Present Day #2020: 7 Years Into the Future

Season 5

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Selene:
    Dovevo rischiare tutto quello che avevo. I sacrifici sarebbero stati ben accetti, per ottenere l'esito che mi ossessionava da settimane intere. Salvare la vita di Endymion. Del padre delle mie figlie, ma più importante di ogni altra cosa, dell'amore della mia vita.
    E mi sentivo straziare intimamente osservando il tempo che scorreva via senza che fossi riuscita a cambiare in alcun modo il futuro agghiacciante che conoscevo, ormai così imminente.
    Avevo analizzato la visione molto spesso, anche più volte al giorno, riuscivo ad attraversarla senza alcun aiuto, da sola, ma il finale era sempre il medesimo. Le mie azioni, quello sì, cambiavano lievemente le circostanze, o le persone presenti, ma mai in maniera significativa. La differenza primaria era la mancanza di Horus, che non aveva più il ruolo di evocare il Dio Oscuro. Questo arrivava senza il bisogno di essere chiamato, perché ora era... libero.
    Impazzivo a questo pensiero. Se avessi giustiziato il Compagno Alato del Generale, le probabilità di cambiare a nostro favore il risultato sarebbero state maggiori, e invece mi ero fatta commuovere e convincere da Toth a risparmiare la donna. Per la mia debolezza, avevo cancellato una delle poche opportunità di salvare Endymion. Scossi la testa disgustata, scacciando i rimorsi. Ora era tardi.
    Mi stavo dirigendo verso il laboratorio, dove le Guerriere si riunivano per pianificare le loro strategie. Avrei dovuto partecipare anche io, ora che il ruolo di comando dell'Impero mi era stato tolto dalle spalle, ma preferivo agire da sola davanti a questa insidia; non volevo condividere con le mie compagne il tormento del mio cuore. Era preferibile che loro si concentrassero sul modo di sconfiggere il nostro nemico cercando di raccogliere indizi o svelare trame nascoste, cosicché avremmo potuto avere più possibilità di sconfiggerlo.
    Ero lì perché avevo di nuovo bisogno di Partenope: volevo modificare la percezione per ottenere qualcosa di più.
    La trovai da sola, fuori dall'edificio. Sembrava spossata e scossa. Sobbalzò al vedermi, ma non avevo nessuna intenzione di approfondire la motivazione. Il tempo era poco, e andai subito al punto cruciale: “Partenope, ho bisogno del tuo aiuto. Devo accedere di nuovo alla visione, ma questa volta voglio riuscire a controllare il suo manifestarsi. Voglio andare ancora più in là nel futuro, nella speranza di raccogliere informazioni più vantaggiose sul nostro nemico, sui suoi progetti e sui punti deboli che potremmo sfruttare...”
    Partenope scosse la testa, agitata: “Sai quanto sia pericoloso! Hai già rischiato di non riuscire a controllare il tuo dono ma... quello che hai in mente... è follia!”
    Aggrottai la fronte: “E' un rischio che voglio correre io, in prima persona. Tu devi solo guidarmi come hai fatto la prima volta!”
    Lei strinse le labbra. Da dentro il laboratorio, udii arrivare delle persone. Mi irrigidii, perché non desideravo che altri conoscessero i miei piani. Anche Partenope sembrò allarmarsi; mi poggiò una mano sul braccio ed esclamò: ”Parliamone in un posto più tranquillo, vuoi?” Annuii, sollevata.
    Raggiungemmo il mio salotto privato, lo stesso luogo in cui avevamo fatto il primo esperimento. Durante il tragitto, non scambiammo una parola, entrambe sprofondate nelle reciproche preoccupazioni. Quando fummo tranquille che nessuno sarebbe venuto a disturbarci, lei sospirò affranta. “Non sono d'accordo, come...”
    La interruppi esasperata. Se esisteva un'eventualità di fermare la tragedia che stava per colpirci, niente era eccessivo! Non di certo stupide precauzioni!
    “Ora basta, Partenope! Tu farai esattamente come ti ho chiesto. Perché c'è troppo in gioco, e ognuno di noi farà il possibile per contribuire alla sconfitta del nemico! Se mi spingo in un futuro più lontano con la tua guida, se riesco a superare i limiti del mio potere, ne beneficeremo tutti. Quindi, finiamola con i timori e i rifiuti. Mi aiuterai, di tua spontanea volontà o meno!”
    Era un ordine, e il mio tono non ammetteva repliche. Lei mi guardò di sottecchi, dubbiosa, ma poi si arrese.
    Respirai a fondo e mi concentrai secondo la procedura personale per accedere al potere. In un battito di ciglia mi ritrovai nella consueta visione, con la voce della mia compagna che mi accompagnava melodiosa: muovermi a mio piacimento risultò meno difficile, e provai una fiducia e una risolutezza che mi riscaldarono il cuore rattrappito dalle paure.
    Udii Partenope indicarmi una porta in fondo al corridoio oltre la sala del trono. Questa ala del Palazzo non faceva parte della visione e tanto meno la porta. Era il mio scopo: uscire dalla scena attuale per raggiungere il varco temporale che mi facesse viaggiare ancora più nel futuro. Quando imboccai il corridoio, provai la sensazione di scivolare, di camminare su un piano inclinato, ma proseguii, senza timori. Arrivata alla porta, facevo fatica a rimanere in equilibrio, tanto che mi sembrava di aver disceso una china paurosa, anche se il corridoio era fermo e immutato.
    Spinsi il battente, esitante. In quel momento, venni afferrata e sospinta violentemente verso l'interno, come se un vento fortissimo mi soffiasse alle spalle e mi scaraventasse avanti. La voce di Partenope si smarrì in mezzo al fragore, e persi il contatto con lei. Tremavo in ogni fibra del corpo. Avevo chiuso gli occhi, ed ero terrorizzata di riaprirli, quando avvertii di nuovo il pavimento liscio sotto i piedi.
    Mi riscossi dallo spavento udendo dei passi in lontananza. Mi guardai intorno, atterrita. Premetti la mano sulla bocca per fermare l'urlo di terrore che stava per scatenarsi, per spezzare in tanti pezzi il mio cuore.
    Avrei dovuto ascoltare Partenope.
    La chiamai, quando recuperai il controllo della mia voce, ma il suo nome rimbalzò, incomprensibilmente, sulle volte del palazzo. Su quello che ne rimaneva, almeno. Riconoscevo il luogo, era quello che avevo appena lasciato ma tutto era rovina.
    Avevo l'insopportabile sensazione di rivivere un ricordo, piuttosto che vedere il futuro: la memoria di quando, nella mia vita precedente, l'Impero Galattico e tutti i suoi pianeti erano stati annientati dalla potenza vendicativa di Eris. Il suo attacco aveva lasciato solo rovine inabitate, le stesse che avevo adesso di fronte a me.
    Però mi sbagliavo... non era tutto disabitato, lo dimostravano i passi che si stavano avvicinando. Andai incontro a quel richiamo, curiosa e trepidante insieme.
    Chi avrei visto? E sarei riuscita a capire chi aveva causato la distruzione che imperava? Poco alla volta, distinsi tra le ombre una figura alta, dal portamento risoluto. I tratti del viso mi erano noti, anche se le rughe e i segni che lo marcavano testimoniavano una tragedia immensa. Il Gran Maestro Kenway si dirigeva nella mia direzione, e mi sentii mancare quando i suoi occhi, due buchi di oscurità, si portarono su di me. Feci un passo indietro, con l'assurda paura che mi potesse vedere. Ma era impossibile! Nelle visioni, io ero un fantasma intangibile per gli altri, uno spettro che non lasciava traccia alcuna.
    Eppure, Haytham si fermò davanti a me. L'espressione sul suo viso era atroce, tanto dolore manifestava.
    I suoi occhi mi vedevano.
    Non ero invisibile.
    Facevo parte della visione.
    Mi tremarono le gambe. Repressi un lamento di orrore.
    Il Gran Maestro continuava a fissarmi con attenzione, poi mi domandò brusco, abbandonando la formalità e il rispetto che aveva da sempre caratterizzato il nostro rapporto: “Sei qui per conoscere il futuro, vero? Per sapere cosa ci potrà salvare?”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 14/11/2020, 11:09
     
