Altair & Aphrodite Origins

Earth Prime

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    Gerusalemme, 1191
    Cercai di scavalcare la pozzanghera di acqua scura in modo che il vestito di seta non venisse macchiato o bagnato, ma non sarei riuscita senza risultare sgraziata o troppo prodigiosa per gli standard umani. Sbuffai contrariata. Feci cenno alla mia serva di stendere il suo mantello sulla parte meno profonda di quella pozza putrida, e poi lo calpestai indifferente con le mie scarpette ricamate.
    La strada per raggiungere il sūq era molto trafficata, e l'andirivieni di persone e carri trainati da animali riduceva in uno stato inaccettabile le strade della città. C'era poco tempo per fare riparazioni o migliorie, quando il territorio era continuamente conteso tra due eserciti, e il dominio di un sovrano o di una nazione durava quanto il battito di ciglia.
    Erano vicende che osservavo con il cuore leggero di chi sa di non poter essere sfiorato da nessun orrore o disagio perché privilegiato dalla sorte. Avevo scelto di trascorrere un breve periodo sul Pianeta proibito solo per il gusto di provare nuove sensazioni, di qualsiasi tipo mi venissero offerte.
    Sistemai con cura il velo a coprire la parte inferiore del viso, per non avere scocciature se non avessi rispettato i costumi di questa cultura che per molti versi era simile a quella venusiana e per altri profondamente più limitativa quando si trattava di comportamenti sociali.
    Mi divertivo a interpretare dei ruoli, quindi accettavo le costrizioni come una distrazione innocua e divertente, purché temporanea e dal termine che dipendeva dalle mie scelte.
    Nonostante non potessi mostrare il mio viso in pubblico, anche solo il magnetismo del mio sguardo, il colore unico delle mie iridi attirava occhiate passionali e lussuriose da parte degli uomini che incrociavano la mia strada.
    Nel mercato coperto l'atmosfera era caotica e fitta, misteriosa e invitante. Le bancarelle ricolme di mercanzie di ogni specialità e valore occupavano gran parte dello spazio, lasciando solo un piccolo passaggio per i numerosi clienti che si affollavano a quell'ora della mattina.
    I colori sgargianti dei tappeti tessuti a mano e delle stoffe da drappeggiare come vesti risaltavano in mezzo all'oro degli oggetti in metallo, delle lanterne, dei piatti e delle altre stoviglie per le tavole dei nobili e delle famiglie agiate del distretto ricco dove era situato la residenza del Sultano.
    Raggiunsi il mercante che vendeva l'unguento di rosa che rendeva la mia pelle ancora più serica, dopo aver attraversato quel mare multicolore e disordinato.
    La sera stessa ci sarebbe stato una grande ricevimento per onorare la recente vittoria in una campagna di conquista del grande e illustre sovrano del popolo mussulmano, che aveva occupato Acri senza neanche scoccare una freccia. Gli abitanti della regione amavano il grande condottiero che combatteva gli infedeli giunti da ovest, e le porte delle città si aprivano come per magia davanti a lui. Era il tipo di uomo che più mi soddisfaceva sedurre, era per questo che mi ero candidata come concubina e avevo subito conquistato il suo favore.
    Non mi interessavo minimamente degli affari politici o religiosi di questo pianeta, non avevo nessuna competenza né giurisdizione come Guerriera, quindi sarebbe stata fatica sprecata. In compenso, già pregustavo tutti i piaceri che mi sarei goduta durante i festeggiamenti, tutta l'attenzione e l'adorazione che avrei ricevuto da ogni uomo presente, ogni singolo pensiero di invidia delle donne.
    “Tutto quello che offro è della migliore qualità e al miglior prezzo, per la favorita del nostro amato Sultano Salāh ad-Dīn!”
    Sorrisi amabile per nascondere il fastidio che quell'idiota mi stava procurando nel tentativo di promuovere ad alta voce la sua merce. Non era opportuno che attirassi la mia attenzione in questa maniera, qualche altra cortigiana invidiosa poteva raccontarlo ad uno dei consiglieri del sultano e costringerlo a rinchiudermi nell'harem come punizione per la mia indiscrezione. E in quel modo, molto del divertimento della mia vacanza sarebbe terminato.
    Pagai e feci consegnare alla serva i miei acquisti. Con un gesto aggraziato fissai nuovamente il velo al mantello e ne approfittai per guardarmi intorno e accertarmi di non aver attirato l'attenzione su di me. Il cuore mancò un battito quando mi accorsi che le parole del mercante erano state purtroppo udite da qualcuno che ora mi fissava con insistenza, ne avevo la certezza nonostante si fosse riparato dietro una tenda stesa tra le bancarelle e avesse il viso oscurato da un cappuccio bianco. Assomigliava ad un mistico cristiano, di quelli che giravano in piccoli gruppi per le strade in atteggiamenti pii e meditativi. Aveva perso i suoi compagni?
    Presi nota mentalmente di vendicarmi di quello stupido venditore: avrei rovinato la sua reputazione senza pietà, facendogli perdere tutti i suoi clienti facoltosi.
    Mi feci largo tra la folla affaccendata, attraversando pozze di luce che provenivano dalle finestre alte e dalle aperture sul tetto. In mezzo alla confusione, non ebbi modo di stabilire con certezza se l'uomo che avevo notato in disparte mi stesse seguendo.
    Era eccitante, essere la preda che doveva eludere gli occhi bramosi del cacciatore, tanto più che mi sarebbe bastato davvero poco per vincere il gioco con chi mi tallonava, se lo avessi desiderato. Ero l'amante prediletta del sultano, ma odiavo limitarmi ad un solo uomo per volta, quindi avevo preteso e ottenuto l'indipendenza nelle mie scelte in fatto di compagnia maschile. Avevo sapientemente utilizzato le capacità amatorie per estorcere questo e altri privilegi all'integerrimo e inflessibile sovrano. Potevo farlo e mi divertivo molto a esercitare il mio potere.
    Lasciato il bazar spedii al Palazzo la serva, con la scusa che desideravo visitare la moschea prima di pranzare, per ammirarne la cupola dorata che rifletteva superba la luce del sole. Nonostante la resistenza della ragazza dovuta al timore di essere battuta per avermi lasciata da sola a passeggiare per le vie non sempre sicure di Gerusalemme, me ne liberai in pochi attimi. La sua scelta era tra la probabilità di essere punita dal capo dell'harem e la certezza di subire i miei dispetti qualora non mi avesse permesso di soddisfare i miei capricci. Si dileguò in pochi secondi verso la strada che recava alla nostra dimora.
    Mi guardai con attenzione e finta noncuranza intorno. Nessun uomo abbigliato di bianco era in vista. Provai un moto di delusione, ma ormai avevo deciso che avrei attraversato il quartiere e mi sarei regalata quel giro fuori programma, quindi mi avviai per le strade assolate della città, il passo leggero e sinuoso.


    Edited by Illiana - 10/5/2021, 17:09
     
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    Camminavo per le vie di Gerusalemme con la leggiadria e l'attenzione che solamente un Assassino del mio calibro poteva avere. Ero un fantasma nella folla, nessuno si accorgeva di me se non volevo che così fosse, ma al contempo divenivo "visibile" ed interessante ad occhi altrui se decidevo il contrario.
    Di fatto ero il migliore e lo sapevo, forse per questo la frustrazione che provavo in quel preciso momento per una missione tanto patetica quanto inutile, mi consumava fin dentro le ossa.
    Non ero certo un chiacchierone, ma i miei silenzi accompagnati da occhiate torve e gesti stizziti valevano più di mille parole, come quando avevano strappato dalle mani di Malick la pergamena con le istruzioni della mia imminente missione.
    "Recuperare una missiva del Sultano scritta ad una sua amante straniera prima che divenisse pubblica. Tsk!" pensai alquanto infastidito, mentre seguivo nell'affollata città e i vicoli stretti da circa un quarto d'ora una delle numerosi amanti del Sultano. La prediletta. La più odiata dal resto dell'harem, desiderata dagli uomini della corte e invidiata dalle donne della stessa.
    La osservavo annoiato e stanco dai suoi continui capricci, dal suo continuare mettersi in mostra e dal suo modo di fare frivolo ed irritante. Certo aveva una bellezza, che traspariva dallo sguardo magnetico, a cui era difficile rimanere indifferenti, ma a parte quello non era certo il tipo di donna che era solito attirare le mie attenzioni.
    Quasi quasi ero tentato di far sì che la missiva divenisse pubblica, sarebbe stato divertente vederla uscire di sé ed isterica infuriarsi nel scoprire che il Sultano aveva scelto come sua "vera" prediletta un'infedele all'infuori del suo harem piuttosto che lei. Una che addirittura si diceva avrebbe potuto sostituire l'attuale moglie.
    Abbandonai ogni mio proposito di mandare all'aria la missione, nonostante le tentazioni, e decisi di cambiare strategia. Noiosa per noiosa la missione potevo almeno renderla un poco più interessante giocando un po' al gatto con il topo con la suddetta.
    Dopotutto sapevo che la missiva perduta fosse in mano a qualcuno nella corte e se dovevo intrufolarmi in essa perchè farlo in modo veloce e facile, quando potevo prendermela comoda e magari passare la giornata?
    Sicuro di me e delle mie capacità giocai un po' al gatto con il topo e nel momento in cui si sentì al sicuro, scomparendo alle sue calcagna, mi ritrovò esattamente di fronte a lei. Soli in un vicolo, cappuccio abbassato ed un ghigno sul volto. Fu solo allora che mostrai il mio volto avvicinandomi silenzioso e sicuro a lei, incatenando il mio sguardo al suo.
    "Non dovreste camminare da sola in questa zona della città, non si sa mai gli incontri che si possono fare..." mormorai con voce bassa e calda.
    Sopra di noi un arcobaleno di colori per via dei panni stesi delle case povere e diroccate, poco lontano il chiasso della via principale con i suoi mercanti e i profumi di spezie.
    "Parlate di quello appena avvenuto? Non vedo pericoli in vista..."
    Non sapevo se mi stava sbeffeggiando, per via del suo carattere civettuole, o ancor peggio mi stesse sottovalutando. In entrambi i casi non lo amai particolarmente, motivo per cui con un movimento fluido e deciso le fui così vicino da non darle il tempo di reagire, mentre facendole adagiare la schiena al muro la bloccai con il mio corpo contro esso.
    Rimasi a guardarla cercando di capire se adesso era ancora pronta a ridermi in faccia eppure nonostante la situazione pareva calma, anzi divertiva. Come chi aveva appena ottenuto quello che voleva.
    Inutile dire che la frustrazione crebbe a dismisura tanto che dovetti trattenermi. Non volevo certo dimostrarle che la stava avendo vinta e così capì che dovevo cambiare strategia. Mi allontani di scatto e le detti le spalle pronto ad incamminarmi ed andarmene.
    "Perdonatemi vi avevo scambiato per una delle 7 dee del Sultano" così chiamavano le sue preferite dell'harem "è chiaro come il sole che non potete essere una di esse" conclusi fermandomi e voltandomi verso di lei squadrandola da capo a piedi.
     
