Base X-Force

Yavin IV

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    Era l’alba a Sorgan, mentre lasciavo la mia piccola abitazione ed incamminandomi nella foresta mi lasciavo alle spalle le capanne con all’interno le famiglie ancora addormentate ed i campi coltivati. Il cielo era ancora scuro, seppur ad est i primi raggi del sole iniziavano a far capolino. Ancora pochi minuti ed il villaggio avrebbe lentamente preso a svegliarsi, mentre io sorridente raggiungevo la mia piccola navicella. Un vecchio V-Wing che Brian mi aveva messo a disposizione per potermi muovere liberamente tra il pianeta ove avevo deciso di vivere ed Yavin IV.
    Spesso mi ritrovavo a ripensare alla mia vita, chi mi conosceva vedeva solo una donna umile, una contadina felice della sua vita semplice che con felicità e serenità viveva seguendo i ritmi della natura, ma non avevo vissuto sempre così…
    Ero nata e cresciuta in una famiglia borghese, fin da piccola avevo avuti agi e servitori. Non mi ero mai posta la domanda da dove la nostra ricchezza provenisse. Ero semplicemente felice, una figlia amorosa ed una ragazza che amava la vita e la viveva con spensieratezza. Seguì per inerzia i passi di mio padre, frequentai l’Accademia Imperiale e nonostante i risultati potevano farmi aspirare ad un ruolo sul campo, io avevo preferito un lavoro d’ufficio. Questo tranquillizzò i miei genitori, ben felici di sapermi così maggiormente al sicuro… Poi però arrivò la Morte Nera, il servizio presso una struttura che fino a prova contraria pensavo fosse un orgoglio per l’Impero in cui credevo per l’unica faccia che di esso avevo conosciuto e che a me aveva solo dato una bella vita lontana da preoccupazioni o problemi.
    Avevo solo 24 anni quando assistetti alla distruzione di Aldeeran che per me significò la distruzione di tutti i miei sogni ed illusione. Fui costretta a risvegliarmi e farlo nel modo più crudele e brusco. Percepì il sangue di tutte quelle povere persone sulle mie mani e così senza se e senza ma, disertai con il chiaro intento di allontanarmi il più velocemente possibile da tutto ciò che fino a sole poche ore fa credevo il mondo a cui appartenessi.
    Non ci pensai due volte a consegnarmi volontariamente alla Ribellione al chiaro intendo di fare ammenda, non so se una vita solo mi sarebbe bastata, ma espirare i miei peccati era il minimo che potevo fare. Fu allora che conobbi Poe Dameron, un pilota dall’innegabile fascino ed il carattere deciso. Lui non credette subito in me, giustamente, ma fu anche il primo a darmi una seconda possibilità quando capì il mio sincero pentimento.
    Fu una conseguenza naturale il mio successivo volermi unire alla Ribellione e successivamente alla X-Force, fu proprio Poe ad introdurmi a Brian che mi accettò colpito dal mio valore e dal mio coraggio. In poco tempo i suoi membri erano diventati la mia famiglia. Della mia di sangue avevo scoperto che era morta durante la guerra, avevo trovato le loro tombe, avevo portato loro dei fiori e poi avevo detto addio definitivamente alla loro eredità. Non mi sarei cambiata di cognome, ma mi sarei sforzata ogni giorno per associarlo ad opere di bene e sperare così di redimerlo.
    Non tornai mai più da loro, perché abbraccia totalmente e completamente la mia nuova vita. Compresi l’importanza di tenere gli occhi aperti, di non sottovalutare i sintomi di una possibile minaccia. Nessuno meglio di me sapeva cosa significasse “non voler vedere” e “negare la realtà”. Brian era certo che la Nuova Repubblica lo stesse facendo, troppo spaventata all’idea di dover rivivere nuovamente lo stesso incubo, ma era proprio ignorando che ciò stava succedendo già che ciò sarebbe accaduto.
    L’unica altra donna, parte di questa piccola formazione segreta, era Jyn Erso, anche lei figlia di un Imperiale come me, mi ero battuta per lei quando la trovammo. Tutti le eravamo contro, ma io ero al suo fianco e non mi pentì mai di aver combattuto per lei e sotto sotto credevo che Cassian la pensasse uguale.
    Lei non lavorava come operativa presso la Nuova Repubblica, mentre Brian, Cassian e Poe erano soldati e Leopold era un ingegnere. Come me dunque era l’unica che si poteva occupare della difesa di Yavin IV. Vecchia base ribelle ormai abbandonata ed ora nostra casa. Avevamo sensori su tutto il pianeta per monitorare l’atmosfera circostante, anche nello spazio, e farlo apparire come disabitato. Se si fosse venuto a sapere di una base attiva con armi e mezzi saremmo stati cacciati di sovversivi ed accusati di alto tradimento dalla Nuova Repubblica stessa.
    Tutti abitavano lì, tranne me, che non avevo comunque voluto rinunciare alla mia vita a Sorgan. In realtà ci passavamo molto tempo, e nonostante le insistenze di Poe di lasciare definitivamente il mio pianeta e stare lì stabile io preferivo ancora fare avanti ed indietro. Quando arrivai erano presenti tutti, proprio tranne Poe e Leopold che Jyn mi ragguagliò essere in missione e con chi.
    Quando loro rientrarono, mi trovarono lì, seduta al mio posto nella sala controlli. Io ero l’addetta alla stessa, al suo funzionamento, all’assicurarmi che satelliti e radar funzionassero. E quando ero assente Jyn sapeva tutto il necessario per sostituirmi. Sorrisi voltandomi sulla sedia quando la porta si aprì non potendo fare a meno di sorridere da BB8 che su di giri rotolò fino a me. Mi piegai un po’ in avanti per accarezzargli la testa e quello la fece girare su di giri.
    «Bentornati!» dissi semplicemente guardando prima Leopold e poi soffermandomi un poco di più su Poe.
     
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    Quel sorriso. Il suo sorriso.
    Appena accennato, mai totalmente aperto, come per una sorta di pudore innato che le impediva di mostrare le sue labbra piene distese.
    Il suo sorriso era capace di mandare in corto circuito i miei neuroni. Brian mi avrebbe detto che bastava molto meno per portarmi a tale reazione, ma lui era bravo a sfottere perché non aveva incontrato ancora nessuna che gli facesse quell’effetto.
    Lo stesso effetto che Omera, e il suo sorriso, aveva su di me.
    I suoi capelli neri come la notte, lunghi, raramente lasciati sciolti sulle spalle, non erano da meno.
    E i suoi occhi? Volevamo davvero parlare di quelli? Dei pozzi color della pece in cui mi sarei lasciato andare senza esitazione, senza temere le conseguenze.
    Qui dovevo fermarmi, perché se avessi dovuto procedere con la descrizione di ciò che anche il suo corpo mi provocava, avrei smesso di essere poeta e mi sarei trasformato nel compagno di bravate che tutti conoscevano.
    Il punto era molto semplice: mi faceva impazzire ma… non avevo ancora concluso un bel nulla.
    Ci conoscevamo da anni, da quando dopo aver disertato, Omera era approdata tra le fila della Nuova Repubblica, consegnandosi come animale sacrificale. Il suo unico scopo? Fare ammenda per le nefandezze compiute dalla sua famiglia.
    Ed ecco che, accanto alle doti di inconsapevole bellezza si aggiungevano quelle di indicibile coraggio e spirito di sacrificio. Brian non ci aveva messo molto a notarle, anche reclutarla nella X-Force era stato tanto naturale quanto un bagno fatto tutto nudo in piena estate. Sì, quel bagno avrei voluto farlo con lei, nel lago solitario che costeggiava la vecchia base su Yavin IV, ma questa era una di quelle fantasie che avevo sempre tenuto chiusa a chiave nella mia testa.
    Non sapevo perché, ma con Omera non mi veniva semplice comportarmi da farfallone. Forse perché, nonostante la mia reputazione in tal senso fosse tranquillamente arrivata alle orecchie dell’interessata, lei non aveva mai fatto alcuna battuta in merito? Forse perché mi aveva comunque sempre sorriso senza malizia, senza sfottò, senza alcun genere di pregiudizio? Era riuscita a bloccare l’innesco della mia arrogante faciloneria. In sua presenza, scherzavo, ma non venivano fuori le solite battutine di bassa lega che non faticavo a tirar fuori in altri contesti.
    Era sua la colpa, ne ero certo.
    Anche se la desideravo, non avevo mai osato propormi. Con ogni probabilità, assieme all’innesco della mia leggerezza, aveva bloccato anche quello della mia sfrontatezza. I rifiuti non erano mai stati un problema – anche se, non per falsa modestia, erano stati davvero pochi! – né qualche sberla presa in piena faccia mi avevano impedito di dire ciò che le mie sinapsi generavano senza sosta: espliciti complimenti compresi. Con Omera, beh, con lei le carte sembravano capovolgersi, mischiarsi, sparire e riapparire in continuazione…
    “Grazie, Omera. È stata un’avventura pazzesca.” La voce di Leopold – ancora scosso per quanto aveva vissuto – spezzò le mie riflessioni, costringendomi a tornare alla realtà. Mi soffermai sul volto del mio amico, anche se considerarlo tale era molto arduo. Era sempre enigmatico, volenteroso, si faceva in quattro sì, ma per il sottoscritto di certo non la compagnia ideale per le mie storiche bevute. Beh, in effetti, per quelle nemmeno Brian era davvero all’altezza. E poi, per tutto il viaggio di ritorno, era stato molto più silenzioso del solito… perso in chissà quale elucubrazione. In casi normali, avrei iniziato a tormentare il mio interlocutore affinché sputasse il rospo, ma… con Leo era tutto sempre più complicato. Il termine che mi balenava in mente per descriverlo era: viscoso. Che strano aggettivo. Scossi il capo, perché iniziava a farmi male la testa e, sinceramente, adesso avevo solo voglia di godermi di nuovo il mezzo sorriso di Omera.
    “Ciao. Anche questa volta l’abbiamo spuntata!” Le feci un occhiolino complice che generò un’altra piccola risatina. Bingo!
    Leo salutò un po’ frettolosamente prima di lasciarci soli, forse aveva pensato di essere di troppo? Perché quella strana espressione in viso? Diavolo! Quel ragazzo pareva un dannato rebus e io di misteri ne avevo avuto abbastanza negli ultimi giorni.
    “Ho sentito il rapporto via radio. Non una missione da poco…” La mia attenzione fu di nuovo calamitata da lei.
    Mi passai una mano tra i capelli, gesto che denotava nervosismo, ma che tutti avevano sempre interpretato come un modo per mettere in risalto il mio charme. Ero così bravo a dissimulare… con tutti tranne che con lei. “Tutto bene, Poe?”
    “Oh sì, magnificamente. Abbiamo avuto un bel po’ di problemi come hai sentito, ma abbiamo riportato a casa la pelle. Questa è la cosa importante. Hai novità da Brian? Ci ha detto di attendere prima di andare a fare rapporto in presenza.”
    “Credo sia in una riunione molto importante, ma non ha specificato con chi, né la ragione… ma ha detto che mi avvisa quando potrai andare da lui.”
    “Si fa sempre desiderare il principino…” borbottai, stringendomi tra pollice e indice la radice del naso.
    “Immagino sarai stanchissimo. Vieni qui!” Omera mi prese per mano, anche se brevemente, poi mi fece sedere con un movimento fulmineo sulla sua poltroncina di fronte ai comandi. “In attesa che Brian ti convochi, la tua amica del cuore ti fa un bel massaggio sciogli-tutto…” E iniziò a massaggiarmi la parte alta delle spalle, la nuca, con le sue dita lunghe e affusolate.
    Ecco, avrei anche potuto morire in quel preciso istante. Il paradiso aveva la forma delle sue mani.
    “Se continui così, potrei anche non rispondere più di me…” la avvisai con occhi chiusi, una voce stranamente arrochita.
    “Dici la verità, potresti anche addormentarti di schianto!” sussurrò vicino al mio orecchio quella che doveva essere una battuta esilarante, ma che ebbe il potere di risvegliare parti di me che al suo fianco tentavo di tenere sempre a bada.
    Così le posi un palmo sul suo capo, adesso all’altezza della mia guancia e ve la appoggiai. Potevo sentire la delicatezza della sua pelle contro la ruvidezza della mia, coperta da un leggero velo di barba.
    “Proprio così, russo talmente forte da far tremare i vetri delle finestre. Non vorrei sottoporti a una tortura simile… oltre al fatto che potrei perderci in fascino!” Rise contro la mia guancia, percepì l’angolo della sua bocca alzarsi. Avrei potuto voltarmi e in un istante avrei conosciuto il sapore della sua bocca ma… non lo feci.
    “Omera, ci sei? Poe è in sala controllo?” Sobbalzai con violenza nell’udire il suono gracchiante uscire dall’altoparlante. Brian. Maledetto.
    Omera rise spontanea per la mia reazione. Non pareva essere imbarazzata da quello strano momento vissuto… ma forse ero stato l’unico a percepire l’elettricità che mi provocava?
    Lei andò ai comandi e rispose affermativamente.
    “Potresti gentilmente riferirgli di raggiungermi?”
    Lo scimmiottai mimando le sue parole, facendo ridere ancora di più la ragazza che popolava sempre di più i miei sogni.
    “Non capisco perché si ostini a parlare come se provenisse da un altro secolo. Potrà diventare anche un generale supremo, ma la sua parlantina nobiliare non la perderà mai…” sbuffai dopo che Omera ebbe confermato di aver ricevuto l’ordine ed ebbe spento la radio.
    “Credo faccia parte del suo fascino. Come fare battute del genere fa parte del tuo!” Omera mi stava amabilmente prendendo in giro, nel suo solito modo garbato. Anche se mi avesse offeso, non me ne sarei mai accorto.
    “Sarà… Dai, accompagnami, avrai lavorato tutto il giorno come al solito, almeno prendi un po’ d’aria.”
    Non sapevo ancora che di lì a poco avrei incontrato colui che avrebbe sconvolto ogni piano e pensiero. Presto mi sarei reso conto che avrei fatto meglio a non farle quella proposta e che avrei spesso maledetto quel momento. Tuttavia, mi avviai tranquillo, sicuro di avere tutto sotto controllo… povero illuso.