    Top
    .
  2.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Haytham:
    “Sei qui per conoscere il futuro, vero? Per sapere cosa ci potrà salvare?”
    Avevo dovuto chiederlo, per me era importante instaurare un rapporto di reciproca fiducia, avrei dovuto mostrarle un futuro difficilissimo da accettare. Il compito che mi era stato affidato dal Fato non era semplice, anzi bruciava sulla pelle come acido. Era doloroso anche solo il guadarsi attorno, fare da cicerone per le strade desolate del Regno non avrebbe fatto altro che riaprire ferite profonde. Ferite che tenevo nascoste in un angolo remoto sotto la superficie della mia anima. Non potevo lasciarle venire allo scoperto, avevo una persona a me cara che dovevo proteggere a ogni costo da ulteriori traumi. Dovevo essere forte per lei.
    La mia domanda sconvolse la Principessa Selene, doveva metabolizzare il fatto che poteva – forse per la prima volta in assoluto – interagire con qualcuno all’interno di una visione. La vidi indietreggiare, passo dopo passo, fino a urtare con la schiena una parete di granito, un tempo ricoperto da finissimo cristallo. Quel colpo la riportò bruscamente nella nostra realtà. Mi si avvicinò di nuovo, questa volta trepidante: doveva andare avanti, non aveva alternative.
    “Come fai a saperlo?” La sua voce tremante non riuscì ad arrivare fino al mio cuore. Quello era freddo, in apparenza immobile, e tale doveva restare.
    “Sapevo che saresti venuta. Ti stavo aspettando. Hai bisogno di informazioni importanti, ma soprattutto di capire...”
    La confusione regnava sovrana sul volto di Selene, mentre cercavo di darle il tempo necessario a prendere coscienza di ciò che le mie parole presagivano. La pazienza era sempre stata una delle mie pochissime virtù, il fatto di averla utilizzata per scopi non sempre magnanimi adesso mi si ritorceva contro. Una sorta di fregola cominciava a scintillare dentro di me, ma repressi.
    “Come è possibile? Niente ha senso... qui. E tu chi sei, davvero?”
    “Il senso è tutto qui.” Con un gesto ampio del braccio indicai tutto ciò che ci circondava, una desolazione che narrava di dolore, sconforto, perdita, abbandono. “Sono passati sette anni dal tuo presente e, come vedi, questa è la condizione del tuo Impero, dell'Impero che ho servito con onore... Sono io, Haytham Kenway, un tempo Gran Maestro Templare, adesso guardiano di un Impero in rovina…”
    Presentarmi mi parve quasi superfluo, ma le parole erano uscite spontanee, come se un mantra innato si fosse fuso alle mie corde vocali, dando vita alle rivelazioni di cui la Principessa era affamata.
    “Quindi tutto quello che abbiamo fatto, i tentativi di impedire al Dio Oscuro di abbattersi su di noi, non sono serviti a nulla...”
    I ricordi tentarono di travolgermi e affondarmi. Fiamme, pelle bruciata, lacrime asciugate troppo in fretta, dolore, immenso dolore. Scossi il capo con forza, mentre una ruga di apprensione mi si era formata sulla fronte. Cercai di scacciare anche quella, non serviva ai miei scopi, agli scopi del destino. Strinsi i denti fino a farli scricchiolare prima di schiarirmi la voce e rispondere.
    “È stato tutto inutile. L'abbiamo sconfitto, ma troppo tardi e pagando un prezzo di sangue incommensurabile…” Frenai le parole successive, avrebbero spezzato, scavato, sconvolto oltremisura. Trattenere sotto la superficie lo sconforto stava risultando più difficile del previsto e la stretta di Selene sul mio braccio rischiò di mandare in frantumi la mia maschera.
    Una stretta che aveva mille significati: tentava di aggrapparsi per non cadere; scuotermi per dirle di più; toccarmi per rendersi ancora di più conto di quanto fossi reale.
    “Cosa è accaduto? Il Dio ci ha attaccato? E quando? Cosa ne è stato degli altri?”
    Respirai piano, a fondo, nel tentativo di riportare il battito del cuore al suo normale battito, ma pareva un’impresa epica. Non mi scostai dalla sua presa, lasciai che si aggrappasse, mi scuotesse, mi toccasse, percepivo questa sua necessità quasi fisica provenire da una delusione cocente.
    Non avevo intenzione di consolarla, ma dovevo prepararla a ciò che sarebbe accaduto. Lo meritava? Sì, in fondo non era ancora la Selene del mio tempo, meritava una possibilità, era qui per questo e io non l’avrei illusa…
    “Sarà un viaggio lungo, Selene, e ciò che scoprirai lascerà una ferita profonda dentro di te. Ma è necessario, tutto questo lo è... Seguimi!”
    Presi la via della Strada Maestra, precedendola lungo un percorso che sapevo già l’avrebbe trascinata verso un baratro infinito. Ci ero passato già, avevo camminato lungo i bordi dell’abisso, ci avevo guardato dentro, per poi precipitare al suo interno senza alcuna possibilità di riscatto.
    Camminammo a pochi passi di distanza, mentre di sottecchi notavo Selene osservarsi attorno. I suoi occhi chiari esprimevano orrore puro, una mano costantemente portata alla bocca, quasi volesse impedirsi di urlare per lo sgomento. E no, non l’avrei biasimata. Stavamo attraversando un inferno costellato da ricordi dolorosi per me e da timori assurdamente attuali per lei.
    Dovevo raccontarle “la storia”, perciò allontanai lo sconforto e rafforzai la mia maschera di cera, sfingea e impenetrabile. O forse no?
    “Dopo la distruzione causata dal Dio Oscuro, tutto è andato a rotoli. La Guerriera Vesta ha ceduto al lato oscuro, è stata divorata dalla sua ira e ha dimenticato tutti i valori in cui ha sempre creduto. È stata un burattino perfetto per il Dio Oscuro, un'arma micidiale in forma di Drago. Da allora, non è più tornata in forma di umana.” Deglutii a fatica, un improvviso groppo in gola mi impediva di continuare. Eravamo immobili, l’uno accanto all’altra, di fronte al Palazzo Reale in rovina. Mi costrinsi a riprendere il racconto, ma le parole uscirono fuori come pezzi di vetro taglienti. “Cerere ne è rimasta devastata...” Lo specchio bellissimo che era la nostra storia d’amore si era infranto e tutti i suoi cocci adesso erano nella mia gola, ferita, sanguinante.
    L’orrore che scorsi sul volto di Selene non mi aiutò affatto a rimettere insieme quei dannati pezzi.
    “Cosa è successo a Cerere? E le altre Guerriere, cosa hanno fatto?”
    Non ebbi il coraggio di guardarla, tenevo gli occhi fissi sulla facciata degradata del Palazzo. Mi obbligai ad allontanarmi da lì, col cuore e l’anima. Lasciai al fianco di Selene un riflesso di me e continuai a parlare come se stessi raccontando la storia di qualcun altro, le sorti di gente sconosciuta, l’epilogo di un Impero di fantasia.
    “Cerere ha perso il senno, Partenope e Iuventas hanno sofferto molto per la perdita delle sorelle, anche se in modi diversi. Adesso sono a guardia della cella in cui abbiamo richiuso Vesta e cercano di non perdersi a loro volta. È alienante poter solo guardare la decadenza altrui, ci si sente impotenti, inutili...” E non mi riferivo solo a ciò che le baby guerriere stavano passando. Quella stessa impotenza alienante la vivevo ogni giorno anche io, strisciava subdola dentro le vene, fino ad avvelenarmi il sangue. Cerere aveva bisogno di me, ma io non ero in grado di fare nulla per aiutarla, riportarle il sorriso sulle sue meravigliose labbra e un barlume di calore sulla sua pelle gelida.
    Mi voltai a guardare Selene: stava cercando di trattenere le lacrime, di essere forte, sapeva bene che per “sapere” doveva resistere ai colpi del suo impietoso futuro.
    “Che cosa è successo a tutti gli altri? Agli Imperatori, alle altre Guerriere... a Endymion e a... me?”
    Il mio sguardo divenne ancora più freddo, ogni traccia residua di compassione sembrava essersi volatilizzata. La scintilla della fregola parve, invece, prendere vigore. La tenni di nuovo a freno. Mi morsi con forza il labbro inferiore, fino a sentire il sapore del sangue, prima di rispondere.
    “Qui non c'è più nessun altro, Selene. Solo pochi di noi sono rimasti e per una sola ragione: un caro di cui prenderci cura. È come se fossimo anche noi dei prigionieri... C'è un unico modo per avere risposta alle tue domande: parlare con te stessa.”
    “Quindi io sono rimasta... qui? In questa desolazione... non ho più nessuno di cui prendermi cura?”
    La fregola si trasformò in un piccolo incendio e non bastò il sapore ferroso sul palato a frenarmi questa volta.
    “Non hai voluto più prenderti cura di nessuno... Hai abbandonato tutto e tutti. Il tuo ruolo di Guerriera, i tuoi cari, persino te stessa. Vivi nella più completa solitudine, crogiolandoti nel tuo dolore...” Mi ritrovai a serrare i pugni in prese di acciaio, il biasimo traboccava da ogni sillaba. I miei occhi apparivano sempre più simili a pugnali affilati, mentre quelli di lei si sgranavano per la sorpresa, l’incredulità, dopodiché si ritrovò a scuotere con forza la testa in segno di negazione.
    “Ciò che dici non può essere vero. Non si avvererà, io ho sempre combattuto per difendere chi amo e chi è sotto la mia responsabilità. Come puoi essere così crudele?”
    Il piccolo incendio minacciava di diventare una malvagia inondazione di lava, ma tentai di ricordare che la Selene che avevo davanti non era la mia, non era la mia, non era la mia. Anche se avrei voluto urlarle contro tutta la mia riprovazione, mi trattenni ancora una volta, compiendo uno sforzo sovrumano.
    “Sei stata tu quella crudele, Selene. O meglio, lo sarai nel tuo futuro. Questo è il risultato delle tue azioni. Ti sei arresa al dolore e ci hai portati tutti con te... nel tuo baratro! Ma se non mi credi, se mi ritieni così crudele, vai... vai a conoscere te stessa!” Le indicai l’entrata cadente del suo Palazzo. Là dentro avrebbe trovato molte delle risposte che bramava, io l’avrei attesa qui, in attesa di procedere con il nostro sventurato viaggio.
     
