Galactic Republic

Series Finale Season 5

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    Se sulla Terra c'era aria di ricostruzione, lo stesso avveniva nell'Impero Lunare. La sconfitta di Etere e la successiva defezione dei Templari aveva lasciato così tanti cocci che raccoglierli voleva dire inesorabilmente ferirsi.
    Dopo la morte di Hyperion era stato indetto un mese intero di lutto, nel quale avvennero tutte le procedure che avrebbero visto Helios venir legittimamente incoronato. In egual misura Theia, affranta e devastata dalla perdita dell'amato marito aveva scelto di rimanere a palazzo fino all'investitura del figlio e successivamente partire per l'eremo di Concordia su Mimas lì dove vi era il monastero delle streghe. Sacerdotesse totalmente devote ai loro poteri di preveggenza che passavano le loro giornata in una totale clausura tra meditazione e preghiera.
    Selene, Helios ed Eos erano devastati da tale scelta, ma l'avevano accettata promettendo alla madre di farle visita ogni volta che sarebbe stato loro concesso. In egual misura Selene era mossa da sentimenti contrastanti. Felice di poter tornare attivamente a svolgere il suo ruolo di Sailor, più di quanto avesse realmente fatto da quando non era più Imperatrice, ma dall'altra parte vedere il fratello dover far fronte ad una quantità di responsabilità che parevano soffocarlo l'agitava.
    Tutti si aspettavano molto da lui e chi non lo faceva non lo riconosceva. La caduta di Etere, il Padre degli Eterni aveva lasciato ferite profondissime. Un intero popolo si era trovato ad essere tradito dal Dio che pregavano, da colui da cui credevano dipendesse tutto, ma ora che era caduto e che per farlo si erano dovuti alleare con i loro peggiori nemici, i Devianti, come potevano accettare la famiglia Lunare? Chi aveva scelto che loro e nessun altro fosse degno di tale potere?
    Ale separatiste serpeggiavano tra dissensi e pensieri di democrazia, mentre un altro fronte aperto causava non pochi pensieri: la defezione dei Templari.
    Nessuno sapeva cosa fosse successo e perchè, ma tutti sapevano che Helios -il nuovo Principe- aveva passivamente accettato la cosa. Non aveva mosso guerra contro i disertori, ma anzi li considerava ancora come fidi alleati su cui contare.
    Mentre le alleanze si ridisegnavano, le Sailor erano tornate ai vecchi fasti, non che avessero mai perso appeal, ma il loro potere parve accresciuto. Di fatto erano le uniche in cui ancora tutti, da tutti i fronti, credevano.
     
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    :Pandia:
    Essere di nuovo a casa era una sensazione strana, ma piacevole. Il tempo passato sulla Terra mi era servito per riflettere e seppur ero tornata da poco, dopo un periodo passato con Ezio, ne avevo bisogno come l'aria e non vedevo l'ora di ritrovarci, ora dovevo esserci a fronte delle conseguenze degli eventi e per i numerosi cambiamenti in ballo. Io come tutte le altre avevo trovato un equilibrio con il mio cuore ed ora muoversi era divenuto più semplice permettendomi di vivere bilanciata tra dovere e piacere.
    Con questa promessa nel cuore avevo finalmente affrontato la famiglia lunare che, dopo il lutto appena subito, sembrava più propensa non tanto ad accettarmi, ma almeno a non farmi pesare la mia presenza. Anche io avevo perso un padre, uno che non avevo nemmeno fatto in tempo a rincontrare, mentre Theia si era semplicemente sforzata di chiedermi di prendermi cura di Selene prima di partire anch'essa. Eos non mi attaccava come sempre, ma fingeva che non esistessi ed Helios mi teneva in considerazione per la Sailor che ero.
    Mentre il mio cuore spingeva per trovare un momento con Selene in cui ritrovarci e parlare, nel mentre ero riuscita quanto meno a farlo con Thot. Non mi stupì dunque di trovarlo lì dove, ormai una vita fa, ci eravamo scontrati forse nel modo più duro e doloroso, ma anche più dolce e sincero che mai.
    Seduto sulla panca del grande labirinto, un luogo che consideravano nostro, rifletteva ancora sulle parole che Bayek gli aveva rivolto. Io non potevo saperlo, ma andandogli incontro sorrisi facendogli percepire la mia presenza e quando lui se ne accorse, si alzò in piedi nello stesso momento in cui, raggiungendolo, lo avevo abbracciato forte affondando il mio viso nel suo petto.
    "Mi sei mancato come l'aria che respiro"
    "Anche tu..."
    Il respiro caldo di Thot mi arrivò all'orecchio, mentre io scostandomi appena gli posai un dolcissimo bacio sulla guancia ispida, prima di intrecciare la mia mano con la sua ed insieme tornare a sederci sulla panchina.
    Non lasciai la sua mano, ma anzi rigirandomela nelle mie godetti del calore che la sua presenza mi dava.
    "Ti prego dimmi che non solo per me è stata durissima..." la voce di Thot era un sussurro disperato, mentre i suoi occhi scurissimi e lucidi, si specchiavano nei miei.
    "Non sei solo Thot..." esclamai poggiandogli una mano sulla guancia che accarezzai con il pollice, mentre mi aprivo in un dolce sorriso.
    "Credo che tutti siamo impazziti in questa situazione... Ma il fatto che abbiamo dovuta affrontarla da soli non ha aiutato come il non poterne parlare con nessuno o capirne il motivo..."
    "Tu lo hai detto alle altre..."
    "E tu ad Horus..."
    "Sì ma non è lo stesso..."
    "Forse, ma adesso che sappiamo che anche Ezio ricorda..."
    "Anche lui?"
    "Sì! Non immagini che peso che mi sono tolta, ovviamente non ci speravo minimamente e anche se non avesse saputo chi fossi avrei combattuto per riprendermi il suo cuore, ma lo fa... il che pone molte domande non credi?"
    "Lo hai detto a Selene?"
    Assentì togliendo la mia mano dal suo viso, ma tenendo l'altra intrecciata alla sua.
    "Sì, ma da quando sono tornata è stata così presa con la riorganizzazione politica che... non abbiamo avuto tempo per noi..."
    "Sì è assurdo... questo intendo.... la Repubblica, il fatto che Helios abbia accettato tutto a mani basse..."
    Percepì chiaramente la delusione nella voce di Toth e non me ne stupivo, avevamo parlato da quando ero tornata, ma non avevamo avuto un momento solo per noi. Così, come quello. In pace. Da soli. Lontano da tutto e tutti.
    "Non lo so. Troppi cambiamenti e tutti insieme. Mi sembra di essere su un rollercoaster che ancora non si è fermato..." lui mi guardò stranito, al che io ridendo gli spiegai "E' una giostra terreste, è terribile sai? Con giri della morte e discese da paura... tende a farti venire la nausea quando ci vai su..."
    "E i terresti perchè ci vanno?"
    "Adrenalina forse?" chiesi facendo spallucce, così che entrambi scoppiammo a ridere.
    "Ripensi spesso a quella sera?" mi chiese lui tornando a guardarmi.
    "Quella del nostro fidanzamento? Prima che tutto impazzisse? Mh, sì... spesso... penso che le cose all'epoca erano più semplici anche se non ci sembrava..."
    "Più semplici..." rimarcò lui "Vero..."
    "Ma l'amore non è una cosa semplice, dunque..." tagliai corto sorridendo di sottecchi, senza però indugiare oltre. Non ce ne era bisogno.
    A quel punto poggiai la testa sulla sua spalla, prima di stringermi a lui.
    "Però abbiamo sempre questo posto no? Abbiamo noi... possiamo essere il rifugio l'uno dell'altra... perchè io ci sarò sempre per te ok? Sempre... anche se quest'anno sono stata una pessima amica... anni se parliamo della Luna..." precisai con la mia solita ironia, quella che usavo per celare gli occhi lucidi.
    Thot ridacchiò passandomi un braccio lungo le spalle.
    "Bè anche io non sono stato il massimo..." mi fece notare, così che entrambi ci conedemmo una nuova risata "Ma sì, abbiamo noi e questo posto... hai ragione... Ti voglio bene Pandia"
    "Ti voglio bene Thot!"
     
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    :Pandia:
    L'essermi ritrovata con Thot mi aveva dato la forza ed il coraggio per "rubare" Selene dai suoi affari e finalmente fronteggiarla per ritrovare ciò che sempre eravamo state: sorelle.
    L'avevo attesa nei suoi appartamenti e quando l'avevo vista entrare avevo sorriso balzando in piedi dalla sedia sulla quale ero seduta.
    "Mi fai gli agguati?" mi aveva chiesto posandosi una mano sul cuore dopo un primo spavento per poi sorridere e dirigersi verso di me con le braccia protese invitandomi ad abbracciarla.
    "Solo perchè non riesco mai a star sola con te..." ammisi sorridendo e ricambiando la stretta, prima di riprendere posto sull'elegante poltroncina sulla quale ero seduta. Lo stesso fece Selene.
    "Ora però mi preoccupi è successo qualcosa?"
    La sua voce carezzevole mi mise a mio agio, nonostante io scossi il capo con fare ansioso.
    "N-No, ma da quando sono tornata ecco... non abbiamo avuto un momento per noi. Sento che ho tanto da spiegarti e..."
    "Sì le tue azioni non sono state il massimo, ma... quando mi dissi che volevi andare e che le altre volevano venire con te... non ho potuto impedirvelo seppur non ero d'accordo. Le ragazze pensavano che sarebbe stato un bene anche per le Asteroids, la loro "maturità"..." esclamò con tono ironico "... e forse è vero. Sono cresciute molto, sono diventate consapevoli ed hanno affrontato mille ostacoli... anche la tua assenza le ha aiutate seppur è stata greve..."
    A quelle parole assentì. Lo sapevo e questo era un peso che, nonostante le avessi affrontate, ancora mi pesava sul cuore, soprattutto dopo ciò che era successo con Vesta.
    "Lo sapevo che non eri d'accordo. Leggevo nei tuoi occhi il disappunto e la delusione..."
    "Ma sei andata comunque..." le sue parole erano pesanti, seppur non accusatorie. Sottolineava solo i fatti con quel suo solito modo gentile e garbato, così elegante, dell'Imperatrice che sempre sarebbe rimasta nell'animo.
    "Tu avresti fatto lo stesso per Endymion, lo hai fatto..." con l'ultima frase mi morsi la lingua. Forse non avrei dovuto, ma ormai era fatta e poi come lei sottolineavo solo i fatti.
    "E' diverso..."
    "Perché Endymion è..."
    "Cosa? Non terrestre? Un reale? Un membro della famiglia? Cosa?"
    Selene sospirò pesantemente ed alzando gli occhi al cielo cercò le parole giuste, era chiaro che -come me- non avesse alcuna voglia di litigare.
    "Il sistema politico galattico sarà pur cambiato, ma questa resta una famiglia reale e tu ne fai parte!"
    "Ma non erediterò mai il trono..."
    "Lo so, ma... voglio solo per te il meglio..."
    "Ed il meglio non è forse che io sia felice?" le chiesi a bruciapelo piegando il capo da un lato.
    Lei si morse un labbro e quasi sconfitta si trovò ad assentire.
    "Lo so di averti deluso, soprattutto perchè non ci sono stata a fronte di un nemico che ha cambiato tutto..."
    "Né tu né le altre potevate immaginare che in vostra assenza sarebbe successo ciò..."
    "Lo so, ma credo che tutte ci porteremo sulla coscienza il fatto di non esserci state..." conclusi mordendomi l'interno della guancia.
    Selene si allungò un po' e mi prese le mani nelle sue, le strinse forte e poi mi portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
    "Abbiamo fatto tutti degli errori e tutti ne dovremo fare i conti, ma io e te abbiamo qualcosa di unico che ci unisce..."
    "Cosa?"
    "I nostri ricordi Pandia. In questa realtà non ci siamo mai veramente avvicinate e se non ricordassimo sarebbe terribile e la cosa peggiore sarebbe che nemmeno ce ne renderemmo conto. Invece per qualche assurda ragione lo facciamo ed io conservo quei ricordi con molta gelosia... sono stati quei momenti e quella vita a regalarci questo..." esclamò con voce rotta dall'emozione, indicando con lo sguardo ceruleo le nostre mani giunte.
    "Mi manca tanto sai? All'epoca ero una ragazzina viziata che si lamentava di tutto, ma se potessi scegliere vorrei ritornare a quei momenti... quando tutto non era così..." le parole mi morirono in gola, mentre sentivo le lacrime scorrermi sul volto.
    Selene si fece avanti e poggiando le ginocchia a terra me le asciugò con il calore di una madre, ma l'affetto di una sorella maggiore.
    "Lo vorrei tanto anche io, ma non è possibile... però possiamo creare ricordi nuovi. Da adesso. Da oggi. Da questo momento. Nuove tradizioni e nuove emozioni... a patto di parlare. Parlami sempre Pandia anche quando non concordo con te... non tagliarmi fuori dalla tua vita..."
    Assentì con forza e poi le buttai le braccia al collo stringendola forte, lei ricambiò e finalmente dopo mesi e mesi di confusione. In cui non capivo più chi fossi veramente... mi sentì a casa.
     