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    Gerusalemme mi aveva sedotta per le sue mille sfaccettature, per le tante sfumature della sua vita, per la varietà di luoghi da scoprire: bastava girare un qualsiasi angolo, imboccare un vicolo per scoprire un nuovo mondo e trovarsi immersi nel silenzio assoluto quando fino a pochi passi prima era un continuo vociare. Stanca della folla, avevo scelto giusto una stradina in ombra per proseguire la passeggiata mattutina.
    Il mio pensiero tornava ogni tanto su quella figura incappucciata notata nel sūq. Forse lo avevo seminato, forse non aveva mai avuto nessuna intenzione di seguirmi. Avevo quasi perso le speranze di rivederlo e di scoprire chi si nascondeva tra le ombre quando, come si fosse materializzato dal nulla, lo vidi fermo pochi passi avanti a me.
    Il suo viso rimaneva nascosto, ma in compenso potevo osservare altri particolari che in precedenza non erano visibili, come le spalle erette e il portamento sicuro di sé, quasi altezzoso. Quello che non avevo notato nel trambusto del mercato era il suo abbigliamento completo. Solo la veste bianca assomigliava ai mistici stranieri; per il resto, indossava una cintura molto vistosa con dei coltelli, una spada assicurata alla schiena, delle protezioni per il combattimento.
    Quando mi parlò, notai più che altro il timbro, così vibrante e sensuale. Sorrisi di piacere, un sorriso a beneficio di nessuno, dato che il velo era ancora fissato a coprirmi il viso.
    Avvertivo una tensione crescente tra di noi, ma non del tipo che mi interessava. Sembrava starsene sulle sue, con atteggiamento intimidatorio, quando all'improvviso mi bloccò contro il muro. Il suo corpo era solido, scattante, muscoloso e giovane, le sue movenze eleganti e controllate. Pareva un magnifico esemplare di giovane predatore che si muoveva nel suo territorio di caccia, silenzioso e letale. Non riuscii a reprimere un nuovo sorriso, sempre dietro la protezione della mia maschera.
    Finalmente potevo vederlo in viso, i nostri occhi quasi alla stessa altezza. Lo osservai con molta attenzione: i lineamenti perfetti tesi in un'espressione arrogante e infastidita, la pelle ambrata e liscia, gli occhi talmente neri da non distinguere le pupille, le labbra piene di una tonalità poco più scura del viso, attraversate da una cicatrice. A differenza di molti uomini della sua età, non portava la barba, e la mascella inferiore era ben delineata ma attualmente contratta.
    Era attraente e prestante, e decisi senza esitazioni che sarebbe stato mio. La sua vicinanza non mi disturbava né mi preoccupava ma anzi, mi affascinava. Mi incuriosiva e mi piaceva, era una vista deliziosa e intrigante. Nella mia mente si risvegliarono intensi desideri erotici.
    Sembrava indifferente alla mia avvenenza, e questo rendeva la conquista ancora più interessante. Sarebbe stato mio, che lui lo desiderasse oppure no. Per questo capriccio, che ora era diventato una ferma volontà, gli avrei perdonato la maleducazione, scelta o involontaria, che traspariva dal suo comportamento.
    Attesi che lui manifestasse le sue intenzioni, ma qualcosa nel mio comportamento lo disturbò. Si allontanò bruscamente così come si era avvicinato, e si voltò per andarsene, anche se si fermò pochi passi dopo, quasi con un ripensamento.
    Cosa significava il suo modo di fare? Voleva spaventarmi con la sua prestanza fisica, costringermi a fare delle cose o rapirmi per ottenere un riscatto? Eppure, non aveva proprio l'aria di essere un comune criminale, e solo questo mi tratteneva dall'usare su di lui la mia potenza guerriera.
    "...è chiaro come il sole che non potete essere una di esse"
    “Perché no?” Domandai con finta ingenuità. Conosceva la mia identità, anche se aveva intravisto il mio viso solo pochi istanti, e la sua chiara provocazione non mi scompose di un nonnulla. Mi avvicinai a lui e mentre parlavo, lo toccai sul braccio. Sotto la stoffa, sfiorai i muscoli tesi, ben delineati. Con la punta delle dita, risalii alla spalla, arrivai alla schiena ampia, solida, mentre gli giravo intorno con lentezza. Lui stava fermo, guardando fisso davanti a sé, mostrando di volermi ignorare. Ma io sapevo bene che non era così...
    ”Osate spaventarmi comparendo come un fantasma, mi aggredite e poi mi insultate... chi siete per comportarvi così? Ho sentito parlare di spie che agiscono senza dare nell'occhio. Potrei chiamare le guardie che vi metterebbero in fuga, e se riuscissero a catturarvi, verreste punito come meritate”
    Accarezzai l'altro braccio, scendendo giù fino al polso, fino alla mano protetta da un guanto di cuoio che lasciava scoperte le dita. All'anulare mancavano le ultime due falangi. Mani forti e micidiali, l'occhio non mi ingannava.
    Il tono era leggero, quasi disinvolto; non ero intimorita, bensì attratta e non avevo intenzione di nascondere la mia predilezione per lui.
    ”Oppure, mi direte cosa volete da me, dalla favorita del Sultano. Perché tutti vogliono qualcosa...”
    Terminai il mio discorso di nuovo di fronte a lui. Eravamo vicinissimi, senza però sfiorarci, e con fare seducente lo fissai nei suoi occhi che mandavano lampi di sfida.


    Edited by Illiana - 10/5/2021, 17:09
     
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    Osservai con sguardo circospetto la donna girarmi intorno. La Favorita del Sultano? Tsk a quanto pare il mio sesto senso non sbagliava e la mia capacità di aver a che fare sempre e solo con la qualità era una dote innata, la stessa che chiaramente non comprendevano all'interno della Confraternita.
    Ero tra i migliori, avevo salito la scala gerarchica in un batter di ciglia e poi per "colpa" del mio carattere (così dicevano) sicuro (ma lo definivano superbo) mi avevano degradato a peggio di un Assassino semplice.
    Una cosa era certa la suddetta non lo avrebbe mai saputo ed io mi sarei goduta quella stupida missione fino in fondo. Perchè risolverla in mezza giornata quando avrei potuto irritare i miei confratelli? Non mi pareva che mi avessero dato un orario di scadenza per la suddetta no?
    "Mi avete colto in fallo فافوريتا" dissi non lasciandomi sfuggire un sorrisino compiaciuto per le attenzioni che mi stava dando.
    Sapevo riconoscere una donna quando mi circuiva e seppur non credo che ci avrei mai passato la vita intera, una notte era più che accettabile anche solo per dimostrare di quanto io, Altaïr Ibn-La'Ahad, ero stato in grado di conquistare la donna più irraggiungibile di Gerusalemme.
    La vertà è che non mi aspettavo di incappare immediatamente nel pesce grosso, ma non era un male, forse così il recupero della missiva sarebbe stato più veloce e soprattutto non mi avrebbe costretto a lunghi e noiosi sotterfugi. Non era certo mio interesse dover ammaliare tutte le donne dell'harem del Sultano prima di trovare quella giusta che possedesse la lettera... Altro conto era la Favorita. Aveva senso che fosse in mano sua e se così no fosse stato indubbiamente sapeva chi l'aveva.
    "Ammetto di essere stato irrispettoso nei Vostri confronti, soprattutto in virtù del fatto che ho avuto l'ardire di fare pensieri poco carini su di Voi" dissi senza trattenere un ghigno. La stavo adulando? No affermavo la realtà. Anche se forse lei aveva capito cose assai diverse, ma ammetto che io avevo volutamente parlato in condice in cerca di un velato doppiosenso.
    Da quel che sapevo la missiva poteva creare tensioni poco gradite al Sultano che attualmente aveva la mente occupata con un evento ben più importante: la grande festa che avrebbe dato a palazzo e a cui sarebbe stati presenti Roberto conte di Dreux e la sua consorte Yolanda di Coucy.
    Roberto aveva partecipato all'Assedio di San Giovanni d'Acri e alla Battaglia di Arsfu ed il Sultano sperava di mettere presto fine a quella Crociata. L'incontro era un tentativo dei due leader di parlarsi e contrattare e sicuramente, anche se non mi era stato affidato l'incarico, non avrei perso l'occasione per indagare. Le possibilità di una buona riuscita erano misere.
    Dopotutto era davvero così importante la missiva di una odalisca che cercava gloria ed un posto di rilievo nell'harem a fronte di un possibile incontro politico dai risvolti inattesi? La presenza di Roberto era una segreto, ma il mio lungo giro mattutino al souk non era stato fino a sè stesso. L'idea era di tornare alla Confraternita ed avvisarli di tali novità, ma credevo che tornarci con la buona riuscita di una missione fosse meglio.
    “Sarei curiosa di sapere quali...” mi prese in giro, mentre io rimasi colpito dall'osservare sempre meglio di quanto la sua pelle risultasse chiara appena sotto il velo. E i capelli? Erano forse ciocche bionde quelle che intravedevo? Gli occhi poi sembravano azzurri, ma ora che mi era così vicino notai che avevano una tonalità ghiaccio che mai avevo visto prima. Fosse lei colei di cui mi parlavano? Dopotutto dicevano che si trattava della donna più bella ed esotica che l'harem avesse mai visto.
    "Posso porvi una domanda?" chiesi anche se non mi interessava davvero avere la sua autorizzazione, ero più che altro incuriosito e sì, lo ammetto, in parte incantato da lei. Come se mi avesse ipnotizzato con il suo sguardo e le sue lievi carezze.
    "Non siete di qui, dico bene? I vostri tratti e i colori appartengono a terre lontane... terre che non ho nemmeno la certezza di conoscere..."


