Hotel

Lothal

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    Dottor Fitz
    Quelle due semplici parole avevano continuato a vorticarmi nel cervello per tutto il resto della notte. Lungo la strada per tornare alla mia stanza di hotel, sotto la doccia fredda che avevo fatto per levarmi i postumi della sbornia, durante le ore insonni trascorse a fissare il soffitto. Fino alla mattina successiva, mentre consumavo la mia colazione in un silenzio di tomba.
    Tuttavia, nessuno dei miei compagni di viaggio se n’era accorto. Erano abituati ai miei silenzi, non erano in grado di distinguerne le sfumature di turbamento o di riflessione che continuavano ad alternarsi solerti.
    E ancora, non furono sorpresi quando chiesi di rimanere ancora un giorno su quel pianeta isolato, le mie stranezze erano per loro la prassi… in fondo, ero sempre stato quello “un po’ fuori di zucca”. Era così che mi consideravano ne ero certo. Anche se mai nessuno aveva avuto il coraggio di dirmelo in faccia. 
Essere un genio, per loro, con ogni probabilità equivaleva a essere uno svitato… La verità era che Brian, Poe, Cassian avevano le loro vite a cui badare, non si erano mai davvero presi la briga di conoscermi o “ri”conoscermi nulla in particolare. Forse Brian, nel suo ruolo di leader, aveva cercato a suo modo di rendermi la sua riconoscenza ma dal mio punto di vista stava diventando un fatto più di pro-forma che di reale ammirazione.
    Non che io volessi essere ammirato, ma desideravo dentro il mio cuore che si capisse quanto le mie abilità non fossero scontate.
    Avevo studiato, buttato sangue e fatica sui libri e in laboratorio. Avevo profuso tutti i miei sforzi per accrescere le mie conoscenze e fare qualcosa di buono… eppure, anche se ciò che facevo era straordinario - di fatto non per certo per superbia - non veniva mai compreso al cento per cento.
    Questo mi frustrava. E tanto anche.
    Le parole dell’Inquisitrice prima e lo strano incontro con la Sarkissian dopo mi erano sembrati un promemoria di un qualcosa che si agitava dentro di me da tanto tempo. Il seme del dubbio, la sensazione di non essere nel posto giusto a discapito delle apparenza, la volontà di essere riconosciuto per il mio valore e non solo per una mera abitudine formale… tutto ciò stava diventando sempre più pressante.
    Per questa ragione avevo deciso di restare a Lothal.
    Per questa ragione avevo deciso di incontrare Miss Shakespeare.
    […]
    Camminavo su e giù lungo la strada antistante l’entrata dell’hotel in cui risiedeva Ophelia Sarkissian. Avanti e indietro, indeciso. Stavo facendo la cosa giusta? Poteva ritenersi un tradimento? Perché ero venuto fin qui? Eccole le domande che vorticavano nella mia testa sovraccarica.
    Continuavo a rispondermi che dovevo semplicemente ascoltare che cosa aveva da dirmi, ciò non implicava alcuna vera scelta, avrei sempre potuto andarmene in qualsiasi momento…
    Ma a chi diamine vuoi prendere in giro? Stai parlando con il nemico. Ciò implica che con la sola tua presenza su questo marciapiede gli stai dando credito… al nemico… La mia vocina mentale mi apostrofò senza pietà, dicendomi chiaro e tondo la realtà delle cose.
    Tuttavia, pur riconoscendo la veridicità di quelle parole, non mossi neppure un passo per abbandonare la mattonella su cui mi ero fermato.
    Al contrario, dopo attimi infiniti, attraversai la strada diretto verso la reception dell’hotel. Al diavolo la voce della mia mente, al diavolo tutte le remore, decisi che avrei seguito l’istinto per una volta nella mia vita!
    Ero stanco di analizzare, di rimuginare, di farmi prendere dal panico per quella che sarebbe potuta essere l’opinione altrui. Era il tempo di prendere le redini della mia esistenza e… avrei iniziato da qui!
    […]
    Il receptionist mi disse che ero atteso. 
Ophelia era certa che avrei accettato il suo invito? Oppure, semplicemente, aveva avvisato per ogni evenienza. Ero curioso di sapere cosa pensasse di me? Perché mi aveva chiamato Dottor Fitz? Non lo faceva praticamente nessuno.
