desiderio di rimanere, andare oltre. Perché è quello che sarebbe successo se non si fosse allontanato, o almeno lo speravo.
    Io lo avrei baciato e, forse, lui non si sarebbe tirato indietro.

    Ovviamente ripensare per tutto il giorno a questo avvenimento non aveva aiutato per niente.
    Bayek aveva monopolizzato i miei pensieri e tuttora continuava a farlo.
    Ormai la notte era calata su Marte e con sé aveva portato ancora più riflessioni.
    La notte porta consiglio. Certo! A forza di ragionare, a discapito del sonno, qualcosa in mente ti viene!
    Mi ero davvero illusa di poter dormire tranquillamente? Povera stupida!
    La smetti di rigirarti come un animale sofferente?
    Mi voltai verso Deimos e le lanciai un’occhiataccia.
    Sta’ zitta! Non riesco semplicemente a prendere sonno!
    Ovviamente, se continui a pensare al bell’Assassino non dormirai di certo!
    Scattai a sedere sul letto e le lanciai un cuscino, che lei schivò abilmente.
    Tiro deboluccio. Ehi, dove vai? mi chiese non appena mi vide andare verso la porta della stanza.
    A fare due passi, almeno puoi dormire tranquillamente. le dissi prima di chiudermi la porta alle spalle.
    Iniziai a vagare per i corridoi del palazzo senza una meta, pensando nuovamente a Bayek.
    Ero disperata. Non sapevo come fare a togliermelo dalla testa. Il ricordo di lui, solo, a contemplare l’immensità del deserto rovente era una meraviglia. E pensare che in quel momento lo consideravo ancora una seccatura. Il suo sorriso dolce ed affascinante, lo sguardo attento e tenero, i gesti calmi e sensuali. Tutto di quell’uomo mi intrigava ed attraeva. Era forse per questo che ero finita davanti a camera sua? Non era un caso, non era per distrazione. Ero lì per mia scelta. Odiavo questa situazione di stallo, di incertezza, di incompletezza. Sono sempre stata un tipo concreto, istintivo. Ed ora ero lì per chiarire la questione una volta per tutte.
    Per questo bussai, non curante del fatto che mi avrebbe trovata con indosso solo la mia veste da notte di seta, impalpabile ed abbastanza corta da mostrare buona parte delle mie gambe, così diversa dalla divisa da Guerriera con cui mi ha sempre vista.
    Probabilmente mi avrebbe mandata via, ma non mi importava. Dovevo parlargli.
    La porta si aprii e mi ritrovai davanti Bayek con solo i pantaloni addosso che mi squadrava sorpreso.
    Gli sorrisi, palesemente in imbarazzo -non per lui mezzo nudo, ma per la situazione in sè-, prima di parlare.
    “Perdona questa visita notturna, ma devo assolutamente parlarti altrimenti penso proprio che impazzirò.”
    “Non preoccuparti, entra pure.” mi rispose sorridente “Tanto non riuscivo a dormire.” disse chiudendo la porta.
    Respirai profondamente prima di voltarmi verso di lui e parlare.
    “Bayek, sarò sincera e, soprattutto, diretta. Anche tu popoli i miei sogni, ormai quasi ogni notte… e i miei pensieri durante il giorno. Non ho mai provato quello che sento per te, non mi sono mai sentita ardere con così tanta forza prima di avere a che fare con te. Inizialmente, non posso negarlo, ti consideravo come una missione da portare a termine il più velocemente possibile… ora vorrei con tutto il cuore che non finisse più. Il solo pensiero di non vederti più ogni giorno, di non potermi più allenare con te, di non poterti più parlare, di non sentire più la tua voce e non potermi più perdere nei tuoi occhi mi sta torturando. Non voglio perderti. So che sarà così, visto che a breve tornerai dagli Assassini, ma volevo dirti quel che sento per te.” gli dissi tutto d’un fiato avvicinandomi a lui. Eravamo a pochi centimetri di distanza. Ero sicura che potesse sentire il mio cuore galoppare. Gli carezzai la guancia per poi avvicinarmi lentamente e baciarlo con una dolcezza che non mi apparteneva.
     
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    :Bayek:
    La visita di Ares fu inaspettata, ma desiderata. Fu improvvisa, ma voluta.
    Non potei dunque fare altro che farla entrare, ma nemmeno il tempo di rendermi davvero conto del perchè della sua presenza che aveva iniziato a parlare. Frasi fiume che non avevano chiesto il permesso e prepotentemente avevano spazzato via l'argine del mio cuore. Io che fino a quel momento avevo combattuto contro me stesso per mantenere il controllo e non lasciarmi andare al fuoco che sotto la pelle spingeva per ardere di passione con e per Ares.
    Feci tesoro di ogni parola che mi dedicò, perchè erano le stesse mie. Avrei voluto dunque dirglielo, ma lei me lo impedì. La sua vicinanza mi aveva come ipnotizzato e le sue labbra mi stavano richiamando.
    La dolcezza con la quale Ares si stava offrendo in quel bacio la riconoscevo. Era la stessa mia. Quella di quando un guerriere decide di abbassare le difese e fragile ed indifeso si lascia andare all'amore nella speranza e fede che quel sentimento venga ricambiato.