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 25/9/2020, 15:27
     
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    Sospirai misteriosa in risposta alle sue domande. Poi mi avvicinai lentamente al suo viso e sussurrai seducente: “Potrei raccontarvi del luogo dal quale provengo, dove la bellezza è la norma e il piacere l'unico scopo della vita ma... non so quanto tempo ci è concesso...” Allontanai il viso quel tanto che bastava per studiare i suoi occhi.
    Gradivo la sfrontatezza della sua condotta, l'arroganza nel suo parlare, così diretta, quasi un insulto, considerando che si stava rivolgendo a me come se fossi una persona inferiore o un suo familiare. Su Venere esistevano complesse regole che codificavano ogni aspetto sociale, e anche in questo paese non era diverso, e costui mancava del rispetto e della deferenza necessaria per trattare con donne come me. Quest'uomo, nella sua insolenza, sembrava ignorare volutamente ogni norma, quasi ritenesse che le regole non fossero valide per lui.
    Il suo atteggiamento mi intrigava, così come mi piaceva sentirlo parlare, farmi accarezzare dalla sua voce calda e piena, vibrante di promesse.
    Uno scalpiccio fastidioso, un avvicinarsi di passi numerosi interruppe il momento incantato. Sbuffai contrariata, un lieve gemito che vibrò tra di noi prima che interrompessimo lo sguardo.
    Alcuni passanti stavano sopraggiungendo, e nel contempo scorsi l'ombra di una guardia camminare sopra il tetto di un edificio poco distante, uno dei tanti soldati che pattugliavano la città ancora colpita dalle conseguenze delle recenti battaglie.
    Mi guardai intorno, in cerca di un luogo tranquillo. Non sapevo ancora se lui mi avrebbe seguita, ma ero pronta a rischiare, e comunque lo avrei saputo a breve. Lo invitai silenziosamente con lo sguardo. Fatti pochi passi, notai la sua ombra dietro di me. Il mio cuore diede un balzo di gioia.
    Poche porte più avanti, una tenda nascondeva una rientranza che dava su un piccolissimo giardino privato, poco più di uno spazio minuscolo protetto da occhi indiscreti con un divisorio di piante rampicanti. Scostai la tenda e constatai con delizia che il piccolo ambiente era deserto. Sul pavimento di terra battuta, un stuoia colorata e poi tanti, tantissimi cuscini di stoffe non preziose ma dalle tinte sgargianti.
    Attesi dandogli la schiena che anche lui entrasse, un'isola di tranquillità e intimità solo per noi. Quando la tenda tornò al suo posto, mi girai e abbassai il velo che mi copriva il viso. Mi morsi il labbro, un gesto studiato per vedere la sua reazione, per valutare le sue intenzioni.
    Sotto l'ombra del cappuccio, notai il suo sorriso impertinente.
    Lo volevo, e me lo sarei preso, con piacere e soddisfazione per entrambi.
    Sfiorai le sue labbra con le mie, giocai con lui e lo provocai. Ero maestra in quest'arte, era naturale come respirare e camminare, un'attività che qualsiasi venusiano conosceva, ma io eccellevo; per predisposizione e per... dovere.
    Provai un brivido di piacere, familiare e consueto, eppure sempre capace di farmi tornare a questo ancora e ancora, come se fosse acqua nel deserto, quando lui rispose al mio invito.
    Le sue mani si insinuarono sotto il velo, accarezzarono la mia nuca, passarono in mezzo ai capelli che tenevo sciolti, scesero sulle spalle, seguirono il solco della mia schiena, si posarono sui miei fianchi, mentre le nostre bocche continuavano a esplorarsi a giocare, a scambiarsi il respiro.
    Era un esemplare di maschio quasi perfetto, e i miei sensi si stavano perdendo nella sua contemplazione e nel godimento della sua fisicità. Il mio corpo si avvicinò al suo, attraverso le stoffe sottili percepii i muscoli del torace, lo spessore delle cinghie e della cintura con i pugnali, ingombri che avrei fatto cadere velocemente.
    Le mie mani si appoggiarono alla sua schiena, alla ricerca di un'allacciatura dei vestiti per poter accarezzare la pelle, il cui profumo di sudore, polvere e incenso mi riempiva le narici. Riuscii a scostare dei lembi di tessuto tra la tunica e la maglia e a toccare la sua schiena, i muscoli tesi e definiti, la pelle bollente e con lievi irregolarità. Riuscivo quasi a immaginare le cicatrici che la percorrevano. Mi strinsi ancora di più contro di lui, in un impulso voluttuoso.
    Il mio desiderio aumentava ogni secondo, così come la mia estasi. Era da troppo tempo che i miei incontri erotici non erano così eccitanti e passionali. Quell'uomo aveva una personalità e una bellezza che erano rari, se non introvabili, tra gli umani.
    Poco alla volta, lui si era appoggiato al muro e poi era scivolato giù, sui cuscini. Io lo avevo seguito, sedendomi su di lui, circondandolo con le mie gambe. Mi piaceva condurre il rituale amoroso, sentire che il mio compagno era in mio possesso.
    Stavo slacciandogli le fibbie delle protezioni sulle spalle, mentre lui continuava a far viaggiare le mani sul mio corpo quando si staccò bruscamente da me, appoggiandomi una mano sulla spalla. Aprii gli occhi e fissai i suoi, che non erano più di una tonalità morbida e seducente come il caramello, ma l'improvvisa concentrazione li aveva resi duri come la resina ambrata.
    La sua tensione spense velocemente la mia passione, tornai in un battito di ciglia ad essere presente, attenta, pronta e circospetta.
    “Non avete sentito? Stanno chiamando il vostro nome...” Mi scoccò un'occhiata penetrante ”Il Sultano ha mandato le sue guardie a cercarvi”
    Feci una smorfia di disappunto. Era vero. Le voci provenivano dall'alto, sopra le nostre teste, sempre più vicine al piccolo giardino nel quale ci eravamo rifugiati. Probabilmente, l'arrivo della mia serva da sola al palazzo non era passato inosservato, e gli eunuchi avevano allertato e mandato i soldati a riportarmi tra le mura dell'harem.
    Feci buon viso a cattivo gioco. Con un piccolo sbuffo di rammarico, mi alzai, accarezzando velocemente la mascella perfetta dell'uomo di cui, notavo solo ora, non sapevo nulla, neanche il nome. Non aveva molta importanza. Lo avrei riconosciuto tra mille.
    “Temo che dovremo rimandare ad un'occasione migliore la nostra conoscenza. Ma non preoccupatevi, le nostre strade si incroceranno di nuovo...”
    Scostai la tenda, camminando velocemente in direzione opposta ai miei pedinatori. Percorsi vicoli deserti, attraversai piccoli atrii ombrosi, costeggiai piazzette celate e arrivai senza essere scoperta a Palazzo, interrompendo l'agitazione di tutti i servi e i responsabili che già si disperavano per il rapimento della favorita del Sultano.
    (…)
    Il pomeriggio era quasi terminato. Osservavo il tramonto, un suggestivo quadro dalle tinte intense e cupe, dalle finestre dei miei appartamenti. La visione era rovinata dalle grate che chiudevano e proteggevano le mie stanze, un inutile sfoggio di controllo e di dominio del mio protettore. Tenevo le mani ferme davanti a me, la ampie maniche sollevate fino alla spalla, nell'attesa che la mistura di henné si asciugasse e potessi lavarla via. I decori floreali e arabescati coprivano le mani dalla punta delle dita e risalivano su per il polso fino ai gomiti, decorando con intricati motivi e simboli le mie braccia secondo i dettami estetici delle donne di queste terre. Erano segni di vanto e attrattiva, molto apprezzati soprattutto in occasione di eventi importanti come i festeggiamenti che si sarebbero tenuti nelle ore successive.
    Una volta terminata la posa della pasta, mi preparai con cura nel pettinarmi e abbigliarmi, per essere splendida più del consueto. Amavo mettermi in mostra, sentirmi ammirata e desiderata, anche se nessun altro uomo presente alla festa avrebbe potuto toccarmi o anche solo avvicinarmi, come favorita del Sultano e quindi simbolo del suo potere e dell'autorità.
    Mi importava poco, sinceramente. Ero quasi distratta dai ricordi del pomeriggio, dalle tracce che aveva lasciato su di me quel corpo aitante ed eccitante. Le sensazioni delle carezze, dei baci che aveva dispensato ancora bruciavano sulla mia pelle. Maledissi la sorte per non aver avuto il tempo necessario di poter fare l'amore con lui, ma mi ripromisi che mi sarei informata sulla sua identità e sulla sua professione per poterlo rintracciare. Non ero priva di risorse, sapevo essere molto astuta e sottile, e dove non arrivavo sfruttando la mia posizione privilegiata sarei arrivata con la mia bellezza e con il potere che ne derivava.
    Mi accomodai nella sala allestita per i festeggiamenti, decorata con fiori, teli colorati, lampade intarsiate e bassi tavolini pieni di cibi ricercati, disposti ad arte per solleticare la vista oltre che il palato. Ognuno aveva il suo posto prestabilito, e il mio era poco lontano da dove si trovava Salāh ad-Dīn, che sedeva lievemente più in alto rispetto a tutti gli invitati, circondato dalle sue mogli. L'importanza dell'ospite veniva stabilita dalla distanza rispetto al Sultano, e io, come concubina prediletta, ero quasi al centro del gruppo.
    Mentre la festa entrava nel vivo, con le danze delle ballerine e la musica dal ritmo sensuale e ipnotico dei musicisti con liuti, flauti, sonagli e cimbali, mi guardavo attorno insofferente, quasi annoiata.
    Non avevo alcun desiderio di essere lì, stranamente. Niente mi eccitava o attirava la mia attenzione, niente mi piaceva, neanche il rendermi conto di essere come sempre la calamita di ogni sguardo e di ogni pensiero maschile.
    Al termine di una delle danze, non previsto, Salāh ad-Dīn si alzò dai suoi cuscini e si diresse verso il giardino. Mentre passava davanti a me, tese la mano per invitarmi a seguirlo. La presi e lui la tenne all'altezza del cuore. I segni intricati dell'henné spiccavano netti sulla mia pelle d'alabastro. Insieme uscimmo dalla sala, mentre la musica riprendeva per gli altri partecipanti. Il giardino era pieno di altri invitati, e ad un certo punto mi bloccai, stupita: avevo notato degli occhi penetranti fissarmi, ma quando cercai di individuare la persona che li possedeva, non vidi nessuno.
    Strinsi la mano involontariamente del mio signore, che si voltò accigliato a guardarmi. Gli sorrisi in risposta, e lo accompagnai fino alla stanza blu. Forse era stato solo un gioco di ombre, o un mio desiderio che mi ingannava.
    Dentro quella camera, la preferita del sultano, pensavo che mi avrebbe presa e fatta sua, come era sua abitudine, ma non fu così: nella stanza ci stava attendendo una persona con il viso coperto, seduta a gambe incrociate tra i cuscini di seta e damasco.