    Top
    .
  3.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Selene:
    Sentivo che la devastazione intorno a me stava entrandomi dentro. Avvertivo un gran vuoto nel petto, una desolazione che avevo già provato in vita mia e che mi aveva segnato per sempre. Quella distruzione, come questa, mi aveva strappato via la vita come la conoscevo, le persone che amavo, tutto quello che possedevo.
    Mi diressi senza incertezza verso le mie stanze, trovando spesso ostacoli che non riuscivo a superare se non aggirandoli: scale crollate, cumuli di macerie che ostruivano il passaggio, pavimenti mancanti.
    La catastrofe aveva imperversato in un momento imprecisato del futuro, il mio futuro, senza che nessuno fosse poi intervenuto in seguito per rimediare e per ricostruire.
    Come, come potevano vivere delle persone in mezzo a queste rovine?
    La mia anima era sconvolta, annichilita dal dolore che mi crollava addosso ogni secondo, che veniva testimoniato da tutto ciò su cui si posavano i miei occhi. E non avevo il tempo né la forza di indagare su un altro fatto pressante, se non addirittura vitale: l'enigma della mia presenza concreta all'interno della visione, l'anomalia impossibile di essere reale davanti a chi non apparteneva al mio tempo.
    La porta dei miei appartamenti era chiusa, a differenza di altre che cadevano a pezzi o si notava che non erano utilizzate da molto tempo. Spinsi a fatica il battente. Non mi ritrovai nel mio alloggio, ma in una stanza che assomigliava ad un antro di una fiera. Buia, soffocante, piena di oggetti sparsi alla rinfusa, simile più a un magazzino che a un luogo dove abitare.
    Avrei provato dolore nel paragonare le due realtà, ma ormai il mio cuore non era più in grado di accoglierne altro senza fermarsi per sempre.
    Entrai e procedetti verso le finestre oscurate da tende che non lasciavano passare né luce né aria. Davanti a queste c'erano delle poltrone imbottite, dove nei momenti liberi Endymion e io amavamo osservare lo scenario magico che offriva l'orizzonte lunare. Quelle poltrone erano le uniche cose rimaste uguali, e su una di quelle stava seduta una persona.
    La me stessa del futuro.
    Non riuscii quasi a sopportare l'orrore che provai nell'osservarmi.
    Per qualche secondo, temetti più di tutto di avere davanti un manichino grottesco, con la testa inclinata e lo sguardo spento. Poi quel manichino si mosse appena, girando gli occhi orribili su di me. Rimasi immobile a guardarla, senza riuscire a credere che quella persona ero io, lo sarei diventata se non avessi modificato il mio destino.
    L'essere fece una smorfia, quando mi riconobbe, qualche secondo dopo. La sua mente era lenta, incerta, lontana, come se si fosse rifugiata in un luogo inaccessibile per non dover accettare la realtà.
    Il confronto tra me e lei era impossibile da sostenere. Non rimaneva nulla della percezione che avevo di me stessa, in quella povera derelitta. La sua mente vagava chissà dove, in preda a chissà quali allucinazioni, sentieri immaginari e ingannevoli.
    Nella poca luce, distinsi profonde rughe sul suo viso, e notai l'eccessiva magrezza delle sue braccia, che si perdevano dentro le maniche di seta del mio... abito da sposa. Forse fu quello il particolare che più mi impressionò. L'abito che indossava era quello sfarzoso con cui mi ero unita per la vita all'uomo che amavo in maniera sconfinata. Il vestito era tempestato di gemme rilucenti e veli impalpabili e iridescenti, che ora pendevano strappati e appesantiti dallo sporco. Il tessuto era macchiato e sciupato da un lungo e ininterrotto utilizzo: lei lo aveva indossato a lungo, senza mai toglierlo. Era una prova evidente di quanto oramai si fosse rifugiata nei desideri che la proteggevano da ogni ricordo spiacevole.
    Haytham aveva ragione. Nessuna persona in quelle condizioni avrebbe potuto prendersi cura di nessuno, neanche di se stessa.
    Tremai al pensiero del dolore che aveva sopportato prima di raggiungere l'agognato oblio. Avrei dovuto affrontarlo anche io, se non mi fossi battuta con determinazione contro il Dio Oscuro.
    “Perché sei qui? Perché sei venuta a disturbarmi, a ricordarmi tutto quello che ho perso?”
    ”Perché voglio evitare che accada!” Ero stupita dalla domanda, convinta che fosse evidente lo scopo della mia presenza. Lei, invece, rise quasi con disprezzo.
    ”Certo, certo! Ricordo che fino all'ultimo ho sperato di poter impedire il futuro. Ma Theia ha ragione, non è possibile farlo...”
    ”Vuoi dire che dovrei rinunciare? Pur sapendo cosa sarà?” La interruppi con foga, ma lei continuò a parlare, come se non mi avesse udita.
    “...e mentre ti dibatti nel respingere l'inevitabile, perdi solo tempo prezioso!”
    ”Non è inutile quello che faccio! La visione cambia ogni volta che agisco, quindi sono sicura che ce la farò! Perché sarei qui, altrimenti?”
    La donna mi lanciò un'occhiata di compatimento.
    “Sei un'illusa, e te ne renderai conto quando sarà troppo tardi. Rimpiangerai ciò che hai sprecato, quindi dammi retta, se lui è ancora vivo, torna indietro a fai tesoro del tempo che vi resta insieme, così quando sarai qui, al mio posto, questi ricordi riusciranno a non rendere così amara e insopportabile la consapevolezza del passato. Non puoi salvarlo!”
    Mi avvicinai a lei con impeto. Constatare quanto sarei diventata debole e rinunciataria mi aveva acceso nel profondo un fuoco intenso.
    “Ma perché non vuoi aiutarmi? Aiuteresti anche te stessa! Il Dio Oscuro si è liberato, e ci attaccherà a breve! Non capisci che se sapessi di più su di lui, avremmo modo di sconfiggerlo prima che compia la sua nemesi?”
    “Non vedo come posso aiutarti, se non dipingendoti un quadro che non aggiungerebbe nulla a quanto hai già visto, arrivando qui da me! Il nostro nemico venne sconfitto quando io avevo già perso mio marito, quando la mia vita si era già trasformata in un deserto inospitale e dolente...”
    “Puoi fare molto, invece! Puoi dirmi chi davvero si nasconde dietro la maschera del nostro nemico! Sarebbe una possibilità eccezionale per poterlo sconfiggere prima che avvenga la nostra tragedia!”
    “Vai via! La tua ottusità mi infastidisce! Non è così semplice come credi!” Si stava agitando e compresi che le mie possibilità di convincerla erano prossime ad esaurirsi.
    “Sei davvero pazza come penso! Dimmelo! Aiutami a salvare colui che amo con ogni mio grammo di volontà! Lo ami anche tu!”
    “Non lo so! Non conosco la sua identità!”
    Per una frazione di secondo, la rabbia che serbavo si manifestò anche nel suo sguardo, che si accese di un furore molto familiare. Alzò una mano per allontanarmi. Aveva sempre tenuto le braccia strette al busto, come se avesse freddo, ma quando si mosse, mi resi conto che la motivazione era diversa. Quando lasciò andare l'altro braccio, vidi che la mano che spuntava era contratta, paralizzata. Assomigliava alla zampa di un uccello. Poi, desolata e sfinita, si appoggiò di nuovo allo schienale della poltrona, tornando a cullare il braccio inerte. Chiuse gli occhi, e col suo silenzio eresse una barriera che non sarei riuscita a superare.
    Non volevo neanche farlo. L'ultima mia speranza si era infranta. Se neanche la mia versione del futuro poteva aiutarmi, forse dovevo seguire il suo consiglio e tornare dal mio amore per rendere meno dura e straziante la separazione.
    Lasciai quella tomba senza dire una parola.
     