    Edited by KillerCreed - 17/2/2023, 18:27
     
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    Quell’avvicinamento a Poe era del tutto naturale, la confidenza che negli anni avevamo preso aveva assunto una forma sempre più intima, era certezza di Jyn –che non smetteva di punzecchiarmi a tal proposito- che tra noi ci fosse qualcosa che era solo in attesa di prendere forma e personalmente iniziavo a pensare che così fosse. La mia unica remora derivava dal fatto che lui fosse il mio migliore amico, lo era diventato con il tempo in modo del tutto naturale e la paura di perdere quel legame così bello, sincero e saldo un po’ mi spaventava. Per come era fatto Poe, non era il tipo che in caso di fine di una storia manteneva “rapporti civili” con le sue ex, di solito cambiava sistema pur di non vederle più. Non che si potesse dire poi che lui fosse famoso per le sue storie a “lungo raggio”, di solito erano più che altro avventure di passaggio.
    Alla sua richiesta di accompagnarlo lo feci volentieri, camminando il suo fianco e percorrendo i lunghi e sotterranei corridoio. Brian non amava particolarmente quell’aspetto, seppur all’epoca erano stati progettati in quel modo, alla base delle piramidi di Yavin IV, per protezione e non essere tracciati da eventuali radar. Per via di questo lui aveva collocato quello che definiva il suo ufficio al di sopra della terra, era all’interno di una vecchia torretta di guardia dalla parte opposta delle piramidi, tre in totale. Uscimmo dalla stessa, attraversammo l’unico piccolo spiazzo nel fitto della foresta –che fungeva da pista di atterraggio e ove vari aerei vi erano- e ci addentrammo oltre una coltre di alberi che divenivano sempre più fitti quando si procedeva. Alla fine eccola spuntare la vecchia torretta. Per accedervi, come in tutta la base, era possibile farlo solo con i dati biometrici di noi sei, membri dell’X-Force.
    Poe poggiò la mano sul sensore posto a sinistra della porta anti blaster e quella si aprì. Camminammo fianco a fianco e poi finalmente raggiungemmo il suo ufficio.
    Un uomo di spalle era di fronte a Brian ed io riconobbi immediatamente quell’armatura, l’avrei fatto tra mille. Inconfondibile non solo perché di un Mandaloriano, ma quasi completamente in beskar ed io conoscevo solo un uomo che la possedeva.
    Quando poi una piccola testolina verde comparve dalla sedia affianco alla sua non ebbi più dubbi. Mi aprì in un largo sorriso che il bambino ricambiò facendomi voltare incontro la piccola pallina di metallo che in mano teneva. La strinsi e fu allora che Mando, incuriosito dal gesto di Grogu, si voltò per vedere chi fosse entrato.
    «Omera!?» mi chiese tra la domanda ed il salute scattando in piedi.
    «Mando!?» risposi di Rimando con il suo stesso tono.
    Sorrisi e gli fui incontro con impeto per poi fermarmi ben capendo che non era proprio una persona d’abbracci, come me. Mi tese la mano ed io la strinsi non smettendo di guardarlo oltre il visore e poi voltandomi verso Grogu gli posai un bacio sulla fronte, lui chiuse con occhi compiaciuto, e gli porsi la sua pallina.
    Quasi non mi ero accorta che Poe e Brian ci stavano fissando, almeno fin tanto quest’ultimo parlò «Oh vedo che vi conoscete, ottimo! Allora lascia che ti presenti Poe Dameron. Comandante dello Squadrone Rapier per la Nuova Repubblica e Capo Nero per l'X-Force. Poe lui è Din Djarin, Cacciatore di Taglie e Mandaloriano, oltre che un buon amico. Mi ha tirato fuori dai guai salvandomi la vita mostrandomi il suo valore oltre che i suoi saldi principi!»
    Brian sorrise fiero che due delle persone che più ammirava fossero nella stessa stanza, seppur per un attimo ebbe quasi che la loro stretta di mano fosse più una gara a chi la stringeva più forte.
    «E’ qui per alcune informazioni che gli ho chiesto e gentilmente mi ha portato, poi ve ne parlerò… Tuttavia la sua navicella ha subito danni e siccome sono stati provocati da una missione per conto dell’X-Force credo sia giusto che noi ci occupiamo di sistemarla. Nei giorni che seguono dunque sarai nostro ospite Mando, tu ed il tuo piccolo amico!»
    Mando si posò una mano sul cuore e con un piccolo gesto, un piccolo inchino ringraziò Brian. Io dal canto mio lo guardai sorridente.
    «La base è molto grande, una volta ospitava centinaia e centinaia di persone. Oggi siamo solo in sei… inutile dire che di spazio ce ne è abbastanza… Se Brian me lo permette posso mostrarti dove tu ed il piccolo potete alloggiare…»
    «Certo Omera, anzi te ne sarei grato! Poe ti prego di avvisare gli altri e per favore iniziate quanto prima la revisione alla navicella di Din. Non badate a spese, in caso manchino pezzi, penserò io alle stesse!»
    «Non ho parole a fronte della tua generosità Brian. Accetto la tua ospitalità ed il tuo aiuto, ricordandoti sempre che se hai bisogno di me, ci sono!»
    Quando Brian ci congedò Poe parve non molto sicuro di lasciare il nostro fianco, una volta sulla pista di atterraggio diretti verso la piramide, per questo gli ricordai l’incarico che gli era appena stato dato. Lo vidi allontanarsi poco convinto, mentre io feci segno a Mando –che stringeva Grogu in braccio- di seguirmi.
    «Din, mh?» chiesi sovrappensiero voltandomi a guardarlo, la scorsa volta non avevo scoperto il suo nome.
    «Mi piace!» assentì. Eravamo appena entrati nell’hangar alla base della piramide quando prendendo una delle porta in fondo alla stessa proseguimmo per un corridoio dritto, svoltammo a destra e poi a sinistra fino a degli ascensori.
    «La base a tre livelli inferiori. Il primo è il centro di controllo, comunicazioni, etc… Al secondo c’è la palestra, la mensa ed altri servizi per il personale. All’ultimo gli alloggi…»
    Ed entrando cliccai proprio il tasto -3. Mi voltai verso Grogu e poi tornai a guardarlo.
    «Sono così felice di ritrovarvi insieme, seppur da quello che avevo capito tu lo stessi portando dai suoi simili, li hai trovati?» forse ero troppo invasiva, ma ricordavo ogni cosa del nostro incontro. Ogni particolare. Ogni parola. Ogni gesto.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 9/5/2022, 13:18
     