    Dovevo essere onesto, quelle due parole erano stata la molla definitiva che mi avevano dato il coraggio di arrivare fin qui, sulla soglia della sua suite al piano attico…
    Bussai, forse un po’ piano. Non percepivo rumori oltre l’uscio.
    Riprovai, appena più forte. Mi ritrovai a deglutire rumorosamente quando fu chiaro che qualcuno stava venendo ad aprire.
    Un rumore leggero, lo schiudersi della porta e me la ritrovai davanti in tutta la sua onesta bellezza.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 16/10/2022, 20:44
     
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    :Ophelia:
    Quando gli andai ad aprire lo accolsi con un sorriso ed un bicchiere di un costoso vino in mano. Gli feci segno di accomodarsi, mentre lo vedevo guardarsi intorno. La suite non era agli standard a cui ero abituata, ma Lothal era un pianeta semplice ed andava bene così. Tutto sommato si formava di due ambienti: una camera da letto, nascosta dalle porte bianche alabastro chiuse, ed un salottino. Lo stesso in cui eravamo.
    Prendemmo posto sul divanetto in velluto verde in stile classico, di fronte allo stesso una partita di Sarlacc lasciata a metà, una che dai pezzi mostrava tutte le mie capacità strategiche.
    «Sono estremamente felice di vederla qui Dottor Fitz, speravo davvero avrebbe accettato il mio invite…» esclamai con eleganza, mentre mi sporgevo in avanti per poggiare il calice di vino sul basso tavolino di marmo nero.
    Accavallai le gambe e mi portai i capelli dietro la spalla, i riflessi ramati rilucevano alla luce della luna che entrava dalla finestra. Indossavo un rigido tailleur verde scuro, che ad abito sottolineava la mia figura slanciata e snella.
    «Non offenderò né la sua intelligenza né la mia, sarebbe alquanto offensivo per entrambi…» dissi rompendo il ghiaccio senza troppi giri di parole.
    «Consiglio di giocare a carte scoperte, è chiaro che tanto io conosco la sua posizione, quanto lei la mia…» lanciando uno sguardo al gioco, tra le righe esprimevo la mia totale conoscenza di ciò che lui sapeva su di me ed io su di lui. Sapevamo a che schieramento appartenevamo ed anche gli scopi che perseguivamo, fingere sarebbe stato non solo una perdita di tempo.
    «Ci tengo a dirle che non sono qui per chiederle di darmi informazioni sui suoi compagni e tanto meno estirparle informazione circa il gruppo che ha deciso di servire… più che altro sono qui per porle una semplice domanda: crede davvero che la Nuova Repubblica sia la risposta alle necessità della galassia?»
    Sicuramente non si aspettava quella mia esternazione, avevo compreso che era una persona riflessiva e ponderata e non un gran chiacchierone. Sicuramente per ora avrebbe preferito ascoltare ed io non avrei perso l’occasione.
    Mi alzai dunque con garbo e raggiungendo la finestra ne osservai le strade affollate di persone, le cui voci arrivavano ovattate fino a noi.
    «Ha mai sentito la definizione Sith Purosangue?» non mi dovetti nemmeno voltare per sapere che stava scuotendo il capo confuso da quella mia improvviso domanda. Sorrisi lievemente, prima di rispondere.
    « I Sith era una specie umanoide, dalla pelle rossa, originaria del pianeta Korriban. Emigrò successivamente sul mondo ghiacciato di Ziost e qui, dopo l’arrivo dei primi esuli umani, le due specie si sono ibridate. Da allora il sangue Sith è diventato motivo di orgoglio, portando alla nascita dell’espressione Sith Purosangue.
    L'ibridazione avvenne con un gruppo di Jed'ai esuli, i celebri sconfitti della battaglia di Corbos...»

    Quella non era una semplice lezione di storia, dimenticata, ma il preambolo necessario per comprendere l’intero racconto. Fu quando tornai a guardarlo infatti che notai tutto il suo interesse e la sua fregola nel voler conoscere. Sapere.
    «Questo per dire che i Sith che la galassia conosce, sono semplici Force User che si sono forgiati di un titolo che non apparteneva loro e che hanno infangato in nome di una sete di potere personale. I Sith Purosangue, invece, sono i veri custodi dei segreti della Luna Nera di Bogan. I Sith Purosangue si estinsero, per quello la loro memoria è stata cancellata ed altri hanno preso il loro nome, approfittando del potere che esso aveva. I Jedi hanno dimenticato chi sono stati i loro avi, i Jed’ai, ed il loro legame con la Luna Bianca di Asha. Loro che invece sono sopravvissuti…» c’era amarezza e frustrazione nella mia voce.