    Edited by Illiana - 10/5/2021, 17:09
     
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    Sulla mia pelle ancora bruciava l'essenza di quella odalisca che con i suoi tratti esotici ed unici mi aveva ammaliato in un modo che non ero in grado di descrivere. Lì dove erano passate le sue dita, la mia pelle pareva quasi urlare il suo nome, mentre ogni muscolo teso e sospiro ancora risuonava nella mia mente come un dolce sogno erotico di cui non riuscivo a liberarmi. Di fatto, io che difficilmente mi lasciavo ammaliare, trovando una certa banalità in ciò che il mondo offriva, ancor più in qualcosa di effimero come l'amore... faticavo a spiegare cosa mi stesse succedendo.
    Quando fui costretto a dividermi da lei, mi imposi di tornare serio ed attento. Vigile allo scopo che mi spettava e se possibile mettere fine a quella missione quanto prima.
    Infiltrarmi a palazzo non era stata cosa difficile. Non era raro che per rinforzare la servitù in tali eventi venissero scelte persone tra i popolani seppur questi dovevano passare attenti controlli per poter accedere come lavoratori. Io non avevo tempo per una tale trafila e così in serata aspettai di vedere, tra chi si stava presentando, colui con cui mi sarei potuto confondere e dopo averlo messo ko (si sarebbe svegliato solo con un mal di testa), presi il suo posto. Prima mi ero assicurato di conoscerne il nome, che avevo appreso aguzzando l'orecchio, e poi lo avevo sostituito. Come previsto, infatti, nessuno fece caso a me, mentre per tutta la sera non feci altro che servire da bere e corteggiare una delle odalische minori. L'idea era di farmi portare nei suoi alloggi per divertirci e lì dedicarmi alla missione.
    Avevo appena servito da bere quando tornando indietro con il vassoio vuoto mi sentì tirare per un braccio, mentre dietro una colonna, protetti dall'oscurità, l'odalisca mi diede mostra delle sue doti, con baci profondi e carezze sensuali. Niente a che vedere con quelle che ancora rimembravo e che mi avevano marchiato più in profondità di quanto avrei osato dire.
    Ripensare a lei mi accese di una passione che certo quella giovinetta non mi scatenava, ma che ebbe l'effetto desiderato quando lei mi invitò a seguirla. Fu nel farlo che i miei occhi vennero catturati da un'occhiata di ghiaccio. Profondo. Immenso. Eccitante. Uno che avrei riconosciuto tra mille.
    Rimasi a fissarla desideroso che sentisse il mio sguardo accarezzarla, spogliarla quasi. Tuttavia durò meno di quanto avrei voluto, perchè mentre lei si allontanava con il Sultano io facevo lo stesso con quella giovane amante di una notte.
    L'assecondai con baci, attenzioni e frasi d'effetto per farle capire quanto fosse unica, bellissima ed insuperabile, mentre lei si gongolava di tali attenzioni e piano mi spogliava appena raggiunta la sua camera.
    "Sicura che non ci scopra nessuno?" chiesi eccitato fingendo una certa apprensione.
    “Dipende da te, quanto mi farai urlare?” mi chiese lei sulle labbra prima di divorarle con un altro bacio, mentre io l'assecondavo poco propenso a portare avanti quel gioco. Lo feci solo per onore alla causa, mentre ogni scusa era buona per guardarmi intorno e scrutare ogni angolo. Anfratto. Mobilio.
    "Temerei assai che il Sultano possa reclamare la mia testa"
    “Non temere, della sua dovrebbe preoccuparsi...” a quella sua frase, la presi per le spalle ed allontanandola la guardai negli occhi, notando solo ora un particolare. Non portava l'hennè alle braccia. Ogni odalisca lo avrebbe avuto in una festa come quella, anche la meno importante. Sì sarebbero stati decori più sobri, ma mai ne sarebbe stata senza.
    Lei alzò gli occhi al cielo mettendo su un finto broncio “E' un peccato che te ne sia accorto, mi stavo divertendo!” disse prima di alzare una gamba e colpirmi allo stomaco.
    Non mi feci trovare impreparato e subito risposi e rialzandomi la spinsi indietro per poi darle due calci che velocemente parò, quando lei facendo lo stesso mi costrinse spingermi all'indietro per evitarla. Riuscì, abbassandomi, anche a schivare i suoi pugni quando con un calcio rotante mi preparai a colpirle il fianco scoperto, ma lei bloccò la mia gamba e poi aver colpito il ginocchio con il gomito, usò lo stesso per colpirmi in viso e farmi cadere a terra di schiena.
    "Chi sei?"
    “Stupito che una donna possa farti il culo? Cosa posso dirti in Occidente siamo più avanti di voi!” ironizzò prendendomi in giro, ma rivelandomi più cose di lei di quanto credeva.
    Approfittai di quel suo momento di tronfio per alzarmi e correrle incontro ed attaccarla, ma lei schivò il mio colpo per attaccarmi in egual modo e così prendendola per un braccio glielo presi portandoglielo dietro la schiena e calciandola allontanandola.
    Furono molti i colpi che mi diede con ferocia, ma per questo non era precisa e nonostante ne dovetti assorbire un po' alla fine riuscì a calciarle un ginocchio che la fece cadere a terra e mi permise così di schiacciarla a terra. Viso in giù e ginocchio sulla sua schiena a bloccarla, la lama celata ad accarezzarla la gola.
    "Roberto dov'è?"
    “Non arriverai mai in tempo!” ironizzò lei ridendo come se fosse un gioco.
    Velocemente mi tornò alla mente la scena di poco prima. Il Sultano che si allontanava e Lei era con lui.
    Non persi tempo e dopo averla colpita, scoprì su di lei la fantomatica missiva. La stessa riportava il piano di Yolanda, con lei che si sarebbe introdotta a Palazzo come odalisca e lui avrebbe abilmente permesso a lei di rimanerci. Cercando trovai infatti il cadavere della donna, con il costume che avrebbe dovuto nasconderla, nascosto nell'armadio. Probabilmente il sicario con cui mi ero scontrato doveva ucciderla, rendere nota la missiva e far apparire la morte del Sultano e Yolanda una conseguenza.
    La donna aveva ucciso l'uomo che, convocato il marito per i trattati di pace, era stato costretto ad uccidere la propria moglie pur di non venir meno ad un trattato epocale appena firmato. Così che Roberto sarebbe uscito vincitore sotto ogni aspetto. Aveva vinto la guerra e si era vendicato per il tradimento. La Terrasanta sarebbe stata fragile dopo la morte della sua guida e lui ne avrebbe approfittato.
    Mi misi la lettera in tasca e non mi sorpresi di trovare due guardie inglesi fuori dalla porta, dovevano aver capito che non ero un semplice cameriere, ma furono loro ad avere la peggio. E poi corsi. Corsi. Corsi a perdifiato verso dove avevo visto andare il Sultano e Lei. La mia dolce ossessione.
    Io che avrei dovuto essere mosso dall'unico desiderio di preservare la stabilità, mi trovavo invece a correre disperato e con tutte le mie forze per Lei. Per salvare Lei.
     
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    Il tedio minacciava di sopraffarmi senza scampo. L'uomo con il volto coperto si era rivelato come un banale nobile europeo che desiderava stipulare accordi politici e militari con il Sultano: ecco il motivo di tanta segretezza nell'intrufolarsi alla festa e nell'incontrare l'uomo più potente della Terra Santa.
    L'individuo, un tipo rozzo dallo sguardo bovino, stava complottando alle spalle dei suoi stessi alleati pur di riuscire a ricavare un briciolo di autorità e di ricchezza a loro insaputa.
    Accolsi con sollievo la comparsa di un servo con una caraffa di coccio smaltato e alcune coppe d'oro. Il vino era eccellente: dolce e fruttato, una vera prelibatezza per il mio palato. Mi persi nella degustazione di quel nettare speciale, ne chiesi ancora una coppa finita la prima.
    Ero davvero avvilita al pensiero di sprecare il mio tempo in una situazione così irrilevante e così poco eccitante, ma non avevo scelta. Il Sultano non mi aveva congedato e non sembrava avere alcuna intenzione di farlo. Sicuramente, la mia bellezza impareggiabile era motivo di vanto e di manifestazione di potere agli occhi del suo ospite.
    Ricacciai uno sbadiglio: le parole dei due uomini si confondevano, si sovrapponevano, perdevano di significato... la coppa mi cadde dalle mani.
    Il rintocco metallico fu come un richiamo d'allarme, e solo a quel punto mi accorsi che la confusione che provavo non era una semplice conseguenza della noia. Era qualcosa di più insidioso e rovinoso. Anche il calice in mano a Salāh ad-Dīn cadde sul tappeto, rovesciando il liquido rubino.
    Accadde tutto all'improvviso, e di certo i miei sensi intorpiditi non mi assecondarono nel reagire prima che gli sgherri del traditore cristiano furono addosso al Sultano. Questi tentò di difendersi, ma li ebbe addosso in maniera energica e compatta per tentare qualsiasi difesa.
    Qualcuno si occupò anche di me: un altro uomo si avventò su di me con violenza e mi inchiodò a terra prima che potessi anche solo pensare a una reazione. La sua mole era gigantesca e il suo ginocchio mi premeva sul collo, rischiando di spezzarlo. Avevo la guancia schiacciata sul tappeto e intravvedevo con la coda dell'occhio lo scontro tra il sultano e i suoi aggressori.
    Il bestione che mi era sopra mi aveva bloccato anche braccia e gambe, ma dopo alcuni tentativi riuscii con uno sforzo penoso a liberare un braccio. Stavo per perdere conoscenza a causa della droga che avevo ingerito assieme al vino e della mancanza d'aria. Il collo mandava fitte al cervello che cancellavano ogni sprazzo di lucidità. Irrigidii i muscoli per contrastare il peso che mi stava soffocando.
    Il nobile traditore rise compiaciuto del successo del suo piano. Fui fortunata. Tanto mi bastava. Mossi impercettibilmente le dita per catturare le onde sonore della sua voce, suoni squillanti e vibranti che facevano al caso mio. Una volta in mio possesso, le trasformai velocemente in onde luminose. Dovevo liberarmi dell'animale che avevo sopra di me, o saremmo stati condannati sia io sia il mio sovrano.
    Torcendo la testa dolorosamente, individuai la gola del bruto che mi imprigionava, e lì diressi lo stiletto luminoso. Il mio colpo trapassò la carne senza difficoltà, squarciandogli la carotide.
    Purtroppo morì rovesciandosi di lato. Riuscii a recuperare il respiro e l'uso delle braccia, ma le gambe rimasero intrappolate dal suo peso, equivalente a quello di un cavallo. Non avevo forze per togliermelo di dosso, la debolezza e la confusione della droga mi avevano sfinito oltremisura.
    Cercai di sfruttare il piccolo vantaggio che avevo ottenuto. Raccolsi altri suoni, meno nitidi e potenti, dall'esterno, dal giardino in cui si stava ancora festeggiando tranquillamente. Li girai verso i tre che stavano colpendo Salāh ad-Dīn. In pochi secondi, intensi lampi luminosi avevano prima stordito e poi ucciso gli aggressori.
    Il groviglio di corpi scomposti non mi permetteva di capire le reali condizioni del Sultano, ma ora non mi potevo ancora occupare di lui, bloccata a terra. E poi, rimaneva un ultimo problema non indifferente da appianare: un testimone che aveva visto una Guerriera in azione e poteva rivelare il segreto che dovevo custodire ad ogni costo. Inoltre, questo testimone era anche colui che aveva orchestrato l'aggressione. Cercai di rimanere in equilibrio per poterlo colpire ma ero stremata sopra ogni limite, e il mio colpo lo mancò di poco meno di un palmo, centrando però una decorazione floreale, che prese fuoco.
    Il traditore, con lo sguardo esterrefatto, riuscì a scappare dallo stesso punto da cui erano entrati i suoi scagnozzi. Urlai per la frustrazione, accasciandomi disperata sul tappeto. Non avevo più energie.
    Sentii dei passi frettolosi che si avvicinavano, e la speranza tornò a illuminare il mio cuore. Subito dopo, il peso che mi bloccava le gambe si annullò e mi sentii sollevare da terra con fermezza. Alzai gli occhi sul mio soccorritore e il cuore mancò un battito quando riconobbi lo sguardo indecifrabile e splendido del giovane che aveva occupato i miei pensieri, invadendoli come un conquistatore. La mia mente era troppo confusa per chiedermi il motivo per cui era lì, ero solo felice di vederlo. Era lui, quindi, l'uomo che avevo intravisto poco prima in mezzo agli invitati? Non me lo ero sognato?
    “State bene?” Annuii con vigore, ma indicai il gruppo di persone a terra.
    “Degli intrusi sono sopraggiunti inaspettatamente e hanno attaccato il Sultano! Forse è morto...”
    Il mio cuore era angosciato. Non amavo Salāh ad-Dīn ma per lui provavo una tiepida lealtà, frutto della sua gentilezza e della sua bravura a letto. Non volevo rinunciare a lui, anche se forse una parte di me lo aveva archiviato già da qualche ora.
    Il mio salvatore si avvicinò, spostando i corpi degli assalitori, osservandoli brevemente per qualche secondo, perplesso. Mentii con prontezza per costruire il mio alibi e sviare i sospetti da me.
    “Il Sultano mi ha difeso prontamente e poi ha tentato di difendere la sua stessa vita, prima di soccombere per la superiorità numerica di questi delinquenti!”
    “E' vivo, per fortuna! Ma è ancora in pericolo... nel palazzo potrebbero esserci altri sicari con il compito di terminare il lavoro... dobbiamo portarlo al sicuro, lontano da qui, al più presto!”
    “Io conosco un posto dove potremmo rifugiarsi fino a che il pericolo non è scongiurato. E' un'alcova segreta che conosciamo solo io e... lui”
    Mi diressi velocemente verso la salvezza, aggirando con attenzione la folla ignara e festante, ma anche eventuali presenze minacciose. Il mio compagno mi seguiva in silenzio, trasportando sulle spalle senza alcuna fatica il corpo massiccio del Sultano. Il corridoio che conduceva all'entrata del nascondiglio, celata da uno spesso arazzo, era fortunatamente deserto. Feci scattare la serratura occultata velocemente ed entrammo in uno splendido ambiente decorato e impreziosito da suppellettili e arredi preziosi. Lui adagiò il Sultano sui cuscini, che si lamentò debolmente. Poi si drizzò con agilità e fece per uscire dalla camera. Lo fermai afferrandogli il braccio, confusa dal suo fare: “Dove andate? Non restate qui a difenderci... a difendere il vostro sovrano?”
    I suoi occhi intensi mi guardarono con incomprensione: “C'è ancora un traditore in libertà, e devo inseguirlo prima che riesca a sfuggire alla cattura. Chiudetevi dentro e non preoccupatevi, manderò qualcuno a prendersi cura del Sultano!”
    Accentuai la presa sul suo braccio. Ero spazientita perché avrei dovuto rinunciare a lui anche questa volta, ma dovevo risolvere una questione più importante, quella del mio anonimato.
    “Mi promettete che lo prenderete? Quell'uomo è un essere spregevole perché oltre ad aver tradito e calpestato l'ospitalità che gli era stata concessa, prima di fuggire ha...” Il mio labbro tremò ad arte. “...ha tentato di abusare di me. Ve ne prego, non lasciate che venga catturato vivo... uccidetelo!”
    Il giovane mi guardò intensamente ed annuì, poi se ne andò, non lasciando altro dietro di sé che il suo profumo intenso e seducente.
    Ero stravolta dalla droga e dall'agitazione per il rischio che la mia identità venisse scoperta, ed era per questo che avevo cercato di manipolare il mio salvatore per fargli compiere un omicidio. Ma ero anche agitata da altre istinti, altri desideri. Le lacrime salirono bruscamente agli occhi. Tentai di tamponarle, per nascondere almeno a sguardi estranei il mio dispiacere. Nella mia anima, quello sarebbe rimasto ancora.
    Mi piegai sul corpo del sultano, che stava sbattendo gli occhi debolmente. Si stava riprendendo. Le sue ferite, per fortuna, non erano così gravi come erano apparse inizialmente. Mi doveva la vita, ma non me ne poteva importare di meno.


