Mirror Dimension (Jedi's Doom)

Earth Prime

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    Galen
    Da quando, più di 25.000 BBY fa, la storia umana si era evoluta verso lo spazio velocemente la Terra era divenuta parte integrante di un sistema di pianeti che collaborava e viveva in armonia l'un l'altro.
    Era normale lo scambio, il commercio, i viaggi ed addirittura il vivere anche su altri pianeti come aver a che fare con gli stessi e le sue popolazioni.
    Questo e la presa di coscienza dell'esistenza di Ibridi e delle loro capacità aveva portato agli stessi a radunarsi ed approfondire le loro abilità. Per lungo tempo, rinchiusi ad Anch-To (loro pianeta natale), l'ordine era stato per lo più contemplativo, ma col tempo avevano assunto un ruolo sempre più attivo intervenendo direttamente nelle questioni politiche della galassia fino a servire la Repubblica Galattica, con base sulla Luna, come protettori di pace e giustizia.
    Lo sviluppi degli Jedi Assassini aveva però portato, per forza di cose, alla nascita di una corrente di Ibridi che iniziarono a servire il lato oscuro della Forza.
    L'Universo conosciuto era dunque diviso in due grandi ordini: Eterni/Jedi Assassini del Lato Chiaro ed Eterni/Sith del Lato Oscuro. Tutte le altre persone, né Eterni né Ibridi, nel mezzo erano fedeli ad uno o l'altro Lato.
    Vivevamo in un'epoca di squilibri e fragili alleanze ove attualmente la Confederazione dei Sistemi Indipendenti, costituita da organizzazioni più piccole e interi sistemi stellari, erano decisi a lasciare la Repubblica Galattica e creare un nuovo governo perchè accusavano quello vigente di essere diventato corrotto e marcio.
    Negli ultimi anni la Confederazione stava raccogliendo sempre più consensi anche tra corporazioni di rilievo come la Federazione dei Mercanti, la Tecno Unione, la Gilda del Commercio, l'Alleanza Corporativa ed il Clan Bancario Intergalattico.
    Nel dettaglio io lavoravo da qualche anno per la Federazione dei Mercanti, facendo riferimento soprattutto ad Urano e Nettuno ove le sue governati, moglie e sovrane, avevano iniziato ad ingaggiare scienziati, con conoscenza dei cristalli kyber, per alcuni innovativi progetti.
    ”Dobbiamo proprio partire Galen? Non lo so... non sono convinta della scelta...”
    Sabine seduta sul bordo del letto e mi guardava dubbiosa. Gli splendidi capelli neri erano raccolti in una delle sue solite e complesse acconciature, mentre le mani intrecciate tra loro, posavano sulla stoffa pregiata dell'abito che indossava. Gli occhi verdi e profondi mi scrutavano con la loro solita perspicacia ed intelligenza, mentre io ero intento a preparare la nostra valigia.
    "So che ti spaventa l'attuale situazione politica, ma su Urano non avremo nulla da temere. La Repubblica ha confermato che gli scambi con i pianeti coinvolti nella Confederazione non sono proibiti, come alle persone di viaggiare tra essi. E' una lotta che si sta svolgendo al Senato..."
    ”Ma per quanto? E se non ci facessero tornare più a casa? E se venissimo accusati di tradimento? Non sono una separatista!” affermò sicura, ma anche spaventata, tanto che fui costretto a lasciar perdere quello che stavo facendo ed inginocchiandomi di fronte a lei le presi mani stringendole nelle mie per rassicurarla.
    "Nemmeno io amor mio, ma... sai che ne abbiamo bisogno... Sono uno scienziato e l'Irlanda ha davvero molto poco da offrire ad uno come me... presto non sarò più in grado di mantenere lo stato sociale in cui viviamo, l'eredità di mio padre si sta esaurendo e noi dobbiamo garantire a Shay un buon futuro. La Lega offre uno stipendio, un tetto e copre totalmente i costi per gli studi di nostro figlio..."
    ”Lo so lo so, scusami... sono solo molto triste... mi mancherà casa...”
    "Mancherà anche a me..." dissi con un dolce sorriso prima di alzarmi sulle punte e posare sulla fronte di mia moglie un dolce bacio.

    ***

    Gli anni su Urano erano passati veloci e ricchi di avvenimenti, molti dei quali avevano portato sempre più prosperità, serenità e gioia nella mia famiglia che viveva negli agi più assoluti.
    Le tensioni tra Repubblica e Confederazione cresceva ogni giorno, ma per ora lieto dell'isola felice in cui ci trovavamo non prestavo molta attenzione alla politica.
    Il progetto Celestial Power procedeva con sempre più risultati seppur voci sempre più insistenti dicevano che i Confederati erano decisi ad usarla come arma contro la Repubblica, per sovvertirla ed attuare un colpo di stato.
    Erano voci a cui volevo non dar peso, seppur da una parte le preoccupazioni di Sabine e dall'altra le pressioni di Haytham mi stavano iniziando a far cambiare idea.
    Haytham era uno Jedi, un'amico di vecchia data che prima di me aveva lavorato per la Confederazione come cacciatore di taglie e poi aveva trovato la sua vocazione tra le vie della Forza.
    Era proprio in missione su Urano quando le nostre strade si erano incrociate di nuovo, seppur in un primo momento credevo in modo del tutto casuale, per poi scoprire che si trovava lì perchè stava indagando sul progetto a cui lavoravo. A suo dire la Repubblica aveva modo di credere che ciò che stavo contribuendo a costruire non sarebbe servito per fornire energia quasi illimitata ai pianeti della Confederazione, quanto più un'arma in grado di distruggere pianeti.
    Deciso a sciogliermi qualsiasi dubbio in merito, iniziai ad indagare per conto mio, ma scoprì ben presto che i miei superiori erano incapaci di fornirmi esempi sull'implementazione della mia ricerca.
    Fu rendendomi conto di quanto la mia presenza fosse fondamentale per la riuscita del progetto che con l'aiuto di Haytham ero fuggito con mia moglie e mio figlio. Convinto che se fossi tornato in Irlanda, sulla Terra, nella nostra piccola e desolata fattoria lì nessuno ci avrebbe mai trovato... a quanto pare mi sbagliavo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 5/8/2020, 18:13
     
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    Ricercare e trovare Galen Cormac non era stata una cosa semplice, ma quando le Regine Skye e Calpyso mi avevano assoldato per questo delicato compito non mi ero tirato indietro e come sempre avevo abbracciato la missione tenendo fede all'onore dei mandaloriani, oltre ad ambire al consistente premio in denaro che mi attendeva.
    Arno sarebbe venuto con me, come sempre. Sua madre era morta per darlo alla luce ed io da allora mi ero unito ai mandaloriani crescendolo nei loro ideali e scopi, certo che un giorno sarebbe divenuto un cacciatore di taglie forte e nobile come me, se non migliore.
    ”Dove stiamo andando papà?” mi chiese entusiasta mentre mi aiutava, come sempre, a preparare la navicella che era un'estensione della nostra stessa casa.
    "Andremo sulla Terra... ho raccolto alcune informazioni ed ho motivo di creare che il nostro obbiettivo si trovi lì!" gli raccontai ben lieto di renderlo sempre partecipe delle mie missioni. Lo stavo già addestrando e probabilmente, tempo qualche anno, avrebbe iniziato ad averne delle personali.
    ”Dobbiamo uccidere qualcuno?” lo chiese con serenità, aveva ben imparato ormai di quanto la morte fosse un'arma potente. Dunque gli avevo imparato a conviverci senza remore e rimorsi.
    "Forse. Le Regine desiderano che l'obbiettivo sia portato da loro vivo, ma non hanno detto nulla circa la vita della sua famiglia, sai cosa vuol dire Arno?" lo interrogai mentre sedendomi al posto del pilota lo vidi fare lo stesso accanto a me.
    ”Che qualcosa su cui far leva?”
    "Ottimo Arno, sarai un ottimo mandaloriano!" esclamai orgoglioso e poi partimmo a tutta velocità.

    ***

    Il viaggio non era stato particolarmente lungo e prima di scendere dall'astronave avevo messo il mio casco. Nessuno poteva conoscere la mia identità, a parte i miei compagni d'armi e la mia famiglia. Sorrisi ad Arno e lo invitai a rimaner fermo in attesa della mio ritorno e poi camminai sereno e tranquillo verso le infinite distese verdi e desolate di quel posto abbandonato.
    Il luogo non mostrava case, se non una fattoria all'orizzonte, ed intorno avevo solo campi e pecore. Senza perdere la mia sicurezza, ma sempre sul chi va là, sorrisi sotto il casco a notare il fumo uscire dal piccolo comignolo della casa. Non mi avvicinai ulteriormente. Non bussai. Rimasi immobile ben certo che presto sarebbe stato Galen Cormac a venire da me.
    "Sei difficile da trovare Cormac, ma l'agricoltura... Ti sapevo molto più di così! Un uomo del tuo talento..." lo beffeggiai rimanendo immobile.
    Era appena uscito dalla sua fattoria, gli abiti umili, la barba lunga, i capelli spettinati. Un uomo diverso da quello che ricordavo.
    I miei sensi erano in allerta per cogliere ogni movimento, come ero certo che Arno mi avrebbe contattato se avesse visto la moglie o il figlio di Cormac fuggire chissà dove.
    Pensava che non sapevo che stava prendendo tempo? Che voleva agevolare loro la fuga?
    ”E' una vita pacifica” mi disse serenamente, fingendo calma. Decisi di tenergli il gioco.
    "E solitaria..."
    ”Non sei qui per chiacchierare, per cosa ti hanno mandato?”
    Galen era un uomo intelligente ed abbandonò velocemente i convenevoli per passare al cuore della questione.
    "I lavori sono bloccati, le Regine vogliono che torni... sai non è stato molto bello andartene senza dir nulla... e tutti sanno quanto sono particolarmente suscettibili... tuttavia gli servi e per questo sei ancora vivo!" sottolineai facendo ben presente la cosa.
    ”Io non torno su Urano”
    "Eri ad un passo per garantire pace e sicurezza ad una Confederazione intera!"
    ”Tipico dei Confederati! Confondente la pace con terrore! Ma a parte questo scontro di idee, credo che non sarei molto utile. Ho problemi di memoria e... sta peggiorando...”
    "Sei un brillante scienziato, ma un pessimo bugiardo... ma apprezzo lo sforzo!" gli feci presente, prima di voltarmi apparentemente verso il nulla.
    Improvvisamente comparve poco lontano Arno, stava puntando una pistola contro Sabine che camminava con sguardo terrorizzato, Galen era sconvolto.
    "Mio figlio mi ha comunicato, pochi secondi fa mentre parlavamo, di averla vista fuggire... è un peccato non trovi? Credevo tenessi alla tua famiglia!"
    ”Dorian lasciala stare!”
    Mi supplicò Galen, mentre io molto serenamente mi voltavo verso di lei ormai sempre più vicina.
    ”Non te lo porterai via!” mi urlò addosso spaventata, ma decisa.
    "Ma io vi porterò via tutti, vivrete insieme. Negli agi..."
    ”Come prigionieri dei Confederati!”
    "Come eroi!" sottolineai, ma iniziavo ad essere stanco di quel gioco. Io non ero lì per fare politica, ma il mio lavoro.
    Tutto accadde molto in fretta. Sabine reagì per disarmare Arno che cadde a terra, Galen urlò ben sapendo cosa sarebbe successo e corse in avanti, ma fu troppo tardi perchè la mia pistola aveva già centrato nel petto la donna ferendola a morte.
    Osservai freddo Arno rimettersi in piedi, pulirsi i vestirsi ed abbassare lo sguardo deluso dalla sua mancanza di attenzione, mentre impassibile osservava la scena che avevamo di fronte: Sabine morta e Galen che la stringeva tra le braccia piangendo.
    ”Troverò anche tuo figlio e farà la stessa fine!” lo minacciai e poi raggiungendolo alle spalle lo colpì con il calcio della pistola sul capo. Era ora di concludere il lavoro e riscuotere il bottino.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 5/7/2020, 11:37
     
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    Una coccinella. Adoro guardarle, con i loro colori strani e a volte sgargianti. Le mie preferite sono quelle gialle… sì, d'accordo, le rosse sono quelle classiche e quelle che portano fortuna, ma io non ho mai creduto a queste cose. Per me la fortuna è una specie di spettro, dovrebbe fare paura non rendere tanto felici. Perché? Beh, a me pare ovvio. Quando ti affidi a una dea cieca non sai mai a cosa potresti andare incontro, oggi ti bacia e domani ti maledice. Va bene, sono di nuovo d'accordo con voi, leggo davvero troppi libri… però a mia discolpa posso dire che mi piace anche… guardare le coccinelle!
    (…)
    Mi muovevo con cautela, a passetti leggeri, come avevo imparato a fare tempo addietro per necessità. Riuscivo a eludere la sorveglianza di mia madre e sgattaiolare fuori di casa molto spesso. Il sospetto che fosse lei a permettermi queste fughe mi colpiva, a volte, ma non mi facevo influenzare e mi inebriavo lo stesso della sensazione di libertà che mi dava. La notte era mia amica, assieme a tutte le stelle che punteggiavano il cielo. Io conoscevo bene ognuna di esse e non solo perché leggevo tanto! No, no, non solo. Io le avevo viste con miei occhi, avevo solcato i mari della galassia e l'avevo disegnata, dipinta, impressa e marchiata nella mia mente. Me ne ero innamorato. Lo so, un bambino non può sapere cosa sia l'amore, ma io ero pronto a scommettere che fosse qualcosa di molto, molto vicino all'esplosione di emozione che avevo nel petto ogni volta che pensavo a quei viaggi fatti con mio padre, oppure ogni volta che – con uno stelo di grano in bocca – me ne stavo lì a fissare i punti luminosi e le striature della Via Lattea.
    E allora… pensavo. Sapevo bene perché, appena quattro anni prima, i miei genitori mi avevano portato in questo Paese chiamato Irlanda, perché avevano acquistato una fattoria isolata, perché vivevamo di quanto producevano e perché non mi era permesso studiare assieme agli altri bambini. Lo sapevo, ma loro erano convinti del contrario. In fondo, allora, ero solo un bambino imberbe… non che a dodici anni mi potessi considerare un adulto, ma di sicuro nessuno dei due immaginava quanto negli anni avessi captato dei loro discorsi sussurrati, singhiozzati, smozzicati.
    Ci stavano cercando.
    Mio padre aveva un lavoro importante da completare, un lavoro che per lui era qualcosa di abominevole ma che doveva essere portato a termine.
    Le lacrime di mia madre mi confermavano la loro ansia, ma già da me avevo capito che se quel giorno fosse arrivato non avrei più potuto guardare le coccinelle né contemplare la Via Lattea.
    (…)
    Ahimè quel giorno arrivò prima di quanto potessi immaginare. Ma Galen Cormac non era uno sprovveduto, conosceva il suo nemico e non mi aveva lasciato nell'ignoranza. Piuttosto che sapermi morto, mi aveva raccontato ogni cosa, ogni pericolo, ogni possibilità, includendo anche un piano di fuga per me e mamma. Avevo ascoltato con fare compìto, l'espressione acuta e intelligente, di cui tanto si vantava mio padre, aveva mascherato bene il terrore provato mentre nella mia mente si raffigurava un tragico epilogo.
    “Non è detto che accada, Shay. Ti sto solo preparando a una eventualità!”
    “Se lo fai adesso, dopo quattro anni di silenzio, significa che questa eventualità è fin troppo vicina…”
    “L’ho detto che sei troppo avanti per questa famiglia…”
    mi aveva preso in giro, scarmigliandomi i capelli scuri con un gesto affettuoso.
    “E io l'ho sempre saputo… tutto quello di cui mi hai parlato oggi…”
    Papà era rimasto in silenzio, mentre mamma gli aveva stretto una mano e poi mi aveva abbracciato forte. Il suo profumo di quel momento – menta piperita e vaniglia – mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, popolando sogni e incubi.
    (…)
    “Scappa, Shay, scappa!” La voce di mia madre mi ferì le orecchie, le tempie, la coscienza.
    “No, non senza di te! Papà è stato chiaro. Dobbiamo seguire il tunnel, prendere la navicella e andare via. Senza di lui. Non lo uccideranno, lo sai anche tu. Troveremo il modo di rintracciarlo e di liberarlo, sappiamo bene dove lo porteranno.” La mia di voce, invece, mi faceva paura: era calma, priva di inflessioni, mi aggrappavo alla razionalità per non affogare nel terrore. Con gli artigli dilaniavo la paura e cercavo di far ragionare mia madre che sembrava affogare nel panico.
    “Tu… tu vai! Io non posso lasciarlo…” Vidi le sue dita tremare, il viso inondato di lacrime, le iridi offuscate dal dolore e lì compresi quanto l’amore per una persona potesse essere infido e fare male, tanto male. Ciò che accadde subito dopo, però, mi confermò quanto la mia conclusione fosse giusta, anzi fin troppo rosea, perché mi resi conto che quello stesso amore era capace persino di uccidere.
    (…)
    Tutto avvenne sotto il mio sguardo velato, le mie labbra insanguinate perché artigliate dai denti, la mia fronte imperlata di sudore. L’imboccatura del tunnel era poco distante dalla scena, ma era ben riparata da occhi indiscreti. Avevo tentato di dissuaderla, l’avevo tenuta stretta con lo scopo di impedirle di andare e disobbedire e abbandonarmi. Ma non aveva voluto sentire ragioni. L’avevo inseguita, ero caduto graffiandomi le ginocchia e i palmi con i sassolini sparsi tra la terra smossa, avevo sentito il cuore urlare, ma non avevo gettato un solo fiato neppure quando il proiettile aveva centrato e squarciato il suo petto, né quando mio padre la prese tra le braccia urlando tutta la sua sofferenza. Al contrario, il mio dolore rimase muto, forse in reazione al trambusto che ebbi sotto gli occhi per minuti interminabili, o forse perché non conoscevo un altro modo per reagire a quello scempio senza farmi scoprire.
    L’ultima minaccia del cacciatore di taglie ebbe il potere di riscuotermi, in un certo senso. Stordì ciò che restava di mio padre – un guscio vuoto distrutto dalla perdita – e diede ordine a suo figlio di portarlo alla loro navicella. Presi un respiro profondo e feci qualche passo indietro, poi qualche altro, infine mi voltai e iniziai a correre. Mi resi conto che negli occhi non avevo le pareti del tunnel e la sua imboccatura finale, ma l’espressione di mia madre e di mio padre. Sabine era morta perché non avrebbe tollerato di stare lontana dal suo più grande amore; Galen era stato fatto prigioniero perché era uno scienziato fin troppo dotato, ma non si sarebbe mai perdonato per essere stato la causa della morte del suo più grande amore.
    Perché? Perché gli affetti portavano solo piccoli istanti di effimera felicità, ma con sé trasportavano anche e soprattutto distruzione e strazio.
    Quel giorno imparai tanto, troppo, per un ragazzino di dodici anni. Quel giorno stabilii che non avrei permesso alla sete di vendetta di accecarmi. Quel giorno mi costrinsi a cementificare ogni emozione in fondo, dentro di me. Ma, soprattutto, quel giorno mi ripromisi che avrei portato in salvo mio padre e avrei combattuto affinché la Confederazione non portasse a termine i suoi loschi piani.
    Salii sulla navicella, sicuro di non essere stato seguito, inserii le coordinate che mio padre mi aveva fatto imparare a memoria con in mento un solo nome: Haytham Kenway.
    Un passo alla volta, un anno alla volta, un obiettivo alla volta. Avrei così realizzato gli ideali di giustizia che Sabine e Galen Cormac mi avevano insegnato, onorando la loro memoria.


    Edited by KillerCreed - 24/8/2020, 20:45
     
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    :Haytham:
    La mia vita era stata costellata da una lunga ed infinita solitudine. Mia madre, una giovane che aveva ceduto al fascino di un Sith più amante di sé stesso che degli altri, era morta per darmi alla luce cosa che mi costrinse ben presto a sopravvivere. Venni letteralmente comprato da un mercante che, dopo avermi fatto crescere con alcune balie, mi mise a lavorare all'età di 6 anni. Non era una cosa rara, non su un pianeta come Jakku ove cose del genere accadevano di continuo.
    Mi feci notare immediatamente per la mia intelligenza, intraprendenza e furbizia, cosa che mi permise negli anni di imparare a rubare sotto il naso del mio padrone il necessario per comprarmi la libertà. Cosa che ovviamente non mi venne concessa, motivo per cui appena 18enne fuggì legandomi ben presto alla Setta di Mandaloriani.
    Era stato condividendo la mia vita con loro che la mia strada si era incrociata con quella del sagace Galen Cormac.
    Era stata la conoscenza con lui a farmi scoprire i miei veri valori, a farmi combattere per gli stessi e decidere di servire il mio onore in altro modo.
    Le Vie della Forza mi avevano chiamato, non prima che una donna mi rubasse il cuore, una con la quale ebbi un figlio che non potei vedere crescere. Ero un Padawan, fin troppo adulto, ma il mio Maestro aveva creduto in me e mi aveva chiesto di dargli una prova della mia volontà. Lo era stato rinunciare alla famiglia che potevo avere, senza sapere che questo avrebbe spinto mio figlio ad odiarmi e seguire le vie del Lato Oscuro.