    Top
    .
  4.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Haytham:
    L’attesa non fu semplice, nel mio petto infuriavano emozioni di ogni tipo, dalla frustrazione al dolore, dalla malinconia alla rabbia. Non sapevo a quale abbandonarmi e già questo, per me, era un cambiamento importante. Ero sempre stato abituato all’equilibrio, a camminare lungo la striscia bianca senza perdermi o deviare dal percorso. Persino quando io e Cerere abbiamo iniziato la nostra storia, il dovere ci ha sempre animato, costringendoci a votarci prima di tutto alla Ragion di Stato e solo in seconda battuta al nostro amore. Me ne ero pentito? Sì, tanto, infinitamente. Se l’avessi amata di più, se le avessi dedicato più tempo, se avessi sfruttato ogni secondo a disposizione per costruire qualcosa di solido, forse… forse… non vivrei di rimpianti e il cuore sarebbe più leggero. Ma erano solo “forse” che, insieme ai “se”, erano capaci di consumare un’anima.
    Le mie elucubrazioni furono interrotte dall’improvvisa comparsa di Selene. Il suo volto era una maschera di cera, esangue, mentre la sua espressione pareva vacua. Non bisognava essere brillanti per intuire che l’esito dell’incontro non era stato positivo. Ciò nonostante, dovevo verificare. Sentivo di avere un compito da svolgere, un compito che avrebbe potuto cancellare questo mio presente da incubo, ero forse troppo arrogante a sperare in un miracolo simile? Di una cosa però ero certo: Selene rappresentava la “nostra” salvezza, la salvezza di tutto l’Impero.
    Mi parai di fronte a lei, sbarrandole il passo.
    “Hai trovato ciò che stavi cercando?” La mia voce era decisa, le parole scivolarono fuori fluide nonostante il lungo silenzio.
    “Non ho trovato risposte, ma solo motivi per temere il futuro...”
    Era sul punto di crollare, ma mi trattenni dal sostenerla. Era il momento di tenerla ancorata alla mia realtà, senza di lei ogni possibilità di riscatto sarebbe andata persa.
    “Allora, ormai sai a cosa stai andando incontro. Sei qui, potresti provare a cambiare le cose, potresti aiutare te stessa a tornare quella di un tempo, o quasi. Qui non si può continuare così...”
    “ Cosa potrei fare? Raccogliere i cocci di qualcosa che è già andato in frantumi? Non posso fare nulla, né qui né nel passato, perché sembra già tutto scritto! La donna che ho incontrato lì dentro è...” Il respiro le si mozzò in gola, e il mio col suo. "Devo tornare indietro. Quando mi risveglierò, dovrò pensare a come prepararmi a ciò che arriverà...”
    No, non potevo permettere che gettasse la spugna così. Avevo ritrovato la mia proverbiale calma, era sempre così quando focalizzavo un obiettivo da raggiungere. Freddo, sicuro, implacabile, perseguivo i miei scopi. Avevo sempre lottato per un bene superiore, questa volta lottavo per un bene che andava al di là di ogni limite. Non doveva finire in un modo tanto infelice… nessuno di noi meritava quanto ci era accaduto, nessuno, men che meno la mia Cerere.
    “Prima di arrenderti anche nel tuo tempo, prima di iniziare a trasformati in ciò che poi sei diventata. Devi conoscere tutti i dettagli della prigione che ormai ci divora, giorno dopo giorno. Ascolta e poi decidi... non c'è di mezzo solo la tua felicità, ma il destino di tutto l'Impero Lunare...”
    Selene arretrò, allontanandosi da me, pronta a scoppiare in un pianto che sapeva di sconfitta e disperazione. Poi, mi voltò le spalle, come a chiudermi fuori dall’universo di sofferenza che la stava prosciugando.
    "Cosa mi servirebbe sapere di più su questo orribile futuro? Non basta già lo strazio che sto provando? Vuoi punirmi per quello che farò e vedermi annichilita dal dolore?”
    “Davvero sei convinta che non ci sia alcuna speranza? Perché pensi di essere qui?!”
    A quel punto le parlai come si fa con un bambino che si rifiuta di ascoltare, di capire. La mia voce era più morbida, il mio atteggiamento più pacato, il mio animo più placido dei primissimi momenti in cui l’avevo incontrata. Mi sentivo quasi un novello Virgilio… Cerere avrebbe sorriso di questa mia sensazione. Le andai di fronte, vidi le sue braccia stringere con forza il busto sottile e tremante, mentre le sue palpebre erano serrate con forza. Mi feci coraggio, dovevo averne io per primo per poterlo infondere in lei, poi le strinsi le spalle in una presa confortante. Doveva fidarsi di me.
    “Non puoi tornare, non ora. Dobbiamo continuare il viaggio...”
    Selene aprì gli occhi ma non mi guardò, era ancora più sconvolta di prima. Non stavo facendo un buon lavoro, dannazione! A bassa voce, come se parlasse con se stessa, la sentii mormorare.
    “Non riesco a risvegliarmi... sono intrappolata qui...” Sembrava persa in un altro mondo, ma alla fine si decise a fissarmi. “Sono qui perché sono voluta venire io, per capire chi è il nostro nemico. Ma se nessuno di voi lo sa, come potrò fare qualcosa che possa essere d'aiuto?”
    “Non puoi risvegliarti. Non è ancora il momento. Solo continuando il viaggio potrai capire il valore della meta e trovare le risposte che cerchi. Sii forte, abbiamo tutti bisogno di te!”
    La sua paura di non trovare ciò che cercava non era fondata. Ero certo che ci sarebbe riuscita, ma per farlo avrei dovuto scuoterla, ma non nel modo usato fino ad ora. Selene aveva la necessità di aggrapparsi a fatti, sostanza, certezze… e io gliele avrei dati, tutti, senza alcuno sconto.
    Mi allontanai appena da lei, non troppo per non darle un senso di abbandono, ma avevo bisogno di spazio per sbottonare i polsini della mia camicia. Lo feci con calma. Arrotolai le maniche sugli avambracci e sfilai i guanti di pelle nera che portavo ormai ventiquattr’ore al giorno, rivelando le componenti bioniche che avevano sostituito la pelle, i muscoli, le ossa delle mie braccia e delle mie mani. “Partiamo da qui, da quando la devastazione ha avuto inizio. Vesta, in forma di drago, mi ha portato via Cerere, ma anche un'altra parte di me...”
    Selene mi osservò a lungo, in ogni dettaglio della mia parte non più umana. Percepivo il suo orrore, ma non era disgusto; percepivo anche la sua voglia di voltarsi e fuggire una volta per tutte, ma non lo fece. Dentro di lei, qualcosa stava cambiando… Passarono alcuni minuti e solo allora decise di riprendere la parola, confortata – forse – dal mio paziente silenzio.
    “Mi dispiace per tutto quello che hai sofferto, Gran... Haytham. Non vedo come ottenere le risposte che ci salveranno, ma... voglio fidarmi di te. Dove andremo?”
    Erano le esatte parole che attendevo e un peso sembrò svanire dal mio cuore. Si fidava di me e io non l’avrei delusa. Ricoprii le mie braccia metalliche, ragionando sui prossimi passi da compire. Ma non fu difficile scoprire quale sarebbe stata la prima tappa, così le feci segno di seguirmi.
    La nostra destinazione erano le prigioni del Palazzo Imperiale. La differenza con il luogo che lei ricordava sarebbe stata traumatizzante: una landa desolata e ormai in rovina. In lontananza riuscivamo a intravedere un antro delimitato da sbarre di acciaio nero, al suo interno una belva dalle scaglie rosso fuoco pareva agitarsi sempre più. Sembrava che ci avesse già percepiti…
    Vidi Partenope e Iuventas cercare di calmare Vesta, ma poi ci scorsero anche loro e tutto ebbe una spiegazione.
    "Vesta non riesce più a tornare in forma umana. Partenope crede che il suo senso di colpa la stia punendo per le sue azioni. Non mi meraviglierebbe. Con Iuventas, da anni, stanno cercando un modo di aiutarla a ritrasformarsi..." raccontai a Selene. La mia voce era un sussurro quasi sinistro: rivedere il drago mi tolse il respiro. Non ero ancora riuscito a perdonarla e non credevo che sarebbe mai successo.
    La Principessa cercò di avvicinarsi alla gabbia, ma Partenope – con un guizzo repentino – la trattenne a distanza di sicurezza.
    “Che cosa le è successo? È impazzita anche... lei?” Il tono era tremante, non solo sorpreso, forse temeva la risposta.
    “Non avvicinarti. Non credo che sappia chi tu sia.”
    La sirena sembrava invece già sapere che la Selene di fronte a lei non era la “sua” Principessa. Poi, intervenne anche Iuventas. Nonostante il loro aspetto dimesso, emaciato e stanco, la verve della marziana non aveva perso la sua naturale determinazione.
    "Le prime volte che la nostra Selene si è avventurata fin qui, l'ha addirittura attaccata con una spira di fuoco. Non è più tornata..." Quella constatazione sembrava dilaniarla più del pericolo che aveva corso.
    Era proprio questo che desideravo, non certo la sofferenza delle Guerriere, ma che mostrassero il decadimento in cui stavano vivendo. E constatai subito l’effetto delle loro parole: Selene sgranò gli occhi.
    “Volete dire che mi accusa di qualcosa? Che cosa ha... ho fatto per farmi odiare da lei?" Poi guardò me, il suo sguardo assomigliava a un cristallo liquido. "Perché siamo venuti qui?”
    Mi avvicinai a lei per sostenerla con la mia presenza, non sapevo come avrebbe reagito alla mia risposta, ma non mi tirai indietro.
    "Perché non provi a chiederlo a lei?"
    Feci un cenno a Partenope e Iuventas, loro sarebbero state in grado di connettere Vesta e Selene telepaticamente, ma ero conscio che l’ultima parola spettava alla Principessa. Avrebbe rischiato la sua vita – in ogni senso possibile – per conoscere nuove verità? Non avevo molti dubbi a riguardo e non fui smentito.
    Vidi Selene avvicinarsi titubante alle sbarre e quando il drago la inquadrò nel suo range visivo si calmò all’istante, sembrò addirittura vittima di un incantesimo. Restarono così, immobili, a fissarsi, per minuti interminabili, fino a quando la Principessa interruppe il contatto dei loro occhi e si voltò verso di noi. Partenope era accanto a me, se non avesse avuto soggezione del sottoscritto, con ogni probabilità si sarebbe aggrappata al mio braccio per non crollare; Iuventas sembrava essere capace di bucare il terreno, tanto i suoi piedi si muovevano nervosi. Io? Io attendevo il responso ingoiando il cuore a ogni respiro.
    “Vesta mi ha raccontato cosa è accaduto quando il Dio l'ha trovata. Lei afferma di essere stata aiutata da lui ad accettare la sua natura. Ma, nonostante abbia insistito, non mi ha voluto rivelare la sua identità. Ha solo detto che saremo molto sopresi quando la conosceremo.” Abbassò lo sguardo, prima di mordersi un labbro per il nervosismo. “Mi ha consigliato di trovare e parlare con Toth...”
    Non riuscii a non irrigidirmi all’istante. Erano tante le verità che non avevo ancora svelato a Selene e la consapevolezza di non averne ancora facoltà mi colpì come un pugno nello stomaco. Faceva tutto parte di un viaggio, perciò annuii senza dire nulla.
    Stavo per avviarmi verso la nuova meta, accompagnato da Selene, quando Iuventas le si lanciò al collo in un abbraccio affettuoso e disperato assieme, mentre Partenope le stringeva una mano, trattenendo i singhiozzi. Io distolsi lo sguardo e gli lasciai qualche minuto. Poi il tempo finì.
    "Andiamo, ti porterò da lui." Il mio passo era deciso, ma quello di Selene molto meno, tanto da restare indietro di qualche metro. Mi voltai e le tesi una mano guantata, dovevo spronarla a continuare. "Forza, non manca molto..." La guardai fiducioso, ora era di questo che aveva bisogno.
    “Andremo là per vedere altre conseguenze dei miei sbagli? Ho avvertito l'odio di Vesta, sai?”
    Mi fermai del tutto e presi un bel respiro prima di risponderle. Non sarebbe stato facile, ma ogni passaggio era obbligato, essenziale, anche se doloroso.
    "Là troverai altre conseguenze, ma non collegate alle tue azioni. Tutt'altro... ma ti servirà comunque a capire, ad aggiungere un altro tassello al mosaico..."
    Selene mi raggiunse in uno slancio di forza, afferrando la mia mano con la decisione di cui sapevo era fedele depositaria. Non si sarebbe arresa. Non ora.
    Camminammo spediti, come se il vento ci avesse messo le ali ai piedi, fino a giungere di fronte a una casa spoglia, dai muri scrostati e dalle tegole cadenti. La desolazione si fece spazio nel mio cuore e forse la stessa cosa accadde in quello di Selene perché i nostri passi si bloccarono all’unisono.
    Era giunto il momento di affrontare una nuova, estenuante, attesa.
    "Eccoci arrivati. Preparati, Principessa, preparati a essere ancora più forte. Sarò qui ad aspettarti..."


    Edited by KillerCreed - 4/11/2020, 20:00
     
    Top
    .
  5.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    282
    Reputation
    +658