    Per un attimo in quel bacio la mia mente vagò ad Aya e quasi mi parve vederla sorridere lontana, mentre dandomi le spalle si compiaceva che finalmente avesse trovato qualcuna in grado di darmi ciò che lei non era stata in grado. Una donna che a differenza sua, aveva accettato la sfida di trovare un compromesso ed un equilibrio tra guerra ed amore.
    Anche Khemu sorrideva e lo faceva finalmente felice di vedere quell'eterno alone di malinconia che aveva accompagnato suo padre dal giorno della sua morte scomparire. Abbandonarlo. Augurarli tutto il bene del mondo ed incitarlo a viverlo senza indugi.
    Un'altra vita si stava aprendo di fronte a me, una seconda possibilità che non credevo avrei mai avuto e tanto meno meritato.
    Pregno di tale emozioni, di pace e calma, lasciai che la mia mano cingesse la sua vita, mentre lentamente indietreggiavo finendo seduto sul bordo del letto, mentre lei senza troppo indugi si metteva a cavalcioni su di me. Le nostre bocche, che mai si erano staccate, continuarono a cercarsi con maggior foga e trasporto, mentre una mano si posava sulla sua schiena e l'altra si perdeva tra i suoi capelli neri come la notte che ci stava avvolgendo.
    Fu nel momento in cui ci staccammo che la feci arrivare al suo volto, accarezzandolo, disegnandolo...
    "Non sarà certo la lontananza a separarci, non se tu avrai sempre la pazienza di aspettarmi... di aver la certezza che sempre tornerei da te..." non mi resi nemmeno conto che lo dissi con voce un poco meno sicura di quanto avrei voluto ed occhi lucidi. Avevo già subito quella sorte.
    L'amore è una battaglia dove da entrambi i lati ci deve essere la certezza della vittoria. Già una volta avevo perso tutto, avevo messo in gioco tutto e la vittoria era stata di pirro. Con nessuna casa a cui tornare.
    Vidi Ares rimanere emozionata dal mio sguardo, dalla mia voce e lasciandosi andare ad una risata emozionata che di provocatorio non aveva nulla, mi prese con entrambe le mani il volto costringendomi a guardarla.
    “E' ironico sai? La parola pazienza non viene mai pronunciata accanto al mio nome eppure... Credo che sia una sfida da cui non voglio fuggire. Nessun campo di battaglia mi ha mai spaventato, se non quello dell'amore... Posso vivere un'avventura, godere di una notte, ma non mi ci sono mai vista a costruire qualcosa di più... come se fosse qualcosa che mi avrebbe strappato le ali ed impedito di vivere libera... Ma sai cosa c'è? Non mi sono mai sentita tanto libera di essere me stessa da quando ti conosco... Non hai mai tentato di cambiarmi, di volermi diversa..."
    Adesso era lei quella che veniva meno alla sua fermezza, mentre le nostre bocche si ricercarono tra baci intensi e carezze proibite. La mia mano salì le sue cosce nude e muscolose arrivano ai suoi fianchi ed alzandole la leggera veste che poco dopo cadde a terra.
    La mia mano sulla sua schiena nuda ed il suo seno tatuato sul mio dorso nudo, mentre la mia bocca vezzeggiava la sua pelle del collo, della spalla... per poi tornare a cercare le sue labbra.
    Quando ci trovammo entrambi nudi sotto le lenzuola di seta, i nostri corpi si cercavano per conoscersi. Come se volessimo tatuare ogni centimetro l'uno dell'altra nelle nostre menti.
    Mi trovai sdraiato e lei sopra di me mi accarezzava il petto con i capelli che da un lato le pendevano, mentre la sua bocca sfiorava e stuzzicava la mia pelle in baci caldi che scivolarono dal mio mento al mio basso ventre.
    Facemmo l'amore più e più volte in una danza ardente di fiamme che non si spensero se non poco prima dell'alba, mentre abbracciati ci guardavamo mentre le prime luci del nuovo giorno venivano a farci visita accarezzandoci.
    In silenzio la tenevo tra le mie braccia accarezzandola e guardandola in modo così devoto da vederla arrossire. Ciò mi fece così tanta tenerezza che non potei fare a meno di prenderle una mano e baciarne il dorso.
     
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    :Ares:
    “Ares, è pericoloso!”
    “Al momento è lui quello più a rischio!”
    “Non lo puoi sapere! Per favore, fermati un attimo e ragiona!”
    “Non posso Deimos! La situazione potrebbe degenerare da un momento all’altro. Devo vederlo prima che ciò accada. Devo capire quello che sta accadendo, e per farlo devo raggiungerlo.” sbraitavo mentre mi spostavo da un lato all’altro della mia camera, in preda al nervoso, mentre mi preparavo per la partenza imminente.
    “Ho capito, ma...”
    “Dopo quello che mi ha detto come potrei rimanere qui senza far niente? Come?!”
    “Ed io infatti non ti sto dicendo di non andare da lui, ma di pensare prima di farlo! Tu parti sempre in preda all’istinto quando c'è di mezzo qualcuno che ami, senza soffermarti su quali potrebbero essere i rischi per te e per chi ti circonda. Come giustificheresti la tua assenza improvvisa?” mi chiese la mia Compagna Alata incrociando le braccia al petto e sfidandomi con lo sguardo.
    Ovviamente aveva ragione lei, su tutto. Mi lasciai cadere sul bordo del mio letto, le mani ad afferrarmi le tempie.
