The Fall of a God

Series Finale Season 5

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    :Cerere:
    La situazione era in subbuglio più del normale, questo perchè in un brevissimo arco di tempo sembrava che tutto l'ordine delle cose si fosse totalmente e completamente capovolto.
    "E voi molto semplicemente non avete nulla da dire al riguardo?" chiesi con le braccia conserte al petto e lo sguardo che saettava da Partenope a Iuventas che con noncuranza si guardavano e scuotevano il capo facendo spallucce.
    Inutile dire che io alzai gli occhi al cielo ed allargai le braccia per poi farle ricadere lungo i fianchi.
    "E'... E'... semplicemente incredibile!" sbottai semplicemente iniziando a camminare nervosa avanti ed indietro di fronte al letto di Iuventas visto che ci trovavamo nel suo alloggio a parlare e lei e Partenope erano sedute sulle stesso.
    "E che ti vuoi che ti dica Cerere mh? Mia sorella è tornata a casa insieme alle altre ed hanno portato un carico così ingente di informazioni circa le difese Devianti, le loro basi e tante altre cose che... niente... non è successo nulla..."
    "Sì insomma, ehm... la logica forse voleva che effettivamente subissero richiami e conseguenze per le loro azioni, ma di fatto la loro sparizione non è mai stata ufficialmente riconosciuta come una trasgressione, non ci sono prove che per tutto questo periodo fossero sulla Terra!"
    Partenope come sempre aveva tentato di mediare ed io mi ero improvvisamente fermata dal mio muovermi agitata e con le mani sui fianchi avevo assottigliato lo sguardo puntandolo su di lei. Sembrava quasi dire "Davvero? Davvero Partenope? Giochiamo a prendermi per il culo ora?"
    "Senti Selene ha garantito che in questi mesi erano sparite solo perchè stavano svolgendo una missione sotto copertura. Punto. Che ti importa quale fosse la verità, che tra parentesi tutte qui sappiamo. Loro non subiranno conseguenze, hanno riportato una valanga di informazione dentro la quale l'intelligence sguazzerà per mesi e le nostre file si sono rimpolpate. Conta davvero il resto?"
    Iuventas aveva tagliato corto mettendomi spalle al muro. Come glielo dicevo che il mio terzo grado non era dovuto al mio voler colpevolizzare le altre Sailor, ma semplicemente al fatto che adesso sentivo come se non avessi più alcuna certezza su Vesta.
    Mi lasciai cadere affranta sul bordo del letto e Iuventas e Partenope, dopo essersi guardate preoccupate, mi si affiancarono. Una da un lato ed una dall'altra.
    "C-Cosa sta succedendo Cerere? Dicci la verità per favore..."
    Alla voce carezzevole e supplichevole di Partenope non seppi resistere tanto che quando mi poggiò una mano sulla mia, la guardai sorridendole preoccupata.
    "Ho chiesto ad Haytham di cercare Vesta e... prima che una di voi dica qualsiasi cosa, l'ho fatto solo perchè voglio trovarla prima che si scopra che sia scappata... le notizie che mi ha riportato la volevano a Berlino e..."
    "Ed eri convinta fosse con Pandia e le altre... ma loro sono tornate senza di lei..."
    "Esattamente..." esclamai sempre più mogia. Quel nostro momento fu interrotto dall'apparizione sulla soglia della camera dell'alloggio di Pandia. Dopotutto ci eravamo riunite lì perchè lei ce lo aveva chiesto ed appena apparve sia Partenope che Iuventas balzarono in piedi correndole incontro e saltandole addosso.
    "O-Ok... o-ora soffoco però!"
    La sentì esclamare, mentre staccandosi un po' dalle due ancora le guardava sorridenti, fu quando però incontrò il mio sguardo che si fece duro. Così come il mio. Iuventas e Partenope si fecero da parte fissandoci preoccupate. Né io né Pandia parevamo intenzionate a fare un passo in avanti, entrambe rigide nelle nostre posizioni e silenziose.
    "Cerere..." esclamò lei. Quasi a voler testare come avrei reagito a sentirle dire il mio nome, ma fu quando fece un passo verso di me che alzandomi, in modo del tutto inatteso, le corsi incontro e con le lacrime agli occhi l'abbracciai.
    "Mi sei mancata da morire!"
    "Anche tu!" mi sussurrò all'orecchio poggiandomi una mano sulla testa ed abbracciandomi stretta, tanto che Iuventas e Partenope non poterono fare a meno di aggiungersi.

    Rimaste sole io e Pandia stavamo camminando per i corridoi della guarnigione e per un attimo mi sembrò così surreale che dovetti darmi un pizzicotto per capire che fosse vero.
    "Voglio chiederti scusa... insomma a tutte voi... l'ho già fatto vero, ma... nei tuoi confronti mi sento come se ti avessi scaricato tutte le responsabilità e me ne fossi lavata le mani... non mi fa sentire bene, non mi piace l'idea che tu pensi che ti abbia abbandonata..."
    Era un dato di fatto che Pandia mi aveva sempre considerata la sua seconda in comando, non era raro che spesso lasciasse a me la leadership se doveva assentarsi o semplicemente se dovevamo dividerci. Ora però avevo avuto quell'incarico per un periodo infinitamente lungo.
    "Siamo Sailor ed io ho fatto solo ciò che era giusto, ma non credo di essere alla tua altezza... credo che mai le altre mi abbiano odiato tanto come in questo periodo..."
    Le confidai a testa bassa e lasciandomi andare ad un sorriso che quasi stonava sul mio viso sempre contratto. Fu allora che Pandia si fermò e voltandosi verso di me, mi prese le mani nelle sue.
    "Non ti colpevolizzare... tu e Vesta non siete le prime sorelle che litigano..."
    "Non così però!"
    "Oh perchè tu non hai mai visto l'inizio del rapporto tra me e Selene"
    Lo disse in un modo che fece scoppiare a ridere entrambe. Ancora ero scossa da ciò che aveva confidato a me e le altre poco prima, ma adesso comprendevo meglio le sue azioni.
    "Avrei voluto solo che... bè che ce lo avessi detto... non ti avrei odiata così tanto..." le confidai facendo riferimento alla verità.
    "Lo so... solo che... era come se nemmeno io lo volessi accettare. In questo anno non mi sono sentita io. Capisci? Mi sono sentita un'estranea che viveva una vita non sua... ci ho messo molto a scendere a patti con questa situazione e l'ho fatto nel modo sbagliato. Chiudendomi a riccio... dandovi l'impressione che non avessi bisogno di voi o che mi importasse di voi, ma... ma non era così..."
    Adesso la voce di Pandia si stava facendo agitata e i suoi occhi lucidi, mentre io allungai una mano sulla sua spalla toccandola. Oh per tutti gli Dei, io sapevo come si sentiva. Lo sapevo eccome. Solo che entrambe eravamo state le solite zuccone che si tengono tutto dentro e bè i risultati si erano visti no? Entrambe avevamo allontanato chi più amavamo.
    "L'amore va oltre le scelte che facciamo... ora lo capisco..."
    Pandia mi sorrise a mo di ringraziamento e poi entrambe tornammo a camminare una di fianco all'altra. Avevamo ancora molto da dirci.

    La sospensione dei patti di Saturno era giunta come una notizia a ciel sereno, ma ancor più era stato scoprire che le figlie di Selene ed Endymion erano scomparse e che l'ultima persona vita con loro era stata niente di meno che Vesta.
    Se c'era una cosa che mi metteva più ansia dell'incontro che stavano organizzando con il Dio Oscuro in combutta con i Devianti, era che gli stessi avrebbero collaborato con i Moon Knight per riscattare le bambine mentre loro avrebbero portato avanti lo stesso.
    L'ordine era chiaro, recuperarle ad ogni costo e dunque considerare ufficialmente Vesta una nemica. Tuttavia non potevo togliermi dalla mente le condizioni di Horus e come anche lei era stata una vittima del Dio, motivo per cui avevo supplicato -cosa che non mi apparteneva- di poter cercare io stessa Vesta e salvarla. Non volevo che l'unica opzione fosse abbatterla.
    Helios non era molto concorde con la mia proposta e nemmeno Endymion, ma Selene accettò la contrattazione di Haytham che si era proposto di accompagnarmi nell'impresa. Mentre loro avrebbero tenuto occupato il Dio Oscuro e i Moon Knight scortati dai Devianti avrebbero salvato Ecate ed Artemide, noi ci saremmo occupati di Vesta. Ma le premesse erano chiare, se per qualsiasi ragione lei avrebbe ferito o ucciso anche un solo Eterno, allora niente l'avrebbe resa salva dall'accusa di tradimento e conseguente pena capitale.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 9/12/2020, 18:46
     
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    Annarita
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    :Haytham:
    Organizzare la spedizione verso il Pianeta Proibito non era stato semplice, avevo dovuto tenere conto di talmente tante variabili che non ero certo di essere stato impeccabile. La mia lucidità era stata messa a dura prova da un delirio assoluto: Cerere ferita, Cerere persa e ritrovata, Cerere devota ciecamente alla ricerca e alla salvezza di sua sorella, la stessa che l’aveva ferita. Cerere era diventata la costante dei miei pensieri più febbrili, ma grazie al mio ferreo autocontrollo ero riuscito a tenere i ranghi. Subito dopo la mia costante, erano venuti fuori problemi diversi, strani, a cui avevo potuto – e voluto – dedicare poca riflessione, come per esempio le sensazioni che un ritorno sulla Terra avrebbe potuto provocarmi. Erano centinaia di anni, da quando avevo terminato il reclutamento di alcuni dei miei uomini e donne più fidati, che non vi mettevo piede. I ricordi avrebbero fatto capolino? Il passato avrebbe spinto per ritornare a galla? Queste e altre domande parevano aleggiare ai margini della mia coscienza ed io non avevo avuto alcuna intenzione di dedicarci momenti preziosi del mio tempo, che avevo deciso di votare interamente alla ricerca di Vesta e alla conseguente soddisfazione di Cerere.
    Tuttavia, nonostante tutti i miei sforzi di non pensarci, era stato direttamente il passato a bussare alla mia porta, o almeno una sua rappresentazione collaterale… ma comunque abbastanza potente da impedirmi di mettere in atto i miei tentativi di ignorarlo.

    Avevamo parlato con gli Imperatori e i Principi, ci avevano accordato il permesso di partire, Cerere ed io solamente, alla volta della Terra per rintracciare Vesta e riportarla a casa. L’idea che fosse sotto l’effetto manipolatore del Dio Oscuro – così com’era accaduto anche al Compagno Alato del Generale dei Moon Knights – era molto probabile, ma volevo convincermene in prima persona. Avevo avvisato Cerere di non farsi illusioni, la possibilità che la sorella avesse seguito il nostro nemico di sua spontanea volontà era concreta. Era stato inutile, lei ne era convinta, ma almeno essendo al suo fianco avrei potuto proteggerla da qualsiasi attacco o delusione. Certo, non sarebbe stato facile recuperare i cocci di una illusione infranta, ma ci avrei pensato al momento opportuno. Avevo notato gli sguardi di sorpresi di molti – anche se non di tutti – quando mi ero proposto per accompagnarla in questa missione. Io, che della Terra, non ne avevo mai voluto sentir parlare… Ma non mi interessava ciò che avevano pensato, se avevano intuito o meno il mio coinvolgimento con Cerere, ero fiero di aver portato a casa questa piccola vittoria.
    Avevo appena ricevuto le ultime notizie da parte di Mariko, i miei occhi e le mie orecchie dietro le linee nemiche terrestri. Fin da quando Cerere aveva chiesto il mio aiuto, avevo da subito pensato a lei e alle sue straordinarie abilità nelle operazioni segrete: era perfetta per recuperare informazioni tanto sensibili. Aveva individuato Vesta, o almeno una dell’ultime posizioni in cui era stata. Da quel luogo – un parco non molto distante dal quartier generale che le Guerriere avevano utilizzato durante il periodo di folle diserzione – la sua traccia energetica era come evaporata. Il ritorno alla base delle Sailor aveva fatto tirare un sospiro di sollievo generale, così come la mancanza di conseguenze tangibili, che fosse una punizione per loro o una guerra aperta con i Devianti… Di tutto ciò, poco me ne importava, ma le informazioni che avevano portato con sé erano tornate molto utili anche a noi. Cerere ovviamente aveva fatto da tramite tra loro e i Templari, per questa ragione non mi aspettavo la visita che ricevetti pochi minuti prima dell’imbarco. Un leggero toc-toc alla porta del mio studio mi fece alzare un sopracciglio: nessuno bussava con tanta “grazia”.
    “Avanti!” concessi, curioso di conoscere chi si celava dietro l’uscio. Quando ne riconobbi l’identità non riuscii a evitare che la stilografica mi sfuggisse dalle dita.
    “Gran Maestro Kenway, mi dispiace molto disturbarti in momenti tanto febbrili, ma ho necessità di parlarti di una questione urgente. Questione che preferisco riferire a te e non a Cerere, così che tu possa gestirla nel modo che ritieni più opportuno.”
    La voce di Athena, Guerriera di Mercurio, moglie di mio figlio Connor, madre di mia nipote Cloe era pacata, bassa, ma con una nota di decisione che attirò subito la mia attenzione. In un istante infinito, mi resi conto di tutti i collegamenti che la mia mente aveva fatto non appena era entrata in contatto con il suo sguardo quieto, ciò nonostante, non diedi a vedere la mia breve esitazione, forse era stata solo nella mia testa… arrivare a sperarlo era davvero troppo per me.
    “Nessun disturbo, sono certo si tratti di una questione di vitale importanza, la tua saggezza ti precede. Ti ascolto.” Con un gesto la invitai a sedersi su una delle poltrone in pelle di fronte alla scrivania, mentre io facevo altrettanto sulla mia al di qua di una barricata immaginaria. Senza volerlo, desideravo mantenere una distanza su ogni fronte… come se temessi un colpo basso. Colpo che non sarebbe di certo partito da lei…
    La osservai accomodarsi con grazia innata, le mani in grembo, i suoi occhi intensi sempre puntati nei miei chiari e indagatori.
    “Mi corre l’obbligo di avvisarti che anche un Assassino è sulle tracce di Vesta. Sembra che si siano conosciuti in circostanze particolari, che voglia aiutarla tanto quanto Cerere. Così, in un determinato momento, parlando con lui, gli ho fornito la sua ultima posizione.” Alzai nuovamente il sopracciglio, mostrando con evidenza la mia perplessità e… qualcos’altro.
    “Ammiro molto la tua capacità di riuscire a dire tutto senza dire nulla. Fai bene, i dettagli di tali circostanze non mi interessano, anzi non devono interessarmi così possiamo continuare a evitare conflitti di interessi fin troppo spinosi. Qual è il nome di questo Assassino? E soprattutto, sa del nostro arrivo?” Dovevo capire se avrei dovuto considerarlo un ostacolo, un pericolo… o un alleato. Questa eventualità mi faceva storcere il naso, ma in fondo, tutta quella missione rappresentava una grande incognita. Per Cerere, mi stavo costringendo a tenere aperta ogni possibilità.
    Athena mi guardò di sottecchi, probabilmente cercava di valutare la mia reazione e la sua prossima mossa.
    “Arno Dorian. E no, non sa del vostro arrivo, ho parlato con lui prima di sapere della vostra missione. Ero convinta che l’Impero avrebbe abbandonato Vesta, vista la sorte di Horus, perciò ho pensato che questa persona avrebbe potuto provare ad aiutarla, in qualche modo.” Aveva lanciato quella sentenza con una naturalezza che mi fece alzare anche l’altro sopracciglio.
    “Cerere non l’avrebbe mai abbandonata, ma immagino che non si poteva prevedere una missione semi-ufficiale di recupero” sentenziai a mia volta. “In ogni caso, il luogo che gli hai fornito corrisponderà con certezza alla nostra destinazione. Hai utilizzato il rilevatore di Eterni per seguire la traccia di Vesta, corretto?” La vidi annuire piano, come se considerasse la mia domanda fin troppo scontata. Io scossi il capo, nel tentativo di farmi scivolare di dosso la sensazione di disagio che sentivo arrampicarsi lungo la spina dorsale. “Non è detto che ci incontreremo, le variabili sono infinite, ma se dovesse accadere valuterò al momento la situazione e deciderò il da farsi. Grazie infinite per l’informazione.” La mia voce non aveva cambiato tono, eppure fu il turno di Athena di dimostrare la sua perplessità alzando un sopracciglio. Non riusciva a interpretarmi e per lei non doveva essere una sensazione familiare. “Non lo attaccherò a prima vista, puoi star tranquilla. Gli darò la possibilità di esprimersi e solo dopo capirò se catalogarlo come un nemico o un alleato.” Non so perché le diedi quella ulteriore specifica, ma sembrò comunque sollevarla. Il suo viso si distese in un sorriso conciliante, mentre si alzava e si preparava ad accomiatarsi. Prima che uscisse dallo studio, la bloccai con un quesito improvviso. “Perché hai deciso di riferire tutto a me e non a Cerere?”
    “Nonostante tra noi non dovrebbe correre buon sangue?” Il resto della frase era chiaramente sottointesa.
    “Perché sono convinta che tu avrai la maturità giusta per affrontare una circostanza tanto complessa, superando anche eventuali pregiudizi in virtù di ciò che ti ha spinto a seguire Cerere in questo incarico.” Un oracolo sarebbe stato più chiaro, ma arrivai al significato delle sue parole con qualche attimo di ritardo. A quel punto, Athena, Guerriera di Mercurio, moglie di mio figlio Connor, madre di mia nipote Cloe, era già sparita nel corridoio, lasciando dietro di sé un’aura molto più pregnante di quanto avessi mai potuto immaginare.


    Il viaggio procedeva tranquillo, anche se Cerere tradiva la sua ansia muovendo il piede ritmicamente e tamburellando le dita sul ginocchio. Misi la mia mano sulla sua, bloccando ogni movimento.
    “Andrà tutto bene…” Lei si girò di scatto, sorpresa di sentirmi pronunciare parole tanto strane. Non ero solito abbandonarmi a rassicurazioni vuote e prive di fondamento. Da qualche parte, però, un barlume di certezza tentava di farsi spazio tra le pieghe della mia pragmaticità. Le sorrisi appena, intrecciando al contempo le nostre dita. Appoggiò la testa sulla mia spalla, approfittando del fatto che eravamo soli nella cabina passeggeri per abbassare la maschera. Con me, sapeva bene, poteva essere se stessa, anche se – dovevo ammetterlo – sarebbe stato divertente vedere le espressioni degli ignari membri dell’equipaggio nel vedere il Gran Maestro Kenway e la Guerriera Cerere in un atteggiamento tanto “rilassato”.
    Le avevo riferito della possibilità che al parco avremmo potuto trovare un terzo avventore, ma non avevo specificato da “chi” avevo ricevuto questa informazione, non mi era parso rilevante. Insieme, avevamo concordato che avremmo ascoltato ciò che l’uomo aveva da dire per poi decidere il da farsi… Ero rimasto soddisfatto della reazione di Cerere, la sua lucidità – nonostante il momento non felicissimo – continuava a essere salda e noi due proseguivamo sulla stessa lunghezza d’onda.
    “Secondo te, come si sono incontrati Vesta e questo Assassino?” La domanda di Cerere era arrivata dopo lunghi minuti di silenzio totale.
    “Posso immaginarlo, ma non l’ho chiesto, ho creduto fosse meglio non approfondire questi dettagli… però, potresti domandarlo tu a lui, semmai dovessimo incontrarlo…”
    “Lo farò! Ma soprattutto gli chiederò che cosa vuole da mia sorella!”
    Scossi il capo, divertito dal suo piglio geloso. Cerere era unica, meravigliosa, forte, leale. Era l’unica donna che sarebbe mai potuta stare al mio fianco… che vedeva la vita così come io la vedevo. I nostri occhi avevano il medesimo filtro e così sarebbe stato per sempre, non c’erano alternative.
    “Ti coprirò le spalle, mentre lo torchierai…” le risposi sogghignando, segretamente soddisfatto semmai fosse riuscita a strapazzare un po’ l’Assassino. Ma non mi azzardai ad andare oltre con i pensieri… “Intanto riposa, ci aspettano momenti impegnativi…” la invitai con un tono più morbido.
    “La troveremo e la salveremo, vero?”
    “Se non dovesse accadere non sarà per colpa tua o nostra, ci avremmo comunque provato con tutte le nostre forze!” E ancora, segretamente, sperai che non mi sarei trovato a raccogliere quei dannati cocci, le illusioni infrante sapevano essere molto taglienti.
     