    Status
    :Selene:
    Entrai nell'edificio, chiamarlo casa sarebbe stato un eufemismo eccessivo. Tutto era decadente, alla distruzione si aggiungeva l'incuria che regnava ovunque, sulla Luna. A giudicare dalla posizione distante dal palazzo, e se la memoria ancora mi aiutava, quella costruzione ai margini di un ampio campo in terra battuta era quella che una volta era la caserma militare, nei pressi del campo di allenamento dei soldati imperiali e dei Moon Knight.
    A comandarli c'era il Generale Toth, un combattente leale che era diventato quasi un amico fraterno dopo che entrambi avevamo scoperto di ricordare il mondo che Nyx aveva annientato per i suoi scopi, ma che poco prima del mio viaggio nel futuro si era allontanato, certamente per colpa della sorte che era toccata al suo Compagno Alato. La Guerriera di Koronis aveva svolto un ruolo che ancora non comprendevo, se aveva favorito o era stata vittima del nostro nemico, ma mi auguravo che Toth riuscisse ad essermi d'aiuto e non si trincerasse dietro rancori che non sarebbero stati fruttuosi per la mia missione.
    Ma quali erano ormai, le mie possibilità di riuscita? Haytham sembrava molto fiducioso, nonostante la tragedia che aveva colpito lui, me e le persone che vivevano intorno a noi. Avrei voluto possedere quella stessa tranquillità.
    Bussai alla porta con esitazione. Nessuno rispose e nessuno mi aprì, eppure ero convinta che fosse abitata, che ci fosse qualcuno, dato che vedevo muoversi delle ombre oltre le imposte fatiscenti.
    Spinsi per entrare, rivivendo per un istante lo spiacevole ricordo di poco prima, quando mi ero infilata nel rifugio della Selene futura. E anche qui, la situazione era di poco migliore. Regnava lo squallore, ma almeno si notava un minimo di cura nel tenere pulito quelle stanze.
    Udii un rumore di stoviglie e un odore di cibo. Non osai chiamare il nome del mio compagno per lo strano timore di violare e spezzare un'atmosfera sospesa come quella sacra nei luoghi di meditazione.
    Camminai con passi leggeri, sentendomi quasi una ladra che si infiltra in un'abitazione per rubare. E quello stavo facendo: andavo a sottrarre quel briciolo di tranquillità che le persone si erano conquistati a caro prezzo.
    Vesta mi aveva suggerito di parlare con Toth, ma rimasi immobile dalla sorpresa quando, invece della figura imponente del Generale vidi quella minuta e quasi ingobbita di una donna. Capelli neri e pelle scura... “Horus!”
    Per la sorpresa, quasi gridai il suo nome. La donna si girò, stava cucinando alcune verdure dall'aspetto appassito, e quando mi riconobbe, un moto di avversione le attraversò velocemente il viso stanco, rovinato, indurito.
    “Come... come puoi essere qui? Sei riuscita a tornare libera dalla prigione galattica? Quando è successo?”
    Horus non mi rispose, ma mi fissò con uno sguardo duro e indecifrabile. Era molto cambiata da come la ricordavo, forse il tempo passato in quel luogo orribile l'aveva segnata a tal punto? Respinsi un cenno di senso di colpa.
    Passarono alcuni istanti, poi parlò con una voce graffiante, roca, quasi incomprensibile, quasi avesse danneggiato le corde vocali urlando in maniera smodata.
    “Non sei la Selene che si è rinchiusa nel suo castello abbandonando tutti. Lei non si è mai fatta vedere qui, da dopo che...” Horus si mise una mano davanti alla bocca e si girò repentina, per nascondermi il suo dolore. Le sue lacrime, forse.
    “Sono qui per parlare con Toth. Nel passato da cui provengo, il Dio Oscuro non ci ha ancora attaccati, e tutto può essere ancora evitato. Sto cercando aiuto e un modo per vincere e ucciderlo”
    Horus scosse la testa, che teneva bassa, il mento quasi le sfiorava lo sterno. Senza rivolgermi uno sguardo, si diresse verso una porta chiusa solo da una tenda stracciata e lacera. La seguii e quando superai quella barriera, preferii non averlo fatto.
    Trovai a stento la forza di rimanere in piedi e di non schiantare a terra; ogni secondo che trascorrevo dentro a questo incubo la mia anima si assottigliava sempre di più, come battuta da un martello sull'incudine della consapevolezza. Il disastro che dovevo evitare assumeva sempre più contorni tragici che mai avrei pensato.
    Nella stanza disadorna ma ordinata c'era solo un letto e una sedia. Il letto era occupato da Toth, anzi, solamente dal suo fisico. Lo sguardo era spento, vacuo e le mani erano abbandonate mollemente sulla coperta sbiadita. Horus si avvicinò al letto e gli sistemò una piega inesistente nella camicia che indossava.
    “E' così da molto, molto tempo. Non sono sicura che veda o senta qualcosa, che si renda conto di quello che gli sta intorno. Respira. Forse riposa, ma non dorme mai”
    Provai l'impulso di andarmene, ma dovevo sapere.
    Compresi in quel momento che il dolore e la fuga erano un lusso che non mi potevo permettere. Che avevo troppo da difendere e molto da perdere.
    “Dimmi, Horus, te ne prego, cosa è successo...”
    Lei gli accarezzò il viso, partendo dalla tempia, scendendo alla guancia e seguendo la linea della mandibola fino alla gola. Era un gesto non semplicemente di cura ma di amore. Un gesto così privato che non compresi nell'immediato cosa fosse la sensazione di disagio e di allarme che sentii premermi sullo stomaco.
    “Prima del suo attacco devastante, Toth andò a cercare il nostro nemico. Non ho mai saputo né capito perché lo fece, io... non c'ero... ma quando lo ritrovarono, era ferito in maniera gravissima. La sua schiena, le gambe e il torace erano a pezzi. La sua stessa anima era spezzata. Non si è mai ripreso, e io lo accudisco perché... sono il suo Compagno Alato...”
    Alzò gli occhi su di me, quasi a sfidarmi e a leggere la mia reazione. “Se è questo che vuoi sapere, Principessa, ecco l'accaduto. Se invece sei qui per conoscere chi si cela dietro la maschera del Dio Oscuro, non posso darti risposte. Neppure io, che sono stata usata da lui, sono riuscita a scoprirlo. Forse Toth potrebbe saperlo, ma ormai non può più rivelarlo”
    Annuii più per me stessa che per Horus, dato che finito di parlare, si sedette sul letto, vicina a Toth, e iniziò a imboccarlo, con lentezza e cura infinita.
    Lasciai la casa con lo stesso riguardo con cui ne entrai, ma con una determinazione ben diversa.
    Haytham era lì ad aspettarmi. Avrei voluto arrabbiarmi e accusarlo di voler giocare con me quasi con sadismo, ma allontanai le mie lamentele. Lui si staccò dal muro a cui si era appoggiato e mi avvisò: “Non è ancora finita. Continua a fidarti di me e arriverai a capire il perché di tutto questo. Manca ancora una tappa... vuoi forse mollare alla fine del percorso?"
    Alzai il mento con fare deciso e imperioso. Non avrei più mostrato la mia debolezza e i tentennamenti dettati dall'angoscia. “Andiamo avanti, Haytham. Forse ho compreso il motivo del mio viaggio. E immagino anche chi sarà l'ultima persona che dovrò vedere”
    Haytham annuì e mi fece cenno di avviarmi. La strada per tornare al castello diroccato mi parve più breve e meno oscura. L'antro in cui si era rifugiata la versione orribile di me stessa mi parve meno minacciosa e oscura, e quando la riebbi davanti a me, il suo sguardo arreso non mi turbò più così tanto.
    “Ho visto quello che è successo a tutti i nostri amici, a tutti quelli che dovevi proteggere! Sei scappata, ti sei nascosta come una vigliacca!”
    Lei mi fissò immobile, poi scrollò impercettibilmente le spalle: “Ero distrutta, annientata, annichilita, spaventata! Neanche tu riesci a capirmi? Come è possibile? Avevo perso mio marito, l'unico uomo che avevo mai amato davvero!” Mi guardò come se non credesse al mio giudizio: “L'unico uomo che amerai mai anche tu!”
    A quella verità, un brivido mi scese giù per la schiena. “Lo so! E per lui sono disposta a combattere contro un nemico che forse è imbattibile addirittura a mani nude! Ma continuerò a farlo anche se perderò Endymion! Ci sono altre persone che meritano il nostro aiuto! Ci sono le nostre figlie!”
    Mi interruppi bruscamente, una mano sulla bocca. Ecate e Artemide! Dove erano? Nessuno, né lei né Haytham le avevano mai nominate! E se fossero...
    “No, non sono morte. Ma non potevo più pensare a loro. Mi ricordavano una vita felice che avevo perso per sempre! Di loro si stanno prendendo cura Hyperion e Theia, e vivono su Nettuno, in segreto, perché non sia minacciata anche la loro sicurezza...”
    Le braccia mi caddero lungo i fianchi. “Come hai potuto...”
    “... abbandonarle? L'ho fatto per loro! A cosa sarei servita se...” Abbassò la testa, appoggiando la fronte sulla mano. “Torna indietro, fallo finché hai ancora un po' di tempo”
    “Per diventare come... te?” Replicai amaramente.
    “Ancora non capisci, vero? Non ho abbandonato nessuno, mai!” Si alzò in piedi, il furore le bruciava nella voce. Barcollò ma riuscì a rimanere in piedi, indignata e... viva, finalmente.
    “Ho combattuto per loro, anche quando il mio cuore era vuoto come lo spazio infinito! Ho dato tutta me stessa per sconfiggere il Dio Oscuro, ne ero ossessionata! Non pensavo che a questo e, alla fine... l'odio mi ha consumata” Si guardò intorno, come se vedesse per la prima volta il degrado della stanza. “Il momento in cui lo sconfiggerai, lui avrà già vinto, perché ti avrà tolto tutto ciò che ami, ti avrà distrutto l'anima. Ti verrà strappato il tuo stesso respiro quando Endymion avrà esalato il suo ultimo fiato”
    Sbattei forte le palpebre, più volte, per ricacciare le lacrime. Avevo finalmente capito quello che aveva sopportato la persona che non riuscivo a riconoscere ma che ora, invece, mi era completamente familiare. Dolore, ossessione, vendetta, rabbia, paura.
    Compresi che dovevo seguire il suo consiglio. Questo era l'insegnamento, il motivo che mi aveva portato da lei. Non avrei potuto salvare Endymion, ma potevo difendere tutte le altre persone se io per prima non mi fossi persa nel labirinto della vendetta cieca.
    Allungai una mano per sfiorare quel corpo macilento, ma mi fermai subito.
    “Grazie... Selene. Ho capito. Farò in modo di non commettere i tuoi stessi sbagli”
    Mi girai per andarmene, quando sentii la sua mano ossuta chiudersi intorno al mio polso. Repressi un brivido freddo che risalì per il braccio.
    “Non so come, ma ora intuisco che potresti essere più forte di quanto lo fui io. Forse per te c'è davvero una piccola speranza esigua. È per questo che voglio consegnarti questo...”
    Si avvicinò a passi incerti a un mobile su cui era posato uno scrigno. Lo conoscevo, era quello in cui custodivo le cose più di valore. Selene estrasse un oggetto cilindrico, una piccola memoria di condivisione per conservare dati e informazioni. La mano sana tremava leggermente, ma il suo sguardo ora sembrava più presente e sicuro.
    “Alla fine riuscimmo a respingerlo e ad annientarlo ma qualcuno ci aiutò... fornendoci lo strumento per poter prevalere sul suo immenso potere...”
    “Chi venne in nostro aiuto?”
    “Nyx... fu lei a scoprire come sconfiggerlo, anche se il suo aiuto arrivò troppo tardi per... salvare Endymion...”
    Selene fece cadere il piccolo congegno nella mia mano aperta. Richiusi le dita strette sull'unica speranza che mi rimaneva.
    “Almeno tu se puoi, salvalo... e salvati...”
    “Grazie...”
    Non avevamo più nulla da dirci. Lei si appoggiò alla poltrona e sul viso comparve una parvenza di sorriso, più simile ad una smorfia amara.
    Uscii dalla stanza che ancora stringevo al petto il mio prezioso tesoro e lì trovai Haytham.