    Deimos mi si avvicinò e si chinò di fronte a me.
    “Ares, capisco l’urgenza che ti muove, ma non ti rende lucida. Se affrontassi le battaglie così saresti già morta da parecchio.”
    “Lo so...”
    “Bene, allora ragioniamoci su.” mi disse sedendosi accanto a me. “Ti serve qualcuno che ti aiuti. Iuventas è già al corrente di tutto giusto?”
    “Certo. È tramite lei che io e Bayek ci sentiamo, ma non penso che in questa circostanza mi possa aiutare molto, oltre a farmi andare laggiù.”
    Ero frustrata. Da quando fu sancito il Trattato di Saturno io e Bayek, come anche le mie sorelle con i loro compagni, ci sentivamo e vedevamo all’insaputa dell’Impero e dei Devianti. Era decisamente una situazione difficile da gestire e sopportare, ma avrei fatto di tutto pur di rivedere il suo sorriso, di risentire la sua voce, di percepire il suo tocco.
    Ma ora la situazione era degenerata. Durante la nostra ultima chiamata mi aveva dato notizie a dir poco terribili. L’Impero Deviante non solo era uscito allo scoperto, ma aveva iniziato a dare la caccia a chiunque si opponesse a loro, fra cui ovviamente vi erano anche gli Assassini.
    Da quella chiamata, avuta soltanto ieri, il terrore che da un momento all’altro Bayek ed i suoi compagni potessero cadere nelle loro grinfie mi stava distruggendo.
    Dovevo accertarmi che stessero bene, sia per me che per le altre. Ancora non avevo detto niente a nessuno. Le uniche a saperlo oltre a me erano Deimos, Phobos ed ovviamente Iuventas. Alle Guerriere l’avrei detto solo dopo aver avuto notizie certe.
    Ecco però il problema di tutta questa situazione: come avrei fatto ad andare sulla Terra senza l’aiuto di qualcuno che mi coprisse? Non potevo buttare tutto sulle spalle di mia sorella e delle nostre Compagne Alate, Iuventas in particolare stava già rischiando molto usando il suo potere, o quello di Lockjaw, per farmi sentire o vedere Bayek.
    Rimaneva solo una persona. Mi dispiaceva addossargli un altro peso, ma non sapevo che altro fare, a chi altro rivolgermi.
    Scattai in piedi e uscii dalla stanza a passo di marcia, seguita da Deimos che aveva perfettamente capito cosa avevo in mente.
    Arrivata davanti al suo studio bussai leggermente allo stipite della porta aperta per palesare la mia presenza.
    “Ti disturbo?”
    Si voltò verso di me sorridente, lasciando sulla scrivania un libro che stava leggendo. “No, entra pure, tranquilla.”
    Quante volte si era ripetuta in passato questa scena?
    Quando io e Iuventas distruggevamo qualche statua nel salone, quando davo fuoco ai fiori ornamentali che mamma tanto adorava.
    Lui c’era sempre stato per noi, e noi per lui.
    Era il mio fratellone, colui con cui spesso mi allenavo, un tempo il mio obiettivo da superare.
    Nonché una delle poche persone che sapeva praticamente tutto di me. Inclusa la mia relazione con Bayek ed i nostri numerosi incontri segreti.
    Varcai la soglia della stanza e chiusi la porta alle mie spalle.
    "Che succede?" mi chiese preoccupato.
    "Ho bisogno di aiuto, e tu sei l’unico, oltre a Iuventas e i nostri Compagni Alati, di cui mi fido ad occhi chiusi."

    Gli spiegai tutto quello che mi aveva detto Bayek. Era decisamente turbato. Sin da subito lui e Bayek avevano stretto quella che ben presto sarebbe diventata una solida amicizia, quindi questa notizia lo lasciò decisamente sbigottito.
    “Capisco. Immagino che tu voglia raggiungerlo il prima possibile.”
    “Esatto.”
    “Strano che ancora tu non sia partita.” scherzò.
    “Deimos mi ha aiutato a ritrovare un minimo di lucidità. Devo trovare un modo per non far notare la mia assenza.”
    “E quel modo te lo devo trovare io, giusto?” mi chiese poggiandosi alla scrivania.
    “Thot, non so assolutamente come fare altrimenti. Mi aiuterai?” gli chiesi abbozzando un sorriso.
    “Me lo chiedi pure? Dopotutto noi tre siamo sempre stati una squadra, no?” mi sorrise.
    Non era da me, io lo sapevo, lui lo sapeva, tutti lo sapevano, ma in quel momento il sollievo era così forte che praticamente lo placcai con un abbraccio.

    (…)
    Ero nuovamente in camera mia ad ultimare i preparativi prima della partenza con Deimos quando sentii bussare alla porta.
    “Avanti!” dissi tentando di essere il più naturale e meno sospetta possibile.
    “Ah sei tu Horus.” mi rilassai istantaneamente “Hai bisogno di qualcosa?”
    Forse Thot l’aveva mandata a riferirmi qualcosa? Mmm, no, sarebbe venuto direttamente lui. Non riuscivo però a capire perché lei fosse qui.
    “Vorrei chiederti un enorme favore.” mi chiese pacata, ma con un’ombra di agitazione negli occhi.
    “Certo, dimmi pure.”
    “Vorrei venire sulla Terra con te.”