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    :Endymion:
    Stavo raggiungendo, con emozione crescente, i miei appartamenti quando nell'atto di entrarvi mi scontrai con una Pandia emozionata in uscita. Mi feci di lato e la lasciai passare salutandola con un cenno del capo ed un sorriso timido, quando richiudendomi la porta alle spalle rivolsi la mia attenzione verso alla mia amata moglie.
    "Ti ho cercata ovunque..." esclamai esternando così la mia necessità di trovarla e parlare quanto prima.
    "Sì scusami ero qui con mia sorella, avevamo bisogno di parlare, ma... cosa è successo?"
    Selene percepiva chiaramente la mia agitazione, qualcosa che colpiva sempre nel vivo visto e considerato che ero famoso per rimanere compito e freddo di fronte a tutto. Dal canto mi avvicinai a Selene con emozione ed un gran sorriso, prendendo posto sull'elegante poltroncina ove poco prima vi era seduta mia cognata.
    "Prima volevo sapere come è andato l'incontro..." chiesi premuroso.
    Da quando Helios aveva annunciato, con un certo stupore, la nascita di una Repubblica Galattica che avrebbe sostituito l'Impero, la costruzione del Senato era iniziata alla velocità della luce. Al contempo Helios, insieme a Selene, avevano convocato una riunione segreta con alcuni dei pianeti che vantavano i migliori eserciti della galassia.
    "Bene. Nettuno, Marte e Giove hanno rinnovato il loro appoggio alla Luna. Abbiamo firmato L'Intesa Lunare con la quale tutti ci impegniamo ad appoggiarci gli uni agli altri sia in situazioni di attacco che difesa. Ma pensavo saresti venuto con me... ci sono rimasta quando Helios mi ha detto che non ci saresti stato..."
    "Mi hanno convocato in Senato..." esclamai con una nota di eccitazione nella voce. Lei mi guardò curiosa, ma ancora confusa.
    "Il Senato? Pensavo che non avrebbe iniziato le sue funzioni fin quando ogni pianeta non avesse scelto i suoi senatori e non fosse stato eletto un Cancelliere..."
    "Esatto!" gli feci eco. Chiusi gli occhi e dopo un profondo respiro iniziai a raccontarle.
    "Alcuni pianeti stanno ancora decidendo, ma intanto si sono svolte le elezioni del Cancelliere. Sono stati chiamati alcuni "prescelti" da vari pianeti. E per una scelta imparziale l'Antico l'"Osservatore" è stato chiamato a scegliere dal Tribunale Vivente e... io ero tra loro..."
    Vidi Selene portarsi una mano sulla bocca incredula per poi darmi un leggero pizzicotto amichevole sulla spalla.
    "E perchè non mi avevi detto nulla?"
    "Perché non c'è stato tempo! Ho ricevuto la convocazione pochissimo tempo prima che la stessa avesse avuto luogo..."
    "E?" esclamò curiosa sporgendosi verso di me ed incitandomi a proseguire.
    "L'Osservatore mi ha scelto. Ha scelto me. Sarò il primo Cancelliere della Repubblica Galattica!" a quelle parole vidi gli occhi di Selene felici, ma al contempo per un attimo interdetti. Io la stavo ancora guardando sorridente, quanto improvvisamente la mia espressione si fece preoccupata.
    "Non ne sembri felice..." osservai composto, ma in parte deluso.
    "Oh no amor mio, non lo pensare nemmeno è solo..." sospirò prima di alzarsi e raggiungendomi sedersi sulle mie gambe. Una sua mano mi accarezzò il viso marmoreo, mentre i suoi occhi cerulei ne studiavano ogni singolo tratto.
    "Troppi cambiamenti e tutti insieme. Sto ancora piangendo la morte di mio padre, a lui è stato eretto un monumento funerario per ricordarlo quale l'Imperatore che è stato eppure l'Impero non esiste più. Così d'improvviso. Io che credevo di potermi dedicare alla mia vita da Guerriera, mi trovo coinvolta peggio di prima in giochi politici ed alleanze. Helios ha bisogno di me e per quanto sia felice di aiutarlo..."
    Le sue parole erano un fiume in piena. Lei che non poteva mai dire quello che pensava, che non poteva ma esternare i suoi pensieri, con me lo faceva senza remore, come io lo facevo con lei. Eravamo gli unici, l'uno con l'altra, con cui ci mostravamo fragili e spaventati.
    "Ti comprendo e mi spiace se in qualche modo questa cosa contribuisce alla tua frustrazione. Ti direi che sarei risposto a rinunciare se questo ti fa sentire meglio, ma... sinceramente? E' la prima volta che sento di fare qualcosa d'importante, in cui mi sento al mio posto... apprezzato e riconosciuto non per essere il figlio di Giapeto o il marito della figlia di Hyperion, ma solo per essere Endymion..." avevo detto quelle parole con la mia solita sincerità tagliente. Speravo di non averla ferita e così rimasi immobile in attesa a guardarla, mentre lei senza smettermi di fissarmi rimase in silenzio e poi si avvicinò alla mia bocca a cui diede un profondo bacio.
    Io le poggiai una mano sulla guancia e lì la tenni per percepire la consistenza della sua pelle morbida, mentre la mia bocca esplorava la sua e l'altra mano si stringeva intorno alla sua vita.
    "Non è un incarico a vita, potrò sempre essere sollevato dallo stesso se non considerato più idoneo e certamente prima o poi qualcun altro mi sostituirà, ma..." spiegai con il fiatone, perchè avevo bisogno di dirglielo o meglio io avevo bisogno di ricordarmelo. Non era come essere un Principe, non ero un erede al trono, quindi quello che avrei avuto sarebbe stato a tempo determinato.
    "Sono fiera di te" tagliò corto lei e quello mi tolse un peso dal cuore. Era importante per me che lei capisse, che lei mi appoggiasse.
    "L'Osservatore è famoso per essere imparziale. Lui osserva e mai interagisce con gli eventi, il fatto che sia stato proprio lui a sceglierti... bè rende tutto ancora più importante... finalmente tutti vedranno quello che sempre ho visto in te..."
    Le sue parole dolci mi accarezzavano l'anima così come la sua mano ora stava facendo sul mio volto, per poi scendere maliziosa sul collo, verso la porzione di petto lasciata scoperta dalla tunica.
    "Per via di ciò però... non potrò più partecipare alla vita politica lunare. Rimarrò tuo marito, ma fin tanto sarò Cancelliere non sarò più il Principe Lunare..." le feci notare fermando la sua mano. Strinsi il suo polso dolcemente, volevo solo che capisse. Volevo solo che non rimasse ferita da ciò. Ma per contro invece lei sorrise ancor più decisa a baciarmi ed accarezzarmi.
    "Ed è giusto così... Io aiuterò Helios certo, ma nemmeno io sono più la Principessa Lunare o per lo meno lo sono solo di circostanza... Ora come ora sono principalmente ed unicamente una Sailor. La leader. La guida di tutte!"
    Mi morsi un labbro e lasciai che la mia mano scorresse verso la sua coscia coperta dal tessuto fine dell'abito regale che indossava, il desiderio della sua pelle però mi portò a sollevarle la stessa, mentre lei stava già slacciando la mia tunica.
    "A quanto pare finalmente entrambi abbiamo trovato il nostro posto... il nostro ruolo..." dissi fiero, sfregando la punta del mio naso con la sua, così come le labbra.
    "Finalmente possiamo essere solo Selene ed Endymion..." mi rispose lei in sussurro, mentre la sua bocca si apriva in un sorriso leggiadro e poi entrambi ci incontrammo in un nuovo bacio.
     
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    :Cerere:
    Il rinserimento di Vesta non era stato facile, c'era chi la guardava di sottecchi e le puntava il dito contro per il tradimento messo in atto, ma questa volta nè io nè le altre facemmo l'errore di dar per scontata la sua forza. Ci stringemmo intorno a lei, ancor più dopo che di fatto era niente di meno che il primo caso della Corte Suprema. Era ancora tutto in fase di definizione, ma parve corretto che non fosse il Principe della Luna a decidere la sua sorte, non quando l'Impero non esisteva più.
    Fu terribilmente vederla testimoniare e dover tener conto di tutte le sue azioni, ma sia io che tutte le altre e tutti coloro che l'amavano, eravamo lì. A sorreggerla. A tifare per lei. Perfino Dorian aveva voluto essere presente al processo, lo stesso che si concluse con un proscioglimento di tutte le accuse. Era stato confermato, anche grazie alla testimonianza di Haytham, che Vesta era sotto giogo mentale e che dunque era incapace di intendere e volere. Senza contare ciò che aveva fatto infine e di come i suoi gesti avevano contribuito alla vittoria della guerra.
    Di comune accordo io e le ragazze avevamo organizzato una piccola fuga, avevamo già chiesto i permessi del caso ed avvisato chi di dovere, così che una volta concluso il processo, la rapimmo senza mezzi termini per un soggiorno su Larissa, nell'Orlo di Nettuno, forse tra i luoghi più ospitali e belli della galassia.
    Lì Partenope aveva una casa di famiglia, poco e niente usata dai suoi, e quella sarebbe stata la nostra dimora per i prossimi giorni.
    La Villa sorgeva sulle sponde del lago più grande del pianeta, esattamente sulla punta di una penisola collocata in un promontorio verde ed inabitato ove solo gli alberi ed alcuni uccelli dai colori vivaci erano i nostri vicini.
    Le giornate passarono oziose, ma tutte caratterizzate da uno stesso fine: far sentir bene Vesta, trasmetterle il nostro amore ed aiutarla. Ognuna a modo suo.
    "Dunque di fatto d'ora in poi l'Impero Lunare è diventato cosa? Un Principato?" chiesi ancora un po' confusa da tutti quei cambiamenti. Era sera e su uno dei grandi terrazzi che davano sull'acqua io e le altre eravamo sedute intorno ad un bel fuoco caldo. Avvolte in una coperta a parlare. Era bello, ogni giorno era come aprirsi un po' di più e ritrovare quella intesa che forse avevamo perso.
    "Esatto. Helios ne è l'unico Principe e seppur il titolo spetta anche a me, Selene ed Eos nessuna di noi governerà mai a meno che Helios non muoia e speriamo di no... credo che Selene non rivoglia quelle responsabilità. Come me d'ora in poi, più di come è accaduto nell'ultimo anno, sarà ufficialmente solo una Sailor e nulla più. Anche Endymion ha rifiutato il titolo per poter portare avanti in modo del tutto equo ed imparziale il suo ruolo da Cancelliere..." ci raccontò Pandia con una certa enfasi, mentre Iuventas si sporse un po' avanti. I gomiti sulle ginocchia e le mani strette intorno al suo bicchiere d'ambrosia.
    "Dunque ora il principino-sono-bello-solo-io non è nè più nè meno di un qualsiasi nobile di un qualsiasi pianeta... come me... tanto per dire... oh quanto sarà bello vederlo scendere dal suo piedistallo!"
    Tutte la guardammo e scoppiammo a ridere, mentre Vesta le tirava un pizzicotto e Partenope si stringeva meglio nella sua coperta.
    "Certo fa strano, tanto tempo a servire un Impero ed ora invece... le decisioni spettano a tutti. Bisogna discutere, confrontarsi, scendere a patti..."
    "Ed è un male?" chiese Vesta costringendoci tutte a guardarci e porci la stessa domanda.
    "Secondo me no. Insomma in questo lungo anno, o anni -dipende dai punti di vista-, di cose ne sono cambiate e anche tante... ma potrebbe far bene. Non abbiamo mai conosciuto la democrazia, ma a pensarci bene è così che si fa no? Guardiamo a noi, in più piccolo siamo la stessa cosa no? Imporre le proprie idee non è un modo per far funzionare le cose, lo è invece confrontarsi, litigare se necessario, ma giungere ad una conclusione insieme..."
    Alla mia frase d'istinto allungai le mie mani, una verso mia sorella alla mia sinistra ed una verso Pandia alla mia destra. Anche loro lo fecero e ci trovammo tutte strette in cerchio. Ci guardammo e sorridendo. Felice di esserci ritrovate, felice di aver rinnovato quella promessa di lealtà, ma anche e soprattutto d'amicizia.
    Ci eravamo salutate da poco, tutte si erano dirette a letto, tutte tranne Partenope che guardandomi, era di fronte a me, sorrise. Lo fece con quel suo fare dolce e comprensivo che quasi mi metteva a disagio non essendo abituata a tante carinerie.
    "Mi è piaciuto quello che hai detto prima lo sai?"
    "Davvero? Pensavo che a te non piacesse nulla di quello che dico..." lo avevo detto ovviamente per provocarla, ma lei come al suo solito era arrossita e si era inibita motivo per cui le dovetti lanciare uno dei semi che stavamo spizzicando poco prima per farla riprendere.
    "Dai scherzo!"
    "Non è facile capire quando lo fai!" mi fece notare lei arricciando il naso.
    "Hai ragione, sono davvero acida... e quest'anno credo di aver superato ogni mio limite..." notai stringendomi forte nella coperta e voltando il capo verso la distesa nera del lago.
    "Non lo hai fatto o meglio non più di tanto... credo che in questo sia dipeso anche Haytham o... sbaglio?"
    La sua domanda mi irrigidì, sapevo quanto alle altre non piacesse e quanto a lei la mettesse particolarmente a disagio quella situazione.
    "In realtà è merito suo se mi sono lasciata andare... anche se..." mi morsi l'interno della guancia nervosa.
    "Già, non è stato carino quello che ha fatto. Quello che tutti i Templari hanno fatto, ma... qui parliamo di te... a me spiace abbia ferito te..."
    "Ti spiace davvero?"
    "Certo che mi spiace! Ok è la cosa più assurda e stramba possa esserci, immaginarti con lui mi fa strano e se ci provo troppo inizio a star male, ma a parte questo... tu sei una delle mie migliori amiche, posso magari non approvare i tuoi gusti per quanto concerne gli uomini, ma sicuramente posso preoccuparmi del tuo cuore..." me lo disse con infinita dolcezza, mentre sporgendosi in avanti vidi il suo viso gentile e dolce danzare tra le fiamme accese.
    "Non riesco a giudicare una scelta tattica o un buon piano congeniato. I Templari sono terrestri, lo sono sempre stati e lo saranno per sempre, non potevamo non mettere in contro ciò... certo oggi tra le loro schiere ci sono anche altre razze, ma sono le loro radici... No, non mi infastidisce questo, non più di tanto... ma non posso nemmeno evitare di pensare che ciò mi ha inevitabilmente colpito. Amo Haytham e non sarà certo ciò a farmelo lasciare, odiarlo e tanto meno pensare di poter vivere senza di lui. E' il mio imprinting maledizione... è il mio cuore e la mia anima, ma nonostante ciò adesso ho come la necessità di stargli lontano... ogni volta che l'ho vicino... non lo so... Non lo so nemmeno io..."
    Le ammisi voltando il capo solo per tentare di nascondere le mie lacrime. Odiavo piangere da sola figuriamoci di fronte agli altri.
    Partenope sospirò pesantemente e spostandosi si sedette lì dove prima c'era Vesta.
    "Allora non fare nulla, non adesso. Prenditi il tuo tempo, ma non prendere decisioni. Ora siamo qui no? Noi. Tutti insieme. E stanotte è magica con i canti dei peduli e le lune che illuminano il cielo..." guardandola sorrisi mordendomi le labbra ed inghiottendo le lacrime, prima di sporgermi verso di lei ed abbracciarla.
    Mi sentivo così fortunata e, nonostante tutto, così felice. Felice di ciò che avevo dato per scontato, di ciò che avevo rischiato di perdere e che ora stavo riscoprendo tra meraviglia e bellezza.
     