    Ora ero tornata a guardarlo e fiera lo raggiungevo per riprendere posto al suo fianco, ma i miei movimenti erano lenti. Calcolati. Forse involontariamente seducenti.
    «Esiste un Triumvirato Sith, gli unici rimasti della loro specie. Purosangue che desiderano il meglio per questa Galassia. Vogliono riabilitare il nome della razza e perseguire gli ideali che li hanno sempre contraddistinti: ordine, giustizia e sicurezza. E’ qui che ora mi sento di richiederle: crede davvero che la Nuova Repubblica sia la risposta alle necessità della galassia?»


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/10/2022, 20:07
     
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    Perché si stava esponendo così tanto? Non era modus operandi del nemico muoversi nell’ombra, attaccare in maniera subdola, avvelenare l’avversario senza palesarsi, se non all’ultimo secondo?
    Perché Ophelia Sarkissian stava mettendo a rischio la sua gente rivelandomi segreti tanto importanti e… pericolosi?
    Cosa si aspettava che rispondessi dopo parole tanto pesanti…?
    Ero confuso, agitato, ma non dimostrai nulla di tutto ciò sul mio viso che rimase apparentemente impassibile. Mentre raccontava, avevo sentito più di una volta il cuore salire in gola e battere forte. Cosa significava?
    Avevo fissato il suo profilo sinuoso stagliato contro l’ampia finestra e mi ero ritrovato a perdere il filo del discorso un paio di volte… ma solo per qualche attimo, poiché il passato che mi aveva riversato addosso era talmente enorme che non riusciva a essere contenuto della mia mente senza farmi impazzire… oppure si?
    Troppe domande, troppi dubbi. In cosa credevo davvero? Ophelia, con quello sguardo profondo e sereno, pareva quasi conoscere la risposta meglio di me…
    “Non capisco…” esordii, immergendo i miei occhi nei suoi, non avrei continuato a fissarmi le ginocchia, non più. Quando lei piegò la testa da un lato per incitarmi a continuare, io sospirai appena e lo feci. “Cosa ti fa credere che adesso non uscirò da quella porta e racconterò ogni cosa ai miei? Perché mi hai raccontato segreti tanto sensibili?” Lei non rispose con la voce, ma con un sorriso aperto che ebbe due effetti su di me: da un lato rischiò di accecarmi con la sua bellezza, dall’altro cancellò dalla mia mente la risposta alternativa che mi era balenata in testa. “Non hai in mente di uccidermi, vero?” Non ero ironico, anzi, non ero mai stato così serio in tutta la mia vita. Ophelia scosse il capo leggermente, non smetteva di mostrare i denti bianchi, le leggere fossette che si formavano agli angoli della sua bellissima bocca. Non ero certo del perché stessi facendo quei ragionamenti confusi e lucidi al contempo.
Mi rendevo conto di quanto stesse rischiando e questo, anziché farmi esultare per essere venuto a conoscenza di tutto ciò, mi faceva preoccupare per lei. Che cosa bizzarra. Nel contempo, non potevo fare a meno di restare ammaliato da quel profilo deciso, da quei denti abbaglianti, da quelle ciglia lunghissime.
    “Ricapitoliamo: stai giocando a carte scoperte, non temi che io possa tradirti, non vuoi uccidermi.”
    ”Non avrei alcun vantaggio nell’ucciderti… Bramo solo una tua risposta sincera. Poi, ognuno andrà per la sua strada.” La sua voce tornò a solleticare le mie orecchie. Potevo percepire il calore della sua pelle attraverso il ginocchio che sfiorava il mio. Era vicina.
    “E dopo la mia risposta? Che vantaggio ne avresti nel lasciarmi andare come se nulla fosse…?”
    ”Lo deciderò dopo averti ascoltato. Ma ho le mie buone ragioni per comportarmi così.” Era così dannatamente sicura… di cosa? Sapeva già cosa avrei risposto? Altrimenti per quale motivo mettere a repentaglio una esistenza intera?