    Sentì chiaramente un presagio nella Forza il giorno in cui Galen venne rapito e Sabine uccisa, motivo per cui non mi stupì quando la navicella del giovane Cormac mi raggiunse su Coruscant, il pianeta in cui noi Jedi avevamo la sede principale.
    Riconobbi immediatamente in Shay la Forza della sua natura ed una predisposizione naturale alla disciplina motivo per cui lo inserì nelle classi di Younglings ove velocemente si distinse per bravura ed intelletto.
    Non ero ancora Maestro, ma quando lui divenne Padawan fu decisione unanime del Consiglio di promuovermi ed assegnarmi a quel giovane talentuoso.
    Ben presto Shay capì che ero un Assassino Jedi anticonformista. Ero disposta a disobbedire a degli ordine se questo ritenevo fosse giusto, motivo per cui lui era solito prendermi in giro sicuro che avrei potuto essere un membro del Consiglio se non fossi stato così istintivo. Ma la verità era, dopo qualche anno che già lo addestravo, che ero stato io a rifiutare tale invito ben lieto di agire sul campo.
    Una delle nostre missioni più importanti fu su Jedha dove un Confederato aveva tradito e si era presentato deciso a dare informazioni alla Repubblica circa le azioni del suo mondo. Era un ex consigliere di corte su Nettuno e diceva di avere informazioni vitali.
    Fu incredibile scoprire da lui, anche dopo così tanti anni, che Galen Cormac era vivo e tenuto prigionieri su Eadu. La Confederazione non si era stancata di desiderare il progetto che aveva iniziato anni fa e seppur ormai esausti dal suo tirarla per le lunghe, sembrava avessero ormai tutto il necessario per attuare i piani.
    La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno per Shay, mentre io ricevevo dal Consiglio l'ordine di trovare Galen Cormac ed ucciderlo. Ma come avevo detto ero sicuro che disobbedire non fosse sempre un atto ingiusto se questo voleva dire servire la giustizia. Il mio giovane Padawan, troppo rigido nei suoi dogmi, ancora non aveva appreso tale lezione. Quale occasione migliore?
     
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    “Ridatemelo, è mio!”
    “Perché non provi a riprendertelo, nanetto!”
    “Non vedi che è troppo basso anche per allacciarsi gli stivali?!”
    “Sembra uno gnomino delle nevi!”
    “Non è giusto!”
    Sbuffai, e sonoramente anche. Ma perché continuavano a innervosirmi con quegli odiosi teatrini? Era sempre la stessa storia anche se la vittima era sempre diversa. Le classi degli Younglings erano di una noia mortale, forse perché un po’ troppo grande, forse perché ero sempre a contatto con ragazzini davvero imberbi e… immaturi. Oh no, non credete che la mia fosse arroganza, esprimevo solo dei dati di fatto. Avevo appena quattordici anni, ma il mio desiderio di giustizia pulsava come se fosse lava nelle mie vene. Non sopportavo neppure vedere un piccoletto della prima classe venire vessato – anche se in maniera piuttosto stupida – dai bimbetti appena più grandi. Fissai la scena ancora qualche attimo prima di intervenire, sbuffando sì, e chiudendo di schianto il libro che stavo leggendo.
    “Perché non gli ridate lo zaino? Non è di vostra proprietà né c’è del materiale al suo interno che potrebbe tornarvi utile” dissi calmo, senza neppure guardarli, tutto impegnato a spolverarmi il mantello che ricopriva gran parte del mio corpo.
    “Cormac!” Non mi diedi pensiero per capire se quel nome era stato pronunciato con disprezzo, timore reverenziale o paura. Per me non era importante. Il “fine” era la parte fondamentale della transazione. “Sempre in mezzo ai piedi! Ma chi ti credi di essere?” Ecco, era disprezzo. Non mi avvidi del “nanetto” che si riprendeva lo zaino – strappandolo di soppiatto dalle mani dei suoi tormentatori – e si nascondeva dietro di me. Né dell’espressione esasperata del tormentatore numero uno, a cui avevo tolto il maggiore divertimento.
    “Io non credo di essere nessuno, ma tu di fatto non sei nessuno, quindi smettila di dare fastidio a destra e a manca e fai un tentativo per diventare un onorato Padawàn…
    “Ma sentilo! Parla proprio lui che a quell’età ancora si trova nelle prime classi! Non è che forse sei un po’ ritardato, Cormac?” Si girò verso i suoi compari e risero sguaiatamente.
    Cercai di non scoppiare a ridere a mia volta. Queste battutine erano vecchie come l’universo e io ero davvero stanco di dover perdere tempo.
    “Che sia ritardato o meno, forse è arrivato il momento di decidere se la tua strada è davvero quella per diventare un Jedi. Io ti ci vedo più come falegname, sai, troppa segatura nel cervello…” L’altro stava per venirmi addosso per assalirmi, ma i suoi compagni ebbero il buon senso di bloccare la sua azione e trascinarlo via. Tutti sapevano bene che qualsivoglia aggressione veniva punita con l’espulsione diretta. Chi non sapeva controllare i propri istinti non era degno di diventare un cavaliere Jedi, ogni gesto o passo era tenuto sotto controllo, studiato, ponderato… ma non era sempre facile evitare scene come quelle a cui avevo assistito.
    I miei pensieri furono improvvisamente interrotti, mi ero di nuovo perso… Qualcuno stava tirando un lembo del mio mantello. Un gesto timido ma in qualche modo emozionato. Mi voltai e vidi il “nanetto” dai capelli biondi, aggrappato quasi alla mia veste.
    “Ehi, sei ancora qui!” dissi sorpreso, inginocchiandomi d’istinto per poterlo guardare bene in viso. I suoi occhioni verdi erano colmi di un’ammirazione che non riuscivo a comprendere.
    “Certo! Non potevo filarmela senza dirti grazie.” Iniziò il piccoletto, stringendosi subito dopo la borsa al petto. “Ho sentito parlare molto di te, aiuti sempre i più deboli, sei un eroe!” Scossi il capo, un sorriso divertito sul volto sempre serio.
    “Non è così. Non sono un eroe, semplicemente, essendo più grande nessuno prova a fare il gradasso con me!” Cercai di spiegargli. Se fossi stato un eroe, avrei avuto amici, ammiratori, seguaci, anche se tra ragazzini. In realtà, il mio carattere schivo e il mio essere taciturno allontanava anche la più piccola probabilità di avere una compagnia simile. Ma di questo non me ne rammaricavo. Adoravo il silenzio, la solitudine, mi aiutavano a riflettere e a tenere saldi i miei principi.
    “Mmm, per questo sei un eroe. Non stuzzicano te, però decidi di aiutare chi è in difficoltà! Potresti benissimo farti gli affari tuoi...”
    Aprii la bocca per replicare, ma non trovai le parole giuste. Il “nanetto” me le aveva tolte tutte. Lasciai passare qualche attimo per racimolare le idee, poi gli misi le mani sulle esili spalle e ripresi a parlare.
    “Non è forse lo scopo di un cavaliere Jedi: aiutare il prossimo, riportare equilibrio e giustizia? Ecco, se vivi così la tua vita fin d’ora allora la strada da percorrere sarà sempre ben illuminata…” Speravo che questo pensiero avrebbe messo radici in quel piccoletto, dandogli la forza di andare avanti. Lui annuii con forza, mollando di colpo lo zaino e buttandomi le braccia al collo. Io restai immobile, non sapevo proprio cosa fare, ma fortunatamente il bambino mi tolse dall’impaccio sciogliendo presto l’abbraccio. Mi misi in piedi e feci per andarmene, sentivo ancora i suoi occhi piantati nella schiena, così prima di scomparire mi voltai… “E poi gli eroi sono popolari, io non corro questo rischio! Problema risolto” Gli feci un occhiolino e mi affrettai verso la mia classe, tra poco sarebbe cominciata una lezione importante.
    All’epoca non avevo idea che l’intera scena si era svolta sotto lo sguardo attento di colui che sarebbe presto diventato il mio Maestro…



    :Shay:
    Sentivo il cuore pulsare forte all’altezza delle tempie, stavano per scoppiare? Il mio cervello stava raggiungendo il punto di fusione? Perché sentivo così caldo? Il petto doleva e lo massaggiai con forza, arrivando persino a stropicciare la casacca di lino che portavo di ritorno dall’allenamento.
    Lo so, non avrei dovuto fermarmi, ascoltare, reagire. Tuttavia, sentita la voce del mio Maestro la curiosità l’aveva avuta vinta. Ma allo stato attuale delle cose avrei voluto passare oltre, muovermi più veloce, cancellare quella voce… e soprattutto quell’ordine.
    Haytham Kenway doveva uccidere Galen Cormac. Poteva una cosa del genere lasciarmi indifferente? Eppure, il lavoro che avevo fatto in questi anni di addestramento mi aveva aiutato a seppellire ogni emozione, a imbrigliarle a dovere, a tenerle a bada ogniqualvolta tentavano di giocarmi un tiro mancino.
    Non era stato facile, alla notizia che mio padre era ancora vivo, mantenere intatto il mio contegno. Avrei voluto urlare dalla gioia, piangere dalla commozione, partire immediatamente per Eadu e liberarlo. Ciò nonostante? Ero rimasto calmo, avevo lasciato parlare il mio Maestro, lo avevo seguito in silenzio fino alla navicella che ci aveva riportato a Coruscant. Tanto docilmente, che arrivai a scorgere persino preoccupazione negli occhi del Maestro a causa della mia mancata reazione, ma nessuno di noi proferì parola. Non era ancora il momento.
    Ma adesso? Potevo davvero restare impassibile di fronte a una decisione simile?
    Mi ero allontanato in fretta dopo aver origliato, ma Haytham non poteva non aver sentito la mia presenza. Forse per questo, dopo neppure un minuto che mi ero chiuso nel mio alloggio, udii bussare alla porta. Era lui, la sua essenza era vibrante e l’avrei riconosciuta tra mille. Era anche preoccupato, sapeva… che io sapevo tutto.
    Quando gli aprii non feci mistero della mia agitazione. Ero consapevole di non fare bella figura e che non avrei guadagnato alcun punto di merito a mostrarmi debole, ma non riuscivo a stare fermo e impassibile. Non questa volta.
    “Shay… Shay, guardami!” La sua voce era decisa come sempre, ma aveva una strana sfumatura di dolcezza che non avevo mai neppure immaginato. Alzai lo sguardo sul suo volto e la serenità che vi scorsi mi parve stridere con la tempesta che sentivo infuriare dentro di me.
    “Lo so, Maestro. Non dovrebbe toccarmi, dovrei essere forte, se hanno dato quest’ordine un motivo ci deve essere. Anche se io non lo vedo, non lo capisco, non riesco a interiorizzarlo… dovrei comunque accettarlo… dovrei…” Lo vidi avanzare verso di me, a passo marziale, poi i suoi palmi forti calarono sulle mie spalle e mi scossero con forza. Non lo aveva mai fatto prima. Mai.
    “Smettila, Shay, smettila! Non sei un robot! Sfogati, lascia andare tutta la tua amarezza, falla venire fuori… oppure potrebbe avvelenarti da dentro!”
    “Un Jedi non si fa trascinare dalle emozioni e dagli affetti. Un Jedi dev’essere equilibrato, forte, sicuro di sé…” Mi tremava la voce mentre pronunciavo quelle sillabe, poi il tremore passò alle mani che strinsi subito in pugni ferrei. Addentai il labbro inferiore per causarmi del dolore e concentrarmi su quello fisico, così da non cedere a quello interiore.
    “Diventare Jedi è un percorso, ragazzo mio. Le emozioni sono la nostra palestra più importante. Non devi eliminarle dal tuo cuore, altrimenti sarai per sempre votato all’aridità dell’animo. Devi solo imparare a gestirle e farle diventare un tuo punto di forza…” Haytham non smetteva di scuotermi di tanto in tanto, anche se con minor vigore, come a volermi svegliare da quella condizione di impasse. “È pur sempre tuo padre!”
    “Che tu devi uccidere…” mormorai, abbassando di nuovo gli occhi sul pavimento. No, non doveva fare così male, non doveva.
    “Che io dovrei uccidere…” Alzai di scatto il viso e lo fissai senza ritegno. Un sorriso sghembo colorava le sue labbra, mentre nel suo sguardo scintillava qualcosa… qualcosa che assomigliava alla speranza. Haytham Kenway era rinomato per essere un cavaliere anticonformista, che a volte modellava le regole in base alle proprie necessità, ma da qui a disubbidire a un ordine diretto il passo era davvero troppo lungo. Eppure, contro ogni buon senso, lasciai che quel barlume di speranza si radicasse in me e attenuasse la tempesta che rischiava di farmi naufragare.
    Presi un respiro profondo, misi le mie mani sulle sue – ancora salde sulle mie spalle – e parlai.
    “Che cos’hai in mente?”


    Edited by KillerCreed - 24/8/2020, 20:48
     
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    I lunghi anni passati su Eadu erano stati una prigionia di cristallo. Apparentemente avevo una basa scientifica tutta mia, avevo degli uomini al mio servizio ed io ero a capo di tutto, ma la verità è che lavoravo sotto la costante minaccia che facessero del male a mio figlio. L'unico modo che avevo per tenerlo al sicuro era lavorare per loro e chissà magari io stesso inserire nel mio progetto una gabola che avrebbe permesso allo stesso di implodere e non vedere mai la luce.

    Il mio lavoro aveva preso lentamente sempre più forma, nonostante tutti i miei sforzi per rallentarlo. L'uso dei Cristalli Kyber per produrre energia era una grande rivelazione, soprattutto se per millenni erano sempre e solo stati usati a fronte di alimentare le spade laser degli Assassini Jedi. Era quasi un oggetto sacro e rappresentava unicamente il simbolo per antonomasia di tale Confraternita un po' come le loro lame celate.
    Io invece avevo capito come fonderli ed ottenere da ciò una reazione controllata che avrebbe prodotto un'immensa fonte di energia quasi inesauribile.
    Mio scopo era di condividere tale scoperta a scopo produttivo, milioni di persone che vivevano in situazioni di povertà e non potevano permettersi l'energia per alimentare le case, ad esempio, l'avrebbe avuto quasi gratuitamente e piccoli insediamenti sarebbero cresciuti e prosperati per via delle fabbriche che sarebbero sorte.
    Ma la Confederazione aveva altri scopi, ancor più quando tra le file della stessa correvano voci di un colpo di stato. Un Impero silente, formato da Ibridi ed Eterni dissidenti con l'attuale Repubblica, si stavs preparando a sorgere ed aveva bisogno di un'arma micidiale per schiacciare ogni rappresaglia.
    Questo mi aveva spinto ancor più a remare contro al mio stesso progetto, una cosa che temevo di non riuscire a realizzare ancor più quando negli ultimi anni mi era stata affiancata Sybyl Krennic. La figlia del Direttore della Confederazione.
    Tuttavia ben presto Sybyl mostrò di essere diversa dal padre. Era sveglia e segretamente aiutava la Repubblica fornendo loro informazioni, era una spia al loro servizio e per questo mise le sue conoscenze e la sua intelligenza al servizio della mia opera.
    Inseme riuscimmo a creare un "dispositivo di sicurezza" che, in mano agli Jedi, avrebbero potuto usarlo per compromettere la messa in opera del progetto e di conseguenza impedire che venisse usata dalla Confederazione per i loro loschi affari.
    Era l'ultima notte che passavamo insieme, l'indomani sarebbe partita ed avrebbe portato tali informazioni alla Repubblica che saggiamente le avrebbe usate.
    "Fai attenzione" la pregai.
    Eravamo soli nel mio laboratorio, le mie mani sul suo viso giovane. Aveva circa 12 anni meno di me, ma la sua posatezza. Maturità e sì, anche bellezza, mi avevano colpiti. Dopo Sabine mi ero chiuso nel mio dolore, ma lei lentamente aveva scavato per arrivare al mio cuore e farlo battere di nuovo.
    Syybil sorrise posando le mani sulle mie, non si era mai arresa. Ogni giorno aveva combattuto per la libertà e per noi.
    “Mio padre è tra i maggiori esponenti della Confederazione ed io la sua più fide consigliare. Mi sono costruita un'immagine forte da lealista, ho contribuito a molti dei successi ottenuti... Faccio attenzione ogni giorno Galen, non devi preoccuparti così tanto per me...” lo disse tranquilla portandosi sulla punta dei piedi e cercando le mie labbra che baciò lieve.
    “Piuttosto fai attenzione tu amor mio... la Repubblica ha deciso di mandare qualcuno ad ucciderti... Domani quando avranno ciò che gli porterò capiranno che dovranno ringraziarti, che tu sei il fautore della vittoria della libertà, ma fino ad allora ti considerano il creatore della più grande arma di distruzione di massa. Rimani chiuso nei tuoi alloggi, presta attenzione... rimani sano e salvo...” c'era urgenza nella sua voce, mentre la luce fioca della stanza illuminava i nostri volti.
    Io la stringevo per i fianchi e sorridevo sereno.
    "Ma tu mi hai già salvato Sybyl, con il tuo amore. Portandomi ogni volta che hai potuto informazioni di mio figlio, assicurandomi della sua vita e permettendomi di "vederlo" crescere seppur solo attraverso i tuoi racconti..." lei scosse il capo. Gli occhi lucidi e lo sguardo preoccupato, prima di stringersi a me e chiudere gli occhi. Un abbraccio che valeva più di mille parole.


