Present Day #2020: Abstergo

Season 5

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Vesta:
    Non fu facile rintracciare Pandia e le Guerriere che erano con lei nel tentativo di salvare gli umani reclusi nell'Abstergo. Erano nascoste, logicamente. La presenza di un Eterno nel territorio dei Devianti era severamente vietata dal Trattato di Saturno, pena lo scoppio immediato di un conflitto devastante.
    Quanto avevo criticato la loro disobbedienza agli Imperatori! E quanto ora mi vergognavo di dover ricorrere a loro per ritrovarmi in questo momento di confusione totale.Perdendo per una frazione di secondo il controllo delle mie emozioni avevo ferito gravemente mia sorella e, a peggiorare tutto, questo aveva significato anche attaccare senza un motivo valido una Guerriera. Questo fatto mi rendeva ancora degna di esserlo, di proteggere e servire con i miei poteri l'Impero Lunare?
    Quando entrai nell'appartamento anonimo, che serviva come rifugio e come base operativa, alla periferia della grossa città, le trovai riunite nella stanza principale. I loro sguardi meravigliati mi trapassarono come delle frecce, ed io avvertii il consueto peso della colpa, anche se stavolta la motivazione era diversa e loro, oggettivamente, non potevano ancora sapere quale ulteriore macchia troneggiava sulla mia anima.
    Aphrodite fu la prima a venirmi incontro. Mi prese le mani e le strinse forte, in maniera febbrile. I suoi gesti erano nervosi, eccessivi. Lo sguardo spiritato, gli occhi persi in pensieri ossessivi facevano balenare ogni tanto lampi di squilibrio doloroso.
    Ero così sconvolta che per qualche secondo dimenticai le mie afflizioni. Aphrodite era angosciata quasi alla pazzia per il suo Altair, l'uomo per il quale aveva ottenuto l'imprinting. Ancora questa esperienza sacra. Perché noi venusiani davamo tanto valore a una simile avvenimento, quando poteva portare gioia ed estasi ma anche, e molto spesso, dolore e follia estremi?
    "Sei qui per aiutarci, vero Vesta? Tu puoi fare quello che sarà necessario per..."
    "Non sono sicura che lei sia adeguatamente preparata per quella parte di piano, Aphrodite!"
    Athena era intervenuta con distacco ed estrema efficienza, come sempre, ma la Guerriera di Venere si girò con veemenza verso di lei, per rimbeccarla con voce astiosa e acuta: "Sì, invece! Vesta sarà perfetta!" Poi tornò a guardarmi fiduciosa: "Vero che lo farai, tesoro?"
    Io balbettai, arrossii... non ero venuta per quello, e sentivo crescere il panico al pensiero: "Io... io vorrei parlare... cinque minuti da sola con Pandia... prima!"
    Aphrodite si allontanò irritata, mentre Pandia mi faceva segno di seguirla sulla terrazza al piano superiore, dove si godeva il tiepido sole già quasi invernale, per i canoni terrestri. Ci sedemmo su una piccola panchina bianca ma io rimasi muta, a tormentarmi le mani, lo sguardo fisso in basso.
    Pandia intrerpretò il mio silenzio come un'accusa nei suoi confronti, perché esordì cautamente: "Non fraintendermi Vesta, sono felicissima di vederti, mi mancate tutte quante e vedervi aiutarci, aiutarmi vale moltissimo per me, ma... il tuo viso non mente... Partenope e Iuventas sono venute per scelta... tu sembra più che l'abbia fatto per scappare da qualcosa... da qualcuno..."
    Era per questo che avevo pensato di venire da lei, più che da Aphrodite, che era stata la guida mia e di Cerere fin da quando ci aveva accolte nel suo mondo privilegiato. La nostra leader sapeva leggere nell'animo delle persone in maniera profonda e opportuna.
    Sospirai affranta: "Hai ragione... ho litigato con Cerere e temo... che lei non mi vorrà vedere mai più..."
    A quel punto, ammettere la dura verità, la paura che più mi schiacciava, fu come aver dato libero sfogo al mio dolore e lo feci, piangendo lacrime che si trasformarono velocemente da irrisorie a impossibili da nascondere. Pandia mi abbracciò e mi tenne stretta a lungo, fino a che non recuperai un po' di calma.
    "Sai che non ti ho mai giudicato... sai quanto tengo a te... ma so anche da quanto tempo tu ti faccia del male... Non hai mai voluto condividere con nessuna dei noi i tuoi crucci e le tue paure... ma ora capisco che non è facile..." Abbassò lo sguardo. "Non so se Iuventas ve lo ha detto..."
    "Iuventas ci ha detto il motivo per cui sei qui. Non ho capito molto bene, però..."
    Pandia rise con affetto: "Immagino vi abbia detto che non sono qui perché sono impazzita improvvisamente, ma perché ho un motivo che non ho mai potuto o meglio voluto confessarvi, giusto?"
    Annuii. Non avevo mai pensato una cosa del genere, la ritenevo troppo equilibrata e giudiziosa, ma dovevo ammettere che il suo comportamento mi era parso incomprensibile, all'inizio.
    "Siamo in una posizione simile non trovi? Entrambe da tempo manteniamo un segreto e non lo condividiamo con chi amiamo per paura di essere giudicate o allontanate..."
    "Sì... già... e forse è stato proprio per la mia ritrosia che ho allontanato non solo Cerere, ma anche le altre... è per questo che sono qua. Tu sei la nostra leader, noi ti consideriamo tale anche se ora è Cerere che fa le tue veci. Ho bisogno di capire cosa devo fare...."
    "Sii te stessa... senza paura... smettila di farti del male ad inseguire qualcosa che non sei e non sarai mai. Purtroppo mi è successo qualcosa e colei che ero prima, colei che vi ha guidato finora, è sparita... è difficile da spiegare, sono diversa pur essendo ancora io. Sono una Guerriera, sono la vostra leader, sono la vostra amica e sorella, ma sono anche qualcun'altra...perché dentro di me convivono due nature... due essenze diverse... ho capito che è inutile voler essere solo una o solo l'altra... ho capito che devo accettarle entrambe e fare solo quello che mi sento anche a fronte di essere percepita male o stranamente da fuori... fa questo Vesta e finalmente ti sentirai libera... ti sentirai amata... da te stessa in primis" Disse dolcemente stringendomi forte le mani nelle sue.
    Mi irrigidii a quelle parole. Una parte di me capiva quanto fossero appropriate e pure, e quanto Pandia avesse solo intenzione di aiutarmi a superare il momento orribile che stavo attraversando, ma il concetto di accettare qualcosa che mi procurava solo danno e dolore era un fatto impensabile. Era una vita che provavo ad abbracciare la mia diversità, senza successo.
    "Certo... hai ragione..." Preferii cambiare discorso. "Come è qui la situazione?"
    "Tragica... Avevamo tutto pronto per far scappare gli Assassini, ma le cose si sono... complicate..."
    Al solo affrontare il discorso, mi parve che una morsa stesse stringendo l'anima della mia amica: "Due sono al Livello 2, un livello segreto e inaccessibile dove fanno cose inaudite... dobbiamo riportare i due che lì vi sono stati portati al Livello 1 per attuare la fuga, ma per farlo abbiamo bisogno di informazioni che solo entrando è possibile recuperare!”
    Ecco a cosa si riferiva Aphrodite. Per quanto piccola, mi si stava presentando la possibilità di rendermi utile, di dimostrare a me stessa per prima che avevo ancora la prerogativa e la moralità di essere una Guerriera. Meglio sarebbe stato se avessi messo da parte dubbi e pregiudizi.
    "Aphrodite mi ha accennato qualcosa. Sostiene che io potrei riuscire ad aiutarvi, ma... come?"
    "Entrando... i nostri volti, in un modo o nell'altro sono noti... ci siamo fatte "sentire" da queste parti... ci serve un volto nuovo..." Pandia scosse il capo sconsolata. Non era la preoccupazione relativa al successo o meno di una missione, ciò che le offuscava l'espressione del viso. Era qualcosa di diverso, qualcosa che ai miei occhi possedeva un valore maggiore rispetto a tutto il resto.
    "Però mi sento in colpa, avete già tanto da pensare con la guerra alle porte che già l'essere assente mi fa sentire in colpa... continuare a coinvolgervi peggiora le cose..."
    "Ma tu lo ami?" Questa era la domanda più importante. L'opportunità delle altre considerazioni mi lasciava indifferente, ora.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 7/10/2020, 16:24
     
    Top
    .
  2.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Love GDR

    Group
    Cristina
    Posts
    16,697
    Reputation
    +1,392
    Location
    Mandalore

    Status
    :Pandia:
    Più il tempo passava e più il tempo che colmava le nostre vite si faceva profondo e complesso. Ormai io e tutte le altre eravamo psicologicamente stanche e devastate da quella situazione che si stava trascinando ormai da circa un anno terrestre.
    Athena si sforzava costantemente di mantenersi lucida, di essere una roccia per tutte le altre, ma la sua mancanza di casa era palpabile. Lo vedevo quando per caso mi capitava sentirla parlare con Cloe e suo padre o quando con l'arrivo di Partenope si era permessa di sfogarsi un poco con quella che ormai considerava una figlia.
    Ares era in costante conflitto con Deimos, che seppur l'appoggiava in ogni scelta e decisione, avrebbe voluto riportarla a casa creando così ulteriori tensioni con Senu che ormai si era aggiunta a loro e con cui, non sapevo perchè Deimos, pareva non aver un gran bel rapporto. A peggiorare le cose c'erano state prima l'aggressione a Iuventas, per via del favore che le avevamo fatto e ben presto un'altra brutta sorpresa legata al Compagno Alato di Bayek.
    Poi c'era Nike, che quando passava nelle stanze creava così tanta energia statica da innervosirci tutte. Il suo era un atteggiamento passivo-aggressivo, ma nonostante ciò era quella che più insieme ad Athena cercava di mantenere il punto.
    Infine Aphrodite, la più folle del gruppo. Tutto era peggiorato da quando Altair era stato portato a Livello 2 ed ormai era idea comune che il suo peggioramento andasse di pari passo con le condizioni di salute dei due prigionieri e questo se possibile mi faceva spaventare ancor più quanto non lo fossi.
    Sì perchè lo ero da impazzire. Ormai avevo la certezza di essere in un "nuovo mondo", che l'uomo che amavo probabilmente non sapeva chi fossi e che alla fine di tutta quella storia non avrei avuto una casa a cui tornare. Nessuna famiglia, nessun posto in società... solo il ruolo di attenta soldatina dell'Impero.
    Avevo passato molte sere a rimembrare nella mia mente ricordi che ero convinta ormai di avere solo io. Il rapporto con mia sorella, il legame unico con Thot, il mio ruolo tra gli Assassini, la mia amicizia con Lara, il mio amore per Ezio... tutto era svanito ed io sapevo che la colpa era di chi in quel mondo comandava. Di chi era responsabile di quello scempio chiamato "rastrellamento".
    A peggiorare le cose poi c'erano gli eventi legati all'Impero. Ritrovare Partenope e Iuventas fu un'ottima e bella occasione per riappacificarmi con le mie amiche, raccontare loro la verità e soprattutto ritrovarci come sorelle e compagne. Tuttavia di contro loro mi avevano raccontato cosa stava accadendo e tutto mi faceva rabbrividire. Io e le altre ci sentivamo delle traditrici. Dei disertori, delle codarde ed egoiste. Il che non aiutava con l'umore già sotto la suola delle scarpe.
    L'arrivo di Vesta tuttavia non l'avevo messo in programma ed ancor meno lo stato pietoso in cui la trovai. Mai avevo conosciuto in tutta la mia vita, entrambe, una persona tanto autolesionista come lei. Spesso riuscivo perfino a comprendere l'ira di Cerere di fronte al suo vittimizzarsi e lasciarsi trasportare dagli eventi per stupidi dogmi e tradizioni oltre alle quali non riusciva andare.
    Più che mai mi ero persuasa che se avessimo avuto l'opportunità, che io ricordavo, di vivere su quel pianeta come le Senior avevano fatto... allora tutto sarebbe diverso. Si sarebbero aperte a nuove prospettive, i loro orizzonti si sarebbero ampliati e quello ci avrebbe giovato come persone ed individui.
    "Ma tu lo ami?" alla domanda di Vesta ritornai con i piedi per terra, abbandonando i miei voli pindarici e mi ritrovai a sorridere.
    Era impossibile ingannare una venusiana. Ancor peggio era impossibile ingannare un'amica!
    "Si capisce eh...? Comunque, sì... molto! sospirai profondamente. Chissà quali altre notizie mi avrebbe dato circa l'Impero, perchè non sarei mancata di chiederle, ed io ero lì a disperarmi per amore. "Sono egoista vero?"
    Vesta mi guardo, sul suo viso si disegnò una smorfia amara "Egoista? Come può l'amore essere egoista? Tutt'altro! Forse ho sbagliato a pensare che foste tutte delle pazze sconsiderate. Forse la vostra lotta è più importante di tutto..."
    Alla sua esclamazione non potei non scoppiare a ridere "Bè almeno c'è qualcuno che lo pensa"
    La mia era stata una risata nervosa, di chi stava tirando fuori tanto stress che per mesi aveva accumulato.
    "E comunque è bello che chi lo pensa non è una persona qualsiasi, ma una delle poche persone di cui mi importa davvero l'opinione!"
    Le dissi sorridendole apertamente prima di abbracciarla e lieta che lei fece altrettanto.
    "Mi sei mancata così tanto... Voglio aiutarvi"
    "Anche tu..." sussurrai prima di allontanarmi e guardarla negli occhi davvero piena di fiducia e di riconoscimento.
    "Devo dunque introdurmi nella struttura?"
    "Sì... abbiamo la tecnologia per farlo e grazie Partenope e Iuventas abbiamo un'idea dei punti ciechi e punti di fuga. Tuttavia Athena ti aggiornerà dei dettagli, lei sa cosa deve recuperare e in quale ufficio dello specifico senza contare che quando accadrà scatterà un'allarme che ti costringerà a dover fuggire il più velocemente possibile... E' una classica missione di recupero dati..." le dissi ricordando le prime che ci davano. Erano tutte così ed io e lei spesso sbuffavamo di come Thot non si fidasse ad affidarci cose più serie.
    "Mi spiace" e lo dissi ironicamente ricordando quei giorni e quello finalmente la fece ridere. Serena. Per un attimo tranquilla.
    "Cosa vuoi che ti dica, mi accontenterò!" sbuffò annoiata e vanitosa e poi ben presto unendosi con me in una fragorosa risata.
    "Però aspettiamo ancora 10 minuti, ti va? C'è una bella vista da qui..." sorrisi guardandola e poi voltandomi verso il panorama. Sì potevamo stare lì ancora un po'. In silenzio. Lontano da tutto e tutti. Libere.
    "Sì... non è niente male..."
     
    Top
    .
  3.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Love GDR

    Group
    Cristina
    Posts
    16,697
    Reputation
    +1,392
    Location
    Mandalore

    Status
    :Altair:
    La sensazione pungente strisciava sotto la pelle come la reale sensazione che qualcun altro li vi fosse e per me agiva. Nei momenti di incredibile e sfuggevole lucidità riuscivo ad analizzare dove fossi, cosa fare e come agire, ma quando questo entrava in contrasto con il mio tentativo di chiudere fuori Aphrodite e non permetterle di sentire tutto il dolore che in me si celava ecco che una vena meno controllata si faceva avanti.
    Era il più delle volte che avevo visioni, certo della presenza di Aphrodite al mio fianco che le volte che capissi che era solo un miraggio in quel deserto di desolazione.
    Questo mi aveva portato a parlare, ragionare ed atteggiarmi più come un povero pazzo che un tempo era stato un gran condottiero, che per l'uomo compito che in realtà fossi.
    "Se solo il mio cuore venisse toccato... lì dove polveroso martella, qualcuno verrebbe?" chiese ad Ezio che da circa un quarto d'ora con le braccia incrociata osservava un uomo di fronte a noi.
    Da quando eravamo stati portati in quelle che da circa una settimana erano le nostre celle, quell'unica grande stanza sotterranea, senza finestre e porte e solo con una fastidiosissima luce al neon ed stato il luogo dove passavamo i nostri giorni.
    Fissavamo i prigionieri, lo scarso movimento delle guardie ed una porta blu che mai veniva oltrepassata o aperta. Lui silenzioso non diceva mai nulla, perso nei suoi pensieri e ragionamenti ed io tentavo, nel mio vano tentativo di farcela, di essere utile.
    "No Altair non credo, da quando siamo qui non ci sono stati movimenti di sorta e più nessuno è venuto a "farci visita". Io sto impazzendo e tu lo hai già fatto, dobbiamo capire come andarcene!" disse lui guardandomi e subito dopo sembrando cambiare idea, come se lo impressionasse non trovare di fronte a lui chi si aspettava.
    Tornò a fissare l'uomo che da circa tre giorni aveva preso di mira.
    "La sua bocca sottile... i suoi denti... che la tua lingua, come una freccia rossa, farà suonare un rumore scuro?"
    Ezio sospirò pesantemente.
    "E' quello che spero! Quello è Daniel Cross... un disonore per gli Assassini... ci siamo scontrati spesso e trovarlo qui è alquanto interessante... smuoviamo le acque che dici?" io assentì e così lo seguì.
    Il ragazzo era di spalle, seduto ai tavoli di ferro della stanza -l'unico arredo presente- ed appena percepì la nostra presenza si alzò iniziando a camminare. Era presente anche lui la notte della lotta nel fight club segreto ed io ed Ezio concordavamo che potesse sapere qualcosa.
    "C'eri anche tu... sei stato tra i figli di puttana che si sono accaniti su mio fratello... tu sai chi è il Demone, dimmelo!"
    "Non mi parlare!" tagliò corto quello quasi fosse stato scottato da quelle parole.
    Ma noi non gli davamo tregua e gli camminavano affianco tampinandolo, poi non seppi cosa accade ma il continuare a vedere il suo negarsi a rispondere mi fece scattare qualcosa. Una rabbia repressa che sfogai sbattendo al muro il mal capitato e colpendolo così forte con pugni al viso quasi a sfigurarlo. Ezio mi urlava qualcosa, cercava di fermarmi e se non fosse stato che per un attimo era riuscito a trattenermi mai l'avremmo fatta franca. Cross reagì venendoci addosso e facendoci rovinare entrambi a terra così che quando accadde delle guardie ci notammo.
    Eravamo ancora a terra, mentre Cross alzava le mani e quasi piagnucolando iniziò a ripetere che era stato solo un incidente. Sembrava terrorizzato.
    Il fantomatico bracciale che avevamo al polso scoprì la sua utilità perchè con esso venne elettrizzato dalla guardia che andandogli incontro stringeva una sorta di telecomando. Fece segno a due secondini di prenderle mentre quello urlava e supplicava di non farlo.
    "Non lo farò più! Lo giuro! Lo giuro!"
    "Stavi andando così bene, ma pare che tu stia avendo una ricaduta! Portatelo via"
    "No! No! NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO"
    Per calmare le sue urla venne elettrizzato nuovamente e poi scortato oltre la fantomatica porta blu contro la quale lui supplicava di non voler andare. La guardai lo seguì con lo sguardo fintanto non saprì e poi guardandoci ci lanciò un avvertimento di non creare casini se non volevamo essere i prossimi.
    Appostati ad un tavolo rimanemmo lì fintanto non ci avrebbero richiamati nelle celle, fissavamo la porta nella speranza quasi di una risposta che divinamente dal cielo ci sarebbe arrivata.
    "Come acque vacallianti, come autunno in foglie... come sangue... rumore di fiamme umide che bruciano il cielo!" farneticai tenendomi la testa come se percepissi il dolore e sapessi che il finale sarebbe stato catastrofico.
    "Altair devi calmarti e soprattutto devi tornare in te, ti prego... ti supplico non posso fare tutto questo da solo!" mi disse Ezio prendendomi per spalle quasi a volermi risvegliare dal "sonno" in cui ero caduto, ma quando le porte si aprirono e da sotto il telo capimmo che Daniel Cross stava venendo portato via cadavere, capì che non mi sbagliavo.
    "Come un fantasma bianco al bordo della schiuma, in mezzo al vento... qualcuno verrebbe forse... qualcuno verrebbe..." farneticai ancora assistendo alla scena. Ezio aveva la mia stessa espressione affranta, la stessa sensazione che ormai fossimo all'inferno... Nessuno ci avrebbe salvato dai nostri demoni oppure no?
     