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    :Cerere:
    L'attesa in quella fredda notte di Dicembre mi stava gelando il sangue nelle vene e non riuscivo a capire se ciò era dovuta alla temperatura, il termometro toccava gli 0° gradi, oppure molto semplicemente era perchè una paura irrazionale mi toglieva gran parte di quella lucidità che ero solita avere.
    "C-Come fanno a vivere con questo freddo io non lo capisco!" mormorai spazientita seduta con Haytham su una delle panchine del luogo ove a quanto pare avremmo potuto incontrare l'assassino Dorian e successivamente con lui addentrarci in quel grandissimo posto, lì dove percepivo viva l'aura di Vesta. Vibrante, calda, ma con una nota che non sapevo decifrare ed in parte mi terrorizzava.
    "Non è così male... e l'aria preannuncia neve..." mormorò lui con le mani in tasca e lo sguardo al cielo. Un sorriso melanconico lo disegnava ed io lo osservavo curiosa. Spesso dimenticavo che lui aveva avuto tutta una vita intera prima di me. Perfino un figlio. Lui mi aveva detto di ignorarlo, di pensare unicamente e completamente alla nuova vita che insieme avremmo costruito, ma per quanto potessi farlo la Terra era e sempre sarebbe rimasta la sua casa. La culla dei suoi ricordi.
    "Ti piacerebbe sai? La neve intendo..." concluse voltandomi a guardarmi ed io mi persi in quei suoi occhi scuri contornati da rughe d'espressione le stesse che accarezzai con la punta delle dita ormai infreddolite.
    "Dici? Vengo da un pianeta dove la temperatura minima è quasi 300° gradi... non credo mi abituerei a questo freddo glaciale..." osservai in modo ironico, anche se in realtà ero stata anche su pianeti ben più freddi, fortunatamente solo 2 volte in tutta la mia vita.
    La nostra però semplice chiacchierata era stata solo un'escamotage per calmare i miei nervi, mentre stretta a lui notai in lontananza una figura incappucciata avvicinarsi. Entrambi balzammo in piedi con fare feline, ci distanziammo e con atteggiamento altero osservammo l'uomo che ci raggiunse.
    Haytham sembrò per un micro istante avere un tremito, era da molto che non vedeva oggettivamente un Assassino e questo sembrò provare lo stesso alla presenza di un Templare.
    "Sei la sorella di Vesta?" mi chiese ignorando del tutto l'uomo al mio fianco.
    "Sei l'assassino Dorian?" risposi ponendogli una domanda a mia volta. Avevo le braccia conserte e non solo per scaldarmi, ma anche dimostrare tutto il mio disappunto.
    Mi ero già preparata a criticarlo, a tirar fuori qualcuna delle mie frasi al vetriolo tipo "Vorrei capire cosa ci abbia trovato mia sorella in un misero terrestre come te", ma quando si tolse il cappuccio rimasi ammaliata dai suoi occhi color oceano.
    Deglutì e non mi accorsi di rimanere a fissarlo più di quanto avrei dovuto, totalmente ammutolita.
    "O-Ok... direi che posso capire i motivi che posso aver spinto mia sorella ad approcciarsi a te..." osservai. Ero pur sempre una venusiana, apprezzo molto il bello, ma questo Haytham sembrò non apprezzarlo visto che mi fissava del tipo "davvero? stai davvero flirtando con lui?"
    "Capirai bene che oltre gli ovvi motivi..." ed eccomi lì a rimarcare quanto fosse sexy e perchè capivo perfettamente perchè mia sorella non se lo fosse fatto scappare "... ehm vorrei saperne un po' di più... Mia sorella ha standard molto alti, ma sembra non averci pensato due volte a correre da te dopo che..." istintivamente mi toccai il braccio lì dove la bruciatura pulsava sotto la manica.
    Lui, Pandia, le altre Sailor... tutti sembravano essere stati capaci si arrivare al cuore di mia sorella, tanto che lei si era aperta. Li aveva fatti entrare. Tutti tranne io. Cosa avevo sbagliato? Questo continuavo a chiedermi incessantemente.
    "Una Dea deve avere per forza standard molto alti, altrimenti non sarebbe una dea, non credi? Tuttavia, non so perché è nato questo qualcosa... non so nemmeno come chiamarlo... è talmente embrionale da far sembrare tutto questo ancora più folle. Ti vuole bene, tanto, mi ha parlato di te anche se nel suo modo contorto..."
    Le sue parole mi colpirono in un modo che non seppi spiegare e non solo perchè il suo sguardo mi aveva rapito, ma perchè avevo compreso quanto il suo sentimento fosse vero. Acerbo forse, ma genuino. Vesta da sempre era rifuggita da chi potesse davvero regalarle qualcosa di puro e vero, quasi pensasse che la sua natura venusiana dovesse essere enfatizzata solo con gli eccessi. Spesso avevo tentato di farle comprendere le differenze ed oggi capivo che quello era stato il mio errore.
    Dovevo aiutarla ad accettare il suo essere una meticcia e magari chiedere ad Iuventas di fornirmi supporto in questo percorso. Entrambe avremmo potuto farle comprendere i suoi due lati e lei avrebbe imparato a conviverci. Quanti errori avevo commesso ed ora li vedevo tutti. Chiaramente.
    "Se non sapessi che sei un terrestre oserei dire che sei un venusiano..." era il complimento più alto che potevo fargli e se lui poteva non averlo compreso, Haytham al mio fianco si irrigidì alquanto infastidito.
    Feci un passo in avanti come a chiedere ad Arno un po' di privacy e a quel gesto Haytham mi strattonò per un braccio, perdendo la sua fantomatica calma e avvicinandosi mi sussurrò qualcosa affinché solo io potessi sentirlo.
    "Qualsiasi cosa devi dirgli puoi dirla anche di fronte a me..."
    "E qualsiasi cosa lui debba dirmi credi che sarà disposto altrettanto a farlo di fronte a te?" la mia domanda pungente lo irrigidì e con un assenso un po' infastidito mi lasciò andare, mentre io raggiungevo Arno ed entrambi ci allontanammo di pochi passi.
    "Perdona la mia confusione, solo... solo sei qualcosa che per anni auspico per Vesta, tutto ciò che ho sempre voluto trovasse, ma da cui è sempre rifuggita..." alzai gli occhi al cielo. Stavano divenendo lucidi e non volevo li vedesse, mentre i primi fiocchi di ciò che chiamavano neve iniziarono a scendere. Sorrisi. Aveva ragione Haytham, probabilmente mi sarebbe piaciuta. Era così magica, creava un'atmosfera che mai su molti mondi avevo visto nemmeno quelli ghiacciato ove la neve era perenne ma mai l'avevo vista scendere dal cielo.
    "Come sta?" esclamai mai poi improvvisamente incrociando il suo sguardo, uno che mi dava una calma ed una fiducia che era raro trovassi in altri che non fossero le pochissime persone a cui volevo bene.
    "Lo prendo come un complimento..." lo vidi tentare di dire per esorcizzare un disagio che era palpabile. Per lui, quanto per me.
    "Quando siamo stati assieme, lei... lei era triste, amareggiata, mi ha detto che era venuta qui per risolvere tanti casini che ha combinato, soprattutto desiderava non deludere più le persone a lei care... Ci eravamo lasciati con la promessa che sarebbe venuta con le sue sorelle a liberarci... ma lei non c'era... l'ho cercata dappertutto, ma non l'ho più vista..."
    Lo vidi dire tutto in un fiato, quasi avesse paura che se si fosse fermato non sarebbe riuscito a confidarmi ogni cosa. Mi sentivo in dovere di metterlo al corrente, se davvero così tanto stava rischiando per lei allora... bè non potevo tagliarlo fuori non quando percepivo l'aura che li univa. Un venusiano capiva quando due persone erano legate, quando il loro legame era ineluttabile ed il loro lo era.
    "Devi capire una cosa Dorian... Vesta... Vesta non è una venusiana, non completamente. Per metà è marziana e... se per te questo non significa nulla, per lei è stata una croce. Additata, giudicata, sempre sotto i riflettori per una bellezza che per Venere non è canonica. Lei è sempre rifuggita da ciò, più la giudicavano e più lei faceva ogni cosa possibile per mostrare che fosse una venusiana pura, anche sbagliando. Io mi sento colpevole perchè seppur l'ho sempre protetta da tutto e tutti non mi sono mai sforzata a farle capire quanto non dovesse colpevolizzarsi... Credo che il Dio Oscuro, una minaccia contro la quale combattiamo da circa un anno e che subdolamente è sempre stato avanti a noi, abbia saputo circuirla per questo. Prima pensavamo mirasse agli Eterni, ma ora sembra che anche i Devianti siano di suo interesse... vuole distruggere tutto e per farlo non si preoccupa di aggirare le persone che, come Vesta, sono piene di dubbi e paure. C'è chi sussurra, nei corridoi reali, che mia sorella abbia tradito per sua volontà, ma io non ci credo. Il Dio le è entrato in testa ed io devo salvarla prima che non ci sia più nulla da salvare... gli ordini sono chiari Dorian, se lei agirà contro anche solo un'Eterno deve essere uccisa!"
    Avevo la gola secca per quanto avevo parlato e per come lo avevo fatto a briglia sciolta, ma... era giusto. Doveva capire ogni singolo dettaglio di quella questione e soprattutto comprendere che una volta entrato non avrebbe potuto tirarsi indietro. Se per Vesta significava così tanto come vedevo, bè perderlo perchè non era stato in grado di farsi carico di lei e delle sue debolezze, l'avrebbero definitivamente distrutta. Ed allora sì, più nulla ci sarebbe stato da salvare.
    Silenziosamente ed attentamente l'Assassino mi aveva ascoltato e mi parve scorgere nel suo sguardo maggior chiarezza, mista a maggior decisione. Inutile dirlo, lo apprezzai assai.
    "Grazie per avermi raccontato tutto questo. La situazione è molto più complessa di quanto avessi immaginato. Tu sei un'Eterna, il tuo compagno non mi sembra... è un Templare... ma se lo fosse, il mio consiglio sarebbe quello di allontanarvi. Se dovesse tornare qui, come credo, proverò a farla ragionare io. arrivasse a ferire me, nessuna conseguenza ci sarebbe per lei. Sono un terrestre e ho poco valore per voi Dei. Se invece dovessi riuscire a rompere il giogo del vostro nemico, lo scopo sarebbe raggiunto e lei sarebbe salva. Che ne pensi?"
    Ascoltai la sua proposta con attenzione, ma speravo mi capisse, era mia sorella. Dovevo e volevo provare io il primo approccio.
    "Vorrei che tu ed Haytham rimaneste nascosti... proverò io ad approcciarla... è ovvio che lo farei e se mai mi attaccasse non lo rivelerei mai... ma sì... se dovessi fallire... allora Dorian, ripongo tutte le mie speranze in te!"
    "Capisco... capisco ciò che vuoi dire. Sarò pronto a uscire allo scoperto non appena mi renderò conto che avrai risolto la situazione o nel caso in cui proverà anche solo ad alzare un dito per attaccarti. Oggi, nessuno dovrà farsi del male!"
    Percepivo quanto la cosa non lo entusiasmasse, ma ero assai lieta che avesse compreso quanto per me fosse importante. Lo ringraziai con lo sguardo e prima di proseguire gli chiesi di aspettare. Mi faceva ridere questo dover fare da traghettatore, ma volevo che entrambe le parti fossero calme e concentrate prima di agire e così tornai da Haytham.
    In lontananza vidi Dorian voltarsi di spalle e poggiarsi con una spalla al tronco dell'albero, al che avvicinandomi ad Haytham nervoso lo vidi far saettare lo sguardo dall'assassino a me.
    "Possiamo procedere o avere bisogno di altra "privacy?" me lo chiesi con un tono che per un attimo mi strappò un ghigno.
    "Uhm qualcuno qui è geloso?"
    "Ti sembra tanto strano? Sei la mia donna e lui è mio nemico naturale, dovrei fare anche i salti di gioia?"
    "Hai dimenticato di aggiungere che è anche molto carino..."
    Lo vidi sbuffare spazientito, mentre io tentavo di reprimere un sorriso. Mi faceva strano vederlo così, ma mi piaceva. Molto. Troppo. E ringraziavo che fossimo in missione e che tutta la mia attenzione fosse per Vesta, altrimenti il suo atteggiamento mi avrebbe accesso pensieri poco casti che... stavo già facendo, ma dovevano aspettare per essere soddisfatti.
    "Non ho certi gusti, quindi questi giudizi non spettano a me" si irrigidì indispettito, voleva nascondere la sua gelosia, ma la sua calma stava vacillando "A me sembra un poppante a dirla tutta, ma possiamo tornare a discorsi seri tipo: come siete rimasti?"
    Il mio sguardo carico di desiderio celava mille promesse che ero certa non vedesse l'ora di vedere soddisfatte, ma intanto tornai con la mente alla missione voltandomi ad osservare l'assassino alle mie spalle.
    "Seguiremo l'energia di Vesta è qui... da qualche parte in questo immenso parco... l'approccerò io... tu e lui rimarrete nascosti, in caso... bè in caso ce ne sia bisogno, ma se le cose non andranno come previsto... bè lasceremo che sia Dorian a gestire la situazione..."
    Il che mi avrebbe ferito, non per l'assassino, ma per la consapevolezza che io non potevo far più nulla per Vesta.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 16/12/2020, 19:36
     
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    Una volta che tutto fu chiarito insieme ad Haytham ed Arno ci inoltrammo nel parco. I sensi di tutti erano allerta, quasi temessimo che da un momento all'altro qualcuno avrebbe potuto uscire e coglierci in fallo ed il fatto che non accadde, se possibile, aumentò l'ansia. Quella calma apparente appariva come quella prima di una tempesta ed io sentivo un nodo in gola che sempre meno mi faceva respirare.
    Seguivo l'aura di Vesta percependola debole, affaticata, come se fosse sì la sua, ma in egual misura no. Non sapevo spiegarlo, era complesso, difficile. Temevo cosa avrei trovato e quando una figura apparve di fronte a noi, tutti ci fermammo come congelati.
    Una figura di spalle stava in piedi nel centro di una radura circondata da alberi che si stavano colorando di bianco, mentre lei con il naso all'insù pareva persa nella suggestione del momento.
    La guardai con la paura di avanzare, ma voltandomi verso Haytham ed Arno chiesi silenziosamente ad entrambi di nascondersi, mentre camminando verso Vesta ripassavo mentalmente cosa dirle, come approcciarmi, ma lei sembrò anticiparmi e voltandosi mi fissò. Il capo piegato da un lato, lo sguardo fisso ed un gelo che non le apparteneva ad appannare le sue emozioni.
    Vederla in quel modo mi vennero i brividi, come lo fece il non sentire il suo tradizionale calore circondarla.
    Sapevo che dovevo essere forte, ma ad ogni passo verso di lei tutte le mie certezze crollavano, così come la mia fede nel salvarla.
    "Hai disertato per questo?" chiesi cercando di mantenere un minimo della mia fermezza. Alzai le mani ad indicare la desolazione che ci circondava.
    "Permettimi di aiutarti, qualsiasi cosa LUI ti abbia fatto possiamo affrontarla... insieme..."
    Lei mi fissò tra l'incuriosito ed lo spaesato, sembrava non capire l'ironia delle mie parole. Come qualcuno che mai aveva provato emozioni umane.
    "Cosa intendi per questo?" mi chiese sprezzante con tono atono.
    "Se non comprendi quello che sta succedendo, non parlare! Sono stanca dei tuoi atteggiamenti da maestrina, e inoltre non ho bisogno di aiuto. So pensare a me stessa"
    Il modo in cui mi riprese, in cui mi attaccò era pieno di un odio ed un'aggressività che non le apparteneva tanto che dovetti lottare per non retrocedere quando lei urlandomi addosso quelle parole era avanzata verso di me.
    "Non devi fare tutto questo"
    "Sì invece"
    "Perchè? Perchè te lo dice quel Dio o chi si vanta di essere? Ti sta usando tu sei u..."
    "Una di noi?"
    "Siamo un f..."
    "Siamo una famiglia?"
    All'unisono: "Ci proteggiamo a vicenda fino alla fine!?"
    Di fronte a quello scambio di battute rimasi pietrificata. Non era tanto il fatto che si stesse comportando in quel modo, quanto il fatto che aveva anticipato ogni mia parola e non lo aveva fatto solo in modo preciso, ma anche come a deridermi. A prendersi gioco di me e non era da lei.
    Strinsi i pungi lungo i fianchi così forte da ficcarmi le unghie nei palmi, mentre me ne fregavo di nascondere quanto male stessi lasciando che le lacrime mi solcassero le guance. Mi stava ferendo e volevo che lo vedesse, che vedesse quanto mi uccidesse.
    "Perchè fai così? Perchè? Ti voglio bene Vesta e sono qui per questo..."
    Mi alzai la manica del cappotto che indossavo perchè volevo che guardasse lo sfregio che mi aveva causato. Solo noi potevamo sapere quanto fosse grave, solo noi potevamo capire quanto ciò che facevo mostrasse le mie parole.
    Per quello che aveva fatto, se avessi dovuto comportarmi da pura venusiana avrei dovuto disprezzarla, odiarla, urlare in faccia che non era più parte della mia famiglia, della mia vita, che l'avrei ripudiata a vita... ed invece...
    "Non me ne frega nulla di questo, hai capito? NULLA! E sai perchè? Perchè l'amore che provo per te va oltre..." e a quel punto un sorriso amaro mi comparve sulle labbra, lo avevo detto a Pandia solo qualche giorno prima... lei mi aveva aiutato a capire. A comprendere le limitazioni che spesso, da venusiana, avevo... io che mi vantavo di capire, comprendere e sapere cosa l'amore fosse.
    La risata di Vesta squarciò il silenzio e distrusse il mio cuore, mentre guardandomi con cattiverai mi trafisse come una lama affilata ad ogni parola che decise di scagliarmi contro "Sei patetica. La famiglia non ha nessuna importanza, se non ti aiuta, ti migliora. E tu non hai mai voluto che riuscissi a riscattarmi in qualche modo. Ma ora..." Sorride. "... ora so cosa fare. Ti stupisci che abbia anticipato i tuoi discorsi? Vuoi sapere come ho fatto?"
    Il suo atteggiamento era compiaciuto, tronfio, di cui si sente potente e capace di tutto "Conosco già tutto quello che succederà! LUI me lo ha detto! Che saresti arrivata, che avresti tentato di convincermi, di farmi sentire in colpa. Aveva previsto le tue argomentazioni insulse, le esatte parole che avresti usato. Non puoi niente contro di me, perché lui mi aiuta. E neanche loro hanno alcuna speranza!"
    La vidi girarsi fulminea e lanciare le sue lingue di fuoco che per poco non colpirono e ferirono i due uomini, solo per il semplice fatto che si erano spostati in tempo. Al che io tentati di usare il mio poter per "fermare il tempo" o meglio solo lei e bloccarla, portarla via se necessario, ma lei me lo impedì alzando una mano. Galleggiai a mezz'aria, mentre portandomi le mani alla gola cercai disperatamente di respirare, mentre sentivo una mano invisibile soffocarmi.
    "V-Vesta... P-Per f-favore..." la supplicai cercando di farla ragionare, ma lei strinse sempre più forte tanto che iniziai a vedere tutto scuro. Non volevo perdere i sensi, volevo esserci, combattere per lei, ma... ma non ce la facevo "V-Vesta t-ti v-voglio b..."
     