     
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    Nel sentire le parole di Ares, al mio cuore mancarono diversi battiti. La situazione sulla Terra, sul mio pianeta natale, era critica, pericolosa, rischiosa: Bayek di Siwa aveva riferito questo alla sua compagna, e per quanto le notizie gravi di quel luogo di cui possedevo dolci ricordi mi facessero sempre molta tristezza, ero preoccupata per ben altro.
    Senu era la compagna alata di Bayek.
    Senu era mia madre.
    Se lui era in pericolo, non potevo fare a meno di pensare che lo fosse anche lei.
    Non riuscivo a starmene tranquilla e appartata nel mio ruolo di compagno di alato, non quando avevo ben altri doveri verso colei che mi aveva dato la vita, che aveva fatto di tutto per crescermi nonostante le condizioni difficili in cui si era trovata, che non aveva mai rinunciato a cercare il meglio per me, anche quando questo era un sogno impossibile.
    Non potevo rimanere inerte e vivere nell'ansia o magari, peggio ancora, nel rimorso, sapendo che avrei potuto fare qualcosa e non lo avevo fatto.
    Attesi qualche minuto dopo che Ares andò via avendo ottenuto la complicità del fratello, come molte volte avevo visto succedere.
    Poi, con tono fermo e non troppo accorato, mi rivolsi a Toth, che in quel momento si stava dedicando alla lucidatura della sua armatura. Era un compito che lo impegnava sempre per diverse ore, e non terminava fino a che anche l'ultimo, invisibile segno era stato rimosso.
    ”Dovrò assentarmi per qualche giorno, ma non starò via a lungo, credo...”
    Toth continuò il suo lavoro meticoloso e maniacale, per qualche secondo temetti che non mi avesse sentita, o che mi volesse far pesare la sua risposta. Poi senza voltarsi scrollò le spalle, e mi rispose con indifferenza.
    ”Quando partirai?”
    ”Domani. Ma non starò via molto...”
    Mi detestai. Perché dovevo ribadire il già detto?
    Non gli riferii il motivo della mia assenza, e lui non me lo chiese. I miei viaggi non erano insoliti, era già successo che dovessi tornare su Koronis per motivi riguardanti la mia posizione all'interno del suo sistema, quindi la richiesta non lo aveva incuriosito.
    La sua indifferenza, per una volta tanto, mi avvantaggiava. Non avrei potuto confessargli la verità sulla mia necessità di andare sulla Terra, non avrei potuto rivelarlo a nessuno.
    Il motivo era semplice: nessuno era a conoscenza della reale identità di mia madre. Non conoscevo quella di mio padre, ma non me ne era mai importato, dato che aveva cacciato mia madre quando le leggi della nostra gente glielo avevano imposto, senza tanti complimenti, senza rimorsi, senza mai andare a cercarla. Lui non sapeva che mia madre stava già aspettando me quando era stata esiliata, ma nonostante questo, non aveva dimostrato neanche un po' di affetto, di attaccamento alla sua compagna. Si era limitato a cancellarla dalla sua esistenza, così come avevano fatto tutti gli altri.
    E quindi io ero figlia di una reietta, che era stata costretta a vivere lontana dalle sue origini, e quindi anche a me doveva spettare lo stesso destino.
    (...)
    Non fu semplice presentarmi ad Ares e domandarle di poterla accompagnare nella sua missione, e solo la determinazione che avevo mi aiutò nell'impresa. Notai con disagio la sua sorpresa mista a perplessità davanti ad una richiesta che sicuramente per lei era strana e inusuale.
    Mi chiese come mai volessi andare con loro, e capii i dubbi che non ebbe l'indiscrezione di fare ad alta voce. In fondo, ero pur sempre il compagno alato di suo fratello. Per noi, come fossimo una particolare categoria di esseri viventi, vigevano delle regole particolari non scritte, ma non per questo non meno rispettate. I compagni alati venivano considerati come se fossero in una torre d'avorio per il fatto di aver costruito un rapporto così stretto con un altro essere. Erano circondati da barriere invisibili, esclusive, che raramente venivano superate. Neanche tra di noi si formava mai una sorta di amicizia. Era triste. Era così da sempre.
    ”Devo ritrovare una persona importante per me. Potrebbe trovarsi anche lei in pericolo, così come Bayek di Siwa”
    Ares annuì, con tante domande che si formavano dietro al suo sguardo ma che per fortuna, per i motivi che già avevo detto, non fece. Si informò solo di un particolare: ”Lo hai già detto a Toht? E lui è... d'accordo?”
    Mi morsi la lingua per l'amarezza. Non era colpa di Ares se si sentiva in diritto di chiedermi una simile cosa, era semplicemente un dato di fatto. I compagni alati erano come delle appendici dei loro campioni. Venivamo considerati sotto la loro tutela: per quanto amati e meritevoli di ogni importanza, avevamo comunque bisogno di essere autorizzati nel compiere delle scelte, nel fare qualcosa che non rientrava strettamente nei nostri compiti.
    Ero onorata di quello che ero, avevo sacrificato e combattuto molto per ottenerlo, ma avrei voluto che certe cose cambiassero, dopo millenni di immobilità. Passai sopra a questi pensieri ancora una volta.