    “Sembri sicura di tante cose, cosa accadrebbe se queste sicurezze non venissero avallate dal sottoscritto? Chi ti assicura che non tornerò dai miei compagni e racconterò ogni cosa?” Non so perché continuavo a insistere su questo concetto. Forse volevo solo sentirla parlare, ancora e ancora. Io non ero abituato a farlo.
    ”Dottor Fitz…” Ancora quell’appellativo. ”Non voglio sembrarle presuntuosa, ma riesco quasi a vedere ciò che si muove dentro di lei, ciò che tenta di reprimere. Non ne conosco la ragione, ma raramente mi sono sbagliata in questo genere di valutazioni… Mi dica, dunque, mi sto sbagliando adesso?”
    L’istinto mi fece fare una cosa strana. Appoggiai il palmo della mia mano sulla sua guancia. Non era una vera carezza, lasciai la mia pelle a contatto con la sua - calda e morbida come l’avevo immaginata - per un tempo indefinito, come se attraverso quel contatto avrei potuto comprendere meglio… oppure darle la mia risposta senza davvero dirlo ad alta voce.
    Quando ritirai la mano, mi resi conto che Ophelia aveva trattenuto il respiro, mentre il cuore mi batteva forte. Dov’era quello stesso cuore mentre combattevo per la causa? Perché non lo sentivo martellare nel petto mai con così tanta foga?
    “No, non si sta sbagliando.” Lo dissi fissandola dritta negli occhi, senza l’ombra di un tentennamento. I pugni sulle cosce però erano talmente stretti da sbiancare le nocche. “Per anni, ho pensato che il mio genio doveva asservire una causa più grande. Mio padre serviva lo schieramento sbagliato. Forse è stato il mio odio viscerale nei suoi confronti a convincermi di questo…” Parlavo piano. Le sillabe uscivano fragili, come farfalle che escono da baco pronte per spiccare il volo. “Lui non ha mai apprezzato ciò che ero stato in grado di fare ed è stata la scintilla che mi ha spinto ad andarmene, a unirmi alla Nuova Repubblica e alla X-Force. Qui, poi, sono tornato molto utile… credevo… ho sempre creduto che un giorno avrei avuto il riconoscimento che meritavo.” Mi fermai di colpo. Non avevo staccato il mio sguardo dal suo neppure per un attimo: scandagliavo la sua espressione per capire cosa stasse pensando di me… “Non vorrei apparirle narcisista, semplicemente affermo la realtà dei fatti. Potrebbe anche sembrare che io stia tergiversando, mi creda, non è così. Lei è partita dalla storia per pormi la domanda, credo sia giusto che io faccia lo stesso per darle la risposta.”
Quella meravigliosa creatura annuì dolcemente, poi attese che continuassi, quasi pendesse dalle mia labbra, anche se non potevo crederlo possibile.
    Mi alzai dal divano, improvvisamente quella vicinanza mi stava rendendo le mie confessioni fin troppo ardue. Stavo buttando fuori pensieri che alcuna anima viva aveva mai udito… solo la mia mente ne era a conoscenza. Strofinai i palmi sui pantaloni scuri e fu il mio turno di guardare fuori dalla finestra, con le braccia incrociate al petto.
    Conoscevo l’analisi della gestualità corporea. Sapevo che Ophelia avrebbe interpretato questa mia posizione come segno di chiusura… ma c’era un’alternativa: non mi stavo chiudendo, tentavo solo di proteggermi…
“Mio padre è un fottuto bastardo. Non ha mai sopportato che fossi più intelligente di lui. Quando ero piccolo non faceva altro che vessarmi, mi ripeteva che dovevo fare sempre di più… e quando lo facevo non era mai abbastanza. Ho passato tutta la mia infanzia e adolescenza a cercare di compiacerlo, in cerca di una parola gentile, di un complimento, di una soddisfazione. Niente, ciò che ricevevo in cambio era sempre disprezzo e violenza, non solo verbale…” Non avrei mai dimenticato i colpi di cinghia sulla schiena, talmente forti da aprire piaghe mai curate che si erano trasformate in cicatrici: a sempiterna dimostrazione del motivo per cui lo odiavo così tanto. “Non sai quante volte ho sognato di ucciderlo…” Il passaggio al “tu” era stato involontario, automatico. Parlare di tutto ciò era assurdo, non l’avevo mai fatto e non credevo che sarebbe accaduto con una perfetta sconosciuta. “Mi scusi.”