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    Annarita
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    Un Templare. Ero nascosto dietro un muretto con pietra a vista, decorato da un cespuglio di siepe verdissimo, sormontato da una prima spolverata di neve candida… assieme a un Templare. E non uno qualsiasi. Si trattava del padre di Connor e del figlio di Edward: era il Gran Maestro Haytham Kenway. Non lo avevo riconosciuto subito, tutto il contrario, fino a quando Cerere non lo aveva chiamato per nome, lo avevo considerato un Templare d’alto rango e stop. Dopo… dopo averlo saputo, il mio atteggiamento non era cambiato molto, mi ero limitato a ignorarlo. Non lo conoscevo, ma era un mio nemico giurato. Rivedere la croce Templare dopo così tanti anni fu strano, inquietante. La sua non era molto grande, scarlatta come il sangue e luccicante come le stelle. La portava appuntata al cappotto scuro, a mo’ di mostrina, in bella vista; era assicurata a una sottilissima catenella d’oro che spariva sotto la giacca. Era chiaro che l’aveva tirata fuori di proposito, normalmente l’avrebbe tenuta nascosta, com’era loro costume. Era un avvertimento per il sottoscritto. Un Assassino e un Templare, spalla contro spalla, questa volta lottavano per un unico scopo. Non per la stessa donna, ma da un certo punto di vista era un po’ come se lo fosse.
    Cerere. La sorella di Vesta. Avevo fin dall’inizio compreso quanto le volesse bene, era lampante, tanto quanto era cristallino il rapporto di complicità che la legava al Gran Maestro. Lui seguiva lei, lei voleva salvare Vesta, Vesta era colei che io ero venuto a cercare… anche se non avevo idea in quale terribile posizione si trovasse. Il sunto di tutta questa follia era più chiaro di quanto si potesse immaginare: dovevamo diventare tutti improbabili alleati per raggiungere il nostro unico scopo.
    Kenway – quanto strano mi sembrava anche solo pensare a quel cognome per me così famigliare? – era chiuso nel suo silenzio meditabondo. Era tutto concentrato sulle due donne che si fronteggiavano, ma Cerere non sembrava star avendo molto successo… Io, d’altro canto, fissavo una Vesta che non riuscivo a riconoscere. Era di profilo, perciò potevo solo intravedere l’espressione del suo viso, ma le sue parole… quelle sì che erano agghiaccianti. Seguivo le movenze del corpo sinuoso, fasciato da una specie di armatura rosso fuoco – forse la sua divisa da Guerriera – spezzata da un mantello bianco come la neve, che veniva giù dal cielo sempre più copiosa.
    Capii che ci avrebbe attaccato un attimo prima che il Templare entrasse in azione. Lo avevo sentito borbottare un “Adesso basta!”, il suo corpo era teso verso Cerere, che pareva annaspare in cerca di una soluzione convincente per riportare alla ragione una Vesta potentissima e assolutamente fuori controllo.
    “Via!” gli urlai, spingendolo per una spalla e lanciandomi sul lato opposto. L’esplosione mandò in frantumi il muretto e la siepe, spargendo la neve intorno sotto forma di frecce ghiacciate. Mi coprii il viso per proteggerlo, mentre il cuore batteva forte nel petto. Temevo che potesse decidere di squarciarlo da un momento all’altro… Mi imposi calma e sangue freddo. Dovevo analizzare la situazione e non perdere di vista la situazione.
    Vesta si era adesso trasformata in un burattinaio, mentre Cerere continuava ad annaspare, questa volta in cerca di aria… sua sorella la stava soffocando. Notai Haytham, distante da me di poche decine di metri, si stava preparando a salvarla, quando Vesta la scagliò a terra, con troppa forza.
    “Non andare” urlai di nuovo al Templare. Non era il caso di creare un nuovo bersaglio per una palla di fuoco distruttrice. Era il mio turno di provare a far ragionare la Guerriera di fuoco, non era il momento di mollare. Lui mi fissò dritto negli occhi, mentre ci mettevamo entrambi in piedi e ci avvicinavamo per formare un fronte comune. La sua minaccia era tangibile come chiodi conficcati nelle mani.
    “Sei la sua ultima possibilità. Se non riesci a riportarla indietro, sarò costretto a intervenire a modo mio. Non posso rischiare la vita di Cerere.”
    La sua voce era vibrante, bassa, spaventosamente simile a quella di Edward e, dannazione, se mi fece impressione! Nonostante ciò, rimasi concentrato, annuii serio per dargli il mio assenso e mi rivolsi verso Vesta… che non sembrava affatto intenzionata a cedere le armi, tutt’altro.
    “Ucciderò tutti voi. Avete commesso il grave errore di opporvi al mio Signore, e questa sarà la punizione!” Tremai, tremai fin dentro l’anima. Dov’era finito il tono soave, dolce, contrito, con cui mi aveva confessato tutti i suoi dolori? Desideravo udirlo ancora una volta. Deglutii il groppo di emozione che sembrava volermi sopraffare e mi accorsi che stava per sferrare un nuovo, terribile, attacco. Incrociò il mio sguardo, i suoi occhi si erano accesi di una luce sfolgorante, rossa come il sangue che stava per spargere… Vuole uccidermi, o forse no!
    Il suo sguardo incandescente deviò verso il Templare, una palla di fuoco si staccò dalle sue mani e io capii che dovevo tentare un gesto disperato. Non mi aveva preso di mira, eppure ero il primo sulla sua linea di fuoco. Avrebbe potuto colpire me, e invece aveva deciso di spostare il colpo. Forse non aveva neanche molta simpatia per Kenway…? Tutti questi pensieri si affollarono nella mia mente, spingendomi ad agire d’istinto, com’era mia consuetudine. Pensai a cosa mi avrebbe detto Ezio: “Sei il solito kamikaze!” e come dargli torto. Ma dentro di me speravo, anzi no, sapevo che Vesta avrebbe dissolto la palla di fuoco. Non mi avrebbe colpito, mi aveva salvato la vita così tante volte. Qualcosa di tutto quello che avevamo passato insieme doveva pur essere rimasto.
    Mi ero messo a scudo del Templare, il quale mi aveva afferrato per la vita con l’intento di spostarci dal pericolo, anche se era consapevole che sarebbe servito a poco. Non c’era tempo. Era una scommessa così grande che andai in apnea… ma tornai a respirare ancor prima che Haytham mi sbattesse al suolo gelato: Vesta aveva vanificato l’attacco e il Templare, incredulo, mollò la presa su di me. Era davvero arrivata la mia occasione e non l’avrei sprecata per nulla al mondo.
    “È questo che vuoi? Dall'ultima conversazione che abbiamo avuto avevo capito cose diverse...”
    Vesta mi fissò confusa, neppure lei riusciva ancora a comprendere il perché non mi avesse ancora ucciso, ma io lo sapevo. Eccome se lo sapevo.
    “Che cosa voglio? Non lo so...” rispose piano, poi scosse la testa, mentre la sua espressione tornava dura e distante. “Siete niente più che ostacoli sulla strada. Il mio compito è eliminarvi!”
    “Ricordo bene cosa mi hai detto pochissimi giorni fa, il tuo scopo era di non ferire chi ami, di riparare ai casini commessi, di essere te stessa... ricordi? Adesso, però, sei davvero te stessa?” I miei pugni erano stretti in una morsa ferrea, lottavo con il mio cuore che non ne voleva sapere di calmarsi, ma costrinsi la mia voce a restare alta, ferma, chiara. Ero consapevole che ogni mia parola avrebbe decretato la vittoria o la sconfitta.
    La Guerriera di fuoco fece una smorfia rabbiosa. “Sei un bugiardo! Come tutti, vuoi giudicare me e le mie azioni. Ma non te lo permetterò!” La sua mano sembrò liquefarsi, ma erano le fiamme incandescenti che la circondavano che mi diedero questa impressione. Stavo perdendo terreno. Tuttavia, vidi uno spiraglio, perché – ancora una volta – il bersaglio del suo colpo non ero io, ma Kenway, che si era costretto a non correre verso il corpo immobile di Cerere. Era conscio che Vesta lo considerava il nemico numero uno e che avvinandosi a lei avrebbe potuto metterla ancora più in pericolo.
    "Non te lo permetterò" esordii dopo minuti interminabili, avvicinandomi di un passo, poi di un altro. “Colpisci me, annienta me, è ciò che vuoi no? Eliminarci tutti. Fallo!” Le arrivai così vicino da percepire il calore delle bombe che aveva tra le mani. Ero un folle, me ne rendevo conto. Mi sentivo come una falena attratta dalla luce, consapevole che sarà proprio quella luce a ucciderla. Io non avrei fatto la sua stessa fine però…
    “Non mi devi dare ordini! Hai capito?” L’urlo di Vesta fu stentoreo, inumano; mi investì e mi sconvolse più di quanto sarei stato mai in grado di ammettere. Per un secondo eterno meditai di andar via, di abbandonare quella crociata di cui non conoscevo neppure l’origine. Ma fu solo un secondo.
    “Non è un ordine. È ciò che vuoi. Lo hai appena detto, perciò mantieni fede alle tue parole. Fammi fuori e poi concludi l'opera con gli altri.” Stavo letteralmente giocando col fuoco, avrei dovuto indietreggiare e invece mi avvicinai ancora, i nostri corpi erano a pochissimi centimetri di distanza, così decisi di provare un altro approccio. Le misi le mani sulle braccia, avrei voluto stringerle le dita, ma il calore era troppo forte, già così sentivo che non avrei resistito a lungo… eppure, volevo provare a farle ricordare le sensazioni che avevamo provato stando chiusi in quel dannato magazzino. Non me l’ero immaginate ed ero certo che per lei fosse stato lo stesso.
    Nonostante i miei sforzi, però, Vesta allontanò le mie mani e mi colpì con un’onda d’urto al petto, tanto forte da farmi roteare in aria per qualche metro, prima di rovinare sul suolo ghiacciato. L’impatto fu potente, mi tolse il fiato e un altro grammo di speranza…
    “Non osare toccarmi! Siete solo esseri insignificanti che non vedranno mai la gloria del mio Signore! State solo sprecando i vostri ultimi momenti di vita.”
    Boccheggiai per incanalare più ossigeno possibile, avevo la sensazione che non ne arrivasse abbastanza ai miei polmoni in debito. Un dolore sordo scoppiò nella cassa toracica, ma lo ignorai, non potevo essere sicuro che non si trattasse del mio cuore che si frantumava. Alzai il viso verso di lei, la fissai negli occhi, ma distolse di nuovo lo sguardo: non riusciva a mantenere il contatto visivo con me, qualcosa stava vacillando, doveva essere così per forza. Così, decisi che era il momento della mia ultima mossa, non avevo più frecce a disposizione.
    Con uno sforzo sovrumano mi rimisi in piedi, presi un altro bel respiro e iniziai a recitare alcune frasi che si erano impresse a fuoco nella mia memoria.
    “Sei una Guerriera, prescelta da forze cosmiche primordiali. Hai combattuto per proteggere persone inermi. I tuoi poteri sono terrificanti ma riesci a controllarli con grande impegno. Sei circondata da persone che ti amano e ti sostengono. Mi hai salvato la vita innumerevoli volte, respiro grazie a te, ai tuoi poteri, al tuo impegno. Respiro perché tu hai permesso che ciò accadesse, mettendo anche a rischio la tua esistenza. Sai chi sei, sai da che parte stare...” La guardai con un’intensità tale da non permetterle di sfuggirmi, non questa volta. Era mia, doveva essere mia.
    Vesta si immobilizzò, mi fissò prima con rabbia, poi questa lasciò il posto a un sincero stupore, come se stesse arrancando tra una nebbia di pensieri non suoi per venirne fuori, per trovare la luce. Anche la sua voce mi parve diversa, più morbida, più conciliante… quando mi rispose.
    “Stai parlando di me? Io sono quella Guerriera. E ora sto facendo quello che devo.”
    “Sono parole tue... e mie... sei tu quella Guerriera, io ho incontrato e ho parlato con quella Guerriera... ti ricordi di me? Ricordi quei momenti? Ci siamo lasciati con una promessa...” Credevo in lei e continuavo a crederci, non sapevo perché, la conoscevo da così poco tempo, eppure uno strano istinto mi spingeva nella sua direzione. Mi persi nei suoi occhi, adesso non più incandescenti, adesso molto più simili a quelli che avevo sognato ogni notte fino al giorno della fuga dall’Abstergo. Poi, si morse le labbra. Un gesto che le avevo visto fare diverse volte e che ognuna di quelle volte mi aveva incantato… stava tornando? Infine, il suo sospiro mi provocò un nuovo brivido, inatteso, sconosciuto.
    “Ricordo che avevo promesso che sarei stata lì per aiutarvi a scappare. Ma poi ho incontrato il mio Signore, e niente è stato più importante che ubbidirgli...” Il suo sguardo si assentò per un attimo, attirato da qualcosa – o qualcuno – alla sua sinistra e un gelido terrore iniziò a strisciarmi nelle vene.
    “Guardami, Vesta, mi sei mancata, tanto. Quando non ti ho visto con le tue sorelle, sono subito venuto a cercarti... ti ho trovato, questa era la mia promessa, ti avrei trovata sempre.” Mi avvicinai di nuovo, più sicuro, non temevo un attacco improvviso. Sentivo che era vicina a uscire da baratro, non potevo lasciarla da sola.
    Quando tornò a perdersi nei miei occhi, il sollievo mi invase e mi ritrovai di nuovo a pochissima distanza da lei, tanto da poter sentire il suo profumo.
    “Non posso essere debole. Io servo lui soltanto” sussurrò piano, con un tono sottile, quasi cantilenante. Poi inclinò la testa e mi sorrise. Quanto aveva di miracoloso il suo sorriso? “I tuoi occhi sono così belli. Anche tu mi sei mancato... quando non sapevo perché ero triste. C'era un piccolo filo che mi tratteneva. Il tuo ricordo e il pensiero di Cerere...” Percepii il mio cuore gonfiarsi, riempirsi, incapace di trattenere un’emozione che voleva andare oltre, dilagare tra le costole. Ciò nonostante, mi imposi di mantenere un’apparenza calma, rassicurante.
    “Non sei debole, Vesta. Sei la persona più forte che io conosca. Segui quel filo, torna da me, da noi. Abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te, non lasciarmi solo.”
    La vidi sussultare, tentennare. Si avvicinò talmente tanto che il suo profumo divenne molto più intenso e rischiai di perdermi nei ricordi. Le feci una carezza sulla guancia, leggera come il battito d’ali di una farfalla. La sentii irrigidirsi, ma non fu per il mio tocco. Sembrava indecisa, si morse di nuovo il labbro… “No, no, ti prego…”
    “Vorrei tanto... ma... ”
    Lasciai il suo viso e afferrai la sua mano, accarezzai il palmo e poi baciai il dorso. Era gelida, leggermente tramante. Le permisi di aggrapparsi ai miei occhi, loro avrebbero parlato al mio posto… solo alla fine sussurrai: “Non lasciarmi...” E i suoi occhi limpidi, il suo sorriso mesto, la stretta alla mia mano mi annunciarono che era tornata. Vesta era tornata da me. “Rieccoti, lo sapevo che ci saresti riuscita…” Mi sporsi per abbracciarla, ma un boato fece sussultare la terra sotto i miei piedi e anche il corpo di Vesta. Teneva ancora strette le mie dita, mentre si accasciava, svenuta. O almeno sperai che fosse solo svenuta. La sua pelle era cerea e fredda… non assomigliava più alla dea del fuoco che avevo visto poco prima. La scossi per le spalle, cercando di svegliarla… ma il boato si trasformò i tuoni, fulmini, vibrazioni continue. Sembrava l’apocalisse… Doveva essere quel dio oscuro che non aveva gradito il nostro intervento. Quando Vesta si smaterializzò dalle mie braccia per riapparire tra quelle di un essere ricoperto da un’armatura metallica, una rabbia cieca parve impadronirsi di me. Ero pronto a fronteggiarlo, quando un corpo me lo impedì: Haytham Kenway, mi tratteneva ma fissava con la mia stessa rabbia il bastardo che non aveva neppure il coraggio di mostrare il suo vero volto.
    “La mia ascesa è prossima… e voi, nessuno di voi, mi potrà fermare!” Le sue parole, pronunciate prima di scomparire assieme alla tempesta che aveva accompagnato il suo arrivo, furono perentorie e lasciarono dentro di me un vuoto infinito, una sensazione di sconfitta resa ancora più amara dalla consapevolezza che eravamo riusciti a riportarla indietro… ero riuscito a rivedere i suoi occhi, il suo sorriso, a stringere la sua mano… solo per perderla ancora una volta. Ciò nonostante, non mi sarei arreso, avrei lottato ancora e ancora, fino all’ultimo respiro pur di riaverla di nuovo al mio fianco. L’avrei trovata di nuovo. Era la mia promessa e l’avrei mantenuta.
     
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    :Selene:
    L'inquietudine era diventata la mia compagna più assidua. Erano mesi che non respiravo, sentivo una mano che mi premeva costantemente sulla bocca. Anche guardarmi allo specchio era un gesto temerario, perché nei miei occhi scoprivo l'enorme paura che li faceva apparire spiritati e terribili.
    Mi rifugiavo quanto più potevo nell'aura calda e rassicurante di Endymion, che nonostante il pericolo e il dramma che stavamo affrontando rimaneva saldo e fiducioso.
    Avevo deciso che non gli avrei confidato della mia visione atroce, ogni secondo più tangibile, per un semplice motivo egoistico - già troppe nubi gravavano su di noi. Cercavo solo, come mi aveva suggerito la Selene del futuro, di fare tesoro della sua vita, nel timore che il futuro orribile pronosticato si avverasse. I giorni passavano e ormai non si trattava neanche più di margine così ingente: si parlava di ore.
    Le mie figlie, rapite dalla traditrice Vesta, complice del nostro nemico, sarebbero riuscite a rivedere vivo il loro padre? Mi rimaneva la speranza che la missione di salvataggio attualmente in corso, guidata da Toth, avesse successo.
    Non riuscivo a stare con le mani in mano, ad aspettare passivamente una notizia che poteva essere nefasta, che mi avrebbe distrutto più ancora di come sarei stata tra anni.
    I pensieri turbinavano frenetici nella mia mente stremata intorno alle notizie, le informazioni, le vicende e le ipotesi. Il nemico non era un pazzo millantatore; i suoi non erano deliri di onnipotenza, ma la pura e orribile dimostrazione che possedeva poteri straordinari e imbattibili anche per noi, i più potenti tra gli Eterni.
    Sembrava irrealistico e azzardato, eppure...
    Mi rifugiai in una sala appartata del nostro palazzo, e chiusi dietro di me l'ingresso. Non volevo essere disturbata, anche se percepivo il rischio a cui mi sarei esposta se le mie assurde supposizioni avessero avuto un fondamento reale.
    Presi un respiro profondo per quietare i miei pensieri, e intonai le parole che mi erano state insegnate tanto tempo prima da mia madre, quando mi aveva impartito le nozioni fondamentali sulle nostre tradizioni. Tracciai a terra i simboli segreti per invocare la presenza e l'attenzione del nostro Padre Luminoso, Etere. Erano ormai secoli che non venivano più usati, perché il nostro creatore aveva disdegnato di apparire, di partecipare alla nostra vita, di consigliarci e guidarci.
    Erano molte generazioni che, a ben vedere, eravamo una razza orfana e sperduta.
    Attesi lungi minuti.
    Scossi la testa, quasi a schernire le mie ipotesi. Forse avevo avuto torto, a pensare che potesse essere davvero il nostro Padre Eccelso dietro a queste minacce, e un peso enorme mi scese dalle spalle.
    Volevo tornare velocemente da Endymion, e godere per quanto possibile dei suoi occhi nei miei, prima che perdessero la luce e l'anima.
    Feci scattare la serratura della porta, ma mi girai all'improvviso verso il centro della sala, perché udii un altro rumore. Rimasi immobile e inorridita nel vedere il nostro nemico scendere lievemente e senza scosse dal soffitto di cristallo, atterrando elegantemente al centro della sala.
    La voce che arrivò da dietro la visiera era sublime, carezzevole, anche se con una punta di fastidio e risentimento. Ora la riconoscevo perché lui aveva abbandonato quella metallica e imperiosa con cui ci aveva sempre sfidato.
    “Ce ne hai messo, di tempo, figlia mia. Mi aspettavo che voi Eterni, che esistete grazie a me, aveste una sensibilità migliore verso colui a cui dovete tutto!”
    L'armatura si disassemblò e dai pezzi metallici, che avevano brillato di una luce che si sprigionava dall'interno, vidi per la prima volta l'essere che avevamo cercato di combattere per mesi. La figura non aveva lineamenti distinguibili perché sembrava formata di sola luce.
    Mi imposi di non inchinarmi a lui, come prevedeva il nostro retaggio. Invece che timore e gratitudine, provai solo rabbia e delusione nei confronti del nostro protettore e dispensatore di doni. La figura parve vacillare, senza la protezione fornita dall'armatura.
    La mia espressione dovette tradire i pensieri incerti e stupefatti, perché Etere mi rivolse parole a metà tra l'accusa e la giustificazione: “La mia forza sta svanendo. Mia sorella mi ha voluto rendere debole e inoffensivo per provare la sua potenza. Era gelosa, e lo sarà sempre, del mio splendore, della mia magnificenza. E da voi, non ho ricevuto alcun sostegno, piccoli ingrati arroganti”
    Tossì lievemente e allungò una mano per cercare un appoggio che non esisteva, barcollando ancora.
    “Perché? Perché il Grande Padre dovrebbe voler danneggiare i propri figli? Noi eravamo i tuoi prediletti...”
    “Per colpa tua! Tua, e della partita che hai giocato con mia sorella, usurpandomi il diritto di farlo! Ho provato a fuggire dalle conseguenze che avete avviato, vagando per il Cosmo in cerca di qualcuno che mi riconoscesse la gratitudine che merito. Ma ogni volta che cercavo di salvarmi, incontravo solo indifferenza. Tutti si dimenticavano di me...” Rise caustico “I figli abbandonano il padre che li ama, e nessuno di loro vuole combattere per salvarlo...”
    Nella sala calò un silenzio minaccioso. Il rancore di Etere per i torti che credeva di aver subito pareva una belva pronta a saltare al collo di chiunque. Non risposi, non tentai di sviare i suoi pensieri, perché per quanto maniacali li giudicassi, nutrivo rispetto e timore per Etere. Per quanto debole e confuso, poteva radere al suolo la Luna con un piccolo cenno della mano.
    “Così mi rimane una sola strada da percorrere. Quella della purificazione dell'universo da quelli che non sono all'altezza dei premi e della bontà che ho sempre dimostrato a tutti. Nella mia onniscenza, so che siete scesi a patti con mia sorella, che avete complottato per bandirmi definitivamente. Non meritate altro che la morte. Vi distruggerò e distruggerò tutto ciò che amate, dato che avete distrutto il mio amore per voi. E poi ricreerò nuovamente tutto, questa volta privando le mie creature di libero arbitrio e volontà, così saranno costrette a fare ciò che voglio, a rispettarmi per il Dio che sono... mi libererò dei Celestiali e sarò l'unico ad avere l'intero universo tra le mani!”
    “Non... non puoi far questo!” Balbettai ”Io ti conosco come un Padre benevolo e amorevole, anche se distante... noi ti abbiamo aspettato a lungo, senza dimenticarti, ma non potevamo conoscere il tuo destino! Come farai ad annientare tutto, come sopporterai di udire le suppliche dei tuoi figli che moriranno?”
    “Ero senza speranza e abbandonato, volevo solo smettere di soffrire è stato allora che ho capito la verità... gli Dei non provano dolore, né rimorso” La sagoma luminosa alzò la testa, come se osservasse il futuro che aveva pianificato iscritto nel cielo notturno “Per punirvi e per raggiungere la mia vendetta, devo solo fare in modo che due cose si avverino: la prima è la morte del tuo consorte. Sei tu la fonte principale del mio disappunto e del mio odio, quindi gioirò quando sprofonderai nell'oscurità della disperazione. Mentre la seconda...”
    Si interruppe nuovamente, quasi avesse avvertito l'arrivo di un estraneo, ma io non udii altro che il rombo forsennato del mio cuore.
    Forse avevo sbagliato a concentrarmi solo sull'evitare la morte del mio amato. Forse c'era un altro modo per intrappolare quel Dio che non riconoscevo, che sembrava animato da una rabbia vastissima e incontrollata.
    Quindi lo incalzai, sperando che rivelasse qualcosa di prezioso su cui agire per sconfiggerlo. Scaccia il timore che avrebbe potuto uccidermi al temine del suo sfogo. Solo ora capivo che nella sua arroganza si sentiva sicuro di avere la forza e la ragione dalla sua parte. Voleva punirci in modo che, massima della meschinità, ci pentissimo delle nostre colpe per il resto della vita. La visione spettrale e dolorosa della Selene del futuro mi passò velocemente davanti.
    Strinsi i pugni, indurendo la voce. “E l'altra... ?”
     