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    Dovevo restare concentrato e presente. Già, pareva facile, come potevo farlo quando avevo dimenticato persino come si respirava. Dentro e fuori. Inspira ed espira… Niente, era troppo complicato e – come la prima volta, quando l’avevo salutata su Sorgan – il casco mi parve una prigione.
    Era il tramonto sul pianeta, eravamo l’uno di fronte all’altra, Grogu già sul carro che ci avrebbe riportati alla mia nave. Ricordavo bene i lineamenti delicati del suo viso, mentre il suo sorriso mi abbagliava più del sole dietro di lei. Mi aveva accarezzato il casco, ma era chiaro che avrebbe voluto fare quella carezza sulla mia pelle… e lì, ecco… lì ho desiderato con forza di poterlo levare, anche solo per qualche istante.
    Nel presente, però, fui lieto che lei non potesse vedermi in volto, stavo sudando come un ragazzetto e la mia espressione doveva esprimere qualcosa tra il panico e la gioia. Sì, ero felice di averla rivista dopo oltre un anno, forse più. Ero certo che non sarebbe mai accaduto: quante possibilità c’erano che facesse parte dell’X-Force, quando io l’avevo conosciuta come un semplice abitante di un pianeta prettamente agricolo…?
    Grogu mi tirò un leggero pugnetto all’altezza del fianco, nella fessura tra la parte anteriore e posteriore dell’armatura. Richiamava la mia attenzione? Ah, forse Omera stava parlando… mi aveva chiesto qualcosa… Con la vista periferica, notai il piccolo scuotere la testa e strofinarsi la testolina, sconsolato. Eravamo davvero arrivati a questo?
    “Dicevo che sono felice di rivedervi insieme. Da quel che ricordavo, avresti dovuto riportarlo dai suoi simili…” L’avevo costretta a ripetere la domanda, fantastico, come fare la figura dello scemo con l’unica donna per cui avevo provato un minimo d’interesse da… sempre. Alla fine mi ricordai di respirare e fu un bene, perché altrimenti mi sarei ritrovato a corto di fiato per rispondere.
    “L’ho fatto. È rimasto un po’ con un Maestro, ma poi sono successe tante cose e… ha deciso di tornare da me.” Grogu confermò con uno dei suoi gorgoglii strani, ma sembrava felice.
    Io avevo le braccia distese lungo i fianchi ma faticavo a tenerle ferme. Le pareti dell’ascensore parevano molto più anguste, però sapevo che si trattava dell’effetto che la vicinanza di Omera mi provocava.
    Lei sorrise, guardandomi con la solita dolcezza che non avevo dimenticato, qualcun altro avrebbe pensato che mi stesse canzonando… ma non era da lei, anche se la conoscevo appena, questa era una certezza. La campanella, segnale che l’ascensore era arrivato al piano desiderato, mi salvò dall’impaccio ma non dall’ennesimo pizzicotto che Grogu mi rifilò, scontento.
    Con passo sicuro, almeno da parte sua, percorremmo diversi corridoi, su cui si affacciavano le porte dei vari alloggi, ormai per la maggior parte inutilizzati.
    “Puoi stare qui...” concluse, mostrandomi un piccolo monolocale perfettamente pulito e in ordine. Era una stanza 5 metri per 5. Aperte le porte si aveva di fronte un letto a castello d'acciaio, una piccola scrivania sulla sinistra e sulla destra uno spazio sopraelevato con ante a mo’ di armadio, al di sotto una porta che dava al bagno annesso. Desideravo guardare la camera, ma alla fine la mia attenzione fu di nuovo calamitata da un guizzo di dubbio sul volto di Omera. Infatti, poco dopo riprese a parlare. “Sai Mando, sono molto diversa dalla donna che un tempo hai conosciuto...” disse in modo deciso, ma gentile. Sembrava avesse la necessità di svuotarsi di un qualche peso. Così, attesi che finisse… “Mi spiace per come mi sono comportata, mi rendo conto quanto sia stato infantile e stupido chiederti di restare. Per cosa poi? Per chi? Ora comprendo meglio chi sei e cosa fai, l'ho compreso perché anche io ho uno scopo che non lascerei per nulla al mondo. Sfuggivo dal mio passato, illudendomi che fingermi semplice e normale avrebbe reso la mia vita altrettanto simile... In realtà devo ringraziarti, se non fosse stato per l'attacco al villaggio e tu non avessi deciso di aiutarci, addestrandoci anche... forse non avrei mai avuto la scintilla che mi ha portato dove sono oggi, nel ruolo che ricopro!” Ogni sillaba era uscita lenta e cadenzata, nessun fronzolo tra le parole, sono la più cristallina delle verità.
    Si portò una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio in un movimento involontario, che tradì un pizzico di imbarazzo, forse perché mi ostinavo ancora a rimanere in silenzio!
    “Ricordo che tu non avevi bisogno di alcun addestramento…” mormorai, tra l’ironico e il serio. “Mi sono spesso domandato come potesse una donna in gamba come te essere arrivata su quel pianeta tanto modesto e vivere in maniera altrettanto modesta. Ammetto che avrei voluto chiedertelo, ma non mi è mai sembrato il momento… poi, son dovuto andare via…” E qui, l’imbarazzo divenne il mio, perché mi tornarono in mente le sue mani… la sua voce… ma soprattutto, la mia tentazione. “Sappi che, se non fossi stato chi sono, non avrei esitato a rispondere sì alla tua richiesta…” L’ultima frase era uscita così, da sola, senza che me ne rendessi conto. Non sapevo se avrei dovuto rimangiarmela, oppure esserne contento. Di certo, apriva porte che io personalmente, in altre occasioni, non avevo mai aperto.
    Alla mia ultima frase Omera mi regalò un sorriso ampio e dolcissimo, sembrava davvero emozionata. Poi, si poggiò al freddo stipite della porta ancora aperta e sospirò, come a cercare le parole giuste da pronunciare.
    “E non ti sbagli...” Era chiaro si riferisse alle prime impressioni che avevo avuto di lei. Teneva le braccia conserte, ma non era un segno di chiusura. “Sorgan è stata la mia seconda possibilità. Ho servito nell'Impero...” Quella confessione aleggiò nella stanza, come sospesa, mentre Grogu d’istinto si nascondeva dietro la mia gamba. Io mi resi conto di trattenere di nuovo il respiro e di aver piegato la testa un po’ di lato. “Eredità di famiglia!” disse subito dopo, in tono finto ironico. Percepivo una nota di tristezza mista a rimpianto, così mi ricomposi, non c’era alcun giudizio da parte mia. “Ho frequentato l'Accademia Imperiale, da lì il mio addestramento, ma non sono mai stata un'operativa, un soldato... Ero troppo giovane e troppo cieca per capire la verità e poi è arrivato Alderaan. Lavoravo come tecnico sulla Morte Nera e quell'episodio mi tiene ancora sveglia la notte. Ho disertato e mi sono consegnata ai ribelli, lì ho conosciuto Poe... è stato lui a darmi una seconda possibilità, a credere nel mio dolore e nel mio sincero desiderio di fare ammenda. Così ho servito con la Resistenza... Quando l'Impero è caduto avevo solo voglia di ricominciare da capo e Sorgan era esattamente ciò che cercavo: semplicità. Il tuo arrivo, però, ha rinfocolato le ceneri sopite in me, mi ha ricordato che anche se l’Impero era caduto, le minacce non erano scomparse. Così ho sentito che il mio debito non era ancora saldato. Non ho mai perso i contatti con Poe e lui mi ha dato questa occasione, l'ennesima, per fare la cosa giusta...” concluse con un grande respiro, sorridendo di nuovo, finalmente. Poi, la sua attenzione fu catturata da Grogu, che era uscito dal suo nascondiglio e aveva camminato fino da lei, per stringerle la gamba. Lui aveva capito, proprio come lo avevo fatto io stesso. Omera si abbassò e lo prese in braccio, posandogli un dolce bacio sul capo. Inutile dire quanto avrei voluto ricevere la stessa attenzione, ma fui contento che almeno il piccolo aveva potuto goderne…
    “Grazie per aver condiviso il tuo passato. So che farlo non è cosa facile. Però, se posso permettermi, non hai più alcun debito da saldare. Qualsiasi cosa tu stia facendo ora è perché senti la necessità di aiutare gli altri… le tue colpe non esistono più, tanto quanto non sei responsabile dei misfatti dell’intero Impero. Sei una brava persona.” Omera aveva la capacità di farmi fare discorsi molto più lunghi del mio solito, me ne resi conto perché rimasi per l’ennesima volta a corto di ossigeno. Senza rendermene conto mi ero anche avvicinato di qualche passo, avrei potuto ritornare un po’ indietro ma non lo feci, lei si era trasformata in una sorta di calamita…
    Omera si rese conto del mio essermi accostato e, una volta abbastanza vicino, mi porse il piccolo tra le braccia. Percepii distintamente il tocco leggero della sua mano sul mio guanto. Un contatto breve, ma che mi colpì con una scarica di emozione pura, potente. Mi parve che anche lei avesse provato qualcosa, un brivido, ma non potevo esserne sicuro.
    "Non lo diresti mai, ma è davvero semplice e naturale parlare con te..." concluse prima di ritrarsi. "Spero che nei tuoi pochi giorni qui, ci sarà ancora modo di farlo..." e con quell'augurio si congedò. Non prima però di lasciare una carezza a Grogu e un dolce sorriso al sottoscritto.
    Non ebbi neppure il tempo di replicare, ero sopraffatto. Dovevo elaborare ogni singola parola e atteggiamento. Che cosa voleva dire? Non ero in grado di analizzare quanto era accaduto lucidamente, così, alla fine, mi sedetti sulla branda per riprendere fiato. Il piccolo mi accarezzò il casco, così lo tolsi, mettendolo al mio fianco. Lui era l’unico essere vivente con cui mi permettevo questo lusso, ben sapendo che era una piena violazione del Credo… ma tante cose erano cambiate.
    Grogu mi fissò con attenzione, piegando un po’ la sua testolina di lato.
    “Lo so, sono una frana. Ma lei è così bella… dentro e fuori, e io non potrei mai essere alla sua altezza.” Il piccolo scosse il capo contrariato, picchiettando a mo’ di ammonizione la sua manina sui pettorali dell’armatura. “Grazie dell’incoraggiamento, piccoletto, vediamo cosa accadrà, ok?” Non era una promessa che facevo solo a lui, ma anche a me stesso.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 19/5/2022, 14:18
     
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    :Omera:
    Avevo lasciato l’alloggio di Mando con un gran sorriso sul volto, lo stesso che mi accompagnò per tutto il viaggio verso la sala di controllo, passando sulla pista di atterraggio ove Poe e Cassian con i loro rispettivi droidi erano già a lavoro sulla sua nave per valutare danni e pezzi che sarebbero serviti.
    Lavorai tutto il giorno, nell’Impero ero un’addetta alle comunicazioni motivo per cui radar, frequenze radio e tutto ciò che concerneva i panelli di controllo erano nelle mie corde. Avevo svolto un controllo di routine e quando alzai lo sguardo era già orario di cena.
    Brian era molto diverso da qualsiasi altri leader, il suo senso di squadra era un senso di famiglia e quando era alla base pretendeva che tutto all’orario dei pasti smettessimo le nostre attività e mangiassimo insieme. Era un rito sacro che io trovavo profondamente dolce ed importante, ai fini di creare legami saldi di amicizia e lealtà. Mando accettò di partecipare, seppur ovviamente non poteva mangiare con noi, fu lieto che Grogu potesse farlo in compagnia. Non era un gran chiacchierone, ma Brian ci teneva a presentarlo agli altri e raccontare come si erano conosciuti. Certamente non era da lui raccontare i dettagli della missione, e così fu, ma sicuramente lo fece nel sottolineare come Din lo aiutò senza remore e a come gli dovesse la vita. Oltretutto lo aveva invitato per il giorno successivo ad una passeggiata con lui, cosa che a Poe e Cassian fece un po’ stortare il naso. Era chiaro che ci fosse molto di più che mostrargli la base, quello che infatti nessuno di noi sapeva era del passaggio che portava dall’altra parte del pianeta, alla scuola Jedi segreta di Luke Skywalker, che Mando conosceva assai bene.
    A fine cena non me la sentivo di andare a dormire ed infatti ben presto mi trovai in compagnia di Mando, parlammo appena un po’ alla fresca aria della sera osservando le stelle e quando si congedò mi trovai a voltarmi sorridente quando lo percepì nuovamente avvicinarsi, ma ben presto notai che non era lui che stava prendendo posto accanto a me, sopra un grosso tronco che a terra usavamo come seduta.
    «Sei stato corrucciato tutta sera, non è da te non essere ospitale…» lo punzecchiai immediatamente. Lo conoscevo troppo bene per non notare i suoi modi e la sua freddezza.
    «Ospitale? Con chi? Il Mandaloriano? Sai bene che questi personaggi non mi fanno tanta simpatia...» mi rispose con un tono ironico, ma non leggero come il suo solito. Pareva quasi un bambino che imbronciato faceva i capricci per sottolineare tutto il suo disappunto, per cosa poi? Nel dubbio gli diedi una leggera spinta con una mano ed aggiungendo al tutto uno sguardo severo. Non mi piaceva quel suo atteggiamento e non lo avrei nascosto.
    «Lascia che sia Cassian quello sempre imbronciato e diffidente di tutto e tutti, a te non ti si addice!» lo rimbeccai, per poi alla fine scuotere appena il capo, guardare il cielo e sorridere. Mi strinsi maggiormente nelle spalle, le mani ad accarezzarmi le braccia. Yavin IV aveva una temperatura temperata ed umida di giorno, ma particolarmente fresca e secca di notte. Non mi sorpresi quando Poe mi passò un braccio intorno alle spalle, anzi mi voltai a guardarlo, il mio viso a pochi centimetri dal suo.
    «Sai Dameon…» iniziai con tono basso e suadente, un sussurro appena accennato «… sembra quasi che tu sai geloso…»
    «Sarebbe una cosa brutta o bella? Se io fossi geloso intendo...» mi chiese con voce roca, il suo respiro che si mischiava al mio e ci inebriava di una vicinanza che da anni in gran segreto agognavamo.
    «Non lo so…» mormorai fissandolo negli occhi, al buio entrambi parevamo avere due profondi pozzi neri al posto dello sguardo «…questo me lo devi dire tu…»
    Poe si mosse un po’ a disagio sul tronco, anche se non osava togliere il braccio dalle mie spalle. «Ho sempre pensato a te come a un'amica speciale, ma ora se ti dicessi che non ho mai desiderato altro... beh, mentirei spudoratamente. Per esempio, te ne faccio uno piccolo piccolo, adesso vorrei baciarti... Non ho mai chiesto il permesso a nessuna ragazza, ma tu... ecco, tu sei davvero speciale per me...» blaterava ed io lo guardavo sorridendo, non lo stavo prendendo in giro, ma era davvero divertente vederlo in quello stato, motivo per cui alla fine annullai le distanze. Le bocche, che già erano a pochi millimetri l’una dall’altra, si toccarono e si dischiusero. Sentì le sue mani stringermi, accarezzarmi la schiena e lui baciarmi con quel trasporto e passione di cui non dubitavo fosse capace.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 22/5/2022, 17:42
     
