Present Day #2020: Imperial Palace

Season 5

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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Partenope:
    Il ritorno di Iuventas non mi era passato inosservato, anzi. L’avevo aspettata con trepidazione ed ansia. Doveva essere una missione semplice e soprattutto rapida. Invece era tornata leggermente più tardi del previsto ed in uno stato non perfettamente al 100%.
    Aveva usato la scusa dell’allenamento troppo intenso a cui tutti credettero.
    Ma io sapevo la verità. Io sapevo da DOVE fosse tornata.
    "Sei sicura di star bene?"
    “Me lo hai chiesto già tre volte, ti ho detto di sì! Sto bene... Come ti ho già detto le cose non sono andate come previsto, ma... ne sono uscita.”
    Assentì preoccupata alla mia amica -che ero convinta minimizzasse l’accaduto-, mentre entrambe ce ne stavamo sedute sul divanetto del bellissimo laboratorio che Athena aveva a Palazzo e che ultimamente usavo per aiutare nel caos a cui stavamo facendo fronte.
    “Chi mi preoccupa è Pandia!”
    Giusto, con il suo ritorno era arrivata anche questa scoperta. Era come aver finalmente trovato la soluzione ad un indovinello estremamente complesso… però, se da una parte aveva chiarito alcuni dubbi, dall’altra ne aveva creati altri ed anche giganteschi, a cui sicuramente Pandia stessa avrebbe dato una spiegazione, ne ero certa.
    Il suo allontanamento aveva lasciato tutte sconvolte e confuse, quasi amareggiate, ma questa notizia mi aveva dato la speranza che prima o poi la nostra amica sarebbe tornata da noi, ed io non vedevo l’ora.
    "Sono ancora incredula a fronte di ciò che mi hai raccontato!" esclamai così sovrappensiero da non riuscire a fermare Iuventas dal rubarmi il pezzo di panino che mi era rimasto in mano e che lei invece divorò.
    “Che c'è? È tre ore che lo fissi!”
    Alzai gli occhi al cielo ridendo, mentre stavo per chiederle qualcosa, ma non feci in tempo perchè l'arrivo della Principessa ci fermò. Fortunatamente non ci aveva colto nel pieno delle nostre chiacchiere, seppur il mio sguardo affranto era la minaccia del mio desiderio di raccontarle tutto.
    Per l’ennesima volta avrei dovuto mentire a Selene, e questa volta anche su una cosa che riguardava direttamente sua sorella. Avevo il timore che il mio silenzio non sarebbe durato a lungo.
    Iuventas lo capì e dunque mi rimproverò silenziosamente con lo sguardo, ricordandomi di non provarci minimamente...
    Assentì ingoiando il rospo e poi la salutai a fronte della richiesta della Principessa di parlare da sola con me. Dietro Selene notai Iuventas indicare con due dita prima i suoi occhi e poi me, come a dirmi "ti tengo d'occhio", per poi sparire oltre la porta.
    “Spero non avervi disturbato, ma... ho urgente bisogno di parlarti...”
    Sgranai gli occhi e poi indicandole il divano dove poco prima c'era Iuventas la invitai a sedersi, non prima di pulire la seduta dalle briciole che la mia amica aveva lasciato.
    La Principessa voleva parlarmi urgentemente… che avesse scoperto qualcosa riguardo ai nostri viaggi sulla Terra?
    "Perdonate la confusione... come posso aiutarvi?"
    “Prima di tutto non dandomi del voi!"
    "M-Ma siete la Principessa!"
    “In questo momento sono solo una Guerriera che chiede aiuto ad un’altra Guerriera" mi disse con un sorriso mesto e dolce.
    Fu strana la sua tensione, il suo torturarsi le dita prima di parlare.
    “Non esiste un modo facile per farlo e dunque sarò diretta: ho avuto una visione. Non ti stupirà perchè come sai è parte delle mie capacità, ma nonostante mia madre mi abbia insegnato ad assecondarle in questo caso non posso farlo. Devo cambiare ciò che ho visto e per farlo ho bisogno di te!"
    Sgranai gli occhi. Ero assolutamente e totalmente felice che lei si fidasse così tanto di me, ma al contempo il disagio ed il senso di colpa mi stavano divorando. Lei si fidava di me, di qualcuno che non aveva fatto altro che mentirle e nasconderle cose. Come potevo meritarmi la sua fiducia?
    In più, non riuscivo proprio a comprendere in che modo IO avrei mai potuto esserle utile.
    Anche se davo sempre il meglio di me, mi impegnavo al 100% delle mie possibilità, avevo sempre il costante timore di non farcela, che ci fosse sempre qualcuno più adatto di me per assolvere al compito di turno, di essere completamente inadeguata e fare solo danni.
    "I-Io? M-Ma come?"
    A quel punto lei sembrò a disagio. Conosceva molto bene la mia storia ed il mio passato e seppur ancora non lo sapevo, la sua premura e preoccupazione nel chiedermi una cosa del genere era ammirevole.
    “So che il canto di una sirena è in grado di ipnotizzare una persona... quando è sotto il suo incanto questa può chiedere qualsiasi cosa alla persona che ubbidisce senza volontà. Vorrei che tu lo facessi su di me!"
    Alzarmi di scatto fu una reazione del tutto istintiva. Era come se mi fossi scottata e l'istinto mi fece portare le mani alla gola. Ero orgogliosa della mia natura, ma al contempo c'erano tabù contro i quali avevo ancora dei problemi, che ancora non riuscivo ad accettare. Selene lo capì ed alzandosi mi poggiò le mani sulle spalle con fare materno.
    “Ti chiedo tanto, lo so, ma non lo farei se non fosse una questione di vita o di morte... tuttavia non ti obbligherei e lo sai. E' una tua scelta Partenope e qualsiasi sarà io la rispetterò!"
    Le labbra tremavano e i pugni si strinsero, mentre io odiai quel mio maledetto freno. Quella paura inossidabile legata ad un'abilità che avevo sempre e solo visto come un mezzo per ammaliare uomini, a fronte di un atteggiamento predatorio che non comprendevo.
    Per una sirena la voce ed il canto erano tremendamente caratterizzanti, purtroppo anche e soprattutto per sedurre. Era un uso così oscuro, così meschino, così lontano dal mio modo di agire e di essere.
    Ricordo mia madre e le mie sorelle quanto ne andassero fiere, quanto si infastidivano quando mi ostinavo ad usare la mia voce solo e soltanto per intonare melodie e rallegrare chi mi stava attorno.
    Ormai avevo perso il conto delle volte in cui mi riprendevano e tentavano in ogni modo di convincermi ad usarla per soggiogare gli animi altrui.
    La mia chiusura era stata istintiva e repentina. Mi ero ammutolita, sentivo la gola estremamente secca ed il solo deglutire mi faceva male. Avevo paura.
    Tuttavia frenai l'esondare delle emozioni e feci emergere la parte razionale di me, quella che Athena mi aveva insegnato ed incoraggiato a sviluppare. Per me non era solo come una madre, ma anche la mia Mentore. Il mio punto di riferimento, colei che mi aveva guidato nel mio percorso di Guerriera. Il suo insegnamento principale era quello di fare sempre la cosa che ritenevo più giusta al fine di fare del bene, ovviamente dopo aver analizzato tutte le varie possibilità.
    In quel momento la Principessa mi stava parlando di una questione di vita e di morte. Come potevo ignorare la sua richiesta d’aiuto? Avrei usato questa mia abilità per fare del bene. In effetti era il miglior modo in cui potessi usarla.
    “Ti aiuterò… p-però devo sapere quel che hai visto…” dissi titubante, con il timore di venir fraintesa. “Non perché voglio farmi gli affari tuoi… d-devo saperlo così da poterti guidare meglio nella visione...” le spiegai vedendola incerta sul da farsi.
    Prese un profondo respiro e poi parlò, pietrificandomi sul posto.
    “Se non cambio le cose, Endymion morirà.”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 11/8/2020, 13:04
     
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    :Selene:
    Dopo notti insonni a fare congetture e a cercare alternative che non esistevano, a disperarmi in segreto, nascondendo anche la più piccola ruga di preoccupazione a chi mi stava vicino, avevo preso la mia decisione.
    Era sempre stata lì, in un angolo del mio cuore, sin dal momento in cui avevo avuto la premonizione. Non mi interessava infrangere i divieti ferrei imposti per mantenere intatte le energie dell'universo, di non influire sul corso del tempo per non disturbare ciò che era stato predisposto per noi da volontà insondabili.
    La morte era un destino che ci attendeva comunque. Avevo ripreso in mano il mio ruolo da Guerriera, quindi il rischio di morire era tornato ad essere tangibile anche per me. Avrei dovuto rassegnarmi, e arrendermi all'ordine delle cose.
    Eppure non riuscivo. E un interrogativo insidioso aveva cominciato a pungolarmi: poteva essere plausibile che la visione fosse venuta da me perché io sarei stata l'unica a poterla cambiare? Che il futuro non fosse davvero scritto come lo avevo visto, ma come lo avrei cambiato io con le mie azioni dopo aver saputo? Se fosse stata quella la verità, non solo potevo agire, ma dovevo. Mi fidavo della profonda saggezza di mia madre, ma neanche il saggio più lungimirante è infallibile.
    Avevo il dovere di salvaguardare la mia famiglia. Lo dovevo fare per le mie figlie, per me.
    Erano questi pensieri, alla fine, che mi convinsero a rompere gli indugi e a cercare aiuto. Dovevo scoprire di più sul futuro che ci attendeva, e per fare questo, avevo bisogno di osservare con più attenzione la visione. Non potevo riuscirci da sola, perché avrei rivisto solo ed unicamente quello che già conoscevo. Ma se una sirena, con i suoi poteri, mi avesse guidato in una sorta di trance vincolante, avrei potuto raggiungere risultati migliori.
    L'aiuto di Partenope, dapprima riluttante, divenne più sicuro quando le spiegai il motivo:
    ”Se non cambio le cose, Endymion morirà”
    Cominciammo subito. Il tempo era davvero prezioso, e l'unica risorsa che non si poteva recuperare, una volta sprecata.
    ”Quando sarai dentro la visione, io ti suggerirò cosa osservare, ti indicherò dove andare e ti darò maggiori possibilità di ascoltare, di notare particolari che potrebbero essere sfuggiti”
    Annuii docile, con la mente già tesa verso i minuti successivi. Mi accomodai meglio sul divano e chiusi gli occhi. Dopo qualche secondo, la voce di Partenope iniziò un canto senza parole; dapprima basso, poi più alto. La sua musicalità mi avvolse come una coperta morbida ma stringente e robusta. Nel canto, cominciai a distinguere delle parole, che non avrei afferrato se non fossi stata concentrata su quelle. Erano i suoi ordini: mi invitava ad addentrarmi nella visione e, come se avessi acceso una luce in un luogo buio, mi ritrovai in un luogo diverso dalla stanza in cui ero insieme a lei.

    Ero nella hall di ingresso del Palazzo Lunare. Rimasi per un attimo sconcertata, dato che non mi aspettavo di essere lì, in un luogo diverso rispetto alla Sala del Trono, tanto che temetti brevemente che qualcosa fosse andato diversamente dai miei progetti. Fu un momento terrificante. Non riuscivo a muovermi in nessuna direzione, né a decidere se continuare o interrompere il mio viaggio. Udii dei passi che questa volta non riconobbi. Non erano di Endymion, non erano di una persona sola. Sopraggiunsero due giovani, due ragazze della nobiltà, vestite con abiti sontuosi. Stavano scambiandosi confidenze e pettegolezzi.
    ”Il principe Helios era così possente nella sua armatura dorata... chissà se sono riuscita a farmi notare da lui...”
    L'altra ragazza rise: ”Non sperarci! Ha altre cose per la testa, e di sicuro scegliere una moglie non è tra i suoi desideri. Ora che è di nuovo primo in linea di successione al trono, vorrà fare di tutto per mettersi in mostra con i suoi genitori, e per questo si dedicherà con ogni energia a servire l'Impero!”
    ”È così coraggioso! Si dice che sia stato lui a catturare qualche giorno fa quel pericoloso criminale di Prometeo! L'ha affrontato a viso aperto, senza timore per la sua incolumità...”
    ”Sono tempi orribili, pieni di incertezze... spero che gli imperatori intervengano con più decisione per proteggere il loro popolo... hai sentito anche della Guerriera dell'asteroide Vesta? E' stata dichiarata una minaccia per l'Impero, e ora è in fuga...”
    ”Oddio non lo sapevo! Mio padre non mi voleva mandare all'incoronazione, diceva che era pericoloso, meno male che sono riuscita a convincerlo, non mi sarei persa un avvenimento di questa portata neanche a rischio della mia vita...”
    Le loro voci si persero lungo il corridoio che avevano imboccato, quello che portava all'ala del palazzo dedicata agli ospiti in visita.
    Continuavo a non capire, anche se adesso avevo la certezza di trovarmi nella visione in cui avevo visto morire Endymion. Poteva essere che per il solo fatto di averne parlato con Partenope, gli eventi avessero già cominciato a subire dei cambiamenti?
    Mentre ancora riflettevo, vidi arrivare due figure che camminavano svelte. Entrambe vestite di bianco, la donna che stava un passo indietro all'uomo, l'atteggiamento come a volerlo fermare. Eravamo io ed Endymion.
    Un'altra variazione dalla prima versione.
    Lui camminava deciso e non sentiva ragioni, sordo alle mie suppliche. Stavo cercando di convincerlo a non dirigersi verso i Giardini Lunari, ma era inutile. Aveva un'espressione risoluta e grave.
    ”Non possiamo attendere oltre, né rischiare di perdere una possibilità così preziosa!”
    Le mie parole vennero coperte da quelle di Partenope, che sentivo arrivare chiare e cristalline nonostante sembrassero molto distanti.


    ”Tutto bene, Selene?”

    Decisi di seguirli. La me stessa del futuro aveva una mano posata sul braccio di Endymion, ma a nulla valeva per dissuaderlo. Lei sapeva cosa sarebbe successo, perché lo sapevo anche io.
    I giardini erano immensi, con grandi viali delimitati da siepi curate e con viottoli che portavano ad angoli più riparati e nicchie nascoste. Ma non era lì che ci stavamo dirigendo. Alla fine del viale principale c'era un grande spiazzo erboso, con numerose statue e gabbie di uccellini dai colori più disparati.
    Endymion ed io ci fermammo al limitare, sconvolti dalla scena al centro del prato. Due nuove persone si fronteggiavano, oppure stavano parlando, difficile da dirsi. Ma le riconoscevo. Una era la figura imponente del nostro nemico, l'altra il Compagno Alato di Toth, che si girò verso di noi, terrorizzata e colpevole, udendo l'esclamazione di Endymion.
    ”Horus! Ci hai traditi! Lo hai portato qui, nel cuore del regno!”
    Il nostro nemico, sempre celato e protetto dall'armatura cangiante, fece alcuni passi verso di noi.
    ”Non mi interessa perdere tempo con qualcuno che ha esaurito la sua utilità...”
    Un raggio luminoso quasi colpì Horus, che si trasformò in una frazione di secondo nella sua forma animale e lanciando un richiamo acuto, volò via, verso la torre delle guardie. A cercare rinforzi? Non potevo dirlo.
    Le fessure dell'elmo che nascondevano il viso dell'entità si illuminarono. Anche senza vederlo, potevo giurare che stava sorridendo per come stavano andando le cose. Alzò una mano, le parole risuonarono agghiaccianti nelle mie orecchie: ”Uno morirà!”
    Le sue dita si chiusero a pugno, ghermendo l'aria. Endymion si portò le mani al petto, accasciandosi lentamente. Corsi verso di lui, venendo preceduta dalla Selene che faceva parte della visione. Lei lo sorresse, anche se a fatica, ma lui morì tra le sue braccia, così come avevo già visto succedere.


    Urlai di nuovo, e la visione si interruppe di nuovo, allo stesso punto della prima volta. Aprii gli occhi, appannati dalle lacrime. Partenope mi stava stringendo le mani, preoccupata e desolata. Ci guardammo per un lungo momento, poi la abbracciai, cercando di rincuorarla.
    ”Ti ringrazio per l'aiuto. Sono convinta che riusciremo a salvare Endymion, anche se siamo ancora lontane, perché l'incoronazione avverrà tra qualche settimana e...”
    Non finii la frase: dopo un pesante bussare, la porta si aprì. Iuventas entrò con un sorriso smagliante.
    ”È appena arrivata la notizia. Helios è riuscito a catturare il criminale più ricercato dell'impero, Prometeo! Sembra sia successo durante un'azione improvvisata, un caso fortuito, dato che da mesi era riuscito a scappare ed eludere qualsiasi tentativo di cattura!”
     