    Edited by Illiana - 10/5/2021, 17:09
     
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    Quando ero piombato nella stanza non ero pronto alla scena che mi si era parata davanti, ma al contempo rimasi freddo abbastanza per agire e per muovervi sia per aiutare il Sultano tanto la donna che mi aveva rubato più di un sospiro. Ammisi che la sua presa su di me era forte, quasi come un incanto che mi teneva ipnotizzato. La sentivo forte avvolgermi e quando mi chiese di restare per un attimo, solo uno, ebbi un tentennamento e no. Non era da me.
    L'inseguimento fu più facile de previsto, mi bastò riuscire semplicemente a liberarmi dai numerosi uomini di Roberto, per riuscire ad uscire da palazzo e lì approfittare dei tetti per iniziare la mia rincorsa.
    Non mi lesinai ad usare l'occhio dell'aquila per individuare al più presto la mia vittima e quando questo accadde inizia a seguirla da vicino, quanto da lontano, considerato dove mi trovavo.
    Roberto velocemente allentò il passò, si liberò delle proprie effige, si nascose sotto un mantello malandato appena rubato ad un mendicante addormentato e poi si mescolò nella folla davvero convinto che IO, non potessi vederlo.
    Continuai a spostarmi per i tetti fino a sopraggiungere ad un muro largo abbastanza per camminarci sopra, continuai a camminare in equilibrio in attesa che Roberto prendesse il piccolo vicolo che da lì a poco avrebbe incrociato sicuro di nascondersi dagli occhi indiscreti della folla e della via principale. Io dunque saltai in prossimità di una finestra, mi spostai dall'una all'altra fino ad arrivare in prossimità della mia vittima che fermo si guardava intorno come a percepire di essere seguito. Non ebbe nemmeno il tempo di alzare lo sguardo che già stavo balzando e cadendo su di lui, la mia lama celata lo trafisse senza lasciargli scampo.
    Lo tenni tra le braccia, mentre lo aiutavo ad accasciarsi a terra. Più per desiderio di captare da lui eventuali notizie ed informazioni che per pura e vera carità.
    "Riposate ora... le Vostre macchinazioni sono finite..."
    “Che ne sai dei miei piani sporco infedele...”
    "So del Vostro piano di uccidere il Sultano e Vostra moglie. So che Volevate far passare il tutto a metà tra un delitto d'onore e la salvaguardia di Gerusalemme... Ne sareste usciti un vero e proprio eroe... i Cristiani avrebbero esultato, Riccardo Vi avrebbe fatto ponti d'oro e qui in Terrasanta il popolo avrebbe creduto nelle Vostre buone intenzioni e nella codardia del loro Sultano più interessato ad una donna occidentale che al suo Paese... Devo ammetterlo, un bel piano!" ammisi quasi ammirato e lui lo notò scoppiando a ridere in modo convulso, mentre il sangue usciva dalla sua bocca copioso.
    “Riccardo... il Vostro Sultano... non sono molto diversi... accecati dalla fede del trascendente... queste terre non appartengono a nessuno di loro”
    "A chi dunque?"
    “Alla sua gente!”
    "Ironico che diciate questo... Avete rubato il loro cibo, li avete puniti senza pietà e li avete obbligati a servirli..."
    “Li ho solo prepararti al Nuovo Mondo... a quello che verrà... non Ve ne siete accorto? La minaccia è già tra noi e non si tratta di Oriente ed Occidente...” e così dicendo guardò il cielo, al che mi trovai davvero a non capire.
    Sentivo ancora dentro di me la sensazione viscida e fastidiosa che le parole di quella donna mi avevano dato. Non avrei dovuto basare le mie azioni sul sentimento e l'emozioni, ma non riuscivo a smettere di pensare che lui aveva osato toccarla. Che poi chi per me LEI era? Chi era per offuscare il mio giudizio?
    “Quella Strega è già entrata nella Vostra testa... fanno così... non immaginate di ciò che è capace... ha ucciso i miei uomini senza nemmeno dover alzare un dito...”
    Io scossi il capo confuso. Pensavo fosse folle. Che nulla di ciò che diceva aveva senso seppur i dubbi mi attanagliavano più di quanto avrei voluto...
    Lo vidi tossicchiare, lo vidi soffocare nel suo stesso sangue e poi chiudere gli occhi, mentre prendendo una piuma bianca dalla mia cinta la passai sul suo collo impregnandola del suo sangue.
    Alzandomi lo osservai per un lungo momento, quelle parole non mi abbandonarono anche se avrebbero dovuto. Alzai il cielo ormai sempre più scuro, dovevo tornare alla Confraternita, fare rapporto di ciò che era successo. Mai ero stato tanto disciplinato, che fosse un modo per fuggire dal desiderio di andare da tutt'altra parte?
     
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    Il ritorno a Venere mi riservò un'amara sorpresa... Ad attendermi, per impedirmi l'entrata a palazzo c'era lei: il Generale delle Mord Sith. Il braccio destro di mia sorella... Dione.
    “Hai disobbedito alla Duchessa, chissà perché non me ne meravigli...” commentò quella infastidita ed impettita. Le braccia conserte e lo sguardo plumbeo su di me.
    "Qualcuno deve pur indagare su ciò che è successo non credi? La morte di mio cognato, l'instabilità emotiva di mia sorella... E' risaputo che da quando nelle loro vite è arrivata la piccola Aphrodite tutto è andato a rotoli..."
    “E dovremmo affidarci a te? A colei che più volte ha tentato un colpo di stato? Che è fuggita con un marziano e perfino lo ha aiutato ad avanzare pretese su Venere?” la sua voce era arrogante ed accusatoria.
    Sentire il riferimento al "marziano" mi infastidì. Solo io sapevo come era finita e solo io sapevo di essere tornata anche per quello. Avrei mostrato a lui che valevo più di mia sorella... oh sì mi ero fatta passare per lei, perchè lui era pazzo... pazzo d'amore... la voleva ed io volevo lui. Tuttavia aveva scoperto l'inganno e così mi aveva cacciato... Maledetto!
    Tornai però con la mente al presente e guardai la donna di fronte a me.
    "Tu vaneggi mia cara... io sono l'unica famiglia che mia sorella ha. Lei mi ha richiamato, lei mi ha chiesto di tornare..."
    “Solo perchè tu l'hai circuita! Sai quanto perdere l'amore della sua vita la stia consumando, ma io non ti permetterò di mettere le tue mani sul regno e tanto meno su Aphrodite...”
    Risi. Era buffo l'imprinting. Io l'avevo avuto su un uomo che invece amava mia sorella e lei lo aveva avuto su mia sorella che la ignorava.
    Scoppia dunque a ridere in modo beffardo, prima di fissarla negli occhi con fare di sfida.
    "Sei ridicola! Ed io non ho tempo da perdere!" risposi stanca di quel gioco e facendo per superarla se non fosse che trattenendomi per un braccio mi strattonò in malo modo.
    “Ti do tempo fino al tramonto... e poi dirò ogni cosa... dirò cosa hai fatto!”
    Infastidita mi liberai della sua presa e la superai. Che prova aveva? Assolutamente nessuna, tuttavia sapevo che non potevo rischiare. Così di spalle sospirai, misi su la mia migliore espressione dispiaciuta e voltandomi la guardai.
    "A-Aspetta... f-fammi spiegare..." le dissi e quando mi fu abbastanza vicina la lama del mio pugnale, nascosto nella manica della veste, affondò nel suo ventre fino all'elsa.
    "Perdonami... avrei dovuto farlo prima... grazie a te diventerò Duchessa!" le sussurrai all'orecchio prima di darle un calcio e farla cadere a terra. Rimasi ad osservarla fin quando non esalò l'ultimo respiro e poi pulendo la lama sulle sue vesti mi allontanai.
    Sapevo che il punto debole di mia sorella era suo marito e per questo lo avevo fatto uccidere, questo l'aveva resa disperata. Non aveva più nessuno su cui affidare se non il suo caro braccio destro... ma adesso che avrebbe saputo che lei aveva uccisa il Duca? E che lo aveva fatto perchè lei era il suo imprinting? Conoscendo la sua bontà d'animo, la disperazione l'avrebbe resa folle al punto di togliersi la vita ed in effetti così fu.
    Il mio piano fu così perfetto e senza nemici ad ostacolarmi che l'ascesa al trono fu più facile del previsto, solo una cosa non avevo considerato... un terribile neo che per mi avrebbe perseguitato per tutta la vita: Aphrodite.
    Colei che, come mia sorella, tutti preferivano sopra me!