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    :Poe:
    Non potevo non raggiungerla dopo averla vista con lui. Fin dal primo incontro, fin da quando Omera lo aveva riconosciuto nonostante l’armatura lo ricoprisse integralmente. Gli era andata in contro con la solita spontaneità che la caratterizzava e non aveva potuto – e voluto – nascondere la gioia mista a sorpresa che aveva vissuto in quel momento.
    E il mio stomaco si era riempito all’istante di acido.
    Il Mandaloriano era rigido, scostante, non riuscivo a interpretarlo con tutta quella ferraglia addosso, ma se Brian lo celebrava così tanto, non poteva essere un idiota, anche se avrei tanto voluto che lo fosse. Omera pareva pendere dalle sue labbra, ma senza eccessive cerimonie, sapeva sempre essere gentile, equilibrata, ma comunque affettuosa.
    E i miei denti avevano scricchiolato tra loro.
    Quando ci eravamo divisi, ero stato preda dell’ansia e dell’irritazione. Mi ero rifugiato in officina e avevo tirato un calcio poco amichevole alla navicella del Mandaloriano, non mi ricordavo neppure il nome, né mi interessava farlo.
    “Dobbiamo aggiustarla, non farla di più a pezzi…” La voce atona di Cassian mi aveva apostrofato facendomi sobbalzare: non avevo notato la sua presenza, troppo preso a rimuginare, ma era anche sua abitudine muoversi silenzioso come un dannato ladro.
    “Se potessi la ridurrei in poltiglia, altroché…” gli avevo risposto con un diavolo per capello. Come da copione, lui mi ignorò, quando non capiva qualcosa – soprattutto se ci si riferiva alle mie stramberie – si limitava a sbuffare, scuotere il capo e ignorarmi. Di solito lo punzecchiavo per farlo innervosire, ma quella mattina non ne avevo nessuna voglia.
    A cena poi, peggio che andar di notte. Mando qui, Mando lì, Brian sembrava una cazzo di pubblicità che mirava a venderti una patacca, ma dentro di me ero consapevole che tutto quell’acido proveniva dalla gelosia feroce sguazzante nella mia pancia. Dovevo darmi una calmata, anche quando Cassian aveva interagito nella sua solita maniera scontrosa, mi ero stranamente accodato… non facendoci di sicuro una bella figura, soprattutto con Omera. Tuttavia, la situazione era destinata a peggiorare: vederli insieme, fianco a fianco, parlare sotto le stelle, mi aveva ferito così profondamente che non lo credevo neppure possibile.
    Io, però, non ero il tipo che mollava così facilmente, non quando avevo tergiversato per così tanto, non potevo vedere Omera sfuggire via tra le dita come sabbia fine senza che avessi fatto nulla per trattenerla…
    Perciò, quando lei aveva creato quella situazione intima, non mi ero tirato indietro. Le avevo detto la verità, l’avevo costretta a prendere una posizione e la sua scelta mi aveva mandato in paradiso.
    Le sue labbra erano dolci così come le avevo immaginate mentre le accarezzavo con la lingua e le mordicchiavo con i denti. Con il braccio con cui le stringevo le spalle la portai verso di me, lasciando che i nostri petti combaciassero il più possibile. Era magnifico poterla sentire morbida sulla mia bocca… ma dopo qualche istante fummo costretti a staccarci per riprendere fiato. L’avevo divorata quasi, come se attendessi quel momento da così tanto tempo che non ero riuscito a trattenerne l’istinto. E, in fondo, era proprio così.
    “Sì, sono fottutamente geloso, questa è la verità” confessai, non c’era più alcun motivo per mentire.
    Omera mi fissò, accaldata e felice, passò una mano tra i miei capelli scuri e alla mia esclamazione si lasciò andare a un lieve sorriso, non privo di malizia. Questa Omera era per me inedita, ma, diamine, quanto mi piaceva. Fu lei a fare il passo successivo. Di nuovo avvicinò le sue labbra alle mie, ma c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi, ma anche nella sua bocca. Avrei potuto tranquillamente chiamarla “sensualità”. Mi diede così un bacio lento, definirei anche esperto, pareva sapere come far impazzire un uomo e tutto ciò mi mandò in pappa il cervello.
    Si staccò troppo presto, nonostante ciò, avevo di nuovo il fiato corto: me lo aveva rubato tutto. Poi, si alzò, voleva allontanarsi… mentre io la volevo stringere ancora più forte contro di me. La tenni per mano, non doveva andare via, ma lei lo fece, piano piano, fino a quando non furono solo le punte delle nostre dita a sfiorarsi per ultime. In quel tocco, però, c’era una promessa non un addio.
    “Buonanotte Poe, non vedo l'ora di scoprire cosa ci aspetta domani!” e facendomi un delizioso l'occhiolino si congedò.
    Fu allora che mi accorsi di un movimento nel buio, un’ombra appena percettibile che però era infondibile per i miei occhi abituati al buio. Non potevo non riconoscere la sagoma di un’armatura mandaloriana. Ci aveva visti mentre ci baciavamo… e io non riuscii a trattenermi dal sorridere.
    Non sapevo se lui potesse ancora scorgermi, pareva si fosse volatilizzato nel nulla, ma speravo proprio di sì. Quell’approccio con Omera era decisamente ciò che serviva per dire a quell’ammasso di beskar di stare al suo posto. Non era stato fatto di proposito, quindi non mi sentivo troppo in colpa… ma il fato mi aveva decisamente ben voluto.
    Anche io avrei atteso l’indomani, per scoprire che cosa aveva ancora da riservarmi.
     
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    :Ahsoka:
    Non era raro vedere su Yavin IV dei grandi lupi, alti quasi due metri spesso si sentivano i loro ululati nella notte, ma raramente le si vedeva da vicino. Nonostante la stazza preferivano sempre stare lontano da tutti e tutto. In realtà non erano lupi qualsiasi, ma bensì manifestazioni della Forza nella loro forma animale. Erano totem. Attraverso loro Luke e Brian, all'oscuro dei reciprochi schieramenti, comunicavano. In realtà anche io e Mare Jade lo sapevamo ed anche noi eravamo in contatto con i lupi.
    Luke da tempo ci aveva confidato i suoi "sospetti" su Brian ed ora che aveva saputo, proprio da quest'ultimo, la visita del Mandaloriano sul pianeta, in accordo con noi aveva voluto invitarli.
    L'insediamento Jedi e la nuova scuola erano dalla parte opposta del pianeta, Ani il Totem Animale di Luke era stato colui che l'aveva mostrato a Brian. Per raggiungerlo doveva attraversare una grotta, poco lontano dal campo X-Force nel fitto della foresta. La grotta appariva piccola e priva di un passaggio, solo credendo nella Forza si veniva letteralmente teletrasportati al polo opposto, non si percepiva nemmeno il tutto, era fare qualche passo e sbucare dall'altra parte.
    «Siete sicuri che il vostro amico Mandaloriano non farà storie?»
    In attesa dell’arrivo degli ospiti io e Mara Jade, che eravamo posizionate in piedi alle spalle di Luke, osservavamo un punto indefinito tra gli alberi ben consci che presto chi aspettavamo sarebbero giunti. I ragazzi poco lontani erano tutti occupati nelle loro attività. Non si trattava solo di lezioni, ma di collaborare tutto al funzionamento del villaggio, in realtà anche quelle semplicità attività erano un insegnamento di collaborazione ed aiuto reciproco.
    Mara Jade aveva posto la domanda con durezza, i lunghi capelli rosso fuoco ondeggiavano al vento. Era stata un’assassina per l’Impero e questo la rendeva diffidente per natura. La sua posizione rigida poi la tenevano costantemente sulla difensiva.
    «Din Djarin ha vinto la Spada Oscura a Moff Gideon, da allora la tiene con sé, ma non ha la minima conoscenza delle sue proprietà e del suo uso. Quando fu di Sabine, Kanan le dovette insegnare a connettersi con la Forza per costringere la spada a collaborare con lei…»
    «Sono certo che Bo Katan non gli abbia mai confidato la cosa, giusto?»
    Luke nemmeno si voltò a guardarmi e non ebbe di farlo nemmeno per conoscere la risposta. Mara Jade al mio fianco corrucciò la fronte in attesa.
    «No. Ciò che Sabine le ha detto a proposito è stata ben attenta a tenerlo per sè...»
    «E certamente la piccolo gilda ortodossa di cui lui fa parte non ne è a conoscenza!»
    Assentì, prima di percepire un movimento lieve di Luke. Con le mani dietro la schiena rivolse un solo sguardo veloce sia a me che a Mara.
    «Tutti abbiamo sentito la stessa cosa a riguardo di Brian ed il fatto che i lupi si avvicinino a lui, oltre il fatto che riesca a comunicarci… bè è già una bella conferma!»
    «Luke anche se oggi tu riuscissi a far stringere la spada tra le mani a Brian e fargliela usare… come credi prenderà la notizia di essere l’erede di Tarre Vizla?»
    «Fiumi di sangue sono scorsi su Mandalore per la sete di potere dei Vizla… Anche Bo Katan è una diretta discendente e sappiamo molto bene quanto brami la spada per riunire il suo popolo riportare ai vecchi fasti Mandalore. Non vedrà mai di buon occhio la comparsa di un possibile contendente!»
    Le preoccupazioni miei e di Mara parvero non turbare Luke che ci sorrise comprensivo e saggio.
    «La Spada Oscura significa molto altro. Tarre Vizla è stato l’unico Mandaloriano ad aver mai fatto parte degli Jedi. La comprensione della Forza unita alla sua conoscenza dell’Arte della Guerra aveva fatto da ponte a due forze che da sempre si respingono... Se la minaccia della nascita di un ordine ben peggiore dell’Impero è vera, come i fatti ce lo stanno dimostrando, allora è esattamente di questo che abbiamo bisogno. Di possibilità di unione e non di scontro. Sappiamo che il Lato Oscuro prolifica proprio su questo…»
    Dopo aver pronunciato queste parole si voltò, i due uomini erano puntini lontani che si avvicinavano.
    «Non mettiamo il carro davanti ai buoi comunque, oggi non sveleremo nulla di tutto ciò… cercheremo solamente ulteriori conferme. Dobbiamo capire se la Spada Oscura riconoscerà Brian… Nel mentre continuiamo ciò che stiamo facendo ed in virtù di questo, Ahsoka, credo che sia il momento che Shay Trust e Kayra Zor El si uniscano a noi!»
    A quella frase feci un piccolo cenno del capo, sapevo che quanto prima mi sarei dovuta occupare della cosa. Io stessa aveva rivelato a Luke la mia necessità di quel tipo di incarichi. Il mio distacco dagli Jedi non aveva scalfito la mia fedeltà alla Forza, ma tanto avevo da lavorare al riguardo e per farlo dovevo lasciarmi guidare dall’istinto e quello che sentivo, di volta in volta, fosse la cosa giusta da fare.
     