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    Annarita
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    Lasciai che l’acqua gelida lavasse via il sudore, la fatica, il dubbio e… il senso di colpa. Cercavo di non pensarci, di non farci caso, di raccontarmi la solita fiaba: “va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene” mi ripetevo come un mantra, di quelli che ti entrano dentro e che dovrebbero convincerti di una comoda verità. Ma così non era, non riuscivo ad ascoltare fino in fondo quella voce morbida e suadente. Dentro… dentro c’erano solo spilli e vetri rotti. La mia coscienza mi imponeva di essere sincero, ciò nonostante, la paura di perderla mi tratteneva con catene d’acciaio. Ma non potevo tergiversare oltre, avevamo stretto un patto che poneva la fiducia al primo posto. Avevamo deciso di ripartire da lì, perché tutto quello che c’era prima era stato un disastro e volevamo rimetterne insieme i pezzi… anche se…
    Uscii dalla doccia, qualche brivido di freddo mi fece accapponare la pelle anche se era strano che accadesse. Io non soffrivo il gelo, non da quando ero diventato un Cavaliere della Luna. Sperai interiormente che l’altro maledetto me non tornasse a mettermi i bastoni tra le ruote.
    Negli ultimi tempi se n’era stato buono buono nel suo cantuccio, forse – in qualche modo – felice di aver ritrovato un’intesa con il suo Compagno Alato, intensa che, ne ero ormai certo, non avevano mai avuto. Di sicuro erano stati molto vicini, ma non come io volevo essere, io volevo di più e questo era il fatto fulcrale che mi contestava il bastardo. Era il motivo per cui non riuscivamo a fonderci, eppure sentivo che anche lui la desiderava, provava affetto per lei… ma non si era mai arrischiato ad andare oltre. Non dopo l’ultima terribile delusione che le aveva inflitto, quando “tutto” si era incrinato… “Adesso, caro mio, tu ti fai gli affaracci tuoi. Non ti intrometti e mi lasci fare. Abbiamo bisogno di lei, anche se in modi diversi. Se continuerò a mentirle su ciò che sono… rischiamo di perderla per sempre. So che non lo vuoi nemmeno tu, quindi per una volta non fare il cacasotto!” No, avete ragione, non provavo alcuna simpatia per il “me stesso” di questa maledetta dimensione!
    Presi un respiro profondo e ritornai nella camera che dividevamo sulla Luna, anche se Horus non aveva un letto ma dormiva su un trespolo di cristallo, per me era un po’ come se fosse un nuovo inizio. Lo facevamo anche prima, ma i suoi sguardi colmi di disprezzo avevano avuto il potere di inquietarmi talmente tanto da costringermi a disertare persino il sonno. Adesso, adesso era tutto diverso. Non trovarla su quel trespolo, poi, era una specie di benedizione che mi concedeva più spesso da quando avevamo stipulato il nostro famoso patto. La vidi sistemarsi la divisa dopo la brevissima doccia fatta poco prima di me, io mi ero attardato per discutere alcuni rapporti urgenti con il Maestro Kenway. Ci aveva intercettati sulla strada del ritorno, ad allenamento terminato, così ne avevo approfittato per darle qualche minuto di vantaggio. Ci eravamo parlati con gli occhi, non era servito neppure il contatto telepatico, ma Horus aveva capito le mie intenzioni. Era tutto questo che non volevo perdere.
    “Ti va di fare quattro passi con me…? Fuori, nei Giardini Nord.” Mi vestii in fretta, come sempre. Non desideravo causarle imbarazzo o spezzare quel sottile filo di seta che ci legava. Sì, avrei voluto baciarla e sì, avrei voluto diventasse mia in tutti i sensi, ma sapevo che quel filo era ancora troppo fragile e avrei dovuto intrecciarlo con pazienza per renderlo sempre più forte.
    Alzò lo sguardo su di me solo quando fui completamente abbigliato – apprezzava la mia tenuta marziana e non ne faceva mistero, forse per lei era un po’ come tornare alle origini – e avrei giurato che le sue guance fossero arrossate. Oppure era solo un mio folle desiderio…
    “Giardini Nord? Sono pressoché abbandonati…” Mi guardò un po’scettica, ma anche incuriosita.
    “Temi che voglia attentare alla tua virtù, ucciderti e poi seppellirti lontano da occhi indiscreti?” Era più forte di me, provocare mi veniva naturale, tanto quanto quel sorriso malizioso, quando di fronte avevo la mia Horus. Ok, non era “mia”, non ancora almeno, ma sperare non costava poi tanto. Mi fissò perplessa, ma nei suoi occhi scorsi un barlume di divertimento. Dovevo sembrarle irresistibile! Scossi il capo per scacciare via quei pensieri inopportuni.
    “Se temessi per la mia virtù, mi basterebbe trasformarmi in falco e darti un bel due di picche. Ma non è questo il punto…” Sorrisi ancora, mentre un punteruolo mi si conficcava nel petto per l’emozione.
    “Voglio solo parlare con te senza nessuno intorno. Non voglio interruzioni… devo dirti una cosa molto importante… e…” Adesso era disagio ciò che vedevo sul suo viso? Temeva di trovarsi da sola con me… improbabile, lo eravamo per la maggior parte del tempo. Nonostante ciò, dovevo ammettere che negli ultimi giorni, quell’espressione era comparsa troppo spesso. Avevo provato a non farci caso, ma eccola che tornava a pungolarmi. La necessità di parlarle a quattr’occhi aumentava.
    “Ascolta…”
    “Shhh, Andiamo ai Giardini, lì potremo stare tranquilli senza altri rompiscatole tra i piedi!” La presi per mano e la portai via. Nel mio immaginario, l’avrei caricata su una navetta e l’avrei portata su un pianeta deserto, lontani dalle apparenze, dai doveri, dalle regole. Lontani dalle catene che ci impedivano di essere fino in fondo ciò che eravamo. Ma non era possibile e non lo sarebbe mai stato. Ancora non sapevo quanto avevo ragione.
    […]
    I Giardini Nord, come aveva detto Horus, erano quasi abbandonati. Venivano curati come il resto del parco attorno alla Corte Lunare, ma nessuno si avventurava fin qui per passeggiare o altro. Vista l’ora, neppure i manutentori sarebbe giunti a disturbarci. Ignorai il profumo intenso dei fiori, i raggi della luna che colpivano la mia pelle e la ritempravano, il fatto che il “vecchio” Thot se ne stesse zitto e buono. O quasi. Un leggero strato di sudore imperlava la mia fronte, mentre il respiro si era fatto più affannato. Non ero sicuro se fosse per l’ansia o per il dissidio del mio alter ego. Ignorai anche questo, sarebbe stato più semplice.
    Fissai Horus. Era rimasta in piedi, di fronte a me, le dita ritorte in pugni ferrei, lo sguardo basso e la fronte corrugata in quella famosa espressione di disagio. Doveva finire.
    “Horus, siediti, ma soprattutto guardami… Avvolsi un suo pugno con la mia mano e lo sciolsi con delicatezza. Intrecciai le mie dita alle sue e la spinsi ad accomodarsi al mio fianco. Non la lasciai andare. Non credo lo avrei mai fatto. “Ci siamo detti e ripetuti che per ricostruire il nostro rapporto di fiducia non avremmo dovuto avere segreti…” La sentii sussultare contro il mio palmo. Cosa le prendeva? Perché continuava a rifuggire i miei occhi nel tentativo di nascondermi i suoi. Si era accorta che le avevo mentito…? Oppure… forse era lei a… No, impossibile! Horus non mi avrebbe mai tenuto nascosto nulla. Era stata la sua condizione, me l’aveva imposta come indispensabile per ricominciare, per collegare quel benedetto filo di seta! Dovevo dirle la verità, prima che fossi costretto a guardarlo disintegrarsi nel vento. “Perciò ho deciso di confessarti una cosa… una cosa che mi tengo dentro da mesi…” Alzò di scatto il volto, fissando finalmente le sue iridi color dell’abisso nelle mie altrettanto scure. Riconobbi tanta curiosità, ma anche un velo di inspiegabile sollievo.
    “Mi dirai il perché dei tuoi malesseri? Del tuo comportamento strano? È tutto collegato vero?” Chissà quanto tempo aveva trascorso arrovellandosi su queste discrepanze e stranezze. Mi sentii doppiamente in colpa, perciò annuii. Fu bello e straziante assieme sentire l’altra sua mano poggiarsi su quelle già intrecciate. Io feci altrettanto, creando un nodo di carne che sperai diventasse indissolubile.
    “La verità è che io non sono il Thot che tu conosci, a cui sei stata affidata come Compagno Alato, che hai servito per anni, che ti ha tradita in maniera ignobile…” Horus piegò il viso di lato, esprimendo tutta la sua confusione.
    “Cosa intendi? Insomma, ci siamo detti che avremmo superato certe cose, che saremmo andati avanti…”
    “Non sto rivangando e accampando giustificazioni. Voglio dire proprio ciò che ho detto. Non sono quel Thot, vengo da un’altra…”
    La percezione improvvisa di un’altra presenza mi costrinse ad ammutolirmi. Anche Horus doveva averla sentita, perché si voltò nella mia stessa direzione. Quando scoprimmo “chi” ci aveva appena raggiunti avemmo reazioni del tutto diverse. Io mi alzai in piedi, sull’attenti, il pugno sul cuore in segno di rispetto. Horus restò inspiegabilmente seduta, le mani in grembo, di nuovo serrate al punto da far sbiancare le nocche. Non riuscivo a comprendere il suo comportamento, così come non ero in grado di interpretare lo sguardo duro e addolorato di…
    “Principessa Selene!” la salutai con la solita reverenza. Aveva udito ciò che stavo per confessare ed era intervenuta per impedirlo? No, impossibile, le guardie che portava con sé indicavano un gesto premeditato. Era forse successo qualcosa a Corte? Perché era venuta direttamente lei a convocarmi? Stavo per impazzire, mentre uno stranissimo e orribile presagio mi attanagliava lo stomaco. Dovevo capire! “Cosa vi porta fin qui?” Attesi una risposta che, lo sapevo nel profondo, avrebbe distrutto ogni mia certezza… o quasi.


    Edited by KillerCreed - 18/8/2020, 13:21
     
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    Un nuovo incubo minacciava la mia anima, un nuovo segreto che dovevo serbare per mantenere intatto il mondo che mi ostinavo a desiderare.
    Cercavo di comunicare correttezza e limpidezza nelle mie azioni, attraverso la serenità e la sicurezza nei miei modi, ma dentro di me si agitava un coacervo di dubbi e paure. Dopo il chiarimento e l'accordo stretto con il mio Campione, il mio amato Toth, il mondo sembrava perfetto: avevamo eliminato ogni incomprensione, ricostruendo il rapporto su basi diverse dal disprezzo e dall'incomprensione.
    Poca importanza cercavo di dare alle condizioni che dovevano mantenersi tali: dovevo riuscire a nascondere il mio amore per lui anche quando il suo comportamento rilassato e amichevole rischiava di farmi mettere un piede in fallo e quindi rispondere con trasporto alle sue attenzioni delicate e gentili con parole e gesti che avrebbero tradito ben altri sentimenti che quelli che tutti si sarebbero aspettati da un Compagno Alato. Inoltre, per assicurarmi questo mondo dovevo tenere a bada segreti che non riuscivo a seppellire, con rimorsi annessi: la mia origine non proprio pura, contagiata dall'infanzia anomala sulla Terra e dalla bugia che avevo inventato per essere riaccettata dal mio popolo e intraprendere la strada del servizio come Compagno Alato. Segreto che ora troppe persone custodivano, oltre me e mia madre Senu.
    Da qualche giorno, senza che potessi scegliere, si era aggiunto un nuovo segreto che mi atterriva, che rendeva orribile ogni secondo vissuto di giorno e di notte, mentre mi allenavo, mentre mi trasformavo in falco e volavo lontano, mentre riposavo nella mia camera. Una presenza spaventosa mi ossessionava, mi seguiva ovunque andassi, sempre rimanendo un poco più fuori dalla mia vista, come se fosse un'ombra percepita con la coda dell'occhio. La sua voce, al contrario, era roboante e imperiosa ma era dentro la mia testa, la udivo solo io e da quando mi aveva parlato per la prima volta, era diventata via via più intensa, così come il legame che ci univa, la percezione che avevo di lui, con l'atroce dubbio di essere sua complice, di favorirla in maniera inconsapevole.
    La presenza non aveva fatto mai mistero della sua identità; era il Dio Oscuro che aveva manipolato Hades, e proclamava con orgoglio i suoi misfatti e i suoi intenti: spazzare via questo mondo per costruirne uno secondo i suoi desideri. Il Dio che da mesi minacciava l'integrità dell'Impero aveva scelto inspiegabilmente me come sua confidente e come pubblico per le sue rivendicazioni. Non mi aveva chiesto altro che non fosse di ascoltarlo. Non capivo i suoi piani, e non mi fidavo delle promesse invitanti che tesseva per attirarmi dalla sua parte. Aveva fiutato l'infelicità di un amore impossibile, e aveva visto un modo per ottenere un alleato. Mi rassicurava, mi allettava con la promessa che con il suo potere infinito, una volta vittorioso, poteva concedermi ciò che desideravo: una vita senza ostacoli alla mia felicità, chiunque desiderassi ai miei piedi in adorazione. Non gli credevo, e lui forse lo avvertiva, nonostante questo era certo che non lo avrei tradito. Non avrei parlato di lui con nessuno, perché il Dio conosceva anche l'altro terribile segreto, e come aveva raggiunto me, avrebbe potuto scegliere un'altra vittima da circuire per i suoi scopi e per punirmi.
    Cercavo di tenerlo vincolato comportandomi docilmente, accettando di incontrarlo in luoghi deserti come pretendeva, quando poteva mostrarsi senza timore di venire scorto. Solo in quegli incontri potevo vederlo, anche se la sua forma, immensa rispetto a me, non era fisica, bensì evanescente, come un fantasma che poco per volta acquisti consistenza. Ogni volta che lo incontravo era un tradimento alle persone che costui minacciava. Era una pugnalata che infliggevo al mio Campione, e guardarlo negli occhi, in quegli occhi che contenevano solo fiducia e ammirazione nei miei confronti, stava diventando uno strazio.
    No, non uno strazio che non avrei retto a lungo, quello mai. Uno strazio che avrei sopportato allo stremo, perché sapevo che una connessione con il nostro nemico poteva darmi la possibilità di aiutare gli Imperatori nel contrastarlo. Se fossi riuscita a rubare anche il più piccolo indizio sui piani che stava architettando, sarei corsa a riferirlo a loro, a rischio della mia incolumità. Anche se il mio animo veniva contaminato dai segreti con cui doveva convivere.
    L'invito di Toth a passeggiare in un luogo dove non ci avrebbero disturbato mi mise in allarme. Aveva scoperto qualcosa? Cosa e come era successo? Mi sentivo sempre più una fortezza assediata e circondata, con i muri che si stavano sgretolando. Finsi curiosità, mentre il piacere di passare del tempo con Toth senza dedicarci ad impegni pressanti e pesanti era autentico. Quando intuii che l'argomento non avrebbe riguardato la parte immonda che nascondevo, ma qualcosa che invece pesava sulla sua anima – oh mio Campione, sei così adamantino e generoso che quello di cui ti crucci, al mio confronto, è una piuma meravigliosa vicino ad un grumo nauseante – cercai di abbassare le mie difese e di accogliere le sue confessioni con il cuore aperto e comprensivo.
    Ma non fece in tempo.
    Delle persone irruppero nei giardini: quando riconobbi Selene, capii che ero stata scoperta. Non mi importava né come né perché, ma il mio primo pensiero, egoista, fu che potevo finalmente posare uno dei fardelli più pesanti.
    Tra me e la Principessa non si era mai creata nessun tipo di simpatia e amicizia. Non c'era un motivo preciso, solo eravamo troppo lontane per conoscerci meglio, troppo riservate entrambe per superare diffidenze reciproche. Quello che vedevo nel suo sguardo mi atterriva, e non ebbi il coraggio né la virtù di affrontarla. Era adirata e tesa, ma determinata e implacabile. Capivo che il suo unico motivo era di proteggere l'Impero, che stava svolgendo solo il suo ruolo di Guerriera, e lo accettavo.
    “Horus di Koronis, sei sospettata di complottare contro l'Impero. Ti dichiaro ufficialmente un traditore pericoloso, che sarà giustiziato immediatamente per scongiurare tentativi di fuga e ulteriori complicità con i nemici”
    Il mio cuore era vuoto, sentivo le voci e la coscienza allontanarsi da me, come se volesse dissociarsi dall'accaduto. Tremavo non per la paura della condanna ma per la vergogna di averla causata. Non avevo tradito l'Impero, ma lo avevo certamente messo in pericolo: anche ora, anche in quel preciso momento, il Dio Oscuro avrebbe potuto ascoltare e seguire gli avvenimenti grazie a me. Eppure, incredibilmente, non lo avvertivo. Mi aveva abbandonato, non gli servivo più, quindi. Difficile prevedere i capricci di un dio arrogante e maligno.
    Tenendo il capo eretto, mi alzai dalla panchina, un nodo in gola che mi impediva di parlare anche avessi desiderato farlo. Toth fece un passo avanti, incredulo e furioso.
    “Selene, come puoi accusare una persona senza alcuna prova?”
    “Non ho bisogno di prove, Generale! Anche un semplice sospetto può essere sufficiente, in questo caso!”
    Toth scosse la testa, ostinato. Sentii di amarlo ancora di più per il credito che mi riconosceva anche quando tutto sembrava contro di me.
    “Dalle la possibilità di spiegarsi. Io la conosco, non ci tradirebbe mai. Lo sai, che è sempre stato così!”
    La Principessa lo fissò sbalordita. Non si aspettava una resistenza di questo tipo, anche se proveniva da una persona che era molto legata al colpevole. A me.
    “Non capisci ciò che rischiamo! La Profezia...”
    Lui la interruppe con foga.
    “Non puoi macchiarti del sangue di un'innocente! Non sarà lei che tradirà, secondo la Profezia!”
    “Sì ma... io so chi morirà! Io l'ho visto!!”
    La disperazione e la paura furono chiare nella reazione della Principessa, e questo implicava che la persona che sarebbe morta era a lei cara. Il mio cuore sprofondò nella colpa ancora di più.
    Le guardie si mossero nervose, davanti allo scontro tra lei e il Generale dei Moon Knight. Toth si girò verso di me, perplesso. Capivo il suo disorientamento: stava combattendo da solo contro un'accusa che avrei doluto respingere con forza invece che accettare docilmente.
    “Horus, spiegaci come è possibile che si sia creato un equivoco così orribile”
    Avrei voluto abbracciarlo, fargli scudo con il mio cuore al dolore che stavo per infliggergli, ma ero senza forze. Parlai senza tremare.
    “Non c'è alcun equivoco. Il Dio Oscuro parla davvero con me, da qualche giorno...”
    Mentre lo dicevo, dentro si me si alzò un lamento, uno scongiuro perché mi perdonasse. Avevo sbagliato tutto. Avrei dovuto oppormi al Dio immediatamente, anziché attendere questo epilogo infamante. Il silenzio era pieno di domande a cui mi sentii obbligata di dare una risposta.
    “Mi sta usando contro il mio volere. Sono i suoi occhi e le sue orecchie qui sulla Luna. Potrebbe seguire quello che sta avvenendo ora, se lo volesse”
    Vidi Toth vacillare e stringere i pugni. Non riuscivo a eludere il suo sguardo, per quanto tormentoso fosse assistere al suo dolore. Selene fece un cenno alle guardie. Era meno decisa di quando ci aveva interrotto, forse le parole di Toth avevano toccato le corde del suo cuore. Il mio Campione si girò di scatto verso di lei:
    “Hai sentito cosa ha detto? È stata usata! E' una bersaglio e non un'alleata del nostro nemico. Se credi che il rischio sia troppo grave allontanala dalla Corte, tienila in un luogo dove non possa sapere e vedere nulla di compromettente, ma non ucciderla. Non finché non sarà inevitabile!”
    Selene abbassò gli occhi, combattuta, le labbra strette fino a sbiancarle. Poi tornò a guardare Toth, che perseverò nel tentativo di proteggermi: “Decideranno gli Imperatori, una volta terminata questa guerra, la punizione che le spetta...”
    I due si scrutavano con attenzione, come se fra di loro esistesse un rapporto e una confidenza segreta, che non avevo mai notato prima. Un legame che celava una considerazione molto forte, forgiata con il fuoco di chissà quali esperienze. Sufficiente a instillare il dubbio, o almeno la clemenza, nell'inflessibile Principessa. Diede l'ordine ai soldati che l'avevano scortata: “Prendetela in custodia e portatela immediatamente nella prigione più lontana che abbiamo. Controllatela a vista. Riferitemi ogni più piccolo particolare!”
    Lanciai un'occhiata implorante a Toth per chiederli perdono, ma non ebbi il coraggio di decifrare quello che vidi nei suoi.
    Ecco, amore mio. Vedi quanto sono piccoli i tuoi segreti rispetto ai miei...
    Le guardie mi circondarono e una di loro chiuse intorno al collo il dispositivo inibitore perché non potessi trasformarmi in falco e sfuggire alla cattura. Mi portarono via sotto lo sguardo vigile e accigliato della Principessa Selene.
     