    Edited by Illiana - 9/11/2020, 12:46
     
    Top
    .
  6.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Haytham:
    Il tempo sembrò dilatarsi, non riuscivo a capacitarmi di come i minuti – un tempo fin troppo tiranni – adesso parevano crogiolarsi nella mia ansia incombente. Eppure, non ero mai stato un tipo impaziente, anzi, la calma era uno dei miei tratti migliori. Uno dei pochi, dovevo ammetterlo.
    Tuttavia, l’attesa di Selene, da quel posto particolare, dopo un incontro a dir poco campale, mi stava uccidendo. Respirai a fondo, consapevole che il viaggio era giunto al suo culmine e progrediva piano piano verso il suo epilogo.
    Il mio sguardo si era perso oltre l’orizzonte di una terra una volta prospera, adesso più brulla del deserto di Marte. Ma era molto più spettrale di un deserto, quest’ultimo nasce così, è la sua essenza… ma quando un luogo rigoglioso – com’era la Luna – viene arso fin nelle sue fondamenta, allora sì che portava con sé i lamenti delle vite spezzate. Strofinai con le mie mani bioniche le braccia infreddolite, la temperatura sembrava improvvisamente scesa… oppure ero io che cominciavo a cedere alla stanchezza?
    Per fortuna, non dovetti attendere oltre per scoprirlo, perché i miei occhi si posarono sul profilo della Principessa Selene. Usciva dal Palazzo in rovina a testa alta, le mani chiuse e giunte al petto come se fosse in preghiera, l’espressione decisamente diversa dal ricordo che avevo del precedente incontro… Era… determinata? Mi avvicinai trepidante, ma tentai di non darlo a vedere. Poi chiesi, come se fosse un rituale necessario per raggiungere il famoso epilogo.
    “Hai trovato ciò che stavi cercando?” La mia voce uscì forse un po’ troppo bassa per la tensione, ma lei non faticò a udirmi. Annuì con forza, mentre apriva il palmo della mano come se fosse uno scrigno.
    “Ho questo. E anche la certezza che tornerò indietro con una speranza.”
    Sgranai gli occhi, incapace, questa volta, di nascondere il mio stupore e… il mio sollievo. Non dubitavo che sarebbe giunta a destinazione, ma fino a quando non lo avesse davvero fatto non avrei potuto cantar vittoria. Anche se, non era una vittoria essenziale per me. Non qui.
    “Lo sapevo che ci saresti riuscita, Principessa. Ma so anche che è stato difficile per te...” mormorai, le mani bioniche che prima mi abbracciavano, adesso erano strette in pugni ferrei. Fissai la chiavetta con un misto di sollievo e incredulità.
    “È stato orribile! Ma ho capito che se non avessi visto e provato in prima persona la sofferenza che potrebbero causare le mie azioni, la mia ricerca della vendetta a tutti i costi, non avrei capito in tempo, e questo futuro si sarebbe perpetrato irrimediabilmente...”
    La guardai più rilassato, quasi fiero. Non capivo bene i sentimenti contrastanti che mi si agitavano dentro. Ero felice, ma anche triste. Era forse la consapevolezza della fine di qualcosa? Si è soddisfatti, ma si percepisce un retrogusto dolce-amaro in bocca.
    “Un orrore necessario, oserei dire.” Le strinsi la mano con la chiavetta, richiudendo piano le dita. “Ti auguro che nel tuo presente, possa esserti utile per evitare tutto questo...” Lo sguardo viaggiò intorno a noi, ma solo per pochissimi attimi. Poi, tornò a incatenarsi a quello della Principessa. Eccolo di nuovo, quel retrogusto fastidioso…
    Selene deglutì a fatica, la sua gola doveva essere bloccata da un groppo che neppure il sollievo aiutava a mandar giù. Era palese dai suoi occhi lucidi, appena illuminati da un sorriso melanconico.
    “Ti ho detestato durante tutto il tragitto e le visite che abbiamo fatto... lo sai, vero?”
    Non mi trattenni e mi abbandonai a una risata, roca, bassa, sarcastica, molto vicino a quella a cui ero abituato in passato, ma praticamente inesistente in quel presente. Ne fui sorpreso io per primo.
    “Mi è stato affidato un compito molto difficile. All'inizio anche io ti ho detestata. Hai il volto di una persona che non riconosco più, che considero responsabile - in un certo senso - molto più di Vesta per quanto ci è successo... Ma, passo dopo passo, ho compreso che tu sei diversa, ho capito perché lei è diventata così, ho interiorizzato il mio ruolo in questo percorso... Diciamo che ripercorrere questi eventi non è stato piacevole, ecco, ma di certo fondamentale... per te...
    “Non solo per me... farò di tutto perché le informazioni che sono in questa chiavetta possano salvare quante più vite possibili, non solo quella di Endymion... se necessario, mi rivolgerò anche a Nyx. Il Dio Oscuro è anche un suo nemico...” Selene mi posò una mano sul braccio e io fissai le sue dita con insistenza, non volevo incrociare di nuovo i suoi occhi. Non ero più tanto certo delle mie reazioni. “Salverò Cerere, te lo prometto, Haytham!”
    Non avrebbe dovuto dirlo, come facevo a sopportare anche quella promessa? Avevo il dovere di sperare che lei avrebbe mantenuto la parola data, ma come avrei saputo che sarebbe andato tutto per il meglio? Il mio – nostro – presente sarebbe rimasto tale… Inspirai con forza, spingendo giù il macigno che mi si era improvvisamente formato nel petto. Cerere. La mia Cerere. “Lei merita di meglio...” mormorai. Tossii piano per schiarirmi la voce. “Tutti voi avete una nuova speranza e tu ne sarai il baluardo. Ho la sensazione che Nyx sarà un'ottima alleata... Agisci in fretta, ma non con avventatezza, Principessa. Ormai conosci bene le conseguenze che ti troveresti ad affrontare. Sono tutti nelle tue mani...”
    La fissai con intensità questa volta. Non mi sarei sottratto nel darle quel consiglio che avrebbe potuto salvare molte esistenze. E chissà forse anche quella del Principe.
    Selene ricambiò l’occhiata, annuendo con forza, mentre tentava di arginare nuove lacrime di commozione.
    “Sei un alleato valente e un uomo straordinario. Ti ringrazio di aver scelto di rimanere fedele all'Impero anche quando non ne esistevano più i presupposti...”
    Adesso sì che guardarla mi risultò di nuovo difficile. Ero colpevole di egoismo, avrei tradito l’Impero se ciò mi avesse permesso di evitare ogni dolore alla mia Cerere. Me ne resi conto in quel preciso istante, non ero meritevole della sua riconoscenza.
    “Non sono l'alleato senza macchia che decanti. Ho le mie colpe, e anche durante il nostro percorso, pensavo solo a una persona... a lei...” non menzionai tutto il resto. Il Grande Progetto era andato in fumo, ma non ne ero stato particolarmente colpito. La mia preoccupazione era rimasta sempre lei.
    Selene mi guardò con una comprensione che non meritavo, ma forse proprio perché amava Endymion con tanta forza da ridursi a un vegetale avrebbe potuto in qualche modo acomprendermi.
    Ad ogni modo, non lo avrei mai saputo. Dovevo solo confidare in lei e nel Destino.
    Vidi la Principessa iniziare a scomparire, ma il mio cuore era sereno tanto quanto il suo volto era determinato. Mi feci bastare quello. La salutai con una riverenza molto sentita fino a quando di lei non restò solo l'aria. Poi, mi avviai lungo la strada che mi portava dalla mia donna, il mio posto era al suo fianco e lo sarebbe stato per sempre.
     
    Top
    .
  7.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Love GDR

    Group
    Cristina
    Posts
    16,697
    Reputation
    +1,392
    Location
    Mandalore

    Status
    :Cerere:
    Dopo quello che era successo con Vesta il mio cuore pareva essersi fermato. Il mio urlo, per via della bruciatura, era stato più forte di quanto avrei voluto ed il dolore troppo forte affinché io potessi gestire da sola la cosa. Ricordavo di essere seduta sul pavimento del lungo e candido corridoio, quando le voci concitate e preoccupate di Partenope e Iuventas mi raggiunsero. Accovacciandosi al mio fianco, iniziarono a chiedermi cosa fosse successo e come stessi, ma il loro parlare mi pareva lontano. Ovattato.
    Horus era stata portata via da Thot al sicuro e le mie amiche erano rimaste lì a fornirmi il primo soccorso, comprendendo immediatamente quelle bruciature di che natura fossero.
    Tutte concordavamo sul fatto che rendere noto quello che era successo voleva dire condannare Vesta, che già avrebbe subito pesanti conseguenze per il solo fatto di essere fuggita, dunque quell'altro incidente non poteva gravare su di lei. Mantenemmo il segreto e Partenope mi medicò e bendò al meglio non prima che silenziosa e scossa preferì ritirarmi.
    Con loro avevo parlato il minimo indispensabile, meno di quanto ero solita fare, mentre da sola nel mio alloggio mi ero seduta sul bordo del letto e da lì ero stata incapace di muovermi. Il mio sguardo era fisso sulla finestra di cristallo di fronte a me, lì dove potevo scorgere la bellezza del borgo lunare all'esterno. Gli occhi erano lucidi, ma le lacrime erano ben attente a non scorrere sulla mia pelle di porcellana che in quel momento pareva una maschera di cera.
    Non sapevo quantificare il dolore che provavo. Non sapevo se era maggiore quello relativo al fatto che per sempre sarei stata marchiata, deforme e rovinata. Odiata dalla mia gente, consapevole di non poter più essere considerata una venusiana pura. O il fatto che a causarmi tutto ciò era stata niente di meno che mia sorella.
    Nel mio cuore sentivo una parte spingere per odiarla, per accettare il fatto che non meritasse il mio amore e comprensione. Che la sua invidia era stata la forza motrice che l'aveva fatta ribellare verso di me. Che tutti avessero sempre avuto ragione, che non fosse normale e che forse meritava essere cacciata. Ma poi dall'altra parte scacciavo tali pensieri e rimembravo a me stessa la promessa che mi ero fatta il giorno che era nata.
    Io e Vesta eravamo praticamente coetanee, ci divideva un solo anno. Quando era nata l'avevo stretta tra le mie braccia ancora troppo corte e piccole per tenere saldo un neonato eppure con l'aiuto di nostra madre l'avevo fatto. Avevo guardato quel fagotto e avevo promesso che l'avrei sempre protetto, che non avrebbe conosciuto dolore o tristezza. Che ci sarei sempre stata e l'avrei capita. Che mai sarei venuta meno a tale ruolo. Ed ora? Ora sentivo di aver infranto ogni promessa, di averla delusa e quel marchio sulla mia pelle era la prova tangibile del mio fallimento.
    Fu solo allora che ebbi il coraggio di abbassare lo sguardo sulla fasciatura, di sfiorarla con la paura che mi scottasse e quando ciò stava per accadere l'irrompere improvviso di Haytham nella mia stanza mi fece balzare in piedi.
    Ancora di spalle mi asciugai gli occhi, li alzai al soffitto per ritrovare contengo. Presi un profondo respiro e poi abbassai la manica velocemente sul braccio desiderosa di nascondere tale incidente. Con nonchalance poi mi girai e lo guardai corrucciando la fronte incuriosita.
    Non poteva sapere quello che era successo, spero, e se così fosse stato, per qualche strana ragione, non potevo permettere che lui sapesse. Che lui vedesse quanto non fossi più la sua perfetta Cerere.
     