    :Arno:
    Le voci legate ad un possibile omicidio di Galen Cormac erano arrivate alla Confederazione che non aveva perso tempo e mi aveva assoldato per garantirne la sicurezza. Ovviamente giusto fino al momento in cui il Direttore Krennic sarebbe arrivato sul pianeta e si sarebbe assicurato della funzionalità dell'arma, dopo di che la condanna a morte di Cormac era scritta.
    Mio padre era morto solo un anno prima, aveva incrociato la sua strada con quella del Mentore Kenway e del suo Padawan Cormac ed era morto. Io avevo raccolto il suo casco ed indossandola insieme all'armatura portavo avanti i suoi insegnamenti con un obbiettivo ben preciso in mente: vendicarlo.
    “Dorian benvenuto! Il Direttore ci ha informato di seguire qualsiasi direttiva lei ci darà!” esclamò l'uomo che mi venne incontro appena sceso dalla mia navicella. Era il responsabile militare della struttura.
    Su quel pianeta maledetto, fatto solo di rocce spesse e scure, pioveva incessantemente ad ogni ora ed ogni momento regalando al luogo una cupa atmosfera perennemente notturna.
    Mi voltai guardandomi intorno, quasi non degnando la persona che mi stava parlando individuando distante di noi, sulla linea dell'orizzonte un'altura.
    "Mandate degli uomini lì, è un ottimo luogo se si vuole attaccare la base... e poi mandatela in Lockdown nessuno esce e nessuno entra senza il mio preciso ordine. Nel mentre portate Galen Cormac al mio cospetto!" ordinai senza troppi complimenti oltrepassando l'uomo ed entrando nella struttura.
    Galen venne portato al mio cospetto all'interno del suo laboratorio, lì dove stavo prendendo in mano provette e strumenti non veramente interessato quanto più divertito da come elementi così futili e poco onorevoli, lo rendessero tanto importante.
    Lui riconobbe subito l'armatura di mio padre, ma capì anche che non si trattava di lui.
    “Arno!?”
    "Galen quanto tempo! Devo dire che non sei cambiato molto..."
    “Tu invece sei cambiato molto...”
    Seppur non poteva vedermi, sorrisi sotto il casco muovendo le mani come ad indicare il mio essere cresciuto, ma una volta vicino a lui gli diedi uno schiaffo con il dorso della mano così forte, che per via dell'armatura, lo fecero cadere a terra in ginocchio rompendogli il labbro.
    "Merito di tuo figlio. Ha ucciso mio padre insieme al suo Maestro!" spuntai iracondo ed incapace quasi di trattenere la rabbia, ma impegnandomi nel farlo.
    Strinsi la mascella e di nuovo il mio tono cambiò, dovevo apparirgli schizofrenico e forse lo ero.
    "Il progetto è concluso, devi esserne fiero!?" lo beffeggiai allargando le braccia.
    “Difficile esserlo di un arma di distruzione di massa”
    Alzai gli occhi al cielo, mentre con un mano facevo segno ad una delle guardie di far entrare nella stanza tutti gli ingegneri che non lui avevano collaborato. Galen si irrigidì osservando gli uomini.
    Erano leali alla Confederazione, era vero, ma molti di loro non avevano avuto scelta o avevano abbracciato tali ideali per assicurare un futuro alle proprie famiglie.
    “Uno di voi ha cospirato contro la Confederazione... un pilota, mandato da uno di voi, è andato dalla Repubblica a raccontargli cosa qui facciamo... chi è stato?” chiesi vedendo gli uomini guardarsi tra loro spaventati.
    Galen ancora in ginocchio davanti a me, sudava freddo e li guardava terrorizzato. Parlare avrebbe voluto dire esporre Sybyl e dunque tacque.
    "Ottimo lo considererò un lavoro di gruppo!" il tempo di dre ciò che i soldati nella stanza puntarono le loro armi contro ogni singolo ingegnere. Fu allora che Galen scattò in piedi e fronteggiandomi ammise che era stato lui e chissà come mai non mi sorprese per nulla.
    “Risparmiali! E' colpa mia! Solo mia! Prenditela con me Dorian!”
    Io lo fronteggiai assai deluso, ma per niente sorpreso e poi mossi una mano mentre tutti gli uomini nella stanza vennero uccisi, tutti i suoi collaboratori.
    Galen urlò disperato, per l'ennesima volta era stato spettatore delle conseguenze dei suoi errori.
    Non aspettai oltre e mentre era ancora confuso e perso, io lo accoltellai all'addome prima di passare sopra il suo corpo quando questo si accasciò a terra.
    "Voi due rimanete qui e tenetelo d'occhio, gli altri mi seguano!" ordinai. Non ero sciocco, sapevo dell'attacco che presto sarebbe arrivato ed io ero deciso a dare loro il mio personale benvenuto.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 5/8/2020, 18:13
     
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    :Shay:
    Quando il mio Maestro mi aveva raccontato il piano per salvare Galen Cormac dalle grinfie della Confederazione – ma anche dalla sentenza della Repubblica – ero rimasto allibito. Conoscevo i trascorsi “rocamboleschi” di Haytham prima di diventare Cavaliere Jedi, o almeno credevo di conoscerli, perché a ogni buona occasione veniva fuori qualcosa che riusciva a sbalordirmi. Questa volta? Era stato in grado di mettere insieme un piccolo esercito talmente letale da posizionarsi il più distante possibile dall'ideale Jedi. Io, di fronte a questo…? Non avevo proferito parola, battuto ciglio, mosso un muscolo. Al contrario – e non ne andavo fiero – avevo benedetto ognuno di quegli uomini che stava comunque rischiando la vita per qualcosa. Soldi? Riconoscenza? Debito? A noi, stavano tornando dannatamente utili. Senza quel manipolo di combattenti non saremmo riusciti a superare gli accessi secondari del Centro di Ricerca inosservati. Prima di scomparire all'interno della struttura, ero riuscito persino a intravedere Dorian nella mischia. Il suo inconfondibile casco me lo avrebbe fatto riconoscere tra migliaia di persone, oltre a farmi rivivere ogni volta un terribile déjà vu. Il dolore? Il dolore sarebbe mai scomparso del tutto? Non avevo tratto alcun beneficio dall'aver ucciso Charles Dorian appena un anno prima, ma questo lo avevo compreso fin dall'inizio. La vendetta, per quanto affascinante, non riesce mai a colmare il vuoto della perdita. Il volto di Sabine mentre veniva uccisa era rimasto impresso tra le pieghe della mia memoria, tanto da sognarlo quasi ogni notte. La scena era sempre la stessa: colazione spensierata a base di brioche alla vaniglia e biscotti alla menta piperita; il sole che sale sempre di più sulla linea dell'orizzonte fino ad accecare; la quiete della pianura inondata di luce spezzata da un colpo secco di pistola; urla disperate di strazio e sangue, sangue dappertutto; un tunnel infinito, le mie mani imbrattate di quello stesso sangue e poi… il ritorno alla realtà. Di questo non avevo mai parlato neppure con il mio Maestro e – con il battito e il respiro accelerati – mi resi conto che mi ero lasciato trasportare dai pensieri. Dovevo restare lucido e concentrato se volevo essere di aiuto.
    “Shay, adesso cancella i ricordi, la paura, il dolore. Sei qui per lui, sei qui per ritrovare una parte di te e portarla in salvo!” Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, ma per me era un piccolo riscatto a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo.
    I nostri passi all'interno dell'edificio erano veloci ma felpati, i diversivi creati per richiamare i mercenari di Dorian e l'esercito della Confederazione sembravano star avendo successo, perché fino al momento non avevamo incontrato alcun ostacolo sulla nostra strada. Ciò nonostante, eravamo consapevoli che “il ritorno” non sarebbe stato tanto semplice, non con il fardello pesante ma prezioso che ci saremmo portati dietro.
    Conoscevamo benissimo l'ubicazione del Laboratorio di mio padre, così come avevamo individuato senza problemi il Centro Tecnico dove l'arma di distruzione di massa era stata costruita e attendeva il collaudo finale. Secondo l'ordine del Consiglio avremmo dovuto uccidere il dottor Cormac e far saltare in aria Laboratorio e Centro Tecnico. Il piano che avevamo messo a punto era complesso ma non impossibile e avrebbe in qualche modo soddisfatto le esigenze del Consiglio e della Repubblica, con un unico piccolissimo dettaglio: Galen Cormac sarebbe stato risparmiato e trasportato in un luogo sicuro all'insaputa di tutti.
    Presi dei bei respiri e imposi ai miei sensi di calmarsi, la mano stretta sull’impugnatura della mia spada e lo sguardo saettante verso il nostro primo obiettivo: il Laboratorio. Haytham, poco più avanti rispetto a me, mi fece cenno di arrestare il passo. Era logico che all’entrata avremmo trovato resistenza, ma nulla di troppo impegnativo. Neutralizzammo le due guardie con facilità ed entrammo di soppiatto nella stanza designata. A discapito della mia ferma volontà di non farlo, avevo pensato molte volte a come sarebbe stato rincontrare mio padre. L'avrei trovato invecchiato, deperito, tanto diverso da come lo ricordavo? Oppure la sensazione sarebbe stata quella che non fosse trascorso un solo minuto? Otto anni non erano molti in realtà, ma quante cose erano successe a entrambi?
    Mi resi conto di essermi fermato sulla soglia, esposto, come un ragazzino alle prime armi, quando Haytham mi afferrò per il mantello e mi tirò all'interno con urgenza. Ma fu un gemito improvviso, nato dalla sua gola, a mettermi seriamente in allarme. Nulla era in grado di sorprenderlo, nulla, eppure qualcosa lo aveva fatto sussultare… e correre. Lo seguii, d'istinto, incapace di pensare lucidamente. Avevo la sensazione che tutti i pensieri si fossero incastrati, accavallati e rallentati gli uni sugli altri. Un tamponamento a catena di proporzioni epiche. Poi guardai davvero… e capii.
    Un corpo era riverso sul pavimento, una pozza di sangue scuro si era allargata sotto quel corpo, una mano grande e callosa era aperta accanto al viso, nascosto da ciocche di capelli brizzolate. Un anello, una vera di oro bianco, ferì le mie iridi, i miei ricordi, la mia anima. Non potevo essere arrivato troppo tardi. A quel punto, fu come se qualcuno avesse riacceso un interruttore e i pensieri incantati ripresero a scorrere a velocità fuori dalla norma. Non era stato il mio Maestro a scuotermi, no, qualcosa dentro di me aveva iniziato a spingere con violenza inaudita: non potevo perderlo, non adesso che avevo la possibilità di salvarlo.
    Mi inginocchiai accanto a lui, voltai piano il suo corpo, rendendomi conto solo in quel momento che Haytham non si era neppure avvicinato. Era tutto indaffarato a piazzare cariche e inneschi, lasciando a me… la battaglia contro il destino. Osservai un viso dalla fronte alta, le guance coperte da una leggera barba, le palpebre erano abbassate e le labbra troppo bianche per indicare buone condizioni. Accarezzai quei contorni tanto famigliari da fare male al cuore, controllai il battito e lo trovai, debole ma costante. La ferita all’addome era profonda, il sangue che aveva perso copioso ma forse… forse non tutto era perduto. Inspirai a fondo e misi il palmo aperto sul suo petto, sotto il quale il respiro era troppo flebile. Chiusi gli occhi e lasciai che la mia Forza fluisse in lui, lo ritemprasse, gli permettesse di ritrovare la via verso la luce. Doveva potersi muovere per andare via da qui. Con questa convinzione, lo chiamai…
    “Papà… papà, svegliati, dobbiamo andare, non abbiamo più tempo!”
    La voce aveva tremato un po', ma ero stato bravo! Lo strinsi a me e lasciai che la mia Forza continuasse a permearlo. Non sapevo esattamente cosa stessi facendo, ero un semplice Padawàn e le abilità curative erano appannaggio solo dei Jedi più esperti… eppure, non stavo pensando a tutto questo, io volevo solo che si svegliasse, proprio qui, tra le mie braccia e venisse via con me!
    “Shay… figlio mio…” Mi pietrificai, il respiro si mozzò in gola e i muscoli si rifiutarono di rispondere ai comandi. Dopo un tempo che mi parve infinito, trovai il coraggio di guardarlo in volto e lì ritrovai il bellissimo sorriso di mio padre. Il colore della pelle e delle labbra era più incoraggiante, pareva avesse ricevuto un’iniezione di adrenalina.
    Non ci fu però tempo e modo per parlare, ritrovarsi, godersi il momento, perché le lancette scorrevano inesorabili e quelle uniche parole avrebbero dovuto bastarmi, per ora!
    Ciò che accadde dopo fu frenetico, veloce, pregno di rinnovata energia. Adesso eravamo in tre e restava ancora l'ultima parte della missione da portare a termine. Insieme, sbaragliando occasionali guardie e seguendo un percorso alternativo – e più corto – grazie alle conoscenze di Galen, arrivammo al Centro Tecnico. Entrare fu un gioco da ragazzi con il suo passi elettronico e anche manomettere le macchine e di conseguenza l'arma fu altrettanto semplice. O così mi parve all’inizio.
    Guardavo Galen Cormac pigiare sui tasti con una celerità assurda, la smorfia di dolore sul viso non offuscava la sua aura di efficienza e sicurezza. In quel frangente, ci spiegò ogni cosa: come aveva costruito sì l'arma, ma ritardando i lavori, creando imprevisti, manomettendo interi ingranaggi che aveva dovuto sostituire.
    “La cosa più importante però è un’altra. Con Sybyl… la dottoressa Krennic, abbiamo inserito all’interno dell’innesco un dispositivo di sicurezza. Questo abominio non avrebbe mai funzionato nelle mani del nemico, ma Sybyl non deve aver fatto in tempo a comunicare il tutto alla Repubblica. Perché voi non siete stati mandati per una missione di salvataggio, vero?” Come lo aveva intuito non ne avevo idea, ma adesso non era importante. Dovevamo sbrigarci. Perché Haytham non rispondeva? Come me, credeva che non ve ne fosse necessità né il tempo?
    “Ne riparleremo dopo, papà, abbiamo pochissimo tempo per uscire da qui! Fai partire il meccanismo di autodistruzione e filiamo via…” La mia voce era agitata e mi ammonii mentalmente per questo, dovevo mantenere il controllo, anche se una sensazione strana si agitava nel mio petto. Non ero solito affidarmi ai presagi, ma non per questo era facile escluderli dalla mia mente.
    “Galen, amico mio, dobbiamo andare: i nostri diversivi non dureranno ancora a lungo.” Cos'era quella occhiata che si stavano scambiando? Cosa mi stava sfuggendo? “Shay, aprici la strada, io poterò con me Galen e lo proteggerò fino alla navicella!” Annuii serio, felice che finalmente cominciavamo a muoverci di nuovo.
    “Il divenire è vita, la stasi è morte. Me lo ripetevi sempre, papà…”
    Strinsi un braccio di mio padre in segno di incoraggiamento e mi fiondai fuori dalla sala tecnica. Il corridoio era vuoto e tornai per riferirlo ai miei compagni, fui costretto a bloccarmi a metà strada, per qualche attimo, sufficiente a capire cosa diamine stava succedendo. A quel punto corsi, più veloce che potevo, fino ad arrivare alla soglia del Centro Tecnico. Al di qua c’era il mio Maestro, al di là il dottor Galen Cormac. A dividerci delle porte scorrevoli e infrangibili ma trasparenti… perfettamente sigillate.
    “Cosa sta succedendo? Vieni fuori di lì, dobbiamo andarcene subito!” No, non avevo urlato, ma dentro di me quelle parole avevano risuonato come un rombo di tuono. Haytham mi prese per una spalla ma non provò a trascinarmi via, sapeva che non avrei fatto resistenza, sapeva che alla fine di tutto avrei imboccato quel corridoio facendo la cosa giusta. Ma non ero ancora pronto a farlo, non ancora.
    “Sybyl mi ha parlato tanto di te, ti ho seguito in ogni tuo progresso, gioito in ogni tuo traguardo…” Una sua mano insanguinata si appoggiò al vetro e non per sostenersi. Mi avvicinai alla superficie e feci combaciare il mio palmo al suo, incapace di dire nulla, perfino di respirare. “Sapevo che Haytham sarebbe stato un ottimo Maestro e non ho sbagliato ad affidarti alle sue cure, ma so anche che metà del merito è tuo. Sei sempre stato un bambino straordinario, Shay, e diventerai un Cavaliere Jedi formidabile. Tua madre sarebbe fiera di te, come lo sono io…” Chinai il capo, non ero in grado di sostenere quello sguardo tanto fiero, in questo momento mi sentivo l'essere più debole dell'universo. “Testa alta, figlio mio e… anche se oggi perderai anche me, non permettere al tuo cuore di trincerarsi. L’amore è il motore di ogni cosa, se lasci fuori anche solo una sua sfumatura ti mancherà sempre qualcosa. L’ho capito anche io col tempo, grazie a tua madre e… a Sybyl. Ricorda le mie parole, Shay, non chiuderti agli affetti…” Lo sentii sospirare e alzai il mio sguardo sul suo volto, era rigato di lacrime, ma non vedevo dolore nelle sue iridi lucide. Era un addio. Un addio che non potevo metabolizzare ora, in così poco tempo, senza la possibilità di un ultimo abbraccio. Non potevo. Mi limitai ad annuire, lasciando che tutte le sue parole sedimentassero dentro di me. “Adesso, andate! Il tempo stringe. Vi darò un vantaggio di cinque minuti, poi attiverò la procedura di autodistruzione e da quel momento avrete solo due minuti prima che il Centro di Ricerca si trasformi in un inferno. Che la Forza sia con voi…”
    Lo fissai con insistenza, quel saluto fatto con un sorriso sulle labbra, mentre si muoveva all'indietro verso il pannello di controllo, ebbe la forza di frantumarmi in milioni di pezzi. Non sanguinavo davvero, no, ma dentro mi sentivo esangue, senza forze, senza volontà. Mi sentii trascinare via dal mio Maestro e il resto dei movimenti lo compii per inerzia, facendo affidamento sulle migliaia di volte che li avevo compiuti.
    Solo quando la navicella lasciò Eadu e un'esplosione terribile rase al suolo l’intera struttura, smisi di guardare indietro e – col viso umido di qualcosa di molto simile alle lacrime e col cuore spezzato in due – iniziai a guardare in avanti.
     
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    :Haytham:
    La morte di Galen aveva lasciato in Shay un profondo vuoto che chi, come me, padroneggiava la Forza poteva dire di sentire. Tuttavia non vi era preoccupazione da parte del Consiglio che vedeva in lui la grandezza di cui sarebbe stato capace. Era raro trovare persona come Shay, lui non era puro, ma aveva ben saputo piegare le tentazioni del Lato Oscuro per poter servire il Lato Chiaro.
    Non vi erano sentimenti di rabbia o vendetta che potevano spezzarlo, non quando lui aveva la capacità di prendere gli stessi e trasformarli in determinazione, gentilezza e giustizia.
    Fu forse per questo che negli ultimi due anni il cristallo kyber della sua spada aveva cambiato colore, da blu a viola. Tra le altre cose, aveva lavorato strenuamente con Sybyl per riabilitare il nome del padre e ci erano riusciti quando, distrutti i progetti e l'arma a cui lui aveva lavorato, era stato glorificato con un eroe riconoscendo i suoi sforzi per la libertà. Al punto che una delle neonate Accademie Jedi inaugurate era stato dato il suo nome.
    Più vedevo i progressi di Shay e più mi convincevo che era pronto per il suo esame da Cavalieri, cos'altro avrei potuto insegnargli ormai? Tuttavia c'era ancora una missione di cui occuparci.
    La Federazione dei Mercati, nonostante i colpi assestati negli ultimi anni anche grazie a Galen, non aveva abbandonato i suoi propositi di golpe e per protesta contro le tassazioni sulle rotte commerciali decise dalla Repubblica, aveva organizzato niente di meno che un blocco navale spaziale contro la sede centrale del governo: la Luna.
    Inviati per negoziare io e Shay sapevano molto bene che non ci sarebbe stato spazio per le chiacchiere e quando venimmo attaccati fummo pronti a reagire. Tuttavia loro erano in maggioranza numerica e fummo costretti a fuggire trovando riparo proprio sulla Luna.
    "Dobbiamo raggiungere il Palazzo Reale... la Federazione è pronta ad attaccare e non possiamo permettere che la Principessa muoia..." dissi tutto d'un fiato quando insieme a Shay ci guardavamo intorno. Il guscio di salvataggio con cui eravamo fuggiti dalla nave nemica era distrutto e la capitale distava parecchie miglia a piedi.
    “Nel vicino Lago della Solitudine c'è un popolo sommerso, potremmo chiedere loro di fornirci un mezzo...” proposte Shay, mentre assentendo gli chiedi di farmi strada.
    Ad un passo da lui, alle sue spalle, lo osservavo sorridente e fiero mentre deciso mi guidava in quella missione.
    "Sai Shay credo che questa sarà l'ultima missione che faremo insieme..." esclami calmo, mentre lui si assestò di colpo voltandosi a guardarmi perplesso.
    “Cosa intendi dire Maestro?”
    "Che non ho nulla più da insegnarti. Il Consiglio la pensa come me, farai l'esame da Cavaliere alla conclusione di questa missione..."
    C'era orgoglio e fierezza nei suoi occhi, ma anche una nota di malinconia.
    “Mi mancherà il tempo passato assieme”
    "Oh a me per niente, inizi a darmi sui nervi ragazzino soprattutto quando mostri di saperne più di me!" lo beffeggiai prima di mettergli una mano sulla spalla e con lui scoppiare a ridere. Un lieve momento di alleggerimento prima di riprendere il corso della nostra missione.