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    Annarita
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    :Thot:
    Cercavo di camminare eretto, esibendo il mio famoso passo marziale. I pugni erano stretti in ferree morse, niente di insolito. Il mento era alto e salutavo con un cenno chiunque incontrassi. Quella mattina mi ero alzato, così come facevo tutte le mattine, mi ero lavato, avevo fatto colazione e mi ero vestito. Tutto nella norma, nulla fuori posto. Nulla. Tranne il fatto che, da quarantasei ore, tredici minuti e qualche secondo, avevo iniziato a morire dentro.
    Camminavo eretto grazie a un’imitazione ben fatta del mio passo marziale, i pugni erano stretti nel tentativo di non crollare, salutavo ma non capivo nemmeno chi fosse il mio interlocutore. Vivevo, ma non lo facevo. Era tutto sospeso, come il mio respiro e il mio battito cardiaco, chiusi in un limbo di incertezza che non avrei potuto ignorare ancora per molto. Quelli che mi circondavano non sembravano minimamente sospettare il mio stato d’animo. Ero un po’ inquieto, certo, quale campione non lo sarebbe stato con il proprio Compagno Alato tacciato di tradimento e prossimo a una condanna capitale? Ma nessuna opinione poteva anche solo avvicinarsi a descrivere la reale condizione di ciò che mi si agitava nel petto, nel cuore, nelle ossa, nella pelle.
    Quella mattina mi ero vestito sì, ma non avevo indossato la mia armatura di Moon Knight e non avevo calpestato il suolo lunare. Mi trovavo su Marte – la terra che avevo imparato a chiamare casa grazie a ricordi non miei, ma che mi aveva accolto con riverenze e onori – con indosso abiti civili e le mie armi fuori ordinanza. Avevo una missione da compiere, ma non era ufficiale, anzi non era nemmeno ufficiosa. Era semplicemente una follia. Ma era così che mi sentivo: da quasi due giorni mi ero trasformato in un dannato folle in cerca di un frammento di pace.
    La mia destinazione era chiara, le stanze private della principessa Iuventas. Sì, avete ben capito, solo un altro folle avrebbe potuto aiutarmi e non conoscevo davvero nessun’altro che avrebbe accettato di farmi da spalla, non in questo momento almeno. Coinvolgerla in una cosa del genere non era giusto, ne ero consapevole, eppure fermare il mio progetto mi pareva ancora più ingiusto. Egoista, ecco cos’ero, un bastardo egoista. Ma come diavolo facevo a essere ragionevole e lucido se a mancarmi era l’aria? Non si vive senz’aria, figurarsi se si può ragionare a mente lucida.
    Bussai piano a una porta dischiusa, pochi rintocchi che annunciarono la mia presenza senza essere invadente.
    “Chi è?!” La voce a metà tra lo scocciato e il perentorio della mia sorellina non mi sorprese. Mi convinsi ancora di più di stare facendo la cosa giusta.
    “Posso entrare? Oppure rischio la decapitazione?” risposi di rimando, senza però aspettarmi ciò che accadde subito dopo. Non ebbi alcuna replica o invito a entrare, vidi solo la porta spalancarsi del tutto e un ciclone formato ragazzina catapultarsi addosso a me. Braccia intrecciate al mio collo, gambe strette ai miei fianchi, viso nascosto nella stoffa del mio cappuccio. “Ehi furbetta, cos’hai da farti perdonare? Quest’accoglienza non è molto normale…!” La imbeccai curioso, ma nel tono una morbidezza che raramente veniva fuori. Mi era mancata tanto, così la strinsi forte per un attimo infinito, prima di rimetterla giù. I lividi giallognoli che decoravano il suo bel volto mi riportarono a pensieri che avevo cercato di accantonare per giorni, a dubbi che non potevo verificare, perché se si fossero trasformati in certezze, allora avrei dovuto agire, prendere provvedimenti, fare qualcosa… e io non ne avevo alcuna intenzione. Lei parve leggere nella mia mente come fosse un libro da sfogliare e si voltò subito di schiena, fingendo di rimettere in ordine alcune cianfrusaglie sparse sul letto a baldacchino. Forse voleva darmi il tempo di metabolizzare o… dimenticare?
    “So quanto stai soffrendo… quando Phobos mi lascia anche solo per qualche ora, mi sento persa e lo stesso con Lockjaw… perciò volevo solo farti sentire la mia vicinanza. Ciò che è successo è terribile…” Mi avvicinai a lei da dietro, la presi per le spalle e la costrinsi a voltarsi verso di me.
    “Sediamoci…” le dissi piano, accompagnando i gesti alle parole. Ci accomodammo sul bordo di un letto maestoso, reso tale anche dal caos di coperte aggrovigliate che lo ricoprivano. Il disordine di Iuventas era proverbiale, ma non era un argomento in cui avevo messo mai becco, ero sempre stato convinto – al di là di quanto asserivano nostra madre e Ares – che all’interno dei propri spazi era concessa la mancanza di disciplina. In fondo, da qualche parte, dovevamo pur essere noi stessi. Ed ero rimasto stupito nello scoprire che anche il “vecchio” me la pensava uguale, dunque, perorare il disordine proverbiale di Iuventas non era stato poi così difficile. Combattere contro le tesi di mamma e Ares, quella sì che era stata un’impresa, ma questa è un’altra storia…
    Le sfiorai una tempia e poi uno zigomo tumefatto. “So che Ares ti ha coinvolta nella sua missione. So che tu non avresti mai detto di no. Come non lo avrei fatto io. Vi amo, vi amo con tutto me stesso e… anche oltre, in un modo che non potete neppure immaginare…”
    “Thot, inizi a farmi paura… vuoi andare al sodo? So quanto tu ci voglia bene e so anche quanto tu ne voglia a Horus…” Gli occhi con cui Iuventas mi fissava mi parvero enormi, molto più adulti di quanto ricordassi. Quando era cresciuta così tanto?
    “Non ti impedirò mai di aiutare nostra sorella, ma una cosa devo chiedertela. Semmai dovessi ravvisare pericoli fuori misura per la vostra incolumità, tu DOVRAI chiamarmi in qualche modo, DOVRETE chiedere aiuto a me e a nessun altro? Mi hai capito bene?” Erano giorni che volevo dirglielo e forse lei lo aveva sempre saputo, ma chiarire certi argomenti era sempre un bene, per tutte le evenienze. Non le avrei mai lasciate in balìa del vento, mai. E la stessa lealtà la dovevo al mio Compagno Alato, assurdo ma vero, non perché la considerassi come una sorella – tutt’altro! – ma perché era annoverata ai primi posti delle persone a me care e per le quali avrei messo a rischio la mia intera esistenza… anzi tutte le mie esistenze.
    Una lacrima solitaria solcò la guancia di Iuventas, ma sparì molto prima di arrivare alla linea della mascella. Non rispose direttamente alle mie parole, ma sapevo che aveva recepito il messaggio.
    “E adesso cosa facciamo?” La fissai stranito. “Sei venuto a chiedermi di portarti da Horus, no? Sai dove la tengono, vero? E non fare quella faccia! La tenuta civile, il permesso di ventiquattr’ore, quello sguardo tanto determinato da far impallidire un esercito, cos’altro potevi avere in mente?” Scossi il capo, incredulo da un lato e divertito dall’altro.
    “Tu sei tutta strana… ma ti voglio bene anche per questo!”
    “No, tu mi vuoi bene perché solo la migliore sorella che si potrebbe mai avere! Mettici anche un potere molto utile nel pacchetto ed ecco la sorella perfetta!” Un gran sorriso stampato sul suo volto puntava a farne spuntare uno anche sul mio, molto più serio. Glielo concessi, anche se non raggiunse le mie iridi, si limitò a incurvare le labbra.
    “E adesso smettila di pavoneggiarti… anche se hai ragione, abbiamo poco tempo. A nessuno è permesso visitare Horus, neppure al sottoscritto, ma Selene è talmente presa dai suoi pensieri che non ha sospettato nulla quando ho chiesto un giorno di libertà. Troppo poco tempo per raggiungere il luogo dove la tengono… se non si tiene conto del potere speciale di una sorella perfetta…” la stuzzicai, riconoscendole un altro breve sorriso. Lei ricambiò con la sua solita luce birichina nello sguardo. Era pronta ad aiutarmi e a sostenermi. Non avevo mai avuto dubbi in merito, ma costatarlo ancora una volta era una piccola benda sul mio cuore fatto a pezzi. Un passo alla volta, un frammento alla volta, speravo di riuscire a ricomporlo prima o poi, ma per farlo avevo bisogno di parlare con Horus, di rivedere il suo viso e sentire quanto aveva da dirmi. Non avevo dubitato un solo attimo della sua buona fede, ma necessitavo di qualcosa di più, forse… forse avremmo potuto trovare una soluzione, insieme... qualche dettaglio che le era sfuggito e che avremmo potuto sfruttare per catturare il nostro nemico. Allontanai il dolore provato nello scoprire che mi aveva mentito, allontanai lo strazio provato quando aveva assentito alle accuse di Selene, allontanai l’immagine di lei che veniva portata via in catene. Non erano pensieri utili in questo momento, avevo detto bene, avevamo poco tempo e lo avrei usato nel migliore dei modi.
     
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    Roberta
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    :Iuventas:
    Finalmente potevo rilassarmi un po’, nella mia camera, lontana dall’ennesima accorata predica di mia madre. Quando mi aveva vista rientrare “dall’allenamento” le era venuto un colpo. Avevo ancora il volto tumefatto e quello non potevo nasconderlo, ma per fortuna non aveva potuto vedere i lividi sparsi per il corpo e avevo in tutti i modi evitato di zoppicare. Le avevo inventato di aver avuto un duello abbastanza impegnativo durante l’addestramento e lei aveva iniziato a riempirmi la testa col fatto che nonostante fossi una Guerriera, ero anche una Principessa di Marte. Che avrei dovuto tenere di più al mio corpo e al mio viso, che non avrei dovuto continuare a comportarmi come un maschio, che avrei dovuto allentare con questi allenamenti che mi “erodevano” il fisico. Ma dove li trovava quei termini? Erodere? Insomma, un sano combattimento mi aiutava a tenermi in forma, ad essere sempre pronta e scattante.
    Mia madre aveva perso le speranze ormai, aveva da sempre desiderato delle figlie “normali”, con le quali condividere pettegolezzi e ciance da donne, ma tra me e Ares, non era stata molto fortunata. Solo dopo parecchi anni e quando ormai eravamo cresciute, si era resa conto che avevamo la guerra nel sangue. Che eravamo marziane fin nel midollo. E il sesso di appartenenza non ci avrebbe fermate dal mettere in pratica le nostre doti di combattenti. Ma ogni volta che ci vedeva un po’ ammaccate, ripartiva con la ramanzina e con gli sproloqui sul buon comportamento di una Principessa.
    Non poteva certo pretendere di avere due figlie eteree e gentili come le donne della Luna. Loro sì che erano delle signore nei modi e aggraziate nel fisico. Noi, al contrario, eravamo solide, con muscoli asciutti e scattanti. Io, in particolare, sebbene non fossi alta e massiccia, potevo ritenermi più che soddisfatta.
    Alla fine ero riuscita a svignarmela e adesso me ne stavo per i fatti miei ad ascoltare musica e riposare. Il mio corpo pur essendo molto rapido nel guarire, non era ancora guarito del tutto.
    Poco prima, tramite Lockjaw, ero riuscita a parlare con Partenope, che mi aveva portato infauste notizie. Ero rimasta di sasso quando mi aveva raccontato di come Horus fosse stata tacciata di tradimento, arrestata e che rischiava la condanna a morte. Mi era mancato il fiato al pensiero della sofferenza che mio fratello Toth stava certamente provando. Mi ero precipitata da lui, dopo aver saputo, ma non lo avevo trovato in camera, né in nessun altro posto. Solo dopo averlo cercato in lungo e in largo mi ero decisa a tornare nella mia camera.
    Ero certa che l’avrei visto presto. Speravo di poter essere in grado di aiutarlo in qualche modo e forse anche lui lo avrebbe capito a breve.
    Neppure il tempo di concludere queste mie riflessioni che udii dei rintocchi alla porta.
    “Eccolo” pensai con il cuore gonfio d’affetto. Non badai alla schiena che scricchiolava un po’ e a una gamba che faceva i capricci, mi sollevai di scatto dal letto e mi lanciai, letteralmente, tra le braccia di mio fratello.
    Affondai il volto nell’incavo del suo collo mentre lo tenevo stretto con le braccia e con le gambe. Avrei voluto infondergli tutta la forza del mondo con quell’abbraccio e fargli capire quanto gli ero vicina e quanto lo amavo.
    Lui, sospettoso di questa reazione fin troppo esuberante, anche per i miei soliti standard, iniziò ad indagare e quando mi mise giù, mi osservò fin troppo attentamente in viso, dove sapevo di avere ancora i segni della mia “scappatella” sulla Terra.
    Mi voltai di scatto, per coprire le prove della mia colpevolezza e tentai di sviare il discorso, parlando a raffica. Sapevo davvero cosa si provava a stare lontani dal proprio Compagno Alato, era come se ci mancasse una parte fondamentale di noi stessi, era come se fossimo tagliati e metà… anche se da un certo periodo a questa parte, contrariamente al rapporto che avevano prima, avevo notato qualcosa di strano. Il mio fiuto aveva captato un atteggiamento diverso di mio fratello nei confronti di Horus, più attento, più vicino e lei, come non aveva mai fatto. Quei due non me la raccontavano giusta, ma non avevo nessuna prova concreta ad avvalorare la tesi che Toth fosse profondamente innamorato di Horus. Non avrei mai potuto dirlo ad alta voce, era qualcosa che non era mai successa: l’amore tra Campione e Compagno Alato era proibito. Quindi, avevo preferito tenere quei pensieri e quelle folli teorie ben rinchiuse nella mia mente diabolica.
    Intanto, Toth si era lanciato in una dissertazione tipica del fratello maggiore. Mi aveva scoperta – era difficile nascondergli qualcosa – stava quasi minacciando di uccidermi lui stesso semmai non mi fossi rivolta a lui in caso di bisogno. Non mi aveva redarguita per quanto avevo fatto, sapeva bene che con me le proibizioni non funzionavano, soprattutto se si trattava di aiutare nostra sorella e poi, eravamo ben cosci del fatto che anche lui avrebbe agito alla stessa maniera. Non avrebbe mai lasciato Ares nel guai. Dunque, parco di ciò, si era raccomandato di rivolgerci a lui qualora avessimo dovuto affrontare qualcosa più grande di noi.
    Io tirai un enorme sospiro di sollievo. Ero più serena sapendo che avevo e avevamo alle nostre spalle il sostegno del nostro fratellone.
    Guardarlo lì, di fronte a me, a preoccuparsi per noi, nonostante l’inferno che stava vivendo nel suo cuore, mi commosse fin nel profondo. Eliminai una piccolissima lacrima dispettosa e mi concentrai su di lui. Adesso toccava a me ricambiare il suo appoggio. Avrei fatto si tutto per regalargli un sorriso, per vederlo felice.
    “E adesso cosa facciamo?” gli chiesi con l’irruenza di un vulcano. “Sei venuto a chiedermi di portarti da Horus, no? Sai dove la tengono, vero? E non fare quella faccia! La tenuta civile, il permesso di ventiquattr’ore, quello sguardo tanto determinato da far impallidire un esercito, cos’altro potevi avere in mente?” Di natura ero molto perspicace, ma per me, lui era come un libro aperto. Mi guardò stralunato. Non era l’unico in grado di scoprire i segreti delle sue sorelle.
    “Tu sei tutta strana… ma ti voglio bene anche per questo!”
    “No, tu mi vuoi bene perché sono la migliore sorella che si potrebbe mai avere! Mettici anche un potere molto utile nel pacchetto ed ecco la sorella perfetta!”
    Diciamo che la modestia non era il mio forte, che mi piaceva sottolineare quanto fossi indispensabile e in quel caso, a parte gli scherzi, mi sembrava che il mio apporto sarebbe stato davvero di vitale importanza. Non credevo che mio fratello avrebbe retto a lungo senza avere notizie della sua Horus, senza poterla vedere e… toccare! Dovevamo trovare una soluzione.
    Nell’ora che seguì, Toth mi diede le dovute istruzioni e informazioni per raggiungere il pianeta-prigione dove tenevano segregato il suo Compagno Alato. E quando mi descrisse le caratteristiche di questo luogo, compresi al volo quale sarebbe dovuto essere il mio ruolo. L’Impero aveva molti luoghi, ai margini del sistema, che utilizzava come ricettacoli per i nemici e per gli scarti della società, che avrebbero solo danneggiato la sua sicurezza e l’incolumità degli suoi sudditi.
    In questo caso, la prigione di Horus si trovava su un pianeta costituito principalmente da un minerale molto particolare, era simile al cristallo ma più grezzo e sfaccettato. La cosa sarebbe potuta essere un problema, in quanto temevo che l’opacità della superficie e la scarsa capacità riflettente avrebbe potuto rendere il passaggio abbastanza rischioso.
    “Toth, in linea di massima, il mio potere dovrebbe funzionare, ma non ti nascondo che potrebbe esserci qualche rischio” gli feci presente. Non volevo che pensasse che sarebbe stato tutto rose e fiori. “C’è il pericolo di restare intrappolati all’interno della roccia. La struttura non è ottimale come lo sarebbe stato uno specchio e quindi potrei riuscire ad entrare, ma potremmo non riuscire a passare oltre, per arrivare dall’altro lato.” tentai di spiegargli. Per incamminarci avrei utilizzato uno comunissimo specchio, ma di là ci saremmo potuti scontrare con un muro fatto di solide molecole mineralizzate.
    “Non voglio neppure prendere in considerazione questa ipotesi, ma se dovesse accadere una cosa simile, non potremmo semplicemente tornare indietro?” mi chiese abbastanza pragmatico.
    “In teoria, tutto è possibile, dipende quanto in là ci spingiamo e a che livello arriviamo prima di incontrare l’ostacolo. Se il problema si verifica mentre siamo al centro del materiale roccioso, sarà difficilissimo tornare, se non impossibile!” Non gli raccontavo tutti questi dettagli per spaventarlo o per dissuaderlo da questa missione folle. Io ero la prima a volerci provare e non mi sarei certo tirata indietro, ma sapevo che lui era abituato ad avere tutto sotto controllo e non conoscere particolari simili, e poi scontrarsi con un problema lo avrebbe solo adirato di più. Preferiva conoscere tutti gli ostacoli e poi decidere il da farsi.
    “Io lo farei anche subito, ma non voglio mettere in pericolo te, Iuventas… per qualcosa che riguarda soltanto me!” affermò con un dolore nella voce così intenso da poterlo sentire nelle ossa, come se fosse mio.
    “Non ho nessuna intenzione di sottrarmi. Piuttosto è molto più rischioso fare questa pazzia in due. Non dovrei preoccuparmi solo di me, ma dovrei stare attenta anche alla tua incolumità. In quel momento, dipenderai dal mio potere e non potrai fare nulla per aiutarmi, anzi, saresti solo un peso!” Le mie parole erano dure quanto vere, non ero il tipo che dispensava carezze per far capire un rischio tanto grande. “Fai andare me da sola. Potrei capire com’è la situazione, vedere se ci sono delle difficoltà e…”
    “E poi vieni a prendermi…” concluse lui senza farmi finire di parlare. Stavo per dire che avrei potuto incontrare io Horus e capire quali fossero le sue condizioni, ma era inutile anche solo formulare questa mia idea, non l’avrebbe mai accettata. Lui, volente o nolente, sarebbe passato dall’altra parte! “Non ti sognare neppure di affrontare tutto da sola, hai capito? Ti lascio fare questo tentativo prima di passare anche io, solo perché non voglio esserti d’intralcio, e perché so che sei nel tuo elemento. Ma appena capisci che la cosa è fattibile, torni indietro e vieni a recuperarmi. Siamo intensi?!” mi disse con tono fermo. Non avrei mai potuto contraddirlo, neppure utilizzando tutte le arti persuasive di cui ero in possesso.
    “Va bene” acconsentii anche se di malavoglia. “Adesso chiudi la porta a chiave e poi mettiti lì, seduto e buono, e fammi lavorare!”
    Dopo che diedi istruzioni, mi avvicinai all’enorme specchio che avevo in camera, contornato da una cornice di oro massiccio. Era alto e imponente ed era perfetto per il nostro scopo. Ora, dovevo solo cercare di capire cosa avrei trovato dall’altra parte.
    Come primo passo, visualizzai nella mia mente il luogo che dovevamo raggiungere. Lo avevo visto solo una volta in tutta la mia vita, ma solo il pronunciarne mentalmente il nome, mi consentii di raffigurarlo nello specchio di fronte a me.
    Ordinai al mio potere di scorrere nelle vene e di attivarsi. Alzai una mano e sfiorai la superficie levigata dello specchio, questa cedette sotto mio comando e percepii il mio corpo smaterializzarsi man mano e vi entrava. Come sempre, un leggero e familiare formicolio mi attraversò e mi ritrovai al di là. Senza riflettere troppo, avanzai in quel limbo breve e oscuro fino a che non mi sentii avvinghiare le gambe e il busto da una sostanza vischiosa, era densa e mi impediva di camminare con fluidità. Arrancavo, mentre quella strana melma si arrampicava fino al collo. Sapevo bene di cosa si trattava… di solito trovavo un muro invalicabile a sbarrarmi la strada, quando non incontravo superfici riflettenti a consentirmi il passaggio, ma il fatto che ci fosse quella strana sostanza, mi convinse che l’impresa non era facile, ma neppure impossibile. Allora rafforzai la mia volontà e spinsi con tutte le mie forze per liberare le gambe da quelle scure sabbie mobili e all’improvviso mi ritrovai quasi catapultata dall’altra parte. Avevo incrementato il mio potete, tanto da darmi una bella spinta. Ce l’avevo fatta.
    Guardai alle mie spalle e notai che ero venuta fuori da un enorme stalagmite multisfaccettato e opaco. Compresi, allora, il motivo di tanta difficoltà nel passaggio. Mi mossi con cautela e qualcosa di più “adatto” attirò la mia attenzione: un’alta parete rocciosa era costituita dello stesso minerale che ricopriva l’intero pianeta, ma questa era perfettamente levigata e quindi “l’effetto specchio” era molto più evidente. Decisi allora di usarla come punto di approdo per passare più agevolmente da una parte all’altra.
    Dopo pochi minuti, ero di nuovo nel medesimo posto e tenevo per mano mio fratello Toth.
    “Ma è stato… facile…” disse sorpreso. Di certo, si era aspettato chissà quali peripezie. Io le sorrisi beffarda e lo canzonai con uno dei miei sguardi mooolto modesti.
    “Hai o non hai una sorella super perfetta?!” ribadii il concetto con fare saccente. Poi lo abbracciai forte… il tempo dell’ironia era terminato, avevamo una missione da portare a termine e io potevo solo immaginare il groviglio di emozioni che stava affrontando mio fratello. Lo percepivo dalla rigidità delle sue spalle e dal ricorrente vizio di artigliarsi il labbro inferiore con i denti.
    “Sii forte! Io sarò al tuo fianco…!” gli dissi semplicemente.
    Ci incamminammo verso le prigioni che erano fatte dello stesso materiale semiriflettente. Non vi erano strutture imponenti ma solo varie nicchie, come delle grotte direttamente ricavate nella roccia.
    Senza neppure rendermene conto, mi trovai d’innanzi a una di queste cavità ad osservare una persona che mi pareva familiare, ma che dell’aspetto che io conoscevo era rimasto poco. Notai Horus rannicchiata in un angolo della cella, con le ginocchia portate al petto. I capelli corvini avevano perso la loro lucentezza e cadevano flosci sulle spalle, la pelle era pallida nonostante la sua naturale colorazione scura, e mi parve infinitamente triste, afflitta. Quando si rese conto della mia presenza, io non avevo ancora detto una parola, scioccata da quella visione, ma un guizzo nel suo sguardo mi riportò alla realtà. Era sempre lei. Stanca, denutrita, ma l’essenza di Horus era ancora lì, forte e vigile. “Oddio, Horus… no!” Il mio tono era basso e rasentava quasi la disperazione, ma mi trattenni dal dimostrare le emozioni che mi sconvolgevano fin nel profondo.
    “Thot, vieni qui, presto!” urlai esagitata. Lui si era allontanato per ispezionare un altro settore della prigione, ma mi raggiunse alla velocità della luce. E in quel preciso attimo il tempo si fermò. Mi sembrò di essere rimasta imprigionata in una bolla, nel momento in cui gli occhi di mio fratello si posarono sul volto smunto e fragile del suo Compagno Alato, della sua Horus. Allora mi sentii come un’intrusa che spia l’intimità di due amanti.
    Mi affrettai a “trasportare” Thot all’interno della cella, di cui le sbarre erano di minerale riflettente, per dargli la possibilità di parlare e stare il più vicini possibile. Poi, fuggii come una ladra, per prendere una boccata d’aria, per allontanarmi dall’aura di immenso dolore che quei due, insieme, emanavano come se fossero un unico essere.
    Sentivo che avevano il diritto di vivere quell’immane sofferenza, che era soltanto loro, senza occhi indiscreti ad osservarli. Solo dopo mi sarei avvicinata, pronta a raccogliere i cocci delle loro anime, che percepivo fragili come stalattiti di fine cristallo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 29/8/2020, 23:02
     