    Top
    .
  4.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Ezio:
    Altair sosteneva che ci trovavamo al livello segreto dell'Abstergo da una settimana, ma come faceva a esserne sicuro? Eravamo sottoterra, e per quanto i cicli di veglia e sonno si alternassero con cadenza prevedibile, così come la distribuzione dei pasti, mi ero accorto da alcuni indizi che non sempre la nostra coscienza era operante. Non eravamo presenti e vigili in continuazione, e spesso durante il sonno la percezione era di cadere in un buco senza fondo. Avevo l'impressione di aver passato periodi di letargia indotta più di una volta, e quindi per questo motivo temevo che fossimo qui da ben più di una settimana. Da quando ci avevano pestati per bene e portati in questo luogo da incubo, dove avevamo subito orribili torture fisiche e psicologiche.
    I problemi di salute legati alle funzioni respiratorie, che mi avevano afflitto terribilmente all'inizio, poco alla volta erano regrediti. Non soffrivo più dei violenti attacchi di tosse e di soffocamento. Ora la mia lotta era contro un nuovo nemico. Invisibile, differente ma, temevo, sempre collegato agli esperimenti che stavano compiendo su di noi.
    In quelle celle singole arredate giusto da una branda e un gabinetto e nell'area comune sembravamo autonomi, perché solo in casi rari entravano le guardie, onnipresenti al livello superiore. Qui eravamo lasciati a noi stessi, ma era solo una suggestione, appunto. Ero cosciente che fossimo osservati, studiati e testati ogni secondo, in ogni angolo, da quelle maledette telecamere con le spie luminose rosse. Non era paranoia la mia. Non temevo che gli squilibri mentali che erano evidenti in Altair si manifestassero in questa maniera a me.
    Capivo che reazioni che avevo avuto in determinate circostanze non fossero totalmente ragionevoli o normali, ma le difformità non riguardavano paranoie e fobie. Si trattava di reazioni che non riuscivo a controllare, che si innescavano senza motivo o con una causa che ancora non avevo individuato con certezza.
    Dicevo. Ci controllavano. Testavano i nostri corpi molto probabilmente quando eravamo convinti di dormire. Ecco perché supponevo che le ore in cui dormivamo fossero molte, molte di più.
    Cercavo di rimanere equilibrato e consapevole. Di non far trasparire la mia preoccupazione, il terrore che provavo alla bocca dello stomaco quando il mio compagno, l'uomo che era sempre stato per me un punto di riferimento, che era sempre stato per tutti un esempio di rettitudine, di perspicacia, di rigorosità, non c'era praticamente più. Il suo decadimento mentale era rapido e massivo, non potevo fidarmi di lui anche se cercavo di assisterlo, di riportarlo alla ragione. Inutilmente. Non era una malattia. Non eravamo malati: eravamo stati contagiati, e ritenevo che il tempo che ci rimaneva fosse una miccia accesa che si stava consumando velocemente.
    Avevamo deciso di introdurci in questo settore vigilato per uno scopo vitale, nonostante ciò che ignoravamo fosse maggiore di quello che avevamo appreso, e non potevamo dimenticarlo. Dovevamo risolvere il mistero di questo luogo e trovare la persona che poteva aiutarci o condannarci: il Demone.
    Per qualche tempo io e Altaïr avevamo osservato gli altri compagni, ma erano soggetti apatici o stranamente terrorizzati da un pericolo vago, intangibile, rappresentato dalla porta di colore blu nell'area comune che rimaneva sempre chiusa. Perché avremmo dovuto temere una porta? Erano impazziti più di noi? Poi capii che il terrore irrazionale che li confondeva e li rendeva diffidenti era dovuto a ciò che capitava a chi varcava quella porta: nessuno era mai tornato indietro.
    Le mie attenzioni si focalizzarono sul carcerato che conoscevo meglio, per aver scoperto il suo nome durante il soggiorno al livello superiore. Avrei anche giurato avesse partecipato al pestaggio che ci aveva condotto qui, e che forse aveva ucciso mio fratello. Tentammo di avvicinarlo senza successo. Era terrorizzato come gli altri. Si rifiutò di collaborare, di rispondere alle nostre domande.
    Fu una pessima scelta, perché venne portato via, pestato rabbiosamente da Altaïr, oltre quella maledetta porta, e lo rivedemmo cadavere.
    La reazione del Mentore non fu inattesa. Avevo già visto dei segni anticipatori: non era la follia ad aver scatenato il suo comportamento incomprensibile, era una violenza instillata. Era il virus che si stava impadronendo del nostro corpo. Ne ero sicuro.

    Le luci si spensero nelle nostre celle, come di consueto. Quelle nella stanza comune non si spegnevano mai, invece. Mi sdraiai sulla branda, senza provare sonno. Da quando mi avevano portato qui, dormivo senza essere stanco, mangiavo senza avere fame. Mi nutrivo, bevevo e mi riposavo come un automa. Non provavo più stimoli vitali. Quando dormivo, non sognavo. Non riuscivo quasi più a ragionare, a rievocare dai miei ricordi passati un volto, un luogo, un avvenimento. Ero terrorizzato di perdermi, di non riconoscermi più, guardandomi allo specchio.
    Chiusi gli occhi e caddi in un mondo di tenebre dense e mortifere.
    Qualcuno mi scosse la spalla. Prima ancora di realizzare di essere sveglio ero scattato per afferrare il braccio della persona che intravvedevo nella penombra. Ruotai con un gesto secco la mano per allontanare il tocco, mentre contemporaneamente mi alzavo a sedere di slancio, e con l'altro pugno colpivo, quasi alla cieca, davanti a me.
    I miei colpi impattarono qualcosa che poteva essere il volto. Udii un lamento di dolore misto a sorpresa. Non mi fermai per accertarmi delle intenzioni dell'individuo, mi muovevo con efficienza e precisione, senza pensare, senza una decisione razionale, senza chiarire neanche i punti essenziali della faccenda.
    Sempre tenendo l'individuo a distanza ravvicinata tramite la morsa ferrea sul suo braccio, continuai a colpirlo con sistematicità e forza al collo, allo sterno, allo stomaco. Punti sensibili che fiaccavano più velocemente la resistenza dell'avversario.
    Continuai ad attaccarlo con freddezza e spietatezza mentre mi alzavo in piedi. Il mio attacco lo faceva indietreggiare, forse nel tentativo di sottrarsi alla mia violenza, ma la presa su di lui era salda e avrei continuato con la mia opera fino a quando avessi avvertito una minaccia. Questo era il mio solo pensiero, l'unica reazione che riuscivo a concepire.
    L'uomo mi colpì a sua volta, ma la sua forza sembrava ridotta. I pugni con cui mi bersagliava erano lenti, inefficaci, senza mordente. Era come se stessi affrontando un bambino.
    Arrivati vicino all'entrata della cella, la luce esterna mi permise di distinguere dei tratti conosciuti, nonostante il sangue sgorgasse copioso da diversi abrasioni sul viso. L'uomo barcollava, quasi sfinito e dolorante. Già da qualche secondo, non reagiva neanche più ai miei colpi. Era inoffensivo. Mollai la presa sul suo braccio, e lo colpii un'ultima volta, dirompente, al petto.
    Volò per terra, in mezzo al corridoio.
    Mi avvicinai a passi lenti, mortalmente calmo e impassibile, limitandomi a guardarlo strisciare sul pavimento per allontanarsi dalla mia portata e appoggiarsi al muro per fare leva e rialzarsi in piedi.
    Portò le mani davanti a sé, a dimostrarmi di essere innocuo.
    “Liam O'Brien. Sono sorpreso di trovarti qui. Non sembri far parte del nostro gruppo, e sicuramente non ti hanno sottoposto al trattamento che tutti noi abbiamo subito in precedenza. Certe cose si notano, dopo che le hai vissute sulla tua pelle. Quindi, se non sei qui perché ti hanno portato le guardie, vuol dire che hai una libertà di movimento privilegiata. Era già chiaro da quando ci hai fatto quasi uccidere di botte, comunque”
    Lanciai un'occhiata veloce alle telecamere. Le spie rosse erano spente. Mi avvicinai a lui di un passo. Lo avrei di nuovo preso a pugni fino a fargli sputare l'anima per quello che aveva organizzato, usandoci, ma stranamente il vigore e la forza si erano come spenti, nei miei muscoli. Sentivo che a quel punto lo scontro, per quanto lui fosse davvero provato, sarebbe stato più equilibrato.
    “Cosa è successo a mio fratello? Non si trova a questo livello, quindi non ho sue notizie da molto tempo. Tu mi dirai come sta!”
    Sentivo riaffiorare, poco alla volta, i sentimenti e la preoccupazione. Strinsi i pugni per la rabbia, quando mi accorsi che, nonostante i colpi ricevuti, quel bastardo aveva ancora la forza di ridere: pensava di possedere delle carte da potersi giocare con me. Le sue parole, lievemente smorzate dal dolore, mi diedero ragione: “Facciamo un patto: io ti darò notizie di tuo fratello ma tu mi aiuterai a recuperare un oggetto che stanno usando i devianti per i loro esperimenti”
    Riflettei sulla sua risposta. Feci uno sforzo atroce per riuscire a mettere insieme le informazioni che possedevo con quelle che avevo appena ricevuto. Perché era così difficile farlo? Eppure, la soluzione era chiara e semplice... boccheggiai, per la mancanza di aria. Non mi ero reso conto di aver trattenuto il fiato per lunghi secondi, né di aver portato le mani alle tempie per interrompere la pulsazione furiosa che mi distraeva.
    Tornai a guardare l'uomo, la cui identità era lampante: “Perché non lo recuperi con le tue forze, l'oggetto al quale tieni tanto, Demone?”
     
    Top
    .
  5.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Liam:
    “Perché non lo recuperi con le tue forze, l'oggetto al quale tieni tanto, Demone?”
    “Ce ne hai messo di tempo, Auditore! Temevo che le tue abilità cognitive fossero già irrimediabilmente compromesse!” Vidi i suoi occhi accendersi di interesse, ma fu una scintilla, subito dopo erano tornati apatici. Un po’ come quando afferri un pensiero e, all’improvviso, sfugge via e non riesci più a ricordarlo. Sapevo bene cosa facevano i Devianti al Livello 2, l’avevo “visto” in alcune delle occasioni in cui mi ero introdotto qui, realizzando col tempo quanto fosse pericoloso. Già, perché il mio potere era davvero straordinario, ma come tutti i poteri, era una lama a doppio taglio. La mia trasposizione non era un semplice ologramma, non si trattava di una proiezione astrale fatta e finita. Tutto il contrario. La mia anima dannata aveva la capacità di sdoppiare la propria energia, creando un secondo me molto più tangibile di quanto si potesse immaginare: ero pura energia condensata. Tanto che, riuscivo ad afferrare oggetti, ma potevo anche riceverli in testa e provare dolore. Una prova concreta era l’attacco di Ezio Auditore. Sì, mi aveva preso in contropiede, era vero, ma il suo era stato un impulso “programmato”, un ordine imperativo che il suo cervello aveva ricevuto: in vista di un pericolo, o presunto tale, si doveva necessariamente reagire. E lui lo aveva fatto, riconoscendomi solo quando la sua furia si era ormai canalizzata ed esaurita. Avevo tentato di reagire, ma era come se stessi combattendo contro un gigante con dna alieno. Era forte, maledettamente forte e io mi ero ritrovato mio malgrado a subire i suoi colpi. Mi chiesi se fosse tutta la verità, se non ci fosse qualche altro motivo per cui non ero riuscito a fronteggiarlo, forse mi era piaciuto? Forse avevo ritenuto che sanguinare avrebbe lavato via tutte le mie colpe? Ma fu un pensiero fugace, molto simile a quello che Ezio aveva lasciato andare così com’era arrivato, con l’unica differenza che per lui era stato inconscio, per me no.
    E sanguinavo, eccome se lo facevo. Sputai a terra un grumo di sangue coagulato in bocca, col dorso della mano asciugai quello che colava dal naso e scossi la testa per riaccendere i circuiti del cervello per un attimo annebbiati. Il mio potere era un paradosso assurdo, almeno per come lo vivevo io. Più lo utilizzavo, più diventava maneggevole. Più lo utilizzavo, più la mia natura deviante diventava più audace. Desiderava venire fuori, ma io la tenevo giù, la costringevo a restare nel suo maledetto cantuccio. Anche se… diventava ogni volta più complicato e difficile.
    Questa era una delle ragioni per cui non avevo organizzato una missione “in prima persona” per recuperare quanto mi serviva. Una missione del genere avrebbe richiesto tempo e quel tempo avrebbe consumato la mia volontà di Deviante Negato. E questo non lo potevo permettere, Senza contare il fatto che, essere visto al Livello 2 avrebbe suscitato fin troppe domande, e se mi avessero catturato avrebbero subito scoperto che non ero reale… quindi che ero un Deviante e non un Ibrido: la droga che mi iniettavo non sarebbe più servita a nulla. Per tutte queste ragioni, avevo bisogno di qualcuno che facesse il lavoro al posto mio: avevo architettato un piano diabolico – degno del mio soprannome – pure di arrivare al mio scopo.
    “Diciamo che la mia presenza qui potrebbe non passare inosservata, e come spiegazione ti dovrà bastare! Allora, accetti il patto? Informazioni per te vitali in cambio di un lavoretto per me?” Non intendevo perdermi in chiacchiere, ma era importante che Ezio afferrasse alla perfezione le mie parole e direttive.
    “Do ut des? Sembra essere una tua costante, O’Brien. L’unico dettaglio è che alla fine tu prendi ma non dai mai. Quindi comincia a dirmi come sta mio fratello e poi io ascolterò le tue richieste.” La voce di Ezio assomigliava a un ringhio sommesso. Percepivo la sua rabbia, ma anche la sua frustrazione, dovute alla consapevolezza che – ancora una volta – io rappresentavo l’unica fonte attendibile. Decisi che era davvero arrivato il momento di dargli qualcosa…
    “Tuo fratello sta bene, è sopravvissuto al pestaggio. L’hanno già dimesso e gira anche intorno a una mi adepta… come puoi constatare, si è ripreso alla grande!” Non sapevo bene perché avessi detto anche le ultime parole. Primo: Yulia non era più una mia adepta. Secondo: non doveva importarmi con chi simpatizzava. Terzo: erano tutte stronzate, la consideravo ancora una persona cara e mi importava eccome se un Assassino cercava di circuirla… ma questa era un’altra storia, era meglio non divagare.
    Notai il sospiro di Ezio nell’udire le mie parole. Strano, ma mi aveva creduto. Primo passo fatto.
    “Ok, adesso mi devi dire cosa diavolo vuoi da me, perché – con tutta l’immaginazione di questo mondo – non riesco a capire come potrei aiutarti in queste condizioni!” Il suo tono era esasperato, ma percepivo una leggera distensione, come se il sapere di suo fratello gli avesse levato dalle spalle un macigno enorme. E forse era proprio così, ma queste non erano cose che io potevo capire.
    “Invece, con la tua posizione e le tue nuove ‘abilità’, mi sarai molto utile. Qui, al Livello 2, i Devianti non solo fanno esperimenti su poveri disgraziati…” Lo vidi alzare un sopracciglio, perplesso. “Senza offesa, ovviamente. Oltre a quello, insomma, custodiscono anche dei manufatti molto potenti – che non gli appartengono – ma che vorrebbero usare per progredire nelle fasi dei loro test. Uno di questi, quello che dovrai recuperare, è The One Staff. La legittima proprietaria è Lin, un’altra mia adepta, ed è giusto che torni alla legittima proprietaria…” Il sopracciglio di Ezio era rimasto alzato, questa volta la perplessità riguardava il fatto che non credeva alla mia ultima affermazione. Non avevo mai pensato che lo avrebbe fatto.
    “E immagino che tu la voglia solo per riconsegnarla, non ti serve per qualche tuo scopo recondito, vero?” Ero certo che l’Assassino conosceva molto bene gli utilizzi della Staffa e che nella sua mente si era fatto un’idea abbastanza chiara riguardo al motivo per cui la volevo in mio possesso. Ma non fece ulteriori commenti. Con ogni probabilità, il suo cervello riusciva a processare informazioni fondamentali alla sua sopravvivenza, tutte le altre sembravano svanire in un etere oscuro, impalpabile, dentro la sua mente manomessa. Se non fossi stato uno stronzo patentato, forse mi avrebbe fatto anche pena. “D’accordo… ci penserò!” Il breve sospiro di sollievo che stava scaturendo grazie alla prima parola, venne interrotto dalle seconde.
    “Non hai molte alternative, Assassino.” lo redarguì, nervoso.
    “E tu non hai altra moneta di scambio, O’Brian. Saprai presto la mia decisione… Non so come, ma sono certo che troverai un modo di farmi un’altra visita.”
    Mi voltò le spalle, incurante di mie eventuali reazioni. Sapeva che non ne sarebbe arrivata alcuna. Aveva ragione lui, non avevo più alcun baratto da proporre e lui non aveva niente da perdere ormai. Voleva anche farmi soffrire un po’ lasciandomi sulle spine, e glielo avrei concesso vista la serie di colpi bassi che gli avevo rifilato negli ultimi tempi. Poteva essere compatibile… tuttavia, qualcosa dentro di me, mi diceva che non avrebbe rifiutato, anche solo per scoprire le mie mosse successive, per carpire qualcosa in più sulle trame dei Devianti, per mantenersi attivo e rimandare la caduta inevitabile.
    Mentre mi allontanavo e lasciavo che la mia proiezione evaporasse, un altro pensiero mi colpì, con uno schiocco molto simile a una frusta chiodata: la sua mente non era poi così compromessa. Non quanto avrebbe dovuto.
     