    Quella conversazione mi stava prosciugando. Chiusi gli occhi e mi decisi ad arrivare al dunque. “La Nuova Repubblica è tronfia nella certezza che non vi sono minacce all’orizzonte e non accetta che un nucleo di persone possa mettere in dubbio questa apparente sicurezza. La necessità di una Resistenza clandestina che lavora per il bene di una Repubblica cieca e sorda mi fa arrabbiare. È questo davvero il modo migliore per portare l’ordine? Costringere dei tuoi fedelissimi a mentire pur di difenderti? No, non credo sia questa la soluzione… I miei compagni sono brave persone, lavorano per il bene, ma è il sistema di partenza che è fallimentare…” Avevo risposto più che eloquentemente, il silenzio che seguì fu il segnale di quanto fossi stanco e del fatto che non avessi null’altro da aggiungere.
    La mano di Ophelia si appoggiò sulla mia schiena. Non l’avevo udita alzarsi dal divano e accostarsi a me, ma non ne fui sorpreso. Rimasi immobile, gli occhi fuori dalla finestra, ma tutti gli altri sensi concentrati su di lei… su quella mano…
     
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    Alla fine, l’avevo fatto. Avevo tradito. Chi e cosa dovevo ancora capirlo.
    Ero confuso, amareggiato, arrabbiato. Ma anche risoluto.
    Erano settimane che mi arrovellavo, notavo, studiavo, meditavo e tutto ciò che riuscivo a pensare era: perché devo sentirmi così sbagliato? Era una vita che mi sentivo così, era diventata talmente una abitudine che non sapevo più cosa significava non esserlo.
    Ascoltavo i discorsi dei miei compagni, come parlavano dei “nemici”, come giudicavano senza remissione di peccati quelli che un tempo era stata la mia gente. Eppure, nemmeno con gli imperiali mi ero sentito davvero me stesso. Ovunque andassi, ovunque mi portasse il fato, sembravo destinato a ingoiare rospi e frustrazione, a subire le angherie più o meno volute o accennate di persone che non potevano capire come ci si sentisse a non essere un eroe… a dover sempre fare la parte del nerd, dell’imbranato, del poco virile, del poco in tutto. Perché ovvio, loro erano i buoni, i forti, i giusti. Ma cos’era davvero giusto? Perché tutta quella dannata pantomima mi faceva letteralmente andare in bestia. Dentro di me, la fiamma dell’ira e dell’insoddisfazione si era accesa poco a poco, da quando avevo parlato per la prima volta con Ophelia Sarkissian, da quando avevo iniziato a conosce un terzo mondo, diverso da quelli in cui avevo vissuto e in cui avevo trovato solo rifiuto, giudizio, superbia.
    Gli imperiali mi avevano fatto sentire un inetto a causa di mio padre, nonostante fossi uno scienziato brillante e promettente, i ribelli e la Repubblica mi avevano fatto sentire un pezzo rotto di un ingranaggio ormai obsoleto. Nonostante la mia assoluta fedeltà, le mie invenzioni, il mio intelletto che aveva permesso loro di vincere molte battaglie, ero stato persino costretto a subire un periodo di “riabilitazione” perché ehi, di fatto ero un ex imperiale e quindi si doveva seguire il protocollo! Al diavolo il protocollo! Avevo sputato sangue per dimostrare quanto fossi leale e… come venivo ripagato? Finendo in un programma di recupero talmente umiliante che era stato interrotto solo grazie all’intervento di Brian Toorn. Quando aveva chiesto di me, interessato ai miei pregi e alle mie capacità, per la prima volta in assoluto, mi ero sentito accettato e valorizzato… Tuttavia, anche questo apprezzamento via via si era offuscato, non per volontà, me ne rendevo conto, ma per priorità diverse. Ciò non toglieva che fossi riconoscente a Brian, ma non condividevo più come lui e la sua squadra stavano impostando la loro battaglia… Non esisteva il bianco e il nero, ma anche una scala di grigi che non si potevano in nessun modo ignorare. Era questo che avevo imparato dai tanti incontri avuti con Ophelia, nell’Hotel su Lothal, in cui avevo scoperto qualcosa sul suo conto, sul suo passato, ma soprattutto sul suo schieramento.