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    Non provavo per me la minima commiserazione. Non avevo lacrime da spendere per il destino che mi era capitato. Neanche in quella cella striminzita, fredda, oscura. Non mi rattristavo per essere stata coinvolta in eventi che avevano decretato la mia condizione, i miei sentimenti.
    Tutta la mia vita era stata costellata da queste limitazioni, avevo combattuto per piegarle al mio volere, per cambiarle in mio favore. Ero una combattente, e non prevedevo la clemenza per me stessa.
    Oltre a fattori esterni, la mia situazione attuale derivava anche dai numerosi errori che avevo commesso. Non ero una vittima degli eventi, ero solo una sciocca che non aveva agito con buon senso e prudenza, ma arroganza e ottusità.
    Era per questo che non mi ero ribellata davanti alle accuse della Principessa, né a tutto quello che ne conseguiva. Il mio Campione si era battuto per me, e io non potevo neanche confessargli quanto il suo coraggio rimanesse l'unica luce nelle tenebre che ormai mi avvolgevano.
    Il tempo scorreva immutato, nella prigione. Né lento, né veloce. Attendevo, non sapevo neanche cosa.
    Il corpo si stava ribellando al mio controllo. Aveva cominciato a rigettare il cibo che mi portavano. La mia gola si chiudeva e non riuscivo a mandar giù neanche le briciole, perciò avevo rinunciato del tutto. Le mie energie vitali stavano calando lentamente, come se avessi un'emorragia nascosta che poco alla volta mi stava togliendo ogni forza, ogni speranza. Non si trattava però del digiuno forzato a cui ero costretta: sentivo che era il Dio Oscuro a risucchiarmi le energie. Non si era più manifestato, non avevo più udito la sua voce terrificante. In tutta onestà, come avrei potuto essergli utile, allontanata dal suo punto di interesse? Provavo un'amara soddisfazione in tutto questo, anche se, come immaginavo, si stava vendicando su di me in questo modo.
    Possedevo ancora qualche speranza, perché come avevo detto, ero arrogante: speravo che il Dio si mostrasse a me, un'ultima volta. A quel punto, avrei fatto in ogni modo per rubargli informazioni, come era sempre stato il mio obiettivo. Attendevo, perciò.
    Quello che non mi sarei mai aspettata era la comparsa di visi amici; Selene aveva proibito a tutti qualsiasi contatto con la traditrice. Quando alzai gli occhi sulla persona che si era fermata davanti alla mia cella, vidi l'espressione sconvolta di Iuventas. Stavo davvero così male? Lo stomaco mi si rivoltò, e fu un bene che fosse vuoto. Toth era qui con lei!
    Dove mi sarei potuta nascondere dalla sua tristezza, dal dolore che gli stavo causando? Mi alzai in piedi, anche se dovetti combattere con un tremendo giramento di testa. Non volevo la sua commiserazione, non la meritavo. Avrei voluto altro, da lui, se le nostre vite fossero state diverse.
    Grazie ai poteri di Iuventas, che ci lasciò soli subito dopo, entrò nella cella.
    Non riuscivo quasi a sostenere la valanga di emozioni che provavo, il peso era quasi insostenibile perché conteneva troppi sbagli, segreti, delusioni... amore.
    Toth si avvicinò a me d'impeto, i suoi modi esprimevano preoccupazione e niente altro. Ne ero stupita e quasi sollevata, ma questo non avrebbe significato nulla, non avrebbe risolto nulla. Mi prese il viso tra le mani per osservarmi meglio.
    “Per tutti gli dèi, come ti hanno ridotta? Ti hanno fatto del male?”
    Misi le mani sopra i suoi polsi, allontanandoli con fermezza e dolcezza. Le mie resistenze erano prossime a cedere, non sarei riuscita a mantenere il controllo delle mie azioni se avessi dovuto anche combattere contro la sua preoccupazione e i sentimenti che destava in me. Tentai di deviarli, e usai un tono freddo e inflessibile.
    "Cosa fai qui? Devi andartene o ti accuseranno di volermi aiutare!"
    Reagì al mio rimprovero come se lo avessi colpito. Abbassò le braccia e si allontanò di due passi. Ignorai il senso di vuoto che provavo.
    "Nessuno sa che sono qui e non mi sembra la cosa importante adesso"
    "Invece lo è! Non voglio crearti altri problemi!" Come faceva a non capire che lo stavo facendo solo per proteggerlo? Che il suo attaccamento per me era insensato e dannoso per il suo futuro?
    "I problemi me li crea il tuo silenzio..."
    La sua replica fu piccata, il suo tono freddo come una lama. Lo stavo ferendo ancora e ancora, quando avrei finito di farlo? Mi umettai le labbra tremanti, sempre più esausta e disperata. Dovevo essere brutale con lui, perché mi rendevo conto che da solo non riusciva a decidere il meglio per lui.
    "Ti ho tradito. Ti ho umiliato come Moon Knight e come Marziano. Dovresti ripudiarmi e dimenticarmi, non venirmi a cercare quando ti è vietato!"
    La sua voce si ammorbidì, accalorandosi. La disponibilità e la fiducia che si ostinava a concedermi peggioravano solo le cose.
    "So che c'è una ragione per tutto questo. Non lo avresti fatto deliberatamente per pugnalarmi alle spalle. Lo so. Lo sento"
    "Non lo avrei fatto, è vero. Ma questo non cambia le cose. Il Dio ha scelto me, e forse ha visto qualcosa che nessuno ha notato..."
    "Sei forse un genio del male? Ho vissuto per anni accanto a qualcuno che non conosco? Non posso crederci..." Una risata breve, bassa e priva di allegria. "So giudicare le persone, su questo non dubitare"
    Abbassai lo sguardo, scuotendo il capo lentamente. Non voleva credermi, quando cercavo di allontanarlo da me prima che scoprisse davvero quanto biasimo meritavo. Ero così stanca nel farlo.
    "Non negarmi la tua voce. Dimmi perché lo hai fatto... perché non me ne hai parlato. Lo sai che non ti avrei mai denunciata, al contrario, insieme avremmo potuto trovare un modo di portare tutto a nostro vantaggio..."
    Perché era così cocciuto? Cosa avrei dovuto fare ancora per mandarlo via? Ogni secondo che passava aumentava la probabilità che le guardie lo scoprissero, e non solo. Lo sentivo come un brivido dietro la nuca. Stava per succedere qualcosa. Sfogai la mia preoccupazione con ira.
    "Cosa avrei dovuto dirti? Che il Dio Oscuro mi considera una sua pedina? Non potevo! Si è assicurato il mio silenzio, e se anche avessi potuto, non ti avrei trascinato in questo incubo..." Mi interruppe bruscamente.
    "Sì, avresti dovuto invece. Avresti dovuto confidarmi subito cosa ti stava capitando... perché così facendo hai rinnegato tutto ciò che ci siamo detti. E non è da te" Sembrava esasperato e frustrato nella stessa misura in cui lo ero io. Lo stavo sfidando con la mia insistenza a non volermi far aiutare. Si strofinò il viso con le mani. "Come, com'è riuscito ad assicurarsi il tuo silenzio? Come è riuscito a cancellare tutta la fiducia che avevi in me?"
    Ora ero io ricevere un colpo al viso. Ora ero io ad essere ferita dalla sua amarezza. Mi sentii intrappolata e adirata, circondata dai miei segreti, dalle minacce del Dio Oscuro, dalle accuse ingiuste di Toth.
    "Io ho fiducia in te! Nessuno potrà mai privarmene, nemmeno il Dio Oscuro... Sono io che non la merito... Ho fatto degli sbagli, in passato, e lui li ha scoperti!"
    "Tutti noi abbiamo fatto errori, Horus. Tutti noi abbiamo dei segreti che vorremmo non portare mai alla luce. Io però non ti avrei mai giudicato... non so cosa avrebbe fatto l'altro Thot, ma io sarei stato l'ultimo a farlo... e adesso, non guardarmi così, sento che abbiamo davvero poco tempo e non capisco neppure il perché... ma vuoi dirmi cos'è che ti tormenta? Ti imploro... non tagliarmi fuori, non trattarmi come un estraneo, non sono un tuo nemico..."
    Mentre parlava, si era avvicinato di nuovo all'angolo in cui mi trovato, anche se non arrivando a toccarmi. Lo guardai a lungo, combattuta. La mia vergogna divorava il cuore e risaliva lungo la gola. No, non era sicuramente lui il mio nemico. Anzi, sarebbe stata l'unica persona fidata a cui rivolgermi, se non avessi avuto più a cuore il suo benessere piuttosto che il mio.
    "Ho mentito a tutti. Non sono degna del ruolo di Compagno Alato, perché ho nascosto le mie origini. Non mi vergogno di chi mi ha fatto nascere e crescere, ma delle menzogne che ho raccontato per seguire il mio sogno"
    "Vuoi dire che non sei nata su Koronis?"
    Tremai. Il muro stava per crollare. Sarebbero rimaste solo macerie, ma oramai tutto questo era inevitabile. La voce tentennò, mentre torturavo le mani. Dovevo fare un enorme sforzo per controllarmi, e anche così, sapevo che lui notava tutta l'angoscia di cui ero preda.
    "No. Sono nata e cresciuta sul pianeta Terra, dove mia madre si era rifugiata dopo essere stata ripudiata dai governanti. E io, come figlia di una reietta, per essere accettata all'Accademia ho dovuto mentire. Ho portato disonore sulla mia gente, su di me... e sul mio Campione!"
    Mi fermai, sconvolta. La mia anima stava per spezzarsi. Resistetti al bisogno di confessargli tutto, tutto. Le paure, riguardo ai miei sentimenti per lui, erano ancora più numerose delle stelle in cielo.
    "So cosa ti aspetti da me, adesso. Dovrei urlare allo scandalo, strapparmi magari i capelli, ripudiarti per tutta la vita che ci resta. Ma non lo farò. Il come sei diventata un Compagno Alato non ha importanza per me. Valgono di più il valore, la dedizione, la lealtà, il sacrificio che hai sempre dimostrato in battaglia e al mio fianco" Sembrava un fiume in piena, sincero e animoso, l'amore per lui mi travolse facendo battere ancora più forte il mio cuore. L'anima era divisa distintamente tra luce e oscurità, tra rapimento e disperazione, ma... "Capisco però che tutti gli altri non lo avrebbero accettato a cuor leggero... forse neppure il vecchio me. Ma la menzogna porta ad altre menzogne..."
    Mentre parlava, si sporse lievemente, le braccia aperte come a sottolineare le sue parole. Mi guardò penetrante, e in quel momento, una luce di comprensione illuminò i suoi occhi. E sentii il panico che andava fuori controllo.
    "C'è dell'altro, vero?"
    "NO!" Fu quasi un urlo, ma tutto in me mi sbugiardava. Il suo sguardo era pieno di accettazione, disponibilità e nonostante il pericolo, riuscì a scaldare il mio corpo intirizzito e fragile.
    "Anche io ti ho mentito, stavo cercando di dirtelo giusto prima che Sel... la Principessa ci interrompesse. Non so spiegarti nel dettaglio cosa sia accaduto, ma da qualche mese mi sono risvegliato qui, in un mondo nuovo, in una routine diversa, con accanto persone che conoscevo sotto altri aspetti" Era concentrato e teso, sceglieva con cura le parole, anche se inizialmente quello che dice non aveva nessun senso per me.
    "Arrivo da un'altra realtà, ma ho gli stessi ricordi del Thot che ti conosce da una vita intera. Hai notato la differenza, ne sono certo, sai anche tu che c'è stato un cambiamento notevole anche nei nostri rapporti... questa è la ragione"
    Continuavo a non capire. Volevo urlare, sentivo che ero prossima al crollo. Strinsi le mani fino a che il dolore che mi procurai mi salvò dalla follia in cui venni scaraventata. Cosa stava dicendo? Che lui non era la persona che amavo? Mi aggrappai al dubbio, all'idea che avessi capito male le sue parole, che intendesse qualcosa di diverso.
    "Vuoi dire che non sei il mio... Campione? Lui dove è? Cosa gli è successo?"
    "In un certo senso no, non lo sono. Lui è dentro di me, lo sento forte e chiaro. La sua coscienza lotta spesso con la mia e questo genera... quei malesseri di cui non potevo spiegarti l'origine. Ho i suoi ricordi, ma ho anche i miei: su di te, sulla mia famiglia, sul mio passato..."
    No. Avevo capito correttamente. Era troppo convinto, e ci trovavamo in un luogo orribile, altrimenti avrei pensato ad uno scherzo. Invece, no. Avevo davanti un estraneo, e il mio Toth chissà cosa stava subendo... non importava che questo sconosciuto volesse rassicurarmi, non ci sarebbe riuscito. Provai orrore e paura. E tristezza. Mi buttai su di lui, lo colpii al petto, spingendolo. Volevo farlo cadere, calpestarlo, ferirlo. Lo detestavo e ne ero inorridita.
    "Come hai osato nascondermi tutto questo? Fingerti chi non eri? Ingannare chiunque e rubarmi il mio..."
    Mi mancarono le parole, e anche le forze. La rabbia le aveva consumate quasi tutte, non ne rimanevano altre per impedire alle lacrime di scendere e alla nuova, tremenda verità di impossessarsi della mia mente, di mischiarsi con i miei segreti, i miei timori, le mie colpe. Tutto confluiva in un unico pozzo di sofferenza, da cui mi sentivo sommergere. E non desideravo altro che arrendermi.
    "Tutto è menzogna, la creiamo noi. Siamo degli impostori..."
    Piangevo e singhiozzavo senza freni. Dove era la Horus fiera e combattiva, che traeva forza dal suo orgoglio e dalle sue certezze? Non esisteva più, tutto si era polverizzato, era diventato nero. Non possedevo più nulla, ero nuda, terrorizzata, devastata. Sentii il suo abbraccio stringermi, per impedirmi di scivolare a terra, e forse ebbe anche il potere di non farmi perdere irrimediabilmente. Pensai di aver raggiunto il fondo del pozzo, ma non avrei potuto sbagliarmi di più. La voce di Toth mi arrivò gentile e paziente attraverso l'oscurità, ma non portò luce, semmai il contrario.
    "Continui ad amarlo? Anche se si è comportato da stronzo? Se ha sciupato i sentimenti puri che provavi per lui?" C'era incredulità nel suo tono. "Mi dispiace... anche se potessi, non credo che lo ripoterei indietro. Sono troppo egoista. Hai visto? Chi è tra i due il peggior traditore, adesso?"
    Nonostante il suo dolore fosse chiaramente visibile, non mi commosse, perché le sue parole furono scudisciate che mi colpirono a tradimento, lacerando la mia anima e risvegliandomi dal torpore nel quale stavo sprofondando. La parte di me che era radicata e attaccata alle leggi che regolavano la mia vita si riaccese. Alzai di scatto la testa e lo fulminai con lo sguardo. Raccolsi la forza di liberarmi dalle sue braccia, di allontanarmi da lui.
    "Io non amo il mio Campione! Non può esistere amore in un rapporto sacro come il nostro, è blasfemia! Sei davvero chi dici di essere, perché le tue insinuazioni sono orribili!"
    "Continui a mentire, sembra un vortice. Chi dice che un Compagno Alato non possa amare il proprio Campione... o viceversa? L'amore non può essere una blasfemia, i tuoi tentativi di nascondere ciò che provi... questo sì che è dissacrante... E sì, sono chi dico di essere, non mi nascondo dietro apparenze e tradizioni, cerco di vivere ciò che sento..."
    Lasciò ricadere pesantemente le braccia lungo i fianchi. Sembrò sconfitto.
    "Non puoi capire. E' una macchia infamante, mai nessuno ha commesso un errore così grande come questo. Chiedilo al mio Toth, dato che dici di conoscere i suoi pensieri. Non siamo liberi... non lo siamo..."
    Mi appoggiai al muro scabro della cella, scivolando a terra. I brividi aumentarono, e le energie che avevo appena trovato si dissolsero come fumo nel vento. L'ombra che avvertivo da giorni si stava avvicinando, anche se solo io potevo avvertirla. Lui si inginocchiò di fronte a me, i pugni stretti per contenere i suoi sentimenti. Aveva lo sguardo cupo ma vigile, la ruga sulla fronte di quando si concentrava. Era così uguale eppure così diverso dal mio Campione, ora che lo sapevo pareva impossibile non accorgersene. Parlò con un tono lento e controllato.
    "E' per questo che ti ha... lasciata andare. Sapeva che non avreste potuto vivere nulla di ciò che provavate, non senza creare problemi a te... avresti rischiato persino la morte"
    “Che cosa...” Le lacrime tornano ad appannarmi la vista. Feci fatica a comprendere quello che mi aveva appena confessato. Era lo sconosciuto a parlarmi, ma ero certa che parlasse a nome del mio Campione. Troppo brutale la verità, la visione che mi stava fornendo del nostro passato. Sentivo il cuore pronto a lacerarsi, nel modo più doloroso possibile.
    Pensavo di soffrire solo io, mentre adesso, scoprivo il dolore che ci aveva accomunati per tanto tempo. Che entrambi avevamo nascosto e trasformato in un rapporto orribile, pieno di spine e angoli affilati. L'amore si era trasformato in una bestia meschina, cieca, insensibile, che ci aveva portato fuori dalla strada nobile e onorevole che avremmo dovuto percorrere, quella che avevamo scelto prima che il destino ci unisse.
    In mezzo all'infelicità e al rimpianto, rimaneva solo il diamante splendente della scelta compiuta dal mio Campione, di rinunciare alla felicità per salvarmi. Sorrisi in mezzo alle lacrime. Ero perduta, indegna, bugiarda. Solo l'amore per lui mi salvava, anche se quello stesso sentimento mi rendeva una criminale ancora più ripugnante. Non aveva importanza. Stavo per espiare le mie colpe, in una maniera o nell'altra. Non avevo paura, non più.
    Mi rialzai da terra, con fatica. Le mie mani scivolavano sulla pietra, ma non accettai l'aiuto che l'altro mi porgeva. Non volevo farmi toccare. Presi un respiro profondo.
    Mi girai verso il punto in cui avvertivo la presenza abominevole del Dio. Anche l'altro Toth si girò, incuriosito. Riusciva a vedere quello che stava formandosi, talmente immenso che non avevo idea di come la cella così piccola riuscisse a contenerlo?
    Era solo una parvenza di forma, ma ora avvertivo la sua coscienza senza filtri, i suoi pensieri risoluti pieni di esultanza, gioia, vendetta e sete di distruzione.
    “Lui è qui...” sussurrai sgomenta.
     