    Venere, da quando ero Duchessa, era prosperato. La vita, già assai libertina, era divenuta ancor più viva e lussuriosa. Dall'altra parte l'aspetto beniamino e democratico della politica di mia sorella era stata sostituita con una ben più dispotica e violenta da parte mia.
    Le Mord Sith erano micidiali, ma perchè aspettare che fossero donne per essere reclutate? Si perdeva tempo e si dava modo loro di sviluppare sentimenti ed amore, vedi quello che era successo con il Generale che avevo ucciso, e così abolì la regola. Le bambine idonee sarebbero state rapite da bimbe e trattate con così tanta mancanza di affetto che sarebbero cresciute impossibilitate a provarlo. Solo così avrei avuto un esercito degno del suo nome.
    Oltretutto avevo fatto degli accordi con mercenari e pirati per permettere loro di "rapire" liberamente le venusiane e venderle ad alcune dei migliori bordelli della galassia, ma in cambio del mio "chiudere un'occhio" loro dovevano pagarmi una percentuale sugli introiti.
    Di fatto in questo modo velocemente mi ero fatta un nome, ero divenuta così timorata e venerata, da provare ciò che avevo sempre desiderato: essere amata da tutti.
    Per continuare su questa via, il successivo passo era armare il mio esercito in modo invincibile. Ancor più che adesso Zeus, Generale dei Medjay ed insegnante del primogenito di Marte, aveva appena fatto aggiornare le armerie del pianeta facendo così che per l'ennesima volta venisse elogiato per le sue capacità. Peccato che il mio esercito sarebbe stato meglio!
    Ingaggiare Efesto, comandante dei Pirati Troiani oltre che il miglior fabbro della galassia, non era stato facile. Era difficile riuscire a farsi forgiare armi dalla sua fucina. Le armi dei pirati erano conosciute ovunque nella galassia per la loro unicità ed effettiva, ma difficile accettavano di costruirle per altri. Ecco perchè ospite a palazzo avevo cercato di circuirlo in ogni modo, tra sesso ed oro. Cos'altro poteva volere?
    Eravamo nel bel mezzo di un banchetto licenzioso quando una delle ancelle mi portò una notizia che sconvolse ogni mio piano e lanciò il mio umore sotto la suola delle scarpe: “V-Vostra figlia è... è... è... t-tornata...”
    Il mio sguardo algido se possibile la trafisse e questo convince l'ancella ad allontanarsi il più velocemente possibile.
    "Maledetta ragazzina! Speravo restassi e ci morissi sul Pianeta Proibito!"
     
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    Dopo qualche giorno dalla festa e dal tentato omicidio, avevo lasciato il Pianeta Proibito. Il Sultano era sopravvissuto alle ferite, e il suo assalitore era morto sgozzato: le guardie reali lo avevano rinvenuto in un vicolo della città poche ore dopo la sua fuga.
    Salāh ad-Dīn era stato obbligato dai suoi medici nel letto, a riposo, senza fare nulla e senza voler abbandonare per un solo secondo la sua favorita, la donna così coraggiosa da resistere ai suoi assalitori fino all'arrivo delle guardie e alla salvezza per entrambi. Ovviamente le cose non si erano svolte in questa maniera, ma era stata mia massima attenzione quella di non far trapelare neanche un particolare di ciò che era successo in quel frangente. Più ci si allontanava dalla verità, maggiore erano le mie chance di mantenere l'anonimato.
    Mi stancai ben presto di fare la sua serva. Sapeva essere davvero petulante e lamentoso, e io non possedevo la pazienza di accudire nessuno che non fosse me stessa.
    In più, per maggiore sicurezza del sovrano, il palazzo era diventato una fortezza, sicura e presidiata dall'esterno, una prigione di lusso per i suoi abitanti all'interno. Lo svago e il divertimento si erano velocemente cancellati dalle mie giornate, quindi non era stato un rimpianto troppo grande tornare su Venere, alla ricerca di qualcosa che mi intrattenesse con più facilità.
    Ero davvero disperata se sceglievo come rifugio la casa di mia madre, ma ogni tanto sentivo il bisogno di riappropriarmi del mio mondo, dei profumi e delle sensazioni che mi donava, familiari quanto il bacio di un amante.
    Una volta atterrata, mi diressi subito nelle mie stanze, dove l'acqua profumata con petali di fiori e oli preziosi era già pronta per me. Un bagno caldo mi tolse di dosso parte dell'insoddisfazione e dell'apprensione che provavo. Dedicarmi alla cura del corpo mi risollevava sempre l'umore, e quando resi la mia pelle radiosa e i capelli setosi e lucenti oltre ogni misura, mi sentii pronta ad affrontare mia madre.
    Presentarmi davanti a lei meno che perfetta sarebbe stato avventato per due ragioni: la prima, e più importante, mi avrebbe esposta facilmente alle sue critiche feroci, che comunque trovava il modo di architettare ogni volta, e la seconda era che, se il suo occhio si fosse posato su qualcosa - o qualcuno - meno che impeccabile, questo sarebbe stato il motivo perfetto per uno dei suoi colossali attacchi di nervi, che nessuno in tutta la Galassia amava vedere.
    Ragione per cui, dedicai una cura eccezionale nell'abbigliarmi secondo i suoi gusti e quando giunsi davanti alle sue stanze, mi feci annunciare da una delle ancelle: la sua espressione allibita mi diede i brividi, ma alzai il mento, orgogliosa e testarda. Perché parlare con mia madre era una prova emotiva sempre così faticosa? Perché non poteva amarmi come avrebbe dovuto fare una madre con una figlia così volenterosa di renderla orgogliosa della sua discendenza?
    Non fui stupita di trovarla in compagnia, né che questa compagnia fosse maschile. Mia madre adorava circondarsi di spasimanti che la facessero sentire una dea ancora più di quella che lei era, in effetti, ai miei occhi.
    Il suo sorriso era raggiante, e solo io sapevo, conoscendola bene, quanto non fosse contenta di avermi davanti, e quanto avrebbe preferito ferirmi con il suo sarcasmo invece di fingere un'approvazione che non provava per nulla.
    “Aphrodite, mio tesoro! Il mio cuore è colmo di gioia nel rivederti!”
    Tese una mano per sfiorarmi la guancia, e io le sorrisi rigidamente.
    “Sono solo di passaggio, madre, non mi tratterrò a lungo. Devo recarmi sulla Luna per una riunione con le altre Guerriere”
    Inventai su due piedi una frottola, ero molto brava. Lo ero diventata per salvarmi dalle aggressioni, quando l'atmosfera non era favorevole.
    “Oh, mi dispiace. Sei sempre così impegnata con i tuoi doveri che non riusciamo mai a stare insieme come desidero tanto. Ma non ti voglio trattenere, sarai stanca del viaggio...”
    Il suo sorriso finto ma perfetto era sempre lì, mentre i suoi occhi mi fissavano velenosi e pungenti.
    Cominciai a sentire tutta la sua avversione che mi spingeva lontano, quasi non sopportasse la mia vista, come se fossi un insetto repellente. Feci un passo indietro, pronta a fuggire dal veleno che respiravo. Perché ero stata così stupida da pensare che la mia assenza avrebbe cambiato qualcosa, tra di noi?
    “Scusatemi, non volevo disturbare...”
    Un gesto improvviso dell'uomo, che fino ad allora avevo considerato come un semplice articolo d'arredo, attirò su di lui il mio sguardo e il mio stupore. Costui poggiò una mano, con fare confidenziale, sul braccio di mia madre.
    “Tua figlia non mi disturba, Dione. Anzi, mi piacerebbe conoscerla meglio. Voglio che si fermi qui con noi, potrà riposare più tardi, non sei d'accordo?”
    Mia madre lo guardò contrariata, badando subito a nascondere il sentimento dietro un sorriso zuccheroso, rispondendogli con il tono più amabile che possedeva: “No certo! Anzi, sarà per me un vero piacere...”
    Una simile accondiscendenza nell'esaudire una richiesta voleva solo dire una cosa: mia madre aveva un interesse spiccato in quella persona. Se era il suo amante, sicuramente si trattava di una novità per lei, nella fase di un'infatuazione prorompente e con un potere attrattivo considerevole. Mia madre era nota per le sue passioni accese e violente, che non si estinguevano facilmente.
    Eliminai ogni dubbio guardando meglio l'uomo. Era alto e la sua corporatura, nonostante fosse sdraiato sui cuscini, era vigorosa e possente. I vestiti scuri, dallo stile eclettico, facevano risaltare il petto ampio, le spalle larghe, le gambe muscolose. Il suo viso era marcatamente virile, la barba accentuava la linea decisa della mascella, gli occhi scuri esprimevano una volontà decisa e ostinata. Tutto in lui sembrava trasudare prestanza, forza, mistero, lussuria.
    Deglutii. Il mio cuore volteggiava impazzito nel petto. Mi sedetti con grazia sul cuscino che lui mi aveva indicato, totalmente ammaliata dai suoi gesti imperiosi e bruschi.
    Ero attratta dall'uomo e ancora di più dall'idea che anche mia madre lo voleva per sé. Ignorai di proposito la sua occhiata di odio, in un gesto di ribellione e di ripicca che sapevo mi sarebbe costato caro, ma che ora era un pensiero insignificante.


    Edited by Illiana - 10/5/2021, 17:09
     
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    Efesto
    Il grande giorno era arrivato. Presto avrei stretto l'accordo con Dione e dopo essermi assicurato gli ori di Venere sarei fuggito sicuro del mio bottino ed ancor più della mia vittoria. Avevo promesso alla Duchessa di Venere le armi necessarie per primeggiare contro l'esercito di Marte ed alla moglie del Generale dei Medjay di liberarla dalla figura ingombrante della stalker del marito. Non avrei soddisfatto nessuna delle due, ma sarei comunque fuggito con un bel carico di denari.
    Ciò che non avevo messo in conto era la figlia di Dione, una stupida ragazzina capricciosa troppo piccola per attirare il mio interesse o almeno questo era ciò che mi aveva raccontanto ben prima invece di incontrarla dal vivo. Avevo mostrato subito il mio interesse verso il suo fascino esotico, perfetto ed ammaliante, mentre Dione era facilmente passata in secondo piano. Non mi ero accorto di quanto ciò potesse essere pericoloso almeno fin quando, a fine pasto, non vidi la giovane allontanarsi scossa ed arrabbiata.
    Dione con le sui moine fece di tutto per mantenermi al mio fianco, ma con la scusa di portare avanti la commissione che mi aveva affibiato mi allontanai solo per correre tra i corridoi dorati del palazzo in cerca della mia visione. Di quel miraggio che mi aveva tolto il respiro e già pareva essere scomparso. La cercai ovunque almeno fin quando non la trovai, in un corridoio desolato di servizio, seduta in una rientranza della parte con lo sguardo assorto puntanto fuori, oltre il vetro della finestra ad osservare il brulicare della vita nel borgo.
    Nemmeno il tempo che si accorgesse di me, che scostandole i capelli dal viso attirai la sua attenzione "Come Vi sentite?"
    "Non dovreste privare mia madre della Vostra compagnia, potreste subire le sue ire..." non si era scostata dal mio tocco ed il suo sguardo magnetico era un misto di seduzione e malizia. Sembrava volesse mettermi in guardia, ma al contempo giocare con me.
    “Lo dite per esperienza o ... siete solo così gentile da temere per la mia sorte?" la provocai con un sorriso sghembo.
    Lei sorrise piegando il capo da un lato, pareva sospresa e non mancò di farmelo notare.
    "Dei Pirati Troiani è famoso il loro modo di fare rozzo e maschilista. Irrispettoso e maleducato, ma Voi parte diverso Comandante..."
    "Chiamami solo Efesto..." dissi prendendole una mano e baciandogliene il dorso senza smettere di guardarla negli occhi nello stesso momento in cui percepì due paia d'occhi penetrarmi la schiena. Non mi servì voltarmi per capire di chi si trattava.
    "Vedo che mia figlia non ha perso tempo di raggirarVi, ma non lasciateVi tentare è solo una serpe incapace di mantenere ciò che promette"
    La mia mascella si irrigidì, mentre regalando un sorriso ad Aphrodite mi voltavo lentamente per poi puntare i miei occhi scuri e penetranti su Dione.
    "Posso assicurarVi sul mio onore che il mio interesse circa Vostra figlia non comprometterà i nostri patti..."
    Lei poggiò le mani sui fianchi e dopo aver fulminato la figlia con lo sguardo, tornò a guardarmi seducente. Si avvicinò posandomi una mano sul petto che dopo aver accarezzato on mancò di esplodere in tutta la sua ilarità.
    "Sul tuo onore? Ha forse valore?" sibilò velenosa, non comprendendo che dietro quella mia apparente calma c'era una bestia pronta ad uscire. Come un cobra che colpisce la sua presa le presi il polso e dopo averlo stretto glielo torsi spingendola così forte all'indietro da farla cadere a terra.
    "VATTENE IMMEDIATAMENTE" le urlai come facevo con una prostituta dopo essermela portata a letto. Senza rispetto, senza gentilezza, solo ricoprendola di umiliazione.
    Dione parve così spaventata da essere incapace di rispondermi, mentre sollevandosi si sistemò gli abiti e guardandomi mi trafisse senza la forza necessaria per andare fino in fondo. Aveva bisogno di me e non le conveniva che le fossi nemico, quello lo sapeva e per questo semplicemente voltò i tacchi e se ne andò.
    Abbozzai un sorriso “Mi scuso per la brusca interruzione... dove eravamo rimasti?” chiesi come se nulla fossi e sospirando tornando a incatenare i miei occhi a quelli della mia Dea.
     