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    Dovevo ammetterlo senza crucci: tutta questa situazione stava mettendo a dura prova la mia disciplina, la mia naturale propensione alla calma, il mio inappuntabile zelo quando si trattava di portare a termine delle missioni.
    Sì, perché non era una semplice missione quella in cui mi ero imbarcato.
    Dopo tre giorni trascorsi in compagnia di una strano gruppo di persone – che Brian mi aveva confidato far parte dell’antico ordine Jedi – mi ero convinto dell’idea che costoro avevano uno scopo in mente. La mia visita non era stata casuale, così come non lo era stato l’interesse dimostrato verso la Spada Oscura.
    Tuttavia, qualsiasi cosa avessero in mente era stata bruscamente interrotta da una comunicazione molto agitata proveniente dalla Base. Il pilota Poe ci informava, in maniera piuttosto concitata, che c’era un’emergenza di cui Brian doveva essere subito messo al corrente. Non aveva voluto anticipare nulla via radio, come se quel gesto avesse potuto in qualche modo scalfire un rito scaramantico a me sconosciuto.
    Non avevamo perso tempo. Dopo esserci scusati con i nostri ospiti, ci eravamo subito incamminati verso la base, rimanendo ancora una volta affascinato da come il mio cicerone fosse a suo agio a camminare in una grotta oscura; avevo immaginato quasi che dietro le retine avesse lo stesso visore notturno che io avevo all’interno del casco.
    Tutta la meraviglia però era scomparsa al nostro arrivo. Poe Dameron aveva una bruttissima cera, la sua pelle era bianca come un lenzuolo, mentre la sua vena ironico-sarcastica – con cui mi aveva bersagliato fin da subito – era misteriosamente scomparsa.
    Era stato questo a preoccuparmi di più.
    Poi era arrivata la notizia peggiore, quella che non avrei mai voluto ricevere: Omera era in pericolo di vita. In seguito a una breve missione di ricognizione su un pianeta vicino, era tornata con una ferita in apparenza lieve provocata da uno scontro con la popolazione locale. Quella ferita però aveva nascosto molte insidie… un veleno sconosciuto aveva infettato il suo sangue tanto rapidamente da indurla in un coma profondo e senza via di uscita. I rimedi conosciuti per la stragrande maggioranza di veleni erano stati messi in atto con tempestività dal reparto medico, ma nulla aveva avuto effetto: la febbre continuava a consumarla, mentre l’incoscienza pareva averla rapita per sempre.
    Avevo insistito per vederla. Sì, in parte perché avevo necessità di posare di nuovo lo sguardo su di lei – cosa che a Dameron sembrava non andare a genio – ma soprattutto perché dovevo verificare se la teoria che mi era balenata in testa potesse essere valida. Una teoria estrema, ma forse l’unica che ci avrebbe permesso di salvarle la vita.
    Il mio peregrinare in diversi sistemi mi aveva permesso di conoscere, vedere, sperimentare persino sulla mia pelle ogni genere di esperienza, bella o brutta che fosse. Per fortuna, avevo anche visto il genere di ferita riportato da Omera e riconosciuto i sintomi. C’era solo un ingrediente speciale che avrebbe potuto salvarle la vita, se miscelato in un opportuno antidoto.
    Ecco la natura della mia missione. Ero partito per recuperarlo, ma – per mia sfortuna – non avevo potuto impedire a un accompagnatore scomodo di interferire con la mia tanto bramata solitudine.
    Avevo bisogno di riflettere, di concentrarmi, ma…
    “Ehi, spero tanto che tu sappia cosa stai facendo… Se questa idea geniale dovesse peggiorare le cose dovrai vedertela con me… Come fai a conoscere questa sostanza? Sei sicuro della sua efficacia? Mi stai ascoltando, ammasso di latta?”
    “Se tra una parola e un’altra facessi una pausa di tanto in tanto, potrei darti una risposta.” Avevo risposto d’istinto e… non era mio costume, così come non lo era il tono scocciato che avevo usato. Ero sotto stress, molto sotto stress. Respirai a fondo e cercai di riprendere il controllo della mia autodisciplina, mi aveva salvato troppe volte la vita per metterla a repentaglio proprio ora. “Durante una missione di recupero, la mia taglia ha riportato la stessa ferita. La lama con cui è stato aggredito era imbevuta di un liquido estratto da una pianta molto pericolosa.”
    Potevo percepire lo sguardo interrogativo di Dameron su di me, sembrava lava bollente. Sapevo cosa mi stava chiedendo con gli occhi, ma aspettai che formulasse lo stesso la domanda.
    “Sei riuscito a salvarlo, vero?” Eccola.
    Rimasi in silenzio, fin troppo al lungo.
    “Cosa cazzo siamo venuti a fare qui?!” Poe fermò la mia avanzata sul sentiero accidentato, in mezzo a una foresta tanto rigogliosa da poterci scomparire all’interno e nessuno se ne sarebbe accorto. Mi sbatté contro un tronco enorme che si protraeva verso il cielo in nodosi arzigogoli. Io non reagii, nonostante con l’avambraccio stesse premendo il casco sul mio viso e la parte alta dell’armatura si era conficcata nelle spalle… Se lo avessi messo ko – e avrei potuto farlo in un appena un secondo – avrei solo peggiorato la situazione e non avevo tempo da perdere.
    Con mia grande sorpresa, il pilota si rese subito conto del gesto impulsivo che aveva compiuto e ci mise molto meno tempo a lasciarmi andare di quanto avevo previsto, perciò decisi di rispondere subito così da prevenire altre reazioni inconsulte.
    “Avevo recuperato la sostanza, avevo creato l’antidoto, solo non sono arrivato in tempo per somministrarlo. Adesso, direi di proseguire per evitare lo stesso epilogo.” Poe mi guardò con un ghigno di esasperazione che mostrava quanto mal sopportasse il mio modo di fare. Era altresì chiaro che non aveva alcuna scelta se non aiutarmi nell’impresa. Era un tipo davvero strano, ma teneva a Omera e questo mi bastava per tollerarlo.
    “Non so come fai a restare così imperturbabile. Forse perché non riesco a guardarti in faccia… ma io sento che potrei impazzire da un momento all’altro…” confessò poco dopo, mentre il sentiero boscoso dalla vegetazione tropicale si faceva sempre più fitto.
    Rimasi sorpreso da quelle parole, e io che pensavo di essere troppo nervoso. Con ogni evidenza avevamo “standard” ben diversi in proposito. Avevo capito che il silenzio non era il suo forte… ma dovetti zittirlo con un gesto di una mano perché eravamo giunti al momento più delicato di tutta la missione.
    Di fronte a noi, una enorme pianta spinosa pareva fissarci minacciosa.
    “Non mi dire che la sostanza magica si trova in quel cespuglio intricato di spine!" bisbigliò appena il pilota, intuendo la risposta ancora una volta dal mio silenzio. “Porca…”
    “Shhh, mi avvicinerò io. L’armatura mi proteggerà dagli aculei di difesa che lancerà non appena lacererò un ramo. Tu stai solo indietro, sono velenosi.” Usai fin troppe parole per spiegare ciò che sarebbe accaduto, volevo solo farla finita il più in fretta possibile!
    Quasi sbuffai quando mi sentii fermare per un braccio…
    “Non mi dire che… la sostanza che dovrebbe salvarle la vita è la stessa che l’ha messa in queste condizioni…” Era incredulo per la sua deduzione… ma era proprio così: il veleno miscelato con dei kavam si sarebbe trasformato nell’antidoto… Mi liberai dalla stretta e gli intimai di farsi da parte, non era più tempo di parlare.
    Dovevo essere rapido e non mi smentii. In appena un minuto, mi era avvicinato, avevo tagliato un rametto della pianta malefica, avevo respinto gli aculei acuminati grazie all’armatura e mi ero allontanato con il mio bottino.
    Adesso dovevamo tornare alla base veloci come il vento, lì avrei trovato il resto degli ingredienti per creare l’antidoto. Speravo solo che non fosse troppo tardi… perché non c’era in ballo la vita di una taglia sconosciuta, non questa volta.
    La gola mi si chiuse inesorabile al pensiero di ciò che avrei potuto trovare a nostro ritorno… una reazione la mia tanto nuova da farmi davvero paura. Ma non avevo il tempo di rifletterci su, dovevo semplicemente scoprire che cosa mi avrebbe riservato quell’ennesimo viaggio verso l’ignoto… questa volta in compagnia di un altrettanto trepidante spettatore.
     
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    :Omera:
    Se fossi stata cosciente sicuramente sarei rimasto profondamente toccata dalla partecipazione di tutti I miei compagni nel prendersi cura di me. Non solo Mando aveva saputo riconoscere il veleno e creare l’antidoto, ma tutti erano stati al mio capezzale o quanto meno si erano prodigati a non lasciarmi sola. Era importante seguire un passo alla volta l’evoluzione del tutto, non bastava ingerire l’antidoto, serviva osservarne il decorso. Il mio corpo avrebbe dovuto combattere il veleno e per farlo avrei passato di certo delle brutte ore, dunque tutti si alternarono al mio fianco seppur Poe e Mando furono quelli più presenti.
    Era notte fonda ormai e tutti riposavano alla base, tranne Poe. Lui non ne aveva alcuna intenzione, ogni tanto intingeva un panno nell’acqua fredda e me lo posava sulla fronte per tenere a bada la febbre o mi copriva quando ero scossa dai brividi. Quando Mando venne a dargli il cambio, lui non volle lasciarmi, fu solo l’evidente stato in cui era che lo costrinse: non si reggeva in piedi dalla stanchezza, in quello stato come poteva prendersi cura di me?
    Mando era stato abile a convincerlo, ma Poe si fermò sulla soglia dell’alloggio e prima di uscire fissò il Mandaloriano prendere posto sulla sedia ove lui poco prima era. Non si fidava a lasciare Grogu da solo ed il piccolo dormiva nella sua culla galleggiante, ora chiusa, che a mezz’aria era sospesa accanto all’uomo.
    «Omera mi ha raccontato come vi siete conosciuti…» la voce di Dameron risultava stanca, ma risoluta. Di chi non aveva amato udire quella storia.
    «Ed anche di come ti chiese di restare…» aggiunse. Un braccio appoggiato sullo stipite metallico e lo sguardo posato dolcemente sulla sua bella addormentata.
    «Omera non è a brava a mentire, non ci prova nemmeno!» concluse sorridendo con amarezza.
    Il Mandaloriano lo fissava senza fiatare, non sapeva dove volesse andare a parare ed anche volendo non sapeva come rispondere a tutto ciò.
    «So che quello che prova per me è solo riconoscenza… per averle dato una seconda possibilità… oh sì, quando l’hai incontrata su Sorgan era lì grazie a me!»
    La voce di Poe, strascicata e a tratti delirante, era pari a quello di un ubriaco che all’apice della sbronza si lasciava andare a tutte le sue verità. Mando lo guardò confuso, pensava fosse solo stanco, ma fu abbassando lo sguardo che notò una bottiglia quasi vuota rovesciata ai piedi del letto.
    «Omera ha lavorato per l’Impero, suo padre è stato un grande generale… era presente quando Alderaan fu distrutta… operava sulla Morte Nera… Omera aveva seguito il percorso che per lei era stato scritto, di buona famiglia, lealista da sempre… ma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Disertò e si consegnò volontariamente alla ribellione… a me… Capì subito nella verità del suo pentimento e le concessi una nuova vita, semplice lontano dai lussi a cui era abituata, ma libera… non chiedeva altro… ma l’hai vista no? Potrebbe farsi i fatti suoi, godersi la vita ed invece, sempre in prima linea ad aiutare gli altri…» e su quell’ultima parola il suo sguardo saettò infastidito verso Mando.
    Poe non sapeva nemmeno perché gli aveva detto tutto quello, da una parte forse perché voleva solo sproloquiare sulle qualità che lo avevano fatto innamorare di Omera e dall’altra forse spaventare il Mandaloriano. Forse sapendo tutte quelle cose non sarebbe più stato così interessata a lei! Ma era sbronzo e stanco, non si reggeva nemmeno in piedi, e così scacciando il nulla con le mani se ne andò lasciando la stanza.

    Immersa in un buio confuso non mi accorsi di tutto ciò che intorno a me era successo, fu solo a notte ormai fonda, quando percepì una figura al mio fianco, che istintivamente ne strinse la mano aprendo leggermente gli occhi. Sentivo le palpebre pesanti ed accecata dall’oscurità ebbi un attimo un momento di smarrimento.
    «Dove sono? Chi sei?» biascicai.
     