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    Annarita
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    Quella mattina, quando mi ero alzato, avevo percorso la strada verso la camera di Iuventas e le avevo chiesto aiuto, mai avrei immaginato che il mio tentativo di chiarire con Horus si sarebbe trasformato in qualcosa del genere: un dialogo fatto non di parole ma di lame affilate, che tagliavano in profondità, lacerando la pelle, i muscoli, fino a raschiare l’osso sottostante. Ecco come mi sentivo: ferito fino al bianco delle ossa, senza più sangue da versare e spargere.
    Stava succedendo tutto troppo in fretta, stavo perdendo il controllo e avevo la netta sensazione che questa volta sarebbe stato per sempre, per qualcosa di fin troppo definitivo.
    Horus. La mia fiera Horus si era trasformata in un guscio fragile, in uno spettro vibrante di paure e dolore; aveva dato tutto ciò che possedeva per mantenere intatta la sua dignità e proteggere… il suo Campione. Sì, aveva mentito. Sì, aveva messo in pericolo un intero Impero. Tuttavia, sarebbe stata disposta anche ad andare oltre, sacrificando la sua vita pur di non coinvolgere ed esporre al pericolo… il suo Campione. Lo amava, anche se si ostinava a negarlo. Amava il suo Campione. Non me. Ecco il punto, ecco il pugnale più affilato, ecco il filo avvelenato che stava mandando in cancrena ogni barlume di razionalità. Horus non era stata mai mia… e non lo sarebbe mai stata. Il pensiero dei suoi occhi colmi di ribrezzo e delusione mi avrebbe accompagnato per sempre, togliendomi il sonno e tutte le speranze… amava lui e non avrebbe mai potuto amare me. Quanto spazio c’era in un cuore puro? Quanto spazio per un sentimento proibito e totalizzante?
    Sentivo la mia anima ripiegarsi su se stessa, aspettandomi quasi che il vecchio Thot esultasse, si prendesse gioco di me e della mia folle speranza, riprendendosi le sue stupide rivincite. Ma nulla di tutto ciò accadde. Dopo avermi sussurrato quella terribile verità era tornato silenzioso, percepivo un vuoto immenso dentro di me. Persino la “lotta” con lui aveva perso mordente… avevo appena scoperto che non era il bastardo egoista che mi ero sempre prefigurato e questo non giocava affatto a mio favore, dannazione! Ma come aveva fatto a nascondermi le sue reali intenzioni? Le aveva forse nascoste a sua volta a una profondità tale da averle obliate? Non capivo e forse non ci sarei mai riuscito. Ma non aveva più importanza… i pugni stretti in grembo divennero di acciaio per la forza con cui li serrai, ma non potevo oppormi. Horus aveva mostrato chiaramente tutta la sua ripugnanza nei miei riguardi, anche essere toccata da me la disgustava! Ancora, però, non potevo immaginare che il dolore che sentivo al cuore non sarebbe stato nulla al confronto di ciò che avrei provato in seguito…
    “Lui è qui…”
    Entrambi guardavamo sgomenti in un’unica direzione. Un buco nero fumo stava pian piano prendendo forma e consistenza. Sempre più potente, quell’energia oscura come l’abisso si espanse fino a non poter essere più contenuta dalle sbarre della cella, le quali esplosero verso l’esterno in centinaia di frammenti. D’istinto, mi mossi a scudo di Horus, addossata alla parete cercava di reggersi in piedi senza sfiorarmi o accettare la mia protezione. Forse, se avesse avuto le forze, mi avrebbe scagliato lontano mille miglia.
    Lame affilate nella carne, eccole di nuovo.
    Respirai a fondo e scacciai il dolore. C’era una minaccia ben più grave da affrontare, adesso. Il Dio Oscuro si stava materializzando di fronte ai nostri occhi, i miei increduli, quelli Horus molto meno.
    Un vortice di vento, detriti e polvere ci avvolse con una violenza inaudita, trascinandoci verso il costone di roccia, mentre una risata sinistra e metallica mi faceva sanguinare i timpani. Avrei voluto coprirmi le orecchie con le mani per proteggermi, ma non lo feci, ero troppo impegnato a cercare Horus e a stringerla a me. Era così fragile e indifesa che temevo sarebbe stata trascinata via… La cercai a tentoni con una mano, non riuscivo ad alzare le palpebre senza che della polvere ci finisse dentro facendoli bruciare. Trovai un suo polso e con un movimento quasi disperato la portai verso il mio cuore. Le mie braccia la tenevano ben salda e non l’avrei lasciata andare neppure se si fosse dimenata per liberarsi dal mio tocco disgustoso, dalle mie bugie. Ero pronto a lottare fino alla fine…
    In un primo momento, ebbi quasi la sensazione che stesse ricambiando quello strano abbraccio, come se si fosse aggrappata ai miei vestiti, allo stremo delle forze. Ma poi la sensazione cambiò, divenne più macabra, più sconcertante. Il suo corpo perse rigidità, la sentii afflosciarsi come se fosse fatta di petali e non di carne e ossa. La guardai sgomento mentre il suo capo si piegava all’indietro e il suo peso – benché esiguo – ricadeva sulle mie braccia, pareva che la spina dorsale avesse perso consistenza e l’avesse fatta quasi accartocciare su stessa in un movimento spaventosamente fluido. Non capivo cosa stesse accadendo… ma la mia Horus pareva un baccello vuoto, dagli occhi grandi e la bocca serrata in un muto urlo di dolore. Mi inginocchiai, senza lasciarla andare, adesso il suo viso tra le mani e la consapevolezza di averla persa per l’ennesima volta in agguato… La scossi, la chiamai, la vidi alzare stancamente le palpebre ma le sue iridi, di solito nere come la notte, adesso erano chiare e opache, forse non riusciva neppure a vedermi. Osservai le sue labbra, un tempo piene e vitali, desiderose di pronunciare qualche parola… Mi avvicinai repentino, per ascoltare meglio e agevolarla, ma arrivò un solo soffio, talmente sottile da assomigliare al respiro di un angelo.
    “Perdonatemi…” Ma gli angeli non chiedevano perdono.
    Non sapevo in quanti pezzi si potesse rompere un cuore, credevo di averli raggiunti tutti, ma mi sbagliavo. La risata metallica tornò a torturare la mia mente, il vento a soffiare ancora più forte, il terreno a tremare, i costoni di minerale semiriflettente a sbriciolarsi. Mi sentii sollevare in aria di colpo, ma non lasciai andare Horus neppure in quel frangente. L’avevo artigliata a me, forse rischiando di ucciderla davvero, visto che mi ritrovai scaraventato con violenza contro il costone ondeggiante. La schiena scricchiolò in maniera sinistra e sentii potente la mancanza della mia armatura da Moon Knight. Il tempo di riprendere un po’ di lucidità tra le pieghe del dolore e mi accorsi che Horus non era più con me… l’avevo fatta cadere? No… un mulinello insidioso l’aveva trascinata via, portandola al centro della voragine oscura che col tempo era diventata immensa. Fu allora che vidi il Dio Oscuro per la prima volta, nella sua forma originale, venne letteralmente fuori da quell’oceano di pece nello stesso istante in cui la mia Horus veniva risucchiata all’interno. Compresi ciò che stava accedendo e misi a tacere la certezza che forse era troppo tardi. Mi alzai in piedi, sfoderai la mia spada da Medjay e mi lanciai in avanti, verso di lei, verso quel corpo che stavo vedendo sparire attimo dopo attimo. Avrei voluto afferrarne le dita, ma arrivai solo a sfiorarle, prima che un nuovo tumulto di forza mi colpisse in pieno petto e mi trascinasse lontano… troppo lontano… Non mi arresi, nonostante le mie ossa urlassero pietà, ritornai ad avanzare, ignorando la voce bastarda del Dio che mi scherniva, giocando a un rimpiattino grottesco con i nostri corpi e le nostre anime, fino a quando non fu del tutto fuori dal portale e Horus sparì al suo interno, tra onde di energia e abisso. Infine, anche quello scomparve così com’era apparso.
    L’avevo persa, l’avevo persa, ancora. Tentai di cavare un po’ di fiato dal mio torace ansante, volevo urlare, ne avevo un disperato bisogno, ma fu come gettare la lenza in un lago arido. Il nulla, trovai solo ed esclusivamente il nulla.
    Il silenzio che mi investì era innaturale, un po’ come la quiete prima della tempesta. Ero riverso sul terreno smosso, respiravo a grandi boccate, in debito d’aria, mi accorsi di essere ancora vivo solo perché notai la presenza di Iuventas al mio fianco. Quando era arrivata? Perché non sentivo cosa diceva? Provai a leggere le sue labbra, ma ero confuso, non recepivo alcun suono e vedevo doppio. Perciò non risposi a mute domande, non era ancora finita.
    “Sono libero! Terra, aria, odori… posso sentirli di nuovo! Posso respirare di nuovo! Vi ho battuto!” Una voce tonante esplose, facendo di nuovo tremare il terreno. Non ero certo di averlo udito davvero, forse era ancora nella mia testa, perché udivo solo quella e null’altro. Ma non aveva importanza. Scansai Iuventas, dovevo rimettermi in piedi, dovevo sapere, dovevo distruggerlo.
    “Dov’è?!” La mia domanda era scontata forse, ma fondamentale per la mia sanità mentale. Uscì con un tono che non riconobbi, ebbi quasi il dubbio potesse essere davvero il mio. Anche questo, però, non aveva importanza. “Dov’è Horus?!” questa volta urlai, urlai con tutto il fiato che mi rimaneva e racimolandone dell’altro da chissà qualche cavità nascosta.
    “Come Atlante che non poteva posare il Cielo fin tanto che un altro non avesse preso il suo posto, Horus ha preso il mio nella prigione eterna in cui mi trovavo. È stato così facile far leva sulle sue debolezze, voleva fare solo la cosa giusta, ma proprio per questo è caduta nella mia trappola!”
    Il Dio Oscuro era immenso e pareva gongolare della sua vittoria. Le sue parole erano arrivate come stiletti, continuando a farmi a pezzi dentro, ma senza togliermi l’ultimo barlume di speranza. Non era morta. Era in una prigione, ma non era morta.
    “Come posso riportarla indietro?!” mi accorsi di urlare ancora solo perché scoppiai a tossire in maniera convulsa. La gola era riarsa, ma la mia volontà mi teneva ancora in piedi e… forse… anche l’abbraccio di Iuventas. Era ancora con me, in tensione, il suo viso era inondato di lacrime. Lacrime che venivano fuori da occhi colmi di odio e disprezzo. Occhi rivolti verso il Dio Oscuro.
    “Non puoi. Horus non tornerà mai più indietro.”
    “Ripeto: come faccio a liberarla?!” Non mi era piaciuta la sua risposta e ne pretendevo una diversa. Semplice.
    “Sei ostinato, marziano, lo devo ammettere. Ma né tu, né nessun altro potrà fare nulla per salvarla. Soffrirà in un vuoto infinito per tutta l'eternità. E ricorda, Horus altro non è che l'ennesima vittima dell’egocentrismo degli Eterni!”
    No, non potevo accettarlo, no. Guardai Iuventas, comunicandole con lo sguardo le mie intenzioni, perché non avevo più parole. L’avrei distrutto, l’avrei costretto a ridarmi la mia Horus, l’avrei fatto pentire di essere uscito da quel buco schifoso in cui meritava di stare. Iuventas colse il mio piglio battagliero, anche se in questo caso assomigliava più a una specie di istinto suicida, ma non mi fermò. Anche lei sapeva che non l’avrebbe avuta vinta e, forse, era animata dalla mia stessa follia. In fondo, eravamo marziani, avevamo la guerra nel sangue e nulla riusciva a fermarci… se non la morte.
    Alzai lo sguardo verso il Dio Oscuro: era ghignante e soddisfatto. Quando comprese che eravamo pronti a combattere, scoppiò nuovamente nella sua terribile risata metallica.
    “Siete solo dei poveri illusi…” E nel mentre sia io che Iuventas ci lanciavamo in un nuovo attacco coadiuvato da armi e poteri, il nostro nemico tornò a far tremare la terra, investendoci con una ennesima, terribile, onda d’urto.
    Non ricordo molto bene cosa accadde dopo. Forse, credetti di morire; con ogni probabilità pregai che la stessa sorte non toccasse alla mia agguerrita sorellina; per certo seppi che dentro di me qualcosa si era spezzato irrimediabilmente e, di fronte a questo, la prospettiva di morire non mi parve poi così malvagia. Come si fa a vivere con qualcosa di rotto nel petto? Si resta danneggiati, compromessi, inutili. Era questo il mio destino? Per tale ragione ero tornato in questa nuova vita? Mille domande, nessuna risposta. Solo il vuoto, in cui poter riposare, anche solo un po’… o chissà, magari per sempre.
     