    Come previsto da Shay il popolo sottomarino si dimostrò amichevole e fornendoci un mezzo ci scortò fino al Palazzo Lunare lì dove arrivammo troppo tardi. La Federazione dei Mercanti, guidati da niente di meno che la Regina Skye in persona, aveva messo sotto assedio la città e fatta prigioniera la Principessa, mentre noi incontrandoci con il Generale dell'esercito del pianeta (e braccio destro della Principessa) ci trovammo a collaborare per salvare la Principessa e scortarla a Coruscant per permetterle di intervenire in Senato circa gli ultimi eventi. Tuttavia la Federazione era ben decisa a bloccare il nostro cammino motivo per cui, colpiti, fummo costretti a fermarci sulla Terra per un piccolo pit stop.
    “Ho detto che verrò con voi!”
    "Principessa Aura mi permetta di dissentire, ci troviamo in una zona assai poco sicura. L'insediamento poco vicino è formato da mercanti che venderebbero anche la propria madre pur di guadagnarci, non credo che la vostra presenza gioverebbe alla missione..."
    “Sono i miei ricchi ornamenti il problema? E i pregiati tessuti che indosso? Nessun problema mi cambio immediatamente, ma verrò con voi. I miei genitori sono rimasti sulla Luna rischiando la loro vita per coprire la mia fuga, si aspettino che arrivi il Senato in tempo per avvisarli di ciò che è successo... La Federazione va fermata ad ogni costo ed io voglio assicurarmi che ciò accada in prima persona!”
    Spazientito ma comprensivo accettai la sua offerta e mentre chiedevo a Shay di rimanere a guardia della nave, insieme al Generale della Luna, li invitai a tentare di contattare il Senato seppur temevo che le comunicazioni -danneggiate- non avrebbero funzionato. Ma dovevamo provare.
    La periferia di Sparta era un focolaio di povertà ed ignoranza, dove purtroppo la criminalità aveva vita facile. Tuttavia io non ero lì per altri motivi se non quelli di recuperare i pezzi necessari per le riparazioni alla navicella, motivo per cui accompagnato dalla Principessa Aura andammo a colpo sicuro verso un negozio che vendeva pezzi di ricambio per ogni cosa.
    Fummo subito serviti da un ragazzino vivace, intelligente e perspicace di nome Alexios che ci raccontò di essere uno schiavo appassionato di motori, per quello era stato comprato dal suo attuale padrone, che amava correre e sognava di fare il pilota. Lui ci fornì i pezzi che ci servirono al prezzo più conveniente, aiutandoci a contrattare, mentre io non potei fare a meno di essere colpito dalla Forza che percepivo in lui. Forte. Potente. Immensa.

    “Maestro credo che la tua scelta sia a dir poco azzardata!”
    In serata, alla navicella, avevo parlato con Shay del mio incontro con Alexios e del mio desiderio di liberarlo per prenderlo come nuovo Padawan. Avevo spiegato lui la Forza che avevo percepito potente nel piccolo, ma lui pareva scettico.
    "Perchè mai metti forse in dubbio la mia capacità di percepire la Forza? Non credo di essermi sbagliato con te!" lo rimproverai severo, ma accomodante. Davo sempre modo a chiunque di esprimere il proprio pensiero.
    “Giammai, ma addirittura il Prescelto? La Profezia è stata fatta secoli fa e perfino il Consiglio concorda sul fatto che potrebbe essere più una leggenda che vertià!”
    Per natura sua Shay era una persona scettica, che nonostante avesse fiducia nella Forza meno ne aveva nelle persone.
    "Quando lo incontrerai capirai di cosa parlo! La scelta è presa Shay e non sarai tu a farmi cambiare idea!"
    “M-Ma... Maestro, per favore... ascoltami! E' troppo grande! Hai detto che ha 10 anni giusto?”
    "Sbaglio o anche tu eri troppo grande quando hai iniziato il tuo percorso?" di fronte a quella mia cortese risposta non ebbe che di ribattere e seppur ancora fermo sulle sue decisioni mi auguro la buona notte certo delle mie azioni del giorno successivo.
    Dal canto mio proseguì sulla strada prescelta e dopo essere riuscito ad ottenere la libertà per il giovane Alexios, che aveva gareggiato per offrirci il denaro necessario per l'acquisto dei pezzi di ricambio (mostrando una grande bontà d'animo), non riuscì però a fare lo stesso per la sua sorellina gemella: Kassandra. Mi dispiacque molto doverla lasciare in quella vita di miseria e schiavitù, ma Alexios quando la salutò le promise di tornare ed una volta Jedi liberarla.
    Stavamo tornando alla nave, pronti a partire, quando venimmo attaccati da niente di meno che da Connor Kenway, Sith messo sulla nostra strada per fermarci, probabilmente ingaggiato dalla Federazione. Non fu facile dover combattere contro il mio stesso figlio, ma lo feci, riuscendo a sconfiggerlo e permettere così a tutti noi di fuggire.

    I nostri sforzi ci avevano permesso di arrivare a Coruscant, dove la Principessa Aura poté perorare il caso del suo popolo in Senato, tuttavia nonostante i suoi sforzi le cose non andarono come previso ed il Senatore della Luna, Mario Auditore, convinse la Principessa a proporre un voto di sfiducia nei confronti dell'attuale Cancelliere per eleggerne uno più energico e capace di risolvere la crisi sulla Luna.
    Mentre da un lato la politica faceva il suo corso, io e Shay facemmo rapporto al Consiglio, riportando dell'attacco da parte di Connor, mentre io mi feci avanti per propormi per addestrare il piccolo Alexios, ma il Consiglio (come Shay) fu scettico circa la mia proposta, convinti che il piccolo fosse troppo sensibile al Lato Oscuro. Mi feci dunque suo garante, scatenando il fastidio di Shay, cosa che mi fece ottenere il consenso seppur non senza riserve.
    Nel mentre, pur accettando il suggerimento di Auditore, la Principessa Aura decise di non partecipare alla votazione per il nuovo cancelliere volendo tornare sulla Luna e chiedendo a me e Shay di accompagnarla.
    Fu lì che il primo scontro diretto, la prima vera battaglia venne ingaggiata tra Repubblica e Federazione... e mentre ognuno su ogni fronte faceva il possibile per ricacciare indietro l'attacco, io e Shay ci trovammo a dare il nostro contribuito non prima di trovarci nuovamente faccia a faccia con Connor Kenway. Mio figlio era una mia responsabilità ed ero sicuro fosse giunto il momento di affrontarlo.
    "Vai ad aiutarti gli altri Shay!" gli ordinai senza nemmeno guardarlo, ma lui al mio fianco scosse il capo per nulla convinto.
    “Assolutamente no! Non ti lascio solo!”
    "Pensa ad Alexios, l'abbiamo portato con noi ed ora non sappiamo nemmeno dove sia nell'impeto della battaglia!" lo ammunì. Doveva imparare a dar precedenza alle urgenze.
    “Io ne me ne vado!”
    Da sotto il pesante mantello nero che indossa, ed il cappuccio che gli copriva il volto, Connor sorrise sinistro prima di abbassarselo.
    “Sindrome del figlio abbandonato Cormac? Ti capisco sai, mio padre ha questa abitudine... abbandona i propri per orfanelli altrui!”
    La sua voce fu come una lama affilata che mi trafisse, mentre Connor prendeva il suo tomahawk e dalla parte del manico fuori usciva la lama laser rossa, mentre dall'altra poteva ancora fendere con la sua lama.
    Ci attaccò senza dare tempo a me e Shay di cambiare tattica e dividerci, ben presto io venni calciato via e Shay continuò la lotta con lui, una danza senza esclusioni di colpi dove nessuno dei tre sembrava cedere.
    Ci fu solo uno stallo provvisorio e poi Connor saltando su un ponte opposto, con un ampio salto sospinto dalla Forza ci guardò divertito.
    “Combattete per una causa persa...”
    “Persa? Le vittorie della Repubblica e i successi degli Assassini sono per te delle sconfitte?”
    “E' solo caos. Una stupida rivoluzione di chi finge di combattere per la libertà... quando l'unico modo per ottenerla è con ordine e regole...”
    "Ordine? Un colpo di stato ed una dittatura è il modo secondo te si preserva la libertà?"
    “E chi ha parlato di libertà? E' solo una parola vuota che rende le persone folli, fa credere loro di poter far quello che vogliono... Noi siamo superiori a tutti, è un dato di fatto, abbiamo la Forza per un motivo e quale altro potrebbe essere se non per guidare gli altri?”
    “Vorrai dire per schiacciare gli altri!”
    Shay gli si scagliò contro con tutta la forza, ma Connor lo respinse senza troppi problemi ed alzando una mano lo fece volare già dai numerosi ponti della stanza di controllo, a fianco all'hangar del palazzo Lunare, dove ci trovavamo.
    Mi sporsi preoccupato, ma mi bastò vedere che Shay si era aggrappato ad un bordo di uno degli stessi per rilassarmi. Ce l'avrebbe fatta, ma io ora dovevo occuparmi di Connor.
    Andandogli incontro iniziammo una nuova lotta che mi vidi ben presto in vantaggio.
    "Sei forte, ma i tuoi colpi sono spinti dall'odio... non c'è tecnica solo impulsività"
    “Tuo figlio lo ha sempre apprezzato!”
    Un altro colpo di spade e lui indietreggiò quando delle pareti invisibili di energie ci separarono. Era chiaro che fin tanto non si sarebbero abbassate non avremmo potuto continuare a combattere e così rimanemmo a fissarci, mentre Shay alle mie spalle ci osservava in lontananza fremendo per raggiungerci.
    "Sei un Sith ora? Credevo si fossero estinti..."
    “Può esistere il giorno senza la notte?” mi chiese con un ghigno sinistro.
    “Siamo molti e devo dire che stiamo trovando in questa rivoluzione della Confederazione il nostro posto...”
    "Gli Assassini non sono Mercenari"
    “E tu ne sai qualcosa giusto? Tuttavia mi pare che nemmeno voi Jedi siate poi così liberi come dite... sbaglio o lavorato per il Senato?”
    "Collaboriamo, è diverso. Avere alleati non va contro il Credo, lo fa farsi assoldare... combattere per scopi egoistici!"
    Lo rimbeccai, ma lui già sbuffava annoiato e fremeva di riprendere la battaglia cosa che accadde quando le pareti di energia finalmente si spensero.
    Combattemmo facendoindietreggiare Connor fino al pozzo, mentre Shay ci venne incontro rimanendo bloccato dietro l'ultima parete.
    Rimasi lì a guardarci fin quando io non ebbi la possibilità di ucciderlo, ma mi fermai. NON avrei MAI ucciso mio figlio, nonostante lui avrebbe certamente ucciso me e lo fece guardandomi negli occhi.
    “Vai all'inferno Haytham Kenway!” mi sputò addosso con tutto il suo disgusto.
    “NOOOOO”
    A terra ormai privo di forze capì molto poco di ciò che venne dopo, seppur percepì Shay scagliarsi contro Connor quando la parete si abbassò. Non aveva certamente le mie attenzioni nè le mie remore, fu un colpo al cuore vedere i miei figli combattere l'uno contro l'altro.
    Connor aveva forza e con questo gettò Shay nel pozzo che riuscì ad afferrarsi ad un appiglio, mentre lui ne distruggeva la spada laser ed il cristallo kyber al suo interno.
    Dal canto suo Shay aveva tecnica e raccogliendo in sè tutta la sua Forza e tenacia richiamò a sè la mia spada nel momento in cui saltando in aria l'attirava nella sua mano. Uccise Connor e con un calcio lo gettò nel pozzo.
    Socchiusi gli occhi inumiditi, affranto dalla fine del tutto, ma speranzoso.
    Ripensai a Ratonhnhaké:ton e Kanien'kehá:ka, convinto e sicuro che finalmente mi sarei riunito con loro ed essere la famiglia che dovevamo essere.
    Shay mi aveva preso tra le sue braccia e mi supplicava di resistere, ma io gli sorrisi. Pronto a salutarlo.
    "Mio giovane Padawan, sei stato il miglior allievo che un Maestro potrebbe desiderare... ed un figlio che ogni Padre vorrebbe... sono fiero di te, ma ora sono stanco... spero che la mia famiglia perdonerà i miei errori e che nell'immensità del cosmo potremo finalmente ritrovarci... Addestra Alexios... sii il grande uomo che io so che tu sei... che la Forza sia con te Shay"
     
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    “Non ti vado a genio, vero?”
    L’avevo sentito arrivare, perciò non mi allarmai più di tanto. Il mio rifugio non era poi così tanto segreto; anche se avevo fatto intendere che mi recavo qui per stare solo, il mio giovane padawàn non aveva esitato a raggiungermi. Con ogni evidenza, aveva dei dubbi che desiderava dissipare al più presto. Lo invitai con una mano a sdraiarsi accanto a me, sull’erba umida di rugiada notturna. I miei occhi tornarono a osservare la volta celeste e sperai che lui facesse altrettanto…
    “Non è così…”
    “Come no, lo vedo che non stai bene con me!”
    “Ti sbagli, piccolo padwàn, ti sto solo studiando. Forse ho solamente timore di ciò non comprendo…”
    “Hai paura di me, Maestro?” udii l’incredulità nella sua voce di bambino.
    “Affatto, Alexios. Ho paura di ciò che potresti diventare.”
    “Allora fammi diventare qualcosa che non ti fa paura, ho bisogno di te.”
    “Sono qui proprio per questo. Ho fatto una promessa e la onererò a ogni costo. Imparerò a capirti, poi ti insegnerò i fondamenti di una vita al servizio della Forza Chiara e a quel punto toccherà a te realizzare il miracolo: diventare un Cavaliere Jedi giudizioso e impeccabile. Ma non sarà facile, il percorso sarà pieno di ostacoli, tentazioni e rinunce…”
    “Ce la posso fare, Maestro. Non ti deluderò!”
    Quelle parole si marchiarono a fuoco nella mia anima, grazie a una voce innocente e a una determinazione che preannunciava tante mirabolanti storie.
    […]
    Ero diventato Cavaliere perdendo il mio Maestro e ricevendo sulle spalle un onere non indifferente. Mille dubbi mi avevano assalito fin dal principio, dubbi sulle mie capacità, sul mio essere pronto ad affrontare l’ennesima perdita e l’ennesima prova. La mia vita, benché la mia età fosse ancora relativamente giovane, era stata costellata da voragini, sangue, violenza, morte. Avevo dovuto fare i conti con il destino fin da subito e questo, se da un lato mi aveva permesso di mettermi in gioco e maturare, dall’altro mi aveva tolto ogni possibilità di provare le più elementari delle emozioni. Avevo dimenticato cosa significasse non avere responsabilità, la carezza di una madre, l’orgoglio di un padre, anche se il Maestro Kenway non aveva lesinato nel manifestare la sua soddisfazione nei miei confronti; tuttavia, non era stata la stessa cosa. Monna Morte era mia compagna di avventure, ma non per questo le avevo permesso di prendersi la mia anima… quella continuava a rimanere ben ancorata al mio petto, in attesa… in attesa di sublimarsi un giorno, nella purezza dei suoi intenti.
    Ciò nonostante, potevo davvero trasmettere la mia esperienza a un padawàn tanto problematico? Se il mio Maestro fosse stato qui, mi avrebbe rifilato uno scappellotto e rimproverato per la mia mancanza di fiducia in me stesso. Ma io continuavo a “sentire” che un tassello era fuori posto e nessuna buona prova di Alexios era ancora riuscito a farmi cambiare idea, annullando quella maledetta sensazione.
    Negli anni aveva dimostrato di essere intelligente, scaltro, veloce a imparare; ma anche molto incline alle passioni, all’ira, all’insubordinazione. Avevo tentato di spiegargli tante volte, per esempio, che la via dell’amore carnale l’avrebbe distolto dal sentiero che aveva intrapreso, ma lui, alla fine… si era addirittura innamorato. Durante una missione sulla Luna – per arrestare l’invasione da parte della Lega dei Mercanti – Alexios si era invaghito della Principessa Aura e quello fu l’inizio della fine: il casus belli di una tragedia che avrebbe segnato le sorti di un’intera dimensione e, forse, non solo.
    […]
    L’avevo perso! Alexios era del tutto fuori controllo e la colpa era unicamente mia. Non avevo vigilato a sufficienza, lo avevo creduto abbastanza forte per resistere alla tentazione del lato oscuro, ma avevo solo soppresso quella maledetta vocina che mi metteva in guardia su ciò che sarebbe potuto accadere. Ancora una volta, avevo permesso all’affetto per un altro individuo di accecare il mio giudizio e non dovevo lamentarmi se si era trasformato in una lama pronta a trafiggermi il cuore. Non riuscivo a imparare la lezione? Eppure, Monna Morte era stata chiara e concisa col sottoscritto, dimostrandomi – fin da bambino – che legarsi a qualcuno significava perderlo, soffrire, morire dentro un pezzettino per volta. E niente, non avevo voluto darle retta e ora ne pagavo le conseguenze. Adesso, però, sulle mie spalle gravava una responsabilità fin troppo grande: a causa del mio errore di valutazione, molti innocenti sarebbero periti. Dovevo fermarlo, dovevo fermarlo a ogni costo, non potevo permettere un’ingiustizia di tale portata.
    Corsi, corsi fino a perdere il respiro. Il Tempio degli Jedi era troppo silenzioso e quello stesso silenzio parve invadere il mio petto, le mie vene, il mio sangue, portando un gelido messaggio di morte. Mi recai nella Sala del Consiglio, con la speranza che lì, forse, avrei trovato qualche rinforzo per arrestare la follia di Alexios… ma mi sbagliavo. Avrei dovuto non compiere quegli ultimi passi, avrei dovuto girare i tacchi e andarmene per sempre, perché mai, mai avrei dimenticato la scena che mi si parò davanti: Alexios, una spada laser dal colore rosso rubino in una mano, stava sgozzando l’ultimo membro del Consiglio ancora in vita. Tutti gli altri giacevano immersi in pozze di sangue scuro, immobili, lividi. Una risata malvagia mi fece rabbrividire, tanto quanto il paio di occhi fiammeggianti che presero a fissarmi con evidente ilarità.
    “Vedi, Maestro, non ti eri sbagliato. Facevi bene ad avere paura di me allora e faresti bene ad averne anche adesso!”
    Ridere innanzi a uno scempio simile non era qualcosa che potevo tollerare.
    “Continui a sbagliarti Alexios, non eri tu a farmi paura, ma la possibilità che saresti diventato tutto questo, la completa negazione di ciò che saresti potuto essere: il Cavaliere Jedi che il Maestro Kenway aveva visto in te… Ma adesso non mi fai paura, devi semplicemente pagare per le nefandezze che hai compiuto!” Tentai di mantenere la mia voce ferma, ma le ultime parole tremolarono sotto il peso del senso di colpa. Avrei dovuto rinunciare in partenza? Provarci era stato l’errore più grande? I miei fratelli sarebbero salvi se avessi preso decisioni diverse? Mille domande, mille dubbi, ma nessuna risposta o consolazione. Solo una missione: purificare questo luogo dal Male che lo aveva invaso.
    Afferrai l’elsa della mia arma, osservai la luce laser materializzarsi e trasformarsi nella mia fidata spada. Il suo colore era per me un vessillo e un monito al tempo stesso. Dopo aver perso il mio cristallo kyber, durante il duello con Connor Kenway, avevo deciso di prelevare la sua arma – la stessa con cui aveva ucciso il mio Maestro – e purificarla. All’epoca ero ancora un padawàn e i membri del Consiglio mi avevano intimato di gettarla via, perché, se non fossi stato abbastanza forte, mi avrebbe contaminato. Io…? Non lo avevo fatto. Haytham sarebbe stato fiero di me e del mio piccolo moto di ribellione. In realtà “sapevo” che sarei stato più forte, che sarei riuscito nell’impresa, che sarebbe diventata la mia spada in un modo o in un altro. E così era stato. Senza nessuna cerimonia o rituale particolare, durante un sonno agitato e popolato da incubi, avevo pianto. Da anni riuscivo a farlo solo quando divenivo preda dell’incoscienza. Le mie lacrime avevano bagnato l’elsa nefasta, sprigionando subito dopo una luminosità accecante… Ormai del tuo sveglio, avevo assistito alla trasformazione della lama, da rossa era diventata bianca. Avevo percepito la vibrazione di quel mutamento direttamente nel mio petto e lì compresi tante cose, prima fra tutte: la giustizia avrebbe condizionato le mie azioni e la purezza motivato le mie scelte.
    Quando il Consiglio era venuto a conoscenza dell’accaduto, mi aveva nominato Cavaliere Jedi senza ulteriori prove o verifiche. Per me era stato un grande onore, offuscato subito dalla responsabilità di un piccolo padawàn e dall’assenza del poche persone che avrebbero gioito col cuore del mio traguardo.
    “Solo ho iniziato e solo proseguirò” Ecco cosa avevo pensato all’epoca. Ora, a distanza di anni, con l’ombra incombente del fallimento a minacciare ogni cosa, osai aggiungere: “E solo concluderò!”
    Il combattimento fu atroce, senza esclusioni di colpi, intervallato da frasi di scherno del mio avversario. Lui era forte, ma il desiderio di vendetta offuscava la sua precisione nei colpi. Riuscivo a prevedere le sue mosse ma qualcosa mi impediva di affondare i miei con la decisione necessaria. Mi mossi rapido, ingannando l’occhio di Alexios fino ad arrivargli alle spalle. Lo afferrai dal collo con un braccio e con l’altro trasformai la mia spada laser in un pugnale; glielo puntai alla gola e presi un respiro profondo.
    “Non è ancora troppo tardi, ti imploro, torna sui tuoi passi… non permettere ad Auditore di prendersi ciò non gli appartiene: la tua vita, la tua lealtà, il tuo onore. Ricordi cosa mi hai detto quella sera che mi hai raggiunto al mio rifugio, sotto le stelle? ‘Non ti deluderò.’ Perciò, non farlo, ti scongiuro…” La mia voce era un sussurro accorato all’orecchio del mio sventurato padawàn, mentre la mia lama incideva appena la sua pelle. Non volevo, non volevo ucciderlo, ma quali erano le mie alternative?
    “Sei un povero illuso, Cormac. Auditore mi darà ciò che tu e i Jedi non sarete mai in grado di offrirmi: vendetta e potere. E per questo cuore assetato di giustizia che ti ritrovi, soffrirai, soffrirai talmente tanto da desiderare la morte… Anche adesso, stai esitando…” Aveva ragione e ne dovetti pagare le conseguenze.
    In quel preciso istante, Giovanni Auditore fece il suo trionfale ingresso nella Sala del Consiglio, assieme a molti dei suoi scagnozzi più fidati. Ero rimasto solo io, l’ultimo Jedi a difendere il Tempio… inutile, inutile come una goccia nell’oceano, ecco come mi sentivo. Non potevo più permettermi errori, quelli fatti fin qui erano costati sangue e patimento a troppe persone innocenti. Perciò, voltai di scatto Alexios verso di me e lo trafissi con il mio pugnale di luce candida. Vidi i suoi occhi cattivi fissarmi senza alcun rimorso, la bocca spalancata in un ghigno di vittoria che non riuscivo a comprendere, mentre l’ultimo respiro gorgogliava in fondo alla gola che pian piano si riempiva di sangue. Lo strinsi forte a me, crollando sul pavimento inondato di linfa vitale, incurante dei nemici che mi circondavano. Le sue iridi erano diventate vitree, ma io non riuscivo a lasciarlo andare… solo dopo lunghi attimi gli abbassai le palpebre e mormorai un “riposa in pace” molto più significativo del solito. “Trova la pace, mio padawàn, adesso trova quella pace che non hai mai avuto in vita…”
    Avevo abbandonato la spada al mio fianco, ormai tornata ad essere un’elsa comune. Il cadavere di Alexios tra le braccia, il cuore rotto in troppi frammenti affilati, la consapevolezza di essere il vero responsabile di questa strage.
    All’improvviso, mi sentii leggero, ma non era il senso di colpa ad essere svanito… no, ma il mio corpo che veniva sollevato in aria e scaraventato con forza inaudita contro una colonna della Sala. Neppure un fiato uscì dalla mia bocca spalancata per la sorpresa e il dolore, mentre rovinavo a terra, tra le spoglie dei miei fratelli, orrendamente mutilate. Riconoscevo lo stesso sgomento che mi animava su ogni volto, in ogni sguardo perso, in ogni arto spezzato… Urlare, volevo urlare con tutto il fiato che avevo in corpo, ma non trovai il respiro né la forza dentro di me per buttare fuori tutto il mio tormento. Era finito… era tutto finito.
    “L’era della Repubblica è terminata, Cormac, così come la Confraternita dei Jedi è ormai diventata il passato… fattene una ragione!” E rise, rise come un folle di fronte al suo trastullo preferito. Eppure, ero convinto che non ci sarebbe stato nulla di peggio di quanto avevo appena vissuto… ma mi sbagliavo.
    Le scene successive si svolsero senza che riuscissi a muovere un solo muscolo, le ferite fisiche rappresentavano solo una parte del mio impedimento. L’orrore, quello sì che mi immobilizzava fin dentro l’anima.
    Assistetti alla nascita di un vero mostro nelle sembianze distorte di Alexios. Giovanni Auditore lo riportò in vita, plagiando definitivamente la sua anima fino a colorarla di rosso e nero, fino a renderlo il nemico che avevo sempre temuto, ma senza nessuna possibilità di riscatto. Ormai tutte le speranze erano evaporate come rugiada al sole…
    La terra tremò sotto di me e io, non so bene come, riuscii a trovare la forza di rimettermi in piedi e andare via. Ogni muscolo gridava pietà, ma era il cuore a urlare più forte. Lo zittii, gli impedii di avvolgermi con i suoi lamenti, perché ce n’erano altri che chiedevano di essere ascoltati. Arrestai i miei passi, anche se il terremoto continuava a far cadere intorno a me pezzi del mio mondo. Mi concentrai su un pianto disperato che mi sembrava provenisse da un bambino, allora corsi di nuovo, verso il suono straziante, con la certezza che quel giorno nessun altro innocente sarebbe dovuto morire a causa mia. E lo trovai il piccolo innocente: una bambina dai riccioli color del fuoco e dagli occhietti inondati di lacrime. Si trattava di una piccola youngling, forse della prima classe; era rannicchiata in un angolo di un corridoio secondario ed era sfuggita miracolosamente al massacro dei suoi compagni. Non osai immaginare cosa le sue iridi verde smeraldo avevano visto, ma non mi ci soffermai. La presi tra le braccia di slancio, ma lei iniziò a scalciare per la paura… più che giustificata visto lo stato pietoso in cui versavo.
    “Shhh, piccola, sono un amico e ti porterò via da questo inferno…” le sussurrai in un orecchio, lasciandole delle brevi carezze sui capelli. Non ero mai stato bravo con i bambini, non sapevo come consolarli, mi affidai allora a ciò che avevo dentro, lasciando parlare il mio dolore, il mio senso di colpa, la mia voglia di salvarla. Allora lei si bloccò, mi prese il viso tra le mani e mi guardò con un’intensità che mi lasciò senza fiato. Parve studiare a lungo i miei tratti e poi i miei occhi… e dovette vederci qualcosa di rassicurante, perché smise di ribellarsi e si raggomitolò contro il mio petto. Era così minuta che non ebbi difficoltà a sollevarla e correre via come il vento, con un unico scopo: uscire da quel dannato incubo e non farci mai più ritorno. Mai più.
     