    Top
    .
  8.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Haytham:
    Va bene, non andavo fiero di quello che avevo appena fatto, ma – per la prima volta nella mia intera esistenza – mi sentivo sospingere da un sentimento lontanissimo dalla mia calma implacabile. Sì, perché la mia impassibilità era stata spezzata da un senso di urgenza capace di erodere tessuti e quanto c’era sotto. Avevo bisogno di parlare con Cerere per definire il ruolo che le Sailor Asteroids avrebbero avuto nell’ormai imminente scontro con il Dio Oscuro. In assenza di Pandia, senza che fosse mai stata fatta alcuna cerimonia, era diventata lei la leader e se anche non fosse accaduto in maniera così naturale fra loro… io non mi sarei fatto scrupoli a bypassare qualunque gerarchia di comando: mi fidavo di lei, del suo giudizio, della sua esperienza, della sua lealtà assoluta.
    Non ero riuscito a trovarla da nessuna parte, anche il suo appartamento era vuoto, così avevo preso l’azzardata decisione di andare a cercarla al Laboratorio, le giovani Guerriere chiamavano così il loro luogo di incontro, forse perché la geniale Partenope lì aveva tutti i suoi strumenti più preziosi? Non ne avevo idea e non m’importava neppure. Sapevo benissimo però, che il mio arrivo avrebbe scatenato un certo trambusto… nessuna di loro “approvava” il mio rapporto con Cerere, ma anche di questo m’importava poco, se non fosse stato che la mia venusiana ne soffriva parecchio, benché tentasse sempre di nasconderlo.
    Avevo quindi preso un bel respiro prima di “bussare” educatamente, forse un po’ troppo forte, ma per pochissimi rintocchi. Una voce sottile mi aveva invitato a entrare, senza sapere chi ci fosse al di là dell’uscio… incauta la ragazza. Ciò nonostante, non avevo esitato neppure un attimo. Ero entrato e non avevo potuto fare a meno di notare l’ansia di Partenope. Si era guardata a destra e a sinistra, come se stesse cercando una via di fuga… o un sostegno, ma era da sola.
    Non credevo di farle così paura, qualcosa non mi quadrava, così mi ero avvicinato ma non troppo ed ero andato subito al sodo.
    “Buonasera… sto cercando Cerere, ma non riesco a trovarla da nessuna parte. Sai per caso dov’è?” Ero stato cortese, più del solito a dire il vero, ma la sua reazione mi era parsa subito troppo esagerata. Tremava, si torceva le mani, le lacrime spingevano agli angoli degli occhi per venire fuori. Era stato lì che mi ero allarmato. L’avevo colta in una situazione di disagio… Avevo quindi fatto altri passi nella sua direzione, facendole pesare la mia presenza, giustificato dall’improvvisa preoccupazione che aveva cominciato a percuotermi il petto. Cerere, le era di certo successo qualcosa. “Vuoi spiegarmi cosa è successo? Cerere sta bene?” Era stato allora che avevo capito che Partenope era sull’orlo di una crisi di nervi ed io ero diventato solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso ormai colmo.
    Tra le lacrime mi aveva confessato quasi tutto, ma sapevo che alcune parti fondamentali mi erano state taciute. Per questa ragione mi ero precipitato fuori dal Laboratorio, avevo corso lungo gli infiniti corridoi che mi avrebbero riportato all’appartamento di Cerere. Spalancai la porta come una furia, senza pensare alla condizione in cui avevo lasciato Partenope, né a quella in cui avrei trovato Cerere.
    Irruppi e basta, ma fui presto costretto a pietrificarmi sul posto. Lei era di fronte a me, in piedi, il viso aperto. Solo chi come me che la conosceva bene avrebbe potuto notare gli occhi lucidi e una leggerissima ruga sulla fronte. Si era crucciata fino a un attimo prima e ora tentava di nascondere ogni cosa.
    In un unico, lunghissimo, passo le fui a pochi centimetri. La presi per le spalle e, senza dire neanche una parola, la strinsi a me. Un abbraccio che aveva mille significati, che valeva forse più di un migliaio di parole: “sono qui”, “perdonami per non essere stato al tuo fianco”, “sei bellissima come sempre”, “sei più forte di un drago”, “appoggiati a me”, “non lasciarmi”… “ti amo”… ma neppure una sillaba venne pronunciata. Un enorme groppo in gola mi impediva di far uscire il fiume in piena che mirava a distruggere gli argini di un contegno centenario. Dopo minuti infiniti, la lasciai andare, ma avevo la sensazione di stare allontanando un pezzo di me…
    “Come stai? Cos’è successo? Lo vengo a sapere solo ora…” Avrei dovuto lasciarla parlare, lo so, ma ero terrorizzato da quello che sarebbe potuto accadere. La fasciatura sul braccio aveva generato un brivido senza nome. Vederla ferita era un colpo che – avevo appena scoperto – non era così facile da attutire. Il suo volto era tra le mie dita e il suo sguardo cercava di rifuggirmi, ma io non glielo permisi; la costrinsi a portarlo su di me, nei miei occhi scintillanti.
    “Come lo hai scoperto?” mormorò appena, a denti stretti, la mia Cerere orgogliosa.
    “Partenope. Sono venuto a cercarti al Laboratorio e lei… alla fine mi ha detto che eri qui, che eri ferita, ma non è riuscita a dirmi di più… Vuoi rimediare tu, per favore? Chi ti ha fatto questo?"
    Ero pronto a distruggere con le mie mani chiunque aveva osato toccarla e farle del male, chiunque, fosse stato anche l’Imperatore in persona, nessuno avrebbe avuto scampo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/11/2020, 19:39
     
    Top
    .
  9.     +2   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Love GDR

    Group
    Cristina
    Posts
    16,697
    Reputation
    +1,392
    Location
    Mandalore

    Status
    :Cerere:
    Ci avevo provato, con ogni parte di me avevo provato ad ignorare ciò che sentivo e provavo, ma come potevo?
    Scossi il capo dando le spalle ad Haytham e passandomi nervosa una mano tra i capelli gli risposi più spigolosa e tagliente di quanto avrei mai voluto.
    "Il chi non importa... l'unica cosa importante è che non sono più la Cerere di cui ti sei innamorato..."
    Lo dissi con durezza affrontando il suo sguardo confuso. Come poteva capire? Ciò che per lui era incomprensibile per me era una condanna da cui non avrei avuto scampo.
    Uno sfregio, grande o piccolo che fosse, per un venusiano era sinonimo di esilio e disonore. Non si poteva essere più considerati tali dopo ciò e chi ci provava, nascondendo tali cicatrici, veniva prima o poi scoperto dal proprio compagno o compagna che inesorabilmente lo avrebbe ripudiato. Ci voleva così poco per distruggere un imprinting, seppur l'amore sopravviveva.
    Furiosa e nervosa faticavo a mantenere la mia solita aplomb nonostante gli sforzi e forse lui lo aveva notato. Lo avevo percepito per come aveva irrigidito la schiena e per come freddo mi affrontò.
    "Cosa diavolo stai dicendo? Tu sei sempre tu, io sono pieno di cicatrici eppure tu non hai mai battuto ciglio... perché dovrei farlo io, adesso?"
    Era ovvio che non potesse comprendere le mie parole, forse folli al suo udito, mentre io stupita e frenetica gli rispondevo al limite dell'isterismo.
    "Ti rendi conto di cosa significa? Questo è uno sfregio. Un marchio indelebile. Sono venusiana... a noi venusiani è proibito essere sfregiati. Mi rende un mostro. Mi rende degna dell'esilio. Tu sei umano ciò che ti contraddistingue è ciò che ti rende unico, come le tue bellissime cicatrici, ma io... io no. Nella mia cultura è normale venire disconosciuti ed abbandonati dai propri partner per questo..."
    Gli raccontai buttando fuori ogni granello di ansia, e paura. L'umiliazione che mi impregnava lo spirito e l'abbandono che temevo di subire.
    Haytham mi guardò stringendo i pugni con forza, la stessa che ci mise nel rispondermi con fermezza.
    "Ti stai dunque preparando ad essere abbandonata da ME, perché adesso hai una cicatrice che prima non avevi? Perché credi di non essere più perfetta ai miei occhi? Beh, mi dispiace deludere i tuoi sforzi. Forse agli occhi dei venusiani non sarai più la dea di un tempo, ma ai miei occhi sei ancora più bella. La mia Sailor. Come dici tu, sono un umano e io vedo le cose da ben altre prospettive... Se loro ti esiliano, sai che qui troverai sempre un rifugio"
    Le sue parole mi accarezzarono molto più di quanto fece la sua voce, mentre io portandomi una mano sul cuore caddi a peso morto sulla sedia della toletta alle mie spalle.
    Mi pareva che tutte le forze mi avevano abbandonato e così poggiando i gomiti sulle ginocchia mi presi la testa tra le mani. I lunghi capelli rosa a coprirmi il volto. Preoccupazioni, paure, delusioni, troppe cose che non riuscivo a gestire mi stavano facendo impazzire. Il mal di testa era terribile e l'agitazione mi confondeva.
    "Devo trovare Vesta... devo aiutarla... non posso stare qui, ma non posso abbandonare il mio posto" mugugnai tra me e me, quasi come una pazza incapace di trattenere i propri pensieri e che per questo saltava senza senso dall'uno all'altro.
    "Vesta?"
    Le sue pupille si trasformano in spilli più per l'incredulità che per la rabbia e li percepivo trapassarmi.
    "Cerere, cosa stai dicendo?"
    Capì dal suo tono di voce che sperava di aver capito male, che non fosse vero ciò che gli stavo rivelando. Così cercai di calmarmi e respirando pesantemente alzai lo sguardo su Haytham.
    "E' stata lei... ma... ma non era in lei!" aggiunsi cercando di rimettermi in piedi.
    "Devo trovarla, devo aiutarla... non so cosa le stia succedendo, ma... ha bisogno di me!"
    Lui pareva non capire la mia necessità e me lo fece presente facendo un pesante passo in avanti e poggiandomi le sue grandi mani sulle spalle.
    "Cerere, guardami! Non è lei ad avere bisogno di aiuto in questo momento, ma tu. Sei stata ferita, oltraggiata, umiliata. Affronta prima tutto questo, con me, poi verrà tutto il resto! Sono qui, dannazione!"
    Completamente in stato confusionale mi trovavi ad aggrapparmi, inconsciamente, alle sue braccia. Le mie piccole mani su esse le stringevano con urgenza, mentre la voce era sempre più concitata e sconnessa.
    "Vesta è la mia famiglia ed io le ho fatto una promessa a cui non ho tenuto fede. E' sola e persa e chissà questo sfregio forse mi aiuterà a capirla meglio... anche lei ne ha subito uno, ha subito l'allontanamento..."
    Nei suoi occhi lessi una paura che non sapevo decifrare, mentre dolcemente mi strinse la vita accompagnandomi sul letto ove ci sedemmo. Li mi spostò alcuni capelli dal viso e poi con un dito prese ad accarezzarne la pelle morbida e delicata.
    "Amore mio..." iniziò lento "Cerere, aiuteremo Vesta, te lo prometto. Ma credimi, non è lei la priorità adesso. Ti fidi di me? Sono il tuo Haytham... ti fidi di me?"
    La sua voce era lenta e calma, quasi volesse infondermi la stessa energia e chissà forse ci stava riuscendo anche per via delle dolci carezze che non stava smettendo di concedermi.
    Fu allora che compresi. Chiusi gli occhi, quasi strizzandoli e mi concentrai solo sulle sensazioni che il suo tocco mi donava e sul mio respiro profondo.
    Feci fondo agli insegnamenti di Thot, di come mille volte ci aveva privato della vista per concentrarci unicamente con la nostra energia su noi stessi. Tutti i rumori che mi circondavano pian piano scomparvero e solo il battito del cuore di Haytham rimase. Su quello avevo deciso di concentrarmi.
    Fu allora che mi ritrovai. Che LO ritrovai ed aprendo gli occhi mi parve di vederlo per davvero per la prima volta da quando era entrato nella stanza.
    Non ci fu bisogno di dire altro, perchè immediatamente gli gettai le braccia al collo e mi strinsi forte a lui.
     