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    :Din:
    Non mi ero mosso di un solo millimetro da quando avevo preso posto sulla sedia di metallo, accanto al letto di Omera. Erano trascorse tre ore almeno. Grogu dormiva ancora, quindi doveva essere notte, anche se non c’erano finestre per poterlo verificare.
    Non mi ero mosso di un solo millimetro da quando Poe Dameron mi aveva raccontato la storia di Omera. Era sicuramente stanco, forse anche ubriaco, perciò non lo biasimavo per aver ceduto a quella debolezza. Non lo biasimavo per aver tentato, con le sue rivelazioni, di irretirmi. Era la sua carta da giocare, anche se non avevo ben capito a quale gioco stessimo giocando davvero…
    Io vedevo solo una giovane ragazza stesa sul giaciglio morbido, la febbre era scesa, non si lamentava più con gemiti deliranti. Una giovane ragazza che aveva lottato per riconquistare una dignità che in realtà non aveva mai perso. Anziché irretirmi… se possibile… mi aveva affascinato ulteriormente? Il casco mi proteggeva dal dover mostrare il mio volto… ma se il pilota lo avesse visto mentre mi parlava, si sarebbe reso conto del passo falso che aveva fatto.
    Omera mi aveva già raccontato tutto, ma immaginavo che lui non lo potesse immaginare né sapere. Dopotutto chi racconta il proprio passato e la propria storia al primo venuto? Forse se lo avesse saputo quel nostro incontro notturno sarebbe finito in modo diverso.
    I miei pensieri furono interrotti all’improvviso da un movimento di Omera. Non era un semplice tremore, si stava risvegliando. In un attimo fui al suo fianco, un ginocchio sul pavimento e una mano a stringere la sua. Non volevo che aprisse gli occhi e si ritrovasse sola…
    “Dove sono? Chi sei?” Cercai di mantenere un tono sereno, anche se l’emozione mi stava serrando la gola.
    “Sei al sicuro, nel tuo alloggio. Sono Mando, mi riconosci?” Istintivamente, con l’altra mano, le tolsi una ciocca di capelli dal viso, percependo la temperatura che sembrava essere tornata normale.
    La vidi sorridere nella penombra, nel tentativo di regolarizzare il battito e mentre cercava nel buio il riflesso del mio elmo. Le sue dita sfiorarono la superficie metallica per qualche istante… Poi, tentò di mettersi a sedere, ma era molto debole, così le passai un braccio attorno alla vita e la aiutai con un movimento piuttosto goffo.
    “H-Ho sete...” biascicò a fatica, e io mi sentii uno stupido totale a non averci pensato prima. Mi assicurai che stesse da sola in equilibrio e mi adoperai a versare un po’ d’acqua in un bicchiere, usando la caraffa sul comodino. Tornai da lei e le accostai il vetro alle labbra, lasciando che qualche goccia cadesse prima su di esse per darle refrigerio e solo dopo giù per la gola.
    “Meglio?”
    “S-Sì grazie...” mormorò dopo aver allontanato il bicchiere, che mi premurai di posare di nuovo sul mobile. “M-Mi pare di essermi svegliata dopo giorni... sono intontita e la testa mi pulsa...” disse mentre se la massaggiava. “Ma sono felice di vederti qui... anche se... non vorrei averti disturbato più del dovuto... Sei qui per uno scopo ed io sono stata una distrazione, mi spiace...”
    Mi fissò tanto intensamente che mi parve quasi di poter sentire il suo sguardo sul viso scoperto. Intanto, non osavo proferir parola…
    “Sono stara ingenua e stupida, così intenta a discutere con Poe da non accorgermi di quella maledetta freccia...” disse infine, strizzando un po’ gli occhi, intenta nello sforzo di ricordare, così mi accorsi di star trattenendo il respiro.
    “Non rimproverarti. Una distrazione può sempre capitare… l’importante è… non aver subito il peggio.” Non ero sicuro di cosa dire o non dire. Era così fragile in questo momento, la pelle pallida, gli occhi ancora un po’ lucidi, i capelli che scivolavano sulla fronte a coprirle il volto. “In effetti, hai dormito diversi giorni… dovevi recuperare. Adesso però starai sempre meglio.” Il mio tono era incerto, volevo dirle ancora una cosa. “E… non potrai mai essere un disturbo per me… non lo dire più.” Ecco, ci ero riuscito.
    Quasi soffocai quando alzò di nuovo una mano, ma questa volta la appoggiò a mo’ di carezza sul casco, come se fosse la mia guancia. Ero certo ormai che, a differenza degli altri, Omera aveva la capacità di vedere al di sotto dell’armatura, per lei non era un ostacolo per comprendere chi fossi.
    “Credevo che non ti avrei più rivisto, sai?” e a quella domanda retorica si imbarazzò, ritraendo la mano. Poi, passo a torturarsi l’altra in grembo. Forse c’erano ricordi per lei ingombranti che aleggiavano intorno. “Chiederti di restare è stato ridicolo, come pretendere di toglierti il casco. Ci ho ripensato tanto da allora e mi ero sempre ripromessa che se mai ti avessi rivisto ti avrei chiesto scusa. Sono stata inopportuna...” disse alla fine, regalandomi un sorriso fin troppo mesto. No, non mi piaceva affatto. “La verità è che sono fin troppo istintiva, seppur il mio carattere posato mi aiuta a nasconderlo bene...” La lasciai sfogare, anche grazie a quel velo di ironia con cui riusciva sempre a prendersi un po’ in giro. Avevo sempre pensato che solo le persone intelligenti fossero in grado di tanta autocritica.
    Trascorsero attimi preziosi, in cui cercai le parole giuste per ribattere. Ero seduto accanto a lei, sul bordo del letto, ma la sensazione era quella di stare sul precipizio di un abisso…
    “Omera, non posso accettare le tue scuse. Di solito ci si scusa per errori commessi, non quando un gesto o una richiesta sono fatti con buone intenzioni. Questo è il tuo caso.” Mi sarei preso a schiaffi se avessi potuto. Ero così banale… Poe avrebbe di certo saputo approfittare di una situazione del genere per dichiarare ciò che sentiva, io non avevo neppure idea di cosa stessi sentendo. Era un dolore alla pancia mai provato, una difficoltà a respirare che mi impediva di essere lucido. La fissai, più in imbarazzo di lei, anche se ora mi sorrideva apertamente… avevo intuito la mia condizione. Fantastico!


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 22/9/2022, 12:14
     
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    Ascoltai Mando senza riuscire a nascondere il tormento che dentro provavo. Sarebbe stato facile raccontarmi e raccontare che era dovuto alla febbre e tutto il resto, ma era una bugia e lo sapevo benissimo.
    Il giorno successivo Mando avrebbe potuto anche ripartire ed io sarei rimasti in quello stato di confusione ed agitazione, lo sapevo. Da quando avevo lasciato l’Impero mi ero ripromessa di vivere senza più alcun rimpianto o rimorso, era quasi impossibile riuscirci sempre, ma non potevo lasciare che quella situazione dentro di me continuasse in eterno.
    Avevo voluto darmi una possibilità con Poe, perché non avrei dovuto farlo? Eravamo amici, confidenti e ci conoscevamo da anni. Era un buon modo per dirmi che potevo andare avanti, che quello che per Mando avevo provato era stata una stupida cotta passeggera, ma rivederlo ma aveva mostrato che così non era.
    «La discussione con Poe…» esordì senza nemmeno accorgermene. Il capo basso e le parole scandite a fatica.
    «Riguardava te» e lo dissi senza indugi seppur mi costava tutto il mio coraggio. Osservai Mando sospirando pesantemente. Se non lo avessi mai rivisto, almeno saresti stata certa di dirgli tutto questa volta e soprattutto mi sarei tolta quel peso dal cuore che non riuscivo più a sopportare.
    «Gli ho detto che avevo sbagliato ad illuderlo. E’ una persona eccezionale, onesta ed estremamente generosa. Prenderlo in giro, dopo ciò che per aveva fatto, era a dir poco orribile da parte mia. Ma Poe è testardo e non capisce che tu non sei un capriccio o una fissazione… ad essere onesta non so nemmeno io cosa sia, ma so che è qualcosa che mi fa stare bene. So che quando sto con lui o qualsiasi altro non provo quello provo quando sto con te…»
    Mi resi immediatamente conto di quanto lo stessi mettendo a disagio e mi sentì in dovere di fare qualcosa. Allungai una mano e l’appoggia con decisione sul suo avanbraccio.
    «Con questo non voglio obbligarti a nulla né costringermi a rispondermi, ma dovevo dirtelo. Non farlo sarebbe stato solo un continuare a prendere in giro me e tutti gli altri… Conosco la tua vita, il tuo credo e so che non c’è spazio per null’altro…» mi volevo mostrare forte e comprensiva, ma ritirai la mano quasi come se mi fossi scottata e sorridevo amorevolmente per nascondere gli occhi lucidi. Abbassai il capo sperando che l’oscurità della stanza mi aiutasse nell’intento.
    L’ultima cosa che desideravo era apparire una ragazzina infatuata dell’eroe bello ed impossibile. Era patetico, oltre che triste…
    «Dovrei iniziare a chiamarti Din… scusa, ancora non mi sono abituata al tuo vero nome…» dissi ridendo nervosa, senza nemmeno io sapere perché avevo detto quella frase, forse per dimenticarmi tutto ciò che gli avevo appena confessato.
     
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    “Dovrei iniziare a chiamarti Din… scusa, ancora non mi sono abituata al tuo vero nome…”
    “Puoi chiamarmi Mando, cioè anche Din… ecco, puoi chiamarmi come vuoi…” Ok, tra tutte le cose che aveva rivelato, confessato, buttato fuori… addosso al sottoscritto, non era proprio ciò a cui avrei dovuto rispondere. In realtà, ero confuso.
    Non ero un ingenuo. Un anno prima avevo ben chiaro che cosa avrebbe comportato una mia risposta affermativa alla sua richiesta. Che, tra le altre cose, era stata così dolce da quasi convincermi… Ricordavo bene la sensazione provata. Avevo caldo e freddo al contempo. Goccioline di sudore avevano attraversato il casco per finire tra le spalle, salvo poi gelarsi.
    In quei mesi trascorsi su Sorgan avevo intravisto uno scorcio di vita diverso e sarei stato il più bugiardo della galassia se non avessi ammesso che mi ero immaginato accanto a lei… in una vita normale, senza casco e armatura, a prendermi cura di Grogu.
    Il sogno si era infranto ben presto. Restare avrebbe significato mandare a monte la missione primaria di ogni Mandaloriano. La Via era la priorità, non poteva venire dopo una mera condizione di felicità di un suo servitore. E io… io ero ancora all’inizio di quella Via.
    Come spiegarle tutto questo? Era così chiaro dentro di me, ma quando pensavo a come trasformare tutto in parole, diventava nebuloso, il cuore iniziava a battere senza sosta e la pelle di nuovo a sudare come se l’armatura si fosse arroventata.
    Mi sentivo bruciare, ecco sì, mi sentivo bruciare vivo.
    Lei sorrideva dolce, ma evitava il mio sguardo. Era chiaro che non voleva mettermi in imbarazzo ma che attendeva una qualche risposta sensata da parte mia. Così, presi un bel respiro, afferrai la sua mano e la strinsi nuovamente tra le mie.
    “Omera, dimentica il passato. Ho imparato che guardare indietro ti impedisce di vedere chiaramente il nuovo obiettivo. Quel che è stato ormai è stato. Non posso togliermi il casco, non posso scegliere la vita che ho iniziato a desiderare da quando ti ho conosciuta…” C’ero quasi, c’ero quasi. Imposi al mio respiro di normalizzarsi e di permettermi di arrivare fino alla fine della mia eroica arringa. “Tuttavia, dopo che ho rischiato di non rivederti più per sempre, mi sono reso conto che non ho intenzione di perdere altri momenti preziosi. Non so bene che cosa sto dicendo, se è una proposta o meno, o di cos’altro di tratti, ma qualsiasi cosa sia so che non voglio che finisca…”
    Non aveva senso. No, non poteva avere senso quello sproloquio che avevo generato. Avevo pensato a Poe, di nuovo. Non capivo perché continuavo a paragonarmi a lui… non mi sentivo in competizione, o forse sì? Erano tutte sensazioni nuove, che avrei dovuto tentare di decifrare quanto prima per non continuare ad annaspare.
    Avevo finito l’aria nei polmoni ma non avevo smesso di stringere la mano di Omera… mentre il desiderio di sentire il contatto con la sua pelle rischiava di mandarmi nuovamente in confusione. In che guaio mi stavo mettendo?!
     