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    Roberta
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    :Iuventas:
    L’impatto fu rovinoso e molto doloroso. Andammo a sbattere contro la parte bassa della monumentale testiera del mio letto. Era di metallo massiccio e non attutì affatto il contraccolpo. Ero ancora abbracciata a Toth, quando riaprendo gli occhi mi ritrovai di nuovo nella mia camera. Ce l’avevamo fatta per un soffio. Il pianeta-prigione era in pieno caos e tutto, intorno a noi, stava crollando. Un terremoto di proporzioni epiche lo stava abbattendo pezzo dopo pezzo.
    Lo scontro con il Dio oscuro era stato indescrivibile. L’energia che aveva liberato ad ogni attacco ci aveva disorientato e debilitato. Ci aveva sbalzati da una parete all’altra come se fossimo foglie in balìa del vento, ma non ci eravamo arresi, fino a che quelle stesse mura di roccia semi riflettente, non avevano rischiato di crollarci addosso. A nulla erano serviti i nostri poteri e il nostro addestramento. Il Dio oscuro era potente, oltre ogni nostra immaginazione e in quel momento, ne avevamo pagato il prezzo.
    Avevo fatto appena in tempo ad afferrare mio fratello per un braccio, prima che si lanciasse in un'ennesima carica contro un nemico pressoché invisibile e lo avevo trascinato via, sfruttando una lastra riflettente levigata ancora intatta. Toth era fuori di testa, non lo avevo mai visto tanto adirato, tanto furioso, tanto folle in battaglia. Lui eccelleva per tattica e strategia, ma in quello scontro senza possibilità di riuscita si era gettato ad occhi chiusi, guidato esclusivamente da una ferocia senza pari.
    Non appena riuscii a coordinare i movimenti, tentai di alzarmi, ma le ossa scricchiolavano e la carne bruciava nei punti in cui era stata escoriata.
    Mio fratello, quasi sembrasse immune dal dolore, si alzò in un lampo, divincolandosi dalla mia stretta. Era in condizioni pietose, ricoperto di numerose ferite, ma non se ne era neppure reso conto.
    Notai uno svolazzo di ali e Phobos si tramutò in donna. Venne in mio aiuto e mi sollevai dal pavimento piastrellato.
    “Cosa è successo? Non ti ho più vista qui in camera, dove ti avevo lasciata e Lockjaw non riusciva a mettersi in contatto con te!” mi chiese Phobos con la voce permeata dall’inquietudine. Pochissime volte mi allontanavo senza averla al mio fianco e ben sapevo quanto stesse in pensiero quando non era con me.
    Prima di risponderle, dovevo in tutti i modi, calmare Toth, che aveva preso a camminare su e giù per la stanza, ancora incredulo di quanto era avvenuto ad Horus. Io stessa stentavo a credere a ciò che miei occhi avevano visto.
    Un'enorme nube nera si era stagliata nel cielo e aveva creato un varco magico, dal quale era spuntato il Dio oscuro, ma quella non era stata la cosa più terrificante: pochissimi attimi dopo, Horus, il corpicino afflitto e debole di Horus era stato risucchiato in quella prigione color della pece e non erano serviti a nulla i tentativi di Toth per salvarla. Avevo assistito a questa scena straziante da lontano e nonostante avessi corso con tutte le forze per raggiungerli, non avevo potuto fare niente per aiutare mio fratello, per aiutare Horus.
    Poi si era scatenato l’inferno, come se un uragano di potenza inaudita avesse iniziato a sferzare il pianeta fin dentro le fondamenta. La terra ondeggiava sotto i nostri piedi, le montagne si sbriciolavano come gesso davanti ai nostri occhi. Il caos assoluto.
    “Toth…” dissi avvicinandomi a lui, che pareva una fiera rinchiusa nella sua gabbia di eterno dolore. Gli sfiorai un braccio e lui si scansò, guardandosi attorno, pronto a combattere di nuovo se fosse stato necessario. Era ancora in guerra, nella sua testa; era ancora sul campo di battaglia. Poi, il suo sguardo si rilassò impercettibilmente, quando mi mise a fuoco. “Troveremo un modo per salvarla… Non temere!” dissi con la voce più ferma che trovai. Sperai di aver fatto un buon lavoro, perché la prima ad avere dei dubbi ero io. Non avevo idea di come avremmo potuto fare, ma la certezza che non mi sarei mai arresa, mi aiutò ad essere più spavalda che mai!
    “Avanti… dimmi come?!” mi chiese, quasi rabbioso… Odiava quando gli si parlava per rabbonirlo, magari anche con delle menzogne per farlo calmare. Ed io lo sapevo molto bene.
    “Non credere che ti stia dicendo delle cazzate per tenerti buono. Sono certa, quanto è vero che sono una marziana, che troverò un modo per tirare fuori Horus da quel limbo maledetto!” ribadii con una convinzione tale da far vacillare la sua ira. “Andrò a parlare con Partenope, grazie a lei e all’aiuto delle altre guerriere, scoveremo un portale, una via d’accesso per raggiungere Horus e portarla via da lì!”
    Finalmente si fermò a guardarmi e una smorfia di reale sofferenza colorò il suo bel viso, adesso segnato da mille espressioni, tutte legate a tristezza e angoscia.
    Sapevo bene che un altro problema da non sottovalutare era che il Dio oscuro, il nostro più grande nemico, era libero e pronto ad attaccarci in qualsiasi momento. Avremmo pensato anche a questo, ma adesso volevo solo che mio fratello trovasse un barlume di lucidità per credermi, per trovare un pizzico di fiducia in se stesso e in me.
    Si limitò ad osservarmi con degli occhi che se avessero potuto parlare, avrebbero urlato a squarciagola, tanto traboccavano di inquietudine. Dopo pochi attimi che mi parvero infiniti parlò: “Io vado sulla Luna. Gli Imperatori devono sapere quanto è accaduto! Del nostro nemico in libertà e… di Horus! Hanno sbagliato a crederla una traditrice… hanno sbagliato tutto!” disse adirato e poi se ne andò, zoppicando e tenendosi una spalla. Ma, ero sicura, le ferite più gravi non erano sulla sua pelle, ma dentro la sua anima.
    Quando restai a fissare l’uscio spalancato e vuoto, le mie gambe cedettero e mi ritrovai di nuovo ad accarezzare il pavimento fresco. Tutta l’adrenalina della battaglia era sfumata e il dolore alla schiena e agli arti era più forte, serpeggiava sotto pelle e tra i muscoli.
    Phobos mi raggiunse, dopo avermi concesso quei momenti “da sola” con mio fratello, si inginocchiò al mio fianco, preoccupata a morte.
    “Ma come sei conciata? Non fai in tempo a riprenderti dalle vecchie ferite, che ti ritrovo di nuovo ricoperta di escoriazioni e lividi! Raccontami tutto!” quasi mi ordinò.
    Allora le narrai della terribile avventura che avevamo vissuto. Dell’idea di accompagnare mio fratello da Horus, dell’averli lasciati soli a parlare, dell’aver udito un boato assordante che aveva inghiottito tutta l’aria che ci circondava, del Dio oscuro spuntato fuori da un buco più nero del buio cosmico, di Horus risucchiata nel limbo, che poco prima aveva tenuto prigioniero il nostro nemico, della battaglia vana e del nostro rocambolesco ritorno.
    Avevo parlato d’un fiato, sperando che buttando tutto fuori, il mio senso di impotenza potesse trovare il modo di ridimensionarsi.
    Phobos, nel mentre, mi aveva medicata e fasciata dove serviva. Non mi aveva interrotta neppure una volta e aveva incamerato la terribile storia che le avevo riversato addosso al pari di un fiume in piena.
    Eravamo sul letto, e lei era seduta al mio fianco. Il suo silenzio mi inquietava. Lei rappresentava “l’altra me”, era il mio alter ego perfetto, che bilanciava il mio carattere loquace e irruento. Era proprio per questo, che quando non manifestava reazioni evidenti, mi scoprivo angosciata e piena di frustrazione. Non ricevere da lei frasi di incoraggiamento, o di rimprovero, o di semplice vicinanza mi atterriva.
    Non ebbi il tempo di farle notare il mio scompiglio interiore, perché venni investita da un’espressione di pura collera.
    “Avresti dovuto portarmi con te!” mi disse con voce piatta, che poco aveva a che fare con il suo sguardo furente. “Avrei potuto aiutarti, aiutare il Principe di Marte a salvare Horus!”
    Era chiaro che anche lei era preda del senso di colpa. Non solo nei miei confronti, ma anche verso Horus, sua compagna e sua amica. Potevo comprendere fin nel profondo come si sentiva, il senso di vuoto che provava, perché era identico al mio. Avrei voluto fare di più, tutti avremmo voluto fare di più…
    “La minaccia che abbiamo affrontato era troppo grande, Phobos. La potenza del Dio oscuro è incommensurabile e neppure l’esercito imperiale al completo avrebbe potuto contrastarlo in quel momento. Non lo hai visto… Sembrava possedere la forza di tutto l’universo concentrato nelle sue mani invisibili.” Non stavo esagerando affatto ed ero convinta che era uscito dalla prigione nel pieno delle sue forze. Il giorno dello scontro finale, e sapevo che non mancava ormai molto, sarebbe stato l’atto conclusivo di una battaglia epocale, ed io… non me la sarei persa per nulla al mondo.
    Adesso, però, dovevamo muoverci su parecchi fronti, e per preservare la sanità mentale di mio fratello, avrei dato la precedenza a salvare il suo Compagno Alato. Nel mentre, avremmo pensato a tutto il resto.
    “Ma Horus, adesso dov’è? Come possiamo raggiungerla?” chiese Phobos, adesso più pacata, ma sapevo che stava solo contenendosi.
    “Non lo so ancora. Sappiamo poco di quella dimensione-limbo. Ho assoluta necessità di parlare con Partenope. Escogiteremo qualcosa insieme alle altre ragazze!” dissi convinta.
    […]
    Avevo chiesto a Lockjaw di inviare un messaggio a Partenope. Ci saremmo incontrate nel suo laboratorio perché dovevo parlarle di una cosa di vitale importanza. Io e Phobos avevamo raggiunto la Luna attraverso l’imponente specchio del grande salone centrale del Palazzo imperiale e adesso stavo raggiungendo il luogo dell’incontro a passo di carica.
    Nel frattempo, avevo tentato di mettermi in contatto con Toth. Dovevo sapere se aveva avuto la risposta da parte degli Imperatori, se avrebbero dato il via libera alla nostra missione e come avrebbero agito rispetto al Dio oscuro. Ma non lo avevo trovato da nessuna parte. Sperai che fosse andato a curarsi, a ritemprarsi, ma temetti, allo stesso tempo, che potesse fare qualche sciocchezza. Non lo avevo mai visto in quello stato. Non potevo neppure immaginare come avrei reagito se fosse capitato qualcosa di simile a Phobos, ma la sua reazione, tanto accorata ed estrema mi aveva lacerato il cuore.
    Entrai nel laboratorio, covo di noi Guerriere, con la mia “solita” irruenza e trovai una Partenope stranita e spaventata.
    “Iuventas! Ma cosa è successo? Perché tutta questa fretta?” mi chiese con un tono concitato.
    La raggiunsi in pochissimi passi.
    “Horus è in pericolo… è accaduta una cosa terribile. Il Dio oscuro è libero!” sentivo l’ansia invadermi e mi impediva di comporre un discorso sensato. Allora mi fermai, feci un bel respiro, chiusi gli occhi e imposi al mio cuore di non battere come un forsennato e alla mia mente di non impazzire con previsioni catastrofiche.
    “Ok, respira. Calmati…” mi disse Partenope con la sua voce dolce.
    Adesso ero più padrona dei miei sentimenti e delle mie emozioni.
    “Siamo andati con Toth sul pianeta-prigione in cui tenevano segregata Horus.”
    Gli occhi della mia amica di sgranarono come di fronte ad una tragedia.
    “Ma siete impazziti?! Horus è stata imprigionata per ordine della Principessa Selene. Non era consentito a nessuno andare a trovarla!”
    La guardavo con aria seccata, mentre affermava l’ovvio, ma poi si rassegnò e mi fece continuare. Sapeva benissimo che, a volte, infrangevo le regole e parve ricordarsene, finalmente!
    “All’improvviso, si è aperto un varco, che pareva affacciato su un abisso di tenebra. Da questo ne è venuto fuori il Dio oscuro e al suo posto è stata risucchiata Horus. Poi, il passaggio si è chiuso e siamo rimasti al cospetto del nostro nemico” Feci una pausa per prendere fiato. E poi raccontai il seguito per l’ennesima volta. Ero stanca di ripetere l’avvicendarsi di quei maledetti eventi. Volevo solo pianificare una strategia e agire.
    “Dobbiamo trovare un modo per riaprire quel varco…” mormorò, come se stesse parlando a se stessa mentre rifletteva. Potevo percepire anche a distanza gli ingranaggi del suo cervello geniale mettersi in moto.
    Partenope era turbata, ma molto attenta. Aveva perfettamente capito cosa volevo da lei.
    “Toth mi ha detto che avrebbe avvisato gli Imperatori dell’accaduto, ma noi, nel frattempo, dobbiamo trovare una soluzione per riportare Horus nella nostra dimensione. Non possiamo lasciarla lì a morire. Era già in pessime condizioni quando l’abbiamo incontrata, non resisterà a lungo!” Avevo parlato a raffica, come era mio solito, quando l’impazienza di agire mi sopraffaceva. “Tu sei la prima a cui lo dico. Dopodiché avviseremo anche le altre. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile! Dobbiamo fare qualcosa per Horus, altrimenti mio fratello, se la dovesse perdere, ne potrebbe morire!”


    Edited by SydneyD - 5/9/2020, 23:36
     
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    :Partenope:
    "Ahh..." sospirai di beatitudine.
    Acqua. La mia cara, fresca, rigenerante acqua.
    Finalmente un attimo di relax. Non c'era niente al mondo che mi rilassasse come l'acqua.
    Mi calai completamente nella grande vasca in marmo che Athena aveva fatto costruire apposta per me nel bagno di camera mia.
    Ogni volta che il mio corpo toccava qualsiasi tipo d'acqua, poof, mi trasformavo in sirena. Di conseguenza, ogni volta che mi facevo il bagno -o almeno ci provavo- non riuscivo a stare completamente nella vasca -praticamente metà coda stava fuori.
    Abituata com'ero ad abitare praticamente in mare, ritrovarmi non solo tutto il tempo a vivere fuori da esso, ma soprattutto a rinfrescarmi in piccolissime tinozze era stato shockante. Non riuscivo a comprendere perchè avessero spazi così piccoli in cui sguazzare.
    La prima volta fu traumatico. Entrai in acqua, mi trasformai, sgusciai letteralmente fuori dalla vasca e rovinai con un gran botto a terra... ricordavo ancora il dolore! La prima a trovarmi fu Cloe, che ovviamente scoppiò a ridere. In seguito arrivò Athena, che prima bloccò e tranquillizzò Connor -che già si stava precipitando per capire cosa fosse successo-, poi mi aiutò ad alzarmi e a farmi tornare in forma umana... alla fine feci il bagno in piscina.
    Quindi, per agevolarmi, aveva fatto costruire questa piccola "pozza", ed ora più che mai la apprezzavo.
    Avevo proprio bisogno di rilassarmi.
    Ormai era da quando l'Impero era minacciato dal nemico oscuro che nessuno viveva in tranquillità. Anche se noi andavamo avanti, acciaccati sì, ma a testa alta, la nostra normalità era stata spazzata via, incrinata, danneggiata...
    Saremmo mai riusciti a batterlo, a tornare come prima? Più passava il tempo e più temevo un responso negativo.
    Io facevo il massimo, quel che potevo per contribuire a contrastare la distruzione portata da quell'essere, ma era dannatamente difficile rimanere positivi.
    Soprattutto in seguito a quello che era successo negli ultimi giorni.
    La Principessa Selene mi aveva rivelato il destino atroce a cui sarebbe andato incontro il Principe Endymion ed il suo desiderio disperato di salvarlo. L'avevo guidata nella sua visione ed avevamo scoperto cosa avrebbe portato a quel nefasto evento... o meglio chi.
    Non potevo e non volevo crederci. Horus non avrebbe mai fatto niente del genere, a maggior ragione tradire l'Impero e soprattutto il suo Campione. Non la conoscevo benissimo, entrambe eravamo riservate -ed io molto timida-, e non conoscevo abbastanza la cultura marziana per comprendere appieno il legame fra Compagno Alato e Campione, ma avevo combattuto più volte al suo fianco ed ero certa della sua estrema fedeltà.
    Per questo non ero d'accordo con il provvedimento che aveva preso Selene.
    La capivo. Era spaventata, disperata. Voleva salvare in tutti i modi suo marito, ma non era giusto nei confronti di Horus.
    Ed io mi sentivo responsabile. Era grazie a me se Selene aveva fatto arrestare Horus, se ora Thot era quasi irriconoscibile, se a palazzo c’era un’atmosfera decisamente tesa e pesante.
    “AHHH!”
    Uno strillo assordante mi fece perdere un battito.
    “Cloe?” la chiamai preoccupata a gran voce.
    Nessuna risposta.
    Che sta succedendo? Quando è silenziosa non è mai un buon segno.
    “Cloe?!” esclamai più forte.
    Questa volta sentii uno strano rumore che non mi piaceva per niente.
    Mi stavo issando sulle braccia per uscire dalla vasca quando la porta si spalancò con un botto accompagnata da rumori assordanti.
    Mi ritrovai davanti al viso il musone bavoso di Lockjaw e Cloe sulla sua groppa come se stesse cavalcando un cavallo.
    “Partenope hai visto chi è venuto a trovarci?!” esclamò felice Cloe.
    Mi riaccasciai in acqua, improvvisamente stanca.
    “Stai bene?”
    “Sto bene? Sto bene?! Per tutti i Kraken, mi avete fatto prendere un infarto! Vi sembra il modo di comportarvi?! Tu che strilli a quel modo e quando ti chiamo non rispondi! E tu” indicai il cucciolone “che galoppi nel bagno come se fossi ad un rodeo! Mi stavo preoccupando dannazione!” esclamai furibonda mentre riprendevo aria.
    “Scusaci, non volevamo farti paura...” disse Cloe dispiaciuta.
    “Ora è tutto a posto. Lockjaw, sei venuto qui per me?”
    Abbaiò in segno di assenso, leccandomi con la sua enorme lingua tutta la faccia.

    (...)
    Iuventas mi aveva dato appuntamento nel mio laboratorio. Doveva parlarmi di una cosa di vitale importanza. Per questo avevo paura. Sapevo già che il suo cervello stava macchinando cose strane.
    Ed infatti eccola arrivare con la sua solita irruenza, facendomi prendere un colpo… troppi spaventi per oggi.
    “Iuventas! Ma cosa è successo? Perché tutta questa fretta?” le chiesi preoccupata
    <“Horus è in pericolo… è accaduta una cosa terribile. Il Dio oscuro è libero!”
    COSA!?
    Era nel panico. Non l’avevo mai vista così.
    “Ok, respira. Calmati…”
    “Siamo andati con Toth sul pianeta-prigione in cui tenevano segregata Horus.”
    Non ci volevo credere.
    “Ma siete impazziti?! Horus è stata imprigionata per ordine della Principessa Selene. Non era consentito a nessuno andare a trovarla!” esclamai contrariata, anche se ragionandoci sopra in effetti sembrava anche a me la cosa più giusta da fare.
    Poi mi ricordai anche della scomoda abitudine della mia amica di infrangere le regole, quindi la lascia continuare nel suo racconto, decisamente raccapricciante e sconvolgente.
    Quando finì iniziai subito a ragionare sul da farsi, su una possibile strategia, qualsiasi cosa.
    Volevo e dovevo aiutare a tirare fuori Horus da quella prigione.
    “Dobbiamo trovare un modo per riaprire quel varco…” mormorai fra me e me.
    “Toth mi ha detto che avrebbe avvisato gli Imperatori dell’accaduto, ma noi, nel frattempo, dobbiamo trovare una soluzione per riportare Horus nella nostra dimensione. Non possiamo lasciarla lì a morire. Era già in pessime condizioni quando l’abbiamo incontrata, non resisterà a lungo! Tu sei la prima a cui lo dico. Dopodiché avviseremo anche le altre. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile! Dobbiamo fare qualcosa per Horus, altrimenti mio fratello, se la dovesse perdere, ne potrebbe morire!”
    E non facevo fatica ad immaginarlo. Mi bastava pensare a come era irrequieta Iuventas ogni volta che non era con Phobos.
    “Bene. Dobbiamo agire in fretta, non possiamo perdere tempo. Se Horus è finita in quest’altra prigione attraverso un varco dimensionale, non dobbiamo fare altro che aprirne un altro vicino alla sua posizione.”
    “Tipo quelli di Persephone.”
    “Esatto, ma non so quanto ci convenga chiederle aiuto...” quella donna mi metteva i brividi.
    “Quella donna è inquietante e si rifiuterebbe di aiutarci. Quindi come facciamo?”
    “Ne creeremo uno artificialmente… il problema è come...”
    Attimi eterni di silenzio calarono pesanti su di noi, enfatizzando la criticità della situazione.
    “Lockjaw!” esclamò Iuventas vittoriosa.
    “Lockjaw?”
    “Che potere ha il mio bel cagnolone?” mi chiese come a sottolineare l’ovvio… e lo era!
    “Crea varchi! Sei un genio!”
    “Lo so!”
    “Quanta modestia...” le dissi ridendo. “Comunque, usiamo lui come trasporto. Porta te e Thot da Horus e poi vi recupera.”
    “Ma come facciamo a trovarla e voi a ritrovare noi? Potremmo ritrovarci ovunque nel cosmo una volta passati dall’altra parte.”
    Aveva ragione. Dovevamo localizzare Horus e avere la loro posizione, altrimenti avremmo perso anche loro.
    Ma come? Non sapevamo nulla dell’altra dimensione. A meno che…
    “Allora, costruirò un rilevatore di posizione a forma di collare per Lockjaw che gli darà le coordinate della prigione, che otterremo dai dati che raccolsi da Brahmasta quando la analizzai. L’unico problema è che una volta lì sarete “soli”, perché Lockjaw tornerà indietro e voi dovrete trovare Horus da soli.”
    “E come facciamo a tornare indietro?!”
    “Dovremmo creare una sorta di corda di sicurezza, il problema è che non so in che stato vi riporterei indietro...”
    “Perchè ogni volta che siete insieme vi trovo a complottare qualcosa di nuovo?”
    Ci voltammo di scatto verso la porta.
    Cerere aveva sentito tutto?!
     
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    Avevo ancora sulla pelle il sapore di noi, dopo quel nostro strano confidarci tra silenzi e carezze, avevamo consumato tutto il nostro amore e la nostra passionalità in una danza iniziata nella vasca e che era finita tra le lenzuola di seta del mio letto. Tuttavia la stabilità di un rapporto si era ritrovata ad essere barattata con la fine del mondo. Letteralmente.
    I nostri sensi, seppur appagati, e i nostri corpi, seppur intrecciati, risposero pronti ai rumori che fuori dalla porta ci arrivarono alle orecchie. Non ci mettemmo molto a capire che qualcosa dove essere successo. I passi si erano fatti sempre più veloci ed il silenzio della notte si era infranto con le voci convulse che per i corridoi iniziarono a correre.
    Quando uscimmo dalla mia stanza eravamo vestiti di tutto punto, perfino i miei fidati cerchi affilati erano assicurati alla mia schiena, quando Khufu venendoci incontro non ci pensò due volte ad aggiornare il suo Maestro. Lo apprezzavo. Era solito farsi sempre i fatti suoi ed era tra i pochissimi a non guardarmi con un odioso sorrisino sulla faccia di quelli che dicevano "oh guardala, la ninfetta che è riuscita con le sue arti amatorie a sciogliere il cuore del grande maestro Kenway".
    Scossi il capo tornando lucida ed attenta alla situazione, mentre lui rivolgeva le sue parole tanto ad Haytham quanto a me.
    “Il Dio è libero! Sto allertando le pattuglie su ogni pianeta che controlliamo, il Principe ha preteso un controllo a tappeto... anche Germain sta decollando con i suoi stormi... il Dio potrebbe essere ovunque!”
    “Come i suoi seguaci! Cercate nei pressi di vecchie templi e strutture sacre agli Eterni...” esclamai dandogli un ordine che lui non ribatté seppur guardando Haytham cercò la sua approvazione per procedere e lui con un lieve cenno del capo lo fece.
    Ci guardammo e non ci fu bisogno di dirci nulla, mi voltai dunque diretta verso dove c'era bisogno di me e lui fece lo stesso, ma all'unisono ci girammo, ci venimmo incontro, ci baciammo e con un solo sorriso ed uno sguardo ci congedammo verso i nostri doveri.
    In quel bacio c'erano tutte quelle parole che non era necessario ripetere a voce: "Ti amo" "Stai attento/a" "Vai e fai il tuo dovere"

    Camminavo a passo sicuro verso il laboratorio di Partenope, una sensazione alla bocca dello stomaco mi diceva che lì avrei trovato le mie compagne, ancor più dopo che avevo avuto la certezza che la liberazione del Dio era avvenuta a fronte della prigionia di Horus. Compresi che l'accusa che le era stata mossa, per quanto giusta, fosse stata solo uno specchietto delle allodole. Il Dio l'aveva presa di mira non per spiarci, ma perchè l'aveva scelta come suo agnello sacrificale. Eppure tanto non capivo. Se Bramhasta era andata persa ed essa era l'unica chiave per tale prigione, come aveva fatto a liberarsi?
    Forse era colpa mia, ero una mal pensate di natura, ma iniziai a pensare che forse il portale aperto di Persephone non era verso un buco nero o vuoto cosmico come ci aveva fatto credere. Aumentai il passo piombando nel laboratorio senza complimenti e non stupendomi della scena che trovai di fronte.
    “Perchè ogni volta che siete insieme vi trovo a complottare qualcosa di nuovo?” dissi con un sopracciglio alzato e le mani sopra i fianchi mentre scendevo i gradini che mi avrebbero portato vicino le mie amiche.
    “Oh non inizi-” Iuventas era già scattata per aggredirmi, ma io avevo alzato una mano e le avevo tappato la bocca, mentre rivolgevo la mia attenzione s Partenope.
    "Ho sentito quello che avete detto e mi permetto di suggerire, per sopperire al tuo dubbio, che potresti utilizzare un componente biologico della persona o persone che comporranno il team di salvataggio!"
    Iuventas sgranò gli occhi e così fece Partenope che mettendo un dito sul mento iniziò a ragionare sulle mie parole, allontanandosi verso i suoi super computer.
    “Potrebbe funzionare... questo fungerebbe da GPS ed al contempo terremo d'occhio i parametri vitali!
    "Così se la cosa si fa troppo pericolosa avrai la posizione del team e potrai mandare Lockjack a tirarli fuori!"
    Partenope assentì e lo stesso fece Iuventas che prendendomi per una spalla mi fece voltare verso di lei, prima di saltarmi addosso e stringermi forte. Io alzai gli occhi al cielo ed anche le mani come se fossi infastidita da tale atteggiamento, ma finì invece per lasciarmi andare ad un sorriso e ricambiare la stretta. Ne avevo proprio bisogno. Chiusi perfino gli occhi per un attimo ed ecco che anche Partenope ne approfittò. Ora ero schiacciata tra loro due che mi soffocavano e seppur ne ero felicissima dovevo riprendere il mio contegno.
    "O-Ok O-Ok basta... mettiamoci al lavoro" dissi allontanandole dolcemente e fu allora che guardandomi intorno notai che mancava qualcuno all'appello.
    Stavo proprio per chiedere alle mie compagne se sapevano qualcosa circa Vesta, ma non feci in tempo perchè nella stanza si precipitò un Toth esagitato e dopo di lì una Phobos che maestosa planò fino a trasformarsi in donna... immediatamente fece per annunciare qualcosa, ma nemmeno il tempo di farlo che un'aquila regale ed elegante fece il suo ingresso lasciandoci tutti a bocca aperta. Stupiti e confusi.
     