    Top
    .
  6.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Vesta:
    "Lo stai facendo per le tue compagne... e per Pandia, soprattutto!" Borbottai a mezza bocca, mentre mi pulivo nei pantaloni il residuo di un qualcosa di marcio su cui avevo messo inavvertitamente la mano, strisciando su per lo stretto condotto che scaricava i residui di cibo nell'inceneritore. Il moto di nausea quasi vinse sul mio autocontrollo, e dopo un secondo per riprendermi, senza respirare troppo a fondo l'aria pesante, tornai ad avanzare. Le pareti erano bollenti, segno che avevano appena spento l'impianto, ma la mia resistenza al calore mi agevolava. Ne avrebbero risentito i miei vestiti, in certi punti ormai carbonizzati, ma tanto una delle prime cose che avrei dovuto procurarmi sarebbe stata una divisa da carcerato, perciò era inutile preoccuparsi di simili aspetti come il vestiario, per quanto fondamentali...
    Dopo aver atteso qualche secondo per rilevare eventuali presenze, aprii lentamente il portello del sistema di scarico e mi ritrovai in un locale sgombro, con solo delle scatole impilate e niente di più. Curiosai dentro a quelle per cercare il mio travestimento, ma non trovai nulla. Sapevo comunque che avrei dovuto trovare il magazzino del vestiario alcune porte più avanti in quello stesso corridoio.
    Avevo stampata in mente la mappa di quell'area: Athena aveva verificato con il suo solito rigore che fossi in grado di muovermi in quel labirinto con sicurezza e celerità, entrambe capacità essenziali per non mandare a monte l'intero piano.
    Potevo usare il teletrasporto per superare alcune zone troppo vigilate, ma dovevo fare attenzione a non esagerare per non stancarmi troppo ed esaurire prima del dovuto i miei poteri: avevo pagato in passato i miei errori di superbia con un costo molto salato da scontare.
    Pochi minuti dopo, mi ero liberata degli abiti ormai laceri e indossavo un'orribile uniforme bianca, anonima e malfatta. Una casacca con maniche corte e dei pantaloni stretti in vita da un laccio di un tessuto a trama grossa che mi procurava fastidio e prurito. Cercai di sistemarla meglio perché mi donasse un po' di più, ma ci rinunciai con uno sbuffo – l'ennesimo, da quando mi ero infiltrata attraverso una grata esterna al perimetro sorvegliato.
    Presi un respiro profondo e mi teletrasportai in una zona cieca (Athena l'aveva evidenziata sulla mappa con un vistoso segno rosso) della sala comune: non tutto il livello era coperto dalle telecamere, ma purtroppo per i miei intenti, la stanza che era il mio obiettivo era totalmente sotto controllo visivo, quindi avrei dovuto trovare un modo alternativo per giungere lì e portare a termine il mio compito.
    Mi avviai verso altri individui, vestiti come me, che si raccoglievano in piccoli gruppi. Diedi un'occhiata attenta anche alle guardie, che pattugliavano la zona ininterrottamente. Ero preoccupata e quindi attenta anche al più piccolo indizio.
    Sapevo i nomi degli Assassini con cui avrei dovuto parlare e fare riferimento a loro per risolvere alcuni aspetti del piano che le Guerriere non conoscevano. Erano i Mentori, e conoscevo di vista solo uno di loro, Bayek di Siwa. Gli altri, Auditore e Kenway, li avevo visti solo in foto, quando la precisissima Athena mi aveva preparato per la missione.
    Mi guardai intorno senza attirare su di me l'attenzione di nessuno, ma mi accorsi velocemente di un paio di occhi, attenti e indagatori, che si erano piantati sulla mia persona. Appartenevano a una giovane donna, dai lunghi e lucenti capelli castani, raccolti in una splendida acconciatura. Mi morsi il labbro, indecisa, mentre ci squadravamo reciprocamente. Poi, lei si alzò, e con un gesto nascosto, visibile solo per me, mi indicò di seguirla.
    Sapevo che i Mentori non erano gli unici Assassini da liberare, e immaginai che lei fosse una degli altri. La seguii a sufficiente distanza. Attraversammo la sala, e poi un'altra ancora, fino a che non uscimmo all'esterno, in un ampio spazio verde delimitato dalle recinzioni elettrificate. Mi sentivo come fossi un animale, in quella gabbia orribile, e un moto di sdegno quasi mi accecò, mi fece risalire su per la gola un fuoco corrosivo che frenai con decisione.
    La ragazza si fermò presso un gruppo di persone abbastanza numeroso, e il mio cuore diede un balzo di soddisfazione quando riconobbi senza esitazione il viso del compagno di Ares. Gli sguardi suo e di tutti gli altri si rivolsero su di me.
    Capitava alle volte che avvertissi le occhiate che ricevevo come fossero dei tocchi fisici, quasi venissi sfiorata dalle mani della persona che mi guardava. Alle volte erano tocchi lievi, dallo sguardo indifferente o annoiato, altre erano urti, se truce, altre sembravano carezze, quando benevolo. In quel momento, mi sentii quasi strattonare dalla loro curiosità, dalle loro domande inespresse.
    Mi avvicinai senza far capire i miei pensieri.
    "Il tuo viso mi è noto, ma non vorrei che i ricordi mi ingannassero. Chi sei?"
    Mi grattai nervosa la pelle del collo, all'attaccatura dei capelli. Aphrodite aveva insistito che me li tingessi, per nascondere in maniera sicura il colore "... troppo squillante e vibrante, sicuramente non umano!" della mia chioma. Ma las sostanza usata per rendere i miei meravigliosi capelli rossi di un castano spento e banale mi aveva irritato l'epidermide. Nascosi la smorfia di fastidio con un sorriso.
    "Mentore Bayek, avete una vista d'aquila, come si narra. Sono Vesta, Guerriera dell'Impero, e le mie compagne mi hanno mandata qui per aiutarvi..."
    Girai lo sguardo come se qualcuno mi avesse interrotta a parole, ma la verità era che avevo avvertito in maniera particolare uno sguardo più insistente e forse indiscreto degli altri. Mi trovai a fissare due occhi color del mare,,, quello cupo e malinconico d'inverno. La piega della bocca era amara, la postura dimessa, e il colore della divisa aumentava il pallore insalubre della carnagione. Lo riconobbi immediatamente, anche se era passato un'infinità di tempo, la maggior parte del quale nel tentativo di dimenticare le conseguenze che erano derivate dal nostro incontro. I miei pensieri per lui erano stati inzialmente rabbiosi, poi irritati, risentiti e infine... quasi malinconici, come l'impressione che mi aveva lasciato il suo essere, nel profondo della sua anima.
    Mi intristii nel constatare quanto la sua afflizione si fosse solo approfondita, rispetto al passato. Un malessere che era accentuato dall'aspetto stentato, come se in lui non scorresse neanche una goccia di sangue.
    Davanti a quello sguardo, i sentimenti negativi che avevo provato per lui si cancellarono. Provai per lui solo un'infinita pena, e un desiderio fortissimo di avvicinarmi e di accarezzarlo, per sincerarmi se la sua pelle era davvero fredda, levigata e delicata come sembrava.
     
    Top
    .
  7.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Arno:
    Era facile per me perdermi. Perdermi nella contemplazione del cielo che doveva essere azzurro, ma che per qualche ragione era sbiadito, una sorta di infinita pennellata grigia; perdermi nella vegetazione rigogliosa che ci circondava, posta lì per creare un’illusione di libertà, che si spezzava subito quando gli occhi si posavano sulla recinzione elettrificata che sbarrava la vista, oltre che il passo. Perdersi oltre quella non era facile, il filo spinato dilaniava l’abbaglio creato dalle foglie di alberi e siepi, un contrasto non preventivato.
    Le ultime settimane erano state difficili anche per i Devianti. Dopo la rivolta creata dai Grigi, o meglio da uno di loro – O’Brien – tutto era cambiato: i controlli sembravano aumentati, se ciò fosse stato possibile; molte guardie erano state sostituite, quelle corrotte non dovevano aver fatto una buona fine; una recinzione metallica con tanto di elettricità e filo d’acciaio aveva fatto la sua comparsa. Se prima scappare era pressoché impossibile, adesso era diventato un’utopia. Eppure… sapevo che “qualcuno” stava lavorando affinché ciò accadesse… Le compagne dei miei fratelli stavano studiando un piano, ma con ogni certezza, da quando Ezio e Altair erano finiti al Livello 2, tutto si era inevitabilmente complicato.
    Eccola. Una fitta al centro del petto, sotto pelle, muscoli e ossa. Paradossalmente, il mio cuore pareva aver ripreso a battere da quando la tragica notizia della sorte di Ezio e Altair era giunta, con la possibilità che Federico potesse addirittura perdere la vita. Erano caduti in una trappola meschina e il risultato era stato devastante. Federico se l’era cavata, ma Ezio e Altair erano reclusi in un piano di cui si narravano solo orrori della peggiore specie.
    Ezio… Ezio Auditore. Era lui il mio pensiero fisso negli ultimi giorni, quello che aveva riportato una piccola brace a sfrigolare dentro di me. In quella dannata prigione, avevo abbandonato ogni cosa, ogni speranza, ogni possibilità. Erano trascorsi mesi in cui il mio cervello si era annichilito, assieme alla mia volontà. La reclusione era stata una sorta di goccia che aveva fatto traboccare un vaso ormai colmo fino all’orlo. E mi ero perso. Anche se una scintilla bramava di ardere ancora, per un mentore, un amico… per colui che mi aveva salvato la vita innumerevoli volte.
    Mi passai una mano tra i capelli, sempre più lunghi ma ancora non quanto usavo portarli. Respirai a fondo, dovevo tenere a bada quei sentimenti contrastanti a cui non ero più abituato. Non amavo le mezze misure, le tonalità del grigio, le posizioni intermedie. Era sempre stato così per me: un ribelle impunito o un depresso autodistruttivo. La mia vita era stata un’altalena tra questi estremi sfiancanti, forse era per questo che trovarmi per una volta nel mezzo mi risultava così fastidioso? Oppure, non avevo più la fibra di un tempo? Con tutti gli anni che mi ritrovavo sulle spalle, non ne sarei stato tanto sorpreso… Ero indeciso. Per la prima volta, non riuscivo a prendere una decisione su che parte stare: spegnere la favilla o farla diventare un incendio catastrofico? Non avevo idea che di lì a qualche minuto, il destino – sotto forma di strega – avrebbe deciso per me.
    “Mentore Bayek, avete una vista d'aquila, come si narra. Sono Vesta, Guerriera dell'Impero, e le mie compagne mi hanno mandata qui per aiutarvi...”
    Quel nome mi aveva costretto a voltare lo sguardo in una determinata direzione. Com’era prevedibile, non mi ero accorto che un “ospite” si era avvicinato al nostro gruppo. Ero in disparte, come sempre, ma era la mia mente ad essere ancora più distante; tuttavia, in quel momento, non aveva potuto fare a meno di tornare alla realtà. Non solo. I miei neuroni avevano cominciato a macinare immagini, ricordi, rumori, odori, fiamme, sangue, urla, poteri devastanti. La “strega” era un’aliena? Davvero non ci avevo mai pensato in tutti quegli anni? Neppure dopo aver conosciuto Ares, Nike e le altre Guerriere? Certo, non che avessi chissà quale rapporto, ma il loro ruolo nel Sistema Solare ormai era assodato, tanto quanto il loro posto al fianco dei miei fratelli. Facevano parte della nostra famiglia… Avevo sentito dire che in loro assenza, nel Sistema, altre Guerriere officiavano i loro doveri, che Vesta fosse una di queste? Ecco, adesso mi stavo proprio buttando nella pura fantasia… troppi pochi elementi, troppo poco tempo per ragionarci su. Ciò nonostante, il solo fatto di aver tirato fuori le mie sinapsi dal solito stato catatonico mi parve una specie di piccolo miracolo…
    La stavo fissando, senza troppi scrupoli, quasi come se le mie iridi avessero bisogno del suo profilo scolpito per abbeverarsi e tornare a vedere ancora. Vedere oltre, meglio.
    Vesta. Assaporai quel nome sulla lingua, anche se lo stavo pronunciando solo nella mia testa: le lettere sibilanti, piene, rotonde. Quanto avrei voluto dirle ad alta voce, chiamarla e accertarmi che non fosse l’ennesimo abbaglio di quel posto malvagio. Un tranello per la mia mente già provata.
    Poi, si voltò. Forse richiamata dal mio sguardo insistente, forse semplicemente per caso, non ne avevo idea, ma i suoi occhi furono nei miei e tutto sembrò mutare.
    All’improvviso, iniziai a percepire uno strano freddo, causato dall’assenza di pasti adeguati e sonno continuativo. Perché fino a un istante prima non sentivo la debolezza dei muscoli e la stanchezza mentale? Perché d’un tratto il desiderio di fuggire e di restare si sovrapponeva in una lotta feroce ma ad armi pari? Cominciavo a non capirci più nulla, perciò smisi di provarci e mi concentrai ancora su di lei. Vesta. Guerriera dell’Impero. Venuta qui… per fare cosa esattamente? Dove erano finiti i suoi capelli di quel colore tanto strano? Era bella come la ricordavo, ma c’era qualcosa di diverso. Nonostante gli anni trascorsi, non una sola ruga solcava il suo viso di cera, eppure i lineamenti erano più duri, affilati, segnati da eventi ai quali non potevo dare un nome.
    E lei? Mi aveva riconosciuto? Non potevo esserne certo… Ero molto diverso da quell’unica volta in cui le nostre strade si erano incrociate. O forse no? Al diavolo! Mi imposi di concentrarmi sulla conversazione per carpire notizie importanti.
    “Non ci aspettavamo un ulteriore vostro intervento, anche se la visita di Partenope ci ha portato ottime novelle!” La voce di Bayer era profonda e placida, ma la mia sete di conoscenza cominciava a risvegliare la mia proverbiale impazienza. Mi mossi inquieto sulla panchina di metallo. “Come stanno le nostre compagne? Avete saputo della sorte di Ezio e Altair?”
    “Loro stanno bene e mi hanno inviato qui proprio per questo. Grazie a Iuventas, la sorella di Ares, abbiamo avuto notizie certe sulla condizione dei vostri, detenuti al Livello 2. Dobbiamo agire in fretta per tirarli fuori da lì, solo così potremo salvarli e portarvi fuori!” Le parole di Vesta erano sbrigative, l’urgenza la faceva da padrone, ma credevo di percepire anche altro. Fastidio? Disagio? Cosa diavolo era?
    I mentori rimasti si fecero subito più attenti, ma anche tutti gli altri Assassini avevano gli occhi incollati sulla nuova arrivata. Parevano pendere dalle sue labbra… e mi accorsi di farlo anche io, ma per motivi in più e diversi rispetto a loro. Desideravo sapere come stessero Ezio e Altair, ma la mia necessità di sapere andava ben oltre.
    “Il piano delle mie sorelle è quello di far chiudere il Livello 2, così tutti i prigionieri ancora vivi, potranno tornare qui. Il mio compito sarà quello di introdurmi nell’ufficio di un loro pezzo grosso e rubare tutte le informazioni utili. Loro potranno poi utilizzarle per continuare col piano di salvataggio…”
    “Cosa intendi con ‘prigionieri ancora vivi’?” Mi resi conto di essere stato io a parlare, solo quando tutti gli occhi dei presenti si posarono su di me. Curiosi, stupiti, interrogativi. Avevano perso le speranze di vedermi nuovamente pronunciare più di due sillabe nella stessa frase? Ma il discorso di Vesta mi aveva allarmato al punto tale che – con ogni evidenza – avevo deciso la parte del fosso in cui saltare. Lei mi fissò con un’intensità che minacciò di togliermi il fiato, mi stava studiando? Non poteva avermi riconosciuto… no. Impossibile.
    “Avrete di certo sentito parlare che chi va al Livello 2, non torna mai indietro. Ecco, questo perché fanno esperimenti sui prigionieri. Dobbiamo ancora capire di che foggia e lo scopriremo grazie alle informazioni che andrò a prendere.” Dopo un breve istante, che a me parve durare una eternità, continuò. “I vostri compagni sono ancora vivi, ma non so più in quali condizioni si trovano adesso. Per questo motivo non abbiamo molto tempo!”
    Ancor prima che Bayek prendesse respiro, che Connor e Federico decidessero il da farsi, che tutti gli altri riuscissero a muovere un solo muscolo, parlai di nuovo: due volte in appena qualche minuto, a quanto pareva i miracoli erano destinati a susseguirsi.
    “Allora andiamo, che cosa stiamo aspettando?” Non mi ero rivolto a Vesta. La mia risposta era tutta per i mentori. Chiedevo il loro via libera, ma dovevo proprio averli scioccati negli ultimi tempi con il mio ostinato mutismo e la mia dannata insofferenza.
    “Forse è meglio che l’accompagni io, non mi sembri in gran forma amico!” Jacob mi si era fatto vicino e mi aveva dato una pacca incerta sulla spalla. E lì, la vergogna e la rabbia rischiarono di travolgermi. Ma fu la rabbia ad avere la meglio. Lo fissai con sguardo truce e dovette vedere in esso tutta la mia determinazione perché indietreggiò e non parlò oltre. Nessun altro ebbe da ridire di fronte al mio atteggiamento, forse avevano riconosciuto una vecchia versione di me e, chissà, magari se ne rallegravano anche, ma non avevo tempo per indagare oltre le emozioni dei miei fratelli.
    Mi alzai in piedi. Repressi un capogiro e permisi all’adrenalina di invadermi le vene.
    Pochi passi ancora e fui di fronte a Vesta. Il suo profumo mi colpì in pieno e mi risultò subito famigliare, come quando si apre una scatola dei ricordi e l’odore del passato non ti lascia scampo. Lei faceva però parte di un passato che si era trasformato in un presente, incerto sì, ma comunque tale. Cosa poteva significare tutto questo? Un incontro avvenuto tantissimo tempo addietro, come poteva riportare a galla così tante sensazioni?
    Mi sporsi verso di lei, avvicinandomi appena al suo orecchio. Doveva sentire solo lei le mie prossime parole, nessun altro.
    “Pronta per una nuova missione assieme?”
     