    Le risposi senza far trapelare il mio disagio, le mie remore, la mia preoccupazione. Stavo mettendo a rischio il mio segreto più fatale, avrei dovuto avere molta fortuna per riuscire a conservare il mio status ma, purtroppo, non avevo scelta.
     
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    :Bayek:
    Era stato durante uno dei periodo più oscuri della storia umana, la Seconda Guerra Mondiale, quando una delle stragi e degli eventi più trsiti nella storia della Confraternita aveva colpito. Complice la guerra.
    Un assassino, di cui nessuno conosceva storia, nome o dettagli aveva senza un motivo preciso sterminato tutti i membri del suo covo, nel cuore dell'Europa. Un evento che aveva scosso gli animi in tutto il mondo degli Assassini ed aveva messo in allerta (per forza di cose) i miei compagni al Tempio (così veniva chiamato il luogo che era stato costruito sopra la Fonte di Lazzaro, a Kamar-Taj sulla coma più alta del Tibet). Qui risiedevano i così detti "Originali" coloro che durante la loro lunga vita erano divenuti celebri per le loro gesta e che attraverso la loro lunga vita (grazie al dono che il Pozzo aveva fatto loro) avevano tramandato la loro conoscenza ed avevano mantenuto vivo il Credo servendolo.
    Tuttavia anche loro facevano errori e dunque prendendo sotto gamba ciò che era avvenuto dall'altra parte del mondo diedero il via, senza rendersene conto, ad un effetto domino di cui ad oggi pagavamo le conseguenze.
    Nessuno aveva mai saputo l'identità di quell'uomo, ma sarà stato il caso o il fato, dopo quel momento il mondo cambiò. Una Dea svegliò una razza che si credeva estinta e mentre ancora tutti si leccavano le ferite per la guerra appena conclusa un male si apprestava a nascere.
    Da sempre la Confraternita aveva saputo dell'Hydra e come con i Templari prima di loro li aveva combattuti per evitare che il loro spietato agire nell'ombra venisse alla luce. Per 70 anni avevano segretamente fomentato crisi mondiali, scatenato guerre e quando la storia non collaborava, loro la cambiavano.
    Nessuno, oltre noi, si era impegnato a fermarli, perchè sempre si premuravano che "incidenti" o "eventi casuali" togliessero di mezzo possibili minacce. Avevano creato un mondo talmente caotico che infine l'umanità tutta fu pronta a sacrificare la propria libertà per guadagnare la propria sicurezza. Fu lì che fallimmo. Fu lì che noi Assassini fummo sconfitti.
    I cosiddetti "Accordi di Saturno" erano stati firmati da poche settimane, tutto ciò che aveva dunque permesso ai Devianti di smantellare ogni esercito e governo esistente e insediarne uno solo: il loro.
    Nella Confraternita gli animi erano agitati e divisi. Molti Assassini si erano scoperti Deviante e nonostante non condividessero la loro natura o ciò che chi si proclamava di guidarli faceva, inevitabilmente venivano allontanati e osteggiati dai proprio compagni che solo per questo iniziarono a vederli in modo diverso. La paura portò velocemente all'odio, l'odio alla persecuzione, la persecuzione alla divisione.
    Io mi ero risvegliato da poco tempo ed in confronto ai miei compagni così poco avevo visto, ma a loro dire, ma crisi fu più nera che quella. Non solo cercavamo ancora di proteggere la libertà, ma di mantenere la pace a fronte di una guerra civile tra umani e Devianti sempre più forte. Famiglie spezzate, amici divisi, persone che si uccidevano solo per quel cambiamento improvviso nella loro vita seppur i loro animi erano rimasti gli stessi.
    Nessuno oltre noi Originali sapeva degli Eterni e di cosa esistesse oltre il cielo, fuori nella galassia, ma chi di noi lo faceva era combattuto. C'era chi non faceva una colpa agli Eterni degli eventi, riconoscendo che non scorrendo alleanza tra noi e loro non potevamo considerarci traditi. Ma altri non la pensavano uguale...
    In uno delle ultime missioni, oltretutto, Senu era stata ferita. Accarezzavo il suo capo mentre l'ala ferita ed infetta era delicatamente avvolta in bende che le cambiavo ogni giorno dopo averle passato sulla ferita un unguento da me appositamente creato.
    "Vorrei far di più amica mia, come tu hai sempre fatto per me..." le dissi con voce rotta, sinceramente preoccupato. Avevo imparato a conoscere la divinità di Senu, il suo persistere agli anni, alle ferite e perfino alle sue doti. Mi aveva insegnato a guardare attraverso il suo sguardo, a parlare mentalmente con lei e più e più volte aveva curato le mie ferite salvandomi dalla morte. Ma mai l'avevo vista così. La ferita sembrava non rimaginarsi e la sua energia si affievoliva ogni dì che passava, avevo davvero paura di perderla e questa volta per sempre.
    Le diedi un leggero buffetto quando uscendo dalla stanza mi ritrovai di fronte Ares che, senza troppi giri di parole, mi gettò le braccia al collo prima di baciarmi con trasporto e dolcezza. Dietro di lei Horus, che avevo imparato a conoscere, che nonostante il sorriso gentile e riverente che mi riservò mi parve tesa. Agitata.
    “Senu è lì dentro?” chiese quasi insensibile al momento tra me ed Ares, cosa che però non mi turbò. Quanto più mi colpì.