    Sapevo che, anche solo mettendo piede in quella stanza, stavo commettendo un errore… agli occhi di chi? Di tutti coloro che da tempo mi circondavano e che mi giudicavano secondo un metro che non condividevo più. Perciò, avevo continuato a farlo, avevo anche passato informazioni, fino a quando… avevo deciso che ne avevo avuto abbastanza.
    Mi ritrovavo di nuovo in quella camera d’albergo, seduto su uno dei divanetti ricoperti di velluto morbido, i pugni talmente stretti da far sbiancare le nocche, nel tentativo di sopprimere quella stessa fiamma che si era trasformata in un incendio, rischiando di bruciare quanto incontrava sul suo cammino. Non volevo che Ophelia mi vedesse preda della furia che percepivo scorrere nelle mie vene. Mi avrebbe giudicato debole anche lei? Perché a tutti era permesso fare colpi di testa, ma a me no? Se Poe tirava un cazzotto a qualcuno in preda alla rabbia, beh, andava bene, perché lui era Poe… cosa ti potevi aspettare da una testa calda come lui? Ma se io avessi anche solo accennato a un gesto simile tutti, e sottolineo tutti, mi avrebbero osservato con sguardi straniti, giudicanti, persino disgustati… Perché, il povero e mite Leo non poteva dare di matto, era sempre tutto composto, silenzioso, obbediente.
    Strinsi le dita al punto da conficcarmi le unghie nei palmi. Il dolore mi calmò un poco, ma non fu abbastanza. Mi sentivo sul punto di scoppiare e non sapevo se potevo effettivamente permettermelo… Come sarei stato giudicato dalla sola persona con cui, nell’ultimo periodo, avevo potuto essere me stesso? Si sarebbe spaventata? Non mi avrebbe considerato idoneo? Mi avrebbe escluso da quei progetti di cui tanto mi aveva parlato?
    La mia visita era stata inattesa, tanto quanto la mia fuga da Yavin IV precipitosa. Mi ero svegliato di soprassalto quella notte, madido di sudore, il respiro affannoso, consapevole che se non avessi fatto qualcosa sarei letteralmente morto, affogato nella mia frustrazione. Perciò, avevo inviato un breve messaggio criptato a Ophelia, affinché ci incontrassimo su Lothal, al nostro solito posto. Tuttavia, non potendo ricevere risposta, ero partito senza sapere se l’avrei trovata o meno. Contro ogni aspettativa, una volta giunto, ero entrato nella suite con la chiave di riserva, come di consueto, e avevo udito dei rumori oltre la porta del salottino, verso la sala da bagno. Ophelia era già lì e la conferma arrivò da un bigliettino lasciato su un elegante tavolinetto di vetro, su cui faceva bella mostra un servizio di cristallo e del whiskey pregiato.
    “Benvenuto, dottor Fitz. Serviti pure, sarò da te tra poco.” Dottor Fitz, quelle semplici parole, di solito, riuscivano a cancellare ogni senso di inadeguatezza, anche se per poco tempo. Ciò nonostante, quella notte, avevano invece rinfocolato la fiamma che ora ardeva furiosa e temevo che nulla avrebbero potuto domarla.
    Dei rumori di passi leggeri, di piedi scalzi, mi invitarono ad alzare lo sguardo. Non avrei voluto, perché temevo che i miei occhi avrebbero rivelato tutti i miei più segreti pensieri, ma non potei farne a meno, attratto come una falena dalla luce.
    Era bellissima! Era strano come constatare questo mi facesse sempre uno strano effetto. I capelli lunghi sciolti sulle spalle, la spalla morbidamente adagiata allo stipite della porta, le braccia conserte a sottolineare la linea del seno. Una vestaglia di seta, rosso imperiale, la avvolgeva, coprendola fino alle caviglie. Il sorriso era appena accennato sul volto dalla carnagione chiara e dai lineamenti semplici eppure decisi.
    Una morsa mi chiuse lo stomaco, costringendomi a guardare nuovamente gli arabeschi del costoso tappeto. Ero davvero degno di lei? Una donna capace, intelligente, bellissima… poteva davvero guardare a un uomo come me, debole, preda della frustrazione e della rabbia, per un motivo diverso da una convenienza data dalle mie abilità nel campo scientifico? Me lo ero chiesto più volte, ma non avevo mai avuto il coraggio di andare oltre. Non avevo idea di come apparissi ai suoi occhi, proprio in questo momento. Avrei pagato con la vita pur di scoprirlo…
    Pochi attimi dopo, Ophelia era inginocchiata di fronte a me, le mani intorno al mio volto, i suoi occhi penetranti incatenati ai miei. Sostenne il mio viso, costringendomi a fissarla senza più distogliere lo sguardo, come avevo fatto un secondo prima. E allora… capii che dovevo dirlo ad alta voce, dovevo buttare fuori ciò che mi tormentava. Lo avrei potuto fare solo con lei, nonostante la vergogna.