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    Le immense praterie dell'Irlanda, le sue colline verdi e la tranquillità della campagna era un angolo di paradiso che per quanto amassi, per il contatto con la Forza mi dava, era anche una piccola e bellissima prigione dalla quale sentivo di non poter fuggire.
    Ero sempre stata grata a Shay per avermi salvato, per avermi cresciuto come una figlia ed ancor più per avermi insegnato ogni cosa sulla Forza, proseguendo la mia istruzione da Jedi Assassina, ma in egual modo insegnandomi molte altre cose belle come la volta celeste. L'astronomia era divenuta la mia più grande passione e fin da piccola amavo far tardi con lui ad osservare il cielo, tuttavia crescendo quelle stelle era divenuto il mondo verso il quale volevo correre.
    Noi due eravamo i superstiti di una Confraternita che non esisteva più, ma il cui Credo ancora vibrava nelle persone che speravo nel nostro ritorno. Ambivano alla libertà che gli era stata tolta, mentre sempre più forze ribelli si stavano creando per contrastare la minaccia dell'Impero.
    A volte ancora faticavo a capire come degli Ibridi e degli Eterni avessero fatto del loro potere una via per fare del male, per imporsi per il solo fatto di ambire al potere. Giovanni Auditore era un uomo perverso, che viveva per il piacere di piegare gli altri ed accrescere il proprio prestigio e da quando aveva perso tutta la sua famiglia aveva fatto di Alexios, la sua unica fissazione.
    Tutti conoscevano la storia di quell'uomo, nato come Senatore, fingendosi promulgatore di libertà e giustizia, solo per entrare in seno alla Repubblica, farsi eleggere Cancelliere e da lì compiere un colpo di stato.
    La malvagità che aveva riservato alla sua famiglia era un avviso per tutti. Se aveva potuto tanto contro il suo stesso sangue, cosa era disposto a fare contro tutti gli altri?
    Sua moglie, debole, aveva assistito alla disfatta della propria famiglia. Federico, il figlio maggiore, un Jedi promettente aveva rinunciato al suo splendido destino pur di rendere il padre fiero e questo dopo averlo piegato al Lato Oscuro lo aveva offerto come agnello sacrificale al suo pupillo per accendere in lui la scintilla dell'oscurità. Ezio, più amante dell'arte che della spada, era fuggito per vivere come l'artista che era. Era stata la sua incapacità verso il combattimento che lo aveva fatto perire sotto i colpi di spada dei Sith mandati dal padre, deciso a cancellarlo perchè un umiliazione per il loro cognome. Claudia, l'unica femmina, era stata data in sposa ad un vecchio e potente Mercante, scopo di Giovanni era di stringere un'alleanza con tutta la Confederazione, che lo aiutò nel colpo di stato e poi fece sterminare dal suo pupillo. Tutti sapevano degli abusi che la giovane aveva sofferto, per poi trovare libertà dal marito forse, si diceva, per via della sua morte causata da lei stessa che era sparita dalle scene ben prima del golpe del padre. Ed infine Pietruccio, il più giovane di casa Auditore. Sognatore, puro e desideroso di redimere la propria famiglia. Così odiato dal padre, e non voluto, che fu sempre oggetto di scherno ed umiliazione, non si avevano molte notizie di lui se non che probabilmente anche lui in giovane età aveva subito la morte per aver tentato di ribellarsi alle angherie del capofamiglia.
    Ora lui regnava indiscusso con il suo pupillo come braccio destro e l'Alfiere come suo fide sicario, forze avversarie erano nate e cercavo con le loro forze di contrastare l'Impero. Ammiravo i ribelli, persone normali che seppur senza essere avviate alle vie della Forza facevano il possibile per mantenere la libertà, anzi era meglio dire riconquistarla. Un po' quello che facevano gli Jedi no? Motivo per cui secondo me fosse necessario andare in giro e cercarli, chissà quanti Ibridi potenziali esistevano qua e là, ma il mio Mentore la pensava diversamente.
    Mille volte gli avevo rinfacciato il fatto che non reagisse, che per anni era rimasto testimone di quello scempio senza muovere un muscolo. Per cosa mi addestrava? A cosa era servito farmi recuperare il mio cristallo kyber e costruire la mia spada se non la potevo usare per difendere la libertà?
    Ormai le nostre giornate erano costellate da infinite litigate ed il mio carattere acceso e deciso non aiutava a tenermi a bada. Io volevo solo che reagisse e se non lo avrebbe fatto, bè lo avrei fatto io.
    Ecco perchè approfittai del buio per sgusciare fuori da casa e contro ogni suo ordine, mi ero diretta in paese. Avrei iniziato dal piccolo pub del centro, sicura del fatto che lì si radunassero alcuni ribelli di zona. Avrei offerto loro il mio aiuto e chissà magari avrei trovato promettenti Jedi Assassini.
    Indossando un semplice mantello color tortora entrai nella locanda. Molti erano presenti gli uomini presenti e l'odore di alcool e fumo era forte. Non ero certo spaventata nè sprovveduta, ma era anche vero che chi come me aveva vissuto una vita del tutto isolata da tutto e tutti, impossibilitata ad andare oltre ai confini della proprietà dove vivevo, tutto ciò mi parve improvvisamente destabilizzante.
    Il barista mi chiese cosa volevo bere, ordinai un boccale di birra ed immobile mi guardai intorno decisa ad individuare il gruppo di ribelli che lì si incontrava. Non mi accorsi di un uomo che mi fissava e non me ne accorsi per molte sere a venire, dove, sgattaiolando via da casa raggiungevo il pub. Ormai avevo creato un certo legame con i ribelli e partecipavo attivamente ai loro raduni preparandomi a partire con loro per la mia prima missione, non importandomi di cosa Shay mi avrebbe detto.
    Quella sera stato uscendo dal pub, per tornare a casa, ed intrapresi il solito sentiero nel bosco. Era una scorciatoia che usavo per fare avanti ed indietro prima. L'uomo che da tempo mi teneva d'occhio ormai conosceva le mie abitudini, come aveva scoperto dove abitassi e con chi. Quella notte però percepivo qualcosa di diverso, ero una Jedi promettente, ma ancora in erba e così il tempo di accorgermi della presenza di qualcuno che quello mi misi una mano sulla bocca ed una intorno alla vita. Scalciai e mi ribellai per liberarmi, pronta a richiamare la mia spada alla mano, ma mentre lo facevo dovette addormentarmi con qualcosa, perchè quella cadde sul selciato ed il mio corpo inerme venne portato via dall'uomo.

    Quando mi risvegliai ci misi un po' a mettere a fuoco dove mi trovassi, la testa mi girava e mi faceva male. Tentai di muovermi, ma fu allora che capì che mani e piedi erano legati. Divenni improvvisamente più attenta, mentre tutto si definiva intorno a me.
    Ero stesa su un letto, gli arti legati alle quattro estremità. La stanza spoglia e lercia in legno mi faceva supporre che fosse una delle stanze della bettola accanto al pub. Mi dimenai cercando di liberarmi prima che chiunque mi avesse rapito tornasse, ma quello entrò nella stanza. Il casco sotto braccio, che poggiò sul comodino, ed un sorriso sghembo sul viso.
    “La regola vuole che non dovresti potermi guardare in faccia, ma per te un eccezione sono più che lieto di farla...”
    I suoi occhi azzurri, circondati da lievi rughe, erano profondi ed ammalianti, mentre sedendosi sul bordo del letto -accanto a me- con un dito accarezzava i miei lineamenti delicati.
    "Sei un Mandaloriano!" esclamai disgustata e scostando il volto.
    “E tu sei una Jedi... ammetto che ho faticato a crederci, pensavo non ne esisterro più ed invece... mi è bastato vedere con chi abiti per capire che fosse possibile...”
    "Mi hai seguito!?"
    “Inizialmente i miei scopi erano diversi, non è facile trovare una bellezza come te sai? I capelli rossi sono assai ambiti su Neith!”
    A quella sua frase rabbrividì. Era risaputo di Neith e dei suoi bordelli, un pianeta dove trovare sesso a basso prezzo per le migliori prelibatezze della galassia. Donna e ragazze con caratteristiche uniche che venivano rapite e vendute per una vita dedicata alla prostituzione.
    “Ma poi mi sono detto: perchè non tenerti tale prelibatezza per te?”
    Sgranai gli occhi infastidita dal suo guardarmi ed ancor più dal suo toccarmi ed accarezzarmi nemmeno ci fosse confidenza ed intimità tra noi.
    "Giammai! Non sono un oggetto e non ti permetterò in alcun modo di trattarmi come tale!"
    “Davvero?” mi chiese quasi divertito e poi lasciando da parte le carezze mi strappò la camicetta che indossavo lasciando ben visibile il mio reggiseno che fasciava un seno sodo e tondo. A quel punto il mio tentativo di liberarsi si fece ancor più forte, maggiormente quando si abbassò su di me per baciarmi ed accarezzarmi a quel punto mi calmai.
    Non era facile, ma non sarebbe stato il panico a salvarmi. Dovevo fermarmi e percepire la Forza, concentrarmi su di essa e convogliarla per slacciare i nodi delle corde che mi tenevano immobilizzata. Percepivo i nodi, li "vedevo" e mi stavo impegnando per scioglierli. Appena sentì la prima mano libera, l'allungai sul comodino e raggiungendo la brocca d'acqua che vi era non ci pensai due volte a sbatterla in testa al mio assalitore, mentre mi impegnavo a liberarmi. Non fu abbastanza veloce, perchè lui nonostante la ferita, livido in volto, mi mise una mano sul collo scacchiandomi di nuovo sul letto nel chiaro tentativo di strozzarmi. Sentì la gola stringersi e l'ossigeno venir meno, mentre io annaspavo sempre più rossa in volta, riuscendo a liberare per un soffio l'altra mano che usai per graffiarlo in volto.
    Il tempo che si allontanò, che io nervosa ed agitata presi ad armeggiare con la corda dei piedi, liberandoli prima che lui mi fu addosso. Scesi dalla parte opposta del letto e corsi alla porta, mentre mi sentì i capelli tirare da dietro e ben presto venir lanciata sulla parete opposta.
    Al mio tentativo di alzarmi, la punta dello stivale mi colpì sullo zigomo con un calcio, mentre un altro mi arrivò in pancia.
    “Sono stato gentile, ma a quanto pare preferisci finire i tuoi giorni si Neith!” mi urlò quello tirandomi di nuovo su per i capelli e poco dopo sbattermi il viso sulle assi di legno del pavimento.
    Senza perdermi d'animo, strisciai sullo stesso decisa a raggiungere la piccola scrivania a parete ed usarla come sostegno per mettermi in piedi, che lo sentì alle mie spalle. Le sue mani si strinsero sulla mia vita stretta, solo per sollevarmi e sospingermi di nuovo sul letto dove velocemente mi sovrastò con il suo corpo. Io mi dimenai per impedirgli di violentarmi e quando pensavo ormai di non farcela, la gonna era ormai alzata, che lo vidi volare dalla parte opposta della stanza. Non mi preoccupai nemmeno se ciò l'avevo causato io o meno, non ci pensai. Mi alzai e ben prima che l'uomo potesse di nuovo reagire, recuperai uno dei vetri che per terra c'erano ed appena si alzò pronto a scagliarsi di nuovo addosso a me, lo usai per tagliargli la gola.
    “Nooooooooooooooooooo” la voce di Shay alle mie spalle mi fecero accorgere della sua presenza. Doveva aver percepito il mio terrore e pericolo ed era corso a cercarmi, ma era troppo tardi. Le mie mani erano sporche di sangue e l'uomo di fronte a me stava annaspando, annegando nel suo stesso sangue.
    Lo osservai con terrore, era la prima volta che toglievo la vita ad un uomo, sopratutto in un modo che non era onorevole. Quella notte c'erano state molte prime volte. La prima volta che mi ero ritrovata in intimità con un uomo, in cui venivo toccata o baciata o in cui venivo picchiata...
    Con le lacrime agli occhi sentivo il viso gonfio ed indolenzito. Lì dove il sangue si stava seccando tirandomi la pelle. La mascella serrata ed il terrore di molti anni prima nello sguardo. Anche quella volta Shay mi abbracciò ed io mi sentì tranquilla ed al sicuro.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 27/7/2020, 13:29
     