    "Sì. Sta riposando, dopo l'ultimo scontro... non si è ripresa!" risposi mesto.
    “Cosa? Posso vederla?” c'era urgenza e preoccupazione in lei, ma io non ci vidi nulla di male. Anzi speravo che visto la sua natura potesse aiutarla come io non ero in grado di fare. Assentì guardandola superarci curioso, ma Ares attirò nuovamente la mia attenzione su di lei.
    “C'è un luogo privato dove possiamo parlare?” mi chiese senza allontanarsi da me. Necessitavamo sentirci, toccarci, eravamo da sempre così. Fisici.
    Assentì. Ero sicuro che si fosse intrufolata di nascosto ed ero certo che non fosse opportuno che la vedessero, tanto meno considerati gli animi del momento.
     
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    In tutta la sua vita Bayek si era preso cura di me in un modo in cui nessuno, tanto meno un Campione, aveva fatto. Fin da giovane ero sempre stata una rivoluzionaria a cui andava stretto il ruolo di Campione Alato a cui noi donne toccava. Certo non tutte erano all'altezza del ruolo e ricordavo che da sempre strenuamente mi ero allenata per emergere. I miei genitori non avevano mai supportato la mia idea di entrare in Accademia e mi avevano osteggiata, ma quando la mia dote naturale ed il mio essere scelta come Guerriera emerse fu impossibile per loro ostacolarmi ulteriormente.
    Tuttavia più crescevo, più mi preparavo al mio ruolo e più riconoscevo in esso delle falle.
    Da sempre Koronis era stato un protettorato di Marte, grazie a loro non avevano mai patito la fame, la povertà e/o la guerra, ma ero dell'idea che non toccasse a loro a privarci della nostra libertà.
    L'unione tra un Campione ed un Compagno doveva essere una scelta naturale, come l'amore. E' una scintilla, un'emozione che non si può imprigionare in una giostra o in una scelta imposta. Perchè ogni Compagno come ogni Campione era un essere vivente. Provavamo sentimenti, imparavamo dai nostri errori e crescevamo. Ognuno di noi aveva una personalità che non era giusto che dovevamo sopprimere per chi poi? Un padrone che lo imponeva? No, un Compagno Alato doveva essere libero. Come libera doveva essere la scelta di chi servire. Un rapporto di fiducia e lealtà alla pari.
    Anche adesso vecchia e malandata, ad un passo dalla morte, non rinnegavo le mie scelte in quanto non avevo mai considerato l'esilio come un'onta, quanto più come l'occasione di essere libera.
    Io avevo scelto Bayek e lui aveva scelto me. Non mi aveva mai dato ordini per via della sua condizione di "umano" o io di "volatile", al contrario mi aveva sempre fatto sentire amata. Un amore platonico ed intenso che non aveva bisogno della sua forma carnale per essere completo, perchè andava oltre a quel tipo di legame o sentimenti. Infatti mi rallegravo del suo aver trovato finalmente pace tra le braccia di Ares, una ragazza di cui avevo conosciuto le gesta a milioni di anni luce di distanza.
    Tossicchiai stringendomi nelle ali, quando una luce fioca mi fece voltare il capo. Non fu subito facile mettere a fuoco di chi si trattasse, ma poi il volto giovane e bello di mia figlia si stagliò di fronte ai miei occhi neri.
    Non volevo che mi vedesse così, ma soprattutto mi chiedevo cosa ci facesse lì.
    “Oh madre, perchè non mi avete chiamato prima?”
    “Perchè non dovresti essere qui Horus!” le dissi gentilmente. Il becco toccò la sua mano in un gesto di affetto.
    Vidi i suoi occhi divenire lucidi ed il mio capo si mosse in un gesto lento e stanco.
    “Non piangere figlia mia... ho avuto una vita bellissima... ho avuto te...”
    “Posso salvarti! Basta che tu mi dica chi ti ha ferito!”
    Sapevo che fosse possibile, dopotutto noi Guerriere di Koronis eravamo grandi Guaritrici. Con il sangue del Deviante che mi aveva fatto ciò lei avrebbe potuto creare un antidoto, ma mai avrei voluto che si mettesse in pericolo.
    “E' troppo pericoloso! Se qualcuno ti vedesse aggredire un Deviante potresti essere la scintilla di una Guerra tra Impero, non puoi... Horus, ascoltami... va bene così... vuoi aiutarmi? Stammi vicino... fino alla fine...”
     
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    :Ares:
    Un abbraccio. Quante volte avevo dato per scontato questo gesto? Quante volte ne avevo sottovalutato l'importanza, la forza?
    Me ne resi effettivamente conto solo quando mi ritrovai fra le braccia di Bayek. Quanto mi era mancato il suo calore.
    Lo baciai con trasporto. Il timore di non vederlo più mi aveva logorato più di quanto avessi pensato. In effetti le numerose idee per salvarlo che avevo pianificato nella mia testa dovevano essere un campanello d'allarme.
    Un ulteriore pensiero fisso era stata la strana richiesta di Horus. Non riuscivo veramente a capire perchè era voluta venire anche lei con così tanta urgenza. Mi sembrava strano, molto strano, soprattutto l'agitazione e la preoccupazione che sembravano muoverla, in particolare da quando aveva scoperto che Senu era ferita gravemente. La tensione che provava era aumentata minuto dopo minuto. Poi c'era un'altra cosa che non riuscivo proprio a togliermi dalla testa: perchè chiederlo a me, aspettare che si presentasse una situazione del genere, e non farsi aiutare direttamente da Thot? Dopotutto era lui il suo Campione, non io. L'unica cosa certa era che ci fosse qualcosa sotto, decisamente importante per Horus, ma non riuscivo davvero a capire cosa.