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    :Omera:
    Che codarda che ero, ma il coraggio di alzare il volto per incontrare il suo sguardo mi mancava. Avrei voluto essere più forte e meno preda alle mie emozioni, ma nel bene o nel male quello era e sarebbe stato sempre il mio più grande pregio/difetto.
    Fu solo quando mi prese le mani che sull'ultima sua frase, sentì l'inaspettato raggiungermi. A differenza di molte altre donne io avevo avuto la fortuna di crescere come una ragazzina piena di sogni ed illusioni, ricordavo ancora come con indosso un semplice foulard bianco sul capo volteggiavo davanti allo specchio con in mano un bouquet, immaginando di incontrare il principe azzurro e vivere felice. C'era che stato un momento in cui ero convinta di averlo trovato, in cui credevo di vivere in un sogno... Ma ero scappata da quell'illusione molti anni prima lasciandomi alle spalle un padre ed un cuore infranto.
    «Devo apparirti come una romantica senza speranze...» lo dissi guardandolo infine, mentre lacrime amare mi solcavano le gote. Lo vedevo, senza farlo realmente. Non c' era solo lui in quel momento, ma qualcosa che ormai da molto avevo sepolto dentro di me.
    «E lo ero. Ma dietro di me ho abbandonato la promessa di un domani insieme e quella ragazza. Da allora ho chiuso il mio cuore ed ho gettato la chiave... Dicendomi che, potevo provare amore... Ma in un altro modo... Quando mi hai trovato a Sorgan era tutto ciò che avevo. Nessuna famiglia, nessun Credo, nessuna alleanza o ordine... Me stessa era l'unica cosa che mi era rimasta e nemmeno ero certa di conoscerla abbastanza bene... »
    Senza che ne ne rendessi conto la sua mano si era già alzata e mi aveva asciugato dalle lacrime copiose, fu allora che prendendo la sua mano la portai alla bocca e posai delicatamente sulle dita affusolate un piccolo dolce bacio.
    «È un viaggio, possiamo compierlo insieme e vedere dove ci porta... E poi chissà forse nelle stesso finalmente riusciremo a capire il nostro cuore... » conclusi. Era un modo di dirgli quanto non mi aspettassi nulla e quanto nemmeno lui avrebbe dovuto farlo.
    Quelle cose non le avevo dette a nessuno, nemmeno a Poe che in quel momento ci stava spiando pieno di risentimento e tristezza, prima di allontanarsi. La bottiglia mezza vuota in mano e la presa di decisione di raggiungere il suo alloggio e finirla.
    Fu allora che la mano di lui si posò sul mio collo e senza parlare i nostri capi si avvicinarono fino a toccarsi fronte contro fronte.


    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 24/9/2022, 10:51
     
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    :Shay:
    Non avevo mai avuto molte cose. In una semplice sacca riuscivo a infilare la mia intera esistenza. Ne ero sempre andato fiero, proprio perché l’attaccamento al materiale rappresentava l’ostacolo maggiore alla realizzazione completa della Forza. Questo era ciò che ci insegnavano da quando iniziavamo a compiere i primi passi sullo stretto sentiero…
    Dopo aver perso la mia famiglia nella maniera più atroce, gli oggetti sarebbero dovuti essere la mia àncora, qualcosa a cui aggrapparmi per non perdermi nel mare del dolore. Poi, però, avevo perso anche la mia seconda famiglia e lì mi ero ritrovato di fronte a un bivio: perdermi per sempre o continuare a lottare. La scelta che ho fatto la conoscete bene.
    Ciò nonostante, non potevo non rifletterci su ogni volta che arrivava il momento di cambiare casa. Non avevo mai vissuto tanto tempo in un posto, noi Jedi non eravamo fatti per le radici, la famiglia, la stabilità. Finita la scuola, il nostro compito diventava quello di aiutare la gente a proteggere le proprie di radici…
    La nostra sacra certezza era la Forza, il legame più importante e l’unico che non sarebbe mai venuto meno.
    Nei miei giorni peggiori, dopo l’Ordine 66, mentre cercavo di rimarginare le ferite del corpo, della mente e dell’Anima, mi ero reso conto di non aver mai perso la Fede in quel qualcosa che mi avrebbe sempre animato e guidato. Anche se io stesso a volte non credevo in me, Lei no, non smetteva mai di farlo. Era la mia sposa, la mia amica più intima, il motivo principe per cui mi alzavo al mattino e combattevo…
    Feci un sospiro e iniziai a tirare fuori i miei effetti personali dalla famosa sacca. Ci misi appena qualche minuto a sistemare tutto quanto in un paio di cassetti - custodendo tra i pochi vestiti il prezioso holocrom -, poi, mi sedetti sul bordo della branda e mi guardai attorno: nessuna finestra, pochi mobili essenziali tra cui uno scrittoio con sedia posto contro una parete, il lettino su cui sedevo. Ecco la mia nuova casa.
    Avevo lasciato Tyton per giungere su Yavin IV, nella Base della X-Force.
    La base era per metà sotterranea, compresi gli alloggi. Non mi disturbava molto la cosa, non avevo problemi con gli spazi chiusi. Gli astri erano dentro di me, avrei potuto trovarli in ogni momento. Avevo preferito che invece Kayra usufruisse di una sistemazione più “normale”, la sua anima stava fiorendo e la solitudine per quanto ottima insegnante, doveva essere integrata da altre vibrazioni.
    Brian Thoorn era stato molto gentile nell’offrirci di collaborare per cercare di mettere insieme i pezzi delle scoperte che avevamo fatto. Sentivo però che nascondeva un segreto che neppure i suoi compagni più vicini conoscevano, un segreto che ci legava in una maniera tanto inaspettata da aver acceso la mia di solito quieta curiosità. Percepivo che la sua richiesta di trasferirci su Yavin avrebbe avuto un risvolto molto particolare, ma non glielo avrei chiesto direttamente, questo non era nelle mie corde. Avrei atteso e osservato.
    Una cosa era certa, su questo pianeta la Forza scorreva potente. Non appena ci avevo messo piede la prima volta, avevo avuto la sensazione di essere su Tyton, cosa alquanto bizzarra visto cosa quest’ultimo aveva sempre rappresentato per l’Ordine. 
Chiusi gli occhi per qualche istante, le mani aperte sulle ginocchia, il respiro sempre più regolare. Tentai una connessione con l’etere, una vibrazione calda arrivò per scuotermi, ma non riuscì a riconoscerla in quanto durò pochi attimi. Poi, si dissolse. Non sapevo se fossi stato io a distrarmi, oppure qualcuno si era volutamente occultato.
    Ecco che tornavano i miei problemi a riconoscermi qualcosa.
    Avevo sbagliato io? Ne ero così sicuro? Ero all’altezza di tutto ciò?
    Con un movimento fluido, portai i palmi dalle ginocchia fino al petto. Il tessuto grezzo del saio mi fece il solletico e sorrisi involontariamente. Mi concentrai su ogni più piccola sensazione… fino a riunirle interamente in un unico punto strategico, che era il cuore. Solo lì tutte le domande senza risposta avrebbero trovato quiete.
    Una di quelle domande però arrivò prepotente a squarciare l’atmosfera meditativa che avevo creato. L’aura della mia amata Kayra irruppe nel mio campo di percezione: mi stava raggiungendo, era inquieta, il suo incedere nervoso ne era la dimostrazione. Era il momento del confronto, me ne rendevo conto.
    La attesi senza muovermi di un solo centimetro, stranamente anche il piccolo sorriso era rimasto lì… a sfiorare le mie labbra.
    Alzai le palpebre non appena Kayra arrivò sull’uscio aperto.
    “E’ arrivato il momento” esordii salutandola con lo sguardo. E le feci cenno di con il capo di raggiungermi e sedersi al mio fianco. Avevamo tante cose da dirci.
     