    Top
    .
  8.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Vesta:
    “Pronta per una nuova missione assieme?” Guardai stupita Arno per il suo comportamento inaspettato nei miei confronti. Non mi ero mai chiesta quale ricordo avesse serbato del nostro primo incontro, e dato che per tutto il tempo era stato piuttosto insofferente nei miei riguardi, questo desiderio di lavorare di nuovo con me da dove arrivava? Scrutai i suoi occhi, per tentare di capire l'origine della stranezza, ma sentii un flusso di sangue improvviso raccogliersi sulle mie guance, incontrollato e cocente, quindi distolsi immediatamente lo sguardo perché il mio corpo non mi tradisse.
    "Come pensi di muoverti e di non farti rintracciare dai Devianti, Vesta? Questo livello è sorvegliato, ma nulla al confronto di quello inferiore"
    Annuii risoluta: volevo mostrare una fermezza che invece stava vacillando pericolosamente, per via di tutti i sentimenti e la confusione che cercavo di mantenere sotto controllo. Il senso di colpa per lo scontro con Cerere mi assaliva a tradimento quando meno me lo aspettavo e non ero veloce a rinchiuderlo in un angolo del mio cuore, e ora l'incontro con Arno, che rappresentava un nesso con l'episodio peggiore del mio passato, con quella missione disastrosa che aveva lasciato strascichi che non si erano mai cancellati. In quella missione rocambolesca ero stata sul punto di morire, ma anche se all'ultimo mi ero salvata, la ferita era diventata una cicatrice orribile sul mio corpo. Nasconderla non sarebbe servita a nulla, ormai ero inaccettabile per i canoni venusiani. E poi, ero io stessa a detestarmi. Da qui, la rabbia e la repulsione mi avevano spinto a compiere le scelte peggiori per me stessa, ad accumulare segreti e a aumentare le distanze con tutti. I miei amori sbagliati e la mia sessualità indecente e scandalosa erano stati i figli del disgusto e dell'inadeguatezza che provavo per me stessa e, in un moto dolorosissimo di onestà, anche il litigio con mia sorella potevo ricondurlo a tutto questo.
    E lui, proprio lui era l'alleato con cui avrei dovuto svolgere una missione tanto importante? Avevo fallito quella volta, non ero stata in grado di compiere il semplice recupero di un diario. Aphrodite mi aveva rimproverata aspramente, per diversi mesi si era rifiutata di affidarmi niente di più che compiti tediosi e poco impegnativi, mi aveva trattata come una ragazzina incapace e pasticciona, quale in effetti mi sentivo. Recuperare la sua fiducia e la sua stima, lei che era più importante di una madre nel mio cuore, era stato, quello sì, un compito davvero arduo. E ora che mi apprestavo a portare a termine l'ultimo tassello del piano di evasione, forse il più importante dato che si trattava di salvare, quasi materialmente, l'uomo che amava?
    Mi umettai le labbra secche, cercando di chiudere fuori i timori e i dubbi; mi sarei affidata alla saggezza di Athena, che aveva pianificato ogni cosa alla perfezione.
    "Un prigioniero che si aggira libero e indisturbato per i corridoi sorvegliati sarebbe fermato e controllato immediatamente, ma non una guardia che ne scorta uno. Ho recuperato e nascosto una divisa da sorvegliante e ho bisogno che uno di voi mi accompagni per crearmi l'alibi. Inoltre, potrà tornare indietro, una volta recuperate le informazioni e riferirvi quanto scopriremo, dato che io dovrò uscire il più velocemente possibile per tornare dalle altre"
    Tra Bayek e gli altri Mentori avvenne un rapido consulto, fatto di sguardi e cenni. Il tempo era poco, pur avendo un travestimento perfetto addosso non ero una prigioniera schedata e le telecamere o altre persone potevano individuarmi prima ancora di poter entrare in azione.
    "Va bene. E' un piano rischioso, ma c'è molto in gioco, e non possiamo fare altro che affidarci a te. Ti aiuteremo sicuramente e, se per te va bene, c'è già un volontario..."
    Tenni gli occhi fissi in quelli seri e fiduciosi del Mentore: avevo scoperto che la sua pacatezza calmava i miei pensieri impazziti.
    "E' perfetto, ma devo iniziare subito il mio compito, prima che le condizioni peggiorino!"
    Pochi minuti dopo, mi allontanavo con naturalezza dall'area all'aperto, seguita a distanza di sicurezza da Arno.
    Tornai nella zona cieca e lo attesi nervosamente. Avevo spiegato brevemente a tutti quali passaggi avrei dovuto compiere: mi sarei teletrasportata con il mio accompagnatore nel magazzino del vestiario, avrei recuperato la divisa blu di una guardia e ci saremmo diretti verso l'ufficio del capo-laboratorio, per accedere al suo computer e recuperare le informazioni. Non sarebbero servite particolari capacità tecniche per compiere l'ultima e più importante parte del piano, bastava inserire una chiavetta nel computer del tizio e il programma caricato avrebbe violato firewall e cose simili per rintracciare e copiare i dati del progetto che stavano sviluppando in quel laboratorio degli orrori.
    Arno mi raggiunse con un tempismo perfetto. Nonostante i problemi e i contrattempi che si erano presentati nel passato, mi accorsi di fare affidamento su di lui, di provare fiducia nelle sue capacità e preparazione. Notavo una scintilla di determinazione che subito non era apparente, come se questa missione avesse per lui un significato particolare. E forse era così, dato che il suo interesse era stato risvegliato quando avevo menzionato le condizioni dei suoi compagni; le altre Guerriere mi avevano spiegato che si trattava di un gruppo fortemente coeso e solidale.
    Era per questo che mi sentivo tranquilla al pensiero di procedere insieme a lui, e non per il fatto che mentre scambiavamo poche, stringate parole, la mia attenzione continuava a soffermarsi su alcuni particolari del suo viso o delle sue mani. Mi rimproverai seccata: avvertivo la concentrazione e la risolutezza che lo motivavano e non volevo essere da meno.
    Ancora adesso, il disinteresse e la sopportazione stentata che aveva dimostrato per me nel passato mi ferivano. Ma ora ero cambiata. Non ero più la ragazzina bisognosa di rassicurazioni e attenzioni per dimostrare al mondo che valevo qualcosa. Ora, del mio valore mi importava molto poco...
    Mi cambiai velocemente, senza pensare al fatto che, mentre ero girata, lui avrebbe potuto guardarmi e osservarmi a suo piacimento. No, non era davvero il momento di simili pensieri.
    Per uscire di nuovo allo scoperto, lo ammanettai dietro la schiena, con i braccialetti abbastanza larghi da potersi liberare se la situazione si fosse complicata in maniera imprevista.
    Raggiungemmo l'ufficio in pochi mimuti. Incontrammo diverse guardie ma riuscimmo a superare con alcuni stratagemmi i controlli. Il cappello con visiera nascondeva a sufficienza il mio viso, e prestai molta attenzione a non incrociare lo sguardo con alcuno dei miei "colleghi".
    Fu tutto incredibilmente semplice e agevole. L'ufficio dello scienziato non era controllato da anima viva, ma anche se gli schedari erano chiusi a chiave e il computer spento, il dispositivo in mio possesso rese possibile il furto senza violare alcun allarme... almeno durante il processo di estrazione.
    Sapevo che l'operazione di hackeraggio avrebbe preso qualche minuto, e nell'attesa mi tormentai la pelle irritata dietro la nuca con le unghie, fino a farla sanguinare, tendendo nervosamente l'orecchio all'esterno, nella paura di sentire passi o voci concitate. Posi molta cura nel fare una cosa: mantenni i miei occhi fissi sullo schermo spento del computer, per evitare di distrarmi e per accorgermi immediatamente del momento in cui la spia della chiavetta da rossa sarebbe diventata verde.
    Un debole bip mi diede l'avviso: missione compiuta, informazioni recuperate!
    Quando estrassi l'oggetto dal computer, la sirena acuta e assordante dell'allarme allertò l'intera struttura. Avevamo previsto che non sarebbe stato facile fregare i devianti, ed ero preparata; sapevo già che sarebbe scattato l'allarme una volta rilevata la violazione.
    Dovevamo solo uscire dall'ufficio e tornare al punto di partenza ma... feci una stupidaggine. Dimenticai i buoni propositi e mentre mi avvicinavo ad Arno per stabilire il contatto fisico che mi avrebbe permesso di trasferirci entrambi di nuovo al livello superiore, alzai lo sguardo su di lui. I suoi occhi blu intenso mi destabilizzarono per un attimo infinitesimale, ma fu sufficiente a farmi perdere la concentrazione necessaria per usare con precisione i miei poteri. Pur avendo aumentato e sviluppato il controllo delle mie capacità, non era una passeggiata usarli in sicurezza, per evitare di effettuare un trasferimento troppo rischioso e morire intrappolati in un muro o cose del genere...
    Feci un errore, un terribile errore, anche se rimediabile. Non ci trovavamo nell'area buia del livello 1, ma ancora al livello inferiore, in mezzo al corridoio, con l'alta probabilità di essere scoperti dalle guardie che ora cercavano gli intrusi, ovvero noi.
    Mi orientai rapidamente e presi per il braccio Arno, tirandolo di peso per qualche passo, prima che si riprendesse dalla confusione. Poi corse al mio fianco, senza dire una parola, senza neanche degnarmi di un'occhiata, e forse era meglio così: preferivo il suo disinteresse piuttosto che il biasimo per l'ennesimo passo falso che avevo compiuto in vita mia.
    Ci precipitammo in un corridoio laterale e raggiungemmo per il rotto della cuffia la porta di un magazzino merci che non era sorvegliato da telecamere. La chiusi agitata e affannata, appoggiandomi alle ante: non si potevano chiudere in alcun modo, non esistevano serrature e l'unico modo per sbarrare l'entrata sarebbe stato quello di spostare alcuni oggetti pesanti per bloccarla.
    "Perché ci siamo rifugiati in un magazzino? Non puoi portarci di nuovo su di sopra?"
    Appoggiai la fronte al metallo freddo della porta. Rimuginai sulla sua domanda, più che legittima.
    Come potevo spiegargli che l'utilizzo dei miei poteri richiedeva una disciplina e una concentrazione che ora si erano volatilizzate? Che avrei dovuto riprendere il controllo di me stessa prima di tentare un nuovo teletrasporto?
    "Aiutami a bloccare l'entrata spostando quelle casse, o rischiamo di essere trovati proprio quando siamo ad un passo dal completamento della missione!"
    E questo no, non doveva succedere in alcun modo! Neanche il pensiero del fallimento avrebbe dovuto sfiorarmi, o rischiavo di compromettere tutto il lavoro delle mie compagne e di mettere ancora più in pericolo la vita degli umani che invece avrei dovuto aiutare!
    Arno esitò un secondo, avvertivo l'incertezza nella sua postura, il dubbio nei miei confronti.
    Una volta credevo di avere un carattere fiero, ma mi ero resa conto con il tempo che non si trattava di orgoglio, quanto più di rabbia. E questa si portava dietro molto spesso l'arroganza e la sconsideratezza. Nei momenti meno opportuni venivano a galla ricordi non cercati: pensai a Toth, che mi aveva insegnato a combattere come Guerriera e che spesso aveva insistito con me perché imparassi a gestire anche la parte marziana del mio carattere. Consigli che avevo sempre ignorato e respinto.
    Ci allontanammo dalla porta per cercare delle casse abbastanza grosse e pesanti da poter utilizzare, quando questa si aprì lentamente, senza alcun rumore. Ci abbassammo d'istinto e ci nascondemmo dietro un riparo.
    Il cuore mi batteva furiosamente, sentivo l'agitazione che attanagliava lo stomaco. Il congegno che eclissava il mio essere Eterna serviva a proteggermi, ma se avessi utilizzato i miei poteri in modo troppo plateale, avrei rivelato inesorabilmente la mia identità.
    Percepii una tensione insolita in Arno, che si era accovacciato vicinissimo a me, nel piccolo spazio dietro degli scatoloni. Il suo sguardo era concentrato sull'individuo che era entrato, come ipnotizzato da quella presenza. Si alzò si scatto e io tentati di impedirglielo, perché saremmo stati scoperti, ma lui si scrollò dalla mia presa senza neanche considerarmi.
     
    Top
    .
  9.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Arno:
    Quando avevo sentito parlare di teletrasporto all’inizio della missione, non mi ero particolarmente preoccupato. Conoscevo bene il meccanismo anche se non l’avevo mai sperimentato prima. Insomma, vivevo da centinaia di anni, avevo bevuto dal Pozzo diventando un Originale, avevo conosciuto alieni e visto i loro poteri in azione… io stesso avevo delle capacità che potevano tranquillamente considerarsi fuori dal comune. Eppure, quando Vesta si era avvicinata per il primo “viaggio”, una sensazione di vertigine mi aveva colpito potente. Aveva intrecciato le dita alle mie, un suo braccio aveva circondato il mio busto, mentre io me ne restavo immobile e… scomparivo. Lei non mi aveva neppure guardato, si era limitata a fissare il mio petto con una concentrazione senza eguali, con solo la missione in testa. E io, avrei seguito il suo esempio. Era questo lo scopo del nostro rinnovato sodalizio, oggi come allora.
    Dopo essere riapparsi in un magazzino poco illuminato e zeppo dell’odore pungente dell’amido per indumenti, ero stato costretto ad aggrapparmi ad alcuni scaffali per non crollare. Lo stomaco sottosopra e l’appiglio su Vesta scomparso. Ero felice che non avesse visto il mio mancamento, la debolezza del mio fisico non poteva essere un ostacolo, non adesso. Ma mai mi sarei aspettato che lei si fosse allontanata di pochi metri per recuperare una divisa e non avesse neppure pensato a ripararsi mentre si spogliava. I miei occhi, perfettamente funzionanti anche nella semioscurità, erano stati calamitati da una pelle fin troppo diafana per essere umana. Ero riuscito a scorgere i contorni delle spalle, della spina dorsale, la curva dei fianchi e delle gambe. Una cascata di capelli scuri fu liberata dal berretto, per essere subito sostituito con quello in dotazione alle guardie.
    Avrei voluto domandarle il perché avesse cambiato il colore della sua chioma, ma mi resi subito conto che la domanda sarebbe stata troppo stupida, oltre al fatto che avrebbe rivelato il mio attento esame. Ebbi la presenza di spirito di voltare lo sguardo quando fece per girarsi nella mia direzione per prendere la camicia… Non temevo un suo giudizio negativo. Se avesse avuto timore di essere osservata, avrebbe trovato un luogo più discreto per cambiarsi; temevo piuttosto le mie reazioni e un eventuale danno alla mia già compromessa concentrazione.
    Avevo preso un respiro profondo e mi ero imposto di pensare solo alla missione, non c’era proprio tempo per altro. Perché ne fossi così rammaricato non ne avevo proprio idea.
    Il secondo “viaggio” mi aveva messo più ansia del primo e non perché ci fosse la concreta possibilità che le molecole del mio corpo restassero intrappolate da qualche parte. No. Il pugno allo stomaco erano stati i suoi occhi. Mi aveva guardato per la prima volta da quando era iniziata la missione, dopo avermi evitato fino a quel preciso istante e il perché del suo comportamento mi incuriosiva da matti. Mi considerava responsabile del suo fallimento dell’epoca? Perché i suoi lineamenti erano diventati così duri? In quell’istante, avevo avuto la possibilità di individuare piccolissime rughe sulla fronte, rughe che conoscevo bene: nascevano con anni di crucci, preoccupazioni, dolori, scelte sbagliate… erano le stesse che segnavano la mia. Ma un alieno poteva avere questi segni sulla pelle? Ero di certo impazzito se avevo deciso di soffermarmi su queste elucubrazioni, mentre Vesta ci faceva scomparire.
    Ritrovarsi in un corridoio perfettamente illuminato del Livello 2 non era decisamente nei piani. E neppure lo stomaco che minacciava di riversarsi fuori dalla mia gola. Avevo aspettato che la testa smettesse di girare prima di riprendere cognizione del “dove e quando”, nel frattempo avevo seguito Vesta fin dentro all’ennesimo magazzino. La lucidità era tornata, ma i motivi di quel passaggio a vuoto mi erano sconosciuti, né lei aveva voluto darmene spiegazione. Ingoiai un grumo di disappunto, mi ero fidato fino ad allora, non avrei smesso di farlo, perciò mi ero deciso a seguire le sue indicazioni per sbarrare l’entrata in mancanza di una serratura adeguata.
    Tuttavia, un rumore improvviso ci aveva costretti a nasconderci dietro alcuni scatoloni e un déjà-vu violento sconvolse la mia mente: noi due, vicinissimi, dietro alcune casse di polvere da sparo… Scacciai i ricordi con rabbia e determinazione. La mia mente non doveva vacillare. Mi costrinsi a concentrarmi sull’intruso per capirne le intenzioni e valutare eventuali via di fuga silenziose.
    Lo stupore che mi colse nello scoprire l’identità del nuovo arrivato mi trovò impreparato. Senza pensarci su due volte, senza avvertire la mia “compagna” anzi scrollandomi dalla sua presa, senza valutare pro e contro, mi misi in piedi e mi lanciai verso di lui.
    Percepii Vesta subito al mio fianco, una mano che cercava di bloccare la mia avanzata. Ma lei non capiva, non poteva sapere che di fronte ai miei occhi c’era l’uomo che mi aveva salvato la vita.
    Fu un errore, di quelli che potevano costare un’intera esistenza, dovuto con ogni probabilità alle mie precarie condizioni psico-fisiche: avevo abbassato la guardia in un momento che doveva restare alle stelle. Sì, perché Ezio Auditore, non mi riconobbe, non mi diede il tempo di spiegare perché mi trovavo qui, perché Vesta era abbigliata come una guardia.
    Ci attaccò con una potenza inaudita, brutale, incosciente.
    Si avventò dapprima su Vesta, il suo principale nemico – la guardia – e le scaricò addosso una serie di diretti, montanti e calci tanto aggressiva da farla arretrare per la sorpresa. La vidi prepararsi a neutralizzarlo e allora, col tono più alto che la situazione mi permetteva, dissi: “Non farlo, lui è uno degli Assassini che dobbiamo salvare!” Sapevo di cosa fosse capace l’aliena e non volevo che Ezio ne rimanesse vittima. Senza attendere risposta, afferrai il mio amico dalle braccia e tentai una presa immobilizzante, dando così la possibilità a Vesta di riprendere fiato. Era confusa, ma ben presto la consapevolezza prese il posto della confusione: Ezio era sotto l’effetto degli esperimenti che quei bastardi avevano fatto su di lui.
    Non ebbi tempo di finire il pensiero che con un movimento improvviso, del tutto imprevisto, lui si liberò dalla mia presa ferrea e mi fece roteare in aria come un burattino. Ma se lo fossi stato davvero non avrei sentito tutto il dolore che mi esplose dentro quando mi sbatté con la schiena sul pavimento. Aprii la bocca per cacciare un urlo, ma i polmoni avevano fagocitato ogni grammo di aria… fu un urlo muto. Ebbi la presenza di spirito di rotolarmi di lato per evitare il piede del mio “avversario” diretto allo sterno. Lo colpì al legamento del ginocchio con l’intensità adatta per farlo barcollare, ma sembrò non percepire affatto il mio affondo. Perciò, riprovai, con più forza, dovevo evitare che tornasse a concentrarsi su Vesta. Senza respiro, ma riuscii a rimettermi in piedi, approfittando dell’attimo di disorientamento di Ezio. Lo caricai con poca grazia e poca tecnica, il mio scopo era quello di immobilizzarlo, non di ucciderlo, e finimmo su un ammasso di scatoloni fortunatamente vuoti. Il rumore fu relativo, ma il mio intento non fu comunque raggiunto. Percepii una scarica elettrica percorrermi i fianchi, il torace per poi arrivare al cervello. Gli impulsi del dolore erano stati fulminei, Ezio aveva colpito la milza, il fegato, tutti i punti più sensibili del busto, con pugni che parevano fatti di acciaio puro, mentre io tentavo goffamente e inutilmente di proteggermi. Boccheggiai, rotolai di nuovo via, nel tentativo di capire come fare per imbrigliare una dannata macchina da guerra… Un poderoso calcio nello stomaco rischiò di farmi vomitare il poco cibo ingerito il giorno prima; il secondo sulla schiena fece scricchiolare pericolosamente alcune vertebre. Dovevo fermarlo, dovevo fermarlo prima che…
    Lo sguardo corse a Vesta, il cappello era volato via durante la colluttazione precedente, i lunghi capelli castani le lambivano le braccia tenute aperte. I suoi occhi parevano fatti di fiamme vive e le sue intenzioni mi arrivarono chiare come il dolore lancinante che percuoteva ogni cellula del mio corpo: stava per attaccare Ezio. Non vedeva alternativa. Mi stava massacrando. Lessi tutto ciò nelle sue iridi di fuoco… ma non potevo permetterlo.
    Cercai di urlare per fermarla, ma non avevo più fiato. Mi trascinai verso il mio avversario, pronto a caricare ancora un altro calcio su di me, totalmente ignaro dell’attacco che sarebbe giunto alle sue spalle. Era come in trance, come se un interruttore fosse stata attivato e un robot avesse preso il posto del mio mentore. Mi fece dannatamente paura. Ma provai a non pensarci, così mi aggrappai a lui e mi alzai nonostante il mio gesto fosse stato percepito come l’ennesimo agguato nei suoi confronti. Questa percezione mi costò un’altra scarica di pugni inumani sulle costole già doloranti. Non avevo scelta… non avevo alcuna scelta…
    Sopportai il dolore, attesi fino all’ultimo istante. Ero certo che Vesta non avrebbe ucciso Ezio, il suo attacco sarebbe stato potente il necessario per stordirlo. Io non ci ero riuscito, ma lei era un’aliena… l’unica nostra speranza. Eppure, un sentimento incontrollato, del tutto incosciente, assolutamente fuori da ogni logica, mi spinse a far roteare Ezio su stesso per evitargli il colpo: un’esplosione di fuoco magico. Sentii la schiena bruciare come se avessi lava sulla pelle, ma i vestiti rimasero intatti e nessuna fiamma si sprigionò da essi. L’ustione era interna, entrava direttamente nei muscoli, nelle vene, dentro le ossa. Mi sentii morire, ma sapevo che non sarebbe successo. Era tutta una illusione. Lo speravo, almeno.
    “Maledizione!” L’imprecazione di Vesta mi giunse ovattata, ma la sua preoccupazione – e irritazione – era tangibile. Immaginavo già la ramanzina che mi avrebbe rifilato, era un’esperta in questo se la memoria non mi ingannava. Sorrisi appena, con un solo angolo della bocca. Avrei voluto fare una battuta al mio amico, sulla capacità di quella di donna-aliena di farmi impazzire… ma mi limitai a incrociare il suo sguardo, a pochi centimetri dal mio. Ebbi appena il tempo di notare una scintilla di vita al suo interno, l’interruttore di morte era stato spento e la sua coscienza sembrava essere tornata. A quel punto sorrisi e mormorai un “Brutto bastardo, ben tornato” Poi crollammo insieme a terra.
     