    “C'è un luogo privato dove possiamo parlare?”
    Bayek assentì e mi accompagnò in una stanza adiacente a quella in cui si trovavano Senu ed Horus.
    "Cosa ci fai qui?” mi chiese, anche se dal tono con cui me lo chiese sapeva già la risposta.
    “Sono venuta a fare una passeggiata. Sai com’è, Marte in questo periodo è molto monotono… Ma che domande mi fai? È ovvio che sono venuta per te!” gli dissi baciandogli teneramente la punta del naso.
    “Tesoro mio, è pericoloso, soprattutto considerando la situazione attuale.”
    Tesoro…
    “Al momento quello più in pericolo sei te! Però ho un piano!” gli dissi fiera e determinata più che mai.
    “Devo avere paura?”
    In tutta risposta gli tirai una leggera ed inoffensiva gomitata nello stomaco.
    “Ah ah ah, che ridere… Bayek, sono seria! Ti porterò su Marte, dove sarai al sicuro.” era visibilmente scettico e confuso.
    “Ares, ti sei forse scordata del Trattato di Saturno? Finchè è una breve visita, come abbiamo fatto finora, è anche fattibile, ma come pensi che possa funzionare se il mio soggiorno su Marte sarà più prolungato?”
    “C’è un cavillo a cui sia io che le altre possiamo aggrapparci.” dissi fiera ma anche a disagio. Spiegarglielo non sarebbe stato facile… per me!
    Lui era palesemente confuso e curioso all’unisono. “E quale sarebbe?”
    Come glielo dico?!
    “Beh, se dei nostri parenti o coniugi (o congiunti XD scusatemi dovevo! ndAle) sono sul pianeta proibito non ci sono problemi, perché le persone in questione hanno il diritto di stare sul pianeta a cui teoricamente appartengono. Per esempio: se Athena un giorno decidesse di portarsi su Mercurio Connor, potrebbe farlo -e fossi in lei lo farei- perché è suo marito, di conseguenza Conte di Mercurio, nonché padre di sua figlia. Ergo, il problema non si pone.” dissi soddisfatta tutto d’un fiato.
    Peccato che lui stava già facendo quello sguardo, che preannunciava divertimento per lui ed un arrampicamento sugli specchi incredibile per me.
    “Ah sì? Mi stai forse chiedendo qualcosa mia cara?” mi stuzzicò, e nemmeno in maniera troppo velata, avvicinandosi a me.
    “Semplicemente se accetti di venire su Marte...” dissi per niente convinta, incrociando le braccia sotto al seno sulla difensiva.
    “Ma io non posso, non sono né un tuo parente -per fortuna-, né tuo marito.” la sua voce ormai non era altro che un soffio caldo e suadente che mi bruciava la pelle. Eravamo naso contro naso, i suoi occhi furbi specchiati nei miei imbarazzati.
    “P-potresti far f-finta di essere il m-mio...”
    “Il tuo cosa?”
    “Il mio p-promesso s-sposo. C-così non ci dovrebbero essere problemi...”
    “Mi stai forse chiedendo di sposarti mia cara?”
    Colpo di grazia! Era troppo! Veramente troppo!
    La sua estrema vicinanza in questo momento mi stordiva ed inebriava al tempo stesso. Non sapevo se saltargli addosso o scappare nel panico. Ovviamente ebbe la meglio la seconda opzione. Gli sgusciai di lato, allontanandomi il più possibile da lui per riprendere aria ed un minimo delle mie facoltà mentali.
    Era tremendo! Non perdeva mai occasione per provare a scucirmi parole dolci o sdolcinate, cosa che a lui riusciva fin troppo bene. Ormai non ricordavo più quanti Ti amo mi aveva detto, che fossimo a letto, mano nella mano. Lui era fatto così e lo adoravo per questo… ma io no!
    Io ero pratica, restia alle parole e guidata dai fatti. Gli dimostravo il mio amore con la mia dolcezza, la mia passione, la mia comprensione. Semplicemente, ogni volta che facevo qualcosa glielo dimostravo… con le parole era più complicato. Sono più pesanti loro che la spada. Avevo più paura di dirgli quelle due paroline piuttosto che buttarmi in mezzo ad una guerra dall’esito incerto. Non ero brava ad esprimere i miei sentimenti. Per certi versi, rendevano le cose ancora più reali… e se erano reali, il rischio di perderle era decisamente più concreto.
    “Forse… no, aspetta! Che ho detto!? Ma che sto dicendo?”
    “Che mi vuoi sposare, mia cara.” mi disse sorridente, riavvicinandosi a me e portandosi alle labbra il dorso della mia mano.
    “Sì. Cioè no! Ahhh, ci rinuncio!” esclamai per poi buttarmi contro di lui ed abbracciarlo. Non riuscivo ulteriormente a reggere il suo magnifico sguardo. “Volevo solo salvarti, ok? Il solo pensiero che possano catturarti e rinchiuderti da un momento all’altro mi tormenta e mi distrugge.” lo strinsi maggiormente a me, e lui fece lo stesso. Quante cose non dette, quanti sentimenti troppo difficili da esternare, riassunti in un solo abbraccio. Eh sì, ho proprio sottovalutato e dato per scontato questo stupendo intreccio di braccia.