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    Roberta
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    Mi sembrava di essere in un sogno. Avevo atteso questo momento per lungo tempo e finalmente, adesso che era giunto, non mi sembrava reale. Pensare di essere tutte insieme, di nuovo, dopo quello che avevamo passato era un miracolo, un dono degli dèi.
    Alla prima occasione, avevamo deciso di prenderci una “vacanza”. Non avevo idea se fosse mai accaduto in passato, o se fosse possibile, che le Guerriere del Sistema potessero concedersi una pausa, per quanto breve fosse. Ma mai, come adesso, ne avevamo un disperato bisogno.
    Con le Sailor tornate alle loro mansioni originali a salvaguardia dei pianeti e del nuovo sistema di governo che stava nascendo, avevamo potuto chiedere un permesso a chi di dovere per poter vivere un breve periodo insieme, senza differenze, senza pericoli, senza nemici da combattere.
    Dovevo ammettere che il ritorno di Ares su Marte, anche se non più in pianta stabile, ma in modo sufficiente affinché coprisse egregiamente il suo ruolo, mi aveva fatto prendere un enorme sospiro di sollievo. L’avevo accolta con un abbraccio pieno di calore e di affetto. Finalmente era al mio fianco ad affrontare i nostri genitori apprensivi e soprattutto a mettere a tacere le voci che erano girate sulla loro assenza “ingiustificata” durante la grande guerra che avevamo portato avanti contro il Padre degli Eterni. Selene aveva trovato il modo di coprirle, ma le malelingue erano sempre in agguato. Mentire era diventato pesante e ormai impossibile. Ma nulla aveva più importanza, perché il solo sapere che Bayek, il mio adorato cognato, era sano e salvo, compensava tutti i sacrifici e le menzogne.
    In seguito, i patti di Saturno erano decaduti e non vi era stato più bisogno di continuare quella farsa. L’Impero lunare era venuto meno e una Nuova Repubblica stava vedendo la luce. Era così strano pensare a una modalità di governo tanto lontana da quella che conoscevo da tutta una vita, ma il cambiamento era volto al meglio, alla prosecuzione pacifica della vita degli abitanti del Sistema.
    Volevamo lasciarci alle spalle tutti quei pensieri complicati, per questo ero stata una delle fautrici principali di questa bizzarra spedizione. Cerere aveva buttato l’idea, io, con la mia ineguagliabile capacità di persuasione, avevo convinto Partenope a mettere a disposizione una residenza di famiglia, sull’Orlo di Nettuno.
    In un primo momento, la mia cara amica aveva rifiutato, memore della brutale accoglienza ricevuta dalla sua famiglia poco tempo prima. Non voleva neppure ipotizzare di incontrarli di nuovo, anche solo per errore. Alla fine, però, il mio discorso aveva dissipato ogni suo dubbio, risvegliando un potente senso di rivalsa, che non era proprio del suo carattere, ma che aveva riportato a galla in nome della sofferenza patita a causa di “cari” che non erano mai stati tali e della nostra amicizia, che meritava un po’ di spazio e di tempo per guarire dalle ferite.
    “Ascoltami bene. Quando pensi a coloro che chiami genitori, non osare sentirti inferiore o in difetto. Hai capito? Loro hanno la fortuna di avere una figlia forte, coraggiosa e super geniale. Peccato per loro se non se ne sono accorti, acciecati dalla loro superbia e alterigia! Senza offesa, ovvio! Dimentica di non avere il diritto di usare una casa che ti appartiene nei fatti. E poi… non sarebbe eccitante farlo a loro insaputa e magari lasciargli qualche sorpresina?! La probabilità di incontrarli è molto bassa, ma mi piacerebbe davvero essere al loro cospetto e… spiegargli un paio di cosette simpatiche! In ogni caso, avrebbero modo di capire... tanto per iniziare, che noi ti consideriamo speciale, indipendentemente da quello che pensano loro! E poi, saprebbero che hai delle amiche fantastiche!” Infine, avevo concluso, dopo una pausa ad effetto: “… Lo sai, lo dobbiamo fare per Vesta!”
    Come avrebbe potuto rifiutare?! Mi aveva guardato con sguardo furbetto, un sorriso radioso e mi aveva detto: “Ok, facciamolo!”
    E questo era il nostro principale intento, rapire Vesta e regalarle un po’ di pace. Potevo solo immaginare gli attimi di panico, di terrore, di incertezza che aveva dovuto vivere. Lei era da sempre stata riservata e portata a risolvere i suoi problemi da sola, e il mio grande errore era stato di lasciarla fare, di consentirle i suoi spazi e i suoi tempi. Se solo avessi insistito di più, se solo avessi fatto pressione con la mia irruenza inopportuna, forse lei avrebbe ceduto. Non mi avrebbe mandata al diavolo e avrebbe accettato la mia presenza.
    Quando ero venuta a conoscenza del suo coinvolgimento al fianco del Dio oscuro, qualcosa si era spezzato in me. Mi sentivo responsabile per averla lasciata sola con i suoi dubbi laceranti, che piano piano l’avevano logorata, al punto che Etere era stato in grado di insinuarsi nella sua mente e far leva proprio sulle sue insicurezze. Ah che rabbia! Odiavo quanto era accaduto e se avessi potuto, avrei cancellato ogni singolo ricordo di quei giorni oscuri.
    Il relax era la parola d’ordine del nostro viaggio e non avevamo faticato a dedicarci ad altro che non fosse mangiare, scherzare, rilassanti nuotate nel lago antistante la tenuta.
    Mi tornò in mente il discorso che avevamo intrapreso quella sera: il Principe Helios avrebbe finalmente fatto i conti con una carica “meno regale” e forse avrebbe perso il suo maledetto vezzo di guardare tutti dall’alto in basso e giudicare il mondo intero con una lente d’ingrandimento. Adesso era al mio stesso livello, e semmai avessi avuto l’opportunità di incontrarlo, non avrei perso l’occasione per farglielo notare. Sorridevo e gongolavo diabolica solo al pensiero di una simile scena.
    Dopo un’altra “estenuante” giornata ci eravamo poi ritirate nelle nostre stanze. Io la condividevo proprio con Vesta. In un primo momento, Cerere avrebbe dovuto essere al mio posto, ma avevo gentilmente insistito per poter essere io la prediletta. La notte portava consiglio e io avevo uno scopo ben preciso in testa. Ne avevo anche parlato con Cerere e lei mi aveva addirittura appoggiato. Era raro che non ci scontrassimo con la Guerriera di Ceres, ma ormai avevo capito da tempo che il suo fare altezzoso era solo una corazza. Lei, come Vesta, aveva il suo modo di affrontare il mondo. D’altronde, tutte noi avevamo le nostre differenze, che però in squadra ci rendevano imbattibili. Ci completavamo alla perfezione.
    Partenope era la scienziata del gruppo, le sue idee geniali ci avevano salvato in moltissime occasioni disperate; Vesta e la sua forza incomparabile, Cerere con la sua tenacia aveva portato avanti il gruppo in assenza di Pandia: il nostro punto fermo, il nostro faro! E io… beh, chi ero per giudicarmi? Ma di certo avevo un ruolo fondamentale a compendio di un gruppo di guerriere, di amiche, di pazze.
    Ero stesa sul mio letto. Era enorme, ma molto particolare. Il materasso era ad acqua e ad ogni mio più piccolo movimento, gorgogliava pericolosamente. Partenope mi aveva assicurato che non si sarebbe aperto per nessun motivo, ma io, ragazza di poca fede, stavo ancora lì a guardare, soppesare e valutare ogni piega che avrebbe potuto tramutarsi in crepa.
    Vesta entrò nella stanza e mi guardò incuriosita. Io, notandola la anticipai.
    “Non è colpa mia, giuro! È questo dannato letto che minaccia di divorarmi!”
    Vesta mi regalò un sorriso ironico e divertito: “Una Sailor affronta con sprezzo del pericolo un simile avversario!”
    "Non ti ci mettere anche tu, dai... Sono giorni che siamo qui e ancora non mi ci sono abituata. Faccio prima a coricarmi a terra, ma cosa direbbero le mie povere ossa regali?" aggiunsi di rimando, assecondando il suo sarcasmo.
    Provai a mettermi a sedere, ma crollai su un lato. Sbuffai spazientita e alla fine mi alzai da quella trappola bollosa, e mi sedetti sul tappeto a forma di stella marina di fronte allo strano letto.
    "Sei stanca? Ti va di parlare un po'?" le chiesi tornando seria e sbattendo una mano sul morbido tessuto accanto a me, per invitarla a raggiungermi.
    “Di cosa?” mi rispose frettolosa, per poi nascondersi dietro un sorriso finto. “È tutto così bello, qui! Vuoi lamentarti anche del panorama? O del colore blu della vasca immensa in bagno?”
    Percepii al volo la sua ilarità forzata e la sua volontà di "sottrarsi" a un confronto con me, ma non le consentii di sfuggirmi.
    "No... in effetti hai ragione, il panorama e il colore della vasca sono bellissimi, non meritano nessuna lamentela. E tu? Come stai? Ti vedo sorridere, scherzare, ma ci sono momenti in cui ti isoli e questo mi spaventa a morte… perché anche prima eri così e io... beh non ho capito quanto stavi soffrendo e ti ho lasciata fare..." Come mio solito, ero partita a razzo e parlai senza prendere fiato, ma volevo dirle tutto ciò che pensavo, senza remore.
    Il sorriso scomparve dal suo viso. Deglutì e fissò un punto indefinito nella parete davanti a sé. “È difficile non pensare a quello che ho fatto... mi è stato dato il perdono ufficiale dalla Repubblica solo perché non ero in me... non so cosa sia peggio. Se aver fatto del male ad altre persone o non essere stata abbastanza forte da contrastare Etere.” Si morse il labbro inferiore quasi fosse una punizione. “E poi... non è solo questo...” esitò.
    "Ma è davvero così, non eri in te! E non ti puoi colpevolizzare per non aver avuto la forza di resistere al potere del Padre degli Eterni! Nessuno di noi ci sarebbe riuscito... E poi…?" la esortai a continuare, ma lei si infervorò.
    “Però non ha scelto altri! Ha scelto ME! E perché? Perché mi ha ritenuta più vulnerabile…” poi sospirò “Etere ha visto il mio conflitto interiore e l'ha sfruttato. È doloroso ammetterlo, ma sono io la vera causa dei miei problemi, sempre e solo io”
    Adesso avevo compreso che il fulcro di tutto era proprio questo: la sua debolezza più grande, il non accettare la sua doppia natura.
    "Perché credi che essere marziana e venusiana allo stesso tempo sia il principe di tutti i mali?”
    Vesta sgranò gli occhi e sollevò le sopracciglia, sorpresa e imbarazzata insieme. Forse credeva che non avrei affrontato questo argomento, o magari lo sperava.
    “Perché io voglio essere venusiana. Voglio... ecco…” cominciò ad agitarsi. “Non ho niente di marziano! Sono nata e cresciuta su Venere, anche se non sono bella e piena di virtù come Aphrodite e Cerere.” Poi la voce si spense come risucchiata da un buco nero.
    "Non hai mai pensato che questa tua doppia natura possa essere invece un punto di forza? Riflettici un attimo.... Tu hai la bellezza delle venusiane e la forza e la tenacia delle marziane. Semmai hai un'arma in più. Non devi sentirti in difetto. Capisco che non è stato semplice nascere su Venere e avere sangue marziano. Ti hanno sempre guardata di traverso e spinta a credere di non essere abbastanza, ma delle usanze retrograde di un popolo non possono e non devono condizionare la tua esistenza. Non più!” mi sentii avvampare per la rabbia e la concitazione.
    Vesta rise piano. “La mia forza? Dove è? Non riesco nemmeno ad affrontare Cerere per quello che le ho fatto!” Scosse la testa rassegnata. “La mia doppia natura non è un vantaggio, ma solo una combinazione discutibile... Nessuno ha mai guardato oltre questo, e alla fine ritengo che abbiano ragione. Sono uno sbaglio che ha commesso mia madre, nata in un modo increscioso.” fece una pausa nel tentativo di frenare le lacrime che le avevano inondato gli occhi. Cercò di riprendere il controllo. “Voi mi volete bene, ma come potete capirmi? Appartenete a qualcosa in maniera esclusiva e totale...” Mi si strinse il cuore, ma non potevo lasciarla con quell'assurda convinzione di essere un nulla, quando era il tutto e più di tutto.
    "La tua forza è il drago che è in te e finché non accetterai la sua presenza, continuerai a sentirti rotta, incompleta. Non sei il frutto di uno sbaglio, ma di un atto d'amore. Che importa che tuo padre fosse un marziano? Hai forse qualcosa contro i marziani?" dissi con ironia, per spezzare l'atmosfera tesa. "Hai ragione, forse non possiamo capirti appieno, ma i nostri sentimenti di amiche non offuscheranno mai il nostro giudizio su di te. La prima che deve imparare a comprendersi sei proprio tu. Ti sei fermata all'opinione che gli altri hanno e non hai mai avuto il coraggio di andare oltre, di entrare davvero dentro di te e conoscerti a tutto tondo! Vuoi vedere solo il peggio…"
    Vesta era arrossita. “Scusami, non volevo disprezzare il tuo popolo ma... preferirei ignorare gli aspetti marziani in me. Toth ha insistito parecchio, in passato, per aiutarmi a controllarli ma…” Sospirò a lungo. “Solo voi sapete della mia seconda forma, quella di drago. Me ne sono sempre vergognata!”
    Le circondai le spalle con un braccio in maniera un po' maldestra…
    "Se posso confessarti una cosa, ho sempre trovato fantastica la tua forma di drago. Ti rende un sacco tosta, la adoro! E poi… tranquilla... non disprezzi il ‘nostro’ popolo... disprezzi solo te stessa e questa cosa, invece, la odio! Anche noi marziani abbiamo i nostri lati negativi, come i venusiani, i gioviani o i nettuniani, ma abbiamo anche molti aspetti positivi. Infatti conviviamo e siamo alleati da millenni, ci aiutiamo e difendiamo il Sistema con coraggio, tutti allo stesso modo. Devi fare una cosa che non è semplice, ma necessaria per dare pace al tuo cuore: devi fare in modo che le nature che possiedi stringano un patto di non belligeranza. Un'alleanza indissolubile che ti porterà solo benefici, credimi. Per il resto, non vedi che le cose stanno cambiando? Grandi sconvolgimenti si stanno verificando. Perché non farlo anche con te stessa? Scegli di non essere vulnerabile. Scegli di essere forte e bella allo stesso tempo. Scegli di essere solo Vesta e non ciò che i venusiani rinnegano. Tu prima di tutto e tutti. E gli altri che se ne vadano amabilmente al diavolo!"
    Vesta mi fissò a lungo dritta negli occhi e io non mi sottrassi al suo sguardo intenso e perso.
    “Vorrei avere la tua stessa irriducibilità. Però ora ho troppo da farmi perdonare, e troppa poca stima in me stessa per impormi un tale atto di coraggio. Ho gli incubi quando penso quante persone ho fatto soffrire... tremo al pensiero del disprezzo che mi attribuiscono. Vorrei scomparire” Mi strinse a sé quasi con disperazione. “Grazie per il tuo aiuto, so di poter contare su di voi, ma ora... devo trovare il modo per ricominciare, anche se non ho la più pallida idea di come farò...”
    Ricambiai l’abbraccio e quasi la stritolai.
    "Hai la stessa irriducibilità. Sei per metà marziana, ricordi? Fa parte di te. Non riesci a perdonarti per il male che hai fatto quando eri plagiata da un dio potente, ma dovresti dispiacerti anche per il male che hai fatto e fai a te stessa. Io ti darò il tempo che ti serve per rimetterti in sesto, ma sappi che non mi toglierò di torno, che ti terrò d'occhio e sarò presente ad ogni tuo silenzio, ad ogni tua parola non detta. Non rifarò gli stessi errori del passato. E quando sarai pronta a venire fuori da questo labirinto di spine che ti sei costruita attorno, io ti porgerò la mia mano e ti tirerò fuori." La mia voce non tremò nonostante l'emozione, restò salda, a ferma testimonianza della forza e del coraggio che volevo infonderle.
     