    Top
    .
  10.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Ezio:
    L'allarme che suonava in lontananza, lo stesso che mi aveva spinto a muovermi, a rischiare, a riconoscere un'opportunità quando si presentava, per quanto audace, per quanto letale. Il rischio era una parte importante della nostra vita, no? Era un propellente e lo era stato da sempre, da quando appena ragazzino scorrazzavo per i tetti e facevo a botte con i rampolli di famiglie rivali. Ma ora, perché queste memorie?
    Una voce nota e cara mi riportava bruscamente alla realtà, ma in una situazione ben diversa da quella dei miei ultimissimi ricordi.
    “Brutto bastardo, ben tornato” Poi, la presa su di me si affievolì e venni trascinato per terra dal peso morto di un corpo sfiancato. Arno boccheggiava e sembrava sul punto di perdere i sensi, come se...
    "Che cosa ci fai qui? Non... come stai?" Soffocai la domanda che più di tutte mi premeva, ma di cui temevo di conoscere già la risposta: ”Ti ho ridotto io in questo stato?”
    La risposta era evidente, e le sue implicazioni terrificanti. Il tono ironico, il sarcasmo che spesso rivolgeva verso se stesso, di Arno non attenuò la mia apprensione.
    "Sono stato meglio, anche se devo ammettere che il tuo destro è migliorato parecchio dall'ultima volta! Tu come stai?"
    Le implicazioni erano che, dato che ricordavo solo di essere entrato in un magazzino deserto e poi avevo avuto tra le braccia il mio migliore amico malconcio, per diversi minuti avevo perso la cognizione e il controllo delle mie azioni. Lo stato mentale era degenerato e la coscienza si stava cancellando, fino ad arrivare al momento, sempre più vicino, in cui non ci sarebbe stata più. Già ora, molti ricordi erano incerti e confusi, e mi rimaneva l'impressione che esistessero e nulla più, come un oggetto che si muoveva nello spazio appena fuori il campo visivo.
    "Mi dispiace. E' una reazione che non... riesco a controllare... e ora mi accorgo che le mie azioni mi sono totalmente sconosciute quando succede..."
    Arno tentò di mettersi in una posizione più comoda, e anche nella penombra notai i muscoli tesi e la bocca tirata per il dolore. Ma era sempre lui, altruista e coraggioso fino alla morte.
    "Mi hai fatto davvero paura, fratello mio. Dobbiamo portarti via da qui! Altaïr, Come sta? Che ci fai qui?"
    "Non posso ancora venire via! Il Demone... O'Brien! Devo recuperare qualcosa per lui. Quando l'allarme è scattato, ho approfittato della confusione per uscire dalla prigione e cercare quello che mi ha chiesto ma Altaïr è ancora lì. Lui non sta bene..." Mi interruppi, quasi sopraffatto dalla preoccupazione e dai dubbi; le domande cominciavano a presentarsi. Arno non avrebbe dovuto essere lì e... chi era la persona insieme a lui? La soppesai attentamente, cercando di ricordare un volto noto che magari stava cadendo nell'oblio come tutto il resto ma no, non avevo mai visto quella fanciulla minuta, dal viso più adombrato che scosso. "Non possiamo rimanere così esposti. Ce la fai a spostarti dietro a quegli scatoloni?"
    Alla richiesta di aiuto sottintesa, la ragazza si mosse per spostare Arno in un punto più nascosto e riparato. Non sapevo come avremmo potuto liberarci da eventuali guardie. L'allarme era ancora in funzione, aveva un effetto dirompente nelle orecchie, ma cercai di escluderlo per rimanere ancorato ai miei doveri, al pensiero delle mie responsabilità.
    "Vesta, lei è una guerriera... è stata inviata qui dalle ragazze, abbiamo una missione... abbiamo preso alcune informazioni che serviranno a far chiudere questo posto di merda..." Mi prese per la casacca della divisa e avvicinò il suo sguardo al mio, con decisione. "Vi portiamo fuori di qui, questo dallo per scontato... Tu pensa al Demone... O'Brien?!"
    Chi cercava di convincere? Me? Oppure se stesso? Eravamo tutti quanti appesi ad un filo che si stava assottigliando, e il tempo per cercare una soluzione e attuarla era davvero irrisorio. Nonostante l'allenamento e la capacità di reagire senza indugio, il periodo e le privazioni che ci avevano inflitto i devianti stavano fiaccando tutti, nessuno escluso. Arno tossì in maniera convulsa, e per togliergli un po' del peso del mondo che sempre si portava dietro annuii per fargli pensare che mi aveva rassicurato. La Guerriera si spostò più vicina a noi e intervenne con una voce ansiosa: "Le Inner Sailor sono qui, con Pandia. Hanno pronto un piano per farvi uscire. Dovete solo resistere fino a quel momento, e non manca molto!"
    Aveva sottolineato in maniera intenzionale il nome. Aggrottai la fronte. Era un messaggio per me? Un pensiero vago e doloroso attraversò la mente, lo avevo quasi afferrato per analizzarlo, ma poi la sirena mi distrasse nuovamente, e tornai a preoccupazioni più pressanti.
    "Non temo il Demone, ma ho paura per quello che stiamo diventando... dei mostri senza anima e controllo..." Cercai di sollevare e appoggiare al muro il mio amico per aiutarlo a respirare meglio, ma questa mia attenzione, come era prevedibile, lo infastidì invece di apprezzarla.
    "Sto bene!" Si schernì con stizza. “Ha ragione Vesta, dovete solo tenere duro. Con le informazioni che abbiamo trafugato, i cervelloni sapranno trovare la soluzione per riportarvi come eravate prima. Sfrutta il tuo "potere" contro i devianti e sopravvivi, al resto ci penseremo noi..."
    Si aggrappò nuovamente ai miei vestiti. Lo notai appena, troppo sconvolto dal suo accenno al "mio potere"... credeva che fosse una cosa positiva, un progresso che mi avrebbe avvantaggiato e che dovevo solo imparare a controllare meglio?
    "Veglia su Altaïr, come hai sempre fatto su di me, stringete i denti, i rinforzi arriveranno prestissimo..."
    Lo abbracciai. Con delicatezza, per non ferirlo ulteriormente, ma per annunciargli che non sarei rimasto ancora a lungo. Imprecai sottovoce per la rabbia, lo sconforto, la paura. "Arno io devo andare, o perderò la possibilità di fare qualcosa di utile. Ma come faccio a lasciarti qui? Sei una delle persone su cui faccio più affidamento, anche se qui dentro è stato difficile riuscire a essere... noi stessi..."
    "Lo so... io sono stato il primo a perdermi, e mi dispiace... mi dispiace di non esserci stato nel momento in cui avevi... avevate più bisogno. Ma adesso abbiamo la possibilità di uscire da questo inferno. Fai quel che devi, noi porteremo a termine la nostra missione, e ci ritroveremo prestissimo... Va', falli a pezzi, proteggi Altaïr, resta te stesso il più possibile. Se c'è qualcuno che può fare tutto questo, ce l'ho adesso davanti agli occhi!"
    Strinsi i denti per mandare giù un inesistente boccone amaro, poi annuii meccanicamente. Mi assicurai che il muro lo sorreggesse al mio posto. Era tutto quello che potevo fare e forse, considerando la responsabilità che avevo per le sue ferite, era anche meglio. Io non potevo dare altro. Ma la Guerriera sì.
    "Dì alle tue compagne che cercherò di proteggere Altaïr, ma ora tu prenditi cura di lui!"
    Mi alzai in fretta, lasciando quel deposito senza alcuna certezza di rivedere Arno.
    Il corridoio era temporaneamente sgombro. Feci affidamento sulla mia Vista dell'Aquila per individuare i nemici e mi tenni prudentemente alla larga da loro non solo per non essere scoperto, ma per non rischiare di perdere un'ennesima volta il controllo delle mie reazioni e andare incontro ad una conclusione disastrosa per la missione.
    Dovetti pazientare, nascosto in una piccola rientranza chiusa, mentre un gruppo di soldati ispezionavano tutte le stanze. Alcuni li vidi entrare nelle stanze a cui ero appena passato davanti, e immaginai che prima o poi avrebbero controllato anche il magazzino in cui c'erano i miei compagni. Strinsi le palpebre e i pugni per la frustrazione. Non potevo fare nulla per loro, ma solo proseguire nel mio obiettivo. Le nocche e i palmi bruciavano per le escoriazioni che mi ero causato durante la colluttazione con Arno. Un attacco di panico riuscì quasi a distruggermi, ma resistetti perché sapevo che c'erano persone per me importanti che mi stavano aspettando, che avrei potuto far soffrire, anche se non ricordavo i loro volti e i loro nomi.
    Dopo un vagare difficoltoso, interrotto spesso dalla necessità di nascondermi, raggiunsi il laboratorio – non fu complesso esserne certo, ricordavo con un brivido freddo i primi giorni al livello due, in balia dello scienziato pazzo e dei suoi strumenti... Entrai senza problemi nel laboratorio, provando una rabbia e un'ammirazione soffocata per i nostri carcerieri: erano talmente disciplinati e sicuri del fatto loro da non sentire il bisogno di bloccare le porte.
    Il locale era deserto, asettico e impersonale, come quello dove avevano torturato me e Altaïr. Sentii che il mio autocontrollo cominciava a svanire e mi appoggiai al tavolo di metallo zincato per resistere e ricacciare indietro la presenza soffocante che avvertivo – sempre appena fuori dal campo percettivo. Snervante e irritante e indebolente.
    Mi riscossi: la cognizione del tempo si era come dilatata nel cervello, ma dovevo fare in fretta. Erano passati pochi minuti da quando l'allarme era scattato, chissà se solo a questo livello o anche nell'intera struttura, ma purtroppo non ne avevo molto di più.
    La teca con la Staffa era al centro dello spazio, in una posizione rialzata. Non provai ad individuare eventuali sistemi di controllo o di allarme: arrivato fin qui, la questione si riduceva a una scommessa. Testa o croce: o riuscivo a sottrarla e a nasconderla (non sapevo neanche dove) o mi avrebbero preso e ucciso. Semplice, per una volta tanto.
    Allungai la mano per afferrarla dai supporti di plastica trasparente. Ero curioso di saggiarne il peso, il bilanciamento, la sensazione dell'oggetto nella mia mano; era un'arma, ma rimasi sconvolto quando avvertii una nuova coscienza nella mia mente. Ora basta, ne ho le tasche piene! Trovatevi un altro da ossessionare!
    Questa presenza era diversa da quella minacciosa che stava nascosta tra le ombre delle mie paure. Era più equilibrata, più benevola. A suo modo, riusciva a comunicare con me. Mi avrebbe aiutato. Mi avrebbe guarito.
    Non mi era chiaro il come e il perché, ma ero talmente disperato che avrei accettato il suo aiuto senza tentennamenti. A questo pensiero, ci fu un leggero cambiamento nella forma e nella consistenza della Staffa: diventò meno lucida e acquistò la sinuosità di una sostanza amorfa, quasi liquida. In pochi secondi, si sciolse e si adattò alle mie mani, fondendosi con la mia pelle e svanendo con un lieve luccichio davanti ai miei occhi.
    E con questa nuova, inaspettata speranza, tornai sui miei passi, evitando i devianti che erano ancora all'accanita ricerca degli intrusi. Avrei voluto tornare nel magazzino da Arno, ma in quel momento i nostri nemici erano lì, troppo vicini per non accorgersi di movimenti sospetti. Avrei potuto distrarli, ma sarebbe servito a poco.
    Dovevo aver fiducia in Arno e nella sua compagna. Dovevano terminare da soli la loro missione. Io dovevo solo preoccuparmi di rientrare, non visto, nella mia prigione e confidare nelle loro promesse.