    Stavo per allontanarmi il necessario per guardarlo in viso, quando notai una figura camminare a passo svelto per il corridoio.
    “Horus...”
    “Horus?” mi chiese confuso allontanandosi da me e seguendo il mio sguardo. “Dove sta andando così spedita?”
    “Scopriamolo!”
     
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    “E' troppo pericoloso! Se qualcuno ti vedesse aggredire un Deviante potresti essere la scintilla di una Guerra tra Impero, non puoi... Horus, ascoltami... va bene così... vuoi aiutarmi? Stammi vicino... fino alla fine...”
    Sorrisi a mia madre. Anche se erano passati lunghi anni da quando la avevo vista l'ultima volta, non era cambiata. Era la persona più generosa, gentile, umile e coraggiosa che conoscevo. Avevo fatto tanto per poterle assomigliare. Avevo fatto tutto per farla felice e renderla orgogliosa di me.
    Come poteva ora chiedermi un simile sacrificio? Di rimanere vicino a lei a vederla spegnersi, oltrepassare il velo della vita, quando io sapevo, avevo la certezza che avrei potuto guarirla?
    Ero venuta sulla Terra per vederla, perché sentivo nel mio cuore che qualcosa di orribile stava accadendo, e non avevo sbagliato. Ero venuta infrangendo il patto con il mio Campione, di completa e incondizionata fiducia. Cosa poteva mai essere, ora, il rischio di scatenare una guerra tra imperi, quando sull'altro piatto della bilancia c'era la vita di mia madre e il mio essere figlia?
    ”Ti prego, madre. So che non c'è molto tempo. Dimmi dove posso trovare quell'essere che ti ha ferito. Ti prometto che non mi farò scoprire, che nessuno verrà a conoscenza di quello che farò”
    ”Nessuno?”
    ”No. Neanche Bayek e Ares. Non posso. Farebbero domande e... scoprirebbero tutto! Credi che voglia salvarti per poi essere giustiziata insieme a te dal nostro popolo?”
    Insistetti ancora con lei, era sempre stata molto ferma nelle sue decisioni, ma poi riuscii a convincerla. Ero sua figlia, ero fatta della sua stessa pasta.
    Con l'informazione stretta al cuore, uscii velocemente dalla casa e trovai un posto riparato per trasformarmi in falco. Spiccai il volo veloce, senza godermi come facevo sempre il piacere del vento tra le piume, della terra che si allontanava, del cuore che si quietava come sospeso nel vuoto.
    La mia ricerca fu molto breve. Nel giro di un'ora, avevo individuato il deviante colpevole. Posata su un ramo lo osservavo mentre si stava allenando con altri suoi compagni nel piazzale della caserma di cui faceva parte. Era una guardia, uno dei soldati che mantenevano l'ordine sul pianeta ormai in mano a questa razza odiosa.
    Bayek e mia madre erano stati attaccati durante un tentativo di sequestro. Solo perché mia madre era intervenuta a difesa del suo Campione, lui era riuscito a sfuggire all'agguato. Mia madre lo aveva raggiunto subito dopo, ma ferita da uno degli attacchi di quell'essere.
    Fu semplice, in realtà. Togliere la vita del Deviante e prelevare una fiala del suo sangue. Attesi che si isolasse dagli altri, poi mi trasformai in donna e lo pugnalai a morte. In pochi secondi, ero tornata ad assumere la forma che ormai non mi creava più disagio mantenere, quella da volatile. Avevo faticato parecchio, avevo dovuto fare violenza su me stessa, ma ci ero riuscita. Questo era il mio orgoglio, la forza che possedevo: non arrendermi mai.
    "Horus!"
    Rimasi basita e immobile per qualche secondo. Il mio istinto fu di fuggire, di scappare da quello che mi aspettava. Di tornare da mia madre Senu, di guarirla e di scomparire insieme a lei, ancora una volta. Ma non potevo. Troppo forte il senso dell'onore e la fierezza per il mio retaggio, per tenere un comportamento che sapeva di debolezza e paura.
    Tornai alle mie sembianze umane e mi girai lentamente verso Ares e Bayek. Tenni gli occhi a terra, mordendomi le labbra. Da dove avrei cominciato a spiegarmi?
    ”Perché sei scappata di nascosto? E per quale motivo hai chiesto di venire sulla Terra? Toth è a conoscenza del tuo viaggio?”
    Il tono di Ares era addolorato più che accusatore. Mi dispiaceva averla ferita. Lei si era fidata delle mie parole, del mio buon senso. E dietro di me, il corpo della guardia testimoniava più di ogni sospetto quanto avessero sbagliato con me.
    Tesi la mano mostrando la fiala preziosa.
    ”Con questa posso curare mia madre, Senu, ma non ho molto tempo per farlo!”
    ”Tua madre? Tua madre è Senu? Quante altre cose non ci hai detto?”
    Ares tentò di insistere, ma venne fermata da Bayek.
    ”Se mi assicuri che riuscirai a salvarla, ora è a questo che dobbiamo dare priorità. Poi penseremo al resto!”
     
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