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    Non era stato difficile per Efesto conquistare il mio interesse inizialmente e il mio cuore subito dopo. Era un uomo misterioso e forte, possedeva un fascino ammaliatore fuori dal comune e il pensiero di averlo conquistato aveva un gusto fortemente proibito.
    Mi aveva circondato di attenzioni serrate ed emozionanti, e benché fossi abituata all'adorazione di uomini e donne, le sue scatenavano in me un piacere intenso. Era coraggioso: non si nascose dietro finte moine per non incorrere nelle ire di mia madre, anzi, la respinse con vigore e chiaro disprezzo quando lei provò ad attirarlo nuovamente a sé, a fargli distogliere l'attenzione dalle mie grazie.
    Andai a letto, quella sera, con il cuore colmo di felicità a di stupore. Venni svegliata nel mezzo della notte da un bacio vorace e passionale. Lui si era introdotto di nascosto nella mia stanza, e senza troppo insistere mi convinse a seguirlo, a fuggire con lui sul suo pianeta, l'asteroide satellite del pianeta Marte che era il Covo dei famigerati Pirati Troiani.
    Efesto era a capo del suo popolo, un gruppo non molto numeroso di combattenti spietati e ribelli, che si proclamavano fieramente indipendenti dai duchi di Marte.
    Ma le questioni politiche non avevano alcun peso, non quando il mio cuore batteva così forte se solo i suoi occhi dalle iridi scure e dure si posavano su di me.
    Fuggii come una ladra, senza avvisare neanche le ancelle al mio servizio della mia partenza. La possibilità che per timore delle ritorsioni di mia madre la avvertissero era concreto. E mia madre avrebbe potuto impedirmi, anche con la forza, dato che la tua tirannia mi era ormai chiara, di ufficializzare e vivere il mio sogno d'amore.
    (…)
    Erano passati alcuni giorni da quando ero arrivata nella dimora di Efesto. Il luogo era cupo e dotato di scarse comodità. La luce del Sole, per quanto l'asteroide orbitasse più lontano rispetto a Venere, era sempre offuscata da nubi eruttive dei numerosi vulcani attivi. Ma io notavo appena i disagi: la passione del mio amante non si era affievolita una volta che mi ero concessa alla sua adorazione, anzi, mi trovavo costantemente al centro della sua attenzione, curata e vezzeggiata in ogni modo possibile. La notte poi, facevamo l'amore fino a che cadevamo nel sonno sfiniti e appagati. Ero così felice che lasciai perdere ogni precauzione fino a che, una mattina, lo sguardo cadde sul cofanetto intarsiato che avevo infilato nel piccolo baule di legno e avorio quando avevo preparato il bagaglio in fretta e furia per la fuga.
    Conteneva le cose più preziose; tra i cosmetici per la cura dei capelli e della pelle c'era la fialetta di vetro scuro della pozione per l'infertilità. Tutte le donne di Venere ne facevano uso per evitare il rischio di una gravidanza che avrebbe appesantito e rovinato il corpo in maniera irrimediabile e definitiva. I nostri bambini, infatti, venivano generati su richiesta utilizzando la tecnologia genetica, che creava venusiani perfetti e con le caratteristiche desiderate dai futuri genitori. Anche io ero nata in questa maniera: il dono genetico dei miei genitori era stato ricevuto e messo a frutto, presso la Casa della Nascita, per consentire all'ovulo di mia madre di svilupparsi e trasformarsi in un feto e poi in un neonato. La Casa della Nascita era una clinica non comune, di fatto l'unica esistente in tutto il sistema solare. Questo metodo faceva parte della nostra cultura da millenni, era una pratica abituale e con molti benefici per chi conosceva le nostre tradizioni, ma inconcepibile e ripugnante per molti altri popoli.
    Feci mentalmente alcuni calcoli prima di portare alle labbra la pozione che dovevo prendere ogni pochi giorni per mantenere la mia purezza inalterata, ma la boccetta mi venne strappata inaspettatamente dalle mani.
    Quando mi girai, stupita, incrociai lo sguardo sospettoso del mio amante e... futuro marito. Ci eravamo scambiati la promessa di fidanzamento la sera prima, e già da stamattina fervevano i preparativi per il matrimonio. Erano già a buon punto, e non avremmo tardato a celebrare il nostro amore con una festa grandiosa. Efesto aveva voluto anticipare e velocizzare l'evento, preda di timori che, intuivo anche io, avrebbero potuto rovinare la nostra felicità.
    “Che cosa stai facendo?” Il tono era diffidente.
    “Nulla di strano... è solo la mia pozione per l'infertilità...” Davvero non capivo la sua preoccupazione... Temeva che lo stessi ingannando? Che il mio amore non fosse sincero? Che non fossi bella così come mi vedeva? Mille domande mi turbinavano incerte nella mente, ma nessuna era quella giusta.
    Efesto ridusse gli occhi a fessure e inspirò rumorosamente dalle narici dilatate.
    “Conosco le vostre tradizioni aberranti in tema di procreazione. Però fammi mettere subito in chiaro una cosa: tu, considerando che diventerai mia moglie, devi rispettare il mio volere e lasciare da parte quello che non mi piace. Io voglio dei figli veri, che siano miei, e non creati artificialmente da qualche scienziato pazzo!”
    Non aveva ancora terminato la frase che scagliò la bottiglietta attraverso la finestra aperta. Udii il rumore di cocci infranti.
    Lo fulminai con lo sguardo, irritata e indignata per la sua cattiveria e mancanza di rispetto.
    “Perché lo hai fatto? Stai calpestando quello che ritengo più sacro dopo il sentimento che provo per te, ovvero il mio corpo! Non puoi ordinarmi di sottopormi ad una simile prova come il portare addosso il peso di un altro individuo! E' atroce e crudele e non mi costringerai a rinunciare alla mia integrità!”
    Ero disperata, perché non avrei potuto recuperare da nessun'altra parte la pozione. Sarei dovuta tornare su Venere, e magari incontrare e fare i conti con mia madre. Nel contempo, non mi preoccupavo per gli avvertimenti del mio fidanzato, convinta che avrei saputo persuaderlo a tempo debito sulle mie ragioni. Mi amava troppo per rendermi triste.
    Non riuscii a impedirmi di sbottare: “E poi, sei così certo che vorrò mai avere dei bambini, da te o da chiunque altro?”
    La reazione di Efesto fu imprevedibile e violenta. Mi schiaffeggiò con forza e non riuscii a mantenere l'equilibrio, caddi per terra. Invece di scusarsi, di consolarmi, o di tentare di farsi perdonare, mi venne addosso e le sue mani si strinsero come una trappola intorno alla gola. Cercai di liberarmi, scalciando e inarcando la schiena, senza riuscirci. Afferrai le sue braccia, conficcando le unghie nella pelle, ma neanche graffiandolo ottenni nulla.
    “Sei una puttana che pensa solo al fare sesso e a godere in modo indecente. Non voglio una prostituta come moglie, quindi ti atterrai ai miei ordini, o ti pentirai presto di non averlo fatto!”
    La sua presa non diminuiva, e cominciavo a sentirmi svenire. Ero incredula e sopraffatta dall'angoscia. Mi stava uccidendo e io... non avrei reagito?
    Strinsi i denti per la rabbia. La mano che stringeva il suo braccio catturò un debole rumore, non sapevo neanche io da dove arrivasse, e lo trasformai in un lampo tagliente, che rivolsi verso il suo viso contratto dalla rabbia.
    Poi persi i sensi senza che me ne rendessi neanche conto.
    (…)
    Mi risvegliai nel nostro letto. La prima cosa che mi assalì fu il dolore: al viso, al collo e alle spalle. Passai una mano sulla gola, sfiorandola con i polpastrelli: la pelle era contusa e illividita dalla brutalità dell'uomo che avevo creduto di amare, che mi aspettavo sarebbe diventato, presto o tardi, il mio imprinting. La seconda cosa che mi colpì fu la disperazione e la paura, nel toccare un sottile cerchio di metallo che mi cingeva il collo. Efesto era seduto sul bordo del letto, le spalle basse e la postura da cane bastonato.
    Non vedevo il suo viso, ma lui si accorse che mi ero ripresa. “Cosa dovrei fare con te? Tra poco diventerai mia moglie e pensavo che saremmo stati felici, lontani dall'influenza di tua madre e delle tradizioni incomprensibili che ci sono su Venere.” Era calmo, ma di un contegno che minacciava al contempo di essere spazzato via da un secondo all'altro alla minima contrarietà. Temevo per la mia incolumità, quindi cercai di ammansirlo con le bugie.
    “Dovremmo pensare solo ad essere felici, come hai detto tu. Ignorare tutto quello che non siamo noi due.” Mi sedetti sul letto con gesti sensuali e attenti a non far trapelare il dolore, nonostante la testa pulsasse per le contusioni. Mi avvicinai verso di lui, invitante, appoggiando i seni ai muscoli contratti della sua schiena.
    Lui girò il viso verso di me, e soffocai un urlo di raccapriccio portandomi una mano alla bocca, spalancata come i miei occhi.
    Ricordavo in maniera confusa di essermi difesa dalla sua rabbia, ma non mi ero accorta di averlo colpito, né in maniera così grave. Il suo viso era sfregiato da una ferita ancora fresca che partiva dal sopracciglio per arrivare fino alla guancia attraversando l'occhio destro. L'occhio era danneggiato, sicuramente in maniera permanente. Una volta guarito, il volto sarebbe stato deturpato da un'orribile cicatrice. Era diventato un mostro. Un mostro tanto dentro quanto fuori. Capii in quel momento il mio errore e la sventatezza con cui avevo agito dopo averlo conosciuto. Avevo vissuto la nostra infatuazione come un modo dissoluto per vendicarmi di mia madre, senza riflettere ulteriormente.
    Lui aggrottò la parte del viso ancora sana, la sua bocca divenne una smorfia terrificante.
    Cercai di allontanarmi da lui, nauseata da quello che vedevo. Il mio respiro era affannoso e spezzato per il disgusto. Una mancanza di fascino e di bellezza era uno spettacolo intollerabile per noi venusiani, e in quel momento, Efesto aveva perso ogni attrattiva su di me, con i suoi modi violenti e la deformità che lo avrebbe segnato per sempre.
    “Non ti avvicinare!” Urlai quasi isterica, tentando di liberare la mano che lui aveva preso nella sua.
    La sua apparente calma si infranse, facendo comparire alla stessa violenza e furia della sera prima. Recuperò la distanza che avevo messo tra di noi afferrandomi per i capelli. “Pensi forse di respingermi, ora che mi hai rovinato con i tuoi poteri da Guerriera? Porterò per sempre il segno del tuo amore bene in vista, così che potrò ricordarmi di te ogni volta che lo vedrò.” Il suo viso era quasi attaccato al mio, la sua forza mi terrorizzava. Dovevo difendermi e trovare il modo di scappare, questo era l'unica cosa che pensavo, ma le mie opportunità si sarebbero drasticamente ridotte a breve. Quando mossi la mano per colpirlo e allontanarlo da me lui vide il gesto con l'occhio sano, e sorrise malvagio.
    “Sarei uno stupido se ti avessi lasciata libera di potermi colpire ancora. Finché non capirò di aver domato la tua ribellione, il Neutralizzatore rimarrà qui, su di te.” La sua mano si posò pesantemente sul collo e sul cerchio che lo cingeva. Poi le dita risalirono sulla mandibola e strinsero. “Mi hai fatto male, come nessun altro era mai riuscito a fare. Dovrei ucciderti, ma ti desidero comunque...”
    Avevo già capito quello che sarebbe successo, e che sarebbe stato molto peggio per me se avessi opposto resistenza. Lo avrei ucciso subito, se avessi avuto i miei poteri a disposizione, invece quel piccolo cerchio in metallo era un prodotto della scienza di questo pianeta, che mi aveva resa una semplice vittima inerme.
    Lasciai che mi strappasse i vestiti per denudarmi, che mi venisse addosso con il suo corpo scuro e brutale, che mi penetrasse e pensasse di avermi spezzata con la violenza e l'oltraggio.
    Cercai solo di estraniarmi dal mio corpo, di viaggiare con la mente lontano da quella stanza e da quel momento. Pensai di rifugiarmi prima sul mio pianeta d'origine, ma mi allontanai delusa anche da lì. Trovai un luogo di pace molto più lontano, sul pianeta azzurro.
    Rimasi in uno stato a metà tra il sonno e la veglia per diversi giorni, senza muovermi dal letto neanche per mangiare. Comunque, non avevo libertà di muovermi, ero confinata nella mia stanza. Resistetti anche alle visite successive dell'uomo che si proclamava mio futuro marito, odiandolo ogni secondo di più. Non avevo ancora un piano per riconquistare la mia libertà, volevo prima di tutto vivere. Poi avrei pensato alla vendetta.
    Qualche giorno più tardi, lui non si presentò come di consueto nel mio letto. E neanche quello successivo. Aveva lasciato il pianeta per i suoi loschi affari, seppi poi origliando i discorsi delle guardie che vigilavano la casa.
    Poteva essere il momento giusto per fuggire, così mi risvegliai dal torpore. Efesto credeva di avermi tolto ogni speranza, ma i miei poteri di Guerriera erano solo una delle armi a mia disposizione. Sedussi la serva che mi portava i pasti due volte al giorno. Non fu difficile farla capitolare, anche se per via della prigionia e del cuore che mi si era quasi spezzato la mia bellezza si era lievemente offuscata. Convinsi la ragazza a farmi uscire e scappare. Probabilmente al ritorno di Efesto avrebbe pagato molto cara la sua inottemperanza, ma non potevo pensare anche a lei!
    Trovai il modi di fuggire dalla prigione, e quando decisi dove rifugiarmi, andai sicura dove sapevo di poter trovare un conforto adeguato per le mie ferite. Andai sulla Terra, a cercare quegli occhi indimenticabili ed elusivi che mi avrebbero aiutata a dimenticare tutto l'orrore degli ultimi giorni.