    Edited by Illiana - 20/11/2020, 13:52
     
    Top
    .
  11.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Arno:
    "Dì alle tue compagne che cercherò di proteggere Altaïr, ma ora tu prenditi cura di lui!”
    Le parole di Ezio avevano avuto la capacità di catalizzare la mia attenzione, di già molto labile, verso Vesta. Avevo imparato a conoscere le sue espressioni, perlopiù crucciate e risentite. In questo preciso momento, se i suoi occhi avessero potuto incenerire – e non era detto che non avesse una capacità simile – l’avrebbe di certo fatto… Cosa non si fa per amore della missione. Perciò, tentai in ogni modo di mitigare quegli ordini espliciti, giustificando il mio amico.
    "Era di fretta, di solito è più cortese..." La mia voce era flebile, ma la nota di sarcasmo non ero riuscito a nasconderla. Sembrava che l’incontro con Ezio avesse in qualche modo risvegliato una parte di me sopita da tempo, quella pronta a tutto, persino a sdrammatizzare situazioni per niente incoraggianti. Una parte che credevo di aver perso per sempre. Ciò nonostante, la reazione di Vesta non mi sorprese e se ne avessi avuto la forza – e non avessi rischiato di scatenare un ennesimo conflitto mondiale – avrei sorriso. Ma il mio corpo era al limite… e non desideravo tormentarlo ulteriormente. La vidi sbuffare di sottecchi, mostrandosi subito dopo sostenuta.
    “Non faccio caso a queste cose, siamo in missione! Quello che vorrei, però, è che il mio compagno non si impegnasse per complicare una situazione già difficile!”
    Non avevo dubbi che saremmo giunti alla ramanzina del secolo. Altro comportamento del tutto prevedibile, ma ancora una volta non me ne rammaricai. Al contrario, avevo la sensazione di essere in qualche modo tornato indietro nel tempo, a quei momenti assurdamente concitati in cui non mi erano stati risparmiati rimbrotti, accuse e insulti. Poi… l’avevo lasciata nelle mani dei Templari. Ed era meglio sorvolare sul fatto che ci fossi finito anche io: dettagli.
    "Se avessi trovato una soluzione migliore nel poco tempo a disposizione l'avrei di certo messa in atto, ma diciamo che ho cercato di limitare i danni. A proposito, devo capire a quanto ammontano questi danni..." Il dolore sembrò piombare come un macigno anche sui miei pensieri, senza preavviso, ricordandomi nella maniera più meschina la mia condizione. Provai a muovermi appena, ma degli spuntoni arroventati mi si piantarono nei polmoni impedendomi di respirare normalmente. Mi aprii la giacca da detenuto per agevolare l’entrata dell’ossigeno, ma era tutto inutile. Strinsi le palpebre doloranti e mi abbandonai a una totale immobilità.
    Percepii Vesta vicino, molto vicino. Aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo e sembrò buttarlo fuori tutto insieme quando terminai le mie “operazioni di controllo”. Ovviamente per inveire contro il sottoscritto.
    “Sei sul punto di svenire per le ferite!! Ecco cosa è successo! Ti sei messo a fare da bersaglio a un mostro che non ragionava e quando ho cercato di contenerlo, hai deciso che non ne avevi ancora prese abbastanza!” sibilò con forza ogni sillaba e la parola “mostro” sembro conficcarsi con forza nella mia mente annebbiata, rischiarandola ancora una volta. Ezio non era quello che lei dipingeva, aveva solo bisogno di aiuto… del mio dannato aiuto.
    "Ho agito d'istinto. Colui che tu chiami ‘mostro’ è un mio amico, l'uomo che mi ha salvato la vita. Sapevo che non lo avresti ucciso, ma non sono stato capace di permetterlo... non sotto i miei occhi..." Non avrei saputo spiegarlo meglio, non in quello stato. Poi decisi di mentire nel tentativo di evitare l’ennesima frecciatina. "Dai... tutto sommato poteva andare peggio...", ma non avevo fatto i conti con i poteri di una Guerriera dell’Impero Galattico. Alzai lo sguardo con cautela e notai quello di Vesta che mi scrutava: era furiosa, ma sembrava fare uno sforzo enorme per controllarsi.
    “Devo verificare le tue condizioni. Avrai di sicuro danni agli organi interni, così non ti posso teletrasportare, il viaggio potrebbe ucciderti” mi spiegò con sillabe taglienti. E io non mi risparmiai nella mia risposta. Con ogni probabilità, avevo deciso che stuzzicarla era diventata una valida alternativa rispetto a una morte lenta e solitaria.
    “Fai pure, ma non provare a usare uno dei tuoi trucchetti, altrimenti poi dovremo rimanere qui per altri motivi..." Ricordavo benissimo quella notte passata nella casa dei piaceri di De Sade, tra orge, gemiti di piacere e dissolutezza, mentre noi dovevamo ‘solo’ dormire.
    Forse ero andato un po’ troppo oltre, la osservai mentre respirava a fondo, una, due, tre volte. Se fossimo stati in una circostanza diversa, di certo mi avrebbe già piantato in asso ad agonizzare e pentirmi della mia insolenza. Tuttavia, il pericolo a cui stavamo andando incontro a grandi falcate era immenso… perciò, la calma sembrò vincere la battaglia contro la rabbia.
    “Lo so COSA pensi di me, ma vorrei ricordarti che sei stato tu a offrirti volontario! E ora stai zitto, o non riuscirò a concentrarmi!”
    Avrei voluto parlare, avrei voluto dirle che non sapeva un bel niente della mia opinione nei suoi riguardi, che non era affatto capace di leggere nei pensieri, altrimenti avrebbe visto chiaramente ciò che provavo stando al suo fianco, ma decisi che non l’avrei disturbata, almeno non in quel momento tanto importante.
    La vidi avvicinarsi, aggrottare la fronte, imporre le sue mani delicate sul mio torace, senza toccarmi. Si morse un labbro, lo faceva sempre quando era concentrata e io rimasi lì, con quella carne delicata tra i suoi denti… quantomeno i miei pensieri sostarono lì, perché il resto del mio corpo pareva essere rimestato, le mie cellule messe sotto sopra, il mio sangue scosso dall’interno. Non riuscivo a capire se fosse una sensazione piacevole o meno, di certo era strana, mentre il dolore per quei pochi secondi si era tramutato in sconcerto. Neanche le mie molecole sapevano come reagire a quella magia, stordite quanto e forse più della mia mente. In mezzo a questo assurdo caos, però, ero riuscito a percepire anche altro, un legame di intima connivenza che sembrava essersi instaurato, come se Vesta mi stesse donando un po’ della sua linfa vitale e io la stessi accogliendo come un grembo materno… Farneticavo, sì, dovevo aver perso i sensi e stavo vagando in una dimensione fuori dalla ragione comune…
    Mi resi conto che non era così, quando lei allontanò le mani da me, riaprì i suoi meravigliosi occhi – densi come il magma di un vulcano – e li scoprii pieni di lacrime.
    “Per ora può bastare, dovresti sentirti un poco meglio, ma non sei ancora fuori pericolo...” mormorò appena, a denti stretti, come se un grammo di aria in più avrebbe potuto rompere gli argini del suo autocontrollo.
    E io? Io non volevo vedere quelle lacrime scorrere, punto. Perciò, mi feci forza, esternai un benessere che non provavo del tutto e addirittura sorrisi. “Va tutto bene, sei andata alla grande. Come stai?” Preoccuparmi per lei era diventato naturale, quando era successo? Non ne avevo idea.
    Vidi però lo sguardo di Vesta farsi di pietra, la sua espressione continuava ad accusarmi e la sua voce non la smentì.
    “Non sono io quella che si è fatta quasi uccidere. Ma sei vuoi saperlo, l'energia per fare i "trucchetti" si consuma velocemente in questi casi...” Il suo dannato meccanismo di difesa sembrava impenetrabile! Poi alzò lo sguardo verso la porta del magazzino, oltre la barriera degli scatoloni. “Da qui non possiamo muoverci, se non vogliamo essere scoperti in pochi secondi, e non oso... non posso... pensare a questa eventualità...” La smorfia di dolore e ansia che scorsi tra le pieghe dei suoi lineamenti mi sconvolse ancor più dell’operazione appena compiuta sui miei organi interni.
    "Respira adesso, calmati. Troveremo il modo di portare avanti questa missione. La posta in gioco è altissima per tutti noi, ma se anche non lo fosse...” La guardai un po’ di sottecchi, stranamente timoroso della sua reazione. “Lo farei ugualmente, mettendoci tutto me stesso.” Non volevo essere di nuovo la causa di un suo ennesimo dispiacere, non volevo scorgere il biasimo nei suoi occhi, preferivo di gran lunga la sua ira. “Restiamo qui un po', recuperiamo le forze, poi potremo continuare. Io mi sento già molto meglio.” Sapevo che mentire non avrebbe aiutato la causa, ma mi ritrovai disposto a tutto pur di vederla serena. L’istinto di posare un pollice sulla sua fronte e accarezzare, fino a sciogliere, la ruga di preoccupazione che vi campeggiava fissa, era fortissimo... ma fui comunque respinto dall’ennesima barriera di Vesta.
    “Smettila di rabbonirmi! Ti aiuterò comunque, e mi impegnerò per terminare la missione con successo.” Questa volta però, la sua voce era stanca. Una stanchezza più interiore che fisica, che conoscevo fin troppo bene. Rabbrividii e sembrai punto sul vivo da questa consapevolezza. Non doveva continuare così, o sarebbe finita come me.
    "Se avessi voluto rabbonirti avrei usato altre parole, piuttosto smettila di pensare che ce l'abbia con te per qualche arcana ragione. Ciò che credi di sapere è tutto falso!” Buttai fuori quelle parole con sdegno, ero stufo di lasciare che quel balordo equivoco ne creasse altri, a catena, più grandi e insormontabili. La nostra… la nostra poteva diventare un’alleanza fruttuosa, lo sentivo.
    L’incredulità di Vesta sembrava un’insegna luminosa che, con i suoi neon potenti, era capace di ferire e distruggere. La vidi inarcare un sopracciglio e fare una smorfia scettica.
    “Davvero?”
    E allora sbottai davvero e mi trasformai in un fiume in piena.
    "Davvero! Perché ti viene così difficile crederlo? Insomma, so di non essere brillante nella conversazione, so di non essere neppure tanto sveglio nelle relazioni sociali. Quando ci siamo incontrati, in quell’appartamento di Parigi, ammetto di aver imprecato contro di te, ma tu – d’altro canto – mi hai aggredito con una brocca di creta! Insomma, non solo hai intralciato il mio compito, ma mi hai anche ferito! Ecco, non si poteva certo pretendere rose e tappeti rossi da parte mia. Ma, a parte tutto questo, durante la missione qualcosa è cambiato. Ma tu, tu hai continuato a farti un film autodistruttivo...”
    A quel punto Vesta mi pose due dita sulle labbra, in un gesto impulsivo, dimostrandomi che non desiderava sentire oltre la mia arringa.
    “Sai che ti dico? Lascia stare! Niente di ciò che mi dirai mi è nuovo!”
    Restai disorientato un solo attimo, giusto il tempo di assorbire l’angoscia e il significato che si celavano dietro alle sue dita morbide. Una paura folle dell’ennesimo giudizio. E allora, mi riscossi, liberandomi dal suo bavaglio immaginario. Mi resi conto che a quel punto era mio dovere continuare a parlare.
    “E cosa starei per dire? Che sei un'incapace? Che non ne combini una giusta? Beh, se non per questa lista retorica... non sentirai mai parole del genere, non da me. Se non fosse stato per te, anni e anni fa saremmo morti... e ora, se non fosse per te sarei bello che stecchito. Prova a pensarci un attimo e poi ne riparliamo...” pronunciai tutto in un fiato, impedendo ai miei polmoni di lasciarmi senza respiro, era troppo importante ciò che avevo da dire. Misi una mano sul petto, per calmare i battiti del mio cuore che lottava per rimanere regolare. Ero un po’ arrabbiato, un po’ deluso, di certo intenerito da una maschera di cera – di splendida fattura – che sembrava si stesse pian piano sgretolando sotto i colpi della realtà. Della mia realtà. Vesta doveva farci i conti, adesso o mai più. E io non mi sarei tirato indietro di fronte a una simile sfida.


    Edited by KillerCreed - 22/11/2020, 01:14
     
    Top
    .
  12.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Vesta:
    “E cosa starei per dire? Che sei un'incapace? Che non ne combini una giusta? Beh, se non per questa lista retorica... non sentirai mai parole del genere, non da me. Se non fosse stato per te, anni e anni fa saremmo morti... e ora, se non fosse per te sarei bello che stecchito. Prova a pensarci un attimo e poi ne riparliamo...” Erano accuse orribili, e lui le aveva pronunciate con una tale calma e risolutezza. Non le pensava vero, vero? Ogni sua parola appariva essenziale e sostanziale per me, trepidavo nell'ascoltare le sue opinioni... Perché erano così importanti? Una vita passata a convincermi a ignorare i pensieri e i giudizi di tutti, ed ecco che ancora ero inerme come un cucciolo nell'assimilare le sue riflessioni.
    Ma non era solo questo. Sarebbe stato molto semplice, se si fosse trattato solo di una brutta abitudine che dovevo correggere. Arno riusciva a toccare le parti più sensibili della mia anima come se le avesse in mano, e io non avessi alcuna possibilità di nasconderle. Nel bene e nel male.
    Lo avrei insultato pesantemente per il suo comportamento di poco prima, così incurante delle conseguenze che non fossero i suoi patemi d'animo. Ma nel contempo ero così meravigliata del suo atto magnanimo.
    E volevo che i suoi occhi, che poco prima avevano rischiato di danneggiare irrimediabilmente la missione, continuassero a tornare su di me, anche se solo per scambiare informazioni tecniche o tattiche.
    Mi aveva scostato la mano che gli avevo messo sulla bocca d'impulso, per non sentirgli dire le cattiverie o le verità che già conoscevo. Ma con sconcerto mi accorsi che il dispiacere derivava più dal fatto che aveva subito interrotto il nostro contatto fisico, lasciandomi la mano. Alla sua osservazione, risposi con una piccola enunciazione, che aveva il solo scopo di raccattare un po' di dignità davanti a lui, dopo che la avevo smembrata con i miei dubbi.
    "Sono una Guerriera, prescelta da forze cosmiche primordiali. Ho combattuto per proteggere persone inermi, ho la responsabilità diretta del feudo collegato al mio Crystal Seed. I miei poteri sono terrificanti, e li controllo con grande impegno. Sono circondata da persone che mi amano e mi sostengono. Non ho bisogno delle tue parole. So chi sono..." Sospirai per alleggerire la mia anima. "... sono fiera di appartenere al mio popolo, e non è colpa mia se alle volte non controllo le mie reazioni. Io vorrei solo..." Lasciai la frase in sospeso e mi grattai sovrappensiero la pelle irritata dietro il collo.
    "Essere te stessa... vorresti esserlo senza mentire a te stessa. Ciò che hai detto sarà vero, ma sembra che ti faccia soffrire più di una missione potenzialmente a rischio... Sei una guerriera dalle abilità eccezionale e se usciremo fuori da questo casino sarà solo tuo il merito... ma sembra che tu non te ne renda conto... vedi solo il lato negativo di tutto ciò..." Arno terminò la mia frase senza incertezze, quasi stesse leggendo un libro, e mentre parlava, mi tolse dal continuare a tormentarmi nervosamente, afferrandomi per la seconda volta la mano. Volevo farglielo notare maliziosamente, ma per fortuna stavamo parlando a bassa voce, perché senza alcuna avvisaglia la porta del nostro rifugio si spalancò e si udirono i rumori e i passi dei nostri nemici. Svelta, infilai una mano nel taschino della divisa e recuperai un secondo dispositivo oltre a quello di stoccaggio di memoria, sempre fornitomi da Athena. Era lo scudo che celava la mia essenza di Eterno ai Devianti, ma poteva servire, per un tempo limitato, anche come scudo di invisibilità per tutti. Avremmo dovuto usarlo, e in fretta. Misi davanti al naso di Arno il piccolo oggetto, sperando che comprendesse il suo utilizzo.
    Mi accoccolai vicino a lui in posizione rannicchiata, per ridurre l'ingombro dei nostri corpi: lo scudo aveva un tempo ma anche un'area limitata di utilizzo. Mi tranquillizzai quando Arno si strinse ancora più a me, attento e vigile. Aveva capito subito al volo...
    Tenevo lo sguardo fisso sul display, che segnalava il conto alla rovescia all'annullamento dell'effetto, quasi ipnotizzata e terrorizzata dall'imminenza del pericolo. Se ci avessero scoperto non saremmo stati solo noi due a rischiare la vita, ma anche gli Assassini a questo livello, e quelli al livello superiore. E non si trattava soltanto di questo: le mie compagne avrebbero tentato un piano disperato per salvarci, e tutto sarebbe finito in tragedia! Mi morsi il labbro fino a che non ebbi gli occhi pieni di lacrime per il dolore. A quel punto, recuperai un po' di imperturbabilità e di rabbia. Quella non mi tradiva mai, ironicamente.
    Nella luce incerta ed errante delle torce led, vidi avvicinarsi un deviante nella divisa blu delle guardie a passo deciso e rabbioso. Si fermò a pochi centimetri dai nostri piedi e se avesse abbassato lo sguardo si sarebbe accorto che le punte delle sue scarpe erano diventate invisibili, essendo entrato nell'area dello scudo. Alzai la mano molto lentamente, pronta a colpirlo con un attacco infuocato prima che potesse dare l'allarme, ma la mano di Arno mi trattenne il polso. Il suo sguardo era fisso su di me, come se fossi l'unica cosa di cui preoccuparsi.
    Dentro la testa venivano scanditi con rintocchi cupi i pochi secondi che mancavano prima che l'effetto del congegno svanisse. Non riuscivo a respirare, e anche Arno era da diversi secondi che non lo faceva, me ne rendevo conto con facilità, dato che ero incollata al suo petto, alle sue spalle, alle sue braccia...
    Il deviante terminò il controllo della zona dietro gli scatoloni e si allontanò, informando i suoi colleghi della ricerca infruttuosa. Tornammo entrambi a respirare, anche se feci davvero fatica a non rantolare miseramente.
    "Se ne sono andati..." Mormorò ad un soffio dal mio orecchio. Mi girai a guardarlo, e non riuscii a non fissargli le labbra che si muovevano irresistibili e seducenti.
    "Già..." Sussurrai di rimando. "Dove eravamo rimasti? Cosa stavi dicendo?"
    Eravamo ancora abbracciati, come se il pericolo passato ci avesse lasciato incapaci di muoverci. Arno aggrottò lievemente la fronte, lo sguardo perso alla ricerca del ricordo.
    "Che sei una guerriera eccezionale? Ma tu non riesci a vederlo?"
    La sua voce mi giungeva a fatica, tanto la mia attenzione e concentrazione erano altrove, focalizzate in un punto ad un soffio dai miei occhi. Eppure, stavo proprio fissando le sue labbra, che erano le responsabili del mio desiderio. Volevo solo posarci sopra le mie, sentire quanto erano morbide, capire come erano fatte e che sensazione mi avrebbero trasmesso, anche se avevo già baciato centinaia di altre bocche. Ma era un istinto che non riuscivo a ignorare. Allungai la mano, sfiorai con i polpastrelli il labbro inferiore, e poi la forma piena del contorno. Osservai il colore e lo spazio che si formava quando le dischiudeva. Era un'esigenza impellente della mente, del corpo, un invito che seguii con passione. Avvicinai le mie e lo baciai, senza pensare ad altro che alle emozioni che provavo.
    Come tutti gli altri, rispose al mio bacio, si concesse di assaporarmi. Ero dolce e lo sapevo, perché era una caratteristica che solo noi venusiane possedevamo. Potevamo far impazzire un incauto solo baciandolo. E questo potere, questo ascendente mi appagava, mi dava conferme sulla mia natura ma al tempo stesso su quanto ancora, amaramente, avevo bisogno di trovarne. Per me contava solo che, nonostante l'insofferenza e le riserve avute su di me in passato, ero riuscita a superare la distanza invisibile che ci separava.
    Le dita accarezzarono i suoi capelli corti, scesero dietro il collo, si insinuarono sotto la divisa. Il mio respiro era affannato, sentivo l'eccitazione e la gioia feroce crescere senza controllo. Anche le sue mani mi accarezzarono il viso, ma all'improvviso lui si allontanò ed io rimasi... esterrefatta. Incredula. Sconvolta.
    "Non devi farlo, non per i motivi sbagliati... tu sei perfetta già così..."
    Il tono era gentile, quasi carezzevole, e conteneva una tristezza marcata.
    Non reagii per un semplice motivo: non avevo nessuna idea del perché non lo insultai o lo schiaffeggiai. Oh, lo avrei fatto con chiunque altro, mentre con lui... la sincerità e l'apprensione che dimostrava nei miei confronti mi spiazzarono. Non riuscivo a odiarlo, anche se restistendo alle mie attenzioni mi aveva pressoché insultato nel peggiore dei modi.
    Sorrisi mestamente. Gli posai le mani sul petto per potermi allontanare da lui.
    "Sembra che mi sia sbagliata di molte cose sul di te..." Ero sincera anche io. Non avevo capito ancora nulla di lui, e sicuramente gli ultimi secondi mi avevano confusa ancora di più.
    "Forse, semplicemente, non riuscivi a vedere qualcosa di diverso rispetto a quello a cui sei abituata..."
    Abbassai lo sguardo sulle sue braccia che mi stavano trattenendo, invece che lasciarmi andare. La confusione spazzò via la mia riservatezza: non mi importava più di nascondermi e di giocare a recitare un ruolo che non era il mio. Ero turbata, forse ferita o addirittura... curiosa?
    "Non capisco! Prima mi respingi e adesso mi trattieni! Cosa vuoi da me? Pensavo di bastarti! Oppure hai ancora il cuore stretto in altri ricordi?"
    "I miei ricordi sono chiusi sempre nello stesso cassetto, Vesta. Da te voglio solo una cosa... che smetti di odiarti... e forse poi potrò lasciarti andare"
    Feci una smorfia indispettita, quando il motivo del suo comportamento mi balzò davanti agli occhi. "Ho capito che tipo di persona sei tu! Ti preoccupi per gli altri per evitare di pensare ai tuoi problemi!" Avvicinai il viso per scrutarlo accusatoria. Non gli avrei permesso di farmi soffrire: le sue parole affermavano una cosa, le sue azioni un'altra. Stava giocando con me e non lo avrei più assecondato. "Sai quale cosa mi è subito stata chiara, quando ti ho conosciuto? Che la tua sofferenza stava per soffocarti, ed eri troppo disperato per accettare l'aiuto di nessuno! Hai rifiutato anche il mio, ricordi?"
    Arno si irrigidì. "Ricordo, volevi 'aiutarmi' nello stesso modo in cui volevi curare te stessa poco fa... ma allora, come adesso, sono sicuro che non sia il modo giusto..."
    "Che altro modo c'è? Cosa rimane a chi è come noi? Guasto, irrimediabilmente deteriorato e..." Con uno strattone, riuscii a liberarmi dalla sua stretta. Forse fu lui stesso a lasciarmi andare, vedendo il mio disappunto. Gli diedi le spalle, per nascondergli la mia espressione contratta. Cosa dovevo fare, rivedere il mio mondo, i miei sentimenti, le mie convinzioni, ogni cosa e ogni tassello del mio mondo? Non c'era accettazione per un destino che non era più che propizio, nel mio modo di vedere le cose! C'era solo un modo di affrontare la vita, solo una maniera, che era quella di uniformarsi e di appartenere in tutto e per tutto al proprio luogo d'origine. Ero venusiana, e l'unica via che conoscevo era quella di darmi fisicamente e sentimentalmente a qualcuno. Sedurre e venire sedotta. Usare il piacere e la lussuria come linguaggio e scopo principale dell'esistere. Quello che non rientrava in quest'ordine di idee doveva essere escluso.
    E se non avessi partecipato, ad essere esclusa sarei stata io.
     