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    Roberta
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    Gli sconvolgimenti a cui stavo assistendo avrebbero segnato per sempre il mio futuro.
    Tutto ciò che conoscevo stava cambiando, assumendo dei connotati a me distanti, sconosciuti. L'Impero lunare era caduto e al suo posto una nuova Istituzione, di matrice repubblicana, stava vedendo la luce. Ciò stava inevitabilmente impattando sui governi dei singoli pianeti che, pur mantenendo la loro sovranità, avrebbero dovuto adeguarsi alle richieste del Senato nascente.
    Io, come Giudice Supremo di Giove e nel contempo Sailor eletta dal Crystal Seed del mio mondo, ero un caso peculiare, insieme alla mia compagna Aphrodite. Possedevamo due ruoli che alla luce degli eventi non avrebbero potuto più coesistere.
    Per questo, avrei dovuto affrontare una scelta molto importante. Decidere chi avrebbe preso il mio posto alla guida di Giove… avevo adesso l’opportunità di essere una Guerriera a tutti gli effetti, come incarico unico e fondamentale.
    E allora… che fine avrebbe fatto il mio operato, i miei lunghissimi anni al servizio del popolo gioviano? Tutti i sacrifici, la sofferenza, le rinunce che il mio status mi aveva imposto? La mia lotta contro i Sacerdoti per ottenere diritti dimenticati e seppelliti da strati di inutili tradizioni? Non potevo abbandonare tutto ciò in mani inesperte, che avrebbero potuto distruggere quelle conquiste tramutandole in polvere…
    Ero ancora scioccata. Pensare alle conseguenze di un simile evento mi aveva posta d'innanzi a emozioni contrastanti che stavano lacerando il mio petto.
    Poi, nella mia mente confusa, si fece spazio un volto amato alla luce del sole dopo tante battaglie e subito dopo un altro, amato nell’ombra, represso con minacce e intimidazioni…
    Edward mi aveva insegnato ad amare e mi aveva dato la gioia di diventare madre. Erano loro la mia certezza, le mie colonne indistruttibili, che avrebbero scacciato anche la tristezza più nera, il baratro più profondo.
    Pensando a loro, mi ero incamminata tra i corridoi di cristallo di quello che era stato il Palazzo Imperiale e che adesso era solo la dimora della famiglia reale: i Principi della Luna.
    Tutte noi Sailor ci eravamo date appuntamento per discutere sugli ultimi eventi e poter decidere come agire, adesso, in qualità di uniche Guerriere riconosciute dalla Repubblica Galattica.
    Ora che i Templari avevano mostrato la loro vera faccia e il loro scopo primario, le linee di difesa di tutto il Sistema si erano assottigliate ed era per questo che ci avevano chiesto di dedicare tutti i nostri sforzi nell'unico ruolo di Sailor. Anche se, grazie all'intervento di Helios e Selene, era stata firmata un'Intesa Lunare che garantiva l'intervento, in caso di emergenza, degli eserciti dei pianeti più esperti nel settore della guerra, tra i quali Giove.
    Nella grande sala delle riunioni avremmo trovato anche Endymion, recentemente eletto a Cancelliere Supremo della Repubblica e lui ci avrebbe ragguagliate sui nuovi eventi e i nuovi incarichi.
    Immersa nei miei pensieri, notai la silenziosa presenza di Athena al mio fianco. Si era avvicinata a me senza fare rumore e senza disturbare le mie riflessioni. Era proprio da lei, entrare nella tua vita in punta di piedi e poi segnarla con la sua saggezza e decisione.
    “Non volevo interrompere i tuoi pensieri” disse confermando, senza saperlo, la mia intuizione.
    “Tranquilla… tu non disturbi mai… tutt'altro!”
    “Immagino quanto sia difficile per te questo momento… non ti aspetta una scelta semplice per il tuo popolo, per te stessa…”
    Athena aveva una capacità unica di leggere i cuori altrui e ne interpretava alla perfezione i sentimenti.
    Mi fermai a osservarla e per un attimo avrei voluto abbracciarla e confessarle tutta la mia confusione, le mie incertezze. Ma non lo feci.
    “Per la prima volta nella mia lunghissima vita non sarò il Giudice Supremo di Giove, come sai… non è mai accaduto che un Giudice abdicasse in favore di un successore. È una cosa talmente potente che mi destabilizza.”
    “È una cosa nuova, ma non per forza negativa” ribatté con dolcezza.
    “Sono d’accordo con te. Ma questo ruolo ha da sempre condizionato i miei pensieri, le mie azioni, i miei desideri. Tu sai cosa ho passato dopo che mi sono innamorata di Edward, che l'ho voluto al mio fianco a tutti i costi. La menzogna, le lotte continue mi hanno logorato… ma alla fine…”
    “Alla fine hai vinto! Hai piegato i Sacerdoti al tuo volere e hai fatto delle riforme che resteranno nella storia.”
    “Non sono riuscita a fare tutto ciò che avrei voluto…” dissi ripensando a una persona in particolare, un innocente, e il dolore scoppiò nel mio petto.
    “Non puoi pretendere di essere invincibile, tutti noi abbiamo i nostri limiti, però sono certa che tutte le persone che hai aiutato con le tue scelte ti saranno grate a vita. E anche chi verrà dopo di loro, perché le leggi che hai emanato resteranno affisse e imperiture.”
    “Le tue parole mi confortano e mi danno tanto coraggio per affrontare ciò che verrà.”
    “E poi, non dimenticare una cosa molto importante: tu non sei solo il Giudice Supremo di Giove, ma anche una Sailor e sarà questa la tua vita d'ora innanzi.” E proprio essere una Guerriera mi aveva salvata dalla disperazione quando avevo perso tutto. Quando ero stata costretta ad abbandonare Edward e Haytham sulla Terra, i Sacerdoti mi avevano reclusa fisicamente e moralmente dietro sbarre fatte di doveri, udienze e condanne.
    “Essere una Sailor è stata la mia àncora di salvezza nei momenti più bui, cara Athena. Siete state la mia unica via di fuga, quando avevo perso tutto. E adesso voglio che ciò che mi lascerò alle spalle sia in ordine per potermi dedicare alla nostra causa corpo e anima” dissi decisa, alzando il mento.
    “Eccola, la mia Nike, così ti conosco. Forte, tenace e determinata!” affermò appoggiando le mani sulle mie spalle e stringendo leggermente.
    Il suo tocco mi infuse calore, quasi mi stessi immergendo in una fonte di acqua termale in grado di rilassare tutti i miei muscoli.
    “Hai scelto chi sarà il tuo successore?” chiese infine, lasciandomi andare. Mi indicò una panca di cristallo con sfumature di mille colori e ci sedemmo.
    Ci avevo riflettuto a lungo e avevo un nome che mi girava in testa da tempo ormai… lei sarebbe stata la sola in grado di portare avanti la mia opera, proprio perché come me era stata vittima di un sistema antico e retrogrado.
    “Sì, ho una persona di cui mi fido ciecamente e so che sarà all'altezza del ruolo. Si chiama Amilyn Holdo.”
    Proprio in quel momento e parlando con Athena avevo avuto la certezza assoluta che solo lei avrebbe potuto sostituirmi, nessun altro. L’unica altra persona alla quale avrei affidato la mia stessa vita, e quindi anche il mio mondo, aveva deciso di andare via da Giove e di intraprendere un'altra strada. Dunque, la scelta era stata quasi obbligata in fin dei conti.
    Su Giove ero sempre stata circondata dalle Guardie dei Sacerdoti e dai loro scagnozzi, pronti a tenermi d’occhio per assicurarsi che non facessi qualche altro colpo di testa, dopo il mio “capriccio” di vivere sulla Terra. E ancor di più da quando avevo iniziato ad agire pesantemente sul sistema penale e giuridico di Giove. Per questo non avevo avuto modo di stringere amicizie particolari o salde alleanze. Il traditore poteva essere sempre dietro l’angolo. Sorrisi mentalmente al pensiero che quei poveri stolti non si erano accorti che il mio amato “capriccio" era stato per lungo tempo sotto i loro occhi accecati dall'odio e dal pregiudizio.
    “Sono certa che hai scelto con cura e attenzione” mi disse elargendo un sorriso pacifico. “Ma i Sacerdoti non avrebbero voluto ripetere il rito gioviano per la scelta del prediletto Giudice Supremo tra i bimbi del tuo pianeta?” chiese dubbiosa. La voce si era sparsa per tutto il Sistema e avevano tentato di mettere a tacere la mia risposta. La mia decisione finale che avrebbe spazzato via quella barbara usanza.
    “Ancora non è stato fatto un proclama ufficiale, ma a giorni sarà data la notizia dell’ultima riforma che farò prima di andare via, nel pieno dei miei poteri. Ho deciso che la tradizionale ‘scelta' del Giudice Supremo sarà modificata. Nessun altro bambino sarà tolto alla propria famiglia con la forza. Solo in questa particolare occasione, io sceglierò il mio successore, ma alla morte di questi, si darà luogo al rito che riconoscerà il nuovo prescelto. Non lo si obbligherà ad allontanarsi dai propri cari, riceverà l'istruzione adeguata senza però privarlo degli affetti. Quando sarà in grado di scegliere autonomamente, deciderà egli stesso se proseguire sulla via al servizio di Giove, oppure lasciare.” Nel parlare mi ero infervorata e avevo alzato il tono di voce. Me ne accorsi e mi quietai un po'. “Neppure i Sacerdoti potranno opporsi. Se l'eletto si mostrerà degno del ruolo, allora gli dèi illumineranno il suo cuore, che questa volta non sarà pieno di rancore e sofferenza, ma potrà decidere conscio delle sue origini e delle sue possibilità” conclusi.
    Gli occhi di Athena mi scrutavano, limpidi e fieri.
    “Sei stato il più grande Giudice Supremo di tutti i tempi, Nike. Il tuo cuore è puro e nonostante tutte le sofferenze che hai patito, sei stata in grado di donare speranza ai posteri del tuo popolo! Pensaci bene… e non dimenticarlo mai.” Le sue parole mi fecero comprendere la reale dimensione di ciò che avevo fatto. Avevo ribaltato millenni di usanze e tradizioni scolpite nel tempo.
    Ma tutto aveva un costo, e come Giudice Supremo non avevo potere plenario. Avevo dovuto cedere il passo per un'unica cosa. Chi avesse accolto il ruolo, avrebbe rinunciato a farsi una famiglia propria in favore della causa gioviana. La grande conquista era che avrebbe potuto farlo in piena libertà di scelta e non vittima di un obbligo. La Legge sacra, secondo la quale il Giudice Supremo non avrebbe dovuto crearsi una famiglia e dare vita a una sua discendenza, era scolpita nella pietra dell’antica Legge e non poteva essere cambiata.
    “Credimi Athena, avrei voluto fare di più, molto di più, ma mi accontenterò” dissi sorridendo mesta.
    “Adesso devi pensare a te stessa. A realizzare i desideri che hai dovuto tenere sopiti per non infrangere le leggi di Giove. Nonostante i nostri obblighi di Sailor possiamo essere anche donne, mogli e madri…” La sua ultima frase mi aveva colpita dritto al cuore. Era chiaro che avesse fatto un riferimento a se stessa e alla sua nuova vita insieme a Connor e Cloe a Montereggioni, avendo la possibilità di muoversi liberamente e senza limiti imposti da Patti o distanze. Lei non sapeva… lei non aveva idea di quanta verità avesse pronunciato anche in riferimento a me. Io ero una Sailor fiera del mio ruolo. Ero una donna follemente innamorata, che un tempo, era stata anche moglie e… madre. Avrei potuto esserlo ancora. Adesso avrei potuto recuperare un’esistenza tanto adorata e messa da parte troppo a lungo, preda di tradizioni insensate e vili ricatti.
     
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    Voglio essere una macchia colorata in mezzo al grigiume della realtà

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    :Partenope:
    La nostra vacanza era ormai finita.
    Erano stati giorni completamente dedicati al relax, ma soprattutto erano serviti per riavvicinarci, per riunirci, in particolare attorno a Vesta.
    Era stato un periodo veramente terribile quello appena passato, e la necessità di staccare da ogni responsabilità era diventata impellente.
    Per questo eravamo andate in una delle case per le vacanze della mia famiglia. Era uno dei luoghi della mia infanzia che più mi dava gioia e serenità.
    Ed era stato in questo clima di pace che mi ero finalmente confrontata con Cerere, assai delusa e confusa dalla “sorpresa” di Haytham e dei Templari. Eravamo tutti rimasti alquanto confusi e perplessi. Nessuno se l’aspettava.
    Soprattutto però avevo parlato con Vesta. Il suo dolore ed il suo sentirsi sbagliata derivava dalla sua doppia natura. Anche se non è la stessa cosa, anche in me convivono due mondi, simili ma diametralmente opposti. Per questo avevo sentito il bisogno di parlarle, darle il mio aiuto.

    Era con la nostalgia di quel paradiso che mi stavo addentrando nel giardino del Palazzo Reale sulla Luna. Era stata una giornata abbastanza pesante, dopotutto il giorno in cui si rientra a lavoro lo è sempre, e leggermi un bel libro sotto ad un albero era proprio quel che mi serviva.
    Improvvisamente sentii un tonfo e dei lamenti venire da oltre la siepe.
    Mi affacciai curiosa e vidi il Principe Helios imprecare contro la panchina con cui si era scontrato.
    Vi si sedette sopra pesantemente e si portò una bottiglia -all’apparenza di ambrosia- alle labbra.
    Se l’era scolata quasi tutta!
    Ero combattuta sul da farsi -la gente ubriaca non si sa mai come può reagire-, ma poi decisi di fare la cosa giusta.
    Mi avvicinai lentamente a lui mi schiarii la voce.
    “Ehm… Principe Helios...”
    Si voltò di scatto verso di me, e dall’espressione che aveva non sembrava volesse compagnia.
    “Che vuoi?” tuonò rissoso.
    “Ehm… state bene?”
    “Benisssssimo! Ti ci metti anche te ora?” balzò in piedi “Ne ho piene le tasche di tutto e tutti! Ora non posso nemmeno rilassarmi bevendo qualche bicchierino?!” continuò dimenando per aria la bottiglia ormai vuota.
    “No, non era questo che intendev… Helios!” scattai rapida al suo fianco, evitandogli una rovinosa caduta a terra. Per qualche secondo fissò il suo sguardo perso nel mio, per poi iniziare a dimenarsi.
    “Lasciami andare Partenope! Cosa vuoi? Aiutarmi? Non né ho bisogno! Nessuno ne ha bisogno! Non servi a nulla! Ti prodighi sempre per gli altri per sentirti importante, ma non lo sei e non lo sarai mai! I tuoi genitori hanno fatto bene ad esiliarti! Guardati! Sei insicura, infantile, debole, hai paura persino della tua ombra! Mi chiedo come diavolo sia possibile che l’Universo abbia scelto te come Guerriera! Tu non vali un cazzo! Sei un fallimento! Quindi lasciami in pace!”
    Helios vomitò quelle parole con cattiveria, disgusto e crudeltà.
    Lo guardai negli occhi. Chiusi a chiave nel mio cuore quello che avrei voluto urlargli in risposta, perché non era né il momento né il caso di discutere con un ubriaco.
    “Senti, non servirò pure a nulla, ma se qualcuno ti beccasse in queste condizioni sarebbe un bel problema non credi?” gli chiesi seria.
    Sembrò pensarci su.
    “Hai… hai ragione… puoi darmi una mano?” mi chiese stranamente accondiscendente.
    “È quello che stavo tentando di fare.” gli dissi con un leggero sorriso, per poi prenderlo sotto braccio e guidarlo verso camera sua senza farci vedere.

    “Ascoltami bene. Ora bevi questo infuso che ti aiuterà con il post-sbornia e poi ti metti a dormire ok? Hai bisogno di riposare.”
    “Ok… in effetti non ricordo da quanto è che non dormo.” disse sghignazzando.
    “Allora a maggior ragione. Tieni.”
    Gli porsi il bicchiere e si scolò il contenuto tutto d’un fiato.
    “Grazi...” non fece nemmeno in tempo a finire la parola che crollò come un bambino esausto.
    Uscii dalla sua residenza come un’ombra -grazie Connor! Nessuno doveva vedermi, altrimenti chissà cosa sarebbe passato nella testa delle persone.
    Tornai in camera mia e crollai nel letto talmente stanca che sembrava avessi affrontato un’orda di nemici… invece mi ero solo sorbita gli ennesimi insulti.
    Gli argini crollarono e le lacrime scesero giù ininterrotte come cascate, accompagnate dai singhiozzi che mi spezzavano il respiro.
    Faceva male. Eccome se lo faceva.
     