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    Mi svegliai di soprassalto, il corpo madido di sudore, il respiro affannato e il cuore in gola. Non era la prima volta e sapevo che non sarebbe stata l’ultima. Gli incubi, che fin da bambino erano stati parte integrante della mia esistenza, erano diventati la mia normalità. Quando vedi ciò che io ho visto e cerchi di mantenere un equilibrio, una coscienza, la retta via, non c’è altro modo che sfogare l’orrore e il dolore attraverso l’inconscio. Lì potevo urlare, combattere, uccidere, vendicarmi e anche… morire, senza sentirmi in colpa – o quasi – nei confronti della mia integrità e del mio senso del dovere.
    E a un certo punto mi ero davvero domandato se non fosse meglio vivere tra le pieghe di questi incubi che tornare alla realtà. Quest’ultima era, se possibile, più spaventosa.
    Fissai il comodino, il foglio di carta ormai spiegazzato dai mille rimaneggiamenti. Ormai avevo imparato a memoria ogni singola parola del messaggio che da un lato mi aveva sollevato, dall’altro mi aveva dato il colpo di grazia: la speranza di una rinascita della Confraternita era ormai morta e sepolta.
    Tanti anni prima, Élise non era stata l’unica bambina che avevo salvato. Una neonata, dal sorriso tenerissimo e dagli occhioni blu come il cielo d’estate, era rimasta orfana: la giovane madre era morta durante il parto, mentre il padre aveva ceduto al Lato Oscuro e – con ogni probabilità – aveva persino perduto la memoria di sua figlia. Ero riuscito a rintracciare la piccola giusto il giorno prima che la squadra della morte di Giovanni Auditore arrivasse per toglierla di mezzo, ma non potevo tenerla con me. Già crescere Élise sarebbe stata una grande sfida, prendermi anche la responsabilità di una neonata sarebbe stato decisamente “troppo”. Con mani tremanti l’avevo consegnata a una donna fidata, un’amica della mia famiglia da molto prima che io nascessi. Le avevo chiesto di prendersi cura della pargoletta e di tenermi aggiornato… beh, quello sarebbe stato l’ultimo dispaccio che avrei ricevuto da Freeda: la figlia di Aura e Alexios sarebbe stata finalmente al sicuro, in un altro mondo.
    Mi ero messo seduto, una mano massaggiava il petto nudo, ricoperto da tatuaggi e alcune cicatrici, testimoni del mio passato di guerriero e di… Assassino Jedi. Era possibile smettere di essere un Jedi? No, non lo era. Ne ero talmente convinto che avevo voluto per la piccola Élise proprio quel percorso, in questo scopo mi ero perso e ritrovato troppe volte. Desideravo che conoscesse i principi che definivano – o che avevano definito – la nostra Confraternita: l’onore, la lealtà, l’amore per la libertà e la giustizia. Volevo che crescesse interiorizzando la Forza Chiara e sviluppando quelle capacità che sapevo custodisse dentro ogni cellula del suo corpo. Peccato per il caratteraccio che si ritrovava, ma faceva parte di lei e molto spesso mi ritrovavo a comprenderla, giustificarla, passarci su. Crescere con me non doveva essere stato semplice, neppure con gli anni, ero migliorato nel trattare con i bambini, poi con un adolescente e infine con una giovane donna ardimentosa.
    A volte mi pentivo di questa mia scelta, quando mi parlava di ribellione il respiro mi si mozzava in gola. L’idea di perderla mi faceva sfiorare il panico, l’idea che usasse le conoscenze che le avevo lasciato in eredità per muovere guerra contro l’ormai consolidato potere dell’Impero mi faceva rabbrividire, l’idea che sarei potuto diventare nuovamente la causa di un'altra morte innocente mi toglieva ogni energia.
    Mi alzai dal letto per aprire la finestra nonostante fuori si gelasse; tuttavia, speravo che l’aria fredda dissolvesse il macigno che mi si era formato nel petto. Inspirai a fondo il profumo della notte, osservando la distesa della mia terra illuminata da stelle luminosissime. Sembravano sussurrarmi versi d’amore, blandirmi con ammalianti richiami, illudermi con storie di antiche gesta… gesta che non sarebbero mai state più ricordate.
    Con le mani mi strofinai il viso e il collo, incrociando poi le braccia sul torace, ma non per difendermi dall’aria invernale, no… desideravo proteggermi da quei versi d’amore, ammalianti richiami, illusorie gesta. Le stelle erano sempre state il mio rifugio, ma negli ultimi anni erano diventate le mie più acerrime nemiche, io avevo fatto in modo che ciò accadesse, ma non avevo avuto cuore di precludere a Élise tale bellezza, e non mi riferivo solo agli astri. La mia piccola padawàn meritava di immergersi nella Forza, padroneggiarne le infinite opportunità e gli onorevoli sentimenti, ma avrei dovuto prevedere che un’aquila non può esprimere la propria maestosità se rinchiusa in una gabbia, benché ampia e dorata, prima o poi avrebbe tentato di spiccare il volo…
    E lei, lo sentivo con chiarezza, lo avrebbe fatto presto.
    Era circa un mese che usciva di nascosto per recarsi al pub giù in paese. Le prime sere l’avevo seguita e mi erano bastate poche occhiate per capire ciò che aveva in mente, anche perché le nostre discussioni diurne contemplavano un unico argomento: radunare i ribelli, cercare possibili Jedi, colpire l’Impero… Ero stanco, dannatamente stanco di lottare con lei e non perché non ci tenessi più abbastanza, tutto il contrario. Avevo capito che le catene che avevo fuso alla sua pelle la stavano avvelenando, perciò, avevo deciso di mollare la presa. Per crescere davvero e diventare la donna forte che avevo “visto” nel suo futuro, doveva camminare da sola.
    Avevo smesso di seguirla e… di ostacolarla, ma la preoccupazione non sarebbe svanita con le prime luci dell’alba imminente, né con quelle successive, ma me ne sarei fatto una ragione… forse.
    […]
    ”Sta bene, sta bene, sta bene!” Continuavo a ripetermi come una nenia nella testa, nel tentativo di mettere a tacere il cuore che da minuti interminabili mi lacerava la gabbia toracica. Batteva troppo forte, avrebbe retto?
    Avevo appena scoperto che Élise non era tornata a casa ed era molto strano, perché per la prima colazione si faceva sempre trovare fintamente assonnata e pronta all’ennesima discussione. Non poteva essere partita con i ribelli, tutta la sua roba era ancora qui e comunque ero certo che di questo mi avrebbe avvisato, non sarebbe scappata via come una ladra… anche se ancora non sapeva che l’avrei lasciata andare.
    Dovevo calmarmi a tutti i costi e connettermi con la sua forza, era l’unico modo per capire cosa diavolo stava succedendo.
    Presi dei respiri profondi e lasciai che l’ansia scivolasse via da me, tuttavia ciò che “sentii” non mi fu di alcun conforto: Élise era in pericolo, percepivo il suo terrore come acido sulla pelle.
    Non ci misi molto a raggiungere il paese e a rastrellare il pub. Nessuna domanda, nessuna richiesta, nessuna cerimonia. Tutti mi conoscevano come l’uomo posato, solitario, taciturno che viveva nella fattoria in periferia, ma in pochi attimi avevano avuto un assaggio dell’essere che ero stato: un guerriero con una missione da portare a termine. Strinsi l’elsa della mia spada fino a far sbiancare le nocche, ero pronto a materializzarla al primo accenno di pericolo, ma tutti gli avventori – compreso l’oste – si guardarono bene dal contraddirmi. Li interrogai uno per uno e venni a sapere che la sera prima Éise era andata via al solito orario… e capii che non mentivano.
    Lasciai il locale e tornai a concentrarmi sulla nostra connessione. Era vicina, dannatamente vicina, ma dove? Non potevo mettermi a rastrellare tutti gli edifici della strada. Così cominciai a escludere quelli meno probabili, scegliendo di iniziare con la locanda poco distante. Che avesse deciso di dormire in paese per qualche ragione? No, no, non aveva senso, lo percepivo troppo forte il suo disagio, stava soffrendo e io non avevo tempo da perdere.
    Quasi feci venire un attacco di cuore al portiere, il quale fu felice di riferirmi che durante la notte uno dei suoi clienti aveva portato nella sua camera una donna priva di sensi.
    “E non ti è saltato in mente di chiamare le guardie?” Il mio viso doveva essere a dir poco truce, mentre serravo la mascella e mi costringevo a non colpirlo.
    “Il cliente mi ha detto che la sua dolce compagna era ubriaca! Cosa avrei dovuto fare? Controllarle il polso?” Era chiaro che il tipo non aveva molto a cuore la sua incolumità, ciò nonostante ripresi possesso della mia proverbiale calma e mi feci confermare i connotati della ragazza: i capelli rosso acceso della mia padawàn non passavano certo inosservati. Era lei.
    Corsi su per le scale, sembrava che avessi le ali ai piedi, ma un terribile presagio mi riportò alla folle corsa fatta prima di arrivare alla Sala del Consiglio… cosa avrei visto una volta varcata quella porta? Il cadavere di Élise in una pozza di sangue? Avrei perso anche l’ultima persona cara che mi era rimasta? Nonostante i miei timori, non esitai neppure un secondo di fronte alla soglia incriminata. Una volta dentro, rischiai di perdere quella briciola di controllo che ancora mi animava e di cui avevo disperatamente bisogno: Arno Dorian stava strangolando la mia padawàn!
    Richiamai tutta la mia forza e scaraventai il bastardo lontano da Élise, ero pronto a combattere, ma lei non me ne diede il tempo. Fu velocissima, ispirata da una sete di vendetta che mi terrorizzò, bloccandomi sul posto. Un orribile déjà-vu mi fece rabbrividire, togliendomi ogni stilla di energia… solo un urlo uscì dalla mia bocca, che voleva essere un avvertimento, una preghiera, una supplica, uno sfogo, ma non servì a nulla, il frammento di vetro che tagliò la gola di Dorian spaccò in due anche il mio cuore già malandato.
    Quando riuscii a muovermi, il sangue aveva smesso di gorgogliare e gli occhi vitrei di Arno mi fissavano. Mi inginocchiai accanto al suo corpo, abbassai le palpebre immobili e sussurrai un breve “riposa in pace”. La mia padawàn mi guardò sorpresa e io annuii appena, come a ripeterle parole che ormai conosceva a memoria: “non siamo dei mostri, non uccidiamo per piacere, è nostro compito fare giustizia…” Anche se non vedevo brama di giustizia nelle sue pupille dilatate e sapevo anche che la vendetta non avrebbe colmato il vuoto che da ora in poi avrebbe portato dentro di sé. Solo allora mi avvicinai a lei, il suo viso era stravolto, la sua mano stringeva ancora l’arma con cui aveva tolto la vita a un altro essere vivente, per la prima volta. Presi il frammento di vetro e lo lasciai cadere a terra, poi l’abbracciai, l’abbracciai forte, percependo il sollievo tra le sue emozioni e l’angoscia tra le mie.
    “Non sarà la stessa cosa… Élise è diversa, è forte, è coraggiosa. Lei saprà accogliere il dolore e farne il suo vessillo. Diventerà un Cavaliere onorevole e insieme proveremo a combattere per il nostro mondo… insieme…”
     
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    Come mi sentivo? Come chi sapeva di aver deluso una persona a cui si tiene molto. Sporca e sbagliata. Non mi facevo certo colpe per ciò che avevo fatto, ma sicuramente mi sentivo a disagio. Non mi piaceva il modo in cui Shay mi aveva trovato ed ancor meno ciò che avevo fatto.
    Avevo sentito la paura scorrermi nelle vene, velocemente trasformarsi in un'ira dirompente e poi esplodere in un odio cieco. Si diceva che quella fosse la strada per il Lato Oscuro, ma personalmente non mi aveva dato alcun piacere uccidere Dorian e lo capì nei giorni seguenti in cui con sguardo basso meditavo e praticavo il silenzio.
    Non era era raro tra gli Younglings e i giovani Padawan, che i Mentori dessero tali punizioni per riflettere sui propri errori. Il silenzio era lo strumento attraverso il quale si capiva l'importanza della comunicazione oltre che un modo per rimanere chiusi in sè stessi e far fronte ai propri pensieri. Shay non me lo aveva imposto, ma da sola mi ci ero chiusa.
    Rimasi così circa per un mese, nel quale dovetti imparare come tornare a guardare negli occhi il mio Maestro, guadagnarmi la sua fiducia e così più importante imparare a fidarmi di nuovo di me stessa.
    Quella mattina mi ero alzata molto presto, avevo fatto una passeggiata nei campi, avevo sentito la Forza pura e splendente scorrermi nelle vene. Darmi energia e ripetermi i valori su cui basavo la mia intera esistenza: giustizia, verità, temperanza e prudenza. Questo il Credo degli Jedi mi aveva insegnato, come abbracciare l'Amore e usarlo per servire la verità celata dietro la luce, servendo la giustizia nell'ombra. Non agivamo con ruoli di spicco, non avevamo posti in politica o settori rilevanti della società, perchè solo standone al di fuori potevamo agire con prudenza. Attuare con temperanza e servire la libertà.
    Tornata a casa Shay dormiva ancora, si sarebbe svegliato a minuti e così tornando nella mia stanza mi misi di fronte allo specchio. Disegnai con un dito i tratti gentili del mio viso e sorridendomi pronuncia una semplice parola, che per me significava il mondo: "Bentornata".
    Quando Shay mi raggiunse per la colazione mi trovò diversa. Radiosa. Serena e soprattutto ancora di nuovo la parola a caratterizzarmi. I capelli, sempre rossissimi, erano raccolte in trecce boxer che ne caratterizzavano il mio carattere deciso e combattivo. Ero sempre solita portare trecce ed in base alla loro forma era possibile capire il mio stato d'animo.
    “Qualcuno stamattina è in assetto di guerra...” ironizzò il mio Maestro, mentre sorridendogli posavo sul tavolo la ciotola che conteneva la colazione, per poi con la mia in mano sedermi accanto a lui.
    "Come sempre no?" dissi ironizzando sul fatto che fossi da sempre un fuoco perennemente acceso, per poi vederlo allungare una mano e poggiarla sulla mia. Non era di molte parole, ma io avevo imparato a leggere nel suo sguardo. Era fiero. E questo mi commosse.
    Sorrisi scuotendo il capo, non amavo mostrare i miei sentimenti e lui lo sapeva. Tuttavia avevamo appena fatto in tempo a mangiare qualche boccone che un bussare insistente ed agitato alla porta ci fece scattare sull'attenti.
    Non ci dicemmo nulla, ma entrambi prendemmo le nostre spade e le assicurammo alla vita prima di aprire.
    Fu io a farlo, mentre il mio Maestro rimase a pochi passi alle mie spalle. Di fronte a me due dei ribelli che avevo conosciuto al pub e che ormai non vedevo da più di 30 giorni.
    "Finn... Poe... cosa ci fate qui?" chiesi interdetta.
    “Abbiamo bisogno del vostro aiuto!” rispose concitato Poe lanciando uno sguardo alle mie spalle, mentre il suo compagno prendeva la parola “Sappiamo che preferite rimanerne fuori, ma... c'è di mezzo la sicurezza del pianeta intero!” esclamò Finn. Il suo sguardo terrorizzato era impresso in quello di Shay.
    Entrambi percepimmo la loro agitazione la stessa che stava scorrendo nella Forza, motivo per cui dopo aver indossato le nostre lame celate e i mantelli uscimmo seguendo i due ribelli che ci portarono nel loro covo, al cospetto del leader della loro gilda.
    Ashooka era una donna decisa, una volta Compagno Alato di Koronis, aveva voltato le spalle al suo ruolo ed innamorandosi di un Mandaloriano, i due avevano avuto una bambina. Per proteggerla dai loro nemici erano scappati sulla Terra e con il passare del tempo si erano innamorati di quel pianeta che per loro era divenuta casa al punto di agire tra i ribelli e votarsi completamente alla causa della libertà.
    Shay la conosceva, potevano non "lavorare insieme", ma Ashooka era rispettata in tutto il villaggio e da sempre c'era un certo onore che li legava. Lo vidi immediatamente per come si salutarono e non persero tempo in convenevoli.
    “Grazie per essere venuti, non vi avrei fatto perdere tempo se non fosse per qualcosa d'importante!”
    “Di cosa si tratta?” a passo svelto stavamo seguendo la donna passando in una hangar piena di persone in agitazione. Si stava preparando un'evacuazione mentre altri piloti si stavano preparando a solcare i cieli per combattere.
    “Una nostra fide alleata ci ha riportato una notizia sconvolgente. Ha una spia nelle schiere scientifiche dell'Impero... pare che il progetto Celestial Power, smantellato anni fa, sia stato portato al termine ed attualmente l'arma è puntata contro la Terra... la vogliono distruggere!”
    Le parole di Ashooka mi gelarono il sangue nelle vene, ma se possibile Shay pareva ancor più sconvolto. Inchiodò sul posto e con con la bocca improvvisamente secca, sembrò fare fatica a formulare la domanda che poco dopo pose “C-Chi è q-questa spia?”
    “Shay?”
    “Sybil?”
    Immobile sia io che Ashooka sembrammo non capire cosa stava succedendo mentre i due si guardarono confusi ed infine la donna abbracciò Shay con amore e gentilezza.
    “Lei è Sybil la nostra spia, ma... sembra che voi già vi conosciate...”
    “Shay è il figlio del mio amato Galen... da quando tuo padre è morto non ho mai smesso di portare avanti i suoi ideali, da allora lavoro con i ribelli...”
    “In prima linea a costo della sua incolumità!
    Camminando accanto al mio Maestro non smisi si osservarlo percependo chiaramente che in tutto ciò c'era molto di più di una questione di vita e di morte, c'era qualcosa di personale. Mai lo avevo visto così perso, così fragile, come se fosse stato spogliato di tutte le sue certezze. Era ben lontano dalla quercia solida e saggia che mi aveva cresciuto.
    Lo percepì e per questo gli poggiai una mano sulla spalla sorridendo quando voltò a guardarmi non prima di vederlo reagire e tornare quello di sempre.
    “Non possiamo permettere che i rischi corsi da Sybil siano inutili, tanto quanto lo è stato il sacrificio di mio padre! Ti chiedo di mettermi a disposizione un aereo, volerò io stesso sulla stazione orbitante e metterò fuori uso l'arma prima che possa essere usato. Intanto tu dirama la notizia a tutte le cellule ribelli e preparatevi ad evacuare più persone possibile dal pianeta!”
    Ashooka non amava prendere ordini, ma in quel caso assentì e seguita da Sybil si allontanarono così come fece Shay verso l'hangar, ma io ero decisa a seguirlo.
    "Io vengo con te!"
    “Non ci penso minimamente!”
    "Maestro non te lo sto chiedendo!
    “Elise te ne prego è pericoloso!”
    "Ma è quello per cui mi sono addestrata tutta una vita. Maestro avrai bisogno di tutto l'aiuto possibile e di qualcuno che ti guardi le spalle mentre tu sarai intento a distruggere l'arma. Non chiudermi fuori, permettimi di aiutarti!"

    Sulla nave guardavo tutto come una bimba a Natale. Lo sguardo pieno di meraviglia , gli occhi sognanti e la bocca aperta. Dovevo trattenermi solo perchè sapendo di essere in missione non potevo certo rimanere lì a rimirare ogni minimo particolare.
    “Non è una scampagnata!” mi riprese il mio Maestro. Rigido, quasi a disagio, ma ben con ogni senso all'erta.
    "Lo so bene, ma... non ho mai lasciato Cork in vita mia, permettimi di meravigliarmi di fronte a ciò!" non ci fu tempo però per altre parole perchè alzando una mano la posò sul mio petto incitandomi a fermarmi, era chiaro che stesse percependo qualcosa, ma... stranamente io no.
    "Non sento nulla!"
    “E' questo il problema!” e poi prendendomi per un braccio mi attirò con sé in un'intercapedine nel momento in cui un gruppo di soldati passò. Li riconobbi subito, erano i "redivivi" l'esercito indistruttibile dell'Impero.
    "Pensi che ci siano solo loro qua sopra?" gli chiesi, lo vidi assentire deciso.
    “Ha senso... è tutto sommato una prova e se andasse male loro sono sacrificabili, ma sicuramente la nave madre è vicina... sono sicura che l'Imperatore ed il suo protetto vorranno assistere alla scena!” mi disse.
    I "redivivi" si chiamavano così perchè erano le anime che dall'Ade erano strappate. L'Alfiere ne era la Regina e per lei non era un problema riportarle in vita con un'antica pietra, Brahmastra. Di fatto privi di volontà propria, erano i soldati perfetti, perchè leali oltre l'inimmaginabile. Ucciderli era un poco più complicato... tagliargli la testa era chiave e capirlo non era stato facile.
    I "redivivi" erano il motivo per cui le persone temevano la morte, più del normale. Non esisteva un riposo eterno e questo da sempre era stato l'incubo con cui ogni persona aveva dovuto imparare a convivere.
    “Dobbiamo muoverci... sono tutti in fermento... L'arma ci mette quasi tre ore per caricarsi ed a no rimangono appena 20 minuti...”
    "E tu come fai a saperlo?" chiese saccente uscendo dal nascondiglio con lui, nel corridoio vuoto. Il mio Maestro non parlò, ma alzando lo sguardo mi indicò un countdown, lo stesso che incontrammo ovunque nella navicella. I secondi scorrevano inesorabile, come noi correvamo decisi a trovare il centro di controllo.
    Tuttavia non sarebbe stato così facile non quando incontrano un intero plotone tirammo fuori le spade laser ed iniziammo a difenderci dai numerosi colpi, mentre ci buttavamo nella mischia senza troppi complimenti. Misi in atto ciò che mi era stato insegnato, combattendo con maestria e audacia.
    Alzai una mano e feci cadere all'indietro tre redivivi, mentre il mio Maestro apriva la strada ed io gli coprivo le spalle. Inferivo i colpi con precisione ed attenzione, nello stesso momento in cui sempre più guardie arrivavano mentre lui aveva individuato la porta di nostro interesse. Era bloccata e tentava di aprirla, ma ben presto ci trovammo di fronte a un problema maggiore.
    "Maestro le Guerriere!" lo avvisai mentre due delle cinque più famose combattenti mercenarie della galassia si paravano di fronte a noi: Bellona e Vittoria.
    Parare i loro colpi tra scariche elettriche e lingue di fuoco non era facile, mentre noi eravamo spalle al muro.
    “E' una situazione di stallo!”
    Ed era vero, potevamo stare lì tutto il dì a parare i colpi e non avanzare di un passo.
    "Motivo per cui dobbiamo cambiare le carte in tavola!" e facendo l'occhiolino al mio Maestro avanzai tanto da dirigere la scarica elettrica che mi colpì, attraverso la spada laser, al pannello di controllo della porta che andando in corto circuito si aprì. Ci fiondammo al suo interno e prima che la lingua di fuoco ci colpì, il mio Maestro spostò una lastra di metallo di fronte all'apertura che fondendosi ci riparò.
    Eravamo dove dovevano essere, ma avevamo solo preso tempo. Dovevamo correre, trovare il nucleo, farlo implodere e distruggere la navicella con l'arma. Così scambiandoci uno sguardo complice e con le gambe in spalle corremmo senza perdere tempo.
     