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    Per le Guerriere sulla Terra e per me, quelli erano giorni cruciali, tesissimi. Il tempo che rimaneva per liberare gli Assassini prigionieri dei Devianti si andava assottigliando, e le attività per mettere tutto a posto e verificare ogni passaggio della missione erano febbrili. Salvare il mio Campione era tutto ciò che occupava il mio pensiero e le mie azioni, fino a che non ricevetti quella terribile notizia da Deimos. La mia piccola Horus era accusata di tradimento e di collaborazione con il nemico, che in verità si era approfittato di lei per liberarsi dalla prigione galattica in cui era rinchiuso.
    Rimasi paralizzata per qualche momento dall'orrore e in seguito dallo stordimento. Non potevo abbandonare Bayek, il mio legame con lui era primario e viscerale, ma Horus era mia figlia, e sentivo morire il mio cuore ad ogni secondo in cui rimanevo inerte, in cui la immaginavo soffrire pene terribili senza che potessi fare niente per alleviarle.
    Andai da Ares, che aveva appreso poco prima la notizia. Non ebbi neanche bisogno di spiegare i miei propositi o di chiederle permesso.
    "Io devo andare sulla Luna"
    Dissi semplicemente. Avrei lasciato a lei l'incombenza di liberare l'uomo a cui entrambe eravamo legate indissolubilmente. Il suo legame d'amore era forte quanto il mio. Eravamo alleate, e mi fidavo di lei. Non avrebbe lasciato nulla di intentato per liberarlo.
    Giunsi sulla Luna in forma di volatile per aver più velocemente una visione della situazione. Dovevo cercare Phobos, perchè sapevo che con lei avrei trovato anche le Guerriere che stavano ideando un piano di salvataggio arduo, pericoloso... se non impossibile.
    Dall'alto, sorvolai il Palazzo Reale e notai all'istante proprio Phobos che entrava dentro ad un edificio laterale del maestoso complesso. Insieme a lei, un Moon Knight... Toth. Non lo avevo mai incontrato, era stata una decisione presa di comune accordo con Horus quella di mantenere separati e distanti alcuni aspetti della sua vita. Il suo Campione era, come tutti, molto fedele e rispettoso delle regole e delle tradizioni che esistevano su Marte, quindi non avrebbe mai accettato il sacrilegio associato alla mia storia e alla nascita di Horus. Lei non voleva rischiare, e io condividevo i suoi pensieri.
    Non mi sarei mai immischiata nella sua vita, anche se la avrei appoggiata in tutte le sue esperienze, anche se avrei voluto sorreggerla e consigliarla in ogni passo che compiva. La mia Horus però, aveva deciso di affrontare le difficoltà a modo suo, con onestà e inflessibilità. Non si lamentava ma al contempo non si perdonava. Non aveva mai fatto parola delle difficoltà e amarezze che erano legate al rapporto con il suo Campione. E da madre, anche se le avevo viste e avevo sofferto senza poter far nulla, rispettavo la sua volontà.
    Ma ora, lo sdegno e l'appresione per la sua sorte erano troppo forti, e quando irruppi in quello che era un laboratorio e mi trasformai nella forma umana, diedi un breve sguardo ai presenti, riservando un'occhiata di fuoco all'uomo bardato della sua uniforme superba e altera.
    Su di lui indirizzavo il mio biasimo: non la aveva protetta a sufficienza, come avrebbe avuto il dovere di fare, come si era preso l'impegno di fare. Per negligenza o superficialità, aveva lasciato il suo Compagno Alato a combattere una battaglia che avrebbero dovuto affrontare insieme. Strinsi i pugni per farmi forza e mettere da parte tutto l'ostilità che provavo per quell'uomo. La sua espressione era sconfitta e tormentata e sconvolta, come se non trovasse requie, ma la sua disperazione non mi toccava.
    Guardai le Guerriere dei pianeti minori lì riunite, che mi osservavano a loro volta incuriosite dalla mia presenza. Probabilmente mi riconoscevano come Compagno Alato dell'Assassino terrestre, ma non erano a conoscenza del mio legame di sangue con Horus, con la sola esclusione di Phobos, forse.
    "Deimos mi ha avvisata di quello che è successo, e so che avete intenzione di provare a salvare Horus. Quale è il vostro piano?"
    La più giovane delle Guerriere, che si chiamava Partenope di Pallade, mi rispose con una lieve esitazione nella voce: "Stiamo studiando alcuni scenari, e pensiamo di aver trovato una soluzione, per quanto rischiosa... vi ringraziamo, ma non dovete sentirvi in dovere di farvi coinvolgere da tutto questo... la missione è segreta perchè non è supportata dall'autorizzazione degli imperatori, però Horus è una nostra compagna, e non possiamo lasciarla sola..."
    Mi morsi il labbro, combattuta ferocemente su come agire. Non avevo davvero riflettuto su questo aspetto. Un'altra incongruenza con il mio carattere altrimenti responsabile, previdente e razionale. Era un fatto quasi trascurabile e quasi faceto, ma si trattava di un'ulteriore dimostrazione di come l'essere genitori presentasse situazioni e scelte che potevano sconvolgere anche le menti più addestrate e pronte.
    Dovevo insistere ad oltranza, ben consapevole di non possedere alcuna autorità che mi consentisse di avere l'ultima parola? In alternativa, avrei potuto mettermi da parte e attendere che la loro missione si completasse con successo, mentre mi maceravo nell'angoscia invece di partecipare allo scontro. E per fortuna, la mia decisione venne facilitata, quella sì, dal mio atteggiamento consueto. Scossi la testa, caparbia e risoluta: "Ma io voglio, e devo partecipare, perchè.. Horus è mia figlia!"
    Avrei affrontato successivamente, con Horus, tutte le conseguenze dell'aver rivelato il segreto che lei custodiva più gelosamente. Ma ora sembrava davvero una informazione ridicola e innocua, e non me ne sarei curata più di tanto, se mi avesse permesso di ritrovarla e salvarla. E con questo, ritenevo chiuso il discorso.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 15/9/2020, 12:48
     
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    Annarita
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    :Thot:
    L’avrei riconosciuta anche senza sapere la verità, in mezzo ad altre donne di Koronis, in mezzo all’intera popolazione del pianeta satellite di Marte. La sua regalità era innata, tanto quanto la fierezza dei lineamenti. Ora capivo da chi aveva ereditato questi tratti distintivi la mia Horus… no, dovevo tenerlo bene a mente, non era mia! Eppure, quel dannato pronome possessivo fioriva fin troppo spontaneo tra i miei pensieri tormentati. Il cuore aveva ripreso a battere furioso, o forse non aveva smesso di farlo da quando l’avevo persa tra le onde dell’abisso, da quando il suo viso era scomparso dal mio orizzonte. E la riprovazione che scorgevo negli occhi di sua madre, di colei che l’aveva messa al mondo e cresciuta come una guerriera orgogliosa delle proprie tradizioni, non era affatto d’aiuto. Era chiaro che mi riteneva responsabile e… come darle torto. Avevo permesso al dio oscuro di manipolarla, di allontanarla da me prima e di portamela via dopo, cosa pretendevo? Perciò, non mi sottrassi a quello sguardo accusatorio.
    “Ma io voglio, e devo partecipare, perché... Horus è mia figlia!” Alzai il viso di scatto, come se mi avessero appena colpito con un pugno in pieno petto. Aveva davvero rivelato una cosa del genere ai presenti? Horus ci aveva messo un’intera esistenza per confessarlo a me, il suo Campione, e la vergogna l’aveva avvolta come un sudario. Sembrava quasi che stesse rivelando di aver commesso un efferato omicidio… come l’avrebbe presa? Sapere che tutti noi sapevamo? Era davvero il momento di preoccuparsi di una cosa del genere? Se sua madre lo aveva fatto, avrà avuto i suoi motivi, continuavo a ripetermi. Ma non riuscivo comunque a staccare i miei occhi dal suo volto in apparenza sfingeo, ma la mascella contratta e una ruga in mezzo alle sopracciglia tradivano la sua ansia. Mi mossi nervoso, non ero sicuro che fosse una buona idea che anche lei venisse con noi… e se le fosse accaduto qualcosa? Horus non me lo avrebbe mai perdonato. E avevo già un miliardo di cose da farmi perdonare.
    Era normale che dessi per scontato la buona riuscita della missione di salvataggio, vero? Non riuscivo a immaginare un esito diverso, perché allora avrei dovuto iniziare a immaginare una vita senza di lei. No, non era contemplabile, andava al di là delle mie forze.
    Concentrato. Dovevo restare concentrato sui passi da fare. Un piede di fronte all’altro. Un passo alla volta. Adesso dovevo assicurarmi che Senu non restasse coinvolta in una missione pressoché suicida.
    Nel laboratorio era calato un silenzio di tomba, attonito: era chiaro che tutti stavano elaborando l’informazione appena ricevuta, ma… il tempo a disposizione era davvero troppo poco. Raddrizzai la schiena e ignorai il suo disprezzo – bruciava sulla pelle, ma avevo ferite molto più terribili che trasfiguravano la mia carne –, mi avvicinai, posi un pugno sul lato destro del petto in segno di rispetto e chinai leggermente il capo. Un saluto, una riverenza, una richiesta di perdono. Poi fissai le mie iridi nelle sue.
    “Non sono sicuro che sia una buona idea. La missione non ha alcuna certezza di riuscita, al contrario, i rischi sono troppi e imprevedibili. Se dovesse accadervi qualcosa, Horus ne morirebbe…” Avevo impedito alla mia voce di vacillare e, solo per questo, mi consideravo una specie di eroe. Sentivo che sarei potuto crollare da un momento all’altro, ma la furia e la determinazione e… l’amore che custodivo dentro di me mi davano la forza di stare in piedi, parlare, organizzare, ragionare.
    “Non è una decisione che spetta a te, Generale. Se ti fosse davvero importato della sorte di mia figlia, tutto questo non sarebbe accaduto, perciò ti pregherei di non nominarla neppure in mia presenza.” Forse perché era sua madre? Forse perché avevano la stessa voce? Forse perché sapevo che aveva ragione da vendere? Il fatto tangibile era che le sue parole mi avevano trafitto come lame affilate, del tutto identiche a quelle con cui Horus mi aveva ferito, rifiutandomi. Respirai a fondo, cercai di immagazzinare più aria possibile, avevo bisogno di restare lucido. Con uno sguardo di fuoco, ammonii Iuventas: scalpitava sul posto, i pugni stretti per la rabbia, si mordeva le labbra per impedirsi di parlare, ma non avevo bisogno di difensori, dal momento che ero il primo a ritenermi colpevole.
    “Ha ragione, è mia la responsabilità di quanto è accaduto. Se mi ha tenuto nascosta una cosa del genere, molto probabilmente non le ho ispirato la fiducia che dovrebbe essere scontata tra Campione e Compagno Alato.” Mai avrei parlato dei suoi sentimenti per il vecchio Thot; mai avrei confessato che se non “lo” aveva coinvolto era perché non voleva metterlo in pericolo; mai avrei instillato un dubbio del genere, neppure in sua madre. Non sapevo se fosse a conoscenza di tutto questo, ma visto come Horus aveva negato una tale “infamia”, dubitavo che lo avesse mai pronunciato ad alta voce. “Ciò non toglie che sarò a capo di questa spedizione, anche questa è mia precisa responsabilità, di conseguenza ho voce in capitolo su chi saranno i partecipanti. La vostra presenza mi mette in difficoltà.” Dovevo essere sincero, per quanto fosse possibile, lei doveva vedere quanto tenessi alla mi… a Horus.
    La vidi sospirare pesantemente. Tentava di capire le mie ragioni, ma non ero sicuro che fosse in grado di arrivare davvero al nocciolo della questione. Tuttavia, lo speravo con tutto me stesso.
    “Generale Thot, sono qui perché mia figlia ha bisogno di me. Non riuscirei a stare con le mani in mano neppure se me lo chiedessero i Numi in persona. Forse, puoi capire cosa intendo, in caso contrario non potrei spiegarlo.” E io lo capivo, lo capivo perfettamente, dannazione!
    Con un cenno del capo acconsentii, anche se di malavoglia. Mi voltai allora verso Partenope e le altre guerriere. Le avevo praticamente cresciute, addestrandole fin da ragazzine. Chi lo avrebbe mai detto che sarebbero diventate la mia unica àncora di salvezza?
    Gli Imperatori, i Principi… Selene… mi avevano abbandonato. Avevo dato tutto me stesso all’impero, in ogni dimensione esistente, e adesso che avevo bisogno di aiuto per salvare la persona a me più cara la risposta era stata l’ennesimo pugnale in mezzo alle scapole.
    Sarei andato avanti comunque per la mia strada, ma non sarei stato solo e questo mi confortava. La presenza di Senu, al contrario, mi inquietava, ma avrei gestito anche questo. Avrei gestito qualunque imprevisto pur di arrivare a destinazione e riportare indietro il mio Compagno Alato… d’istinto, cercai la coscienza del vecchio Thot, ma si ostinava ancora a restare chiuso nel suo silenzio di cui non riuscivo a comprendere l’origine. Scossi il capo per scacciare via tutti pensieri, era arrivato il momento di agire.
    “Allora, è deciso. Si parte!”
    […]
    Muoversi nella più completa oscurità, dopo aver varcato un portale dimensionale perfettamente uguale a quello che aveva risucchiato Horus, aumentava in maniera esponenziale la mia inquietudine, il battito del mio cuore, l’agitazione che – sapevo per certo! – non avrei dovuto provare. Dovevo restare concentrato e lucido, quante volte me lo ero ripetuto nelle ultime ore? Troppe, infinte. Ma non era semplice, non quando il senso di colpa ti schiacciava sotto un peso imponente; non quando da te dipendevano vite per le quali avresti sacrificato ogni cosa: tua sorella, la donna che ami, la madre della donna che ami. Un bel po’ complicata la situazione, non credete?
    Cercai di ingabbiare i pensieri, i ricordi, le frustrazioni, concentrandomi sulle precauzioni che Partenope, Iuventas e Cerere avevano messo a punto per tenerci al sicuro… per quanto si poteva restare al sicuro in un posto del genere, ovvio. Lockjaw ci aveva accompagnati per un tratto di “strada”, salvo poi tornare indietro, ma anche senza di lui seguivamo delle coordinate precise che la piccola sirena aveva caricato in una sorta di trasmettitore satellitare, almeno questo era ciò che mi era parso di intuire dal fiume di parole con cui mi aveva inondato per spiegarmi i dettagli: l’ansia stava giocando brutti scherzi un po’ a tutti. Senu ed io seguivamo Iuventas a pochi passi di distanza, mentre Iuventas – in testa perché munita del trasmettitore – indicava la via da percorrere. I bagliori che di tanto in tanto emetteva rappresentavano l’unica fonte di luce in quel mare nero e mi aggrappai ad essi per non perdermi. Ma la genialità delle guerriere non si era esaurita con così “poco”, Cerere aveva suggerito l’adattamento di alcune auricolari senza fili come segnalatori radar, grazie a esse avremmo potuto comunicare a una certa distanza e – in caso di necessità, pericolo o missione compiuta – Lockjaw avrebbe potuto rintracciarci ovunque in quel luogo per riportarci a casa, speravo tutti sani e salvi.
    “Non pensare, non pensare, non pensare” Ma, come dicevo prima, non era semplice. Stavo andando nel luogo in cui Horus era imprigionata; stavo andando a salvarla; stavo andando a riprenderla per riportarla indietro. E niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi. Molto probabilmente, al nostro ritorno, avremmo trovato il caos: un plotone di esecuzione pronto a giustiziarmi era il problema minore. Stavo disubbidendo a ordini precisi, stavo voltando le spalle a Selene tanto quanto lei le aveva voltate a me. Le sue parole risuonavano come corni di guerra nella mia mente: “Mi sono fidata di te, Generale. Ma se l’avessimo giustiziata e non imprigionata, il dio oscuro non avrebbe potuto usarla! Non sarebbe mai tornato a minacciarci!” Nei suoi occhi avevo letto orrore, rancore, disperazione. Avrebbe ucciso Horus pur di salvare il suo sposo. Immaginavo fosse una questione di priorità e cercavo di non disprezzarla, perché io stesso avevo deciso di abbandonare i miei doveri per tentare di salvare il mio Compagno Alato. “Tentare” sì, avevo lasciato l’Impero alla mercé del dio oscuro per gettarmi in una missione folle. Biasimavo Selene? No, non avrei mai potuto. Ciò nonostante, non avrei dimenticato la sua sentenza di morte neppure tra un milione di anni. Perché? Perché non ero d’accordo con lei: la mia certezza era che il dio oscuro avrebbe comunque trovato un’altra vittima da sacrificare al suo posto e sarebbe comunque tornato libero prima o poi.
    Un rumore improvviso interruppe i miei vorticosi pensieri, e menomale che mi ero ripromesso di non pensare! Ci bloccammo subito, pronti a reagire a eventuali attacchi, ma il buio rendeva difficile vedersi l’un altro, figurarsi individuare un nemico. Portai verso di me Iuventas, le feci prendere il mio posto accanto a Senu e avanzai a mia volta, in modo da poter “assorbire” in prima persona qualsiasi imprevisto. Tuttavia, ciò che si parò di fronte a noi – non appena una forte luminosità annientò l’oscurità – ci lasciò interdetti.
    “Benvenuti, forestieri! Cosa ci fate in un luogo così lontano da casa vostra?” La voce di Persephone era suadente, ma ricca di sarcasmo. Per quanto non fosse mai stata una nemica dell’Impero, negli ultimi tempi, quelle poche volte che l’avevo incrociata, un nodo mi aveva stretto lo stomaco. Un cattivo presagio pareva accompagnarla, ma non avevo mai “visto” nulla di tangibile che comprovasse quelle che erano e restavano solo sensazioni.
    Alzai il mento e decisi di affrontare a muso duro quel “piccolo” imprevisto. Non capivo ancora bene perché, ma avevo cominciato a considerarci dietro le linee nemiche. Perciò, mi sarei comportato di conseguenza.
    “Persephone, ci sorprende la tua accoglienza. Siamo qui per salvare il mio Compagno Alato, Horus. Avrai di certo saputo le novità: il dio oscuro l’ha usata per liberarsi dalla sua prigione e, a quanto pare, questa prigione è proprio qui, nella dimensione che governi.” Non avevo idea di cosa aspettarmi, ma di certo non avrei mostrato il fianco alla Regina degli Inferi.
    “Oh, Generale Thot, sempre a fare l’eroe, vedo. Sembra che sia il tuo destino. Speriamo però che questa volta la ‘principessa in pericolo’ non sia altrettanto irriconoscente!”
    Diventai di pietra, di ghiaccio, di marmo. Immobile, la fissai. Quelle parole – addirittura virgolettate – avevano avuto il potere di far suonare un campanello, anzi no, un centinaio di campanelli nella mia mente. Persephone sapeva della Pandia “principessa”? Persephone ricordava? Non sapevo come, ma ero sicuro che il riferimento fosse lapalissiano. In questa dimensione avevo salvato la Principessa Selene quando era ancora Imperatrice e la sua “irriconoscenza” io stesso non avevo ancora avuto modo di valutarla. Invece… Pandia era l’unica principessa che avevo tratto via dalle braccia della morte, che avevo amato per anni senza essere corrisposto… perché avevo la sensazione di rammentare questi sentimenti solo ora? I ricordi del vecchio Thot stavano prendendo il sopravvento? Basta! Non era il momento di impelagarsi in elucubrazioni del genere. Lo scopo di tutta quella follia era di ben altra portata…
    “Non ci sono principesse da trarre in salvo, ma solo un Compagno Alato da riportare a casa. È colpa mia se è finita in questo limbo, perciò sono venuto per rimediare…! Dove si trova Horus?”
    La vidi fissarmi con un’intensità che metteva i brividi, ma il mio sguardo doveva essere eloquente: non me ne sarei andato senza aver portato a termine la missione. “Horus, sto venendo a prenderti!”
     