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    Annarita
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    :Haytham:
    Era arrivato. L’Ordine 66 era arrivato. Come una falce che si abbatte con violenza e distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino. Haytham Kenway si era trovato proprio su quel cammino. Non credeva che sarebbe mai arrivato, dopo centinaia di anni vissuti in attesa e ricevendo in cambio solo silenzio da parte di coloro che lo avevano coinvolto in un progetto tanto audace. Era convinto che ormai fosse cambiato o addirittura fallito. Perciò, era andato avanti con la sua vita, aveva servito con solerzia l’Impero, e aveva incontrato colei che era diventata la persona più importante… non l’aveva aspettata, non aveva preventivato affatto che si sarebbe innamorato, non lo considerava possibile dopo aver chiuso nettamente con le emozioni. Non che non ne avesse avuto l’occasione, nonostante il suo carattere schivo diverse donne avevano provato, nel tempo, a fare breccia… ma invano. Cerere lo aveva incastrato, senza sapere neppure come, ci era riuscita. E adesso? Cosa avrebbero fatto? Non riusciva a pensare ad altro, mentre l’Imperatore Helios gli confermava che l’Impero non avrebbe mosso guerra contro i Templari; mentre gli sguardi stupiti della Principessa Selene e del Generale Thot si muovevano frenetici dal fratello al Gran Maestro e viceversa; mentre un intero sistema crollava a favore di uno nuovo.
    Sapere di essere stato il mezzo principale di quegli sconvolgimenti era un macigno che pesava sulle sue spalle, in fondo, era l’unico che doveva sopportare gli sguardo accusatori senza abbassare il proprio. Aveva dato una parola e non aveva potuto fare altro che rispettarla, più per difendere la causa Templare che per preservare l’onore di quelli che avevano programmato ogni cosa. Ciò che provava lui nel profondo, però, non aveva alcuna importanza per nessuno. Perché avrebbe dovuto averne?
    Quando uscì dalla Sala del Consiglio ignorò gli occhi puntati si di lui. Di certo, si aspettavano di vederlo in catene, condannato per tradimento alla pena più terribile, ma non era stato così. Ovviamente, non era stato così. Ciò nonostante, degli occhi in particolare non esitò a incrociarli, anche se solo per qualche istante, perché Cerere lo afferrò per la giacca e lo portò in un angolo del grande corridoio, lontani dai mormorii della gente. Tuttavia, non era ancora il luogo adatto per discutere e le cose da dire erano tante.
    La prese per mano e il percepire la sua ritrosia lo ferì nella parte si sé che aveva tentato di tenere sempre nascosta. Arrivarono in quello che era sempre stato lo studio e che presto sarebbe diventato di qualcun altro. La lasciò andare, consapevole che il contatto avrebbe reso più difficile il tutto.
    Guardarla negli occhi gli era diventato quasi impossibile, faceva male quanto uno stiletto conficcato nel cuore, che affondava piano, un centimetro per volta. Si puntellò alla scrivania, invitandola con un gesto a sedersi sulla poltrona di pelle di fronte a lui. Avrebbe dovuto spiegarle cosa diavolo stava accadendo, ma scegliendo le parole giuste. Sapeva che da questo dipendeva il loro futuro insieme.
    “Adesso siedi, per favore. Ti parlerò, ti racconterò tutto, ma cerca di ascoltare me… e non la tua delusione.”
    Cerere era confusa come se l'avessero messa in una centrifuga, dalla riunione – quando lo aveva visto arrivare di sfuggita – fino a quel momento era rimasta attonita, in attesa di una spiegazione plausibile.
    Seduta, non smetteva di osservarlo severa, ma allo stesso tempo speranzosa. Sapeva che c'era una spiegazione, sapeva che lui gliela avrebbe data e, cosa più importante, che avrebbe rimesso insieme tutti i pezzi. “Ti sto ascoltando...” pronunciò solamente, a mostrare tutta la sua predisposizione, il suo bisogno di sapere che sgorgava da ogni poro.
    Haytham si schiarì la voce, ma aveva la sensazione di avere delle lame al posto delle corde vocali. Giunse le mani in pugni ferrei che appoggiò contro la superficie liscia della scrivania dietro di lui.
    "Sono stato reclutato prima della mia morte, molti anni prima, sulla Terra. Mi hanno detto che dopo circa un centinaio di anni, l'Ordine Templare si sarebbe estinto... mi hanno detto che avrei fatto parte di un progetto ambizioso ma poi, per diverso tempo, non ne avevo saputo più nulla. Quando mio figlio, Connor, mi ha inferto il colpo mortale mi sono dato dello stupido. Avevo dato credito a degli individui che mi avevano solo preso in giro. Stavo morendo, cazzo, come sarei potuto tornare utile da morto? Poi, poi mi sono svegliato qui... sulla Luna... e sono arrivati i primi ordini. Ho dato vita alle varie sezioni templari, a questo esercito, e l'ho guidato... ma da allora, non ho avuto alcuna notizia di come e se questo progetto stava procedendo. Avevo una sola certezza: un giorno sarebbe arrivato l'ordine e i Templari sarebbero tornati sulla Terra. Sono trascorsi centinaia di anni, Cerere, centinaia... e sei arrivata tu. Non avevo dimenticato perché ero ancora vivo, solo... non ci pensavo più, ritenendo – scioccamente – che fosse tutto ancora molto lontano... troppo fumoso...” Aveva parlato di getto, senza fermarsi mai, senza neppure riuscire a incontrare il suo sguardo che – sapeva benissimo – sarebbe stato pieno di disprezzo. Almeno, fino a quel momento, fino all'ultima parola. Alzò gli occhi su di lei, doveva capire che il suo non era un tradimento, non nei suoi confronti, non dei sentimenti che ancora provava.
    Cerere lo aveva ascoltato ferma. Seria. Attenta ad ogni singola parola. Sbatteva gli occhi, a tratti perplessa, come ad aspettarsi da un momento all'altro quel coup de théâtre che avrebbe risolto ogni cosa, ma più ascoltava e meno speranze aveva di vederlo arrivare. “Fammi capire...” tentò di dire, per poi fermarsi. Gli occhi bassi a cercare quasi la forza di parlare e poi di nuovo fissi in quelli di lui. “Tu sei stato un doppiogiochista fin dall'inizio?” aveva riassunto tutto, a suo parere, in modo conciso e preciso, e quando Haytham allungò una mano verso di lei, la reazione fu di rifuggire dal suo tocco. Si alzò in piedi, dandogli le spalle e passandosi le dita nervose tra i capelli. “Sai, quando mi hai chiesto di parlare mi aspettavo tutto... ogni cosa, ma non questo...” tuonò la venusiana, tornando a guardarlo. Lo sguardo deluso e poi, eccola, una risata ironica di chi si sente una stupida. “Nella mia mente, attendevo che mi raccontassi di qualche piano segreto di cui non ero a conoscenza, non so, qualcosa che l'Imperatore, che gli Dei lo abbiano in gloria, ti aveva lasciato detto o magari già delle disposizioni del Principe, oppure ancora un’espansione verso la Terra per inglobarla nell’Impero... insomma qualsiasi cosa. Dopotutto, non sei in arresto, nessuno di voi lo è... quindi è così, giusto? DEVE essere così!” Lo diceva come a volersi convincere, dopotutto, anche con Vesta era andata così, non era stato tutto esattamente come appariva. “Perché altrimenti l'alternativa è che tu, dal primo giorno che sei qui, dal primo giorno in cui hai dato vita ai Templari creando questa loro versione cosmica... non lo hai mai fatto per l'Impero... MAI... sei sempre stato il servo di due padroni con la differenza, forse, che solo uno era quello vero e l'altro? Cosa è stata Selene e tutta la famiglia Imperiale finora?” Cerere si morse la lingua, non era certa di voler continuare quella discussione, di sapere altro...
    Dal suo canto, Haytham aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo. La voce della donna che amava era sempre stata una panacea per lui, per i suoi eterni silenzi, per i suoi demoni che credeva di aver allontanato per sempre, invece adesso… adesso era diventata accusa, processo e sentenza. Non aveva nessuna scusa, poteva davvero dire che si era imposto di dimenticare tutto? Che aveva ingenuamente sperato in un tempo più lungo da poter passare assieme a lei? Che aveva di proposito allontanato quel momento pur di diventare il suo uomo, a tutti gli effetti. Non gli avrebbe creduto, a questo punto non avrebbe creduto più a nessuna delle sue giustificazioni.
    “Ho servito al meglio delle mie possibilità l’Impero e, a un certo punto, è diventato l’unica mia ragione di vita. Poi, però, sei arrivata tu e mi sono trovato a sperare che l’ordine non arrivasse mai più…Tutto ciò che c’è stato tra noi è reale, Cerere, spero che questo non sia in dubbio…” chiese tacitamente, con la gola chiusa e i pugni ancora più stretti.
    Cerere sospirò molto pesantemente e poi lo guardò greve. “Non c'è nemmeno da dirlo, Haytham! Qui non siamo in discussione noi!” Alla ragazza pareva quasi che la sua risposta fosse un fulmine a ciel sereno per lui, come se temesse che le due cose si potessero mischiare. Poi, si sedette di nuovo e scuotendo il capo tornò a guardarlo. “Ti amo e nulla di tutto questo potrà cambiare quello che provo per te o ciò che c'è tra noi... NULLA... La mia delusione o rabbia niente hanno a che vedere con i miei sentimenti per te... il mio amore resta intatto.”
    Haytham era sinceramente stupito, uno strano sollievo lo pervase, ma durò molto poco, perché la confusione arrivò subito per ammonirlo. “Come puoi continuare ad amare un traditore? Agli occhi degli altri lo sono, tanto quanto lo sono ai tuoi. Non posso negare quello che ho fatto, non posso neppure pentirmene in realtà, perché è la verità. Tutto ciò che hai detto è vero, ho solo fatto un grosso errore: pensare che nulla si sarebbe verificato.”
    “Ed infatti ti odio per questo!” rispose con una sincerità disarmante, ma anche profondamente colpita di come lui non comprendesse. “Si odia solo chi si ama Haytham ricordalo...” lo rimbeccò per poi spostare lo sguardo altrove, facendolo vagare nella stanza. “L'amore non è amore se cambia quando affronta delle difficoltà! E' qualcosa di tenace che supera le tempeste e non vacilla mai” sottolineò con un groppo in gola per poi protendersi verso di lui. “Tuttavia, l'odio non cambia in tempi brevi, con il passare delle ore o delle settimane... Ha bisogno di affrontarsi e rapportarsi con l'amore... il tempo rafforzerà l'uno o forse l'altro sentimento e allora anche di fronte a un funesto destino mi darà risposta di chi vincerà quest'arduo scontro..."
    Eccola quella sensazione di lacerazione che aveva provato una sola volta nella sua lunga esistenza. Uno strappo netto, doloroso, che ti obbliga a boccheggiare per cercare di restare vivo. Si era promesso che non l’avrebbe più vissuta e invece… Haytham abbassò il capo, gli occhi fissi sulla punta dei suoi stivali, le braccia adesso strette attorno al busto come a voler tenere uniti i pezzetti di se stesso. Non riusciva a capire, come poteva amarlo e odiarlo al contempo?
    “Intendi che, un giorno, nel futuro, mi vorrai di nuovo al tuo fianco?” Non erano le parole che avrebbe voluto dire, ma furono le uniche a uscire, un mormorio appena percepibile. Lui, che era sempre abituato a parlare con voce tonante, a dettare ordini, che detestava l’incertezza, le suppliche, la confusione. Bianco o nero, ecco cos’era sempre stato Haytham Kenway, le sfumature però era venute dopo, quando Cerere era entrata nella sua vita. Avrebbe potuto mollare tutto, ritornare sulla Terra, rifarsi un’altra dannata vita… ma il solo pensiero lo faceva annaspare. Neppure la causa Templare – da sempre la sua unica certezza – era in grado di ridargli l’ossigeno.
    Cerere deglutì. Poteva apparire ferma, un pezzo di marmo freddo e insensibile, ma in realtà dentro stava morendo. “Esatto!" esclamò, preferendo poche parole per evitare di scoppiare a piangere e ridursi patetica e fragile ai suoi occhi, lui che dopo tutto ciò non meritava quella dimostrazione di fiducia. “Una battaglia epocale si sta svolgendo dentro di me... io sono solo spettatrice del suo risultato e... qualunque sarà, mai ti porterà via da me. Sei dentro di me, come l'alta marea, che mi annega ogni volta che il tuo pensiero arriva alla mia mente. Ma sono anche una donna fiera, una Sailor orgogliosa e non posso ignorare la realtà dei fatti..." Cerere si alzò lenta e decisa, non credeva che ci fosse altro da dire, anche se in realtà molto altro avrebbe voluto riversargli addosso. Non poteva chiedergli di aspettarla, di attendere il suo responso o di non dimenticarla. Non poteva chiedergli nulla, anche se, come diceva sempre Aphrodite, sarebbe rimasta in osservazione e tanto dei suoi gesti e delle sue decisioni avrebbe condizionato l'esito della guerra del suo cuore.
    “Non ti lascerò mai andare. Dovessero passare altre centinaia di anni, sei e sarai sempre l’unica.” Non c’era incertezza nella sua voce adesso, era questa la sua sentenza. “Aspetterò, almeno un po’, ma poi verrò a cercarti, mi troverai dietro la tua porta un giorno e allora mi dirai se sarai pronta a riavermi nella tua vita… Spero solo che riuscirò a far passare abbastanza tempo, senza di te, non sarà facile andare avanti.”
    A quel punto, Cerere sapeva che qualsiasi parola avrebbe detto non se ne sarebbe più andata. Avrebbe pianto, si sarebbe gettata tra le sue braccia e non avrebbe più mosso un passo, perciò doveva tacere.
    Tuttavia, la sua mano corse su quella di Haytham, lasciò che lui la stringesse e poi raccogliendo tutte le sue forze la fece scivolare via, lenta, allontanandosi... fin quando le loro mani prima vicine, poi si sfiorarono solo e infine si lasciarono. Deglutì, voltò le spalle e decisa se ne andò a grandi passi che, nel corridoio, diventarono una corsa disperata.
    Haytham la guardò scomparire oltre soglia, la mano ancora sospesa nell’aria che sapeva di lei. Avrebbe rimpianto quel profumo, lo avrebbe desiderato, ma non si sarebbe arreso, mai. L’avrebbe avuta di nuovo al suo fianco… un giorno.
     
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    Da ormai qualche settimana, Thot aveva la sensazione di essere entrato nel mondo dell’assurdo, ciò che conosceva si era capovolto, la persona che amava non lo ricambiava, la sua doppia personalità era sempre lì, in agguato, a ricordargli ciò che gli mancava per essere completo. Aveva trascorso l’ultimo anno a prendersi cura di qualcuno, iniziando con Horus e finendo con l’Impero. Non aveva dormito, mangiato, riposato neppure un attimo, impegnato in attività che avevano un nobile scopo, ma adesso… adesso che ogni cosa sembrava aver trovato la sua strada da percorrere lui si sentiva perso, disorientato, solo. Com’era prevedibile, dopo il risveglio e la discussione avuta con il suo Compagno Alato, la questione non era stata più affrontata e Thot si era isolato ancora di più in una condizione quasi di opposizione a prescindere. Viveva come sospeso, in attesa, che la mitologica spada di Damocle gli cadesse tra capo e collo… nel frattempo, Horus si stava riprendendo dopo la lunga immobilità, con Senu sempre al suo fianco, ma senza di lui. L’energia della Luna aveva fatto il suo dovere, tanto quanto l’energia solare che albergava dentro di lei e questo aveva permesso una ripresa più rapida del previsto. Beh, a dirla tutta, il suo risveglio era stato tutto eccetto che previsto, ma questa era un’altra storia. Tuttavia, durante l’ennesimo pomeriggio trascorso ad allenarsi nella palestra dei Medjay, Thot fu testimone di una specie di miracolo: Ares e Iuventas camminavano a braccetto verso di lui. Forse per la differenza di età che le separava, forse per i caratteri troppo simili, le due contesse di Marte si ritrovavano spesso a discutere, ogni tanto volavano addirittura palle di fuoco rese subito innocue, ma col tempo aveva capito che si trattava semplicemente del loro modo di volersi bene, oltre che di scambiarsi opinioni. Thot, nella sua vecchia vita, aveva avuto modo di vivere un po’ solo la piccola Iuventas, perché la schiva Ares era sempre stata troppo impegnata o scostante per degnarlo di qualche commento in più dello stretto necessario per questioni di lavoro. Ciò nonostante, da quando si era risvegliato in questa nuova vita, non aveva avuto molto modo di frequentarla perché era partita subito dopo per la Terra, quindi si era fatto bastare i ricordi bellissimi che il Campione aveva di lei e in generale del rapporto con le sorelle.
    “Guarda, guarda, le contesse di Marte a braccetto, dovrebbero farvi un dipinto così da non perdere questo miracoloso momento” esordì pungolandole, fermandosi dal boxare contro il sacco e asciugandosi con un telo di lino.
    Ares e Iuventas si bloccarono proprio al cospetto del fratello. Ormai da tempo temevano per la sua salute fisica e mentale. Si stava sottoponendo a uno stress fuori dal comune e quando pensavano che il peggio fosse passato, con il risveglio di Horus, uno spesso strato di dolore nero si era abbattuto su di lui, spegnendo l'usuale e sfolgorante luce che da sempre lo accompagnava.
    Iuventas, finalmente, aveva avuto l'occasione di stare un po' con la sorella, dopo oltre un anno di distanza. La separazione era stata pesante come un macigno e le responsabilità che aveva dovuto affrontare, senza di lei e in sua sostituzione, erano state tantissime.
    Ares era felice di poter tenere di nuovo tra le braccia la sua sorellina, le erano mancati il suo naturale essere irruento e il suo entusiasmo contagioso. La adorava, ma al suo ritorno aveva trovato una ragazza più matura e cresciuta, pur mantenendo il suo carattere solare.
    Iuventas non aveva perso tempo e le aveva raccontato tutte le novità che Ares si era persa in quel periodo, e con fare decisamente preoccupato, l'aveva messa a parte di tutto ciò che riguardava il loro fratello maggiore Toth.
    Insieme, come due guerriere alleate e due sorelle alla carica, avevano architettato un piano per portarlo con loro e costringerlo a sfogare tutta la sua evidente frustrazione.
    “Ciao Toth. Come stai? Vedo che ti sei rintanato DI NUOVO in questa palestra. Ormai credo che potrebbero portarti un letto e organizzare qui le tue stanze private” disse Ares con una pizzico di ironia.
    “Non ci guardare come se fossimo due aliene, fratellone. Eravamo certe di trovarti qui, ma adesso dovrai venire con noi.” Iuventas si sciolse dal braccio della sorella e si avvicinò a Toth. Lo prese per un polso e se lo portò intorno alle spalle. “Da questo momento in poi, considerati ufficialmente rapito!” concluse con aria soddisfatta.
    “Voi due siete matte da legare, non capisco cosa ci troviate di strano in un po’ di allenamento…” Thot si arrampicava sugli specchi, nel tentativo di scacciare quella strana sensazione di disagio che la consapevolezza di non essere il fratello che loro amavano portava con sé. Non l’aveva mai provata da quando si era ritrovato in questo mondo, aveva benedetto ogni istante trascorso con le sorelle che non aveva mai potuto chiamare tali, e adesso invece… tutto sembrava cambiato, sbiadito. “E sentiamo, mie carceriere, dove avete intenzione di tenermi prigioniero?” Una vaga idea ce l’aveva, gliela stava suggerendo il Campione, forse del tutto inconsciamente… oppure no. Non riusciva a capire se fosse geloso del rapporto che aveva stretto con loro, d’altronde neppure nei confronti di Horus aveva dimostrato particolare rimostranza o slancio, neanche quando lei stessa lo nominava con occhi sognanti. Thot scosse il capo, non era il momento di riflettere su cose del genere.
    Le due sorelle non risposero, ma si limitarono a trascinarlo con ben poca grazia.
    Poco dopo, raggiunsero un luogo parecchio distante dal Palazzo Reale. Era una landa desolata, ciò che un tempo aveva ospitato l'acqua liquida, adesso era una enorme depressione del terreno, arida e rossa come tutto il paesaggio marziano. Delle concrezioni si erano formate e si intrecciavano tra loro senza nessuna logica, formando una sorta di labirinto fatto di insenature, buchi e piccole caverne.
    Ares ricordava quando un giorno, spinta dalla curiosità della sorella, avevano seguito Thot, che con il suo amico Pluto, avevano raggiunto quel posto sperduto. Li avevano sorpresi a fumare qualcosa di certamente proibito e quando si era stagliata di fronte a loro con uno sguardo di forte accusa, con tanto di mani sui fianchi, Toth aveva cercato di darle una spiegazione abbozzata, ma allo stesso tempo aveva tentato di mandarla via, anche in malo modo. Iuventas, inconsapevole, o forse fingeva, di aver infranto la privacy del fratello maggiore, era scoppiata in una fragorosa risata e aveva iniziato a parlare a raffica, allentando così l'atmosfera tesa che si era creata tra i due fratelli più grandi.
    Dopo quel giorno, il luogo era diventato il rifugio di tutti e lì si incontravano per le loro tanto famose tavole rotonde. Anche se Iuventas era troppo piccola per parteciparvi, non se ne era persa neppure una. Loro tre erano una cosa sola e la sorella piccola faceva da collante.
    Si sedettero su una concrezione sporgente, ognuno di fianco all'altro, in fila e con i piedi penzoloni nel vuoto della depressione dell'antico lago.
    “Allora Toth, ci vuoi dire che cosa ti sta capitando? Iuventas mi ha raccontato tutto di quest'ultimo periodo. Di quanto tu sia diverso e quanto è accaduto con Horus.”
    Iuventas non accennò a deviare lo sguardo dal fratello. Non era affatto pentita di aver spifferato ogni dettaglio della sua vita. Per lei era fondamentale che fossero tutti ben informati.
    “Diverso…” ripeté il marziano, un velo scuro era di nuovo sceso a offuscare il suo sguardo, mentre fissava davanti a sé, un posto solitario che ricordava e non ricordava allo stesso tempo. Nonostante ciò, il piacere di avere accanto le sue vere sorelle lo animava di una forza insperata e decise di seppellire il pensiero che si stessero preoccupando per il Campione e non per lui. Aveva assoluto bisogno di loro in questo momento e avrebbe assorbito ogni vibrazione positiva che riusciva a racimolare. “Sono diverso, avete ragione… sono successe tantissime cose nell’ultimo anno.” Poteva confidarsi con loro? Avrebbero capito la sua situazione? Oppure – come Horus – lo avrebbero considerato un vile impostore? Sinceramente, non riusciva a prevedere le loro reazioni e non era pronto a rischiare l’ennesimo rifiuto. Si chiese dove fosse finito il suo coraggio proverbiale, aveva sempre affrontato ogni rischio senza preoccuparsi delle conseguenze che gli si sarebbero riversate addosso. Ma ora… ora persino un piccolo rintocco sarebbe stato capace di farlo crollare. “E moltissime altre nelle ultime settimane. Stiamo vivendo in un mondo del tutto cambiato… credo che questo mi abbia destabilizzato…”
    “Non credo sia solo questo. Guarda me, ho vissuto per più di un anno sulla Terra, lontana dalla mia famiglia ma con la ferma intenzione di salvare colui che amo. Iuventas ha fatto le mie veci egregiamente e immagino quanto sia stato difficile. Tu, beh, tu hai rischiato la tua vita centinaia di volte, contro il Dio oscuro, per salvare Horus dalla sua prigione nel limbo e per salvarla dal suo perenne stato di coma. Tu non sei destabilizzato, fratello. Tu sei perso, ma per altri motivi, non a causa dei cambiamenti che stiamo vivendo. Perché non si può essere incerti se si agisce a tuo modo…” Ares era stata precisa, diretta come era suo carattere, ma all'improvviso fu interrotta da una Iuventas in stile caterpillar.
    “Toth, ti ho visto combattere contro un esercito di ombre e... contro te stesso. Io ci ho riflettuto su a lungo, e sapete che non è una delle mie virtù riflettere, quando hai lottato contro lo spettro che aveva il tuo stesso volto, ho sentito cosa ti diceva. Ti accusava di aver usurpato un posto, quello del 'vero Toth'. Mi sento confusa, ma di una cosa sono certa, che il tuo atteggiamento verso Horus era diverso. Anche con me. Ti ho sentito più vicino, meno generale e più fratello. Con noi puoi parlare di tutto, lo sai.”
    Iuventas sperava che potesse aprirsi con loro. Che quel piccolo agguato potesse aiutare lui e lei stessa a comprendere. Era da tempo che sospettava che qualcosa di sconosciuto, avulso alla sua razionalità, fosse successo per giustificare le differenze in suo fratello e desiderava ardentemente sapere cosa fosse.
    Thot restò immobile, ma dentro si era scatenata una tempesta furiosa. Aveva gli occhi fissi davanti a sé, ciò nonostante, percepiva ai suoi fianchi la presenza delle sorelle: Ares lo guardava impaziente, Iuventas gli si era aggrappata a un braccio in attesa, ma non meno impaziente della sorella maggiore. Non sapeva proprio cosa dire o fare, era combattuto, ma il terrore di subire l’ennesima inquisizione lo frenava dall’essere sincero con loro.
    “Vi amo, con tutto il mio cuore, vi amo. Sto combattendo una battaglia in cui sono solo contro il nemico. Non ci sono alleati, né strategie, devo andare avanti e capire cosa sarà di me. Se volete aiutarmi, statemi accanto, ma non fate domande. Fidatevi di me, si risolverà tutto, dovete solo fidarmi di me…” Continuare a negare l’esistenza del problema non le avrebbe calmate, al contrario, le avrebbe solo portate a insistere. Thot, invece, aveva bisogno di supporto e non di un giudizio.
    Si voltò per guardarle, una per volta, regalandogli un sorriso che da tempo non illuminava i suoi lineamenti. Il Campione le amava, aveva sempre avuto con le sorelle un rapporto complice, ma lui non era il Campione e i loro caratteri profondamente diversi emergevano sempre di più… assieme a quella lotta che lo stava consumando.
    Ares passò un braccio sulle sue spalle. Sapeva che non gli avrebbe confessato nessuna verità, non quel giorno almeno. “Non ti preoccupare, rispetteremo i tuoi tempi e quando avrai bisogno di noi, saprai dove trovarci. Saremo sempre qui per te.”
    Iuventas fece una smorfia insoddisfatta e poi regalò una linguaccia al fratello.
    “E va bene... la tortura per oggi finisce, ma sappi che ti terrò d'occhio. Non ti voglio vedere soffrire però... tu sei e sarai sempre il nostro fratellone.” La ragazza schioccò un dolce bacio sulla guancia di Toth.
    Adesso non c'era più bisogno di parole o di domande. Toth doveva solo sentire il loro calore e il loro appoggio, così, stretti l'uno all'altro. Erano un trio perfetto e nessuno li avrebbe mai separati. Mai. Neppure il destino.
     