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    La deflagrazione fu potente e gigantesca, ma io guardavo la scena come se fosse parte di un film muto in modalità rallentata. Anche se il mio cuore batteva all’impazzata e mi perforava le tempie, anche se fuori dal finestrino un’intera nave spaziale stava bruciando tra fiamme dai colori psichedelici, anche se con quell’atto avevamo finalmente vinto una battaglia fondamentale contro l’Impero… non riuscivo a provare soddisfazione, piacere o sollievo. Il silenzio sembrava solo il preludio di eventi ancora più tragici, che avrebbero coinvolto i ribelli, Élise, me. Cosa avremmo dovuto mettere sul piatto ancora? Non restavano che le nostre vite e i nostri ideali ormai. Mi chiedevo, da minuti interminabili, se fossi davvero disposto a perderli. Sì, la risposta fu repentina come un fulmine che squarcia un cielo notturno. Ero però disposto a rischiare ancora la vita di Élise? Quell’operazione era andata buon fine, eravamo riusciti a sabotare un’arma terribile, che con le sue attività non solo avrebbe causato infinite morti innocenti, ma avrebbe infangato ancora una volta il nome di mio padre. Adesso? Non sarebbe più accaduto, avevamo impedito che l’Impero la mettesse in azione, avevamo aiutato i ribelli nella loro missione, trasformandola nella nostra missione. Ma la prossima che tributo avrebbe richiesto? Non volevo che Élise rischiasse ancora, ma d’altro canto ero consapevole che impedirgli di lottare per qualcosa in cui credeva avrebbe creato una reazione a catena incontrollabile: mi avrebbe odiato, mi avrebbe rinfacciato quanto le avevo insegnato, avrebbe combattuto comunque. Non mi restava, quindi, che restarle accanto, proteggerla anche col mio corpo se si fosse rivelato necessario. Fissai la bruciatura sull’avambraccio, causata da una lingua di fuoco di una delle guerriere contro cui ci eravamo scontrati. Era stata dura, lottare temendo per l’incolumità della persona che sta al tuo fianco è una distrazione che non potevo permettermi. Avrei dovuto iniziare a pensare a lei come a una compagna di battaglia e non come a una figlia da proteggere… No, non sarebbe stato affatto facile, ma era l’unico modo per non cedere alla preoccupazione. E chissà, forse – grazie a lei – sarei anche riuscito a ritrovare il fervore battagliero che mi aveva animato in passato… Che illuso ero.
    “Ce l’abbiamo fatta, Maestro!” La voce della mia padawàn mi riscosse da quel mondo senza suoni, facendomi ripiombare di colpo nella realtà.
    “Non è che l’inizio, Élise, solo l’inizio…” la redarguì per frenare la sua esultanza. Vincere una battaglia non significava vincere una guerra. Il mio tono, però, era stato più dolce di quanto avrei voluto.
    “Il solito guastafeste…” sbuffò piano, ma si capiva bene che dietro alla finta offesa si celava una nota di divertimento. Mi diede una gomitata e mi costrinse a voltarmi verso di lei. Mi guardò con i suoi occhioni chiari e un broncio degno di un’attrice navigata: voleva persuadermi a festeggiare con lei!
    “D’accordo, abbiamo portato a casa una vittoria campale… E tu, tu ti sei battuta bene!” le concessi, ma senza sperticarmi troppo in complimenti. Sapevo bene che gli elogi dovevano essere centellinati, così da spingere l’allievo a dare sempre di più.
    La vidi quasi saltellare sul posto, indecisa, ma non troppo, prima di buttarmi le braccia al collo e stringermi forte. Era felice come non l’avevo mai vista, la soddisfazione sprizzava da ogni poro come scintille da una cometa in viaggio, chi ero io per rovinare un tale miracolo?
    “Quindi, hai deciso? Ti unirai alla Causa? I nemici tremeranno e i nostri lotteranno con più motivazione! Ti conoscono bene, la tua fama ti precede…” Élise mi travolse con un fiume di parole ed entusiasmo. Io sentii un battito del cuore perdersi nella gabbia toracica, mentre sentivo la terra franare sotto i piedi. Sciolsi l’abbraccio, dovevo guardarla in volto.
    “Non sono ciò che tutti ricordano, sono molto cambiato. Ti prego, almeno tu, non farti illusioni. Combatterò al tuo fianco perché così potrò coprirti le spalle e tu farai altrettanto con me, ne avrò bisogno, credimi!” Non volevo che avesse un’opinione troppo alta del sottoscritto. Le avevo insegnato tutto ciò che potevo, ma sul campo di battaglia era tutto diverso dalla semplice teoria… Ecco, ecco che il mio dannato pessimismo tornava a galla. Riuscii a leggere la delusione nel suo sguardo… era delusione vero?
    Mi fece una strana carezza, con la punta della dita percorse il profilo della mia tempia, della guancia, fino alla mascella contratta. La bocca era una linea dura, temevo cosi tanto il suo giudizio?
    “Perché, perché ti ostini a non riconoscere ciò che sei?! Ti ho visto finalmente combattere oggi e non ho parole per descrivere la Forza che emanavi. La tua espressione era quella di un guerriero non di un codardo! Perché ti ostini a negarlo?!” Cercava di trattenere la veemenza con la quale, sono certo, avrebbe voluto investirmi. Sarebbe stato da lei, ma apprezzai il tentativo. Mi sottrassi al suo tocco e ripresi a guardare fuori dalla plancia, il nero spazio interstellare sembrava inghiottirci come le fauci di un preistorico animale ma era proprio in quelle fauci che io un tempo trovavo la pace. Ora, però, era tutto diverso, io lo ero ed Élise avrebbe dovuto farsene una ragione. “Sei una leggenda, Shay Cormac, l’ultimo cavaliere Jedi rimasto in vita, non può e non puoi finire così…” Ciò nonostante, sembrava non essere intenzionata a mollare. Non volevo ferirla, ma non trovai molte alternative. Illuderla sarebbe stato molto peggio.
    “Sì, hai ragione, sono una leggenda, ne sono consapevole. E come tale faccio parte del passato. Non forzare il destino, mia padawàn. Sarò al tuo fianco, ma non illuderti sulle sorti della Confraternita e di questo mondo… sento che non vi è alcun futuro davanti a noi. Non chiedermi un perché, non ne ho a disposizione, ma le vibrazioni sono purulente, mi fanno paura e, se solo tu fossi meno giovane, le percepiresti anche tu…” Questa volta fu il mio turno di accarezzarla, ma non le diedi modo di replicare. Me ne andai sull'onda di un presagio nefasto, qualcosa di terribile sarebbe presto accaduto e noi, volenti o nolenti, avremmo dovuto farci trovare pronti.
    […]
    La base dei ribelli era proprio come me l’ero immaginata: soffocante e sotterranea. Un moto di rabbia tentò di scuotere il mio cuore, ma fu fugace. Era inutile accanirsi contro una realtà ormai consolidata: all’interno dell’Impero i ribelli altro non erano che topi di fogna, scarti della società, obbligati a nascondersi se volevano sopravvivere. Li ammirai, ma allo stesso tempo ebbi pena per loro. Ricostruire una Confraternita come quella degli Assassini non poteva partire da un manipolo di combattenti male in arnese, ma la speranza era quella di crescere, prosperare, trovare il punto debole di un potere che sembrava ormai dilagare al pari di un virus letale. Ci sarebbe stato il tempo di fare tutto questo? Ci sarebbe stato davvero spazio per la speranza?
    Erano trascorsi mesi dalla nostra ultima valorosa azione, ma se anche avevamo fatto tremare quel potere, non dava segni di cedimento, almeno nelle apparenze. Passavo le mie giornate tra inutili riunioni con i capi della Ribellione, molto più proficui allenamenti con Élise, ore di meditazione in cui cercavo di capire cosa la Forza desiderasse comunicarmi. Sapevo che c’era un messaggio che aleggiava nell’etere, ma non ero ancora in grado di decifrarlo e, forse, era questo che mi toglieva il sonno. Proprio così, la notte era il momento peggiore, costretto tra quattro mura, lontano dal mio cielo stellato, sopraffatto da un odore fortissimo di muffa e… morte. Cercavo di respirare lentamente, dimenticare il posto in cui mi trovavo, connettermi con la Forza per trovare un po’ di pace. Ma era proprio LEI a ribollire, a lasciarmi addosso questa dannata sensazione di inquietudine costante.
    Era di nuovo notte e i miei occhi si ostinavano a rimanere aperti, neppure la minima traccia di sonno sembrava volermi fare visita, ma la stanchezza? Quella era tutt’altra storia. La sentivo addosso come un sudario, pronta a soffocarmi. Mi muovevo per la stanza come un animale in gabbia, scalzo, vestito solo con dei pantaloni di cotone chiaro. Fissai la mia tenuta da combattimento e le mie armi, ordinatamente riposti su un appendiabiti di acciaio… l’acciaio, era dappertutto in quella base e io cominciavo a detestarlo. Mi fermai di colpo, dovevo darci un taglio. Forse, un po’ di duro allenamento mi avrebbe aiutato a “sconnettermi” dal mondo, anche solo per poco tempo. Mi avviai verso la mia sacca e proprio in quel momento sentii bussare alla mia porta. Vari rintocchi, veloci, urgenti. Chi poteva essere a quell’ora? Mi allarmai e aprii senza chiedere chi ci fosse al di là dell’uscio. Sgranai gli occhi e la stessa espressione la trovai sul viso del mio interlocutore. Sybil pareva imbarazzata e… non seppi bene definire le altre emozioni che vidi nei suoi occhi, perciò decisi di non indagare oltre. Le feci cenno di entrare e, lasciando la porta aperta, afferrai una maglietta e la indossai alla velocità della luce. L’urgenza che doveva averla spinta alla mia soglia a un orario tanto insolito sembrava essere scomparsa, almeno per il momento. La vidi dirigersi verso l’unica sedia presente e si sedette, i pugni stretti in grembo, lo sguardo fisso su di me.
    “Ehi, stai bene? Come mai qui?” Era scossa e desiderava dirmi qualcosa.
    “Shay, ci sono grosse novità. Abbiamo ricevuto importanti informazioni… sono venuta a chiamarti, ci stiamo riunendo per un briefing…”
    “Ottimo, mi do una sistemata e vi raggiungo…” Avevo iniziato a rispondere, ma la sua voce tenue mi interruppe.
    “Aspetta, aspetta solo un attimo.” Mi bloccai per osservarla meglio. Cos’erano quegli occhi lucidi? Cosa diavolo era successo? “Voglio dirti una cosa, non credo di aver mai avuto l’opportunità di farlo, ma in questi ultimi mesi ha assunto proporzioni che non posso ignorare.”
    “Di cosa parli?” le chiesi confuso più che mai. Il suo sguardo era molto simile a quello di una madre preoccupata, anche se avevamo su per giù la stessa età. Il mio pensiero era folle, ma raramente mi sbagliavo.
    “Sei molto diverso, dopo… dopo la caduta della Confraternita ti ho perso, tutti noi ti abbiamo perso. Non riesco a immaginare che cosa tu abbia passato, cosa deve aver significato crescere una bambina da solo, trovare il coraggio di continuare a vivere mentre tutti gli altri non c’erano più…” Ero pietrificato. Non riuscivo ad articolare neppure una sillaba. “Sotto i miei occhi sei dimagrito, sei sempre più inquieto e le occhiaie testimoniano il perché non ti ho svegliato anche se è così tardi…”
    “Dove vuoi arrivare, Sybil?” La mia voce era un semplice sussurro.
    “Voglio che torni l’uomo con cui ho riabilitato il nome di Galen. Voglio che torni il guerriero che ha salvato Élise da morte certa. Voglio che torni a essere il Cavaliere Jedi di cui abbiamo disperato bisogno. Una nuova missione ci attende e, questa volta, potremo davvero fare la differenza…”
    Perché tutti mi chiedevano di essere chi non ero più? Artigliai il labbro inferiore con i denti per costringermi a non rispondere come avrei voluto. Il silenzio, a volte, era la via migliore. Mi limitai ad annuire, tutta quella gente confidava in un essere morto e sepolto, ma avevo promesso a Élise che avrei continuato a combattere, nel bene e nel male, al suo fianco.
    “Ti raggiungo…” le dissi con voce decisa, mentre mi voltavo per raccogliere il necessario e rendermi presentabile. Percepii un leggero tocco al di sopra della maglietta, all’altezza di una spalla. Voleva infondermi coraggio, dirmi grazie, mostrarmi la sua vicinanza? Non lo sapevo, ma non aveva più importanza. Shay Cormac del passato non esisteva più, ma ciò non mi avrebbe impedito di tornare in azione.
     
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    Per quanto il mio Maestro si ostinava a starsene sulle sue e sottolineare quanto fosse lì SOLO per me, in quei mesi di lotta accanto ai ribelli ero sicura di aver visto in lui una vecchia scintilla che lentamente stava riprendendo luce. Io e Sybil avevamo stretto un'alleanza silenziosa per sospingerlo di nuovo verso la Forza, mentre attraverso di lei avevo conosciuto molti dettagli del passato di Shay, uno di cui mai mi aveva voluto parlare. Dal canto mio non avevo mai fatto presente la cosa a quest'ultimo, per non incomodarlo, ma avevo iniziato a capire molte cose del suo atteggiamento in primis il suo desiderio così forte di proteggermi.
    Faticavo a credere a quanto aveva sofferto e quante cose aveva visto, ma in egual misura mi ero persuasa del fatto che se era ancora lì a combattere per la cosa giusta allora non era vero che il dolore lo aveva spento. Che le cose orribili gli avevano fatto smettere di credere ecco perchè avrei fatto leva su quello per "risvegliarlo". Era stato fortunato, aveva avuto una bellissima famiglia ed un padre eccezionale, lo stesso che lui era stato per me e come "figlia", ancor prima che come Padawan, era mio dovere mostrargli che quello che lui aveva fatto per me era molto più di ciò che credeva. Era esattamente la fiamma di giustizia e speranza che mai si era spenta in lui...

    La riunione che ci svegliò a tarda ora non fu una delle tante, ma fu veramente la svolta che molti di oni osavano solo sognare. Una voce, poi confermata, aveva finalmente confermato la posizione del far di controllo. Era risaputo che i Redivivi fossero comandati da un'antica reliquia, la Pietra Bramastha, e che la stessa era custodita in un luogo segreto. Di fatto distruggerla voleva dire liberare quelle povere anime ridotte in schiavitù ed in egual misura distruggere l'esercito dell'Impero rendendolo così vulnerabile e finalmente possibile da sconfiggere. Finalmente ciò che da anni si cercava, le coordinate della Pietra, erano state svelate da una persona cui l'identità era avvolta nel mistero, ma che i ribelli avevano confermato essere giuste. Dunque non c'era tempo da perdere.
    Immediatamente si organizzò che mentre i ribelli a terra si sarebbero occupati della distruzione del centro di controllo della pietra, qualcuno di altamente addestrato avrebbe abbordato la nave ed avrebbe affrontato l'Imperatore ed il suo discepolo. Shay si propose, sapendo che nessuno sarebbe stato all'altezza e spinto dal desiderio di chiudere un cerchio, mentre i ribelli gli avrebbero fornito degli uomini che gli avrebbero aperto la strada oltre che dei piloti che avrebbero attaccato il resto della flotta. Era una missione suicida e lui lo sapeva, come io e Sybil.
    Nemmeno ci provai a parlarle con lui ero certa che mai mi avrebbe permesso di seguirlo e così presi una decisione molto più pratica ed effettiva: mi nascosi nella sua navicella così che una volta sulla nave madre non avrebbe potuto cacciarmi indietro.
    Non mi svelai immediatamente anche perchè una volta attraccati, come se il mio Maestro se lo aspettasse, il suo discepolo lo stava aspettando con degli uomini pronto ad arrestarlo e quello che accadde mi confuse: Shay non reagì.
    Si lasciò ammanettare e i loro sguardi, seppur il discepolo dell'Imperatore era nascosto da un casco, sembrarono quasi legarsi.
    Dal mio nascondiglio li guardai curiosa, cercando di tendere l'orecchio quando li percepì parlare.
    “L'Imperatore aveva previsto il tuo arrivo”
    “"Lo so Alexios..."
    Sgranai gli occhi. Nessuno conosceva l'identità del braccio destro dell'Imperatore e questo mi confuse. Il mio Maestro lo faceva? Si conoscevano?
    “Quel nome non ha più signifcato per me”
    "Quello è il nome del tuo vero IO... lo hai solo dimenticato... So che c'è del buono in te, l'Imperatore non è riuscito del tutto a privartene... Alexios ti prego, metti fine a questa follia... Avete perso e forse, e dico forse, se ti fermi ora molte vite potranno essere risparmiate e la tua anima salvata..."
    “Non capisci... tu non conosci il Lato Oscuro... io DEVO obbedire al mio Signore...”
    "Da quando sei succube di qualcuno mh? L'Alexios che conoscevo era un ribelle... non un sottomesso... sento il conflitto che c'è in te... torna sui tuoi passi..."
    “Non c'è più speranza per me... Maestro!
    A quella parola mi dovetti portare una mano sulla bocca per non urlare, mentre notai i due allontanarsi scortati da dei soldati, mentre io lentamente uscivo nel corridoio.
    Ero ancora scossa da ciò che avevo udito, ma non potevo permettere a ciò di immobilizzarmi e così dopo essermi tirata il cappuccio sulla testa mi affaccia dalla navicella per osservare la situazione nell'hangar. Sorrisi a fronte di due Redivivi e sapendo che sarebbero saliti a controllare aspettai il momento opportuno e con la spada laser misi fine alla loro esistenza, dopo di che nascondendoli rubai la divisa di uno dei due ed indossando il casco scesi dalla navicella sicura che nessuno mi avrebbe fermato.
    Il primo gesto fu dirigermi nella sala di controllo, ove i soldati presenti erano umani e non redivivi, e dopo averli uccisi con la lama celata mi misi al computer per poter osservare i video di sorveglianza e seguire il percorso del mio Maestro... cercai di memorizzare la strada che stavano facendo e poi mi affidai alla Forza sicura che non mi avrebbe deluso.
    Infilandomi nuovamente il casco uscì dalla stanza e con non chalance, ma passo sicuro camminai iniziando a notare fuori dalle grande vetrate le navicelle ribelli arrivare ed attaccare la frotta. La battaglia era iniziata.
    Ciò che io vidi, e sicuramente stava vedendo anche Shay, era l'attacco che la nave madre aveva appena lanciato con un fuoco che i ribelli non possedevano. Una delle navi madri che gestivano i piloti era appena saltata in aria. I ribelli erano in difficoltà, mentre il mio Maestro assistevano nuovamente inerme alla distruzione di qualcosa in cui credeva. Percepì la sua ira crescere, la sua frustrazione e questo mi fece camminare sempre più veloce, fino a correre. E se quando fossi arrivata sarebbe stato troppo tardi?
    Quando arrivai nella stanza in cui era stato portato l'Imperatore rideva di come finalmente Shay stesse tirando fuori tutto l'avvilimento e la delusione che in anni aveva accumulato. Premeva sui suoi insuccessi, sul suo essere stato incapace di salvare sua madre, suo padre, il suo Maestro e perfino il suo Padawan... lo incitava ad uccidere Alexios contro cui stava combattendo e lieto del loro scontro si allontanò lasciandoli soli.
    Lì avrei dovuto agire. Subito. Mi tolsi il casco ed urlai "STOP! Smettetela! SUBITO!" e senza aggiungere altro con un balzo arrivai tra loro due mostrando la mia identità.
    “E tu chi saresti?”
    "La Padawan di Shay!" dissi fiera. Era alle mie spalle e percepivo come si sentisse incomodo nel vedermi lì, mentre io attivavo la mia spada e la puntavo verso Alexios.
    "Elise che ci fai qui? Vattene!"
    "No! Non ti abbandono e tanto meno ti permetterò di cedere! E lo stesso vale per te Alexios!" pronunciai sicura affrontando quella figura che per tutti, tranne per Shay, era misteriosa, impenetrabile ed indistruttibile. Ma ora sapevo che non era così. Sapevo che un tempo era stato uno Jedi, era stato il Padawan del mio Maestro. All'epoca dell'attacco al Tempio non avevo capito chi ci avesse attaccato e perchè, ma ora tutti i pezzi si stavano collegando, ma non lo odiai. Ero stata addestrata bene e sapevo che il dolore che provavo non doveva offuscarmi.
    "I tuoi pensieri ti tradiscono, li sento... Sento il conflitto che è in te... il bene che è in te... Non hai mai ucciso il tuo Maestro prima, perchè? Perché non ne sei stato capace! Entrambi siamo stati addestrati da Shay... e se c'è una cosa che ci ha insegnato è che il dolore non deve accecarci... Ascoltami Alexios, non è troppo tardi..."
    Avevo spento la spada laser e lanciandola da un lato camminai a mano alzate verso Alexios, mentre Shay dietro di me urlava di fermarmi. Io però continuai e lo feci anche quando Alexios con la sua spada l'alzò deciso a finirmi. Chiusi gli occhi e sperai che le mie sensazioni fossero giuste anche perchè mentre Shay scattava per salvarmi, Alexios spense la spada e lasciandola cadere a terra cadde anch'esso in ginocchio. Le mani sul viso coperto e la tristezza a pervaderlo.
    “Cosa ho fatto? Cosa ho fatto? Sono un mostro... oh Aura amore mio... cosa ho fatto? Perdonami perdonami...” parlava senza senso sconvolto e ferito, mentre io voltandomi verso Shay lo vidi confuso quanto me, me al contempo proseguire verso di lui, al che feci un passo indietro.
    Sentì gli occhi inumidirsi, mentre vedendolo inginocchiarsi vidi abbracciare il suo Padawan di un tempo che nonostante l'armatura ed il resto mai mi era parso tanto inerme e spaventato. Come un cerbiatto ferito.
    Fuori la battaglia impazzava mentre speravo che i ribelli avessero avuto successo e la pietra distrutta. Non avevano tempo. Presto avrebbero fatto esplodere la nave madre.
    "Dobbiamo andare via! ORA!" urlai concitata e vidi Shay assentire mentre alzandosi porse la mano ad Alexios che la strinse, ma al contempo trattenne a sè il suo Maestro.
    “Venite con me... so come farvi lasciare la navicella indenni! Seguitemi!”
     