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    :Persephone:
    ”Non ci sono principesse da trarre in salvo, ma solo un Compagno Alato da riportare a casa. È colpa mia se è finita in questo limbo, perciò sono venuto per rimediare…! Dove si trova Horus?”
    Squadrai con attenzione il piccolo gruppo che aveva avuto l'ardire di arrivare fino a questo punto del mio regno, anche se era semplicemente il varco di accesso. Superato il portone colossale davanti a cui mi ergevo si snodava un territorio difficile se non impossibile da mappare, in continua evoluzione e mutamento: un luogo molto vasto, in cui era facile perdere velocemente l'orientamento e la sanità mentale.
    Era per questo che il mio ruolo di Guardiana mi richiedeva davvero poco sforzo per adempierlo, e mi lasciava molto libertà nel portare avanti la mia missione segreta: pochi esseri possedevano il potere per accedere, e ancor meno erano gli incauti che si azzardavano a farlo. Persino io, libera di muovermi a mio piacimento, preferivo non spingermi mai in certe zone troppo instabili e pericolose, soprattutto dopo che il prigioniero era riuscito a trascinare un sostituto da mettere al proprio posto in quell'abisso di nulla.
    L'entità che lo aveva occupato fino a pochi giorni prima possedeva un potere enorme: era riuscita a manipolare e a piegare al suo volere alcune porzioni delle numerose dimensioni che componevano il regno che dominavo. Avrei dovuto intervenire per sottrargli un predominio che non gli spettava, ma questo avrebbe comportato uno spreco di tempo e di risorse che ora non intendevo stornare dal mio obiettivo.
    Avevo reso possibile la sua evasione perché avrebbe creato la confusione di cui necessitavo per continuare ad agire indisturbata. Inoltre, ero anche lieta di essermi tolta da vicino un simile essere pericoloso e astuto. Il rischio che si accorgesse che qualcosa di inusuale stesse accadendo, che potesse notare alcune stranezze nei miei movimenti era maggiore con la sua presenza, ed era anche per quello che avevo tramato, ingannando Selene riguardo la Pietra Brahmasta, perché riuscisse a liberarsi.
    Non mi era sfuggito il rapporto che stava intessendo con una persona al di fuori della prigione. Non ero sprovveduta e in qualche modo agevolato una simile violazione, che mi avrebbe consentito di continuare a controllare il gioco pur rimanendo fuori da ogni sospetto. Neanche mi importava di sapere l'identità della sua vittima – la quale mi avrebbe dato sicuramente meno problemi di lui, prigioniero troppo insidioso - ma ora, a sorpresa, mi trovavo davanti un manipolo di incoscienti, troppo coinvolti dalle loro personali motivazioni per valutare con saggezza i rischi a cui andavano incontro: perdersi, vagando fino all'eternità attraverso mondi, realtà alternative, che si dispiegavano senza ordine alcuno, come un gioco di scatole cinesi o un labirinto senza uscita.
    Non li avrei fermati, perché ero certa che senza il mio aiuto non sarebbero riusciti, se non dopo un peregrinare sfiancante, neanche ad avvicinarsi alla prigione nell'Abisso; quanto poi a liberare lo sventurato che aveva preso il posto del precedente prigioniero... quella poteva essere solo un'idea che sfiorava l'impossibile.
    Per liberarlo erano tre persone pronte a sfidare un viaggio periglioso: il Generale Thot, la Guerriera Iuventas e una donna dagli occhi scuri e disperati come la pece. Come erano legati al prigioniero? Il Generale aveva nominato il suo Compagno Alato: una connessione viscerale legava due esseri prescelti, uniti e sodali come un cavaliere con il suo scudiero. Un rapporto rimarchevole, ma che non giustificava del tutto la loro spedizione, non sicuramente in questo momento, quando tutto l'Impero era in subbuglio e pronto alla guerra contro un nemico implacabile. Cosa c'era di altro? Quale motivazione potevano nascondere dietro la loro follia? Legami di affinità di tipo diverso, certamente. Nodi e nastri che avvincevano ogni essere vivente, che vincolavano anche me, per quanto li avessi celati con ogni precauzione.
    “La persona che cerchi, se di lei è ancora rimasto qualcosa, ovviamente non si trova qui, alle soglie del mio regno...”
    Vidi un moto di orrore attraversare i visi dei tre. Solo il Generale ebbe la forza di chiedere, di continuare a sperare, di proseguire incrollabile come un uomo dentro una tempesta: forse per caparbietà, forse per inerzia, avanza un passo dopo l'altro, senza quasi chiedersi dove poserà il piede il passo successivo, se sul terreno solido o nel vuoto di un burrone.
    “Dimmi come facciamo a raggiungere il luogo dove si trova, se c'è un modo per liberarla dalla prigione senza condannare un altro innocente a subire lo stesso castigo!”
    Lo fissai con attenzione. Scossi il capo. Il divertimento nell'esercitare il mio potere, nel decretare la salvezza o la disperazione di quanti erano costretti a rivolgersi a me stava esaurendosi. Nel tono e nello sguardo dei tre non rinvenivo la mansuetudine e la sottomissione che pretendevo dai miei supplici. Se sondavo i ricordi della mia “altra” capivo che non era quello il modo in cui lei aveva gestito il potere, né nel suo mondo di origine né in quello attuale, quello doppio in cui ero arrivata in gran segreto e che avrei manipolato per far risorgere il mio mondo.
    Li apostrofai con superbia e irrisione.
    “Pensate che si tratti solo di trovare la strada giusta, in mezzo ad un mare di varianti? Che nessuno proverà ad ostacolarvi?”
    Avevo cambiato idea. La loro sfrontatezza e mancanza di rispetto mi avevano indispettito, ma c'era altro che ora aveva acceso una piccola scintilla di allarme. Niente aveva il potere di piegare la loro volontà, che fosse il pericolo, le minacce o la paura. Un dubbio si era insinuato nella mia sicurezza: la probabilità, per quanto insignificante, che i loro sforzi potessero riuscire a liberare la donna che stavano cercando. Che la prigione rimanesse vuota anche per un lasso di tempo brevissimo, che si alterasse il suo stato come non era mai avvenuto in millenni dalla sua creazione. Un vuoto in quel punto dello spazio avrebbe reso instabile tutto il resto, portando tutto al collasso.
    “Ogni azione ha delle conseguenze, e non vi permetterò di evitarle”
    Alzai il braccio, per evocare i miei schiavi più mostruosi e ripugnanti.
     
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    Roberta
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    :Iuventas:
    Ero rimasta pietrificata quando avevo udito Senu dire che Horus era sua figlia. Non conoscevo questa donna e il Compagno Alato di mio fratello non aveva mai parlato della sua famiglia, tanto meno di una madre ancora in vita. Era sempre molto schiva e riservata su questo argomento. Ritrovarmela improvvisamente d’innanzi mi regalò una forte emozione perché era evidente quanto fossero simili. Nei tratti del volto, di sicuro, però ciò che gridava maggiormente il loro essere madre e figlia era il portamento fiero con il mento sempre all’insù, lo sguardo intenso di chi ha coraggio da vendere e una determinazione senza eguali, la stessa che Senu stava mostrando in quel momento, mentre si ostinava a voler partecipare a quella sorta di missione suicida per salvare Horus. L’ammirai per questo e mi ripromisi di dirglielo alla prima occasione. Sperai con tutta me stessa che il folle piano che avevamo in mente sarebbe andato a buon fine, altrimenti avrei dovuto raccogliere molti più cocci di quanto avevo previsto. Horus aveva tante, tantissime persone che l’amavano con tutto il cuore e che erano disposte a qualsiasi sacrificio pur di portarla in salvo. Lei doveva sapere cosa provava mio fratello, doveva sapere che sua madre era arrivata da chissà dove per aiutarci. Io… beh, io non c’entravo. Ero solo una sorella un po’ pazza e dannatamente impulsiva, che odiava le ingiustizie e i finali tristi. Horus non era sola e non lo sarebbe mai stata, avevo imparato a conoscerla, nonostante il suo carattere chiuso, e le volevo bene, davvero! Lei e mio fratello meritavano il loro “lieto fine” e io avrei lottato con tutta me stessa per regalarglielo.
    […]
    Ammirare Persephone in tutta la sua maestosa imponenza, abbigliata di pelle nera, mi metteva ogni volta un po’ di soggezione. Era una donna forte e spregiudicata. Aveva in ogni occasione il pieno controllo di sé e delle sue azioni. Era calcolatrice e sapeva sempre quello che voleva! Considerarla una Guerriera al pari della Principessa Selene o di mia sorella Ares, mi dava una strana sensazione, fin dal principio avevo percepito la sua “diversità”, per il suo modo di fare, per il suo stile di vita… e lei non si era mai impegnata a mostrare il contrario, non aveva mai voluto uniformarsi e preferiva vivere nel suo mondo, intervenendo nelle battaglie e svolgendo il suo ruolo, solo nel momento opportuno, quando serviva…
    Da un po’ di tempo a questa parte, però, nelle pochissime occasioni in cui l’avevo incontrata, quell’avvisaglia di soggezione si era trasformata in vero e proprio disagio. Percepivo un’essenza particolarmente combattiva in lei, simile a quella di prima ma con una sfumatura più oscura. Sarei impazzita se fossi andata a indagare su ogni strana percezione che il mio cervello elaborava. Ero fin troppo analitica a volte, e quando si trattava di sensazioni altrui non mi batteva nessuno. Ero un’ottima osservatrice, ma in tante occasioni, molte delle mie bizzarre ipotesi restavano a ronzarmi in testa, come falene impazzite, senza ottenere una risposta o una spiegazione. E Persephone sarebbe rimasta ancora un enigma oscuro e impenetrabile.
    Con Pandia c’ero riuscita, invece. Avevo “sentito” che ci stava nascondendo qualcosa di davvero importante e alla fine avevo scoperto di cosa si trattava. Ripensare alla mia amica innamorata sulla Terra mi scaldò il cuore, che subito dopo, però, mi si gelò di nuovo nell’ascoltare il discorso della Signora degli Inferi.
    Ci stava scoraggiando e pensava che non avremmo mai avuto scampo in quel mondo fatto di molteplici dimensioni. Non sapeva dove fosse Horus, ma non esitò a confonderci con discorsi sibillini e vagamente minatori.
    Alla vista delle sue “minacce” plasmate in spettri orribili e ripugnanti, un profondo moto di collera mi invase. Avrei voluto saltarle addosso e strapparle i capelli, adesso perfettamente acconciati, uno a uno, così magari avrebbe perso la sua aria da inquietante regina dell’oscurità. Era davvero cattiva … ma perché? Da che parte stava? Era o no una Guerriera? In quel preciso istante, di sicuro era nostra nemica. Invece di aiutarci, guidandoci nel suo Regno, che conosceva in ogni anfratto, si era rivoltata contro di noi e voleva solo ostacolarci. Che diavolo significava che “ogni azione ha delle conseguenze?!”, volevamo solo salvare Horus, era una causa nobile e lei si aggrappava a delle stupide regole di questo e dell’altro mondo, maledette regole!
    Intanto, mentre inviavo silenziose maledizioni contro Persephone, percepii la mano di mio fratello sul braccio e lo vidi porsi davanti a me e a Senu, che era al mio fianco. In un puro gesto istintivo, aveva pensato di proteggerci col suo corpo, ma non c’era nessuno da difendere. Eravamo delle combattenti e non ci saremmo tirate indietro. Il gruppo di immonde creature si stava avvicinando.
    “Toth, dobbiamo combattere. È necessario che attraversiamo quella porta!” dissi con convinzione, indicando un enorme portone alle spalle dei nostri avversari. Volevano impedircelo, ma ancora non sapevano con chi avevano a che fare.
    Mio fratello tornò in sé e vidi nel suo sguardo il guerriero coraggioso che era.
    “Va bene, siamo in tre, ce la possiamo fare! Disponiamoci schiena contro schiena, così potremo proteggerci l’un l’altro, evitando attacchi alle spalle. Non allontanatevi troppo, intesi?!” ci diede disposizioni con piglio militare, com’era suo solito.
    Io risposi senza esitazioni “Andiamo a fare fuori quei mostri” e poi, entrambi guardammo Senu. Non sapevamo con certezza se fosse una guerriera, ma il fatto che provenisse da Koronis e che fosse la madre di Horus, ci aveva dato una relativa sicurezza. Lei non batté ciglio e annuì.
    Ci disponemmo secondo le indicazioni del Generale e ci preparammo a respingere l’orda di nemici. Lo scontro fu feroce, senza esclusione di colpi. Ma i nostri avversari erano anime perdute redivive, non erano addestrati e motivati quanto noi.
    Senu combatteva con grazia e determinazione. Toth era una furia e nessuno sopravviveva al suo tocco di morte.
    Io, mi difendevo dagli affondi e attaccavo sfruttando la mia rapidità e la mia agilità. Mi allontanai solo di pochi passi dalla formazione per finire un nemico e due spettri mi furono addosso all’unisono e con una forza che non avevo preventivato. Mi scaraventarono al suolo e mi bloccarono, limitando i miei movimenti. Non esitai… con le braccia bloccate dai loro corpi, ma le mani libere, li toccai. Erano viscidi, come se fossero fatti di gelatina. Repressi un’ondata di nausea e sprigionai il mio potere. All’improvviso, i due che mi sovrastavano si trasformarono in finissimo cristallo. Adesso leggeri come piume li scaraventai lontano da me e andarono a infrangersi in mille schegge brillanti contro un ostacolo non ben definito nel buio.
    Mi sollevai da terra ansimante, ma ancora piena di energie. Incrociai lo sguardo di mio fratello, e io lo tranquillizzai. “Fatevi sotto, maledetti!” pensai adirata.
    Non avevo bisogno di imporre le mani per trasformare la viscosa essenza degli spettri in fragili materiali, bastava averli a poca distanza. Attendevo il momento giusto e poi attaccavo. Terra, vetro, gesso, e poi li distruggevo uno a uno con un calcio rotante, con un montante degno di un pugile…
    Quando, dopo un tempo indefinito, ma che ci era parso interminabile, i nemici furono tutti abbattuti, ci voltammo verso l’enorme portone e ci avvicinammo con cautela. Persephone era scomparsa.
    All’improvviso, vedemmo spuntare dalla fitta oscurità altri feroci schiavi, che si avvicinavano nella nostra direzione. Senza pensarci su due volte e con tutta la fretta che ci animava, varcammo la soglia tanto agognata. Non sapevamo cosa avremmo trovato dall’altro lato, ma da qualche parte saremmo sbucati, e con un po’ di fortuna, ci saremmo avvicinati, anche solo di poco, alla nostra Horus.
    Al di là dell’enorme portone si dipanò d’innanzi ai nostri occhi un lungo corridoio immerso nella semi oscurità. Il grigio delle mura di pietra era il colore dominante e le pareti ai nostri lati erano puntellate da usci chiusi o semi aperti, dai quali filtravano fasci di luce abbaglianti. Avanzammo con enorme cautela, non sapevamo cosa aspettarci.
    “Questo è il covo degli Assassini sulla Terra, ci sono stato… tanto tempo fa!” disse Toth, con una vena d’incredulità e di infinita tristezza nella voce.
    “In quale occasione era stato sul pianeta Terra? Con gli Assassini per giunta!?” Quella frase, buttata lì a mezza voce da mio fratello era del tutto fuori luogo. Comprendevo che non era certo il momento di fare domande, ma mi ripromisi di approfondire il discorso un’altra volta, semmai fossimo usciti sani e salvi da quella folle prigione multidimensionale.
    Senu ci seguiva silenziosa, ma molto attenta ad ogni movimento e pronta a scattare in caso di pericolo. Mi portai avanti e raggiunsi una porta aperta per metà. Rimasi quasi accecata dal bagliore intenso che scaturiva dall’interno della stanza, ma poi i miei occhi si abituarono e iniziai a distinguere ciò che mi si parava d’innanzi. O meglio chi… Pandia.
    Era voltata di spalle, ma l’avrei riconosciuta anche al buio. I fluenti capelli castani e la postura decisa erano un marchio difficile da eludere, ma il suo corpo era avvolto da una morbidezza differente, le sue forme erano dolci e appena arrotondate. Quando si voltò nella nostra direzione, restai di sasso. Non pareva potesse scorgermi, al di là della soglia, ma io potei osservarla con immenso stupore e tenerezza. Pandia non era sola, ma teneva tra le braccia un bimbo, o una bimba, non potevo saperlo, e lo cullava con una dolcezza fatta di nuvole e soffice cotone. Il suo sguardo era calamitato dal piccolo e pareva non esistesse nulla all’infuori di quel batuffolino che teneva stretto al seno.
    Nel frattempo, percepii la presenza di mio fratello e di Senu alle mie spalle. Il volto stupito di Toth rispecchiò il mio e una cascata di emozioni contrastanti lo avvolsero. Non compresi tutte le sfumature del suo sguardo, ma potevo capire che una simile visione, potesse essere destabilizzante. Lei era la nostra Pandia, la mia amica, la sorella della Principessa Selene e vederla con un bambino in braccio era del tutto nuovo.
    Ma in quale dimensione eravamo finiti? Cosa ci aveva portati a “vedere” qualcosa di tanto lontano dalla realtà?! Oppure era vicinissimo… Sapevo che Pandia era innamorata di Ezio e che stava mettendo in gioco tutta se stessa e i suoi sentimenti per saperlo al sicuro. Che quel pargoletto fosse il frutto del loro amore? Che in qualche modo fossimo arrivati nei sogni più profondi di Pandia? Era tutto assurdo e risuonava tale anche alle mie stesse orecchie, ma ci trovavamo in un labirinto di dimensioni sconosciute, e quella onirica poteva benissimo essere una di queste.
    Toth era come in trance, fermo sull’uscio.
    “Pandia… il bambino è…” stava dicendo, ma fu interrotto da una voce possente alle nostre spalle.
    “La bambina… ed è bellissima come la madre!” affermò convinto. L’Assassino Ezio Auditore era giunto a pochissima distanza da noi e ci osservava con curiosità e una vena di… ammirazione? Di sicuro non si aspettava di vedere un trio tanto sconclusionato all’interno del suo covo, pur essendo in un’altra dimensione.
    L’ultima immagine che avevo di lui era di pura sofferenza, prigioniero nell’Abstergo, costretto a torture indicibili, inconsapevole che una persona che lo amava con tutta se stessa, stava soffrendo alla stessa maniera. Vederlo qui, sereno, innamorato e padre, mi diede una fortissima sensazione di felicità e un’immensa speranza si aprì nel mio cuore. Era bello poter vedere, che almeno, in una piega sconosciuta del tempo e dello spazio, la mia amica e il suo adorato Assassino, avevano potuto essere felici, realizzando il loro sogno di stare insieme, coronandolo con la gioia di un figlio. E la medesima speranza mi spinse a pensare che forse la nostra missione non era una follia, che qualche possibilità reale di salvare Horus ce l’avevamo. Non tutto era malvagio e negativo in quel mondo.
    “Venite, seguitemi… dobbiamo parlare!” disse Ezio, invitandoci ad andare con lui.
    Lanciai un ultimo sguardo alla Pandia-mamma e sorrisi. Sapevo che non sarebbe stato semplice tirare fuori Horus dal limbo oscuro in cui era rinchiusa, ma di sicuro, avevamo a nostro favore una tenacia ineguagliabile e un’incrollabile fede nel Bene Supremo che sapevamo, non avrebbe mai consentito che un innocente pagasse per colpe che non aveva commesso.
     
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