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    Da quando io e Selene avevamo parlato avevo iniziato a lavorare notte e giorno sui miei stessi appunti. Oliver non aveva reagito benissimo a quel risvolto degli eventi, deppur il ritorno di Etere era riuscito a distrarlo dal fatto che avremmo dovuto allearci con gli Eterni, prospettiva che dire che non lo entusiasmava era un eufemismo.
    Nel mentre però all'Abstergo era scoppiato il caos e noi avevamo dovuto dividerci sui due fronti. Io avevo voluto Moira al mio fianco, la stessa che ne fu stupefatta. Era solita seguire le orme del padre, ma da quando le era apparso il marchio e dopo averne parlato con Selene avevo pensato che fosse ora di metterla alla prova e capire se quello poteva davvero essere il suo destino.
    "Come ti senti?" le chiesi, mentre nel mio laboratorio stavo concludendo gli ultimi dettagli. Moira era di fianco a me, giocando con alcune ampolle vuote distrattamente. Sapevo che avrebbe perferito stare con Oliver al centro dell'azione in quel momento.
    “Ehm... bene...” mi rispose annoiata passandosi una mano sulla base del collo lì dove ormai il marchio era sparito.
    “Non ho ancora capito perchè mi hai voluta qui... sarei molto più utile all'Abstergo...” sbuffò. La guardai con la coda dell'occhio senza risponderle, ma anzi voltadomi verso di lei le porsi l'arma che avevo costruito.
    Appariva come un elegante pugnale a doppia lama, al centro il manico era intarsiato con decori d'argento e su esso spiccava una gemma rosso vivo.
    "Che ne pensi?"
    “Non credo che un pugnale possa fermare un Dio... o per lo meno un'essere tanto potente come quello che hai descritto a me e papà...”
    "Non è un semplice pugnale. Le lame sono canalizzatori dell'energia contenuta nella gemma. Ha fondamentalmente solo due colpi, uno per lama..."
    “E cosa può fare?”
    "Può generare abbastanza potenza da magnetizzare il campo radiale del nostro nemico. Vedi se è come penso sicuramente non ha un corpo e questo gli impedirebbe di tornare nell'armatura costringendolo in uno stato di perpetua stasi... Gettato in queste condizioni nel Vuoto Cosmisco diventerebbe parte di essa di fatto implodendo..."
    “Ma prima bisognerebbe tirarlo dalla sua corazza no?”
    "Oh sono convinta che al momento opportuno chi di dovere ne sarà in grado..." dissi con un sorriso gentile, mentre riprendendo l'arma dalle sue mani la posavo in un elegante cofanetto di mogano intarsiato.
    “E l'energia della gemma, dove l'hai presa?”
    "Prenderò" la corressi "Secondo i miei calcoli ci vogliono 3.86 Terajoule di energia..." lo avevo detto senza soffermarmi in spiegazioni, la stavo mettendo alla prova e fui lieta di vederla spalancare la bocca sconvolta. Anche gli occhi sbarrati iniziò a sbatterli nervosamente incredula.
    “M-Ma non esiste un'energia del genere... è più dell'energia stessa del Sole... dove pensi di prenderla?”
    "Oh è semplice bambina mia, la chiederemo ai Celestiali!" risposi con semplicità.

    Solo qualche giorno dopo, tutto pareva essere precipitato verticosamente. L'Abstergo era andata a fuoco e se non fosse stato che una minaccia stava mettendo a rischio la nostra stessa incolumità probabilmente il nostro consenso sarebbe crollato e saremmo stati costretti a spargere più sangue di quanto avremmo voluto per ristabilire l'ordine.
    Io stessa consigliai al mio amato Oliver di rendere pubblica quella minaccia e mentre lui avrebbe fatto il necessario per preparare la difesa sulla Terra, io mi sarei diretta sulla Luna nella speranza di estirpare il problema alla fonte.
    Con la caduta dei Patti di Saturno potevamo spostarci senza problemi ed infatti un'airspeeder deviante mi stava aspettando per partire. L'arma era pronta e dovevo discutere con Selene urgentemente su come ci saremmo dovute procurare l'energia necessaria per farla funzionare. Sapevo che avrei dovuto convincere la donna a seguirmi di fronte al Tribunale Vivente e lì esporre tutta la situazione. Già una volta mi avevano sorretto ed ero sicura che di nuovo lo avrebbero fatto con lei.
    Tuttavia il mio arrivo al Palazzo non fu come mi aspettai forse perchè percepì subito la SUA presenza. Ingombrante. Forte. Tremenda. Tant'è che mi bastò seguirne il puzzo di egoismo per raggiungerlo e trovarlo nella sua forma amorfa di fronte a Selene.
    Se avessi avuto l'energia necessaria avrei usato senza indugi l'arma che stringevo alla vita protetta nel suo contenitore, ma ahimè così non era e dunque quello subito entrò nella sua armatura voltandosi verso di me rabbioso.
    “Mmm credo che l'altra la terrò per me... la mia ascesa si avvicina... ricordatelo sorella...” e prima di poter fare qualsiasi altra cosa era già scomparso così come era apparso.
    Fu allora che io e Selene ci trovammo faccia a faccia. Entrambe rigide e nervose. Non servirono parole, mentre orgogliose camminammo una verso l'altra. La Regina Bianca e la Regina Nera. Ecco un'altra partita, una nella quale era stato Etere il giocatore.
    Senza indugiare altro allungai il confanetto a Selene che lo prese con mani tremanti.
    “E' l'arma?”
    "Sì"
    “Ed ora?”
    "Ora ci serve l'energia per farla funzionare!"
     
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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    La situazione era critica e delicata, dovevamo trattarla con i guanti di velluto per evitare che tutto andasse in pezzi.
    Scoprire che il Dio Oscuro altri non era che Etere, il Grande Padre di noi Eterni, fu un duro colpo da sopportare.
    Aveva causato tutto il caos in cui eravamo da ormai un anno, aveva manipolato e quasi “ucciso” Horus -con il conseguente sacrificio di sua madre Senu-, aveva completamente soggiogato Vesta, la nostra Vesta, portandola a compiere azioni ignobili, e, se nulla fosse cambiato, avrebbe ucciso Endymion… ormai non doveva mancare molto.
    Proprio per questo ci eravamo divisi su due fronti.
    Da un lato Selene e Nyx, che aveva creato un’arma in grado di sconfiggere il fratello, avrebbero chiesto udienza al Tribunale Vivente per poter completare tale arma. Anche se era la Grande Madre Deviante, non potevo fare a meno di provare ammirazione e stima per le capacità di quella donna.
    Dall’altro una squadra composta da Haytham e Thot avrebbe scortato Endymion su Nettuno per nasconderlo a Etere. Anch’io ero in questo gruppo e avrei fatto da mediatrice fra i miei compagni ed Oceano, il sovrano di Nettuno. Mio padre.
    Il solo pensiero di rivedere i miei genitori mi terrorizzava.
    Da quando avevo ricevuto l’incarico ero un fascio di nervi.
    Non tornavo sul mio pianeta natale da quando mi hanno esiliata. Rivedere i loro sguardi inquisitori e giudicanti, rivedere le mie numerose sorelle superficiali e sprezzanti… avevo l’ansia!
    Athena, che nel mentre faceva la pendolare fra la Terra e l’Impero -il salvataggio era riuscito con successo!-, aveva tentato di tranquillizzarmi con il suo modo di fare, con le sue parole dolci, tranquille, rassicuranti e ponderate, purtroppo con scarso successo.
    Tornare dalla “mia famiglia” -mai come adesso non la consideravo tale, avendone un’altra meravigliosa-, da coloro che mi hanno sempre trattato con sufficienza e biasimo, da coloro che mi hanno cresciuta senza amore, inculcandomi l’idea di essere sempre e solo inadatta faceva male. Se credevo di non essere mai all’altezza, se non avevo un briciolo di autostima in me stessa -anche se ci stavo lavorando e stavo decisamente migliorando- il merito era loro.
    La mano sventolante di Iuventas davanti al mio viso mi riportò al presente.
    Eravamo tutti riuniti nel nostro laboratorio dove Iuventas avrebbe trasformato uno specchio in un portale che ci avrebbe portato direttamente nel palazzo di Nettuno.
    Gli ultimi preparativi e poi l’avrebbe attivato.
    “Ehiii, tutto bene?” mi chiese Iuventas parandosi davanti a me.
    “Diciamo di sì...” dissi guardando il resto della stanza, per assicurarmi che nessuno facesse caso a me e alle mie crisi.
    “Non sembra sai? Ti stai martoriando quei poveri capelli. Vuoi parlarne?” mi chiese mentre mi afferrava le mani, salvando così la mia cute azzurrina.
    “Sono semplicione tesa come un pesce palla gonfio. Rischio di impazzire!” la guardai scossa negli occhi. “È dal mio esilio che non torno! E per di più devo parlare a “mio padre” chiedergli un favore per l’Impero! Mi riderà in faccia!”
    Iuventas mi mise le mani sulle spalle e mi sorrise.
    “Primo: che brutto paragone! Secondo: capisco i tuoi timori Partenope, ma sono sicura che ce la farai! Anche se tendi a dimenticartelo fin troppo spesso, sei più forte di quel che pensi! Guarda quel che hai fatto in quest’ultimo anno! Hai sostituito Athena in modo fantastico, eppure cosa mi dicevi? Non ce la farò mai e blablabla. Facevi gli stessi discorsi. Quindi ho la certezza che supererai pure questo scoglio!”
    “Ma è diverso!”
    “Lo so che lo è! Nessun Dio Oscuro arriverà mai al livello dei miei genitori quando discutono anche per lo zerbino di casa, però riesco a sopportarli lo stesso. Ok, non è un esempio esattamente calzante, però hai capito quello che voglio dire!”
    “Grazie Iuventas.” le sorrisi a mia volta abbracciandola. Le sue parole mi avevano davvero emozionato.
    Mi staccai da lei e la guardai con convinzione.
    “Deduco da quello sguardo di fuoco che sei pronta.” disse per poi accertarsi che anche il resto del gruppo lo fosse così da poter attivare lo specchio.
    Guardai gli altri e dopo il loro consenso presi un gran respiro ed attraversai il portale.

    Ricomparimmo nell’ingresso del palazzo -probabilmente eravamo usciti da uno dei grandi specchi della stanza- ed io mi trasformai all’istante in sirena appena toccai l’acqua.
    Il palazzo di Nettuno era un castello immenso, fatto principalmente in madreperla, coralli e conchiglie. Era quasi completamente bianco, costellato di colori soprattutto nelle rifiniture. Seppur in fondo al mare, la poca luce che arrivava quaggiù lo faceva splendere di luce propria. Era uno spettacolo per gli occhi. Questo mi faceva sentire a casa! I colori, l’acqua salata, i pesci che nuotano ovunque come se nulla potesse toccarli, sirene ed altre creature che popolavano questi mari. Nettuno era meraviglia, era magia pura. Avevo sempre adorato questo suo aspetto mistico eppure così meraviglioso…
    La sensazione di poter nuotare in libertà senza muri a confinarmi mi stava sopraffacendo. Quanto mi era mancato tutto questo! Se non ci fossero state quelle stupide leggi che avevo rinnegato e la mia famiglia Nettuno sarebbe stato il paradiso.
    Mi voltai verso i miei compagni, rimasti un po’ interdetti dalle mie attuali sembianze… Rettifico. Thot mi aveva già visto durante vari allenamenti; Endymion, beh, sua madre era una delle mie tante sorelle, quindi penso fosse abituato... Haytham era rimasto perplesso, vederlo sorpreso mi fece quasi ridere.
    “Aspettate qui.” dissi, nuotando verso il tavolo di cristallo al centro della stanza. Presi la grossa conchiglia che vi trovai sopra e la suonai. Immediatamente comparve dal corridoio una delle domestiche che appena mi vide rimase sconvolta.
    “Marchesa Partenope! Cosa ci fate qui? Come siete entrata? Loro sono con voi?”
    “Ciao Aguglia!” le dissi sorridente. Non avevo un bel rapporto con la mia famiglia, ma con il personale del palazzo andavo d’amore e d’accordo. “Siamo arrivati da un portale, ti spiegherò tutto dopo. Siamo qui per parlare con mio padre. È impegnato?”
    “Ok… venite pure.”
    Ci fece strada lungo i grandi e maestosi corridoi del castello. Erano completamente in vetro, così da mostrare la vista mozzafiato, tenuti in piedi solo da delle arcate e dei pilastri estremamente fini in corallo e madreperla che davano l’impressione che potessero spezzarsi da un momento all’altro. Tutte le stanze ed i corridoi erano illuminati da luce naturale e pietre luminescenti. Nelle stanze più importanti o quelle riservate alla famiglia reale c’erano anche dei lampadari fatti di conchiglie e cristallo.
    Arrivammo nella sala del trono, dove mio padre e mia madre erano intenti a parlare concitati.
    “Vostre Altezze, vostra figlia la Marchesa Partenope chiede udienza.” disse Aguglia inchinandosi al loro cospetto.
    Su Nettuno era tradizione quest’estrema formalità. Mi aveva sempre trasmesso freddezza e superbia.
    Erano decisamente perplessi. Come dar loro torto.
    “Padre, madre, perdonate l’irruzione.”
    “Partenope cara… cosa ci fai qui? Qualcuno ha ritirato l’esilio? Sei stato tu caro?”
    Prima frecciatina… sarebbe stata dura.
    “No cara. Forse nostra figlia è tornata sui suoi passi ed ha deciso di adempiere ai suoi doveri di sirena.” disse sogghignando.
    Respira… respira, non dargliela vinta.
    “Sono qui per conto degli Imperatori.” dissi fronteggiandoli, ignorando completamente le loro affermazioni.
    “Non avevo dubbi… dopotutto il mio nipote più illustre è con te.” rispose mia madre guardando Endymion.
    “È proprio per lui se siamo qui madre. Il Principe è in pericolo. Il nemico che ci sta assediando vuole attentare alla sua vita. Siamo qui per chiedervi aiuto e per nasconderlo ai suoi occhi.”
    Mio padre li squadrò tutti da testa a piedi.
    “Perchè dovremmo farlo? Se il Dio Oscuro scoprisse la sua posizione saremmo tutti in pericolo.”
    “Perchè è l’Impero che vi chiede questo favore.” disse freddo ed impassibile Haytham.
    “E voi sareste?”
    “Gran Maestro Templare Haytham Kenway.”
    “Favore concesso.”
    “Cosa? Teti!”
    “Tesoro mio, è un favore per l’Impero! E per di più c’è in gioco anche la vita del mio nipote preferito! Cosa dovrei fare? Ignorare la cosa?” chiese mia madre scandalizzata, ammutolendo mio padre.
    “Grazie mille Vostre Altezze.” ringraziò Endymion.
    “Essia. Vi saranno assegnate delle camere per gli ospiti.” tuonò mio padre prima di congedarci.

    Stavo nuotando. Finalmente lo stavo facendo nel vero senso della parola.
    Non in una vasca, non in una piscina, ma nel mare più sconfinato che potesse esserci!
    Durante la nostra permanenza su Nettuno visitai tutti i luoghi a me cari.
    La città, formata da grandi edifici in corallo e scogli, da mercati rumorosi ed opere d’arte superbe, dove c’era un grande via vai di ogni creatura possibile.
    Le Colline degli Anemoni, una landa immensa e colorata, abitata da pesci, piante e coralli di ogni tipo. Era una vera e propria barriera corallina, disseminata ovunque di anemoni. Ritrovai persino Calliope, il delfino stenella a cui ero più affezionata.
    Mi sedetti in mezzo alle alghe ad osservare Calliope nuotare felice.
    Non vedevo l’ora che questa missione finisse.
    I miei genitori e le mie sorelle si stavano davvero impegnando nel tirarmi frecciatine più o meno velate in ogni momento. Per non parlare della loro ipocrisia. Avevano accettato di concederci questo favore solo e soltanto perché era l’Impero a chiederlo, sperando in un trattamento di favore per il futuro. In quanta falsità, menefreghismo ed egoismo ero cresciuta. Che controsenso. Ero nata in uno dei luoghi più belli dell’universo, ma ero cresciuta in una famiglia da incubo.
    Avevo avuto la soddisfazione di non dargliela vinta, ignorando i loro commenti o rispondendoli a tono. Dovevo ammettere che ero rimasta sorpresa da come stessi affrontando la cosa. Prima non l’avrei mai fatto.
    Un’altra cosa positiva era stato rivedere mia sorella Calypso, l’unica che amavo nella mia famiglia, l’unica che mi capiva, l’unica con cui stavo bene. Appena mi aveva vista mi ha stritolata dalla gioia. Anche lei come me rinnegava la nostra famiglia e le sue regole. Purtroppo però lei non poteva rendere palese questo dissenso, pena la morte. Doveva vivere nella menzogna solo e soltanto perché amava un’altra donna. Essere omosessuale, nello specifico lesbica su Nettuno era una condanna a morte. Davvero non riuscivo a capire come si potesse essere tanto bigotti. L’amore è amore, se c’è questo sentimento niente è sbagliato.
    Per questo era così contenta ed orgogliosa della mia presa di posizione. Per fortuna anche lei era una Guerriera, così da avere più libertà e poter stare senza problemi con Skye.
    Un boato. Mi voltai verso il palazzo e vidi del trambusto.
    No...no!
    Nuotai il più velocemente possibile.
    “Thot! Che sta succedendo?!” chiesi preoccupata raggiungendolo mentre correva verso la fonte del caos.
    “Ci ha trovato.”
    “Ma come...?”
    “Non lo so...”
    Seguimmo rapidi la distruzione che Etere stava seminando nel palazzo fino a raggiungerlo.
    Haytham ed Endymion lo stavano fronteggiando nel salone dei ricevimenti… ormai della bellezza della sala non rimaneva nulla.
    “Non potrete mai nascondervi da me, volete capirlo? Cos...” gridò furibondo il Dio Oscuro sentendosi mancare la terra sotto ai piedi.
    Una delle particolarità del castello era l’acqua al suo interno e nelle immediate vicinanze.
    Grazie alla magia non era semplice acqua di mare, era speciale, consentendo anche a chi non era una creatura marina di respirare e muoversi normalmente.
    Per questo quando creai una bolla d’acqua normale che avvolgeva completamente la sua armatura si ritrovò in balia del mare e dell’assenza di gravità. Non riusciva più a muoversi come voleva, sembrava aver perso il controllo sul suo stesso corpo. E questo lo fece arrabbiare.
    Thot, Haytham ed Endymion ne approfittarono immediatamente lanciandosi all’attacco.
    Purtroppo, dopo aver incassato svariati colpi abbastanza forti, riuscì a lanciare un onda d’urto talmente potente da sbalzarci tutti. Persi il controllo sull’incantesimo, lui si liberò e scagliò Haytham, che nel mentre stava tornando all’attacco, contro un pilastro, mandandolo in frantumi.
    Nuotai rapida verso di lui per sincerarmi che stesse bene, evitando al meglio delle mie possibilità gli attacchi di Etere. Nella mia forma da sirena ero decisamente più rapida ed agile, era difficile prendermi.
    “Stai bene?” chiesi ad Haytham aiutandolo ad alzarsi.
    “Benissimo...” non fece in tempo a dirlo che crollò nuovamente a terra.
    “La tua gamba!” dissi vedendo lo stato in cui era. Aveva il polpaccio in una posizione decisamente anomala.
    “È rotta...” sussurrò infastidito “Vai dagli altri, non pensare a me.”
    Stavo per obbiettare quando sentii l’ennesimo botto. Aveva scagliato Thot ed Endymion a terra.
    “Tu verrai con me.” disse lapidario Etere.
    “No!” gridai lanciando un’altra magia, ma lui scomparve insieme ad Endymion prima che potessi colpirlo.
    Il silenzio assordante feriva le nostre orecchie. Era rimasta solo la devastazione, sia nel palazzo che in noi.
    Vidi apparire i miei genitori da quel poco che rimaneva del corridoio, sconvolti per quel che stavano vedendo.
    “I miei saloni!” esclamò sconvolta mia madre “ehm… e mio nipote!” questa volta urlando con meno convinzione e sentimento.
    “Vedi che avevo ragione?!” gridò mio padre, per poi guardare me con sguardo accusatore “La solita delusione. Non sarà di certo l’essere una Guerriera che potrà cambiarti. Sei un fallimento, è inutile che cerchi di non vederlo.”
    Andarono via, lasciando ancora più distruzione di quella che già c’era. Avevo retto fino a quel momento, ma con queste ultime coltellate al petto crollai. Mi demolirono. Mi umiliarono. Davanti a Thot, davanti a Haytham. Mi ero davvero illusa di potergli tenere testa?
    Avevamo fallito.
    Avevo fallito.
     