    “Dimmi cosa devo fare… dimmi cosa devo fare per spegnere questa rabbia che mi tormenta…” mormorai, la gola stretta in un nodo feroce, appoggiando la mia fronte alla sua ma senza smettere di guardarla nelle sue iridi di cioccolato. Potei solo attendere una sua risposta, una sua sentenza, adesso ero nelle sue mani, completamente senza difese...


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 8/6/2023, 20:08
     
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    Ero partita da molto lontano per raccontare e spiegare a Leopold le origini della Tribù Perduta e del perché in un certo senso ci consideravamo dei Purosangue, più di qualsiasi Sith mai esistito. Lui stesso era rimasto scioccato e strabiliato di conoscere tali verità. Tuttavia non mi sarei mai aspettata di vederlo così presto, non dopo il nostro ultimo incontro avvenuto nemmeno troppo tempo fa. L'apice del mio racconto e delle mie spiegazioni circa le azioni del mio popolo dovevano aver fatto breccia nella sua anima, ma mi bastò vederlo per capire che non si trattava solo di quello.
    L'intimità che era nata tra noi era stata del tutto naturale, una chimica che immediatamente si era manifestata e che ora si poteva percepire piccoli, ma importanti gesti, come quello che stavamo condividendo in quel momento.
    «Accettala dentro di te senza paura...» soffiai con voce leggera, ma premurosa. Quando mi allontanai da lui, ero ancora inginocchiata ed una mia mano si era appoggiata sulla sua ancora stretta a pugno.
    «Farà male, non lo nego... ti poterà a renderti conto di tutto ciò che finora ti ha fatto male, seppur hai ignorato il dolore... sarà un fiume in piena che ti travolgerà, ma dopo... Dopo sarai libero Leopold...» conclusi sentendo il pugno sotto la mia mano farsi più morbido, mentre io tornavo a sorridergli con profonda dolcezza.
    «Sei perfetto come sei, l'unico che deve rendersene conto sei. Spero un giorno che guardandoti allo specchio potrai vedere quello che vedo io...»
    Spostai lo sguardo solo perché percepì la sua mano aprirsi e con un gesto prendere la mia mano nelle sue. Mi sporse poi verso di me e incatenò i suoi occhi ai miei, prima di sospirare e chiedermi: «E tu cosa vedi?»
    Sorrisi con estrema dolcezza, prima di sporgermi a mia volta, così che i nostri respiri si fondessero in uno ed i nostri sguardi divennero un unico fiume in piena di emozioni.
    «Intelligenza, fortezza, caparbietà, razionalità e capacità di giudizio. Ti vedo forte, deciso e capace e stringere nel tuo pugno un intero pianeta se solo lo volessi... Non sei debole Leopold, la debolezza è un pensiero che ti hanno inculcato... Impero, Repubblica... sono solo nomi diverso della stessa cosa...» conclusi e lui assentì, come se improvvisamente una consapevolezza tanto ovvia effettivamente gli si stesse spalancando davanti agli occhi.
    «Ho una proposta da farti...» mi bastarono quelle parole per vederlo osservarmi attento.
    «Che ne dici se riposiamo e domani mattina ti portassi a conoscere mio fratello? Gli ho già parlato molto di te ed avrebbe piacere a conoscerti. La Tribù è molto chiusa, per i motivi che ti ho raccontato, ma sempre aperta ad accettare esuli che hanno subito la nostra stessa sorte...»
    Mi sembrò quasi che quella mia proposta fosse esattamente l'ancora di salvezza che stesse cercando, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, io mi ero già alzata in piedi e stringendo la sua mano lo avevo accompagnato al letto che implicitamente gli chiedevo di condividere con me.
    Volevo dormire stretta sul suo petto quella notte, volevo che sentisse di non essere solo, di essere al sicuro. Chiusi gli occhi percependo il battito del suo cuore che da folle e veloce, divenne sempre più calmo.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 27/6/2023, 17:37
     
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