    Edited by Illiana - 10/5/2021, 20:07
     
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    Limassol, 1193Un mese dopo la morte di Al Mualim, la Crociata era ancora in atto, e i Templari non erano ancora stati sconfitti. Mentre si preparavano per fuggire a Cipro, sotto la guida di Armand Bouchart, gli stessi avevano messo in sicurezza il porto di Acri per la loro fuga. Fu così che io e i miei confratelli ci preparammo ad attaccare e fu in quella occasione che mi ritrovai di fronte la stessa donna che, molto tempo prima, avevo affrontato per proteggere il Sultano.
    Si chiamava Maria Thorpe, era inglese ed era fedelissima ai Templari, ma ancor più al suo Mentore Roberto di Sable che dopo il suo fallimento l'aveva allontanata impedendole, a suo dire, di proteggerlo dal mio ucciderlo.
    Ci confrontammo senza esclusioni di colpi ed a differenza del nostro primo incontro, anche per via delle mie abilità maggiori, la sconfissi. Qualcosa in lei mi faceva credere e pensare che ci fosse speranza, che le sue credenze non fossero poi così solide, quanto più dettate da un senso di riconoscenza nei confronti dell'uomo che l'aveva aiutata e che forse vista la verità avrebbe potuto avvicinarsi al nostro Credo e divenire di fatto un'Assassina.
    A fronte di tale decisione la presi in ostaggio e considerando la mia imminente partenza per Cipro la portai con me. Lì stabilì un contatto con Alexander, capo della confraternita della piccola isola, ed a lei affidai la mia prigioniera con l'ordine di tenerla d'occhio, ma in egual misura lentamente avviarla al Credo.
    Dal mio fide alleato scoprì che i Templari si erano rifugiati nel Castello di Limassol, lo stesso ove in meno di un mese si sarebbe tenuto il festoso matrimonio di Riccardo I d'Inghilterra e Berengaria di Navarra. Quella era la nostra occasione per attivare la nostra spia, Osman, che nel mentre avrebbe preso il posto del Capitano delle Guardie. In quella occasione lui ne avrebbe ridotto il numero di quelle di pattuglia e quello mi avrebbe permesso di infiltrarmi e portare a termine l'omicidio di uno degli ospiti d'onore: Federico Barbarossa.
    In quei lunghi giorni di preparazione le mie giornate si suddividevano tra operazioni di intelligence e visite alla Templare Maria Thorpe che scoprì giorno dopo giorno sempre più propensa alla verità, ad accettare che ciò che lei finora aveva servito non era la parte giusta della storia.
    Il tempo passato con lei diveniva ogni giorno che passava non solo parte di una missione, ma la forte convizione che qualcosa tra noi si stava creando.
    Maria aveva la capacità di andare oltre la mia dura scorza, sapeva che ben poco di ciò che ad un semplice uomo poteva attrarre a me davvero colpiva.
    Certo ero fatto di carne ed ossa, bellezza e seduzione potevano ammaliarmi per un istante, ma non conquistarmi di certo. Lei infatti non aveva nulla di tutto ciò, se non intelligenza, praticità ed attenzione. Era concreate, reale e soprattutto usava la mente come pochi altri, era questo che a mio dire la rendeva a dir poco affascinante.
    Con il passare del tempo, nonostante fosse ancora sorvegliata, non era più tenuta in cella ed addirittura aveva preso ad allenarsi con me sempre più decisa ad avere un ruolo in quella storia ed aiutarci nella missione.
    "Sei certa di riuscir ad affrontare chi fino a ieri servivi?" gli chiesi con voce greve. Avevo deciso quel giorno di cambiare la nostra routine e per la prima volta dopo giorno darle la possibilità di uscire dal Covo ed insieme condividere una passeggiata in spiaggia. Non c'era nulla però di romantico e tanto meno di rilassante, il mio era un confronto e la postura dura e le mani dietro la schiena mettevano in chiaro la cosa.
    "La vera domanda che dovresti porti è se puoi fidarti di me..." mi sbeffeggiò lei alzando un sopracciglio.
    "Sei un Mentore Altair e quella che si profila è una battaglia importante... devi assicurarti che tutti ti seguano in battaglia e potrebbero non farlo se tu continui a darmi così tanta fiducia..." la sua voce usciva sicura, ma non nascondeva una certa apprensione. Si preoccupava del mio potere all'interno della Confraternita, della mia posizione e della mia reputazione... ero sicuro che un nemico non era solito soffermarsi su tali pensieri.
    "Il solo fatto che tu pensi queste cose confermarno ciò che ho sempre pensato..."
    "E sarebbe?"
    "Che i tuoi valori e principi vanno oltre all'Ordine a cui hai prestato giuramento. Credevi veramente nei Templari non hai mai fatto nulla per denaro o gloria personale e questo ti fa onore..."
    "Non credo che nessun altro a parte te lo capisca... tu mi hai fatto comprendere che ciò in cui credo non è sbagliato, lo è sempre e solo stato credere di farlo dal lato giusto..."
    Ci fermammo ed in quel momento guardandomi i suoi occhi azzurri penetrarono il mio sguardo scuro. I capelli biondi le volevano di fronte al viso, nonostante li tenesse stretti in una treccia ed il suo sorriso si unì al mio che, senza nemmeno rendermi conto, era nato sul mio viso.
    Lei lo notò ed abbassò lo sguardo non imbarazzata, ma divertita.
    "Ti ho fatto sorridere questo sì che è un miracolo!"
    Io scossi il capo, sapevo che Alexander mi appoggiava in quella scelta ed ero sicuro che anche gli altri avrebbero visto la lealtà di Maria e per questo la volevo in missione con noi.
    Tuttavia non riuscimmo a dirci altro che un grande tonfo in lontananza ci fece alzare lo sguardo, oltre a noi molti altri stavano prestando attenzione alla linea dell'orizzonte lì dove in mare aperto una grande quantità d'acqua si era sollevata proprio a conseguenza di quel rumore, qualcosa che pareva caduto dal cielo.
    Non perdemmo tempo ed immediatamente io e Marai facemmo allontanare tutti dalla riva, portandoli il più lontano possibile. Le onde causate non stavano certo provocando un tstunami, ma sicuramente rifrangevano onde a dir poco minacciose.
    Molti si erano inchiodati a Terra iniziando a pregare Allah, certi che come per Kaʿba fosse un altro segno del loro Dio.
    Fu difficile farli desistere dalle loro posizioni, mentre il panico si diffondeva e quel caos improvviso ci mise in allerta.
    Eravamo all'alba di una missione importante e non avevamo bisogno di tutto quel trambusto e tanto meno che per questo i Templari cambiassero i propri piani.
    Io e Maria, ormai lontani ed in mezzo ad una folta folla, venimmo raggiunti da Alexander. Era concitato e le sue preoccupazioni erano le mie. Tutti osservammo il mare come se ci aspettassimo da un momento all'altro che qualcosa accaddesse, ma così non fu.
    Per tutto il giorno, fino a notte inoltrata e temevo per i giorni a venire, ci fu un pellegrinaggio alla spiaggia senza pari. Lì ove io tornai, con il favore delle tenebre come se fossi attratto da qualcosa che nemmeno io sapevo cosa fosse.
    Rimasi seduto sulla sabbia osservando gli ultimi credenti allontanarsi e stavo per farlo anche io, mentre iniziai ad intravedere una figura. La luna non illuminava abbastanza, ma via via che si avvicinava alla riva prendeva forma e fui sempre più convinto fosse una persona.
    Avrei dovuto fuggire, ma l'istinto mi fece invece correre verso l'acqua e senza pensarci aiutare la donna che vi uscì. Con il buio non ne riconobbi i tratti, ma percepì che era stanca e ferita. Camminava a fatica e si strinse a me senza troppo remore, io dal canto mio le posai una mano sul fianco e l'aiutai.
    E poi ecco che finalmente un raggio lunare le colpì il viso e la sua pelle sembrò brillare, i suoi occhi accendersi e la sua bellezza travolgermi.
    "S-Sei davvero tu?" riuscì a chiedere incredulo con un tono di voce emozionato e tremante che non mi apparteneva.
     
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