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    La convalescenza fu veloce. Era la mente di Horus a dover guarire, non il corpo, e appena seppe come era stata liberata e del sacrificio che aveva scelto sua madre per restituirle la vita, il suo cuore si riempì di gratitudine per Senu e di vigore, preso dal coraggio che quest'ultima aveva dimostrato. Desiderava onorare e ringraziare la donna per quello. Nonostante la sua prigionia fosse più recente di quella di Horus, Senu non si era risparmiata nell'accudirla.
    Dopo il risveglio, infatti, aveva passato molto del suo tempo con lei. Grazie alla sua vicinanza aveva riacquistato poco alla volta l'abitudine alla forma animale. A differenza degli altri Koronosiani, la sua forma principale era quella umana, mentre quella di falco faceva parte della sua seconda natura, che non usava con spontaneità ma solo grazie a un intenso e continuo allenamento. Con i secoli il simulacro animale aveva quasi preso una consistenza normale. Anche in questo caso aveva dovuto cambiare le sue attitudini prima di partecipare alle selezioni per l'Accademia Alata. Era orgogliosa dei risultati ottenuti, anche se avevano comportato molti sotterfugi iniziali, per superare le prove feroci a cui le giovani aspiranti erano sottoposte dai selezionatori.
    Nel momento in cui fu pronta per diventare un Compagno Alato comunque, nulla la distingueva da un altro esemplare nato e cresciuto sul pianeta indigeno, se non l'estrema fierezza e competenza di cui si fregiava, per cui veniva additata ad esempio da tutti.
    Lei e Senu trascorrevano le giornate volando insieme, in luoghi abbastanza protetti dalla vista di marziani che si potevano insospettire. Il rischio era molto basso, anche perché i rapaci eleganti e possenti provenienti dal pianeta satellite, pur se non molto numerosi, non erano rari. Ma Senu non era ufficialmente tale, quindi la sua identità veniva protetta grazie all'aiuto di Ares.
    Purtroppo anche quel periodo sereno terminò, quando la madre le comunicò l'intenzione di tornare al fianco del suo Campione, che era rimasto sulla Terra per ricostruire la Confraternita dopo la quasi distruzione operata dai Devianti.
    L'ultima sera prima della separazione, Senu si sedette in un angolo appartato delle stanze che le erano state dedicate, in un'ala secondaria del palazzo. Fece cenno alla figlia di sedersi accanto a lei.
    “Prima di andarmene, voglio essere sicura che ti lascio in buone condizioni” La preoccupazione era squisitamente materna, anche se sottintendeva timori che esulavano dal loro rapporto.
    Horus sorrise con affetto. “Ho recuperato ogni mia capacità, lo hai visto anche tu. Sono di nuovo in grado di svolgere il mio ruolo al fianco di Thot”
    La madre annuì con soddisfazione. “E vedi in me una madre davvero orgogliosa. Però...” Lasciò la frase in sospeso, guardando la figlia con intenzione. “... sai cosa ho dovuto dire, per convincerli a fidarsi di me. Io ero una sconosciuta, agli occhi di Thot e delle Guerriere...”
    Horus deglutì a vuoto. Lo sapeva, eccome. E sapeva anche la madre le stava chiedendo il perdono per questo. “Non devi giustificarti. Il tuo gesto è stato... nobile!”
    Un sorriso velato illuminò il viso severo di Senu. “Come hai gestito l'accaduto con lui? Ti è stato molto vicino quando non eri ancora guarita, ha rischiato molto per riportarti indietro... sai, mi ero fatta un'idea molto più spiacevole su di lui... credevo che fosse una persona diversa, più insensibile e limitata. Ero preoccupata, perché ti vedevo così triste in passato...”
    Horus aggrottò la fronte, distogliendo il viso dalla vista della madre. “La verità è che... non ne abbiamo ancora parlato...” Non aveva confessato a nessuno della situazione orribile, e non aveva intenzione di farlo, come se sentisse una sorta di lealtà anche nei confronti dell'altro Thot.
    La donna più anziana allungò una mano per posarla sul suo mento, costringendola a girarsi e a guardarla negli occhi. “Horus, non puoi tacere una simile cosa. Conoscevamo entrambe il pericolo di sfidare la legge ma questo non ci ha fermate. Non ha ostacolato me nell'aiutarti né te, nel lottare per perseguire il tuo sogno” Tolse la mano per accarezzarle la guancia. “Affronterai anche questa prova. Niente ti ha mai spaventato a sufficienza da farti desistere. E poi, credo che l'uomo che ho conosciuto in questo frangente abbia il cuore abbastanza nobile e temerario da perdonare questo oltraggio. Lo so...” Alzò una mano per fermare Horus. “... conosco bene la mentalità marziana. La loro inflessibilità, il disprezzo per chi non si conforma. Però lui è diverso. Sei fortunata, figlia. Se fossi stata scelta da un Marziano come lui, avrei accettato subito il nostro legame, e non sarei stata esiliata” Posò le mani in grembo, in un gesto elegante e aggraziato. Horus annuì pensosa. La tranquillità e la forza di sua madre la convinsero al passo successivo.
    (...)
    Horus aveva il cuore in gola ma una forte determinazione nella mente. I giorni non potevano trascorrere in quella nebbia di incertezza in cui si era crogiolata lei per prima. Ora, come improvviso, sentiva il bisogno di mettere il dito in quella ferita che era diventata la sua vita. Solo lei sapeva quanto aveva combattuto perché tutto fosse perfetto, impeccabile, ineccepibile. E il suo unico pensiero era che se voleva tutto indietro, avrebbe dovuto affrontare quella persona. Lo trovò subito, perché a colpo sicuro era andata alla palestra dove si allenavano tutti i Medjay, ma dove soprattutto lui aveva preso a passare i giorni interi. Veniva a dormire nelle sue stanze, le stesse che divideva con lei, solo a notte fonda e le lasciava prima dell'alba, come un fuggitivo. Non era un dubbio che la stesse evitando, si trattava di una constatazione. Entrò nella sala immensa, occupata da numerosi attrezzi ginnici, con passo deciso. Come era prevedibile, lui era lì a faticare e sudare, con un'espressione tesa che Horus preferì non interpretare per non farsi influenzare e distogliere dai suoi stessi pensieri.
    “Dobbiamo parlare!”
    Thot aveva percepito il sopraggiungere di Horus ben prima che facesse la sua comparsa nella palestra, perciò aveva cominciato a sferrare colpi su colpi, esacerbando una violenza assoluta. Avrebbe dovuto cambiare posto in cui passare il tuo tempo a distruggere il proprio corpo con lo scopo di tenere lontani i pensieri. Si bloccò solo quando lei lo apostrofò con un "Dobbiamo parlare" che aveva il sapore di una terribile minaccia...
    La guardò negli occhi e la loro impenetrabilità gli fece muovere qualcosa nel petto. "Di cosa esattamente?" La sua risposta era stata altrettanto lapidaria, benché tentasse di prendere tempo... ancora.
    Lei sgranò gli occhi, confusa. Aveva visto in lui, nonostante i buoni propositi di poco prima, una resistenza passiva alla sua presenza che la rimandò con prepotenza agli anni precedenti. Agli anni in cui tra lei e il suo Campione si era costruito un rapporto arido, teso e quasi conflittuale, mentre in apparenza formavano una coppia affiatata, invidiabile, esemplare. Ora lo stesso muro invisibile la divideva da lui, l'altro uomo. Si morse la guancia, di nascosto. Era forse lei la causa di tutto questo? Il suo rigore inflessibile o, peggio, la macchia della sua origine?
    “Di te. Di lui. Di noi!” La voce salì, incrinandosi. Strinse i denti e riprese fiato. Aveva perso così velocemente il controllo di tutto! “In questi giorni io... ho riflettuto molto. La nostra posizione è insostenibile, a queste condizioni. Non intendo portare avanti ancora la menzogna che si è creata con il tuo arrivo!” Espirò in silenzio l'aria che aveva trattenuto.
    Thot percepì la crepa nella sua voce, il suo strazio nel dover vivere una situazione simile, una situazione in cui non si era né nemici, né complici, ma una sorta di velenosa via di mezzo. D'istinto, i lineamenti si ammorbidirono e l'espressione dell'uomo si fece stanca, non c'era bisogno di nascondere nulla, non adesso. Prese una tovaglia e si asciugò, prima di sedersi su una panca di legno poco distante. Solo allora alzò gli occhi su di lei: "Ti rifaccio la stessa di domanda di diversi giorni fa, che cosa credi sia meglio fare? Dire la verità al mondo?"
    “Forse avevi ragione...” Horus parlò lentamente, pronunciando ogni parola con ponderazione. Stava tentando di trovare una soluzione, più che altro un equilibrio su cui muoversi. Anche se era difficile. Il vento era un suo alleato, quando la sosteneva in volo. Ora, le remore, gli ostacoli e, purtroppo, anche i suoi sentimenti, sembravano strattonarla come folate violente che la spingevano oltre il bordo del precipizio. Preferì non sedersi, come aveva fatto lui. Aveva bisogno di rimanere in piedi, per trarne forza. “Se questo problema diventasse di pubblico dominio, non ne pagheremmo solo noi due le conseguenze. Ne sarebbero investite anche altre persone, e sarebbe iniquo”
    "Quali altre persone ne sarebbero investite?" Voleva sentirle dire ogni cosa ad alta voce, era necessario che arrivassero a un punto, era stato lei a chiederlo no? Si appoggiò con la schiena alla parete dietro di lui e alzò il viso verso Horus, che si ostinava a restare in piedi.
    “Come è possibile prevedere l'effetto di un simile evento? Tu non hai il diritto di essere il Conte di Marte! Tu non sei un Medjay! E soprattutto, tu non hai il diritto e la nobiltà necessaria per possedere il privilegio di avere al tuo fianco un Compagno Alato!” Lo guardò quasi con rabbia. Provava il desiderio irrazionale di colpirlo, per punirlo di tutto il male che stava facendo, anche se, come le aveva ripetuto infinite volte, non era mai stata una scelta a sua disposizione. Era stato sbalzato via dal suo mondo, perdendo ogni cosa. Scacciò la compassione che aveva cominciato a sentire nel cuore. Non la avrebbe aiutata. “Tutti ne sarebbero danneggiati. La famiglia reggente, l'esercito, l'intero sistema potrebbe vacillare. Anche quello che lega il popolo marziano al nostro. Sono in gioco fattori ben più rilevanti di quello che si può pensare...” Thot la guardava in modo che aumentò il disagio che provava. Non era quella la risposta che voleva sentire. Si aspettava sincerità, almeno in questo momento. Un brivido le corse giù per la schiena. Il tono divenne più morbido, diverso da quello tagliente con cui aveva iniziato a rispondergli: “Cosa succederà al nostro Thot se tutto questo verrà fuori? La sua vita verrà distrutta...”
    Il Thot presente iniziò ad annuire, lentamente, abbassando lo sguardo. Eccola la verità, la pura semplice, maledetta, verità. Si passò le mani sul viso, massaggiando le palpebre. "Sarei potuto esserlo sai? Ho sangue reale in corpo, un bastardo certo, ma il sangue di Crio scorre nelle mie vene, tanto quanto in quelle del tuo amato Campione. Sarei potuto essere un Medjay di diritto e chissà, forse avere anche un Compagno Alato... magari non sarei stato Conte, ma nulla di tutto ciò è stato mai sul piatto. Vivere l'abbandono, so cosa significa, costruirsi da solo perché tanto a nessuno importa chi sei, cosa fai, se vivi o muori. Quello che avevo nella mia vita me lo sono guadagnato con sacrificio, duro lavoro, facendomi strada in un mondo che non era mai stato dalla mia parte... e tu, forse, in questo di mondo, sei l'unica che può capire di cosa sto parlando. Non accusarmi di colpe non mie, non vanificare tutti i miei sacrifici, solo perché non esistono nel tuo mondo non significa che non pesino sulle mie spalle... non farlo, questo non è un tuo diritto..."
    Horus era stata investita dal dispiacere e dall'amarezza che sentiva nelle parole dell'altro Thot. Aveva trattenuto il fiato e resistito a quegli assalti, immobile e dritta come un fuso nonostante l'effetto che avvertiva in maniera quasi fisica, sulla pelle, come tagli. Per un attimo, era stata tentata di arrendersi, di abbracciare il suo punto di vista, di inginocchiarsi davanti a lui per condividere il peso della sua sofferenza. Poi, aveva cominciato a percepire qualcosa di bruciante e nitido nel petto. Qualcosa che divampò intenso e subitaneo: furore. Lo lasciò sfogarsi liberamente, anzi fu quasi sollevata nel farlo. “Non voglio toglierti i meriti o i diritti che ti sei conquistato in una vita diversa! Non ne ho nessun diritto, questo è certo!” Strinse i pugni, resistendo alla voglia di urlare l'indignazione provata. “Ma quelli attuali non sono i tuoi! Spettano ad un'altra persona!”
    Thot aveva sperato in un pizzico di empatia visto quanto lei stessa aveva sofferto per raggiungere i suoi obiettivi e realizzare il suo sogno. Tuttavia, la reazione con cui gli rispose fu la reale risposta... "E tu rivuoi quella persona di nuovo al tuo fianco. Vuoi che quella persona rivendichi in ogni modo i suoi diritti, dico bene?" Alzò lo sguardo in quello di lei, conoscendo perfettamente la risposta, ma sfidandola ancora una volta a dirlo con la sua viva voce. Perché lui sapeva, sapeva cosa aveva nel cuore il famigerato Campione.
    Horus scosse la testa lentamente, quasi incredula di dover confermare una verità tanto ovvia. “Io voglio solo che la legittimità dei nostri ruoli venga ripristinata” Si portò le mani al petto, rompendo l'immobilità a cui si era aggrappata fino a quel momento. “Non si tratta di una vendetta contro di te. Non ti biasimo di nulla, e non intendo negare il mio debito nei tuoi confronti. Per questo provo un dolore sincero, ma la realtà rimane la stessa, anche se a te può sembrare ingrata. Il vero Thot ha ogni diritto di tornare in possesso della sua vita. Come puoi negarlo? Come ti senti a commettere un tale atto odioso?”