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    :Kayra:
    Eravamo rientrati tutti alla base, un po’ acciaccati ma sani e salvi.
    Una volta sfuggiti alla furia omicida dell'Inquisitrice, eravamo riusciti a metterci in contatto con la navicella di Shay e gli altri…
    Mi sentivo ancora stordita e una punta di delusione colorava la mia espressione.
    I lividi sul mio corpo non facevano tanto male quanto la profonda sensazione di vuoto e di mancanza che si era sviluppata nel mio petto.
    Il mio Maestro mia aveva nascosto una cosa tanto importante. La nostra nemica era identica a me. Razionalmente parlando ero certa che lui avesse avuto una valanga di buoni motivi per non dirmelo. Protezione? Preoccupazione, la non consapevolezza della sua identità? Tutto poteva essere, ma dentro di me, percepivo l’ombra della disillusione e non avevo nessuna intenzione di restarne vittima.
    Ma chi era quella ragazza? Un’Inquisitrice, potente, felina e distruttrice… senza dubbio. Come poteva essere accaduto che una mia sosia avesse intrapreso una strada tanto diversa dalla mia, addirittura opposta? Uno scherzo del destino? Ripensai alle mie sensazioni mentre ero in sua presenza. Era tutto così strano e surreale… Per quale motivo mi sentivo tanto coinvolta? Un attaccamento intimo senza nessun motivo apparente.
    Avevo ben poco da congetturare. Ogni più piccola domanda ne presupponeva una più grande e a tutte queste non ero in grado di dare risposte sensate!
    Non avevo altra scelta.
    Dovevo parlare con Shay… gli avrei detto che sapevo, gli avrei chiesto spiegazioni, ma soprattutto gli avrei chiesto delle risposte.
    Finii di sistemare tutte le mie cose nella cabina di superficie che mi era stata assegnata. All'inizio non ero d’accordo ad alloggiare in un posto tanto distante dal mio Maestro, ma in quel frangente, mi parve addirittura provvidenziale. Credevo di avere bisogno di spazio, almeno fisico, perché la mia anima urlava la ferrea volontà di un confronto.
    Brian era stato gentile ad ospitarci, ma d’altro canto, sarebbe stato utile spostarci dal nostro pianeta a questo, in vista di numerose strategie e missioni in simultanea. Avevamo gli stessi nemici e in quanto alleati era necessario che vivessimo a stretto contatto. L'emergenza poteva essere sempre dietro l’angolo e per quanto la tecnologia potesse agevolare i nostri spostamenti, il trasporto istantaneo non era ancora stato brevettato.
    Presi un lungo respiro e mi allacciai il mantello attorno al collo. Non volevo più rimandare. Avevo atteso anche troppo.
    Mi incamminai lungo il labirinto di cabine e stanze sotterranee della base. Non mi stupiva che Shay avesse accettato di risiedere lì… la solitudine e l’isolamento erano le sue migliori compagne. Credevo di aver scalfito in qualche modo la sua corazza che si ostinava a tenere eretta, sebbene camuffata da una immagine di placida gentilezza, ma a volte, le mie paure mi portavano a credere di non essere nemmeno all’inizio dell’opera. Che tutto potesse essere solo nella mia testa.
    Scossi il capo con forza. Non era il momento di dubitare. Solo parlare con lui mi avrebbe aiutata a fare chiarezza e a dissipare le incertezze che offuscavano il mio cuore.
    Giunsi a un passo dall’uscio aperto della sua cabina. Raramente chiudeva le porte o tutelava la sua privacy. Per lui tutto doveva sempre essere alla luce del sole. Le barriere che creava erano di altro genere e ogni giorno che passava mi incamminavo nel dedalo della sua mente e delle sue idee… così stavo imparando a conoscerlo.
    Chiusi gli occhi e respirai a fondo. Sapevo che lui mi aveva già percepita, ma volevo raccogliere tutta la mia forza e il mio coraggio per affrontarlo.
    Poi entrai…
    Lui mi guardò con il suo solito sguardo serafico. Era consapevole di ciò che sarebbe avvenuto e pareva non aspettasse altro.
    “È arrivato il momento” mi disse, mentre mi faceva segno di andare a sedere al suo fianco.
    Mi avvicinai cauta. Il mio petto era in subbuglio per le emozioni contrastanti che mi legavano a lui in quel momento.
    Era difficile iniziare… la mia impetuosità di poco prima si era sciolta come neve al sole, solo perché i suoi occhi erano tanto limpidi, ma anche un pizzico rammaricati.
    “Sapevi sarei venuta da te, vero?” Domanda stupida, ma utile per infrangere la mia ansia.
    “Proprio così, ti aspettavo.” rispose con la sua solita calma, rispondendo al mio tentativo di rompere il ghiaccio. “Vuoi parlarmi di qualcosa di molto importante, vero? Gli ultimi avvenimenti, il trasloco, ce lo hanno impedito...”
    “Sì, è successo tutto così in fretta. La missione su Abregado, la tua scomparsa, il tuo recupero e la… missione successiva…” mi si incepparono le parole, ma non avevo intenzione di cedere. “Però, sono convinta che è stata la scelta migliore venire a vivere qui. Titon mi mancherà, ma va bene così, ci faremo andare bene anche questa base sotterranea per il bene della galassia!” sorrisi leggermente e presi un mezzo respiro, non troppo profondo. “Ma non era di questo che volevo parlarti…”
    Shay mi fissò con uno sguardo che, senza dubbio, avrebbe potuto essere definito paterno, anche se gli anni di età che ci separavano non erano poi così tanti.
    “Non so se hai percepito una volta arrivati qui. Ma anche questo pianeta ha una forte collegamento con la Forza. Mi sono ripromesso di indagarne il perché ma... torniamo a noi. Dimmi, di cosa volevi parlarmi?” Non avrebbe mai fatto la prima mossa, funzionava sempre così tra noi. Mi lasciava arrivare al punto in cui era necessario fare una scelta e... mela lasciava fare senza nessun tipo di pressione.
    Apprezzavo questo suo atteggiamento il più delle volte, perché mi aiutava a superare i miei limiti e le mie remore. Era una costante scuola di vita, avere a che fare con lui.
    In altre occasioni, come questa ad esempio, era una fine tortura nella mia testa, perché mi costringeva ad affrontare di petto le situazioni più spinose.
    “È inutile girarci troppo intorno. È qualcosa di assolutamente assurdo, ma rimandare a parlarne sarebbe controproducente.” ecco la vera Kayra, ero tornata in pista. “Quando eri su Abregado, ti sei scontrato con le Inquisitrici e una di queste aveva… il mio stesso volto, vero?”
    Non c'era bisogno che dicesse di sì con la voce, bastava il suo sguardo e quel leggero sorriso che aveva sul volto a dirmi ciò che c'era da sapere. Tuttavia...
    “Proprio così. Una delle due era una mia vecchia conoscenza, la seconda Inquisitrice, invece, era identica a te. Nei lineamenti ovviamente, le vibrazioni erano del tutto diverse... Ciò nonostante, a primo impatto, non le ho notate subito, le vibrazioni oscure intendo. Ci ho messo qualche attimo.”
    Le sue parole mi confusero ancora di più. Anche io avevo percepito vibrazioni totalmente diverse dalle mie, ma ero anche stata distratta da quella strana forma di attaccamento che mi aveva portata addirittura a salvarle la vita. Volevo approfondire la cosa…
    “Spiegami meglio… cosa hai sentito?” Avrei voluto sapere subito perché me lo aveva tenuto nascosto, ma percepivo che in quel momento, era meglio focalizzarmi su dettagli molto più importanti. Il mio sentirmi ferita poteva passare in secondo piano.
    “Appena l'ho vista, in quel preciso primo istante, avrei giurato che fossi tu. Ho dovuto riprendermi dal turbamento in fretta per via dello scontro; perciò, poi ho percepito subito le vibrazioni del lato oscuro. Però, non è stato immediato per come sarebbe dovuto essere...” La fronte era aggrottata, una mano a strofinare il mento con un leggero velo di barba e l'altra piegata contro il torace. “Bada bene però, non so cosa questo significhi. Può essere stato lo stress della battaglia o altre mille cose. Fatto sta che era identica a te esternamente. Questo resta. Tu, invece, cosa hai provato? L'hai incontrata mi sembra di dedurre.”
    Cosa mai avrebbe potuto compromettere a tal punto le percezioni di Shay? Questo era assurdo. Non potevo certo credere allo stress della battaglia. Per quanto non si considerasse all’altezza di essere un Maestro, lui era straordinariamente capace e il suo legame con la Forza era tanto viscerale da impregnarlo fin nel profondo.
    “Io, sì… l’ho incontrata, o meglio mi sono scontrata con lei quando ci siamo divisi nell’ultima missione. Boba e io abbiamo avuto non poche difficoltà nell’affrontarla e Leopold ha rischiato di essere rapito e ucciso…” Ripercorrere gli eventi mentalmente mi aiutava a raccogliere e riprovare tutte le sensazioni che avevo provato. Era difficile discernere… era tutto troppo caotico, ma tentai di concentrarmi per poter rispondere alla domanda che mi era stata posta. “Appena ho individuato l’Inquisitrice portava un casco che le celava il viso, ma nonostante ciò, ho sentito qualcosa di strano, tanto strano che mi hanno portato a… salvarle la vita. Insomma, Boba l’aveva sotto tiro e io, beh, gli ho impedito di ucciderla… Solo dopo, durante una durissima battaglia sono riuscita a guardarla in viso e sono rimasta scioccata. Per un attimo, ho rischiato di perdere il controllo, ma ho… tenuto duro e ho continuato a difendermi e ad attaccare. Non avevo altra scelta!” mi torcevo le mani in grembo per non far vedere che stavano tremando. Il cuore era come impazzito. “Cosa ho provato? Sentivo che combattere contro di lei era profondamente sbagliato!” Ecco, lo avevo detto. Mi sentivo una traditrice. Lei era un’Inquisitrice, una nemica.
    Shay respirò piano, profondamente, per alcuni minuti.
    Era chiaro che stesse riflettendo, ma stava soprattutto assorbendo tutto ciò che io, a parole, non ero riuscita a esprimere. Era connesso con me oltre ogni dire.
    Poi, dopo minuti infiniti, fece la domanda diretta. C'erano troppi perché a cui rispondere ed era inutile ignorare l'unica via percorribile, quella più plausibile.
    “So che hai pochissimi ricordi della tua infanzia, ma c’è qualcosa che ti faccia pensare a una sorella gemella?”
    Come sempre mi aveva letto nel pensiero. Ripensai subito all’incubo che avevo avuto la notte precedente alla sua partenza per Abregado.
    “Io… ho fatto un sogno. Non ho avuto modo di parlartene… Io sono bambina e corro a perdifiato. Stringo per mano una ragazzina della mia stessa età e con il mio stesso volto. In un primo momento, ho pensato potesse essere un mio alter ego inconscio, ma le percezioni che avevo erano di terrore puro, temevo che le potesse accadere qualcosa. Eravamo entrambe in uno stato di estremo pericolo. Bombe deflagravano sopra le nostre teste. Lei cade… resta indietro… io non… riesco a salvarla… Non so chi fosse…” Sono come in trance adesso… Il mio respiro si fa intermittente e affannoso. Le mie dita sono bianche per la pressione che esercitano le une sulle altre.
    Shay mi strinse un braccio con decisa delicatezza. È intenzionato a tenermi ancorata a un lucido presente. Era un bene ricordare, ma non rimanere fagocitata da un passato confuso e oscuro. Voleva evitare che cadessi in un baratro senza fondo.
    “A questo punto, c'è la concreta possibilità che possa essere tua sorella gemella. Una qualsiasi doppelgänger non avrebbe avuto questo ruolo nei tuoi sogni.” Era suo compito dire ad alta voce ciò che io temevo anche solo di pensare.
    “Forse sono vicina alla verità, ma tra sogno e realtà non ho certezze. Non so cosa sia vero e cosa, invece, sia elaborato dalla mia mente.” tentai di riprendere il controllo del mio corpo e delle mie emozioni. “Perché non me ne hai parlato subito? Magari ne avremmo potuto discutere, analizzare le opzioni… in questo modo il mio incontro con lei sarebbe potuto essere diverso. Forse, non avrò una seconda chance…” avevo ripreso a parlare concitata. Era difficile, maledettamente difficile gestire ciò che provavo.
    Shay sorrise, nel suo solito modo conciliante, prima di farmi una carezza leggera sul viso.
    “Non era il momento. Non potevo rispondere alle tue domande e non avremmo potuto parlarne a mente lucida come adesso. Certo, non sapevo che vi sareste incontrate... come vedi, il destino non si è fatto attendere. E proprio per questo, sono certo che ci saranno altre occasioni. Dimentichi forse che anche per lei deve essere stato uno shock?” Lei, ad essere sincera, non aveva mostrato nessun segno di cedimento o di incertezza. Era ben intenzionata a uccidermi, senza esitazione. Che sapesse della mia esistenza? Che pensasse di essere stata abbandonata da me e fosse cresciuta tutto questo tempo nel rancore e nella collera nei miei confronti? Questo avrebbe potuto spiegare il suo voto alla Forza Oscura. “Fermati, respira, rifletti.” Mi concentrai sulla mano ruvida di Shay che solleticava la mia guancia. Lui era lì accanto a me, a sostenermi e curare le ferite della mia anima. Afferrai il suo palmo tra i miei e me lo strinsi forte in grembo.
    “Non so se avrò un’altra occasione per conoscerla e confrontarmi, semplicemente perché potrebbe essere morta. Quando abbiamo lasciato la Malevolence, era in avaria e stava precipitando. Forse… lei…”
    “Cerca dentro di te, Kayra. Lo sai bene come funziona. Se fosse morta, lo sentiresti. E poi, ti fidi di me? Ecco, io ti dico che la rincontrerai. Solo tieni a mente che potrebbe non essere un incontro da sogno... è votata al lato oscuro.”
    Mi fidavo ciecamente di lui. Ancora una volta mi aveva dimostrato che ogni sua singola azione era ponderata e volta al bene.
    Quanta verità racchiusa in poche e semplici parole.
    Se fosse morta avrei dovuto percepire un senso di vuoto profondo, ma nulla era cambiato rispetto a prima, quindi buone speranze riaffiorarono nel mio cuore.
    Ero consapevole che rivederla avrebbe potuto essere spiacevole, ma non avevo nessuna intenzione di tirarmi indietro. Dovevo scoprire chi fosse e che legame avessi con lei. Ancora più importante, avrei voluto conoscere il motivo della sua appartenenza alla Forza Oscura.
    Intimamente speravo di poterla salvare? Di poterla riportare sulla Via della Luce. Sì: era la risposta che rimbombava nella mia mente e nel mio petto.


    ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ ǫᴜɪ: 𝐋𝐚 𝐆𝐮𝐠𝐥𝐢𝐚



    Edited by The Bla¢k Wit¢h¸ - 17/2/2023, 19:48
     
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