    Top
    .
  10.     +3   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Annarita
    Posts
    279
    Reputation
    +667

    Status
    :Haytham:
    La strinsi a me, talmente forte, che rischiai di soffocarla. Il suo corpo flessuoso era esile tra le mie braccia e la certezza di quanto fosse fragile in quel momento mi colpì forte, senza pietà, al centro del petto. Non potevo permettere che qualcuno le facesse del male, a maggior ragione se si trattava di una persona a lei tanto cara. Avevo imparato a conoscere la mia Cerere, e per quanto tutti la definivano inflessibile e cinica, quando si trattava dei suoi cari era capace di trasformarsi in una specie di bersaglio per frecce avvelenate.
    “Cerere, sei tornata... mi hai fatto paura...” mormorai tra i denti, in sospiri affannati, continuando ad accarezzarle il viso. Era lei, era tornata, era di nuovo lucida. La osservai sorridere e piegare la testa da un lato, aderendo alla perfezione con la sua guancia rosea all’incavo del mio palmo ruvido. Mi sembrò una blasfemia, ma non ebbi il coraggio di interrompere il contatto, sapevo quanto fosse miracolosa una concessione simile da parte sua: la dolcezza era per Cerere una specie di tabù all’infuori di noi.
    “Mi spiace... la verità è che nella mia lunghissima vita, MAI e dico MAI io e Vesta abbiamo litigano. Non così. Io non posso perderla, è la mia famiglia, il mio tutto, e questa volta... temo, sento... che invece potrebbe accadere...”
    Mi resi conto in quel momento, in maniera definitiva, che non avrebbe mollato, non si sarebbe tolta il pensiero della sorella senza fare l’impossibile per riportarla al suo fianco. Di conseguenza, se lei si fosse trasformata in un maledetto bersaglio, io sarei diventato il suo scudo… Approfondii la carezza e allungai il pollice verso le sue ciglia umide.
    “Sei una persona così altruista, non riesco a capire come fai ad amarmi...” Quella constatazione dei fatti uscì dalla mia bocca con fin troppa naturalezza. Me ne pentii subito dopo, già era un miracolo la nostra relazione fuori da ogni crisma, dovevo proprio metterle il dubbio sul perché mi amasse? Che idiota!
    Vidi la confusione nel suo sguardo e il mio cuore perse un battito. Era così pura e nemmeno se ne rendeva conto, mentre continuava a nascondersi dietro le etichette che si era incollata addosso.
    “Altruista? Sei la prima persona che me lo dice... E poi credi sia così difficile amarti, Haytham?” Ascoltare il mio nome pronunciato con la sua voce rotonda mi ipnotizzava, sempre, poi venni distratto da un suo sbuffo pensieroso. “Ehm sì, in effetti lo è!” affermò decisa, abbandonandosi subito dopo a una risata cristallina, forse stuzzicata dalla mia espressione, di certo allarmata… Non feci in tempo a far uscire neppure una sillaba di protesta che continuò: “Ma per gli altri, non per me. È semplice come respirare...” Tornai a incamerare ossigeno dopo un’apnea che mi parve eterna. Mi amava, cazzo, mi amava come nessuno aveva mai fatto in tutta la mia esistenza e io, io non ero certo di meritarlo.
    La circondai con un braccio e la indussi a venirmi più vicino, lei alzò una gamba e superò le mie, trovandosi a cavalcioni sul mio bacino. Le sue labbra sfiorarono appena le mie, in un gioco più di respiri che di pelle, in netto contrasto con le mie braccia che la stringevano con troppa forza, forse… Ma così doveva essere: i nostri corpi erano perfettamente incastrati fino a sembrare uno solo. Solo allora le risposi.
    “Sono la prima persona che ti vede per ciò che sei davvero… Siamo proprio strani tu ed io, e ascoltarti ridere è il regalo più bello che potessi farmi!”
    “Strani? Sei gentile a definirci così...” ironizzò, mettendo in atto la sua capacità innata di sedurre: passò le sue dita sottili tra i miei capelli, poi sul viso, su quelle rughe che lei tanto ammirava su di me, ma che avrebbe maledetto su stessa. “Mi aiuterai allora? Con Vesta intendo... se non vorrai farlo lo capirei…”
    Non risposi subito, non perché non avessi chiara la risposta, ma solo perché desideravo sentire le sue mani sul mio viso ancora un altro po’, disegnava ogni dettaglio con una delicatezza capace di togliermi ogni raziocinio. A nessuna, mai, avevo permesso gesti simili. Le mani di Cerere erano però diventate una promessa ed io avevo cominciato a vivere per quella promessa.
    “Vorrei che restassi qui con me, che ti prendessi un po di tempo per pensare a te stessa... ma so che non lo faresti comunque. Perciò ti aiuterò a trovare Vesta, anche se in questo momento le mie simpatie non sono affatto a suo favore, voglio essere onesto, come sempre.” La mia voce era bassa, ma determinata. Non le avrei mai mentito, né mi sarei fatta piacere una persona che le aveva provocato così tanto dolore. Il motivo? Non mi interessava. “Dove pensi che sia andata? Posso organizzare una spedizione con i miei Templari in base al pianeta di destinazione. Mi serve solo una tua parola...”
    La osservai mentre crucciava la fronte: le mie parole erano arrivate a destinazione; poi si fece pensierosa.
    “Apprezzerei se dei tuoi uomini, in modo confidenziale, potessero esplorare alcuni luoghi... in incognito ovviamente, lei non deve sapere che la cerchiamo! Non ho certezze... ma punterei sulla Terra. Se la conoscono bene come credo, andrà lì dove sa che nessuno potrà cercarla e visti gli accordi in atto tra Eterni e Devianti si sentirà abbastanza fuori dai radar. È logico pensare che magari abbiamo cercato Pandia, ma forse dopo... non lo so, Vesta ama la solitudine e a quanto pare l'ha portata all'autodistruzione.” Si abbandonò afflitta contro di me, la fronte appoggiata nell’incavo del mio collo. Io continuai a sorreggerla, mentre ragionavo sulle sue elucubrazioni. Avevo già in mente la persona giusta da inviare in una missione tanto delicata. La segretezza doveva essere il nostro asso nella manica. Tuttavia, percepirla tanto abbattuta non mi aiutava a riflettere con lucidità, si sentiva responsabile e questo dannato senso di colpa dovevo strapparlo via dalla sua mente prima che fosse troppo tardi. Così, la presi per le spalle e la “costrinsi” a guardarmi dritto negli occhi.
    “Cerere, farò tutto ciò che chiedi, ma ti supplico, smettila di pensare che anche solo una scelta sbagliata di tua sorella possa essere accaduta per colpa tua. Ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni e prima o poi dobbiamo fare i conti con il prezzo da pagare!” Il mio tono uscii fuori più implorante di quanto avessi previsto, tanto che non riuscii a mantenere il contatto visivo per molto. La riportai nell’incavo del mio collo e lì la tenni per minuti interminabili, cullandola con una dolcezza che non mi apparteneva, veniva fuori come un fiore sparuto nel deserto solo quando lei era nei paraggi…
    “Che ne dici se mi aiuti a convincermi di ciò?”
    La piccola, sensuale, maliziosa… fragile Cerere. Le sue dita si spostarono sui bottoni della mia camicia e iniziò slacciarli, la scostò appena e adagiò le sue labbra sulla mia clavicola nuda. La baciò come si bacia un bocciolo delicato, poi però la accarezzò con la lingua e un brivido mi fustigò con violenza.
    “Posso prendermi cura di te... in tanti modi... amore mio...” sussurrai tra i denti, notando quanto quelle semplici parole - amore mio - pronunciate dalla mia bocca sarebbero state imbarazzanti se solo non le avessi rivolte a lei. “Ma tu devi permettermelo, sempre, promettimelo...” Le chiedevo davvero tanto, ma non avrei sopportato un rifiuto e sapevo come reclamare la mia risposta.
    Bloccai i suoi baci, abbracciandola di slancio e portandola con un gesto fluido di nuovo tra le lenzuola. Mi alzai veloce senza che lei potesse impedirmelo, afferrai la cassetta del pronto soccorso – talmente obsoleta da sembra un residuato bellico terrestre – dal mobiletto del bagno.
    Tornai da Cerere con un sorriso di sfida sul volto.
    “Ora mi permetterai di dare un’occhiata alla tua ferita, di disinfettarla e fasciarla a dovere…” La vidi trasalire, prima di scoccarmi un’occhiata in tralice. Si trascinò verso la testata del letto e lì si rannicchiò in posizione di difesa. Non voleva che vedessi il suo orrendo sfregio, che addirittura mettessi le dita sul segno della sua eterna onta, era palese. Ma io non ero affatto d’accordo. Mi avvicinai risoluto, mentre lo sguardo ammonitore di Cerere mi intimava di non farlo. Allora, posai la cassettina metallica sulla coperta e misi le mani sui fianchi. “Ti ho già detto che non ci saranno giudizi e che non ho la minima intenzione di lasciarti, ti fidi di me o no?”
    “Hai un modo davvero originale per non farmi pesare tutto questo! Mi fido di te, ma ciò non toglie che odi il fatto che tu debba vedermi così… diversa… sbagliata…” La sua voce, dapprima sbuffante, era divenuta ironica e infine incerta. Cercai di tenere a bada il fastidio che mi provocarono le sue parole. Mi avvicinai ancora, fino a sedermi a pochi centimetri da lei. Fissai la benda improvvisata sul suo braccio con insistenza.
    “Io sono invece convinto che se mi permetti di curarti, allora potremo davvero dire di aver superato questo increscioso incidente. Tra di noi non è cambiato nulla, ma se non te ne convinci tu per prima, questa dannata cicatrice aleggerà sempre tra noi come un fantasma… Vuoi davvero questo?” Non volevo costringerla, ma desideravo che abbandonasse i suoi retaggi primitivi e abbracciasse invece il mio amore con tutta se stessa… anche la parte che lei considerava sbagliata… soprattutto quella parte. Le sfiorai una guancia con un dito. Era così bella da togliermi il fiato, perché una creatura simile doveva soffrire tanto? “Fammi entrare dentro di te… fino in fondo, ora più che mai.” Il tatto non era mai stato il mio forte, ne ero consapevole, ma la determinazione non mi mancava. E questo Cerere avrebbe dovuto saperlo ormai…


    Edited by KillerCreed - 24/11/2020, 19:38
     
    Top
    .
9 replies since 13/10/2020, 16:28   199 views
  Share  
.