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    Annarita
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    :Haytham:
    Il viaggio di ritorno da Nettuno verso la Luna fu cupo e strano, almeno per il sottoscritto. Non ero mai stato di molte parole, ma non me ne ero mai davvero accorto, perché ero sempre stato circondato da persone molto meno silenziose di me. Persino Cerere, con il suo innato pragmatismo, riusciva a riempire gli spazi vuoti lasciati dai miei silenzi. Nella cabina passeggeri di uno Shuttle T-4a classe Lambda, oltre all’equipaggio che di tanto in tanto faceva la sua comparsa, c’eravamo solo la Guerriera Partenope, il Generale Thot ed io. La prima, di solito più loquace, pareva sprofondata in un mare nero pece, in effetti la scena di cui era stata protagonista con i suoi genitori le aveva dato un bel colpo di grazia; il secondo, invece, continuava a gettarle delle occhiate preoccupate, sembrava cercare il momento giusto per parlare e… consolarla? Non lo avevo ben capito. Io, dal mio canto, cercavo un pensiero sul quale concentrarmi che non fosse il fallimento della missione, né il dolore pulsante alla gamba fratturata. Il Dio Oscuro non era un nemico semplice da battere, ci aveva sopraffatti tutti con una semplicità che ci doveva dare da pensare… forse l’aiuto dei Devianti sarebbe stato davvero indispensabile per sconfiggerlo definitivamente. Mi aveva sollevato da terra come fossi un fuscello e la mia schiena scricchiolava ancora per l’impatto contro uno dei pilastri del grande salone di corallo, ma era la mia gamba ad aver subito il colpo peggiore: l’osso si era spezzato in maniera scomposta ed era stato sul punto di lacerare la pelle per spuntare fuori, ma il Generale Thot l’aveva rimesso nel suo asse naturale e subito dopo la Guerriera Partenope aveva fatto una steccatura di fortuna. Il colore violaceo non prometteva bene, ma una volta arrivato sulla Luna, un curatore l’avrebbe guarita alla perfezione.
    “Partenope, smettila con questo ostinato mutismo. Nessuno di noi ha potuto nulla contro quel bastardo, sembravamo foglie sbattute del vento, te ne sei accorta, vero?” Thot alla fine aveva sbottato, riportandomi alla realtà. Fissai il profilo della sirena e ripensai a come era venuta in mio soccorso, incurante del pericolo, schivando come un’anguilla gli attacchi del Dio.
    “Non devi consolarmi! Sono certa che se ci fosse stata al mio posto Iuventas, Cerere o Pandia, avrebbero fatto molto meglio! Hanno ragione i miei genit…”
    “Non te lo permetto, no. Non dirlo neppure, i tuoi genitori non sanno un bel nulla di te. Se ne sono lavati le mani anni fa, non sanno la fatica che hai fatto per addestrarti e per tenere le redini di un pianeta complesso come Mercurio. Quindi, ascoltami, togliti in fretta dalla testa queste sciocchezze… non è ancora finita!” Il tono del Generale era perentorio, ma era anche intriso di una fiducia che mi incuriosì. Le aveva addestrate lui le Baby Guerriere, ma solo adesso – assistendo a questa scena atipica per i miei standard – mi rendevo conto di quanto tenesse a loro, le aveva viste crescere, piangere, cadere e rialzarsi. Piegai la testa di lato e guardai colei che doveva essere mia nipote… in teoria.
    “Certo che è finita, abbiamo fallito, il Principe è nelle sue mani e io non sono riuscita a salvarlo…”
    “Se dobbiamo essere precisi: nessuno di noi è riuscito a salvarlo. In realtà, l’unica che gli ha tenuto testa e ci ha permesso di attaccarlo sei stata tu...” Chi aveva parlato? Ero stato davvero io? Ero tornato a fissare la gamba steccata, non sapevo bene perché. Ma non durò a lungo… il silenzio che seguì alle mie parole fu molto prolungato e mi costrinse ad alzare lo sguardo sugli altri per capire cosa li avesse ammutoliti. Partenope mi guardava con tanto di occhi sgranati e bocca a forma di piccola “o”. Thot invece tratteneva un sorriso, con un pugno premuto sulle labbra. “Che c’è? Cos’è quell’espressione sorpresa? Ho detto solo la realtà dei fatti.” borbottai infastidito, avrei fatto meglio a starmene zitto. Poi, una mano minuscola attirò la mia attenzione, si posò sul mio braccio e lo strinse. Le unghie erano piccine e del colore del mare, la pelle era chiara come madreperla, ma la sua presa fu decisa.
    “Grazie…” mormorò la Guerriera, lasciandomi attonito. Cosa diamine avevo detto di tanto ammirevole? Pfff! Feci un cenno col capo per farle capire che il messaggio era arrivato a destinazione, ma lei continuò a stupirmi, perché la sua mano restò lì, sul mio avambraccio, come ancorata a una nuova certezza. Io, dal mio canto, la ignorai… non sapevo cos’altro fare, non lo sapevo davvero.
    […]
    Era trascorsa una settimana da quando il Principe Endymion era stato rapito e mi trovavo seduto su una panchina degli immensi Giardini Lunari. Dopo giorni trascorsi nella Sala dei Curatori per rimettere in sesto la gamba, avevo avuto bisogno di “fuggire” e prendere un po’ d’aria. La frattura era stata medicata a dovere, tanto che l’osso si stava rinsaldando a un velocità impressionante. Selene mi aveva riportato in vita e concesso una longevità invidiabile, ma i miei tempi di guarigione non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di un eterno, anche se persino i curatori si erano stupiti della potenza dei loro impacchi. Io, dal mio canto, ero certo che fosse tutto frutto della mia forza di volontà: odiavo stare tra odori di disinfettanti e unguenti. Così, dopo l’ennesima seduta, con la gamba ancora costretta in una specie di tutore semovibile che mi permetteva anche di appoggiare il piede e camminarci su, mi ero rifugiato nei Giardini. C’era un motivo se mi recavo qui, un motivo ben preciso: attendevo che la visione della Principessa si avverasse. Erano enormi, con molteplici viali a dir poco labirintici, ma tutti noi avevamo stampati in mente il luogo preciso e la sequenza degli eventi visti da lei. Dopo l’arresto del Compagno Alato del Generale Thot, in un briefing molto ristretto, Selene ci aveva raccontato per filo e per segno la sua visione, così che avremmo potuto riconoscerne i prodromi, gli eventuali segnali, per poterla impedire. Sapevamo che alcuni dettagli – piccoli o grandi – sarebbero potuti cambiare… Di certo, tenendo conto della tragica fine fatta dal Compagno Alato, non sarebbe stata al fianco del Dio Oscuro, ma chi l’avrebbe sostituita? La sua seconda marionetta, la Guerriera Vesta?
    Ragionavo su tutto ciò, quando una voce familiare mi distolse dai miei pensieri.
    “Sapevo che ti avrei trovato qui…”
    Cerere si avvicinò con passo sinuoso, nonostante la divisa da combattimento – eravamo tutti in super allerta – ogni suo movimento pareva una danza.
    “Mi conosci ormai, sarei impazzito a stare un altro minuto là dentro…” risposi con un borbottio, aprendo le braccia e lasciando che lei vi si abbandonasse. Restò in piedi, perciò il mio volto si appoggiò sulla sua clavicola, mentre lei era impegnata ad accarezzarmi i capelli…
    “Partenope mi ha rivelato cosa le hai detto, sei stato molto carino…”
    Sbuffai, ancora con questa storia?!
    “Ho detto solo la verità, Cerere. Non l’ho fatto per consolarla o altro. Non capisco perché se ne sia fatta una questione tanto importante.”
    “Perché mai avevi speso delle parole per una delle mie sorelle, perché loro ti consideravano un burbero, antipatico, rompi…”
    “D’accordo, hai reso l’idea!” la bloccai, alzando il viso verso di lei e aggrottando le sopracciglia. Lei le distese con una carezza, ridacchiando tra i denti. Poi mi diede un bacio a fior di labbra, che io assaporai piano.
    “Dovresti riposare, amore mio. Ci sono tutti i Moon Knight di pattuglia, Thot non lascia mai il fianco dei Principi, le mie sorelle ed io perlustriamo i Giardini in lungo e in largo, per prevenire qualsiasi attacco improvviso… Selene ha l’arma, siamo pronti ad affrontarlo e quando accadrà non avrà scampo!” Sapevo che aveva ragione, ma dentro di me un cattivo presagio persisteva, come quando si fa un brutto sogno e stai ai margini di esso come semplice spettatore, a guardare gli eventi catastrofici avverarsi… Non avevo fatto alcun sogno, ma provavo la medesima sensazione.
    Annuii, non molto convinto. Sapevo che doveva andare per continuare il giro, ma io non mi sarei mosso da qui… poco distante si sarebbe dovuto verificare il tutto…
    Stavo per salutare Cerere e la sua espressione di rassegnato disappunto, quando un fascio di luce rischiarò lo strano tramonto che si verificava sulla Luna. Il raggio si proiettò come un proiettile verso la volta celeste, allargandosi e illuminandola a giorno. Il punto di partenza era nascosto ai nostri occhi da alcuni corridoi di siepi e cespugli fioriti, ma non era molto distante. Cerere ed io ci guardammo negli occhi e ci muovemmo come un corpo e un’anima.
    Io zoppicavo vistosamente e allontanai il braccio di lei che aveva provato a sostenermi. Ignorai il dolore, il destino dell’Impero stava per compiersi… una gamba rotta non aveva alcuna importanza.
    Al nostro arrivo, una scena paradossale colpì i nostri sguardi. Il Generale Thot e la Guerriera Partenope affiancavano rispettivamente il Principe Endymion e la Principessa Selene. Il corno di allarme risuonava forte, tanto che dovetti reprimere l’istinto di tapparmi le orecchie. Di fronte a noi, un globo iridescente spandeva energia cosmica, ma a tratti tremolava, come se non riuscisse a condensarsi. Ecco il fantomatico Dio Oscuro, che di oscuro aveva ben poco. Etere, il padre degli Eterni aveva rivelato la sua vera forma, Selene era riuscita a provocarlo, come da piano: per colpirlo con l’arma creata dalla Regina dei Devianti, lui avrebbe dovuto spogliarsi della sua armatura… non conoscevo il “come” era accaduto, ci aveva anticipato solo che aveva in mente di sfruttare l’estrema arroganza di cui peccava un dio tanto potente, eppure estremamente fragile nella sua forma originale.
    Affiancai Thot, pronto a intervenire per tenere al sicuro Endymion, mentre Cerere era andata accanto a Partenope, sollecitando Selene affinché usasse il pugnale a doppia lama per sconfiggerlo una volta per tutte. Solo di sfuggita riuscii a scorgere una figurina appena visibile dietro il muro di luce, eccola la Guerriera Vesta, ancora assoggettata al volere del bastardo, “ancora per poco” mi trovai a sperare.
    La Principessa impugnò il pugnale, attivando la gemma carica alla sua massima potenza grazie all’aiuto di un Tribunale costituito da esseri barbuti di cui non ricordavo bene il nome, ma che sapevo essere più antichi persino dei Titani. I nostri respiri erano tutti sospesi ed ero certo che anche i nostri cuori aspettavano il momento giusto per il prossimo battito… poi, accadde, Selene scagliò il pugnale che liberò una delle lame energetiche, per cadere subito dopo al suolo.
    Etere parve volerci inglobare nella sua infinita luce, ma il colpo era ben mirato e stava per raggiungerlo, tuttavia, accadde l’impensabile: Vesta, con un’onda energetica, deviò la lama dalla sua traiettoria, dando al dio il tempo di ricomporre la sua armatura. Con quella addosso, non avremmo potuto batterlo… conoscevo bene la sua forza, un po’ tutti noi l’avevamo subita sulla nostra pelle.
    Un urlo disperato arrivò alle mie orecchie tramortite, ma non potei fare a meno di riconoscerlo: la Principessa Selene stava scaricando la sua frustrazione per aver fallito e se avesse potuto avrebbe scaricato tutto il suo potere sui nostri nemici. Ma non ne ebbe il tempo…
    “Siete dei poveri illusi! E adesso: uno morirà!” La voce di nuovo metallica di Etere ci raggiunse e ci pietrificò sul posto. Poi strinse una delle mani in un pugno ferreo e subito un tonfo mi costrinse a voltarmi. Il Principe Endymion era crollato come un sacco di iuta vuoto, gli occhi ancora aperti ma vitrei, il petto che si alzava e si abbassava in maniera spasmodica… Selene si era prostrata al suo fianco, cercava di tenerlo stretto, ma era pesante, persino per le sue forze straordinarie.
    Una rabbia sconosciuta mi colse e mi atterrì. Lessi i pensieri disperati della Principessa, lo sconforto nella mente di Partenope, la mia stessa furia cieca in quella di Cerere. Poi, misi una mano sulla spalla di Thot, e i suoi pensieri mi spaventarono ancora di più della scena che mi si era parata davanti: aveva già visto un corpo cadere tra le sue braccia, con le stesse modalità, Horus… Conosceva l’epilogo della storia che si stava scrivendo davanti ai nostri occhi. Lo scossi con forza per farlo rinsavire, era giunto il momento di combattere… a costo anche delle nostre vite!
    E fu allora che dimenticai i piani che mi legavano ad altri poteri, ben diversi da quelli imperiali, mi sentivo un soldato che doveva rivendicare una terribile perdita, al fianco di altri compagni che stavano soffrendo. Ma era troppo tardi per intervenire, Etere aveva preso con sé Vesta e si era di nuovo dileguato, lasciando dietro di sé disperazione, angoscia, lacrime.
    Il Principe Endymion stava per esalare l’ultimo respiro…
    Ero convinto che nulla avrebbe più potuto sorprendermi, credevo di aver visto di tutto nella mia lunga e stranissima vita, ma mi sbagliavo… Davanti ai nostri occhi attoniti, il volto di Endymion mutò e prese altre sembianze, quelle originali. Selene si ritrovò a stringere tra le braccia suo padre, l’Imperatore Hyperion. Tutti noi, circondavamo i reali, in una sorta di cerchio protettivo che si era creato per istinto…
    “Padre, che cosa hai fatto…” Selene era sciolta in un fiume di lacrime, che tentava di asciugare, senza però lasciare la stretta su di lui.
    “Tua madre, lo sai, è molto potente. Non potevo permettere che quel bastardo te lo portasse via… Endymion è al sicuro…” rispose il Titano, con un rantolo spaventoso, ogni parola pareva costargli molta energia.
    “Come farò, adesso, senza di te… Perché?!” La Principessa era distrutta, continuava ad accarezzare il volto del padre in maniera spasmodica, dimostrando forse per la prima volta tutto l’affetto che provava per lui.
    “Il mio scopo era solo quello di saperti felice, perciò non deludermi… non rendere vano tutto questo…” La voce venne via via meno e tutti noi sapevamo cosa significava. Il respiro mancò all’improvviso, il suo petto smise di muoversi, i suoi occhi rimasero immobili.
    Percepii la mano di Cerere stringere forte la mia. L’emozione generale era palpabile, persino io ero stato in apnea fino a quel momento, in cui il tocco di lei non mi aveva riportato alla realtà.
    Un Titano era appena scomparso, presto il suo corpo si sarebbe trasformato in cristalli leggerissimi che si sarebbero persi nell’aire, per ritornare all’origine di tutto. Questa volta, però, nessun Signore dell’Ade lo avrebbe riportato indietro. Questa volta, sarebbe stato per sempre.
     