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    “La prossima volta che mi farai uno scherzo del genere, te ne farò pentire! Correvamo, correvamo a perdifiato lungo corridoi infiniti e nonostante il fiatone non persi tempo a rimproverare quella scellerata di Élise. E se Alexios non avesse ceduto? Se l’avesse finita davanti ai mie occhi? Se non avessi agito in tempo per salvarla?
    “Uffa! Te l’ho detto e ripetuto, sapevo che non mi avrebbe fatto nulla! Lo sentivo!” Lei tentava di difendersi, ma nel mio petto si stava sciogliendo un macigno grande quanto una montagna.
    “Non fare la saputella, signorina, rischiare così la vita non è da coraggiosi, ma da ingenui senza cervello!” Anche se correvamo veloci, non smettevo di tenerle stretta una mano e forse per questa ragione lei non replicò, ma addirittura sorrise di sottecchi. Ma guarda un po’ che strafottenza! Mi voltai verso Alexios per chiedergli quale fosse la nostra meta, ma lo trovai a fissarci. Anche se il casco celava i suoi lineamenti non potevo non percepire le sue emozioni adesso libere di fluire come un fiume in piena. Fissava Élise e me, probabilmente ricordava tempi andati, talmente lontani da risultare fumosi persino alla mia mente. La sua coscienza stava davvero tornando? Oppure era solo un escamotage per portarci in un’altra trappola ben peggiore. Non ci riuscivo, no, non potevo fidarmi ciecamente, non dopo tutto quello che avevo visto e subito. Combattere contro di lui, ancora una volta, sotto gli occhi di un Giovanni Auditore tronfio e compiaciuto mi aveva riportato di fronte agli occhi un terribile déjà-vu; e quando anche Élise era comparsa quasi crollavo per l’orrore che si stava davvero per compiere qualcosa che doveva accadere molti anni prima. Ma così non era stato. Alexios aveva ascoltato le sue parole, stupendo più me che lei… la saputella!
    “Vedo che non sei cambiato, Maestro, sei sempre la solita palla al piede!” me lo disse con quella voce, la stessa che usava quando si lamentava del mio essere troppo severo e musone, una voce simile in tutto e per tutto a quella di Élise quando si cimentava nelle medesime rimostranze. O erano stati fratelli in un’altra vita, oppure… avevano ragione. La mia padawàn, traditrice, rise di gusto e rispose al mio posto.
    “Confermo, senza se e senza ma!” Ma che diavolo stava succedendo? Forse ero ubriaco? Forse ero intrappolato in uno dei miei incubi? Perché quel momento di pseudo-leggerezza non era normale, né coerente. Eravamo nemici! O meglio lo eravamo fino a pochi istanti fa, per tutti gli dèi! Respirai a fondo per racimolare un po’ di fiato.
    “Vedete di farla finita voi due e tornate seri, abbiamo cose ben più urgenti di cui occuparci…!” Avrei potuto giurare di aver scorso un baluginio strano negli occhi di Élise, era forse commozione? Ma per cosa? Oh, al diavolo! Era il caso di rimandare a dopo tutte le analisi del caso, adesso dovevamo capire come uscire da qui senza rimetterci le penne.
    Nel bel mezzo della corsa, Alexios arrestò di colpo il suo incedere. Eravamo di fronte a un portone enorme finemente intarsiato. Il salone centrale, con ogni probabilità. Non ebbi difficoltà a percepire delle vibrazioni potenti provenire dall’interno, una Forza oscura e delirante era in azione ma non osai intervenire. Capii subito che al di là della soglia c’era l’Imperatore, ma non era lui a trovarsi in difficoltà, al contrario stava subendo ritorsioni crudeli e terribili. Restai immobile, a fissare Alexios. Esitava… poteva essere una prova che fosse davvero tornato sui suoi passi? In caso contrario, sarebbe corso in aiuto del suo padrone. Percepivo il richiamo della forza oscura nei suoi confronti, lo potevo udire chiarissimo e strisciante come un serpente velenoso che si insinua tra lenzuola candide. Fece un unico, solitario, passo, poi si bloccò di nuovo. Le parole di scherno di Giovanni Auditore giunsero alle nostre orecchie, rispondevano a domande precise, quasi calcolate. Fu allora che l’anima di Alexios fu totalmente libera… quando scoprì che il suo padrone, a cui lui aveva votato la sua intera esistenza, aveva tentato di uccidere sua figlia. La speranza parve rischiarare la sua mente, ma soprattutto il suo cuore. La speranza di saperla in salvo da qualche parte… ma c’era qualcos’altro. Lo lessi nella sua anima.
    “Dobbiamo andare, non c’è più molto tempo…” lo esortai, stringendogli forte un braccio. Lui annuii e riprese la corsa, facendo strada, abbandonando il suo padrone a un destino ormai certo, forse anche peggiore della morte.
    Non ci domandammo chi fossero i suoi aggressori, aveva dispensato talmente tanto odio nella sua vita che non mi sorprese quell’epilogo, proseguimmo semplicemente per la nostra strada, ancora inconsapevoli di aver appena “sfiorato” il nostro futuro.
    Mentre procedevamo, ebbi bisogno di svelare la verità e chiarire quanto Auditore aveva confessato. Non sapevo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, ma non potevo andarmene senza aver dato un po’ di pace al cuore del mio ex padawàn.
    “Ascoltami, Alexios. Quello che… l’Imperatore ha detto è vero. Ha inviato la sua squadra della morte per uccidere la figlia di Aura… tua figlia. Ma sono riuscito ad arrivare in tempo e portarla via. Aspetta, lasciami finire… L’ho affidata a un’amica della mia famiglia, se n’è presa cura, ma poi l’ha portata via… in un posto sicuro… molto lontano da qui, in un altro mondo...” Non sapevo come avrebbe preso questa notizia, ma non mi aspettavo di certo quella seraficità che parve dimostrare. Non potevo vedere il suo volto, ma se avessi potuto avrei giurato di averlo percepito sospirare… di sollievo. Ero confuso, assurdamente confuso.
    “Credo che ci sia un disegno dietro tutto questo, un disegno che nessuno di noi può davvero comprendere. Vi spiegherò tutto e allora capirete…” Il suo fare sibillino sembrò irritare Élise che, come ben sapevo, non era molto avvezza alle attese o alla pazienza. Sbuffò sonoramente, prima di sbottare.
    “E che diamine! Ti ha appena detto che ha salvato tua figlia da morte certa, ma che adesso è in un altro mondo e che con ogni probabilità non la rivedrai più e tu? Fai il misterioso? Certo che strano, sei strano… Ahia!”
    La pizzicai su un braccio, non certo per proteggere Alexios dalla mancanza di tatto della mia padawàn – non era più mio compito – ma per far capire alla diretta interessata che doveva imparare a frenare quella benedetta lingua. Se avesse ancora saputo ridere, ero certo che Alexios lo avrebbe fatto. Ma il suo cuore era troppo indurito dall'oscurità e si limitò a scuotere il capo.
    Dopo un tempo interminabile, ci fece fermare. Eravamo in mezzo a un corridoio identico a tutti gli altri. Stavo per domandare qualcosa ma lo vidi premere dei pulsanti prima invisibili e un pannello delle dimensioni di una porta comparve. Lo attraversammo uno dopo l’altro e arrivammo in una stanza completamente buia. Anche se i miei occhi non potevano vedere, sentivo scorrere dentro di me la Forza Antica che emanava quel luogo. Era potente, sferzante, travolgente e d’istinto feci un passo indietro fino a sentire Élise a contatto con la mia schiena, il suo viso appoggiato tra le mie scapole, quasi desiderasse sentire attraverso la mia pelle ciò che avevo percepito. Qualunque cosa sarebbe accaduta le avrei fatto scudo col mio corpo… Quando un leggero bagliore iniziò a rischiarare la mia vista, però, cominciai a sentirmi diverso. Nel contempo, Alexios prese a parlare e capii che quei leggeri mutamenti dipendevano da lui. Stava azionando qualcosa… ma ciò che raccontò mi rapii totalmente, lasciandomi atterrito.
    “Devo dirvi alcune cose che stenterete a credere, ma spero che ormai abbiate capito che non ho più motivo di mentire… Il nostro mondo, questo mondo sta morendo.” Lo vidi prendere aria a pieni polmoni, mentre – al contrario – il mio petto era immobile: trattenevo l’aria nella speranza di aver capito male. Non lo interruppi e costrinsi Élise a fare lo stesso. “In questi anni, l’Impero ha distrutto l’anima di quanto ci circondava, ha esaurito le risorse, ha violentato la Forza che animava questo mondo. Da tempo, abbiamo capito che prima o poi saremmo implosi e allora ci siamo mossi alla ricerca di una soluzione. Grazie a questi…” Lo vidi indicare qualcosa nella semi oscurità. “Abbiamo trovato quella soluzione. I Monoliti, ne avrete sentito parlare, sono molto antichi e dalla potenza inaudita. Erano custoditi dalla Confraternita, ma dopo la strage da me compiuta, sono caduti in mano di Giovanni Auditore. Era ovvio che li avrebbe usati per i suoi scopi e io mi sono reso complice di queste nefandezze. Abbiamo usato il Monolite dello Spazio e abbiamo trovato la soluzione che ci serviva: un mondo speculare al nostro che avremmo potuto invadere e dominare.” L’aria era sempre lì, incastrata tra petto e gola, incapace di entrare o uscire. Sentii Élise arrivare al mio fianco, portarmi le braccia attorno alla vita e stringermi forte. Tentava di non cedere di fronte a un racconto tanto impietoso. La abbracciai forte e cercai di sostenerla, anche se pure la mia razionalità stava vacillando.
    “Perché ci stai dicendo tutto questo? Cosa stai facendo?” Dovevo capire per non crollare, anche se intuivo che le risposte non sarebbero state meno inesorabili di quanto avevo appena udito.
    “Voi… voi siete l’unica speranza di quella dimensione! Giovanni ha inviato l’Alfiere per preparare il terreno, come qui, il suo intento sarà quello di utilizzare la pietra Brahmasta per creare un esercito invincibile e tenere le porte aperte per l’invasione! Dovete impedirlo… a ogni costo!” Elaboravo ogni parola, ogni notizia, ma continuavo a crogiolarmi in una immobilità confortante.
    “Giovanni è morto… o lo sarà presto! È finita!”
    “Affatto, non abbiamo agito da soli e il piano non si fermerà con lui. Ci sono troppi attori in campo e la posta è davvero troppo alta. L’Alfiere avrà bisogno di tempo per portare a termine la sua missione, dovrà recuperare una serie di reliquie molto antiche e completare un rituale oltremodo complesso. Forse non è troppo tardi per fermarlo e porre fine a questo scempio. Io… vi aiuterò a passare oltre e poi mi assicurerò che questa nave salti in aria con tutti i suoi occupanti… ma prima…”
    Lo vidi esitare, bloccarsi per qualche momento dall’attività frenetica che pareva risvegliare – attimo dopo attimo – forze sempre più gigantesche e pregnanti, le potevo sentire pulsare al centro del mio petto, di pari passo col cuore di Élise. Era terrorizzata, ma allo stesso tempo affascinata da quello spettacolo di certo unico. Una luce invase uno dei tre Monoliti di pietra antica, che – solo adesso potevo vederlo nella sua interezza – era ricoperto da simboli sacri e inviolabili. Era nella posizione centrale, il Monolite della Creazione. Sapevo che la spiegazione di Alexios sarebbe presto arrivata.
    “Richiamerò mia sorella, Kassandra. Vi prego, portatela con voi nella dimensione specchio, lì potrà aiutarvi a ritrovare mia figlia. Dovrà avere qualcuno al suo fianco che abbia il suo stesso sangue… lo merita. Quella piccola non dovrà rimanere sola… Vi imploro, trovatela e ditele che suo padre ha scoperto di amarla troppo tardi…”
    Non ebbi il tempo di replicare, né di muovere un solo passo, perché Alexios iniziò a pronunciare una litania melodiosa. Lemmi sconosciuti parvero farsi concreti e pesanti come argilla, da quell’argilla venne fuori una sagoma dapprima indistinta, poi sempre più nitida. Il suo volto fu l’ultimo a illuminarsi e quei lineamenti tanto familiari mi fecero vacillare. Kassandra. Kassandra era davvero tornata in vita? Non riuscivo a credere ai miei occhi, ma alla potenza del monolite dovetti credere, le sensazioni che scuotevano tutta la mia anima non potevano essere messe in dubbio. Era tutto assurdo e straordinariamente “esatto”. Il bagliore non accennò a ridursi ma sembrò inglobare i due fratelli in una bolla unica, quasi intima. Quando ad accendersi fu il Monolite alla nostra destra, quello dello Spazio, capii che era arrivato il momento di andare. Dove, non ne ero affatto sicuro, seppi solo che la missione che gravava sulle nostre spalle era immensa, forse troppo pesante per le nostre forze, ma non ci restava alcuna alternativa da scegliere. Presi per mano Élise e la strinsi talmente forte da aspettarmi un lamento da parte sua, lamento che non arrivò. Era scioccata, estasiata, terrorizzata, il suo giovane viso era una girandola di emozioni. Pensai ai Ribelli, a Sybil, alla possibilità di lasciarle un breve messaggio di addio... Non volevo che ci credesse dispersi, morti, perduti, ma cosa avrei potuto dirle? La verità era troppo sconvolgente, rivelarla sarebbe stato il vero crimine. Quasi quasi invidiavo coloro che restavano a festeggiare una vittoria di Pirro, nella più completa ignoranza… No, non avrei spezzato quel velo, non li avrei gettati nel panico: li avrei lasciati a trascorrere il tempo che gli restava nella consapevolezza di aver compiuto un’impresa e in fondo era davvero così! Il nostro compito, invece, sarebbe stato quello di non rendere vano il loro sacrificio. Non avevo idea di cosa sarebbe accaduto, ma di certo non mi sarei tirato indietro di fronte all’ennesima prova. Avevo paura… eccome se ne avevo, ma Élise sarebbe stata salva, questa poteva essere una prima consolazione e con lei al mio fianco avremmo provato a compiere la nostra di impresa: salvare un mondo sconosciuto eppure tanto uguale al nostro da fare gola a un Impero in rovina.
    Quando Alexios ci salutò e il chiarore abbagliante del Monolite dello Spazio avvolse una Kassandra ancora spaesata, una Élise trepidante e me, che quasi tremavo per l’aspettativa, non sapevo che cosa sarebbe accaduto subito dopo e non lo avrei mai saputo.
    Iniziava una nuova vita, una nuova avventura, una nuova missione. Sperai solo che sarei stato all’altezza, che la leggenda di Shay Cormac e della Confraternita degli Assassini non sarebbe rimasta tale, che qualcosa – nel nuovo mondo – avrebbe ripagato il sacrificio di milioni di anime innocenti. Lo sperai, lo sperai con tutto me stesso. Poi, tutto fu luce.


    :Henry:
    Credevo di averlo perso, che avrei fallito la mia missione, ma non sarebbe accaduto. Io non fallivo mai. Il braccio destro dell’Imperatore, il mio obiettivo, era finalmente nel mio mirino. Dopo essermi assicurato che Jordan e Claudia fossero al sicuro e stessero per completare il loro “compito”, mi ero diretto a consumare il mio. Dopo un attimo di smarrimento, Alexios era spuntato nel corridoio da un pannello nascosto nella parete. Non gli diedi il tempo di richiuderlo, né di accorgersi della mia presenza. Creai un’onda d’urto spaventosa che lo respinse indietro, nella sala segreta da cui era appena uscito, che sembrava – a uno sguardo veloce – il luogo dove venivano custoditi i Monoliti. Ottimo.
    Attaccai ancora il mio avversario senza neppure alzare un dito, stavo semplicemente comandando alle sue cellule neuronali di implodere. Lo strazio doveva essere immenso, ero certo di questo, avrebbe dovuto essere già andato in coma ormai e peccai di superbia nel voltargli addirittura le spalle mentre lo finivo con la forza della mente, curioso di guardare da vicino gli antichi Monoliti.
    La fitta di dolore arrivò molto dopo che i miei occhi ebbero registrato un pugnale con lama laser conficcato nella mia carne. Aveva perforato la schiena, sfiorato il cuore, prima di spuntare fuori dal mio torace. Gli attimi passarono lenti, quasi impietosi. Sbattei le palpebre una, due, tre volte. La lama era ancora lì e bruciava pelle, muscoli, organi, dopo aver frantumato le ossa. Caddi in ginocchio, ma non prima di voltarmi verso il mio nemico. Lo fissai piegando la testa di lato, stava per esalare l’ultimo respiro, eppure aveva avuto la forza di ferirmi… a morte. Spezzai quell’ultimo respiro e lo vidi accasciarsi, adesso inoffensivo, sul pavimento di granito lucido. Il sangue fluiva via da sotto il casco, formando una pozza attorno alla sua testa riversa.
    In quell’istante la lama incandescente sparì e anche io crollai.
    Ciò che avvenne dopo lo ricordavo poco e male.
    Mi trascino lasciando dietro di me una scia di sangue. La guardo con poco interesse ma riesco ad avvicinarmi al mio nemico. Il suo sangue si unisce al mio, ma non è importante. Afferro la sua mano, prendo l’anello in grado di attivare i Monoliti e lo stringo forte in un pugno. Se Jordan e Claudia non dovessero trovare quello di Giovanni Auditore, gli avrei fatto usare questo. Devo solo resistere, controllare il respiro, impedire alla mia linfa vitale di abbandonarmi. Non ancora. Sento dei passi concitati, quei tacchi li riconoscerei ovunque. La vedo correre verso di me senza neppure guardarsi attorno. “Che fai? Ti sporcherai il vestito…” vorrei dirle, ma non ci riesco, non subito. Biascico qualche parola ovvia, tento di scuotere Claudia che sembra addirittura inorridita dallo squarcio nel mio petto. Strano, lei non prova disgusto alla vista del sangue. Le infilo l’anello di Alexios a un dito, potrebbe servire, ma non ho la forza di pronunciare altro. Confido che Jordan la afferri e la porti via al più presto, lui sa mantenere la calma nei momenti concitati e questa è una qualità che ammiro nelle persone. “Andate e riportate Ordine!" Sono le mie ultime parole, un po’ scontate, lo ammetto, ma mi sembra un ottimo commiato. Ho portato a termine la mia missione e non ho nulla da rimproverarmi. È il momento di andare, sento l’oscurità chiamarmi, perciò scambio un ultimo sguardo con Jordan, fisso Claudia per un momento intero, e mi abbandono ad essa. Torno alla mia culla, qui sono nato e qui ritorno. Di nuovo.


    Edited by KillerCreed - 24/8/2020, 22:23
     
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