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 5/3/2021, 20:36
     
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    Il silenzio durò più a lungo di quanto Thot avesse preventivato. Ciò che stava per dire avrebbe cambiato ogni cosa, ogni stramaledetta cosa. Aveva la sensazione di star camminando sul ciglio di un burrone, cercava di tenere l'equilibrio, ma l'abisso lo voleva tutto per sé. “Se lui tornasse, se io riuscissi in qualche modo a farmi da parte – non so come, né se sia davvero possibile, ma poniamo che accada – cosa pensi che succederà? Credi che accoglierà di buon grado un Compagno Alato che ha mentito fin dall'inizio? Non ti denuncerà, questo mai, non è uno stronzo completo, ma è un marziano di quelli quadrati… di quelli che credono nelle tradizioni. Accusi me di aver usurpato un posto non mio, ma tu… tu cos'hai fatto? Non hai ingannato tutti pur di realizzare il tuo sogno? L'unica differenza tra noi è che io non ho avuto scelta, tu sì…” Thot sapeva bene di aver generato lame affilate con le parole, ma era sinceramente stanco di passare per l’indegno assoluto quando c'erano così tanti giudizi sospesi che – per prima a Horus – non avrebbero fatto per nulla piacere.
    La mano di Horus si mosse prima ancora che potesse decidere di farlo. Non sapeva neanche come aveva riempito la distanza che fino a pochi secondi prima c'era tra di loro. Udì solo lo schiocco sonoro e il bruciore sulle dita dello schiaffo. Nella sua espressione era emerso lo stupore infinito di quello che aveva fatto? Perché sentiva il viso come se si fosse trasformato in una maschera di legno. Non era rimasta senza parole. Avrebbe avuto fin troppi modi per contraddirlo e dimostragli quanto si sbagliasse, ma strinse i denti per non farlo. Indietreggiò di alcuni passi, senza togliere lo sguardo dal suo, aspettandosi che facesse qualche gesto improvviso. Quando si trovò ad una distanza sufficiente, gli girò le spalle e si diresse alla porta.
    “Fa davvero così tanto male, dico bene? Sentir pronunciare la realtà delle cose ad alta voce… E forse è meglio che sia stato io a farlo, lui non avresti avuto il coraggio di colpirlo…” La voce di Thot era un sussurro appena udibile, il fiato era spezzato, il cuore batteva così forte da rischiare di distruggergli la cassa toracica. “Qual è la differenza tra me e te, adesso? Invece di scappare, perché non me lo spieghi, perché non lo spieghi al tuo Campione?” Il tono si era fatto via via più alto, lasciarla andare ora non avrebbe risolto il problema. Era la loro resa dei conti e nel bene o nel male si sarebbe conclusa.
    Horus si era fermata non appena aveva udito il bisbiglio di Thot. Era stata una reazione obbligata: voleva escluderlo dalla sua vista, ma allo stesso tempo sentiva l'esigenza vitale di ascoltarlo, di sentire la sua voce. Lui non era solo uno sconosciuto che aveva rubato la vita che conosceva. Con quella persona aveva passato mesi in cui, prima di sapere la verità, era felice di aver riavuto un rapporto passabile con il suo Campione. Prima di sapere che invece, il Campione era solo uno spettatore. Era passivo, ma assisteva a tutto. E aveva saputo tutto. Si accorse del suo respiro troppo veloce, del tremore interno al suo corpo, come una scarica elettrica nelle braccia, nelle gambe, nel ventre. Quale era la differenza tra lei e il nuovo Thot? Ogni cosa era diversa, eccetto una: nessuno dei due possedeva alcuna colpa. Non lui, che si era trovato in una situazione assurda, non lei che aveva come sola colpa il fatto di essere nata fuori dalla sua comunità di origine.
    “Spiegarlo... al Campione?” mormorò sconvolta, senza girarsi di nuovo verso l'uomo. Avrebbe davvero reagito come minacciato da lui? Certo. Era esattamente per quel motivo che aveva nascosto il suo segreto in maniera così meticolosa. Si era illusa di aver fatto un lavoro egregio, e poi era successo l'imponderabile, con la prigionia sotto Etere. “Ne parlerò con lui quando me lo chiederà, senza altri in mezzo. Sarà un confronto solo tra il Campione e il suo Compagno Alato...”
    “Hai ragione, non puoi fidarti delle mie parole. In realtà, sarei disposto a dire qualsiasi cosa pur non vedere il disprezzo nei tuoi occhi, ma io so… so cosa ti risponderà, perché è dentro di me. Ti farà soffrire, ancor di più di quanto non abbia già fatto in passato, ma forse è giusto che sia così… è giusto che tu capisca ciò che intendo dire, direttamente sulla tua pelle, altrimenti non sarebbe la stessa cosa.” Thot aveva risposto di getto, senza riflettere poi troppo aveva preso la sua decisione, quella più terribile ma anche la più necessaria per far sì che Horus potesse comprendere cosa si celava dietro il suo ardente desiderio di ripristinare i ruoli. Avrebbe ricevuto uno schiaffo in faccia, ma avrebbe fatto molto più male di quello che ancora bruciava sulla sua guancia. “Rimpiangerai i bei momenti che abbiamo passato assieme, prima… prima di tutto questo delirio… ma deve andare così… è necessario. Ci proverò… a farlo tornare, anche se non so se potrò farlo restare a lungo o se potrò tornare io stesso un giorno… io ci proverò…” Il petto faceva male. Thot se lo massaggiò d'istinto, stava diventando una dannata abitudine.
    “Io non ti disprezzo...” mormorò Horus. Non era sicura che lui la avesse udita, ma non osò ripetersi ad alta voce perché si trovò davanti ad una paura che prima aveva ignorato. Ingenuamente, aveva accantonato il pensiero e le conseguenze del fatto che dietro quegli occhi, amati suo malgrado, vi erano due persone che la guardavano, la giudicavano. E una era proprio il suo Campione. Come aveva detto, anelava ad un confronto con lui senza il peso di sapere che c'era qualcuno in ascolto. Anche ora, non avrebbe semplicemente discusso con il nuovo Thot. Il suo Thot era lì, impalpabile ma cosciente e... giudicante.
    Si girò per guardarlo di nuovo in viso. E la sofferenza che scorgeva chiaramente la colpì più di quanto volesse ammettere. L'uomo era prigioniero in un modo peggiore del suo, nella prigione astrale dalla quale non si sarebbe liberata mai se non fosse arrivato proprio lui... e non si fosse fatto avanti il Campione, all'ultimo momento. Evocato forse dai sentimenti che provava Horus. La confusione dei mille pensieri minacciava di farle perdere la lucidità necessaria per arrivare ad una soluzione. “... e non rimpiangerò nulla. Conosco i miei compiti e il dovere che devo rispettare. Questo sarà sufficiente” Sbatte gli occhi furiosamente, per ricacciare indietro lacrime improvvise. “Quando lascerai che lui torni e riprenda il controllo, tu... dove sarai?”
    Thot si alzò di scatto dalla panca, una reazione fisica all’ennesimo colpo – questa volta immateriale – che ricevette direttamente sul cuore. Horus preferiva tornare ai suoi doveri, al suo Campione, consapevole che avrebbe di nuovo sofferto, stretta da catene invisibili ma ferree, dolorose. Come faceva ad accettare una cosa simile? Poteva davvero permettere alla persona che amava un simile destino? Certo, lo stava scegliendo lei, ma si odiava, perché non era in grado di farle cambiare idea. Si passò nuovamente le mani sul viso, stringendo poi le braccia attorno al busto, come a sostenersi. Si era scoperto a farlo troppo spesso nelle ultime settimane.
    “Sei disposta ad annientarti, ancora, pur di stare al suo fianco… i tuoi sentimenti sono così forti da consentire una cosa del genere.” Non era una domanda, era una semplice costatazione dei fatti e faceva talmente male che avrebbe voluto rannicchiarsi su se stesso per difendersi. Tuttavia, restò in piedi, tornando a guardarla dritta in viso. “Non so dove sarò, spero il più lontano possibile, meglio l’oblio che assistere a quanto accadrà… Nonostante ciò che pensi, odio vederti soffrire.”
    Horus lo guardò a lungo con tristezza, che lasciava il posto poco alla volta alla risolutezza. In questo era molto brava. Si era allenata per tanto, tantissimo tempo. Era stato il suo obiettivo più grande, e per quello, aveva sacrificato molto. Voleva essere una degna rappresentante dell'élite del suo popolo. Non era mai venuta meno al suo sogno, anche se tanti ostacoli si erano aggiunti sul percorso. E non era ingenua, sapeva che una volta centrato quell'obiettivo la sua vita non sarebbe stata comunque felice. Quello a cui aveva rinunciato rimaneva lì, a chiedere il suo soddisfacimento. L'amore era la prima rinuncia.
    Ma ora doveva ignorare i capricci e abbracciare il compito che aveva scelto. “Continui a parlare di cose che non ti spettano. Continui a menzionare i miei sentimenti, come se li conoscessi, come se potessero avere qualche importanza” Prese forza, con sollievo, dal suo stesso tono duro. Sentiva che il controllo su se stessa era minacciato dalla debolezza delle emozioni che non avrebbe mai sconfitto. Però, la forza di volontà le avrebbe permesso di metterla a tacere una volta ancora. “Ignori quanto è davvero essenziale. Il sacro legame che, nonostante tutto, ho giurato di rispettare. A quello dedico le mie energie” Si avvicinò a lui, guardandolo duramente. “Perché ti ostini a farlo?” Il suo Campione era lì, la stava ascoltando? La avrebbe approvata?
    “Perché non è la versione di Horus del mio mondo che ho imparato ad amare. La Horus che amo è proprio davanti a me, in questo dannato momento. E se per te i sentimenti sono sacrificabili, per me non lo sono. Ed è anche per questo che ho deciso di lasciarti andare… di farlo tornare… di cadere nell’oblio io stesso. L’amore non è egoismo. È sacrificio, è dedizione, è far sì che l’altro realizzi i suoi sogni a discapito del tuo amor proprio. Ti prego, tienilo a mente, quando… quando non ci sarò più…” Thot lasciò andare le braccia lungo il corpo, era sconfitto ma fiero di aver finalmente portato tutto alla luce del sole. Qualsiasi scelta futura non avrebbe avuto su di sé l’ombra del dubbio o della menzogna. Avrebbe dovuto farsi bastare questo.
    Horus inclinò la testa in un tentativo di resistere alle emozioni che Thot, volutamente, le aveva lanciato addosso. Poi portò lo sguardo sulle sue stesse mani, incrociate all'altezza del pube. Le stringeva con forza, i tendini che tiravano e dolevano, per dominare il tremore che aveva ripreso a indebolirla. Era legato a quello che stava provando. Stupore, paura, speranza e... senso di tradimento. Lui le stava davvero dichiarando il suo amore? Con che diritto la metteva in una simile condizione, con quale intento, se non di rovinarla? Affermava di conoscere ogni cosa per mezzo dei ricordi del Campione, ma poi ignorava tutto.
    “Vattene” Rialzò gli occhi. Pronunciò quell'unica parola con voce asciutta, senza inflessioni, senza lasciar trapelare nulla di quello che provava. Ma cosa provava? Non voleva districare quel nodo smisurato nel suo cuore, anche se la avrebbe fatta soffocare. Sarebbe morta dentro, ma almeno, il suo onore sarebbe rimasto intatto.
    Thot annuì. I lineamenti di nuovo duri. I pugni serrati e le unghie conficcate nei palmi per impedirsi di urlare. Dentro di lui, il Campione avrebbe dovuto essere trionfante: aveva vinto, eppure sembrava non esserlo così tanto… e Thot sapeva bene il perché. Era ferito, in un modo diverso da come lo era lui, ma non poteva negare ciò che sentiva. Era giunto il momento, ignorò volutamente la presenza di Horus… anche lei credeva di aver vinto, ma si sarebbe accorta ben presto di quanto fosse fasullo quel sollievo. Si attendeva forse altre rimostranze, ma non arrivarono, le parole erano finite e così anche quella flebile speranza di vedere un altro sguardo nelle sue iridi di onice.
    Non sapeva bene cosa fare. Doveva richiamare il Campione, ma anche lui pareva restio a entrare di nuovo in contatto con lui. Che arrogante! Adesso, adesso che gli aveva fatto perdere ogni cosa, doveva persino pregarlo per prendere il suo posto?
    “Di grazia, hai intenzione di palesarti? Il tuo Compagno Alato ti reclama a gran voce… So che la farai soffrire, ma ti sopporterà, perché il suo maledetto spirito di sacrificio è più forte del suo amor proprio. Ma tu la pagherai, prima o poi, la pagherai…” Voleva provocarlo, sfidarlo, minacciarlo. In realtà, avrebbe voluto farlo a pezzi, polverizzarlo, disperderlo nell’aire, ma questo era impossibile. Adesso doveva lasciargli il passo… far sì che le sue previsioni diventassero realtà e poi, chissà…
    Il Campione rispose alle sue provocazioni, ma adesso era lì, con lui, presente. Era forte, sempre più forte, perché Thot aveva deciso di non contrastarlo, non si sarebbe opposto, era una sua scelta precisa. Anche se lacerante, tentò di abbandonarsi all’oblio, cancellando ogni immagine e ricordo, cancellando Horus e le sue sorelle, cancellando se stesso. Anche se non per sempre.
    Horus guardava con apprensione ed estremo scrupolo la persona davanti a lei. Il suo sguardo terribile, il portamento rabbioso dai muscoli contratti. Fino all'ultimo, aveva temuto che qualche imprevisto, anche solo l'annuncio dell'altro Thot che il Campione era smarrito e non sarebbe tornato, in qualche modo, la aveva tenuta in bilico tra la disperazione e l'esultanza. Poi, con una metamorfosi repentina, l'espressione dell'uomo era cambiata, pareva essere circondato da un'aura differente, che fino a quel momento era rimasta celata. Lei si portò la mano alla bocca, emozionata e confortata da quanto stava accadendo. Se anche avesse avuto dubbi sulla sua capacità di riconoscere, di scindere le due anime che vivevano in quel corpo, ora ogni perplessità era svanita. Sapeva chi aveva davanti. Sapeva che era tornato.
    Il Campione era tornato sì, e sentimenti contrastanti iniziarono subito a infuriare nel suo petto. Il cantuccio in cui aveva vissuto fino ad allora, paradossalmente, lo aveva protetto dalla tempesta che lo colpì inesorabile quando tornò padrone del suo corpo. Strinse e riaprì i pugni, mosse un passo e poi un altro, sbatté le palpebre come se fosse la prima volta che vedeva il mondo. Le percezioni erano le sue, tali e quali a come le aveva abbandonate. Il Thot che aveva preso possesso della sua anima era distante, ma sentiva comunque la sua presenza. Nonostante tutto, non riusciva a odiarlo. Nonostante avesse vissuto la sua vita per oltre un anno, non riusciva a biasimarlo, al contrario, col tempo, aveva iniziato a provare ammirazione prima e compassione subito dopo. Quest'ultima emozione era nuova per lui, raramente la esprimeva e indirizzarla verso colui che lo aveva soppiantato fu una vera sorpresa.
    Stava divagando. Sì, eccome. Non voleva alzare lo sguardo, perché a quel punto avrebbe dovuto per forza prendere coscienza di tutto ciò che era accaduto. Con Etere. All'Impero. Con Horus. Lei... lei era proprio di fronte a lui, se avesse alzato gli occhi avrebbe incrociato i suoi. Consapevole anche che non avrebbe potuto rimandare a vita, non tergiversò oltre, mise in campo la sua proverbiale decisione e lo fece, la pugnalò con le sue iridi scure, molto simili all'acciaio temperato. In essi, non c 'era compassione adesso. Non per lei, che le aveva mentito da quando si erano giurati fedeltà eterna. Quel giuramento... era stato infangato, spezzato, deriso... Aveva percepito il dolore di Horus quando credeva di averlo perso per sempre, così come aveva sempre saputo dei suoi sentimenti per lui. Eppure, non riusciva a non pensare alle sue bugie... anche se, non metteva in dubbio il motivo per cui lo aveva fatto... Doveva fare chiarezza dentro di sé, prima di affrontarla. Intanto, sarebbero tornati alla loro vita, come se nulla fosse accaduto... come se quell'anno non avesse cambiato nessuno di loro... un'utopia? Avrebbe fatto in modo che si realizzasse. Perché? Perché non aveva altra scelta.
    "Andiamo, dobbiamo allenarci, tra qualche giorno dovremo riprendere servizio..." disse con voce neutra, anche se il suo corpo era super allenato ma stanco. L'altro Thot non lo aveva risparmiato... e lui, non sarebbe stato da meno.
     