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    Annarita
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    Il cuore batteva forte, fortissimo. Non riuscivo a controllarlo, pareva voler uscir fuori dalla corazza e dileguarsi, per non tornare più, ma non prima di aver lasciato dietro di sé solo distruzione.
    L'Imperatore Hyperion era morto. Etere era fuggito convinto di aver ucciso il suo obiettivo, il colpo della Principessa - l'unico con la potenza necessaria per sconfiggere il nostro nemico – era andato in fumo per un intervento esterno di Vesta. Selene era devastata, tutti noi lo eravamo. Mi costrinsi a spostare lo sguardo, le sue lacrime cadevano copiose sul terreno ormai spoglio… il corpo del Titano si era vaporizzato, salendo al cielo prima di scomparire del tutto. L'allarme, la grande luce e le urla di dolore di una figlia che ha perso il padre avevano richiamato le altre Guerriere, I MoonKnights e il resto della famiglia reale… La visione, in un modo o nell'altro, si era compiuta e una vita era andata perduta… tutti noi avremmo dovuto farci i conti. Ma io non lo avrei fatto lì, in quel momento. I presenti erano concentrati su Cerere e Haytham che sostenevano Selene e raccontavano gli eventi, mentre io indietreggiando, con la volontà di raggiungere la fine di quel corridoio di siepi e capire se Etere aveva lasciato qualche traccia utile. Tuttavia, non arrivai al mio obiettivo, la mia attenzione fu attratta da Partenope. Anche lei si era staccata dal gruppo e si era accovacciata sul selciato bruciato dall'energia emanata dal Dio. Una volta più vicino mi resi conto che teneva in grembo qualcosa… un oggetto: l'arma di Nyx.
    “Ehi, alzati, vieni con me…” Non riconobbi la mia voce, volevo essere rassicurante, ma venne fuori un rantolo basso. Me la schiarii con qualche colpo di tosse.
    “Abbiamo fallito. Per l’ennesima volta. Il nostro Imperatore si è sacrificato… Ma non posso starmene con le mani in mano… non ci riesco…” La fissai stordito, faticavo ancora a tornare alla realtà, ma le parole di Partenope mi avevano colpito dritto al cuore. Mi inginocchiai al suo fianco e le circondai le spalle con un braccio. La conoscevo bene ormai, sapevo che qualcosa le frullava nella sua geniale testolina. Le baby guerriere erano rimaste l'unica meravigliosa costante in tutte le vite vissute. Forse il mio unico punto fermo in tutta la follia che mi ero ritrovato ad affrontare. Per loro, per lei adesso, sarei stato forte.
    “Cos'hai in mente?" Lei si voltò di scatto verso di me, forse incredula del fatto che le avessi dato il mio muto appoggio, forse sorpresa perché le avevo quasi letto nel pensiero. E no, questo il giovane Conte di Marte non sapeva farlo…
    Allontanai quel brutto pensiero, non volevo farlo tornare proprio ora… dovevo essere lucido e pronto a qualsiasi cosa.
    “Dobbiamo passare dal mio laboratorio, forse possiamo ancora salvare qualcuno che non merita la fine che ha fatto…” Il mio pensiero corse a Horus, ancora profondamente addormentata. Da quando l'avevamo portata via dalla prigione cosmica non aveva più riaperto gli occhi… “No, Thot, non lei… ma quel giorno ti ho fatto una promessa che non ho dimenticato. Credo di sapere come liberare sua madre e riportarla da noi, così quando Horus aprirà gli occhi lei sarà al suo fianco… sempre se non soccomberemo prima…” Aveva iniziato il discorso con concitazione, ma la sua voce si fece via via più flebile, interrompendosi sulla chiosa finale. E no, non andava affatto bene. La sua proposta mi aveva iniettato una scarica di adrenalina talmente forte da farmi tremare… La afferrai per le braccia e la costrinsi a guardarmi negli occhi.
    “Ascoltami Partenope, se ci fosse anche solo l'un per cento di probabilità di riuscire a salvare Senu, dovremo assolutamente provarci. Concentriamoci su un problema alla volta, ma soprattutto su quello che adesso è in nostro potere fare… mi fido di te!”
    Un baluginio nel suo sguardo mi convinse che avevo fatto centro: avevo risvegliato il suo senso pratico, che qualche volta veniva offuscato da timori atavici… di cui solo ora comprendevo realmente l’origine: la sua famiglia. Aveva vissuto per anni senza qualcuno che le desse credito, nessuno si era mai affidato a lei per qualcosa di importante, ma da quando era diventata una Guerriera tutto era cambiato… ma non la percezione che aveva di se stessa. Avremmo dovuto lavorarci su!
    “D'accordo, sono tutti impegnati in altro al momento, ci conviene approfittarne: mettiamoci all'opera!” Le sorrisi con fare incoraggiante, mentre ci alzavamo e ci allontanavano da quel luogo che emanava solo disperazione. Avevamo una missione da compiere e chissà… questa forse avrebbe portato solo sorrisi, magari avrei rivisto quello che consideravo il più bello e luminoso fra tutti.
    […]
    Stavamo seguendo una traccia energetica, quella di Vesta. Era una fiammella flebile, come se il suo essere fosse offuscato da una luce maestosa, capace di renderle quasi invisibile. Ero sinceramente preoccupato, ma avevamo deciso con Partenope di affrontare un problema per volta e soprattutto quelli che erano nelle nostre possibilità… l'alternativa sarebbe stata la follia.
    Avevamo fatto una breve tappa al Laboratorio, lì aveva lavorato per pochi minuti all'arma creata dai Devianti. Non ci soffermammo sui dettagli, ma mi aveva spiegato a grandi linee che con la seconda cartuccia rimasta avrebbe potuto creare una chiave per aprire la prigione cosmica. Il punto era che per farlo, bisognava generare appunto una breccia nel Vuoto Cosmico. L'unica in grado di farlo con cui potevamo provare a ragionare era proprio Vesta. Era davvero rischioso, perché era chiaro che fosse totalmente in balìa di Etere ma avevamo deciso di affidarci al Fato. E – per qualche strana ragione che non riuscivo a ponderare - quest'ultimo sembrò davvero ascoltare le nostre preghiere. Avevamo trovato Vesta, ma non era da sola. Il Dio era con lei e… sembrava furioso. Sì, con ogni probabilità, se non avesse avuto la sua armatura a contenere la sua luce, avrebbe distrutto ogni briciola della Luna con la sua sfolgorante energia.
    Doveva aver scoperto l'inganno di Hyperion. Già solo vederlo così in collera mi diede un piacere intimo e perverso: non eravamo riusciti a ucciderlo, ma il suo piano non era andato comunque a buon fine. Uno a uno e palla al centro avrebbe detto qualcuno della mia vecchia vita… anche se non ricordavo più chi. Partenope quasi si aggrappò al mio braccio per attirare la mia attenzione. Dimenticavo sempre quanto fosse minuta e quanto io fossi alto al suo confronto, così mi chinai verso di lei per ascoltare i suoi bisbigli… era agitata e tentava di indicare qualcosa. Cercai di calmarla, non volevo che ci scoprissero proprio adesso che eravamo a un passo dalla meta. Eccome se lo eravamo perché Vesta – proprio davanti ai nostri occhi – stava aprendo il famoso portale. Lo avrei riconosciuto tra altri mille… nero, vorticoso, brulicante di vita propria. La breccia prese dimensioni davvero enormi e arrivò a sfiorare la nostra posizione… a quel punto avevo Partenope quasi in braccio, si sporgeva per vedere meglio e aspettare il momento propizio. Assistemmo a uno scontro terrificante tra gli spettri che mi avevano quasi rubato l'anima e il Dio, voleva portarli fuori dal Vuoto senza il loro consenso e forse sarebbero riusciti a ferirlo se non fosse stato per l'ennesimo provvidenziale intervento di Vesta che li dominò col suo potere. Perché? Perché continuava a proteggerlo? A servirlo? Dovevamo risvegliarla da quell'orrore…
    “Ci siamo, ci siamo, ci siamooo…” Le parole di Partenope mi arrivarono all’orecchio sottoforma di urlo silenzioso, strepitava ecco sì, era il termine giusto. La vidi tirare fuori il pugnale, al posto dell'unica lama rimasta c'era adesso una specie di chiave stilizzata. Al centro di essa, un teschio contornato da alcuni simboli faceva bella mostra di sé. Un brivido mi percorse…
    “Ti copro le spalle, fai ciò che devi, ma fallo in fretta, ok?”
    Partenope annuì freneticamente, mentre attivava il congegno e lo indirizzava verso il bordo esterno del portale che quasi ci sfiorava. Etere era ancora impegnato a portare gli spettri nella nostra dimensione, non volli pensare alle conseguenze di un gesto simile, sapevo bene di cosa fossero capaci. Tuttavia, continuavo a ripetermelo, come un ciocco di legno a cui ti aggrappi per non perderti nella tempesta: un problema alla volta.
    “Ci sono! Credo che la chiave abbia fatto il suo dovere… La prigione dovrebbe essere adesso accessibile… dobbiamo solo… entrare e tirarla fuori.” Dal suo tono si capiva benissimo che sarebbe stato molto più semplice a dirsi che a farsi, ma io ci ero già passato una volta.
    “Vado io. Adesso tocca a te coprirmi le spalle. Bada che non ci scoprano, ma soprattutto fai in modo che non richiudano il portale!”
    “Ce la posso fare, sì sì sì, ce la posso fare! Tu sii prudente!” Mi abbracciò forte, in uno dei suoi dolci slanci che spesso mi intenerivano il cuore. La rassicurai con un cenno del capo e una carezza, poi mi dileguai nel buio nero pece che conoscevo ormai fin troppo bene.
    […]
    Non credevo che avrei ricordato la strada così facilmente. Forse era il mio inconscio a guidarmi, ma ebbi quasi la sensazione di rivivere le terribili emozioni del viaggio precedente. Scossi con forza il capo per scacciare quel senso di déjà-vu, non era affatto di aiuto, anzi dovevo tenere la mente sgombra e pregare che gli spettri non decidessero di farmi una visita. Speravo che Etere li avrebbe tenuti impegnati il tempo necessario… lo speravo con tutto me stesso.
    Arrivare alla prigione e trovare Senu dietro le sbarre rischiò di farmi crollare di schianto. Fortunatamente non era nelle condizioni in cui avevamo trovato Horus, era emaciata sì ma vigile… infatti, mi notò quasi subito. Si alzò con un po' di fatica e si avvicinò alle sbarre, fissandomi incredula.
    “E tu cosa ci fai qui?”
    “Pensavate che vi avremmo lasciata qui per sempre…?” risposi di getto, mentre cercavo di capire come fare per aprire la cella. Aveva cambiato aspetto rispetto a quando c'era Horus, adesso era fatta di rami bitorzoluti cosparsi di spine. Provai a toccarli per capire dov’era la porta e le spine si ritrassero; tirai un sospiro di sollievo, Senu non voleva punirmi… per adesso almeno.
    “Non puoi tirarmi fuori, non ti permetterò di prendere il mio posto!” disse con autorità e un pizzico di preoccupazione.
    “Provate a dirlo a Partenope, è lei che ha trovato il modo per farvi uscire senza altri sacrifici. Mi ha detto che la prigione è accessibile, ma forse siete solo voi che potete aprirla…” Era un chiaro invito a provarci e non fui smentito. Non appena Senu appoggiò le mani sulle sbarre di legno, queste si ritirarono come radici animate. Lasciarono aperto prima un varco, via via più grande, fino a quando Senu non ne varcò la soglia e mi raggiunse. Ebbe un capogiro e io la sostenni prontamente.
    “Horus è fortunata ad averti…” Fui lì lì per smentirla ma non ne ebbi il coraggio. Di fronte a lei perdevo tutto il mio ardore… forse perché non mi sentivo degno di sua figlia? Forse perché ancora le sue condizioni erano critiche? Non ne avevo la più pallida idea, mi ripetei ancora e ancora: un problema alla volta. Solo così non sarei impazzito di fronte a tutta quella follia, solo così il mio cuore avrebbe retto a tanti altri colpi a venire, solo così avrei potuto continuare a respirare. Ciò che contava sopra ogni altra cosa era che Senu fosse salva… adesso toccava a Horus tornare alla vita e, forse, avevo già in mente come fare per riportarla da me.
     
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    :Persephone:
    Il grande portale sul Vuoto era stato aperto.
    Etere aveva rispettato in pieno le mie aspettative. Era ironico che il Dio amante delle scommesse e dell'azzardo fosse così prevedibile. Lo avevo osservato in segreto molto attentamente, avevo sondato e sfruttato i ricordi della Persephone di questa dimensione e tutto combaciava in tal senso. Etere, il paladino degli Eterni, ormai troppo coinvolto e accecato dal suo odio per i suoi stessi prediletti, sarebbe ricorso a qualsiasi risorsa pur di nuocergli e di soddisfare i suoi capricci, come un bambino che distrugge in pochi secondi il castello di sabbia che aveva appena realizzato con cura e dedizione solo perché non era soddisfatto di un'inezia.
    Un Dio infantile, quindi, a capo di una razza che aveva avuto la sfortuna di essere coniugata a lui. il varco ribollì prima impercettibilmente, poi in maniera sempre più visibile, appena dietro il velo che lo delimitava: come illuminate da sprazzi di luce oscura, si indovinavano sagome, visi, occhi come pozzi neri e bocche spalancate in urla silenziose; erano le anime più tormentate del Regno degli Inferi, quelle più vendicative e crudeli. Erano sempre loro, le prime ad accorrere quando la chiamata presupponeva scopi malvagi. Rispondevano ad una sorta di segnale, un profumo di dolore per queste anime quasi irresistibile. Erano i miei sudditi, in questa dimensione o nell'altra non aveva importanza.
    Avrei potuto intervenire per fermarle, per impedire loro di violare i limiti e le regole che servivano a contenerle, ma non ero lì per questo motivo. Non intendevo ostacolare la follia di Etere, anche se quelle anime dannate, una volta libere nel mondo dei vivi, avrebbero acquistato molto potere e creato immensi danni, prima che le catturassi nuovamente e le riconducessi al luogo da cui provenivano. Strinsi le labbra con fare nervoso e impaziente, in attesa.
    A margine del portale, notai con stupore un movimento nello stesso punto in cui lo avevo scorto pochi minuti prima. Una figura maschile stava attraversando in senso contrario la porta che collegava il mondo reale al vuoto cosmico. Questa volta non era solo, ma accompagnato da una donna dai lunghi capelli neri, che si sorreggeva lievemente al braccio dell'uomo in armatura. Etere non li notò, troppo concentrato sull'evocazione o troppo assorbito dalla sua follia. Le ombre fameliche cominciavano a diventare più nitide, ad acquistare la forza necessaria per oltrepassare la barriera divisiva. La luce azzurrina del sole, così come appariva qui sulla Luna, le rese traslucide. Le prime già si erano staccate dalla tenebra oltre il portale, innalzandosi nel cielo limpido con uno stridio di vittoria.
    Nel liberarsi, sfiorarono la Guerriera che aveva supportato, volente o meno, Etere nel suo piano. Aveva sventato poco prima l'unica possibilità della Principessa di fermare Etere e ora, immobile a fianco del suo signore, parve rabbrividire fin nelle ossa, sfiorata dalle propaggini delle ombre, filamenti grigi che si muovevano al vento spettrale degli Inferi. Vidi solo io quando quella ragazzina si risvegliò, come liberandosi dalle catene invisibili del potere di Etere. Nessun altro notò il movimento perfetto con cui colpì il punto più vulnerabile dell'armatura che proteggeva il Dio. La protezione metallica si scompose all'istante in tanti pezzi e rovinò al suolo, lasciando indifeso il suo possessore. Un urlo tremendo, come di animale ferito si alzò immediatamente. Era un gemito irritato e disumano, che conteneva indignazione, orrore, tradimento. Etere era ridotto a mostrarsi nella sua forma effettiva, ovvero luce pura, intensa e accecante, ma vulnerabile e instabile. Assottigliai gli occhi per non rimanere accecata e perdere il vantaggio opportuno di una posizione nascosta per assistere alle battute finali del dramma che avevo curato e agevolato in più frangenti.
    L'urlo del Dio sembrò risvegliare e chiamare a raccolta i suoi nemici.
    Mentre le due figure appena uscite dal portale se ne allontanavano velocemente mettendosi al riparo, altre ne arrivarono. Riconobbi le Sailor di ogni pianeta e asteroide esistente. Accorsero per dare aiuto e sostegno a quella che aveva iniziato l'attacco, che aveva colpito a tradimento il suo padrone. Lampi violenti dei colori di ogni parte dello spettro cromatico colpirono in contemporanea la sorgente luminosa che era il Dio, impedendogli di rifugiarsi nuovamente nella protezione della corazza impenetrabile, ma anzi spingendolo, millimetro dopo millimetro, verso il Portale oscuro. Le forze attive da entrambe le parti quasi si eguagliavano, tanto che la scena sembrava immobile, come se il tempo si fosse fermato per mia mano, se non fosse stato per due particolari: la vibrazione luminosa dei poteri che schiacciavano il Dio e i segni scuri sul terreno, come strisce bruciate che l'essenza di Etere lasciava nel resistere all'impatto combinato dei colpi delle Sailor. Un caleidoscopio colorato che crebbe costantemente di intensità, uno sforzo formidabile a cui bastava davvero poco, un soffio lieve, per aver ragione della forza di Etere. I lampi blu di Mercurio, cremisi di Marte, dorati di Venere, paglierini di Urano, smeraldo di Giove, cerulei di Nettuno. Per un lungo momento, sembrarono avere la possibilità di prevalere, ma la loro forza non era inesauribile e la mancanza della loro leader era un fattore significativo. Dopo un attimo che parve infinito, la loro potenza d'attacco diminuì. Etere era quasi al limitare del velo tra i due mondi ma capì che il capriccio della fortuna stava di nuovo girando a suo favore, e avrebbe avuto ragione degli avversari nonostante la sua forma indebolita.
    Strinsi i pugni, contrariata. Avevo creduto che il mio ruolo sarebbe stato solo di convenienza, ma mi arresi all'evidenza. Non potevo rimanere nell'ombra come avrei desiderato, occorreva che usassi il mio potere, rischiando di rendermi visibile. Punta il dito verso la sagoma luminosa e la mia energia color onice si aggiunse quella delle altre. Un piccolo, piccolissimo contributo che fu fondamentale per vincere le ultime resistenze di Etere. La sua forma splendente venne risucchiata al centro dell'oscurità, per poi implodere e scomparire. Le due vastità, opposte e complementari entrarono in contatto e si fusero in un'unica entità. Etere era scomparso, era stato inglobato dallo spazio cosmico, la sua essenza non annullata ma unita e resa inscindibile.
    Non era finita. Dopo un secondo di stasi, l'unione del vuoto cosmico con un'energia così massiccia creò una deflagrazione immane, rilasciando un'energia imponente e terrificante. Io ero lì per questa, per intercettarla e preservarla. Un fulgore raggiante venne proiettato fuori dal portale, abbattendo per un raggio molto ampio qualsiasi forma di vita. Le Sailor caddero al suolo svenute, protette dalla morte grazie alla loro tempra superiore e all'armatura resistente. Persone inferiori come i miseri umani, se troppo vicini al punto di origine dell'esplosione non sarebbero sopravvissuti, ma non avrei sprecato il mio tempo per piangerli o crucciarmi.
    Ogni stilla della mia concentrazione era incanalata verso l'energia dirompente e il mio bastone, il ricettacolo della stessa. Non avrebbe potuto incamerarla tutta senza danneggiare irrimediabilmente la sua struttura e il prezioso tesoro che custodiva, ma anche solo la piccola frazione nel punto in cui mi trovavo sarebbe stata più che sufficiente. Strinsi le mani intorno al bastone, per reggerlo e contemporaneamente per resistere al ciclone che mi circondava; quando mi superò, attesi qualche secondo che la staffa terminasse di vibrare dopo il prelievo, una vibrazione molto prossima ad un corpo che trema nel resistere ad uno sforzo titanico. La Garnet Sphere inserita sulla sommità si agitò nelle profondità del suo cuore, come in preda ad un sogno angoscioso. L'anima racchiusa si mosse inquieta, ma per liberarla non era ancora giunto il momento...
    Quando l'eco del boato dell'esplosione cessò e il vento impetuoso che lo aveva accompagnato si affievolì, osservai il campo di battaglia, cosparso di corpi, quelli delle Sailor. Il portale si era richiuso, e a memoria dello scontro furioso appena terminato rimanevano solamente i solchi bruciati nel terreno. Mi mossi leggera in mezzo alle mie compagne incoscienti. Mi ero interrogata sovente prima di questo giorno se avessi dovuto approfittare della loro vulnerabilità per ucciderle e liberarmi dell'ostacolo che potevano rappresentare nei miei piani, ma infine avevo scartato quella possibilità allettante. Ero potente e risoluta, sarei comunque riuscita a contrastarle quando la mia missione avesse avuto successo, ma non ero stupidamente arrogante. L'universo era governato da un principio infinitamente più forte di me e avrei dovuto agire evitando ad ogni costo di violare troppo maldestramente l'equilibrio su cui tutto si basava. E l'uccisione delle Sailor, con il conseguente ritorno all'origine dei loro Crystal Seed, avrebbe inevitabilmente puntato un faro sulle mie azioni.
    Il bastone tra le mani stava diventando sempre più caldo, in reazione all'enorme potenza raccolta. Era giunto il momento della mossa successiva. Colpii il terreno una prima volta, liberando una parte dell'energia.
    ”Monolite del Tempo, io ti richiamo ai miei ordini!” L'immenso manufatto di colore eburneo, si materializzò davanti a me. Percossi la terra una seconda volta.
    ”Monolite dello Spazio, io ti richiamo ai miei ordini!” E poi un'ultima volta, la terza. Sorrisi vittoriosa. I tre Monoliti si ergevano maestosi e colossali, nero quello dello spazio e grigio quello della creazione. Con il mio potere, aumentato dell'energia rilasciata dal bastone, ero riuscita a prenderne il controllo.
    Accarezzai l'aria, percependo sotto le dita la sottile trama che separava questa dimensione dalla mia d'origine. I fili si stavano diradando, e già potevano essere sufficientemente radi in alcuni punti di questo mondo da consentirmi di procedere con la fase successiva. Il controllo dei Monoliti era l'ultimo pezzo che mancava prima che potessi procedere, ma ora potevo controllarli e usarli, come avevo progettato.
    ”Il futuro che ci farà tornare alla vita che c'è stata strappata è sempre più vicino... lo sento... avvicinarsi a grandi passi” Mormorai riflessiva e con il tono di chi fa una promessa. ”Non commetterò nessun errore, e quello che abbiamo passato sarà presto un brutto sogno e nulla più!”
    Apri il passaggio per allontanarmi velocemente da quel luogo. Nessuno mi aveva visto e nessuno avrebbe mai saputo della mia parte nella sconfitta di Etere.