    Top
    .
  13.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Arno:
    La lontananza di Vesta ebbe un duplice effetto su di me, entrambi devastanti. Se da un lato, riuscii a riprendere una posizione meno obbligata e una respirazione migliore, dall’altra ebbi come la sensazione di star cadendo, come se in qualche modo mi fossi ancorato alla sua presenza. Allungai le gambe, con le braccia mi tenni le costole, un accesso di tosse uscì spontaneo dalle mie labbra. Misi un pugno davanti la bocca per attutire il rumore, non era il caso che ci scoprissero proprio ora… ma quando la crisi terminò notai le dita sporche di sangue. Cercai di prendere un respiro più profondo degli altri, ma mi esibii in un rantolo penoso. C’era davvero qualcosa che non andava… di grave… un’emorragia interna? Ezio doveva aver danneggiato qualche organo importante. Che situazione del cazzo! I miei pensieri però furono interrotti dall’arrivo fulmineo di Vesta. Posò una mano sulla mia nuca e mi aiutò a sdraiarmi sul pavimento gelido. Un brivido mi percorse, ma non sapevo a cos’era dovuto, se al freddo o al suo tocco. I suoi occhi angosciati, però, ebbero lo stesso effetto di una iniezione di adrenalina: non doveva preoccuparsi per me! Non doveva prendere sulle spalle ulteriori pesi che non le competevano.
    “Devo usare di nuovo i miei poteri per curare le lesioni più gravi... devi stare calmo e... fidarti di me!”
    “Mi fido di te. Dimmi solo se questo ti costerà troppo... non voglio che per sistemare me poi starai male tu... Io posso resistere, potremmo provare a smaterializzarci...” Solo il pensiero che, in qualche modo, sarei potuto diventare la causa di un suo malessere mi mozzava il fiato. Ero disposto a osare piuttosto che provocare una cosa del genere.
    Tuttavia, la vidi scuotere il capo con decisione e avvicinarsi ulteriormente a me.
    “Sei proprio un testone! Vuoi rischiare la vita per farmi felice o per avere ragione? Non posso teletrasportarti in queste condizioni, devi stare meglio. Recupererò presto i miei poteri, una volta che ti avrò guarito... dovremmo essere al sicuro per qualche tempo, qui...” “E poi sarei io il testone?” avrei voluto dirle, ma quelle parole balenarono solo nella mia testa. Stavo imparando a conoscerla e non mi era difficile capire che non era il momento per le rimostranze, non sarebbero servite a nulla. Perciò, mi abbandonai alle sue cure, le palpebre appena socchiuse, con la preoccupazione che serpeggiava subdola sotto la pelle assieme al suo potere. Le sue dita mi sfioravano da sopra la maglietta, il suo viso era contratto per la concentrazione, si muoveva con circospezione ma anche con sicurezza. Era quasi magica la sua espressione e allora riuscii a vederla finalmente per la dea che era. Se solo avesse potuto guardarsi con i miei occhi in quel preciso istante… Subito dopo, le sillabe sfuggirono al mio controllo.
    “Non voglio rischiare la vita, ma voglio vederti felice... questo sì.” Da dove arrivava quel desiderio? Poteva una semplice contemplazione generare tanta dedizione? No, c’era qualcos’altro sotto a cui non riuscivo a dare un nome. Per adesso almeno.
    “No, non sono felice! Ho combinato dei casini e sono qui solo per rimediare, per essere d'aiuto alle persone a cui voglio bene. Non faresti lo stesso?” La sua risposta pregna di disperazione riportò a galla un senso di colpa che ero convinto di aver sepolto da tempo. Vesta era capace di scavarmi dentro senza volerlo, era il suo sconforto a fare più male dei colpi di Ezio, la sua sensazione di sconfitta, la sua angoscia nel ripensare agli errori commessi. Rabbrividii, ma lei credette che fosse per il “lavoro” che stava facendo su di me… che io sembravo aver già dimenticato.
    “Non solo lo farei... ma l'ho già fatto. Ti sembrerà incredibile, ma questo è il mio stesso stato d'animo la maggior parte del tempo... sembri uno specchio di ciò che ho dentro...!
    La mia voce si era trasformata in un sussurro. Un sussurro che ricalcava un pensiero profondo, assurdamente reale. Vesta ed io eravamo più simili di quanto avessi potuto immaginare.
    Il suo sorriso leggero mi distrasse ancora una volta, era chiaro che desiderava capirmi meglio, il mio comportamento doveva sembrarle molto strano, come darle torto!
    “E quindi? Proprio perché sei così uguale a me pensi di potermi dare dei consigli e poi di tornare nel tuo nascondiglio?”
    Crucciai la fronte, la sua non era un’accusa, o almeno non la recepii come tale. Ciò nonostante, percepivo la necessità di riflettere sulle sue parole, come in un viaggio iniziatico… si va sempre avanti, passo dopo passo, e non si può più tornare indietro. È impossibile farlo.
    “Ti sembra che mi stia nascondendo? Non sono mai stato tanto allo scoperto come in questo momento...” Tornai a fissarla, sicuro della mia conclusione. Avevo passato una vita intera a celarmi al resto del mondo, convinto che non fossi degno, che non fossi in grado di custodire amicizie e affetti a causa delle mie emozioni spesso confuse… Ezio aveva iniziato a convincermi del contrario, ma il percorso era ancora molto lungo. L’arrivo di Vesta rappresentava forse un piccolo miraggio di un ulteriore passo avanti?
    “Allo scoperto solo perché stai parlando con me? O perché mi hai respinto? Oppure perché stiamo rischiando entrambi per una missione da cui dipendono le vite e la felicità di tanti nostri compagni? Tu mi confondi...”
    Un sorriso spontaneo questa volta arrivò a inarcare le mie labbra tumefatte. Una piccola fitta mi ricordò che lei stava ancora “lavorando” sulle mie ferite, perciò cercai di non agitarmi troppo. Anche se non era facile, parlare con Vesta assomigliava a un percorso su un campo minato senza alcuna protezione. Percepivo una forza che mi urlava di tornare nel mio cantuccio, al sicuro con la mia solitudine; subito dopo però arrivava una forza contraria che mi zittiva e mi impediva di lasciar perdere. La risposta allora arrivò cristallina.
    “Non parlo con nessuno da un sacco di tempo in effetti. Non ti ho respinta, se lo avessi davvero fatto te ne saresti accorta. Solo pretendo un bacio dato con un sentimento diverso e non con la sola voglia di dimenticare il dolore... E rischiamo le nostre vite perché è nostro dovere e forse lo avevamo entrambi messo da parte... dimenticato? Chi lo sa...” La voce si mozzò sul finire della frase, un forte calore sembrò arrivare da dentro le mie ossa e non riuscii a evitare un sussulto involontario. Avevo parlato davvero di sentimenti diversi? Volevo davvero un altro bacio da lei…? Sì, assolutamente sì, volevo che mi baciasse perché le facevo girare la testa e non perché avrei potuto tappare i buchi della sua anima.
    “Perché non parli con nessuno?” La sua domanda mi colpì. Mi aspettavo una reazione infervorata e invece, la “streghetta” continuava a stupirvi con il suo candore. Non se ne rendeva conto, ne ero certo, ma il suo sguardo a volte riluceva di una ingenuità pura, tenera, ecco sì, l’avrei baciata in questo stesso istante se… beh, se non fossimo stati in questa dannata situazione.
    “Domanda difficile. Ma visto che siamo in ballo, balliamo. Sono un cattivo ballerino però ti avviso...” Era meglio tornare al nocciolo della questione. Se volevo la sua fiducia avrei dovuto conquistarmela e per qualche arcana ragione, avevo deciso che avrei sfoderato denti e unghie per riuscirci. "Sarò forse egocentrico, ma ho la sensazione che nessuno riuscirebbe a capirmi... oddio, non credo di essere l'unico al mondo ad aver sofferto, ma le mie reazioni non sono mai state 'canoniche', diciamo così... Se non fosse stato per Ezio, mi sarei autodistrutto già decenni fa...” Avevo cominciato a mostrare il fianco, ad aprire una breccia, a sporgermi al di sopra del mio scudo rinforzato, con la speranza di non ricevere una freccia avvelenata in risposta.
    “Capisco... Ezio è una persona importante per te... ecco perché hai voluto partecipare a questa missione... e perché non hai reagito quando ti stava massacrando...” Eccola di nuovo quella espressione spontanea capace di scuotermi fin nel profondo. La guardai inclinare la testa, come a riflettere sulle mie parole e soppesarle bene. “Eri innamorato di Élise e soffri ancora... sono molto romantiche, la tua fedeltà e consacrazione al suo ricordo.”
    Uno stiletto arrivò fino al cuore, ma non fu responsabilità o di Vesta. Era il mio senso di colpa a lacerarmi dall’interno questa volta. Come faceva a ricordare ancora il suo nome? Io stesso non lo pronunciavo da troppo tempo, evitavo di formulare addirittura il suo ricordo per impedirmi di cadere in un abisso da cui non sarei più uscito. Tuttavia, i motivi erano ben diversi da quelli paventati da lei e io avevo deciso che non le avrei mentito, anche se distolsi lo sguardo dai suoi occhi troppo candidi.
    "Non è così romantico soffrire per una donna che non ti ha mai ricambiato alla stessa maniera. E non credo di esserle stato molto fedele con i miei pensieri: l'ho odiata, l'ho incolpata di essersene andata in un modo assurdamente inutile, l'ho maledetta... questo non è amore...” Vomitai quasi quelle confessioni, come se fosse fiele che ti fa marcire dentro e ti lascia spossato, inerme. Dirlo ad alta voce avrebbe dovuto darmi sollievo, lo attesi, ma non arrivò.
    La replica di Vesta giunse dopo qualche secondo pieno, rotondo, calcolato.
    “Io sono una venusiana, l'amore per me è tutto. Ma non può essere un motivo per odiare e farsi del male...” Con un gesto repentino si coprì la bocca con una mano, come se quella verità inossidabile l’avesse colta in fallo, mentre la pronunciava. La tenerezza rischiò di travolgermi. Era così fragile, indifesa, scoperta in quel momento.
    “Parole sante...” mormorai, tornando a guardarla con intensità. Era il messaggio giusto, non sapevo come ma eravamo giunti a un punto cruciale del nostro strano incontro/scontro. “L'amore è rispetto, è dedizione, è passione, se invece sfocia in odio, ossessione, lussuria, beh, è un'altra cosa...” Continuavo a sussurrare, non solo per evitare che i nemici potessero scoprirci, ma soprattutto perché stavamo realizzando verità che assomigliavano a coltelli dalla lama affilata e, in qualche modo, ero certo che non stavano trafiggendo solo me…
    Le lacrime che Vesta tentò di trattenere erano la prova del dolore che stava provando, ma non c’era solo quello, no. Le sue iridi erano liquide e urlavano parole che non riuscivo ancora a interpretare. Poi, tossì appena, per schiarirsi la voce. Aveva bisogno di riprendere il controllo di se stessa ed io… ero d’accordo con lei. Non ero pronto a vedere quelle lacrime scorrere…
    “Come ti senti?”
    Cercai di capirlo, mi mossi con cautela, mettendomi seduto con più facilità di quanto avessi immaginato. Il dolore era un vago sentore ai margini della mia coscienza, mentre con le mani mi tastavo in cerca di punti deboli. Qualcuno ancora c’era, ma non era nulla al confronto di quanto avevo provato fino a poco tempo prima.
    “Molto, molto meglio. Tu? Ti sei stancata tanto?” le chiesi con sincera preoccupazione, mentre le accarezzavo una guancia, senza neppure rendermene conto. Un gesto tanto spontaneo che mi lasciò interdetto. Non feci in tempo a ritrarla, per paura che potesse confonderla ancora di più, che lei la afferrò e vi posò nell’incavo la sua guancia rovente. Sembrò aver bisogno di quel contatto e io forse più di lei, perciò restai lì, dapprima immobile, poi accennai a una carezza più lieve col pollice libero dalla sua stretta. Era così grande la mia mano, prigioniera delle sue dita sottili.
    “No, io sto bene. Tra poco potrò di nuovo usare il mio potere e tornare al livello uno. Non so cosa succederà qui, perché continueranno a cercarci. Spero che i tuoi compagni se la cavino in qualche modo...”
    “Allora riposa più che puoi, qualche altro minuto di tranquillità dovremmo averlo. Poi... portiamo a termine la nostra missione. Facendo la nostra parte, daremo la possibilità agli altri di fare altrettanto. Ezio veglierà su Altair fino al momento in cui tutto sarà risolto...”
    La realtà sembrò travolgermi con tutto il suo tragico bagaglio. La nostra bolla stava per svanire e non ero certo di essere pronto a lasciarla andare… Le feci cenno di avvicinarsi, di sedersi al mio fianco, di appoggiare la testa sulla mia spalla. Doveva riposare il più possibile per riprendere le forze, ma nulla le impediva di farlo vicino a me, con la mano intrecciata alla mia, con il mio respiro a cullarla. Non avevo molto da offrirle, adesso meno del solito, ma il mio supporto non lo avrebbe mai perso… da ora in avanti sarei stato il suo piccolo baluardo. Forse, grazie a Vesta, anche io non mi sarei più perso. Forse anche lei avrebbe potuto essere la mia piccola fortezza… ma erano pensieri troppo ingenui i miei, forse troppo arditi, anzi troppo arroganti. Ma in fondo, cosa costava sperare?
     