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    :Haytham:
    Haytham fissava il posto dove fino a pochissimi minuti prima Cerere si era seduta. Non era riuscita a mantenersi immobile per molto, si era alzata, aveva percorso il suo ufficio a grandi falcate, come un leone in gabbia e… lui non credeva che la sensazione provata fosse molto distante da quella. La consapevolezza di essere stato la causa del suo malessere lo distruggeva. Per la prima volta, dopo centinaia di anni, si preoccupava per qualcuno, anche se quel qualcuno lo aveva allontanato, con occhi e parole terribili. Respirò a fondo, in cerca di aria e di forza, doveva rassettare il suo studio, catalogare tutti i documenti top secret per portarli con sé. Erano tante le missioni che aveva concluso, ma estremamente poche quelle che sarebbero tornate sulla Terra con lui. Stava per cambiare vita, per l’ennesima volta, solo che adesso il dubbio che nulla sarebbe stato facile si era insinuato e non sarebbe andato via tanto presto.
    Selene bussò lievemente alla porta dello studio di Haytham. Non attese risposta, in qualche modo sapeva che lo avrebbe trovato lì. Non era nel suo modo di agire quello di reagire platealmente alle provocazioni, ma durante la riunione non vi era stato spazio per i chiarimenti che lei esigeva.
    Così entrò con passo deciso e infatti trovò l'uomo in piedi, dietro la scrivania, intento a raccogliere le sue cose.
    “Gran Maestro Kenway... vedo che non ponete tempo in mezzo tra quanto avete comunicato e la sua esecuzione materiale. Posso dire di non essere sorpresa dal vostro modo di agire, almeno sotto questo aspetto. Ci conosciamo da così tanto tempo...” Il tono era pacato e premuroso, come sempre.
    Haytham sollevò lo sguardo su colei che aveva parlato: la sua Imperatrice, adesso Principessa, certo, ma il suo portamento non era affatto cambiato. Era decisa, ma anche gentile. Era autoritaria, ma anche sensibile. Aveva sempre saputo che non avrebbe cercato un confronto “pubblico”, per questa ragione non era sorpreso di vederla sulla soglia del suo ufficio personale.
    “Prego, accomodatevi, Principessa Selene. In effetti sì, ci conosciamo da abbastanza tempo per non perderci in chiacchiere. Non le amate voi, tanto quanto non le amo io.” Con un gesto della mano, la esortò a entrare e prendere posto sulla poltrona di pelle di fronte alla sua scrivania. Haytham abbandonò le sue carte e la raggiunse, affiancandola sulla poltrona gemella. Era il giorno dei confronti, perciò si preparò all'ennesimo.
    Selene si accomodò sulla seduta sforzandosi di mettere tutta la compostezza e la calma di cui disponeva nei suoi movimenti. Era sua abitudine mostrarsi tanto più distaccata quanto più dentro di sé l'anima era in tumulto. Tanto più gentile quanto più avrebbe accusato con veemenza il suo interlocutore.
    “Temo di aver necessità di sentire nuovamente da voi la comunicazione irricevibile che avete fatto poc'anzi... Mi vorrete scusare, se ancora non mi capacito di quello che ho udito...”
    Haytham lasciò passare qualche secondo, sedendosi più rigidamente sulla poltrona, come se quel contegno potesse in qualche modo dargli la forza necessaria ad affrontare ogni cosa.
    “Tanti, tantissimi anni fa, qualcuno vi ha fatto visita e vi ha parlato delle Cripte dei Titani... vi ha parlato di me, Gran Maestro dei Templari, un Ordine terrestre che non avevate mai sentito nominare... dico bene?” La richiesta era abbastanza retorica, ma se un confronto doveva esserci sarebbe stato a carte scoperte… adesso.
    Selene irrigidì le spalle, stupita della risposta. Non si era certo aspettata che la notizia sconvolgente potesse essere collegata in qualche modo a eventi così remoti nel tempo.
    “Fu una dama di corte a parlarmi per la prima volta di quel segreto così ben custodito. Quella donna lasciò il nostro Palazzo poco tempo dopo, ma le sue indicazioni mi guidarono con precisione a voi. Mi permisero di salvarvi.” Un lampo di rimprovero balenò nei suoi occhi. “Io e l'Imperatore vi affidammo compiti assai delicati, ma le risorse che mettemmo a disposizione permisero all'Ordine Templare di prosperare e di fortificarsi per secoli...”
    “Proprio così, è stato sempre un piano ben organizzato fin dal principio, da molto prima che perdessi la vita sulla Terra e voi mi salvaste.” Haytham si bloccò un attimo, come a cercare le parole più giuste per confessare – non certo giustificare – un tradimento. Il suo tradimento. Gli occhi erano fissi in quelli di lei, erano così simili, entrambi riuscivano a custodire le loro reazioni più oscure sotto una patina di impassibilità difficile da scalfire. Solo una persona era in grado di incrinare la sua. “Tra i vari contatti sono passati secoli, alla lettera. Prima di ricevere... l'ordine finale, avevo creduto addirittura che non sarebbe più arrivato. Ho vissuto con rettitudine, votandomi alla Causa, che non è mai stato l'Impero... La mia Causa è sempre stato l'Ordine. Eppure, non sono mai venuto meno ai vostri incarichi, li ho sempre eseguiti con dedizione... fino ad ora, tempo in cui tutto si è compiuto e molto si dovrà compiere...”
    “Cosa vorrebbero dire le vostre parole? Che l'Ordine ha controbilanciato con le sue azioni integerrime ciò che ha ricevuto dall'Impero? Che quindi non esiste alcun debito d'onore verso di noi che vi possa vincolare?” La Principessa inspirò l'aria lentamente, cercando di mantenere la calma apparente. Non desiderava mostrare quanto il palese tradimento di una delle persone su cui aveva maggiormente deposto la fiducia l'avesse colpita crudelmente. In passato, l'apprezzamento reciproco li aveva avvicinati molto, anche se per i loro caratteri riservati parlare di amicizia era eccessivo. Eppure, la stima e il patto di alleanza che intercorreva tra Kenway e la famiglia imperiale possedeva un peso notevole, almeno ai suoi occhi. E non era solo questo.
    Selene ricordava nitidamente la visione del futuro che erano riusciti a eludere, almeno parzialmente, sconfiggendo Etere. Lì, un Haytham spezzato nello spirito aveva avuto comunque la forza e la devozione per donare a lei la speranza, nel momento buio in cui tutto sembrava perduto. Dove era quella persona? Come poteva aver mentito così bene?
    “Oppure state sottintendendo che una lealtà verso l'Impero non era comunque dovuta, dato che avevate già dato la vostra parola ad altri?” Strinse le labbra, unico segno dell'indignazione che provava. “Quello che credo io è che voi e i vostri sodali abbiate agito unicamente per sfruttare il nostro appoggio, e ora che quest'ordine è arrivato, ci state escludendo come se nulla ci fosse dovuto!”
    Haytham, ancora una volta, non rispose subito. No, non era facile farlo. Non era stato facile spiegarlo a Cerere, l'unica a cui era riuscita ad aprire il suo cuore indurito, figurarsi farlo con la Principessa Selene. Il loro era sempre stato un rapporto ufficiale, “cardinalizio” usava definirlo nella sua mente, ma non per questo poteva negare le affinità che lo avevano portato a votarsi al cento per cento, personalmente prima e professionalmente dopo.
    “Principessa, non accamperò scuse inutili. Questo è ciò che è accaduto. Il piano era di far crescere l'Ordine a fronte di un'estinzione totale sulla Terra. La Luna, il vostro supporto, tutti questi secoli sono serviti allo scopo, ma non fate lo stesso errore di molti: i primi a giovare del nostro... del mio impegno è stato l'Impero Lunare. Non cancellate quanto fatto in tutti questi anni con un colpo di spugna. Sì, adesso ce ne andremo, ma non date per scontato che qui non lascerò nulla di caro...” Non sapeva perché si era spinto così oltre, forse la discussione con Cerere era troppo fresca... il dolore troppo intenso. Ciò nonostante, non era solo lei che lasciava indietro, no, era la certezza di aver trovato un posto in cui vivere. Nessuno aveva ragionato sul fatto che è impossibile mentire per secoli...
    Selene serrò la mandibola e alzò il mento, lo sguardo ancora più freddo davanti a quella che considerava solo una mancanza di gratitudine.
    “Non vi sto chiedendo di scusarvi. Non sarebbero sufficienti tutte le parole del mondo, per farlo. Per sanare quanto, con il vostro gesto scellerato, state facendo subire all'Impero Lunare.” Si fermò un attimo, indecisa su come proseguire. Questioni di opportunità la fecero tentennare qualche secondo, ma in un secondo momento, riconobbe la realtà dei fatti: il Gran Maestro era più che consapevole di quanto sarebbe accaduto una volta che la copertura militare fosse venuta a mancare.
    “Con il vostro tradimento, l'Impero rimarrà alla mercé dei suoi nemici. Ci vorrà tempo per poter riorganizzare una struttura difensiva degna di questo nome. Perché è di questo che stiamo parlando, vero? Ruberete i nostri mezzi, le nostre armi, e noi, non potremo impedirlo...” Nonostante tutto, l'amarezza si era fatta strada nelle sue riflessioni. La situazione era drammatica, non si poteva nascondere. Milioni di vite erano messe in pericolo dalla decisione del capo dei Templari.
    “E sinceramente, Gran Maestro, le questioni personali non sono affari imperiali!” Terminò con durezza e quasi con insensibilità.
    “Tutto ciò che avete detto è tragicamente vero. Le conseguenze saranno proprio queste e, benché, non sia stato io a organizzare questo piano, ne sono stato l'esecutore materiale. Non mi scuserò per questo, non ne ho mai avuta l'intenzione: è stata una mia precisa scelta, anche se compiuta tantissimi anni fa. Adesso, sia voi che io ne pagheremo o subiremo le conseguenze...” La risposta di Haytham non era stata meno gelida di quella della Principessa Selene. Aveva ragione non c'erano parole che avrebbero potuto spiegare un fatto tanto grave, ma non era sua responsabilità trovarle. “I mezzi e le armi che considerate vostre, adesso sono patrimonio dell'Ordine e sì, purtroppo non ci sarà alcuna strategia in grado di impedire questo, in grado di impedire il procedere di un piano che va ben oltre tutti noi. Lo capirete ancor meglio nei tempi futuri.” La sua non era una minaccia, ma un avvertimento. Non aveva più nessun obbligo verso la donna che sedeva di fronte a lui, ma di certo la rispettava e la stimava. Haytham aveva stretto le mani in grembo, le dita intrecciate in un'apparente posa rilassata, ma dentro infuriava la voglia di rompere gli schemi e spezzare quell'odiosa sensazione di colpevolezza.
    Selene avvertì immediatamente l'ombra oscura che contenevano le parole di Haytham. Un brivido freddo le corse giù per la schiena. Una visione durata il tempo di un lampo, talmente repentina e inaspettata che non le aveva dato il tempo di elaborare le immagini, di capire cosa aveva effettivamente visto, le sconvolse i pensieri.
    Ritornò sulle immagini confuse con affanno, provando disperatamente ad ottenere qualche indicazione in più che non il panico terrorizzante che le serrava la gola: cambiamenti spaventosi, impensabili, per il loro popolo, per la razza rimasta orfana. Nemici che avrebbero messo piede nei luoghi più sacri, che anzi li stavano già abitando; un periodo di instabilità orrenda. E, in tutto questo, coloro che avrebbero dovuto difenderli, che si sottraevano al loro solenne ed essenziale impegno. Non rimanevano che pochi baluardi, e non sarebbero stati sufficienti.
    Le labbra stavano tremando, e gli occhi bruciavano per il bisogno di sbattere le palpebre, dopo che erano rimasti sbarrati per un tempo che sembrava infinito. Si appoggiò allo schienale della poltrona, sconvolta.
    Selene aveva avuto una visione. Haytham ne era talmente certo da avere lui stesso i brividi che sembravano scuotere il corpo della Principessa. Rimase immobile anche se l'istinto era stato quello di alzarsi e avvicinarsi, di porgerle il suo fazzoletto e magari un bicchiere d'acqua. Inoltre, la curiosità lo stuzzicava, che cosa aveva visto? Lui conosceva il futuro ma non le sue più terribili conseguenze...
    “Principessa, non lottate, lasciate che tutto si compia, oppure ne sarete travolti...” Eccolo, un altro avvertimento. Il tono gelido era scomparso, insieme alla consapevolezza che nulla sarebbe accaduto per permettergli di lasciare quei luoghi col cuore meno pesante. Ogni cosa attorno a lui avrebbe rievocato l'eco della distruzione che con sé aveva portato.
    Lei posò le mani sui braccioli, per aiutarsi a raddrizzare la posizione che le era mancata, in maniera poco opportuna. Con tutte le sue forze chiuse in un angolo della sua mente la visione e le impressioni nefaste che aveva generato; le avrebbe affrontate più tardi, questo era ciò che si ripromise. Guardò Haytham con inquietudine.
    “Non sarò io a decidere. Non sono più l'Imperatrice, ma Helios ha già dimostrato quanto non abbia intenzione di farlo. Vi lascerà andare, ed è ciò che non comprendo...” Erano pensieri che la assillavano da quando aveva assistito alla reazione quasi supina del fratello, alla riunione catastrofica di poco prima.
    “Siete sua sorella, si fida di voi e ha bisogno di voi. Tuttavia, certe scelte saranno obbligate persino per lui. Ci affacciamo su una nuova era, sulla quale nessuno di noi ha alcun potere.” Haytham la fissò dritta negli occhi, era davvero pena ciò che provava? Ed era rivolta alla Principessa o a se stesso? “Nonostante tutto, è stato un onore servirvi, ma soprattutto è stato un onore conoscervi...”
    Selene lo fissò di rimando. Non riusciva in alcun modo a partecipare al pesante rammarico che vedeva in lui, troppo forte era la preoccupazione per il suo popolo e i suoi cari. Troppo crudele era il senso di tradimento personale che provava.
    Aveva l'oneroso compito di assistere il fratello, nuovo a un'esperienza che per lei era invece ben nota, quella di governo. Era un ruolo che pesava molto di più della corona che si indossava, e procurava incubi e dispiaceri ogni giorno, a ogni passo compiuto.
    Strinse le labbra, delusa alle ultime parole di Kenway. “Avete cancellato ogni onore nel momento in cui, per rispettare una parola data, vi siete messo nella condizione di danneggiare chi vi aveva accolto con benevolenza. Non posso ignorare questo.” Si alzò in piedi, continuando a guardarlo. “Nonostante ciò, vi auguro ogni bene, Gran Maestro Kenway. Che non possiate mai rimpiangere la scelta che avete compiuto!”
    Haytham non si aspettava parole diverse in realtà, eppure suonarono alle sue orecchie come ostinata sentenza. Si alzò anche lui, senza allontanarsi dallo sguardo glaciale della Principessa. Si meritava ognuno degli stiletti che stava ricevendo. Non poteva pretendere comprensione, né l'avrebbe mai chiesta. Per questa ragione non rispose alle sue ultime, provocatorie, sillabe.
    Si limitò a chinare il capo in segno di definitivo commiato, sentiva che non vi era altro da aggiungere, non aveva alcun modo di lenire quella delusione che percepiva vibrante, diretta verso il suo petto. Avrebbe dovuto conviverci… per il resto della sua esistenza...
     
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