    Edited by Illiana - 25/1/2021, 09:16
     
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    Ero stanco, dannatamente stanco… fisicamente e mentalmente.
    Erano state settimane dure, anzi durissime, durante le quali avevo mangiato lo stretto necessario e dormito quasi per nulla, una o due ore per notte, giusto per non crollare nei momenti meno opportuni. Tuttavia, adesso che il peggio sembrava passato, in realtà mi trovavo ad affrontare cambiamenti a cui non credevo avrei mai assistito, primo fra tutti: l’Impero galattico non esisteva più. Era sconvolgente, eppure, era accaduto sotto i nostri occhi, senza che nessuno muovesse un dito, così come nessuno aveva reagito di fronte alla defezione clamorosa dei Templari. Così, di punto in bianco, si erano ammutinati e avevano raggiunto la Terra, per farne – di nuovo – il loro dominio. Era stato un piano ben architettato il loro, durato centinaia e centinaia di anni… come potevo non esserne sconvolto? Il Gran Maestro Kenway ci aveva lasciati, sapevo che aveva avuto un colloquio privato con la Principessa Selene, ma nulla di più, se n’era andato così com’era apparso, ma di certo lasciando un segno indelebile in un orizzonte volto al più imponente dei mutamenti. Senza i Templari, i Moon Knights erano diventati la prima difesa della Luna; in qualità di Generale avevo partecipato a un summit in cui si era stipulata una Intesa atta a unire i migliori eserciti del Sistema in caso di necessità: Luna, Marte, Nettuno e Giove sarebbero divenuti un solo fronte comune. Ma questo non aveva aiutato a sopire i movimenti della mia anima… non riuscivo a capire da dove provenissero, mi sentivo come se fossi stato tradito, ma di fatto nessuno lo aveva fatto. Era del tutto assurdo e forse anche questa sensazione era frutto della stanchezza… Adesso che Etere era stato sconfitto, Senu liberata dalla prigione cosmica, Vesta riabilitata grazie al suo prodigioso intervento contro il giogo del Dio, Ares era tornata a casa sana e salva, restava ancora un tassello che non era finito al suo posto, che – da solo – riusciva a togliermi ancora il sonno e l’appetito.
    Horus.
    Da quando eravamo riusciti a portarla via dal Vuoto grazie al sacrificio della madre, non aveva più ripreso conoscenza. Era rimasta in un coma profondo, insensibile a qualsiasi stimolo esterno. L’avevo ospitata nei miei appartamenti, l’avevo distesa nel mio letto, all’interno del grande Palazzo Reale di Marte, incurante di quanto si sarebbe potuto dire, pensare, chiacchierare. Ero sordo e cieco, anche alle rimostranze di mia madre e ai rimbrotti di mio padre… Con i loro sguardi scandalizzati, quando ero arrivato trasportando la mia compagna tra le braccia, erano riusciti a ferirmi molto più di quanto avessi mai potuto immaginare, al punto da trasformarsi in burattini senza voce al mio cospetto. Era pesante, me ne rendevo conto, ma non mi era rimasto più molto spazio per la diplomazia, le apparenze, il quieto vivere… non quando dentro di me si stava verificando una lotta campale; il poco che mi restava ero costretto a utilizzarlo con la Principessa Selene, il Principe Helios, il Cancelliere Endymion… no, non potevo andare oltre.
    Dopo la distruzione di Etere, senza contare gli impegni diplomatici, avevamo tutti ricevuto un po’ di tempo per tornare sui nostri pianeti di origine, per più di qualche giorno. Avrei dovuto godermi le mie due sorelline, ma ormai da due giorni filati non ne avevo voluto sapere di lasciare il capezzale di Horus… era ciò che avevo fatto ogni istante racimolato anche durante la crisi: ero venuto qui, le avevo tenuto la mano, le avevo parlato, spesso senza sapere bene cosa dire. E così continuavo a fare anche ora, mi ero allontanato giusto qualche minuto per prendere una bacinella di acqua calda. In mia assenza, il compito di accudirla era stato di Phobos, non aveva atteso un mio ordine o quello di Iuventas, si era proposta di sua spontanea volontà… e non faticavo a capire il perché. Poi, era toccato a Senu, rivederle assieme era stata una spina in meno nel mio cuore, almeno quando Horus si sarebbe svegliata l’avrebbe saputa al sicuro. Ma con la liberazione degli Assassini dall’Abstergo, Senu andava e veniva, divisa tra la figlia e il suo Campione. Perciò, restavo di nuovo io e, anche se solo tra i pensieri, avevo tirato un sospiro di sollievo. Nonostante lei non avesse più fatto cenno a colpe di mia competenza per la situazione in cui versava Horus, continuavo a sentirmi a disagio in sua presenza…
    Quasi non rovesciai l’acqua dal catino, non appena Senu apparve sulla mia strada. Strinsi i denti: “quando si parla del diavolo…” c’era qualcuno, in uno dei miei passati, che usava spesso quella espressione… ma non ricordavo più chi.
    “Sono due giorni che non lasci il suo fianco, dovresti riposare…” La sua voce era più morbida di quella a cui ero abituato, per questa ragione mi ritrovai a fissarla negli occhi.
    “Sto bene. Non dormirei comunque” risposi con tono deciso
    “Secondo me crolleresti di schianto. Non hai un bell’aspetto e presto potresti essere chiamato a svolgere i tuoi doveri di Generale…” Aveva stretto le braccia al petto, parlando come se stesse rimproverando un figlio discolo e non il conte di Marte. L’altro Thot sembrò contrariato, ma scoprii che a me non poteva importare di meno. Lo ricacciai indietro malamente, riconoscevo quando una persona parlava perché preoccupata e non per saccenza.
    “Ti ringrazio per il tuo interessamento, ma lontano da lei non starei sereno. Tanto vale, rendermi utile…” Senu mi si fece più vicina e, in un gesto ancora più materno del rimprovero di prima, prese il mio volto tra le mani. Io ne restai stupito, tanto che non riuscii a muovere un solo muscolo.
    “Non sappiamo quando Horus ritornerà alla vita, ma tu sei vivo adesso, non puoi lasciarti andare, hai delle responsabilità verso chi ti vuole bene e chi attende i tuoi ordini…” Mi ritrovai a stringere le palpebre, con la stessa intensità con cui stringevo il catino, che adesso vibrava. Avevo delle responsabilità, molti dipendevano da me, tutti pretendevano che io fossi sempre sul pezzo, pronto a comandare, combattere, decidere: era dannatamente vero e non avevo la possibilità di tirarmi indietro, neppure per accudire la persona che amavo. Sì, era proprio questa la mia vita. Senza di lei, però, tutto questo aveva importanza? Nella mia mente apparvero i volti di Ares e Iuventas, subito dopo arrivarono quelli di persone appartenenti ad altri mondi e altre vite. Persone a cui tenevo e che avrei voluto ritrovare. Ma senza Horus? Le dita di Senu era fredde, ma sulla mia pelle sembrarono bruciare, così annuii piano e lei mi lasciò andare, togliendomi la ciotola dalle braccia. “Va’, riposa un po’, veglierò io su di lei…”
    Non risposi, non c’era poi molto da dire, feci dietrofront e mi incamminai verso la camera che mia madre aveva fatto preparare, perché un Conte non poteva non avere una stanza da letto privata e di tutto rispetto. Era forse la seconda volta che la usavo, quel poco tempo che ero riuscito a tornare, avevo dormito accanto a Horus… adesso, invece, mi sarebbe tornata utile.
    Una volta dentro, ignorai i drappi e i tendaggi finemente ricamati, tolsi solo gli stivali e le armi, poi mi buttai a peso morto sul letto a baldacchino. Non avevo acceso le luminarie né le candele, anelavo il buio, ma la luna era enorme e si infiltrava abilmente tra le tende leggere accostate all’imponente portafinestra, che dava su uno dei giardini privati, in dotazione a ogni camera su quel lato della residenza reale. I raggi mi richiamavano, volevano temprarmi, senza di loro non sarei sopravvissuto a tutte le notti insonni e ai pasti frugali che mi ero imposto. Fissai i giochi di luce evanescenti disegnati sulla trapunta, ricoperta da piccoli ricami impreziositi da pietruzze, che assorbivano i raggi e parevano nutrirsene al mio pari. Mi alzai, tirai via del tutto le tende, aprii la portafinestra e fui fuori, la luna era di fronte a me, maestosa, candida, solitaria… quanto ci assomigliavamo in quel preciso istante? Poi, il volto di Horus si sovrappose a quello della sfera luminosa, esplose nella mia mente in tutto il suo fulgore di fuoco e fiamme. Lei era il simbolo del sole, se ne nutriva come io lo facevo con la luna… eravamo tanto diversi, opposti, eppure l’amavo… forse… se…
    Un’idea balzana balenò nella mia mente, la elaborai in fretta, nel mentre levavo la casacca chiara di lino, la kefiah rossa che mi copriva collo e capo, e restai a torso nudo… completamente esposto ai raggi lunari, per assorbirli il più possibile. Dovevo rigenerarmi. Per portare a termine quella follia, dovevo essere carico al massimo… Era solo una teoria la mia, avrei potuto ucciderla e non salvarla, ma quali alternative avevo? Continuare ad accudirla, mentre avvizziva e, infine, ci lasciava, senza fare nulla? No, non potevo. Non era da me accettare supinamente il destino, non lo avevo mai fatto e non avrei iniziato oggi.
    Restai in giardino per oltre mezz’ora, quando percepii ogni mia cellula colma fino all’inverosimile, mi rimisi la casacca e, come un fulmine mi fiondai, – ancora scalzo – verso i miei appartamenti. Incontrai Iuventas e Ares sulla mia strada, ma si fecero subito da parte per farmi passare, al pari di un fiume che viene diviso in due dalla forza di un uragano inarrestabile. Non so cosa videro sul mio volto, ma non proferirono alcuna parola… solo dopo, quando tornai alla ragione, seppi che mi avevano seguito silenziose.
    Arrivai a destinazione e trovai Horus nel mio letto, il viso sempre più cereo nonostante la sua carnagione di mogano. Senu le aveva appena lavato il viso, le braccia, le gambe, la pelle era ancora umida, mentre la coperta era rimboccata ai piedi.
    “Ci potresti lasciare, per favore?” chiesi, notando il suo sguardo stupito. Non mi aspettava così presto, questo era certo.
    “Cosa succede? Potevi prenderti ancor…”
    “Forse so come aiutarla, ma devo restare da solo con lei…” Bagliori luminosi si sprigionarono dalla punta delle mie dita e i miei occhi si erano trasformati in cristalli vitrei. L’energia lunare traboccava, dovevo fare in fretta. Senu parve percepire la mia urgenza e… la mia determinazione. Perciò, non obiettò oltre e dimostrò anche una grandissima fiducia nel sottoscritto non chiedendo quali intenzioni avessi. Forse non mi considerava poi così inetto… sempre se non avrei davvero ucciso sua figlia. In quel caso, beh, in quel caso sarei morto con lei.
    Intravidi dietro di me Ares e Iuventas, gli occhi spalancati su di me, mentre aspettavo che Senu uscisse e mi decidevo a chiudere l’uscio. Dietro di esso lasciai ogni incertezza, ogni remora, ogni paura. Avevo un solo “colpo” e non lo avrei sprecato.
    Mi avvicinai al corpo di Horus, immobile, lucido, coperto appena da una veste leggerissima color del sole. Era appena sollevata sulle cosce, mentre le braccia e parte del petto erano rimasti scoperti. Imposi le mie mani su di lei, una sul petto e l’altra sul ventre. Sotto le dita percepivo chiaramente il suo calore, le sue cellule reagivano alle mie, eravamo gli opposti che si attraevano ma allo stesso tempo talmente diversi per composizione da risultare deleteri l’uno per l’altra. Un po’ come quando si fa una trasfusione e il corpo rigetta il sangue non compatibile… io avrei infuso la mia energia in lei e il suo corpo mi avrebbe rigettato, ma per farlo avrebbe dovuto necessariamente risvegliarsi, combattere l’invasore. Si sarebbe trattato di attimi, una sorta di elettroshock, che lei avrebbe subìto o respinto. Nel primo caso, sarebbe morta, nel secondo sarebbe tornata alla vita…
    Fissai, solo per un secondo, il suo viso. Mi accostai rapido per rubarle un bacio che forse sarebbe stato l’ultimo in ogni caso, eppure, incurante delle conseguenze che anche un suo risveglio avrebbe portato, agii. Scaricai la mia energia attraverso le mani, direttamente nel suo corpo… e sperai, pregai, anzi no, supplicai di aver avuto ragione.
     
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    L'oscurità era fitta e densa ma calda e quasi rassicurante. Fluttuavo senza avvertire dolore o paura, e nulla mi turbava. Ero in un luogo perduto nello spazio, o senza collocazione alcuna, ma questo pensiero non mi spaventava, niente riusciva a incrinare la pace assoluta e senza confini che era il mio rifugio. Non sognavo, non desideravo nulla, perchè non avevo bisogni né domande. Non ricordavo la mia vita passata, e non ero neanche sicura di averne mai avuta una. Ero senza nome, senza volto, senza legami. Sapevo solo che tutto questo era una benedizione.
    Improvvisamente però, un piccolo puntino luminoso brillò sopra il mio petto. Lo osservai senza curiosità nè aspettativa, ma quando poi esplose come un piccolo sole feroce, mi trascinò via dal mio paradiso, in un luogo ben diverso. Il dolore e la paura fecero la loro comparsa, e per quanto anche lì non ricevessi alcuna sensazione fisica, un panico ben noto mi travolse. Ero di nuovo prigioniera, persa nel vuoto oscuro, senza tempo né perdono. La mia voce si perdeva se urlavo, e lo facevo fino a sentir bruciare la gola. Le mie mani stringevano l'aria, la artigliavano inutilmente. Il senso di perdita mi rendeva concitata e smaniante, e mi agitavo anche se sapevo quanto fosse inutile disperarmi. Avevo già passato secoli, o almeno era questa la mia percezione, in uno stato simile di tortura, prima di riposare la mia coscienza nell'oblio dal quale ero appena stata strappata.
    Del tutto inaspettate, udii delle voci in lontananza. Voci di donne, e una voce maschile. Parlavano tra di loro e sembravano seriamente preoccupate. Mi calmai per poter decifrare le loro parole e rimasi in attesa, senza osare alcuna speranza. Forse erano più vicine di quanto pensassi. Forse avrei trovato un modo per sfuggire all'incubo in cui ero imprigionata, se fossi riuscita a farmi aiutare da loro. L'immobilità mi permise di notare alcune cose che con l'agitazione mi erano sfuggite: cominciai ad avvertire il mio corpo, la morbidezza di una coperta sulle gambe, il calore di un tocco sul viso. Con fatica, aprii gli occhi e una luce soffusa, diversa da quella che aveva dato inizio alla sofferenza, mi rassicurò.
    Le voci erano cessate. Il mio viso era bagnato di lacrime che avevo pianto senza accorgermene, convinta come ero di essere stata privata del corpo e dei suoi sensi. Incredibilmente, ero libera dal mio castigo, e non sapevo come fosse successo. Strofinai gli occhi per liberarli dal velo delle lacrime e intravvidi una mano che mi porgeva un bicchiere. L'acqua placò il bruciore e l'arsura nella mia gola.
    C'erano fiori freschi accanto al letto, percepii il profumo delicato. Combattei contro le lacrime di gioia e commozione che mi assalirono al pensiero che tornavo a vivere in quel momento, dopo chissà quanto tempo trascorso come reclusa. La mia manò tremò perdendo la presa sul bicchiere e qualcuno lo afferrò al volo. Alzai lo sguardo e riconobbi immediatamente il viso che più mi era familiare. Era lui che mi aveva assistito e curata mentre mi smarrivo nel vuoto, non avevo dubbi. Il suo viso così bello era segnato da rughe di stanchezza e apprensione, ma un particolare che non riuscii a individuare mi mise in allarme. Era una nota stonata in una canzone conosciuta a memoria. Qualcosa tornò alla memoria, con fatica. Alcuni frammenti di un discorso avuto prima della prigionia. Una rivelazione che mi aveva fatta precipitare in una confusione quasi peggiore di quella che avevo affrontato subito dopo. Dietro a quelle iridi scure, non c'era il mio Campione.
    "Dov'è lui?" Non avevo altro pensiero e preoccupazione che per Thot, per la sua sorte.
    Il mio interlocutore si morse il labbro, indeciso forse nel rispondermi, ma alla fine lo fece e sembrò costargli tutto il fiato che aveva in corpo. Si sedette su una sedia lì vicino. "E' qui. Da qualche parte"
    Fu una notizia inattesa e per questo l'emozione quasi mi travolse. Mi misi in ginocchio sul letto, incurante della debolezza che faceva tremare i muscoli e sorrisi timidamente. Le parole uscirono senza controllo, con la stessa gioia con cui da bambina raccontavo le mie prime esperienze di volo.
    "Ho sentito la sua presenza quando ero in preda al terrore, dentro alla prigione. Mi sono aggrappata a quella, a lui. E' stato un miracolo che mi ha dato la forza di resistere. Dopo, il terrore non è stato più così orribile... Ho sentito i suoi sentimenti, la sua preoccupazione. Io..."
    Il cuore mi batteva fortissimo, e pareva volersi liberare dalla gabbia del torace.
    "Vuoi parlare con lui?" La sua voce era strozzata, cupa. Lo notai appena, tanto il rombo del sangue nelle orecchie mi distraeva e mi esaltava. Premetti forte la mano sul petto, per controllare il tumulto nell'anima. Qualcosa cominciò a premere ai margini della mia coscienza, come un vetro appannato che poco alla volta torna a riflettere e mostrare la realtà che avevo dimenticato. Io ero libera, ma non il mio Thot, e ora avrei dovuto preoccuparmi di lui.
    "Cosa significa... sei tu che puoi comandare il vostro alternarsi? Perché è successo questo?"
    Si mosse nervoso sulla sedia, restio nuovamente a confidarsi ma alla fine, come prima, si fece forza per rispondere alle mie domande, alla mia urgenza di sapere. "Più o meno. Posso lasciare che prenda il sopravvento, decidendo se restare a guardare o... no" Deglutì a forza e represse un brivido stringendo le braccia intorno al corpo. Era strano che avesse freddo, dato che nella stanza era acceso il fuoco nel caminetto. Cercai di non distrarmi, per non perdermi una sola parola. Quante domande mi balenavano nella mente...
    "Non so perché è successo. So solo che un giorno mi sono risvegliato qui, in una vita che non era la mia... ma riconoscendo ogni singolo volto, anche se non erano gli stessi che io avevo conosciuto nel mio mondo..."
    "Nel tuo mondo..." Tentennai e mi fermai, in cerca delle parole giuste "Chi eri? Cosa era diverso? Hai detto che i volti ti erano noti, quindi eri comunque un Campione? E io... c'ero?"
    A fatica, lui si alzò e mi mise le mani sulle spalle. Sotto le sue dita, sentii le mie ossa sporgere sotto la pelle sottile. Chissà cosa avrei visto, quale sconosciuta mi sarei trovata davanti, se mi fossi guardata allo specchio. Ignorai l'angoscia che proveniva da un egoismo che non mi apparteneva. Thot mi spinse con gentilezza ad appoggiarmi ai cuscini e mi tirò sopra le gambe la coperta. Pareva un tradimento chiamarlo con il nome del mio Campione, ma non avrei saputo quale altro nome usare.
    "Se vuoi così tante risposte, mettiti comoda e al caldo..." Poi si sedette, di nuovo con le braccia strette al corpo per scacciare il freddo o qualcosa che al momento non capivo e non mi interessava accertare.
    "Ero figlio illegittimo di Crio, sono stato abbandonato e sono cresciuto da solo, facendo di tutto per sopravvivere. Sono diventato un mercenario, abile nel combattimento e nell'uso delle armi... non ho avuto molta scelta. Un giorno, però, ho salvato la vita alla Princ... alla Lady Pandia del mio Mondo, sacrificando la mia. Sono morto e mi sarebbe andata bene anche così, ma l'imperatrice Selene ha avuto pietà di me, mi ha fatto rinascere grazie al potere della Luna e sono diventato ben Generale dei MoonKnights... come vedi... percorso diverso ma stessa destinazione. Tuttavia, non ero Conte, sono venuto a sapere delle mie origini, perciò guardavo da lontano Ares e mi struggevo per l'affetto di Iuventas, che ho avuto l'onore di addestrare anche nel mio mondo, insieme a tutte le giovani Guerriere. E tu... cioè... io non sono mai stato un Campione per ovvie ragioni di status. Tu c'eri, eccome se c'eri, ed eri compagno alato di mia sorella... Iuventas..."
    Ero colpita dal suo racconto. Si era sforzato di riassumermi in poche frasi quella che per lui era una vita intera. Il suo atteggiamento mi ispirava compassione nei suoi confronti e una forte ammirazione per l'incrollabile forza che aveva dimostrato. La stessa con cui io avevo perseguito i miei sogni e superato ogni ostacolo, anche a costo di dover nascondere e temere per i segreti che avevo custodito.
    "Sei una persona d'onore, quindi... il tuo comportamento è stato retto come la tua anima, ma... questo non toglie che... hai usurpato un ruolo che non ti appartiene, ora. Non hai nessun diritto di essere un Campione perché non è a te che ho legato il mio destino" Presi fiato per allentare la tensione che stava cominciando a salire, insieme al dolore. Il grumo oscuro della memoria stava materializzandosi poco a poco. "Se penso a quanto tempo hai finto di essere chi non eri... ora capisco il perché di alcuni episodi, che al momento mi parvero incomprensibili. E ora ricordo anche che me lo avevi confessato prima di venir presa da Etere..." I pezzi che si erano nascosti fino a poco prima andarono a posto nella mia mente annichilita "E con i ricordi, torna anche il tormento di quello che siamo..." Alzai lo sguardo spaventato su di lui "Niente è cambiato per noi, le imposizioni e le regole ci vincolano sempre e... quel che è peggio, è che i nostri sentimenti sono diventati chiari, così come il peccato che stiamo commettendo!"
    Thot scosse la testa lentamente, il pallore del viso sempre più accentuato. "Non l'ho fatto di proposito, non ho scelto io di usurpare il ruolo del tuo Campione. E' successo e basta. Di contro, se ancora non capivo io cosa fosse accaduto, come avrei potuto dirtelo... o dirlo a tutti gli altri... il minuto dopo?" Trasse un respiro profondo a spezzare quelli corti e secchi con cui aveva risposto. "Adesso che sai chi sono, adesso che non devi temere un giudizio di nessun tipo da parte mia perché... perché non sono nessuno per te... puoi dirlo ad alta voce senza alcuna conseguenza: tu ami il tuo Campione? Lo hai sempre amato?"
    Avrei desiderato lasciarmi alle spalle almeno questo disonore, ma capii che non era possibile. Sgomenta e sconcertata, portai le mani nei capelli e, senza accorgermene, piantai le unghie nella pelle sottostante. La mia voce si alzò e rischiò di spezzarsi per la vergogna e il disappunto. "Continui ad insistere per farmi ammettere i sentimenti che provo, quando io per prima li sto respingendo! Sono proibiti! E anche lui..." Feci una pausa infinitesimale, una richiesta silenziosa di conferma. "... ha dovuto soffocarli, per risparmiarmi ogni punizione... perché vuoi violare il nostro rapporto? Cosa rappresenta per te?"
    "Perché io credo che quando si ama davvero, non esistono regole, tradizioni, limiti. Si dovrebbe lottare per quel sentimento, a maggior ragione se si ha il potere di andarvi contro. Pensi davvero che un Conte di Marte non abbia potuto evitarti una punizione? Oppure, rimescolare le carte di tradizioni tribali per valere il suo amore? Prova a pensarci..."
    Scossi la testa con rabbia. Non volevo sentire quei discorsi, erano pensieri troppo lontani da quello che ritenevo giusto e ammissibile.
    "Non lo avrebbe fatto, lo so e anche per questo lo..." Mi morsi con forza la lingua, spaventata da quello che stavo per confessare. Gli avrei dato finalmente la soddisfazione di sentire ciò che voleva sapere, ma non osavo pensare che anche il mio Campione era in ascolto, e non avrebbe reagito favorevolmente.
    "Ha evitato di proposito di creare delle situazioni che ci mettessero in pericolo, ben sapendo che io per prima non lo avrei permesso. Il nostro rapporto era distante perché era l'unico modo per salvarci, ora lo comprendo. Non lo avrei perdonato se avesse infranto le tradizioni per puro egoismo" Lo fulminai con lo sguardo, detestandolo per l'insulto che stava arrecando a entrambi. "Non osare mai più insinuare un simile sospetto. Con che diritto lo fai?"
    Lui scosse a sua volta la testa, ma lentamente, come chi constatava una situazione che non approvava.
    "Nessun diritto, se non quello che potrei avere per il semplice fatto che tengo a te... penso che tu sia speciale, che meriti di essere amata senza sotterfugi... per me amare non equivale a essere egoisti, ma vedo che la prima ad essere costretta dalle catene della tradizione sei proprio tu... o almeno è ciò che ti racconti per giustificare tante cose..."
    "La tradizione non è da disprezzare solo perché non siamo felici. La cultura e la società si basano sulle regole. IO ho consacrato la mia vita e le mie azioni a quello che per te è troppo difficile da accettare" Lo rimproverai come se parlassi con uno sprovveduto. Erano mesi che viveva in un universo regolato da principi e imposizioni diverse, e ancora si rifiutava di adeguarsi, sottolineando solo i lati negativi.
    L'amore per lui era importante, ma agiva con onore, perciò anche la dignità rappresentava un valore importante nel suo animo. Era per questo che non capivo perché continuasse a tornare sulla questione, ignorando il mio disagio e anzi, aspettandosi che mi confidassi con lui.
    Però da quello che aveva raccontato, indovinai chi vedeva in me, e all'improvviso una stanchezza enorme mi piombò addosso. Quella spossatezza che ti raggiunge fin nelle ossa quando ti viene a mancare un pezzo importante per andare avanti nelle difficoltà. Avrei resistito, comunque. Avevo altri sostegni a cui affidarmi, pur non comprendendo bene cosa mi fosse stato sottratto.
    Feci una smorfia amara. "Quello che pensi di provare per me non è che un ricordo di quello che provavi per un'altra persona. Per quella Horus che conoscevi nel tuo universo" Era tutto così logico che mi stupivo di non esserci arrivata prima. Cosa avevo creduto? Che si fosse interessato a me, alla copia severa e distaccata di una persona più solare e piacente che aveva perduto in un modo insopportabile? Una donna che rappresentava per lui molto di più, un desiderio neanche nato e già svanito. Il rimpianto che si trasformava e si faceva illusione nel cuore generoso e limpido di un essere umano. Una storia tragica, che mi rendeva triste per lui. Non per me, no.
     