    Top
    .
  14.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Vesta:
    Ripresi a respirare quando avvertii che le mie cellule avevano smesso di vibrare per il passaggio nuovamente allo stato fisico. Un peso si sollevò dal mio cuore riconoscendo il piccolo angolo non raggiunto dalle telecamere del livello uno. Massima delle fortune, in quel momento non vi era neanche un'anima viva nelle vicinanze: il presidio e l'allontanamento di intrusi che spettava gli Assassini per tenere sgombro quello spazio aveva sortito l'effetto. Mi girai esultante verso Arno, ma il mio sorriso si spense in un secondo, quando notai che il pallore del suo viso era tornato a essere malsano come poco prima delle mie cure, e cercava di appoggiarsi al muro senza dare l'impressione di farlo.
    Questo particolare mi irritò e mi intenerì nel contempo, perché vedevo un'eco dei miei atteggiamenti testardi, evidenti a chi mi conosceva. Le sue parole mi tornarono alla mente: forse eravamo davvero simili, molto più di quello che avremmo mai confessato con leggerezza.
    Misi da parte il pensiero con l'intenzione di analizzarlo in un momento di maggiore quiete: avevo i miei piani per il dopo missione ben chiari in testa, ma ora dovevo occuparmi del mio compagno, almeno fino a che non lo avessi riconsegnato in buone condizioni ai suoi fratelli. Gli posai una mano sul braccio, faticando a nascondere la mia preoccupazione pur volendolo tranquillizzare: "Arno! Siamo al sicuro e la missione è quasi finita. Almeno per te..."
    Provavo una strana consolazione nel rassicurarlo, come lui aveva fatto numerose volte mentre eravamo intrappolati nel magazzino. Ora mi sentivo io in dovere di ricambiare la premura ma forse, c'era qualcosa che andava oltre la semplice gratutidine.
    "Sì... sì, ma ora tu cosa farai? Hai un passaggio per uscire e raggiungere le tue sorelle in sicurezza?"
    Già! Avevo il dovere di tornare al più presto dalle mie compagne... Le informazioni trasferite sul piccolo dispositivo pesavano in maniera rassicurante nel taschino della giacca. Avrei difeso con la vita quel peso, come avrei dovuto fare, tanti anni prima, con il diario di Elise...
    Il passaggio a cui aveva accennato Arno sarebbe stato lo stesso che mi aveva condotto fin dentro alla prigione, attraverso l'inceneritore. Non sarebbe stato un problema, portarmi dietro anche lui... In qualche modo lo avrei protetto dal calore, avrebbe potuto ottenere prima la sua libertà, magari avremmo potuto passare del tempo insieme, e in più poteva essere una fonte preziosa di informazioni per completare l'ultima parte del piano!
    Ma non erano le disposizioni che mi avevano dato. E poi, non ero davvero sicura che sarei riuscita a proteggerlo dal calore incenerente dell'impianto, o che nelle sue attuali condizione avrebbe superato la sfida di un'ulteriore smaterializzazione. Lo avrei esposto al pericolo inutilmente, e non ero neppure sicura che lui avrebbe accettato di lasciare i suoi compagni indietro, anche se solo temporaneamente.
    Potevo dire di conoscerlo poco, di essere stata spiazzata più e più volte dai suoi gesti, ma la sua estrema lealtà era un tratto davvero evidente in lui. E la avrei accettata, anche se il mio egoismo mi avrebbe spinta a toccarlo per portarlo via con me, fuori da lì. E poi, chissà...
    Inspirai con forza e tirai fuori un sorriso forzato, fintamente allegro, per nascondere il rammarico di doverlo lasciare. "Certo! Ripercorrerò la stessa strada da cui sono arrivata! Andrà tutto bene, e presto potrete tornare liberi... alla vostra vita..."
    Arno annuì convinto, e mi prese le mani tra le sue. "Senza di te, non avremmo avuto neppure questa speranza..."
    "Non è davvero così. Sarebbe intervenuta un'altra sorella. Ma... ti ringrazio..." Tentai di schernirmi.
    "Ma il fato ha voluto che arrivassi tu... Sono felice di averti incontrata di nuovo. Non me lo aspettavo, ma ancora una volta sei stata una sorpresa..." Gettò un'occhiata oltre la mia spalla, verso la sala comune, poi accentuò la stretta. "Questo non è un addio, lo sai vero? Ti ritroverò una volta fuori da qui..."
    Sgranai gli occhi commossa ed emozionata. Il cuore batteva forte come dopo una lunga corsa. Credevo alle sue promesse, stavano diventando più inoppugnabili di tante altre convinzioni. Avevo bisogno di lui per sentirmi davvero tranquilla e al sicuro. Era il porto sicuro nel mare tempestoso della mia vita, dei mei travagli.
    Era un'eventualità che non avevo di certo programmato in quel modo e portava cambiamenti che per ora erano ancora embrionali e non prevedibili, ma la mia voce vibrava energica nel rispondere.
    "Io verrò insieme alle mie compagne per liberarvi. Non mi importa cosa diranno gli Imperatori..." Una nuvola oscura attraversò il mio cuore, al pensiero di quello che mi sarebbe spettato una volta tornata sulla Luna, ma cercai di scacciarla almeno temporaneamente. "Porterò subito le informazioni ad Athena ma tu... voi, mi raccomando, fate attenzione!"
    Lui mi sorrise, e una fossetta incantevole si formò sulla sua guancia. "Tranquilla, ce la caveremo. Ci vediamo presto allora... proprio quando tutto questo inferno sarà finito. Promesso?"
    "Promesso..." Gli sorrisi timidamente di rimando. Poi sciolsi la nostra presa e gli diedi una piccola spinta verso la sala. Sentivo crescere in gola un magone che non avrei trattenuto a lungo, davanti ai suoi occhi color del mare, e non volevo che ci separassimo mentre lui aveva il ricordo di una sciocca singhiozzante, quindi preferii interrompere velocemente l'addio. Odiavo i commiati.
    Lui si avviò verso i suoi compagni, e io lo sbirciai da dietro l'angolo, rimanendo nascosta. Era quasi sparito dalla mia visuale, mescolato insieme agli altri prigionieri, quando si girò all'improvviso, senza dare nell'occhio, e mi regalò un ultimo, sconcertante sorriso.
    (...)
    Ero di nuovo sola.
    Fuggii senza problemi dall'Abstergo, e consegnai immediatamente il frutto della missione alle Guerriere in trepida attesa, ma fuggii anche dal loro quartier generale. Scappai davanti ai ringraziamenti isterici di Aphrodite, e agli occhi lucidi di Pandia quando le raccontai brevemente dell'incontro avuto con il suo Ezio. Non potevo, anche se avrei tanto voluto, rassicurarla o anche solo raccontarle che avevo notato una reazione insolita quando gli avevo parlato di lei.
    Inventai una scusa per defilarmi, ma chiedendo loro di avvisarmi quando sarebbero state pronte per dare inizio al piano di evasione. Avevo fatto una promessa, e intendevo mantenerla.
    Non avevo una meta. Non volevo tornare sulla Luna, non ero ancora pronta ad affrontare le conseguenze delle mie azioni. Avevo ferito mia sorella e disobbedito ad un ordine esplicito degli Imperatori di non scendere sul Pianeta Proibito. Ma più di tutto, non riuscivo a mettere da parte i ricordi sulla missione, su Arno. Il mio cuore, il mio corpo per intero, sentiva la sua mancanza con un'intensità che quasi mi toglieva le forze.
    Così, mi trovai a girovagare per la città, fino a notte fonda. Cominciava a fare freddo, si stava avvicinando qualche festa molto importante, a giudicare dalle decorazioni brillanti e onnipresenti per le strade. Dopo ore di cammino incessante, mi rifugiai in un parco delimitato da una recinzione di ferro battuto. I lampioni illuminavano i piccoli sentieri. Non c'era anima viva, tutti gli abitanti avevano delle case a cui tornare, tranne me. Volevo star da sola con i miei pensieri, le sensazioni e i ricordi. Avevo tanto da elaborare.
    Un'ombra più scura di quelle attorno, in mezzo agli alberi, attirò il mio sguardo. Una sagoma nera pece si avvicinava alla panchina su cui mi ero seduta ed era colossale e minacciosa. Scattai in piedi, colpita da un sospetto orrendo.
    "Stavo aspettando proprio te, non temere! Sono solo venuto ad offriti ciò che desideri... la salvezza..."
    Ebbi l'impulso di attaccare l'entità, prima che potesse farlo per prima, ma l'autorità che emanava e la promessa sottintesa mi fecero vacillare.
    "Tu sei il nostro nemico, non dovrei neanche ascoltarti, ma..."
    "... ma pur sapendo che sarebbe il tuo dovere, stai esitando. Cosa ti trattiene?" Il tono risuonava strano, calmo eppure invitante, cantilenante come nel pronunciare un sortilegio. Rimasi muta a guardare l'elmo che gli copriva anche il volto. Nessuno era mai stato così vicino a quell'essere per raccontarlo. Non sapevo se lo avrei fatto neppure io.
    "Vedo il dubbio nel tuo cuore, ma sono certo che presto si trasformerà in ardore, perché grazie a me, starai meglio"
    "Vuoi curarmi?" Risposi sarcastica. "Ci hanno provato già altri, e nessuno è mai riuscito a farmi diventare quello che non sono mai stata. E solo io so quanto ne ho sofferto. Neanche Cerere ha potuto migliorare il mio stato, perché le sue parole erano inutili quando lei non era con me, e l'immenso disprezzo degli altri mi feriva. Per tutta la vita mi sono sentita umiliata e non voluta..." Mi interruppi, sovrappensiero. "Solo una persona mi ha accettata così come sono, senza dar peso alle mie origini bastarde. Ha dimostrato di tenere a me e mi ha fatto sentire... bella... si chiama Arno..." Mi morsi il labbro, allarmata. Perché sentivo il bisogno di parlare dei miei segreti più intimi e pericolosi con il Dio Oscuro? Avvertivo la sua presenza imperiosa e soffocante.
    "Però hai conosciuto solo la repulsa e l'esclusione. Anche tua sorella ti ha abbandonato, ha lasciato che sprofondassi nel dolore e venissi rinnegata"
    Una rabbia bruciante prese il posto del dolce sentimento che avevo provato al pensiero di Arno.
    "Sì..." Ammisi a denti stretti. Il Dio Oscuro rise piano.
    "Mi voglio assicurare che questo non accada mai più"
    "E perchè mai dovrei fidarmi di te?" Risposi dubbiosa e al contempo speranzosa, senza osare ammettere che esisteva ancora una speranza, riposta nell'angolo più remoto del cuore molto tempo prima.
    Lui non rispose, ma udii un piccolo scatto e l'armatura che lo aveva sempre nascosto lasciò filtrare una luce intensa. Il pezzi che la componevano poco alla volta si aprirono come il coperchio di un sarcofago, e da quel guscio uscì un individuo dalle sembianze splendide, luminose, accecanti. Ero sconcertata e al contempo, estasiata, perché riconobbi subito l'essere che avevo davanti e i dubbi si dissiparono in un secondo, senza lasciare tracce di incertezza e rimorso.
    Mi inginocchiai senza indugio, anche se non me lo aveva chiesto.
    "Che cosa vuoi che faccia?" Sussurrai emozionata.


    Edited by Illiana - 3/12/2020, 11:52
     
    Top
    .
  15.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Ezio:
    Seduto nella cella al livello uno che condividevo con Altair, riflettevo sugli ultimi sviluppi. Uscire vivo da quell'incubo che era l'area segreta, in cui eravamo solo delle cavie che dovevano sopravvivere per diventare dei soldati senza volontà, in certi momenti era sembrato impensabile. Combattere era solo uno spreco di energie, anche per me che non mi ero mai arreso davanti a nulla, anche quando la sfida era ai limiti dell'immaginabile. C'erano stati momenti in cui la pressione e la disperazione pesavano troppo, e avevo temuto di non riuscire a sopportare fino al secondo successivo.
    Poi, la missione per conto del Demone e il suo esito imprevedibile avevano fatto riaffiorare una piccola parte della mia tenacia e del mio coraggio. Sulle prime, pensavo che fosse solo l'ultimo barlume di speranza che mi rimaneva, poi, con il passare delle ore, dei giorni, mi resi conto che si trattava di altro. Il mio corpo stava cambiando, stava tornando sotto il mio controllo. Me ne accorgevo da piccoli indizi, dalla sensazione di poter gestire i pensieri e i ricordi, più chiari e nitidi, ai sogni che avevo ricominciato a fare mentre dormivo. Il più delle volte, invece che sogni, si trattava di incubi, talmente orribili e angoscianti che riecheggiavano quelli che avevano infestato il mio riposo i primi tempi durante la Seconda Guerra Mondiale. Quegli stessi anni, quasi quattro, potevano dirsi un unico, gigantesco incubo, dato che quella realtà si era dissolta improvvisamente e senza ragione, trasportandomi in questo mondo mutato e alterato, ma le esperienze atroci vissute lì avevano lasciato cicatrici reali e brucianti.
    La coscienza inquietante che cercava di annullare la mia coscienza era stata poco alla volta respinta dall'essenza benigna della Staffa. Non mi portava conforto, ma informazioni. Stava eliminando dalle mie cellule il virus deviante, gli organi interni tornavano poco a poco al loro consueto funzionamento. Fino a che, qualche giorno più tardi, mi comunicò di aver completato la sua opera risanante. E mi diede un ultimo ordine: voleva essere riconsegnata alla sua legittima custode.
    Ero di nuovo me stesso, e questa constatazione mi preoccupò per qualche tempo. Sarei riuscito a superare i controlli meticolosi degli scienziati che seguivano gli esperimenti, a ingannarli? Oppure si sarebbero insospettiti del mio stato, eliminandomi dal programma come un'anomalia?
    Questa fu, me ne accorsi presto, una preoccupazione inutile. Da quando Arno e la Guerriera avevano violato, deducevo con successo, il sistema dati dell'Abstergo, i nostri aguzzini sembravano essersi dimenticati di noi. Eravamo rimasti in tre, io, Altair e un'altra persona, che morì orrendamente come tutti gli altri il giorno dopo la mia missione. Rimanevamo solo più noi due delle decine di cavie che erano state utilizzate per il loro progetto agghiacciante, io che mi riprendevo mentre il Mentore che si perdeva ogni giorno di più. Non effettuarono più test su di noi, e una notte, senza preavviso, ci prelevarono e ci riportarono al livello uno. Il piano che stavano preparando le Sailor per aiutarci ad evadere procedeva con buone possibilità.
    La mattina dopo potei rivedere, riabbracciare, rassicurare e informare i miei compagni. Federico innanzitutto. Arno, che si era ripreso egregiamente dalle ferite che gli avevo causato.
    Ci riunimmo e con la nostra consueta effettività aggiornammo le nostre conoscenze. Se il nostro ritorno era un segnale positivo nel quadro generale della situazione, molto meno era la condizione in cui versava Altair. Dopo essere guarito grazie alla One Staff, avevo provato ad aiutarlo, ma senza poter fare niente di concreto.
    La sua condizione era degenerata da un atteggiamento che rasentava la pazzia ad uno che sfiorava lo stato catatonico. Altair non parlava da giorni, sedeva senza quasi muovere un muscolo se non per respirare e aveva lo sguardo fisso e vuoto, che non reagiva a nessuno stimolo. Più che quiete, incuteva terrore. Pareva un automa pronto a risvegliarsi e a seminare morte intorno, come avevo fatto anche io.
    Calcolavo con apprensione il tempo trascorso e avevo la certezza, senza sapere come, che non sarebbe mancato molto prima che si trasformasse in via definitiva nell'essere senza volontà per cui si stavano impegnando i Devianti.
    Per questo timore e per la richiesta della Staffa, raccontai a mio fratello le mie intenzioni pregnanti: avvicinare la Grigia Lin, una ragazzina che aveva dimostrato in passato la sua ribellione cieca e ostinata, e restituirle la Staffa. A condizione però che la usasse per estirpare il gene deleterio dal nostro compagno.
    “Non puoi avvicinarla così, senza che sia preparata, o rischi di vederla sparire in un lampo come un capriolo selvatico. Sono ragazzi subdoli e sospettosi, lo abbiamo constatato a nostre spese... In questo periodo le cose si sono fatte più tranquille e meno complicate, ma basterebbe davvero poco perché precipitino di nuovo. Però lo sai che ho mille risorse, e posso agevolare i tuoi tentativi di convincere quella peste a collaborare!” Federico mi aveva guardato con la solita espressione compiaciuta di quando si trovava in vantaggio e ne era fiero.
    Mi aveva presentato un altro componente dei Grigi, Yulia, la bionda che era in confidenza con il Demone. Avevo notato quanto fosse stata affiatata con il bastardo, e mi irrigidii al pensiero che avrei dovuto affidare a lei una questione rilevante e vitale come l'unica possibilità di salvare Altair da una sorte orribile.
    Incontrandola per la prima volta in un contesto privo di tensioni o di ostilità, mi parve molto meno altezzosa e sprezzante di quello che supponevo. Non mi sfuggì l'affiatamento che passava tra lei e Federico. Conoscevo mio fratello in misura sufficiente da indovinare senza dubbio il motivo dell'improvvisa conversione di una delle nostre spine nel fianco dal momento in cui eravamo stati imprigionati dai Devianti.
    Yulia si dimostrò molto decisa e sicura nello scegliere il momento e il modo di avvicinare la sua compagna, sollecitata da me nel farlo nel più breve tempo possibile.
    "Ezio, sta arrivando. Fai parlare me e poi ti fai avanti, ok?”
    Lo sguardo e la concentrazione erano puntati sulla ragazzina in avvicinamento, sul suo incedere scattante, sulla sua espressione vigile e diffidente. Per la seconda volta, scacciai un moto di nervoso all'idea che la salute di Altair, di una delle persone più sagge e fondamentali per la Confraternita, dipendesse ora dai capricci di una persona che poteva non avere la maturità necessaria per superare i suoi pregiudizi, le opinioni travisate e distorte che quel bastardo di O'Brien le aveva inculcato per i suoi diabolici interessi.
    Oltretutto, i recenti trascorsi mi avevano stremato e sconvolto così profondamente che i segni e le conseguenze mi avrebbe perseguitato ancora per lungo tempo.
    "Certamente. Ma poi lasciaci soli" Preferivo affrontare la ragazza senza che ci fossero influenze esterne che non potevo controllare. Non la conoscevo, così come non conoscevo Yulia. E non intendevo rischiare più del necessario.
    "D'accordo, tranquillo! Vi lascerò la vostra privacy!" Sogghignò lei. La guardai circospetto, tentando di leggere oltre i suoi modi volubili.
    "Che tipo è la tua compagna? Non siete mai stati molto amichevoli con noi, ma lei mi pare quella più irremovibile nelle sue idee..."
    "Non ti posso nascondere che è una tipa testarda e quando crede in qualcosa va avanti per la sua strada come un ariete. Ma ho avuto modo di parlare con lei... e le ho spiegato parecchie cose" Fece una breve pausa per prendere fiato. "Anche se questo non ci da la certezza che accetterà la tua richiesta! Ci dobbiamo comunque provare!"
    "Ci dobbiamo riuscire! Non si tratta di giochini e rivalità trascurabili. E scusa se non ho molta pazienza..." Sbuffai ironico. Anche se ero stanco, contrariato e preoccupato, la mia usuale ironia si ripresentava spontanea. Questa, nonostante i guai e le difficoltà che c'erano, era una buona notizia.
    "Posso capire come ti senti! E comprendo la tua fretta, ma dobbiamo fare le cose in un certo modo, altrimenti rischiamo di mandare all'aria tutto." Mi mise una mano sul braccio, nel tentativo di consolarmi. "Devi tenere duro! Ce la faremo!"
    Ma io non avevo bisogno di essere rassicurato. Volevo solo portare a termine il mio obiettivo. "Eccola che arriva" La avvisai con fermezza.
    La ragazzina, Lin, aveva un'espressione imbronciata come se fosse l'unica che riusciva a mostrare. Mi domandai se davvero era sempre stata così scostante, anche prima di finire qua dentro.
    "Di cosa volevi parlarmi? E perché proprio qui? La sua voce era quasi un ringhio sommesso. Si guardava intorno appunto come un animale che fiuta la trappola. E quella trappola ero io. Quando mi scorse, fece per reagire indispettita, ma Yulia la anticipò, mettendole le mani sulle spalle.
    "Ascoltami bene. Non è un'imboscata" Lin sorrise acida. "E cosa sarebbe altrimenti?" Yulia cercò di calmarla parlando con enfasi e determinazione. "Ti vuole parlare di una cosa importante.. è una questione di vita o di morte, lo capisci?"
    Lin si liberò dal tentativo di Yulia con uno strattone. Si vedeva benissimo quanto si sentisse minacciata, ma dopo qualche secondo di tensione, si arrese. "Lo faccio solo per te..." Tenne a sottolineare alla sua compagna. Poi mi guardò: "Sentiamo... cosa hai da dirmi?"
    Mi feci avanti lentamente. Volevo rassicurarla o meglio, rabbonirla.
    "Era l'unico modo per poterti avvicinare. Non avresti accettato, se avessi saputo che ci sarebbe stato uno di noi. Mi dispiace di averti preso alla sprovvista, ma era necessario"
    La ragazza continuava a guardarmi con ostilità, di sottecchi. Non mi avrebbe risposto di sua spontanea volontà, ma grazie a Yulia l'obiettivo era centrato.
    "Vero, era l'unico modo...” Rimase qualche istante a studiarmi. “Perché hai voluto incontrarmi?" Sputò alla fine.
    Sorrisi in maniera accennata. Sentivo che grazie alla mia alleata avevo aggirato, anche se in maniera molto fragile, il suo scetticismo. Ora dipendeva tutto da me. "Ho qualcosa che so essere tuo, e vorrei restituirtelo"
    Lin sorrise strafottente, mostrando apertamente la sua incredulità. "Cosa potresti mai avere tu di mio?"
    Non esitai nella risposta, e la guardai fissa negli occhi, per dimostrarle la mia sincerità. "La One Staff. So che ti è stata sottratta quando sei stata catturata dai Devianti, che la hanno utilizzata per... fare esperimenti..."
    Fui soddisfatto nel vederla sgranare gli occhi. Per la prima volta, riuscivo a leggere con facilità le sue emozioni: c'era chiaramente lo stupore, ma poi vidi anche gioia mischiata a rabbia e disprezzo.
    "Sei in possesso della One Staff? Come hai fatto? Come sai queste cose sui Devianti?" La sua reticenza si era come volatilizzata.
    Sollevai un sopracciglio, fintamente sorpreso. "Oh, adesso ho la tua attenzione?"
    "Hai la mia attenzione, ma voglio delle prove!" Sbottò lei.
    "E le avrai. Ma a te chiedo di aiutarmi, perché non sono qui esclusivamente per te! Lo farai?" La mia voce si era fatta dura e seria, mitigata solo dal sorriso che continuavo a mostrare. Volevo che capisse che non ero lì per darle solo delle buone notizie o dei regali gratuiti.
    "Prima di darti una risposta, credo che dovresti darmi qualche informazione in più non pensi? Ti basta sapere che sono qui ad ascoltarti, e anche con un certo interesse, visto ciò che mi hai rivelato poco fa..."
    Piccola ragazzina ostinata!
    Però la mia espressione si fece palesemente soddisfatta. Gettai un'occhiata veloce alla mia complice, chiedendole silenziosamente di mantenere la promessa e di lasciarci da soli. "Sono d'accordo! Dimmi cosa vuoi sapere"
     
    Top
    .
15 replies since 7/10/2020, 14:30   290 views
  Share  
.