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    “Quello che pensi di provare per me non è che un ricordo di quello che provavi per un'altra persona. Per quella Horus che conoscevi nel tuo universo.”
    Non potevo crederci, era davvero questo ciò che pensava? Era davvero questa la realtà?
    Mi appoggiai allo schienale della sedia, non mi ero neppure accorto di essermi sporto verso di lei, calamitato dalla sua aura ferita. Ero così stanco, svuotato, e non solo perché avevo espanso la mia energia fin quasi a uccidermi… tutta quella discussione stava prendendo una piega talmente amara che rischiava di schiantare le ultime energie che mi erano rimaste. E se avesse ragione? Ci avevo mai riflettuto sulla possibilità di aver trasposto i miei sentimenti, per quanto immaturi, dalla mia Horus a lei? Un abbaglio, era solo un abbaglio? Eppure, qualcosa di inconsistente non può provocare dolore, sì, perché era dolore ciò che sentivo al centro del petto. Me lo massaggiai d’istinto, come se potessi alleviare quella pressione costante e angosciosa.
    “Forse hai ragione, forse è tutta un'illusione e ho rischiato tutto per... niente?” Pensai ad alta voce, ma lo sguardo che lei mi rivolse sembrava voler cancellare le mie parole. Era stato involontario, me ne rendevo conto, ma lo avevo visto. Avrei dovuto dimenticarlo? “Io non la conoscevo, sai... l'altra Horus intendo. Sì, sapevo chi fosse, ma non ci ho mai davvero parlato, credo di essermi innamorato di lei al primo vero sguardo... quando l'ho vista in una situazione talmente disastrosa che non puoi nemmeno immaginare... eppure io l'ho sentita dentro...” Non sapevo perché le stavo confessando qualcosa che non avevo mai detto ad anima viva. È vero, non ne avevo avuto il tempo, ma non credo che sarebbe comunque mai accaduto. La vidi annuire con un movimento lieve, crucciare la fronte come se faticasse a concentrarsi, prima di ascoltare la sua risposta che continuò a ferirmi… ma sapevo che non avrebbe dovuto farlo! Dovevo smetterla di illudermi!
    “Lo immaginavo. Mi dispiace per il dolore e la confusione che hai provato nel perdere tutto quello che rappresentava la tua vita. Ma sono sollevata perché, almeno per questa piccola parte, hai fatto chiarezza nel tuo animo. Hai trasferito su di me l'amore che provavi per l'altra. Forse in quella realtà il vostro sentimento non sarebbe stato peccaminoso, ma il destino si è comunque opposto.”
    Volse lo sguardo altrove, rifuggendo da qualsiasi mio tentativo di trovare i suoi occhi, avevo necessità di capire che cosa stesse provando, perché si ostinava a contorcersi le mani per evitare di farle tremare. Ma non c’era verso. Era normale sentirsi di troppo? Era giusto sentirsi come fossi davvero un maledetto usurpatore? Non era colpa mia se ero finito in questo mondo! Tuttavia, l’atteggiamento di Horus mi metteva a disagio… adesso più che mai…
    “Non c'è niente che hai apprezzato di me in tutto questo tempo? Niente che potrebbe farti considerare l'idea di conoscermi meglio?” Quanto ero patetico?! Mi morsi la lingua con forza, fino a sentire il sapore del sangue in bocca. Ma quelle sillabe erano uscite da sole, spontanee, a conferma che non volevo, né potevo lasciarla andare così. Un cuore non può battere così forte solo per una mera illusione. La gola non può essere tanto serrata per un dannato transfert di emozioni e sentimenti. Mi rifiutavo di crederlo. Perciò non abbassai gli occhi quando Horus si voltò di scatto, stupita della mia domanda. Nelle sue iridi di ossidiana scorsi un’ombra di dubbio, un cruccio evidente, ma che durò l’ombra di un istante… poi tornano dure, impietose.
    “Chi è stato a decidere di liberarmi dalla prigione cosmica?” mi chiese a denti stretti, ignorando volutamente la mia richiesta, come se fosse un’onta il solo pensarci su anche solo un momento. La sua risposta doveva essere molto chiara, ma non avevo la forza di scavare ancora per accertarmene. Mandai giù il nodo che avevo tra le corde vocali.
    “Io... e le Baby mi hanno dato man forte, creando le condizioni per realizzare la cosa... assieme a tua madre.”
    “E... lui? Cosa ne pensava? Lo avete costretto a partecipare al vostro folle tentativo?”
    Il suo tono piatto, quasi freddo, non riuscì a ingannarmi. La sua domanda era un’altra e mi trattenni dal buttar fuori un sorriso cinico che avrebbe, di certo, peggiorato solo le cose: voleva sapere se il suo Campione avrebbe davvero rischiato la sua posizione per tentare di salvarla.
    “Sinceramente? Non gliel'ho chiesto. Ho tentato di avere l'appoggio di chi poteva fare la differenza, come gli Imperatori e i Principi... venuto meno il loro sostegno, ho agito di testa mia senza cercare altri pareri... inutili a mio avviso...” Il mio tono fu più glaciale del suo, ma me ne resi conto solo quando lo udì a mia volta. Ero arrabbiato, deluso, perché no… lui non avrebbe rischiato un dito per tirarla fuori da quel posto orrendo. Ne ebbi la consapevolezza in quell’esatto istante, come se avessi ricevuto la risposta a una domanda inespressa, direttamente nella mia testa. Non era stato lui a darmela, ma lo avevo percepito attraverso il suo inconscio. Ma no, non glielo avrei detto… non ora almeno... Il suo tentativo di ricacciare indietro le lacrime mi spezzò… ma il colpo di grazia arrivò dopo…
    “Non avrebbe sfidato gli Imperatori, e lo capisco. L'Impero era sottoposto ad una grandissima minaccia e lui avrebbe scelto di onorare il giuramento di fedeltà.” Mi osservò di sottecchi, forse si aspettava una reazione piccata a causa della sua velata condanna nei miei confronti, ma si sbagliava, oh quanto si sbagliava…
    “Io che non sono niente e nessuno al suo confronto, che – secondo te – non ho giuramenti da onorare, invece l'ho fatto... ho rischiato tutto ciò che avevo, anche il mio ruolo di Generale – e quello è sempre stato mio! – pur di riportarti a casa! Sarei davvero un folle se lo avessi fatto solo per una illusione… ma non mi sento così folle. Horus, io desideravo solo che tu tornassi a casa…” C’era tanta amarezza nella mia voce, non più cinismo, non più aggressività, solo tanta, tantissima amarezza.
    “Ho già detto che ti ritengo un uomo generoso. Forse non ti ho ancora ringraziato per aver preso le mie difese quando nessun altro lo avrebbe fatto...” Si sporse verso di me e avvolse la mia mano nella sua. Io sussultai involontariamente, preso alla sprovvista da un calore al petto che riuscì a scaldare il gelo che vi albergava. Non osai muovere un muscolo nel timore che lei potesse lasciarmi andare… “Ma la tua posizione è diversa, nessun giuramento o impegno ti vincola davvero a questo mondo, all'appartenenza a questi MoonKnight. Le tue azioni sono libere, guidate solo dal tuo animo onorevole e altruista. Però... non posso dimenticare la verità...”
    “Non puoi dimenticare che non sono lui... potrei anche portare ai tuoi piedi tutto il Sistema Solare, ma nulla cambierebbe...” Dovevo prendere atto di questa innegabile verità. In fretta, il più in fretta possibile, se non volevo decimare quanto restava del mio cuore. Avrei cominciato da quella mano. Con uno sforzo immane, mettendoci una volontà che non credevo di possedere, mi sottrassi al suo tocco e mi parve di perdere quasi l’equilibrio. “Quindi? Cosa si fa adesso?” domandai in apparenza pragmatico, ma dentro tremavo… ma non per il freddo.
    “La verità...” Horus volle rimarcare il concetto, dandomi la sua personale versione. “... è che io non sono il tuo Compagno Alato, e non capisco perché continui a non volerlo capire! Non c'è nulla che ci lega, e io dovrei rivolgermi immediatamente ai leader del mio pianeta per sciogliere la nostra unione ufficiale, se ti ostinerai...” Si morse il labbro, ma non fu difficile capire il sottotesto: se mi fossi ostinato a non lasciare il posto che non mi apparteneva. Mi irrigidii, raddrizzai la schiena, non era da me sedere così accasciato. È solo che avevo la sensazione di avere il peso di due mondi sulle spalle, e non credevo di essere tanto lontano dalla realtà delle cose. Solo che, non credevo neppure di avere la forza di reggerli ancora a lungo.
    “Che cosa dirai? Che prove mostrerai? A volte neanche io riesco a capire dove finisco io e inizia lui, cerco di rigettarlo indietro perché è quanto di più lontano ci possa essere dal mio modo di vedere le... cose... tante cose... ormai l'avrai capito... Ma dove altro potrei andare? Non ho scelto io di risvegliarmi qui e dovrei pagare per una colpa non mia?!” Avevo semplicemente analizzato la situazione, ma non ero riuscito a restare del tutto calmo. Le sillabe si erano a tratti accavallate tra loro, la lingua si era incollata al palato, la gola si era trasformata in una landa brulla. Se lei avesse fatto questa richiesta, le maggiori conseguenze sarebbero state per lei, ero certo che non l’avrebbero creduta… non dopo quanto era accaduto. Io, dal mio canto, non avevo più nulla da perdere. Continuai a riflettere, mentre una sensazione sgradevole si faceva spazio dentro di me. Una sensazione a cui diedi voce, non avevo alternative anche se sapevo che la risposta mi avrebbe di certo ucciso. “Ci dev'essere un modo per scindere il vincolo... senza che venga fuori tutto questo... Sempre che tu non 'pretenda' altro da me...” Anche il mio sottointeso era perfettamente chiaro: “sempre che tu non pretenda che io mi faccia da parte e lasci tornare lui”. Non sapevo se fosse davvero possibile annullare la mia volontà in favore della sua… in parte lo avevo fatto di fronte alla prigione di Horus… ma ciò che mi era balenato in mente era davvero tutt’altra cosa.
    Horus abbassò lo sguardo e mi sentii davvero morire. Serrò le labbra per impedirgli di tremare e mi persi ancora. Portò le mani al viso per massaggiarsi gli occhi, poi le tempie, e fui certo che non sarei mai più tornato indietro.
    “Non posso dirti io quello che dovrai fare!” sospirò pesantemente. “Ho bisogno di riposare, ora.” E io tradussi la sua necessità di restare sola. Il tempo non avrebbe cambiato la sentenza che dentro di sé aveva sancito. Non avevo chances per farle cambiare idea.
    Mi alzai dalla sedia stringendo i denti per troppe ragioni diverse, d’istinto andai a rimboccarle le coperte – così come avevo fatto per tanto tempo – ma mi bloccai con le braccia a mezz’aria. Quanto era sbagliato quel mio gesto? Mi ritirai in silenzio, serrando l’uscio con un gesto simbolico, per quanto doloroso. Dietro di esso non avrei trovato più alcuna speranza…
     
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    L'"Executor" e la "Supremacy" erano due nave ammiraglie che era facile capire fossero state progettate da Jordan per via del loro design affusolato, minimal ed estremamente elegante. Tuttavia l'esterno fine, ma compatto, nascondeva al suo interno un dedalo di corridoi e stanze. Erano di fatto vere e proprie caserme volanti che potevano trasportare persone e mezzi, oltre possedere al loro interno le copie della Justice Room<i>, la stessa presente anche nei sotterranei delle due residenze Auditore.
    In tutto quel lunghissimo tempo di attesa non avevamo fatto altro che costruire ed organizzare in attesa del momento in cui l'<i>Ordine 66
    sarebbe stato dato.
    Camminando per gli eleganti corridoi dell'"Executor", ove a parte noi e pochi Templari che già su essa operavano, Jordan ci stava facendo da cicerone mostrando a me ed Henry i nostri alloggi, la Sala della Guerra, il suo studio ed i nostri personali, il ponte di comando, la rimessa, i punti di controllo e molto altro ancora.
    Ero estasiata da tutta quella grandezza, dalla consapevolezza che eravamo giunti in quella Dimensione con niente se non i vestiti che avevamo indosso ed ora avevamo creato tutto quello. Un Impero. Anche se in famiglia non amavamo quella parola.
    Troppo ci ricordava il luogo da dove arrivavamo e tutto ciò che ci aveva tolto, motivo per cui anche l'Impero Lunare doveva cessare di esistere.
    "Una Repubblica?" chiesi curiosa, mentre prendevo posto su una dell'eleganti poltrone di pelle nello studio di Jordan, di fronte alla fedele riproduzione di un classico caminetto stile edwardiano. Non pareva di essere nello spazio, ma bensì in una piccola biblioteca. Le pareti erano ricoperte da grandissime librerie in mogano, con tanto di scaletta scorrevole, c'era poi un'angolo lettura di fronte al fuoco accesso con due poltrone e l'impressione di trovarsi in un antico maniero inglese.
    La stanza era poi arricchita da antiquariato di vario genere come una vecchia macchina da scrivere su una console in marmo, su cui spiccava un antico specchio rinascimentale. Alcune lampade ad olio e perfino una piccola macchina fotografica Nikon degli anni'50.
    In famiglia amavamo la storia ed il fatto che quella Dimensione ci dava l'occasione di collezionarla, arricchiva la nostra anima e riempiva i nostri occhi di bellezza.
    Tutto dunque avrebbe fatto pensare ad una delle nostre numerose stanze all'interno di Villa Auditore, ma poi bastava puntare lo sguardo verso la scrivania per vedere spiccare alle sue spalle, oltre la lunga parete a vetri, l'oscurità infinita dello spazio.
    "Una Repubblica!" confermò mio fratello prendendo posto sull'altra poltrona, mentre mi porgeva un calice di vino. Lo stesso che già lui ed Henry stringevano nelle mani. Quest'ultimo era in piedi, accanto al camino. Nella sua classica posizione rigida e composta.
    "Pensavo che la considerassi malfunzionante e priva di spina dorsale..." lo punzecchiai usando le stesse parole che lui aveva sempre usato per definirla.
    "Solo perchè non ero stato io a crearla..." osservò con quella sicurezza sfacciata che sempre mi faceva sorridere.
    Bevvi un sorso di vino osservando le fiamme del fuoco, quel camino non era reale eppure Jordan aveva la capacità di far apparire tutto come se lo fosse. Era sempre stato uno dei suoi più grandi pregi.
    "La Principessa Aura si è lasciata aggirare da nostro padre... ed Alexios... la sua influenza aveva un peso in Senato e questo ha fatto sì che gli Jedi come qualsiasi altro Senatore la seguisse... la sua ingenuità ha portato alla fine di tutto..."
    Non mi sfuggì che il suo sguardo si era fatto assente su quelle parole, lasciandomi un attimo perplessa. Potevo dire di sapere TUTTO di mio fratello eppure per un attimo il dubbio che così potesse non essere mi fece vacillare. Henry doveva essersene accorto, perchè proprio mentre stavo facendo per indagare, lui parlò per primo impedendomelo.
    "E di grazia come pensi di riuscire in ciò?" alle sue parole mi voltai a guardarlo lo fulminai con lo sguardo, ma poi capì che forse per il momento era meglio tergiversare.
    "Ci penserai tu caro amico mio. Ormai il fantomatico Dio Oscuro ha mostrato il suo volto e non potevamo sperare in meglio che si trattasse di Etere. Quando sarà sconfitto l'Impero Lunare sarà perso e lì sarà il momento di agire. Una Repubblica ha l'organigramma perfetto per permettere ai Templari di agire. Avremo influenza su ogni singolo pianeta, stringeremo alleanze, ci faremo amici i Senatori più influenti ed ovunque andremo ci sarà solo stima e rispetto per noi. Mio padre ha conquistato lo stesso potere con la paura. Schiacciando e sopprimendo chiunque, noi no. Noi lo faremo porgendo mani, dispensando consigli e favori. Ci assicureremo di essere intoccabili e potenti, al punto in cui tutti ci dovranno qualcosa e nessuno potrà dirci no..."
    Il cinismo e la freddezza delle parole di Jordan riuscirono a tranquillizzarmi, mentre il suo sguardo cristallino si infrangeva con il liquido sanguineo che fece vorticare nel suo calice prima di sorseggiare.
    Assentì, ma poco dopo un dubbio mi assalì.
    "E i Devianti? Fatico ad immaginare che lasceranno la presa... come pensi di riuscire ad incastrarli in questo schema?"
    "Ottima domanda sorella!" ironizzò Jordan spostandosi con il busto in avanti solo per appoggiare il calice ormai vuoto, sul piccolo comodino che tra noi c'era. Poi si portò tre dita al mento e strofinandoselo si fece serio.
    "Mi occuperò io di loro. Offrirò loro una buona uscita, sono una forza che preferisco non farmi nemica seppur ammetto che è alquanto ingombrante ed imprevedibile ed odio tutto ciò che lo è. Sarà una lunga partita a scacchi, ma per fortuna sono un ottimo giocatore..." mi tranquillizzò guardandomi e sorridendomi. Sorriso che io ricambiai, prima che anche Henry intervenisse.
    "Come sei certo che Etere verrà sconfitto, mi pare che finora gli Eterni non abbiano avuto molto successo..." il suo tono era piatto, ma la sua osservazione pungente.
    "L'Alfiere!" esclamò semplicemente Jordan allargando le braccia e lasciandosi cadere all'indietro contro la poltrona sorridente, mentre io cercai di seguire il suo ragionamento e ci arrivai.
    "Anche lui ha bisogno che Etere cada... non ha fatto altro in quest'anno che favorire la sua ascesa, perchè per qualche ragione lo voleva dove è ora..."
    "Ha senso, l'ha usato per tenere occupati gli Eterni mentre lui preparava il suo campo di gioco, così come abbiamo fatto noi. Ma dovrà liberarsene se vorrà poter mettere in atto i suoi piani, distruggerlo vorrebbe poter dire usare la sua energia per creare delle crepe abbastanza grandi per far arrivare qualcuno..."
    "Le Guerriere probabilmente. Sono Mercenarie incredibilmente pericolose e che non è la prima volta che lavorano per l'Impero. Dopotutto l'Alfiere non può fare tutto da solo... Questo ci permetterà di renderci utili come prima vi ho detto. Solo noi sappiamo cosa sta arrivando, dunque tutti avranno bisogno del nostro aiuto..."
    "Li avremo tutti sul palmo della mano..."
    Sorrisi scuotendo il capo, non riuscivo ancora a credere di quanto Jordan fosse geniale. Lo sapevo eppure riusciva sempre a stupirmi, si superava. Era uno stratega sopraffino.
    Poggiando le mani sul bracciolo mi guardai intorno un'ultima volta. Anche tutto quello era stata opera sua, le grandi disponibilità di denaro di cui disponevamo non erano solo dovute all'attività finanziaria di alto livello che Jordan aveva creato con le Holding Auditore, ma aveva cercato come finanziatori e soci tutti membri di alto livello appartenenti a famiglie Templari. Persone che credevano che ormai tale eredità fosse perduta e che lui aveva promesso loro di riportare in auge. Il patto era semplice, loro finanziavano la costruzione di navi, basi e tutto ciò che serviva per ricostruire l'ordine e lui in cambio avrebbe dato loro ruoli di spicco all'interno dello stesso e della società.
    Da lì era stato un espandersi ed ormai le Holding Auditore si occupavano di immobili, import/export, ricerca, tecnologia ed il prossimo passo sarebbe stata un'associazione filantropa per la ricostruzione post-Impero Deviante. Insomma tutti i pezzi erano perfettamente incastrati.
    "A questo punto manca l'Ordine 66, quando pensi di darlo?" chiesi osservando Jordan che nel mentre si era alzato in piedi e si stava sistemando la giaccia allacciandovi il bottone.
    "Appena la battaglia contro Etere arriverà al suo apice. E' poetico non trovate? Mentre un Dio cade, la Democrazia nasce..."
     
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